Ricerca per Volume

SETTIMA SERIE

AVVERTENZA

l. Questo tredicesimo volume della serie VII inizia il lo gennaio e termina il 15 luglio del 1933, giorno della firma del Patto a quattro. L'argomento principale del volume è infatti il negoziato per tale Patto. Ma anche l'altro grande obiettivo perseguito allora da Mussolini, cioè l'indipendenza dell'Austria, è ampiamente illustrato dai documenti qui pubblicati. Risultano confermate le complesse finalità che il Capo del Governo e Ministro degli Esteri intendeva realizzare col Patto a quattro: fare dell'Italia il perno delle relazioni diplomatiche europee, usare la Germania nazista per premere sulla Francia e usare la Francia, con la mediazione inglese, per moderare e tenere sotto controllo le richieste tedesche. Ma poiché Hitler non faceva mistero delle sue aspirazioni all'Anschluss, Mussolini, contestualmente alla firma del Patto a quattro, accettò le avances che gli venivano da Jouvenel e iniziò il riavvicinamento alla Francia. Dalla documentazione risulta altresì confermato che Mussolini intendeva opporsi all'Anschluss senza però valorizzare l'antirevisionismo della Piccola Intesa e cercando invece l'appoggio dell'Ungheria. Inoltre egli riprese il progetto di porre l'Italia a capo di una intesa balcanica turco-greco-bulgara per indebolire la Piccola Intesa; e infine diede inizio a un riavvicinamento politico all'Unione Sovietica con lo scopo principale di «rubare » questa carta alla Francia, che era anch'essa in trattative col Governo di Mosca.

2. -La documentazione è tratta prevalentemente dall'Archivio storico del Ministero degli Affari esteri, di cui l'Archivio di Gabinetto, nel riordinamento che gli ha dato il prof. Pietro Pastorelli, costituisce il fondo più importante anche se non il più ampio. Sotto il profilo quantitativo i due fondi principali sono stati quello della serie Politica 1931-1945 e quello dei registri dei telegrammi (R. e P.R.). Qualche documento proviene dal fondo Società delle Nazioni. I fondi delle principali ambasciate, in particolare quella di Londra, hanno consentito di controllare la data e il testo di alcuni documenti. Qualche documento proviene dall'Archivio Centrale dello Stato, Carte Grandi (Archivio Susmel) e Segreteria particolare del Duce. 3. -Vari documenti erano già editi integralmente o parzialmente in pubblicazioni italiane e straniere. Delle principali pubblicazioni italiane si è data . sistematicamente notizia in nota ai singoli documenti, quando questi erano editi nel testo integrale. Invece le pubblicazioni straniere, in particolare le raccolte di documenti diplomatici inglese, tedesca e francese, sono state utilizzate in nota solo quando lo si è ritenuto opportuno per fornire una miglior comprensione del testo e degli avvenimenti. Diamo qui di seguito l'elenco delle pubblicazioni italiane e straniere di cui ci siamo serviti:

F. SALATA, Il patto Mussolini, Storia dì un piano politico e di un negoziato diplomatico, Roma, 1933;

IX

P. ALOISI, Journal (25 juillet 1932-14 juin 1936), Parigi, s.d.;

B. MussOLINI, Opera Omnia, a cura di E. e D. Susmel, vol. XXVI, Firenze, 1964, vol. XXXVII, Roma, 1978 e vol. XLII, Roma, 1979;

K. H. JARAuscH, The Four Power Pact 1933, Madison, 1965; Allianz Hitler-Horthy-Mussolini, Dokumente zur Ungarischen Ausserpolitik (19331944), a cura di L. Kerekes, Budapest, 1966;

R. CoLLIER, Duce! Duce! Ascesa e caduta di Benito Mussolini, Milano, 1972;

R. DE FELICE, Mussolini il Duce. Gli anni del consenso 1929-1936, Torino, 1974;

G. GIORDANO, Il patto a quattro nella politica estera di Mussolini, Correggio Emilia, 1976;

F. SuvrcH, Memorie 1929-1936, a cura di G. Bianchi, Milano, 1984; Trattati e Convenzioni fra il Regno d'Italia e gli altri Stati, vol. 46, Roma, 1937; Documents on British Foreign Policy 1919-1939, Second Series, vol. IV (1932-33), Londra, 1950, vol. V (1933), Londra, 1956, vol. VI 0933-34), Londra, 1957; Documents Diplornatiques Français 1932-1939, Première Série (1932-1935), vol. III, Parigi, 1967; Akten zur Deutschen Aswtirtigen Politik 1919-1945, Serie C vol. 1,1; 1,2, Gottingen, 1971. Foreign Relations ot the United States, 1933, vol. I, Washington, 1950.

4. Nel licenziare il volume sento il dovere di ringraziare la dott. Emma Ghisalberti Moscati e il dott. Andrea Edoardo Visone che hanno eseguito con passione e competenza una prima selezione del materiale e hanno curato l'apparato critico. Ringrazio inoltre la dott. Antonella Grossi che ha compilato l'indice dei nomi, la signora Fiorella Giordano e le dott. Alessandra Raffa, Francesca Grispo e Paola Amadei a cui si deve la revisione delle bozze.

GIAMPIERO CAROCCI


DOCUMENTI
1

1

IL MINISTRO A BUCAREST, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 8/1 R. Bucarest. 2 gennaio 1933, ore 14 (per. ore 17,45).

Telegramma di V. E. n. 151 (1).

Ho appreso che Titulesco, in risposta comunicazione fattagli da Ghika, rivolgerà a V. E. vivissime premure per ottenere che patto di amicizia itala-romeno sia rinnovato per cinque anni.

Pensiero di Titulesco è che Romania deve adesso far di tutto per [sottrarsi] all'« incubo» delle rinnovazioni periodiche del predetto patto: ed all'uopo farà valere presso V. E. che questione disarmo non potrà avere sviluppi tali da provocare profondi mutamenti nella politica generale.

2

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 59/5 R. Parigi, 3 gennaio 1933 (per. il 6).

Mio telegramma 568 del 24 dicembre (2).

Ho restituito oggi la visita che il presidente del Consiglio mi ha fatto l'indomani della formazione del nuovo Gabinetto. Trattavasi di una visita protocollare. Paul Boncour ha ricevuto, infatti, prima e dopo di me, altri ambasciatori. Il presidente mi ha detto di essersi intrattenuto, poco prima, col senatore de Jouvenel e di avere avuto con lui una prima conversazione circa la sua missione diplomatica. Paul Boncour ha aggiunto che de Jouvenel è suo amico e ha le sue stesse idee nei riguardi del problema italiano. Il presidente del Consiglio ha disposto che il nuovo ambasciatore, dopo avere studiato sul posto le diverse questioni, ritorni a Parigi a conferire con lui. Paul Boncour non si nasconde la difficoltà di risolvere tutto quello ch:) è sul tappeto fra Italia e Francia, ma a parere suo non esistono, fra i nostri due paesi le gravi questioni che fanno considerare quasi impossibile un accordo della Francia con la Germania, accordo che il popolo francese desidera ardentemente al punto di avere consentito gravi sacrifici per conseguirlo. Da parte mia ho rilevato essere di buon augurio che il presidente del Consiglio si renda conto delle serie difficoltà che si debbono supera,re; egli dimostrava, con questo, di aveTe il senso reale della situazione. Ho espresso poi l'opinione, riferendomi anche a impressioni, raccolte da autorevoli persone, non avendo la pretesa, dopo soli tre mesi di soggiorno in Francia, di emettere apprezzamenti categorici, che l'idea del riavvicinamento

itala-francese, da un anno a questa parte, si sia effettivamente estesa a larghe sfere della popolazione. Ho chiesto al signor Boncour se questa era anche la sua impressione. Mi ha risposto affermativamente osservando, a sua volta, che lo stesso non poteva dirsi dell'Italia. Gli ho detto che il suo rilievo non era privo, almeno in parte, di qualche fondamento. Una parte dell'opinione pubblica italiana non dimenticava, nonostante le presenti divergenze, la profonda affinità dei due paesi e i sacrifici compiuti in comune dai due popoli; fra costoro si potevano mettere gli ex-combattenti, anche parte dei ceti intellettuali. Ma una massa ugualmente importante e numerosa della popolazione, nutriva, in verità, sentimenti opposti: l'elemento giovanile militava compatto in quest'ultima categoria. Non ho nascosto al mio interlocutore che le file dei fedeli al culto delle memorie franco-italiane si diradano di giorno in giorno, mentre crescono, ad ogni nuovo incidente, i malcontenti, coloro che non si riportano al passato per giudicare il presente.

Mi sono felicitato col presidente della nomina del signor de Jouvenel, che avrà l'opera grandemente facilitata per l'autorità di cui gode nel mondo politico francese e perché è onorato, non solo della fiducia, ma dell'amicizia del presidente del consiglio che, anche per questo, lo ha scelto. Ho chiesto se il senatore contava di prolungare la sua missione oltre i sei mesi, dopo i quali avrebbe dovuto optare fra il seggio al Senato e la carica d'ambasciatore. Il presidente del consiglio mi ha risposto che non è possibile prevedere oggi quale sarà la decisione del signor de Jouvenel, allo scadere dei sei mesi. Negli ambienti parlamentari si propende a credere che il nuovo ambasciatore non rinuncerà in nessun caso al Senato. Egli ha vaste ambizioni politiche che vanno oltre la presidenza del consiglio! Si prevede, quindi, che de Jouvenel farà tutto il possibile per avere, al più presto, un successo che gli permetta di proseguire la carriera politica con maggior lustro.

Il signor Paul Boncour mi ha rinnovato le sue professioni di simpatia e di considerazione per il nostro paese e ha insistito nel dirmi il suo proposito di lavorare a quel riavvicinamento ch'egli dice di ritenere indispensabile anche alla Francia.

In questa conversazione come nella precedente, il presidente del consiglio non ha fatto il ben che minimo accenno all'E. V. Mi sembra quasi superfluo aggiungere che ho mantenuto, da parte mia, identica riserva su questo punto.

La posizione del Gabinetto Boncour persiste ad essere precaria, per quanto i socialisti, nel timore che si crei alla Camera una concentrazione nazionale radica-conservatrice, siano decisi di fare tutto il possibile per salvare il Ministero. Si vedrà, alla ripresa parlamentare, fissata per il giorno 10 p.v., se il Gabinetto sia o no vitale.

(l) -Cfr. serle VII, vol. XII, n. 587. (2) -Non pubbLicato nel vol. XII della serie ':II.
3

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 62/9 R. Londra, 3 gennaio 1933 (per. il 6).

Nonostante ripetuta smentita del Foreign Office, circola da qualche giorno nuovamente la voce che Mac Donald abbia in animo di convocare quanto prima

a Londra o altrove (ma preferibilmente a Londra) rappresentanti cinque Grandi Potenze per riprendere conversazioni sul problema del disarmo (1). Non ho potuto ancora controllare direttamente a Downing Street tale notizia, per l'assenza di Mac Donald, il quale travasi in Scozia per le feste di capo d'anno. Ma sta di fatto che tra le persone vicine al primo ministro si insiste a pensare che sarebbe utile fare «qualche cosa » onde dimostrare all'opinione pubblica americana l'esistenza in questo particolare momento di un'attiva e concreta volontà di accordo fra le nazioni europee. Ciò allo scopo di determinare nella massa americana un'atmosfera più favorevole alla benevola considerazione delle difficoltà europee, atmosfera che taluni ritengono indispensabile, per affrontare la prossima discussione sul regolamento dei debiti. Si dubita infatti che il Governo americano, quello di domani come quello di ieri, possa trovare il coraggio necessario a risolvere con un atto di diretta responsabilità e con una netta decisione la complicata questione. Mi è stato domandato a titolo personale che cosa pensavo circa la ripresa delle conversazioni ufficiali tra le 5 Potenze. Ho risposto (e credo di aver interpretato il pensiero di V. E.) che non mi sembra prudente un'immediata ripresa delle conversazioni sospese a Ginevra qualche settimana fa, e terminate con relativa soddisfazione di tutte le Potenze che avevano partecipato alla conferenza. La Germania ha infatti ottenuto con esse l'impegno delle Potenze a riconoscerle l'uguaglianza di diritto. La Francia dal suo canto ha avuto la promessa che il problema dell'uguaglianza dei diritti sarà connesso con quello della sicurezza. L'Italia e la Gran Bretagna hanno a loro volta raggiunto un notevole successo diplomatico, ottenendo che tanto la Francia quanto la Germania che erano da prima ambedue riluttanti, accogliessero la tesi che i Governi di Roma e di Londra avevano propugnato. Un accordo, se pure di carattere preliminare e generico, è stato raggiunto, ed esso ha avuto una certa ripercussione favorevole sulla situazione generale europea. Una riunione a breve scadenza non potrebbe evidentemente fare a meno di esaminare più a fondo il problema. Ma poiché questo riposa sopra un contrasto insanabile, questo non mancherebbe di affiorare immediatamente, rischiando così di vedere subito sfumati quei modesti risultati di carattere psi~ cologico raggiunti con l'ultima decisione di Ginevra. La posizione generale dell'Europa nei confronti dell'America non sarebbe avvantaggiata da una nuova conferenza delle 5 Potenze durante la quale vedremmo assai probabilmente ripetersi gli inconvenienti determinati dal fatto che la diplomazia tedesca ha l'abitudine di arrivare in genere troppo presto, mentre la diplomazia francesearriva quasi sempre troppo tardi. Ho concluso dicendo che, a mio avviso, mi sembrava più saggio non pensare per ora alla convocazione di nuove conferenze.

Sta di fatto che mentre ognuno si dichiara convinto essere l'anno che comincia quello che segnerà in un modo o in un altro la fine del problema debiti-riparazioni, nessuno mostra in verità di avere ancora un'idea chiara e un programma preciso su quello che dovrebbe essere fatto nei prossimi mesi per risolvere il problema una volta per sempre. L'inattesa, e per molti impreveduta, decisione del Parlamento francese di non effettuare i versamenti di dicembre, e la caduta del Gabinetto Herriot, ma più ancora l'ondeggiante atteg

giamento del Governo americano durante le scorse settimane, hanno determinato un certo disorientamento nella politica britannica. Come ho avuto già occasione di segnalare a V. E. la decisione di questo Governo di pagare la scadenza di dicembre ha soddisfatto l'amor proprio britannico, ma non ha convinto interamente circa la pratica efficacia e utilità del provvedimento preso. Le critiche mosse soprattutto da Churchill e da Lloyd George hanno fatto una certa breccia nell'animo di molti, e l'annunzio che il Governo britannico aveva assicurato quello francese non essere nelle sue intenzioni esigere per ora i pagamenti dovuti alla Gran Bretagna dagli Stati debitori europei, ha portato molti a riflettere sugli errori compiuti alla conferenza di Losanna, errori consistenti nel non aver allora adottato, secondo quanto suggeriva il Governo italiano, una vera e propr.ia politica del colpo di spugna fra creditori e debitori europei, senza cioè complicare la già complicata situazione col famoso « gentlemen's agreement », (1), la cui disgraziata reazione in America non è stata l'ultima delle cause del recente rifiuto americano a concedere l'invocata moratoria. Molti si rendono oggi conto che dato per certo che la Germania non paga e non pagherà, e dato altrettanto per certo che la Francia e l'Italia non pagheranno conseguentemente la Gran Bretagna, sarebbe stata più accorta politica da parte del Governo di Londra di fa:re a Losanna un gesto di rinunzia puro e semplice, il che avrebbe dato alla G:ran Bretagna un incontestabile diritto morale a chiedere all'America un trattamento analogo. Le ambigue decisioni di Losanna hanno finito coll'indebolire la posizione della Gran Bretagna nei confronti degli S.U.A., e di ciò non sono pochi coloro che oggi in Inghilterra si rendono conto.

Anche il disgraziato scambio di corrispondenza tra Londra e New York, concluso col rifiuto dell'America alla sospensione dei pagamenti, e quindi a un insuccesso della diplomazia di questo paese, ha servito a mettere in rilievo ancora una volta l'atteggiamento dell'Italia. Il Governo italiano ha preveduto il corso degli avvenimenti e si è :rifiutato di associarsi al passo anglo-francese evitando di compiere un errore e di ottenere un insuccesso. Ciò che ha infatti maggiormente irritato il Governo americano è stato, secondo quanto i miei amici americani mi :riferiscono, la contemporanea presentazione delle note inglese e francese, contemporaneità che, venuta a pochi mesi di distanza dal «gentlemen's agreement » di Losanna, e del disgraziato accordo di fiducia francobritannico (2), non poteva non da:re all'America l'impressione di un'azione combinata ai suoi danni.

Vedremo che cosa nelle prossime settimane il Governo britannico maturerà sul da farsi in materia di debiti. Per ora la parola d'ordine è la seguente: «Aspettare sino al prossimo marzo».

Uno stato d'animo si sta tuttavia determinando, ed abbastanza importante: la convinzione cioè che è necessario per la Gran Bretagna di trovare una qualche contropartita da offrire all'America. Tale contropartita sarà probabilmente ricercata nel campo della politica tariffaria recentemente instaurata dal Governo di unione nazionale e più specialmente sotto la pressione del partito con

servatore. Lo stesso M. Stanley Baldwin nel suo ultimo discorso ha lasciato chiaramente intendere che la Gran Bretagna è pronta a trattative e forse a concessioni in questa materia.

(l) Per un precedente analogo progetto cfr. serie VII, vol. XII, n. 471.

(l) -Cfr. serie VII. vol. XII. p. 192, nota l. (2) -Del 13 luglio 1932. Testo in Documents Diplomatiques Français, serle I, tomo I, n. 16.
4

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI AD ANKARA, LOJACONO, A BERLINO, CERRUTI, A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, A LONDRA, GRANDI, A MOSCA, ATTOLICO, A PARIGI, PIGNATTI, A VARSAVIA, BASTIANINI, A WASHINGTON, ROSSO, E AI MINISTRI AD ATENE, DE ROSSI, A BELGRADO, GALLI, A BUCAREST, PREZIOSI, A BUDAPEST, COLONNA, A PRAGA, ROCCO, E A VIENNA, AURITI

T. PER CORRIERE 6/C. R. Roma, 4 gennaio 1933.

(Per tutti). La R. legazione a Tirana ha telegrafato in data 28 dicembre u.s. quanto segue:

«Ministro affari esteri mi ha chiamato per comunicarmi che il 26 corrente Re Zog ha ricevuto il seguente telegramma (traduco dal francese mancando questo ufficio del relativo cifrario): "S. M. Re Zog Palazzo Reale Tirana. Londra 26 dicembre. Agenzia Reuter apprezzerebbe brevi dichiarazioni su pressioni italiane che pare sarebbero esercitate su voi per firma unione doganale italaalbanese. Vogliate indirizzare comunicazione Press Reuter Londra. Reuter ".

Lo stesso giorno il locale ufficio stampa ha ricevuto:

"Parigi 26 dicembre. Informazioni da Vienna annunziano che trattative si svolgerebbero Tirana per conclusione unione doganale italo-albanese. Preghiera informare. Agenzia Havas ".

Vrioni mi ha comunicato che al telegramma della Reuter di Londra è stato risposto col seguente telegramma:

"Risposta a vostro telegramma del 26 corrente. Da qualche tempo ha avuto luogo scambio di vedute per la conclusione di un trattato di commercio fra noi e Italia, il termine di quello intercorso essendo scaduto. Per conseguenza ogni altra informazione è senza fondamento e di carattere evidentemente tendenzioso. Ministro degli affari esteri".

Al telegramma dell'agenzia Havas è stato risposto con telegramma uguale al precedente, ma a firma ufficio stampa>>.

Per sua norma avverto che Governo italiano ha avuto occasione fra l'altro

anche durante recente visita a Roma del signor Libohova, ministro della Real

Casa di Albania, di indicare chiaramente che non vede convenienza unione do

ganale. Analogamente si è espresso con Re Zog e con quel Governo il mini

stro Koch.

(Per Londra) Non escluderei che iniziativa della cosa fosse partita da co

desto ministro d'Albania o comunque che egli ne sia stato tramite; e prego

V. E. voler possibilmente accertare fonte notizia Reuter.

(Per Vienna) Prego V. S. disporre riservate opportune indagini per individuare fonte dell'informazione diramata dall'Havas e pervenuta alla Reuter e possibilmente determinare a quali sfere debba attribuirsene ispirazione.

5

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AGLI AMBASCIATORI AD ANKARA, LOJACONO, A BERLINO, CERRUTI, A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, A MADRID, GUARIGLIA, A MOSCA, ATTOLICO, A PARIGI, PIGNATTI, A VARSAVIA, BASTIANINI, A WASHINGTON, ROSSO, AI MINISTRI AD ATENE, DE ROSSI, A BELGRADO, GALLI, A BUCAREST, PREZIOSI, A BUDAPEST, COLONNA, A PRAGA, ROCCO, A SOFIA, CORA, A VIENNA, AURITI, E AL MINISTRO RODDOLO

T. 14/c. R. Roma, 4 gennaio 1933, ore 24.

Il R. ambasciatore a Londra ha telegrafato quanto segue: «Ho accertato che notizia publicata stamane Times questo ministro Jugoslavia avrebbe fatto passo per informare ufficialmente Governo britannico punto di vista Belgrado circa progettata unione doganale itala-albanese corrisponde effettivamente verità. Spero conoscere contenuto tale passo. Per ora mi astengo farmi parte diligente presso Foreign Office discutere argomento.

V. E. giudicherà se, quando e in quali termini fosse eventualmente caso di farlo~ (1).

S. E. il ministro ha risposto al R. ambasciatore a Londra quanto segue: «Diversivo jugoslavo concretatosi nel passo presso il Foreign Office è abbastanza grave. È necessario quindi che Foreign Office ci dica in quale forma è avvenuto passo; come è stato giustificato e quale è atteggiamento tenuto dal Foreign Office. Grande clamore stampa anti-italiana rivela che "passo" fa parte di tutto un piano di agitazione contro Italia, ma appunto per questo è interessante conoscere atteggiamento del Foreign Office » (2).

6

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A TIRANA, BARBARICH

T. 15/3 R. Roma, 4 gennaio 1933, ore 24.

In relazione suo telegramma n. 2 (3) S. E. il ministro ha impartito ministro Koch che giungerà costì domani 5 corrente seguenti istruzioni: «Passo jugoslavo a Londra contro eventuale unione doganale itala-albanese pone in evidenza necessità che atteggiamento Governo albanese sia chiarito.

Trattasi di indagare se clamore e indiscrezioni non siano precisamente partiti da Tirana e se Governo albanese intende limitarsi a smentire semplicemente. Mussolini ».

(l) -T. 20/6 R. del 3 gennaio. (2) -T. 13/5 R. del 4 gennaio. (3) -Con t. 22/2 del 3 gennaio, ore 20,25, non pubbl!cato, Barbar!ch aveva rllerlto che Libohova gl! aveva comunicato di sua Iniziativa l telegrammi dell'Agenzia Havas circa la visita del ministro di Jugoslavia al Fo!.'eign Off!ce e circa l'unione doganale italo-albanese.
7

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO DESTINATO AD ADDIS ABEBA, VINCI

ISTRUZIONI (l). Roma, 4 gennaio 1933.

Suo principale compito giungendo ad Addis Abeba sarà quello di dissipare i sospetti che mi risulta regnino ora contro di noi in Etiopia. Ella deve far bene intendere all'Imperatore che il Governo italiano vuol fare una politica di amicizia con l'Etiopia: è del resto questa la verità. Pubblicazioni di giornali francesi e voci messe in giro ad arte hanno ingenerato sospetti che ora conviene far tacere. C'è qualcuno che ha potuto pensare ad una nostra azione: ora, è escluso che si possa comunque pensare ad un conflitto. Iniziativa non sarà mai mia. Potrei forse esservi costretto: nessuno vuole la guerra, ma bisogna essere in due. Si possono formare delle situazioni per cui un conflitto può essere necessario. Quando l'anno scorso un gruppo di 30.000 armati si affacciò alla frontiera della Somalia, mandai delle squadriglie di aeroplani e si parlava già «de bello ogadense >>. L'Italia non potrebbe fare a meno di difendersi. Ma, ripeto, se anche imprudentemente è stato parlato di nostre intenzioni offensive per occupare forse il Goggiam e il Tigrai (a parte che se si volesse realmente fare un colpo di sorpresa, non so, con forze aeree, condizione prima per la riuscita sarebbe di non parlarne) in realtà l'eventualità e la possibilità di tale azione sono da escludersi. E per varie ragioni: l'esercito non è preparato. Noi li batteremmo ora, ma il giuoco non vale la candela. Inoltre, la preoccupazione di complicazioni internazionali. Infine, lo sforzo finanziario che avrebbe conseguenze funeste per tutta l'economia italiana. C'è ora una preparazione militare dettagliata: ma la nostra preparazione tende ad uno scopo prettamente difensivo: è previsto anche un piano d'attacco, ma .in funzione difensiva. Sono del resto particolari tecnici che esorbitano dalla conversazione.

Dunque politica di pace e di amicizia con l'Etiopia. Ella dovrà anche curare che sia evitato il pericolo di un attacco abissino. Certo se pur sporadiche manifestazioni di irredentismo eritreo sono sintomatiche: è da tenerne conto, specialmente se si ha presente la politica di accentramento e di consolidamento che l'Imperatore è in corso di seguire. Bisogna evitare dunque complicazioni che potrebbero tenere occupata l'Italia in un momento in cui, come potrebbe presumersi, la crisi europea potrà giungere ad una sua soluzione. L'Italia dovrà essere allora presente in tutta efficienza sulla scena europea e non distratta, come qualcuno potrebbe avere interesse che fosse, in un settore lontano.

Qualche anno fa ho detto a Gasparini: cloroformizzare il centro e agire alla periferia per il disgregamento dell'impero etiopico. Ora la situazione è

cambiata: c'è ad Addis Abeba un'atmosfera di sospetti che occorre chiarificare, c'è la preoccupazione di non avere complicazioni in questo settore, c'è l'aumentata solidità dell'Impero, c'è stato l'ingresso dell'Etiopia nella Società delle Nazioni. Dico quindi a Lei: politica di amicizia con l'Etiopia. Lo faccia bene intendere all'Imperatore e ai suoi Ministri, è del resto la verità. Se vorranno qualche prova della nostra amicizia, gliele potremo dare: decorazioni, facilitazioni commerciali per le loro merci. Questo ad Addis Abeba. Dall'Eritrea, con moltissima prudenza e in determinate condizioni di tempo e di luogo, a seconda delle circostanze, in ogni modo con tutte le cautele, potrà eventualmente seguirsi un'azione su qualche capo ribelle. Ma la politica periferica ha dato finora risultati molto mediocri. Bisognerà essere cauti visto lo scopo che ci prefiggiamo per non destare nuovi sospetti nell'Imperatore e per non offrire il destro ai nostri avversari di esagerare le cose presso l'Imperatore stesso. È inutile del resto farsi illusioni: l'Imperatore sarebbe il primo informato. Lei poi in ogni modo dovrà sconfessare questa azione; non è possibile a lungo fare il doppio giuoco.

Non parli di accordo tripartito: ultimamente Theodoli riferì di un colloquio con De Caix. Non sono cose serie. (Su mia domanda circa la questione dello scambio Ogaden-sbocco al mare,

S. E. il Capo del Governo approva la proposta di procrastinare una risposta sul merito).

È escluso che possa accettarsi tale .proposta: l'Ogaden non vale nulla. Riportarsi alla esecuzione del trattato di amicizia: la zona franca nel porto di Assab. La strada Assab Dessié che siamo pronti a costruire. (Io risponderò che il Governo Italiano è perplesso dinanzi alla proposta, visto anche che il Governo etiopico non ha dato esecuzione agli accordi del '28, pur mostrando la difficoltà della cosa).

(l) Il documento fu redatto da VInci.

8

L'INCARICATO D'AFFARI A TIRANA, BARBARICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 43/4 R. Tirana, 5 gennaio 1933, ore 14,50 (per. ore 19,30). Mio telegramma 3 (l).

Libohova mi ha comunicato in via amichevole che il ministro di Albania a Belgrado ha telegrafato essere stato chiamato da Jeftic il quale gli ha detto che atteggiamento di resistenza del Re Zog e del Governo albanese verso recenti richieste italiane, era stato da lui pienamente approvato e che ammirava la fermezza e la volontà del Re nel patriottismo del quale Jeftic ripone la più grande fiducia.

Rauf Fitzo avrebbe risposto non essere al corrente di nulla ed ha chiesto istruzioni che n Re non ha ancora impartite.

(l) T. 33/3 R. del 4 gennaio, ore 21,45, non pubblicato.

9

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A TIRANA, KOCH

T. 19/4 R. Roma, 6 gennaio 1933, ore 1.

Appena ricevuto il presente si rechi dal presidente del consiglio e gli domandi se iniziativa passo presso Potenze (l) è di origine albanese come molti indizi fanno credere nel qual caso io dovrei constatare che il Governo albanese si è reso colpevole di un atto obliquo e contrario alle regole di lealtà e schiettezza che devono guidare i rapporti fra due paesi alleati. Parli chiaro e netto poiché tutto ciò non avvicina ma allontana la chiarificazione dei rapporti fra il Re e il sottoscritto, di cui si parlò recentemente a Roma.

Se Governo albanese non desidera unione doganale lo deve far sapere in primo luogo a noi che in tale unione abbiamo un interesse infinitamente minore di quello albanese tanto che recentemente avevamo dichiarato di non insistere.

Evidentemente Albania tende a dimenticare le proporzioni.

Con suo contegno subdolo mentre Albania non si è portata dirittamente con noi, ha allarmato inutilmente il mondo e creato complicazioni e commenti che si potevano e dovevano evitare.

Di tutto ciò -di questa nuova prova della doppiezza della politica albanese -dovrò tenere e terrò debito conto. Autorizzo V. S. a leggere un sunto di questo mio telegramma e a riferirmi subito. Aggiunga che l'Italia non farà smentite di nessuna specie.

10

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BUCAREST, PREZIOSI

T. 24/5 R. Roma, 6 gennaio 1933, ore 23.

Conversazioni con Ghika sono continuate in questi giorni senza portare nuovi elementi. Governo romeno ha finito per desistere rinnovamento patto per lungo periodo e ha accettato lasciar cadere lettere.

Ha chiesto da ultimo che patto si prorogasse fino fine anno. Si è rimasti d'accordo di prorogare patto senza lettere e per sei mesi (precisamente fino 18 luglio 1933). Scambio note in proposito avverrà domani. Trasmettole a parte comunicato che sarà pubblicato in proposito (2).

6 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XIII

(l) -Per sentire 11 loro avviso circa 11 progetto di unione doganale !taio-albanese, come si r11eva dal t. 71/C. R. del 13 gennaio indirizzato alle principali sedi diplomatiche europee e a Washington. (2) -Suvich avverti Colonna con t. 25/4 R., pari data, che 11 ministro d'Ungheria a Roma era stato informato della proroga del patto italo-romeno.
11

IL MINISTRO A TIRANA, KOCH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 74/7 R. Tirana, 7 gennaio 1933, ore 0,10 (per. ore 7).

Considerazioni di cui al telegramma di V. E. n. 4 (l) sono state da me esposte in precedenza al Re Zog (in relazione a istruzioni impartitemi con telegramma n. 3) (2) col quale ho creduto necessario intrattenermi subito della cosa parlandogli con amichevole ma dura franchezza.

Il Re mi ha detto -esprimendomi la fiducia che R. Governo non vorrà mettere in dubbio la lealtà delle sue dichiarazioni:

l. -Che egli ignora assolutamente quale sia la vera paternità delle notizie divulgate dall'Havas, pur non dubitando che debba attribuirsi a Jugoslavia;

2. --Che non esclude che essa possa essere di origine albanese; sia dovuta cioè a elementi che nel paese e particolarmente fuori manovrano in senso contrario agli interessi dell'alleanza, a servizio di terze Potenze; 3. --Che egli è pronto a prendere tutte le misure del caso contro gli autori e propalatori di tali notizie, se effettivamente albanesi, identificabili é raggiungibili; 4. --Che farà diffondere subito dall'ufficio stampa albanese un comunicato per far conoscere il pensiero del Governo circa tendenziosità di tali notizie; 5. --Che Governo di Tirana non ha fatto passi di nessun genere presso altre Potenze: 6. --Che tutti i rappresentanti esteri qui accreditati, compreso jugoslavo, si sono però recati da lui per domandargli notizie su voci sparse e avere egli risposto che presentandosi ormai necessità stipulare nuovo accordo commerciale con l'Italia, Governo albanese desidera che nuova intesa sia tale da dare più sicuri sbocchi alla produzione del paese che subisce grave crisi, non esclusa eventuale forma dell'unione doganale. Ministro di Jugoslavia avendo rilevato inconveniente che presenta tale unione, il Re mi ha detto avergli risposto che inconvenienti maggiori sarebbero per l'Italia e che se Albania si decidesse addivenire ad accordo del genere troverebbe probabilmente resistenza da parte Roma. Non so quanto sincere possano essere le parole del Re ma è comunque mia impressione che non debba attribuirsi al Re provenienza di tali notizie e ciò riferendomi anche alle chiare dichiarazioni da me fattegli mese scorso

lO

su tale materia. Completerò passo fatto di cui è cenno al numero 4 nel senso per quanto è possibile più reciso, subordinando a tale pubblicazione ogni ulteriore eventuale azione.

(l) -Cfr. n. 9. (2) -Cfr. n. 8.
12

RIUNIONE PREPARATORIA PER LA CONFERENZA DEL DISARMO

VERBALE. Roma, 7 gennaio 1933.

Stamane alle ore 10,30 si è tenuta presso S. E. Aloisi una riunione preparatoria in vista della ripresa delle discussioni sul disarmo a Ginevra. Vi hanno partecipato oltre S. E. Aloisi, i Ministri Biancheri, Buti e Soragna; i colonnelli Giglioli e Bianchi per la Guerra; i comandanti Ruspoli e Maroni per la Marina ed il colonnello Marchesi per l'Aeronautica.

S. E. Aloisi prospetta lo scopo della riunione: poiché è possibile che i francesi richiedano che ognuno dichiari la propria posizione di fronte al progetto Herriot, è necessario stabilire di comune accordo quale dovrà essere la nostra presa di posizione nelle singole questioni politico-tecniche.

Il Ministro Soragna espone per somme linee il progetto francese.

Il colonnello Giglioli ne legge un sunto fatto dallo Stato Maggiore per il Capo del Governo da cui risulta essere il progetto francese una nuova edizione degli antichi tentativi. Esso mira al mantenimento della attuale supremazia militare francese mediante il trucco della sua messa a disposizione della S. N.

Il Ministro Buti chiarisce che nelle sue linee essenziali l'attuale progetto è identico ai precedenti, e solo ne differisce per una sua maggiore elasticità.

Data questa attenuazione e dato il momento politico internazionale, oggi per noi il quesito fondamentale è quello di vedere se non convenga, piuttosto che assumere senz'altro un atteggiamento di brusca opposizione, ménager la situazione e trattare allo scopo di sboccare in una di quelle formule vaghe che, mentre seppelliscono il progetto, non urtano tuttavia la suscettibilità di chi lo propone.

S. E. Aloisi è d'accordo. Bisognerà quindi usare la tattica di tenersi possibilmente sempre sulle generali. Intanto egli propone che in una riunione ristretta a cui partecipino un rappresentante per ogni Ministero, si combini un prospettino schematico delle principali questioni tecnico-politiche affinché egli possa presentarlo a S. E. il Capo del Governo e ricevere da Lui su di ognuna di esse le istruzioni che determinino la presa di posizione della Delegazione Italiana e servano anche di norma di linguaggio dei vari membri della Delegazione nella loro attività isolata in Commissioni speciali {l).

(l) Il 13 gennaio Aloisi trasmise a Mussollni le considerazioni fatte degli esperti milltan sul piano francese di sicurezza e disarmo mettendo in rilievo «che le osservazioni sono basate più che sulla lettera del Piano Francese (il quale rimane sempre nel vago e cerca, d'altra parte,d\ salvare le apparenze dell'equità), sulla tendenza ben nota al predominio, nei vari campi militari, che i nostri esperti attribuiscono al compilatori mllltarl francesi del Piano :t. Un primo esame del progetto francese era stato fatto da Rosso. Cfr. serie VII, vol XII, n. 434.

13

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 7 gennaio 1933.

Un mio amico mi ha riferito seguenti giudizi del Cardinale Pacelli sulla situazione attuale in Germania:

l) Schleicher è malato e può finire da un momento all'altro.

2) Hitler ha reso un gran servigio alla Germania perché ha permesso un governo forte, ma egli si è liquidato personalmente.

3) Non è escluso che lo vogliano liquidare definitivamente chiamandolo al potere.

4) La Germania ha capito di aver messo troppa carne al fuoco e di doverla smaltire prima di procedere oltre. La prima sua mossa sarà quella di tastare la questione della parità militare con la Francia cercando di conseguire il diritto a quella categoria di armi che oggi le è negato. Per il momento si contenterà di questo obiettivo, rimandando la questione del corridoio polacco. Non lascerà però dormire la questione delle colonie.

14.

IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

N. s. 40153. Roma, 7 gennaio 1933.

Ho avuto in comunicazione i rapporti del Console Campini colla lettera della R. legazione di Addis Abeba n. 828/564 del 15 novembre scorso (1), inviata anche a codesto Ministero.

Sono lieto di rilevare che le nostre autorità consolari in Etiopia hanno potuto controllare il favorevole stato d'animo ai nostri riguardi delle popolazioni dell'Ogaden, frutto di una politica costante di interessamento e di giustizia svolta dal Governo della Somalia. E sono lieto anche di constatare che le conclusioni cui giunge il Console Campini sono identiche a quelle cui si è arrivati durante lo scambio di idee intervenuto sotto la mia presidenza presso questo Ministero.

Anche le notizie giunte di recente dalla Somalia confermano la notevole attività del Governo etiopico diretta a consolidare il suo dominio nelle regioni del sud, una volta lasciate interamente in balia di sé stesse e della nostra penetrazione. Il Governo abissino però deve lottare contro due ordini di difficoltà: !0 ) quelle naturali, per cui, nonostante la costruzione di strade e la siste

rnazione di alcune località importanti, non gli riuscirà agevole di mantenere i presidi nella forza voluta. L'intendimento, ad esempio, di rinforzare i presidi indicati nella lettera della R. Legazione con cinquecento uomini ciascuno è, a detta anche del Segretario Generale della SomaHa, qui in congedo, irrealizzabile nella presente situazione. Il0 ) le difficoltà derivanti dalla ostilità delle popolazioni che ricordano le razzie di un tempo, le malversazioni e le angherie dei capi abissini e dei soldati, la crudeltà dei metodi di governo, il nessun interessamento al benessere delle genti ed al mantenimento fra di loro della concordia e dell'ordine con una savia amministrazione della giustizia.

Confrontando tutto ciò coll'azione benefica del nostro Governo in Somalia le popolazioni non possono non riporre tutte le loro speranze in noi.

Anche di recente i capi d'oltre confine hanno fatto sapere che intenderebbero di ribellarsi al giogo abissino e che confidano nel nostro aiuto. Basterebbe forse un semplice incoraggiamento perché la ribellione si diffondesse in tutto l'Ogaden. Ma sarebbe utile per noi che ciò avvenisse? Questo è il punto che conviene considerare. L'Ogaden non è che una parte del sud etiopico, la meno ricca e la meno popolata. La ribellione isolata di questa regione sarebbe facilmente repressa e noi in tal caso avremmo inutilmente e forse irrimediabilmente compromesso, colle sorti di una popolazione amica, una delle migliori possibilità del nostro gioco. Un movimento nell'Ogaden non potrebbe sostenersi se non in relazione ad un movimento generale di ribellione nel sud nonché in altre regioni, come nel Goggiam, e possibilmente ad un rincrudimento del brigantaggio nelle regioni del nord. Solo in tal caso, infatti, la minaccia potrebbe essere seria per il Negus, e le popolazioni ribelli col nostro aiuto potrebbero aspirare a scuotere il giogo abissino.

Ma tali condizioni, bisogna riconoscere, non sono realizzabili allo stato delle cose, per cui è nostro interesse, a mio parere, di attenerci alla seguente linea di condotta. Continuare negli ottimi rapporti oggi esistenti coi capi dell'Ogaden, sovvenzionandoli di tanto in tanto ed incoraggiandoli ad essere a noi fedeli ed ostili agli abissini, senza però compromettere né loro stessi né noi. Bisognerà dire che il momento non è favorevole e che è il caso di attendere con pazienza, tollerando l'attuale c;ituazione in modo da non provocare reazioni abissine. Qualora, contro il nostro volere e nonostante l'azione suesposta, scoppiasse qualche movimento contro gli abissini, in tal caso il nostro aiuto non dovrebbe mancare, ma dovrebbe essere concesso in forma da non scoprirei. Quando poi le popolazioni ci chiedessero rifugio nel nostro territorio, ci converrebbe di accoglierle, come si è fatto in passato, e di assegnare loro un territorio di pascolo entro i nostri confini, dopo ben inteso di averle disarmate.

Prego di farmi conoscere se i concetti suespressi siano condivisi da codesto Ministero poiché in tal caso io impartirei al Governatore della Somalia analoghe direttive.

L'azione da svolgere, prudente ed accorta come in passato, richiederà certamente delle spese per le sovvenzioni ai capi, n servizio di informazioni, gli aiuti da dare e perché bisogna tendere ad allargare la nostra influenza in tutto il sud etiopico. Poiché nella riunione tenutasi presso questo Ministero (l)

si era avvisato ad un piano organico politico da svolgere a questo fine in tutto il territorio etiopico e si era anche avvisato ai mezzi necessari da concedere ai due Governi della Somalia e dell'Eritrea per questo scopo, riterrei giunto il momento ormai di adottare concrete determinazioni. Resto pertanto in attesa di sapere quali siano in proposito gli intendimenti di codesto Ministero.

(l) Non pubbllcato.

(l) Cfr. serie VII, vol. XII, n. 393.

15

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 103/3 R. Vienna, 8 gennaio 1933, ore 14 (per. ore 20).

Odierno telegramma Stetani Speciale inviato per informazioni (1).

In questo dipartimento degli esteri mi si dice che notizia Arbeiter Zeitung era già conosciuta da qualche giorno dal giornale il quale si è deciso oggi alla pubbhl.cazione, avendo saputo che domani mattina Sonntag und Montagblatt giornaletto democratico avanzato, avrebbe dato notizia a grandi caratteri e con consueti commenti sensazionali. Tale riserbo Arbeiter Zeitung si spiega, secondo Dipartimento, con l'asserire che fabbriche Hirtenberg avrebbero ottenuto preventivo consenso socialisti per lavori durante tutto quest'anno per conto Ungheria in seguito a tale accordo avrebbero assunto 1200 operai di cui parte lavorerebbero a Hirtenberg stesso e parte Steyer.

Ufficio stampa dipartimento si adopererà per cercare evitare che giornali domani diano troppa importanza alla cosa.

Cancelliere assente da Vienna tornerà domani mattina.

Ritelegraferò dopo aver saputo da lui quale linea di condotta intenda seguire (2).

Non è ad ogni modo da escludere che nelle discussioni parlamentari di martedì sul bilancio preventivo dell'Interno vi sia qualche interrogazione socialista.

16

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 120/5 R. Vienna, 9 gennaio 1933, ore 20 (per. ore 22,30).

Il cancelliere mi ha pregato telefonare a V. E. quanto segue. Data riservatezza argomento preferisco telegrafare malgrado urgenza. Dolfuss intende basare la sua linea di condotta sui punti seguenti:

1°) L'Italia guida l'eventuale azione politica comune nel campo internazionale;

2°) Il trattato di pace non vieta esecuzione di riparazione di armi specie per conto di uno degli Stati vincitori.

3°) La concessione del permesso di transito dipende dalla libera volontà dell'Austria.

4°) Le armi appartengono all'Italia.

5°) Le armi sono state inviate per essere scomposte e ricomposte valendosi delle parti utilizzabili riparate e pulite. Le armi sono state spedite dallo Stato italiano (ripeto dallo Stato italiano) con dichiarazioni esatte e trattate come tali alla frontiera austriaca nei riguardi delle tariffe doganali: la dichiarazione è stata mutata da un organo austriaco per ragioni di sicurezza e ciò a fine di evitare eventuali inquietudini nella popolazione.

Il presente telegramma continua con il numero di protocollo successivo (1),

(l) -Non si pubblica: preteso transito attraverso l'Austria di armi destinate dall'Italia all'Ungheria. (2) -Cfr. nn. 16 e 17.
17

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 123/6 R. Vienna, 9 gennaio 1933, ore 22 (per. ore 5,50 del 10).

7°) Ufficio principale dogane di Vienna ha naturalmente accordato permesso per introduzione temporanea affinché potessero venire eseguite riparazioni occorrenti e non ne ha prevenuto cancelleria federale non considerando ciò necessario dato quanto precede. Permesso è stato concesso anche in considerazione della disoccupazione austriaca.

8°) Governo austriaco non crede avere diritto di sequestrare le armi.

9°) Se venissero sollevate obiezioni nel campo della politica internazionale esse dovrebbero essere rivolte all'Italia. Entro i limiti di tale idea il Cancelliere risponderà domani mattina in Parlamento e chiederà sapere in tempo se V. E. abbia nulla da aggiungere, togliere

o modificare all'enunciazione più sopra fatta dei principi stessi. Tali principi

dovrebbero guidare anche la linea di condotta del Governo ungherese. Nemmeno cancelliere si mostra molto preoccupato dell'incidente.

{l) Cfr. n. 17

18

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A TIRANA, KOCH

T. 38/5 R. Roma, 9 gennaio 1933, ore 24.

Considero soddisfacenti spiegazioni date dal Re Zog (1) e dal comunicato diramato e considero chiuso l'incidente determinato dal passo jugoslavo a Londra. Fra qualche tempo bisognerà definire rapporti commerciali itala-albanesi.

19

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 161/13 R. Parigi, 9 gennaio 1933 (per. il 13).

Il senatore de Jouvenel mi aveva fatto chiedere un incontro l'indomani della sua nomina all'ambasciata di Roma. Non potei riceverlo per un attacco d'influenza che mi ha tenuto a letto alcuni giorni. L'ho visto stasera. Gli ho detto che la sua destinazione a Roma era stata accolta con molto favore in Italia; esprimendogli nello stesso tempo il rammarico per il suo proposito di non prolungare, oltre i sei mesi, la sua missione. Mi ha informato che non intende lasciare la vita politica. D'altra parte se entrasse nella carriera diplomatica -cosi egli dice -la sua missione cambierebbe d'aspetto e cesserebbe di avere lo spiccato carattere politico ch'egli desidera che abbia per i vantaggi che si ripromette di conseguirne. Non ricerca un successo personale. Sa che il riavvicinamento di Francia e Italia è cosa difficile, che richiede un paziente lavoro ch'egli si propone di proseguire a Parigi, finita che sia la sua missione romana.

Ci siamo intrattenuti a lungo dell'agitazione politica promossa, di questi giorni, dalla Jugoslavia, assecondata dalla Piccola Intesa. L'eventualità di un riavvicinamento franco-italiano ha turbato la Piccola Intesa. Ci siamo trovati d'accordo nel constatare che, questa volta, l'opinione pubblica francese non si è lasciata fuorviare dalla montatura inscenata dalla Piccola Intesa. Il senatore de Jouvenel assicura che, in Francia, v'è una diffusa, ferma volontà di giungere a una chiarificazione con l'Italia e che si crede da molti che si possa e debba arrivare presto a una conclusione. Il senatore ha detto di rendersi conto della vastità e della complessità dei problemi franco-italiani da considerare, e che

l'accordo potrà scaturire solo da un esame d'insieme della situazione politica europea e delle possibilità di un'intesa generale. Il discorso è in seguito caduto sullo scacchiere danubiano-balcanico. Il senatore de Jouvenel mi ha chiesto se l'Italia aveva precise domande da formulare. Ho risposto che era appena di ritorno da Roma il senatore Bérenger il quale, se pure non era stato investito di una missione ufficiale, aveva, però, compiuto il viaggio d'accordo col presidente del Consiglio al quale aveva poi riferito per esteso l'esito dei colloqui. Roma aveva, dunque, parlato. Spettava a Parigi, se mai, di formulare delle precisioni. D'altra parte era intuitivo che l'Italia attribuisse un particolare interesse alla situazione dell'Europa centro-balcanica, anche in relazione agli atteggiamenti di sfida che assumeva, con tanta frequenza, la Jugoslavia la quale disponeva di un largo credito presso le banche francesi che impiegava in armamenti altrettanto minacciosi quanto ingiustificati. Il neo-ambasciatore ha voluto attribuire la responsabilità di questa situazione all'industria pesante francese, ma dal suo imbarazzo nel rispondermi, si capiva era egli stesso poco persuaso di quel che diceva. Non ho insistito oltre su questo argomento scottante, anche perché il mio interlocutore, continuando il suo dire ha dichiarato che egli non vedeva difficoltà sostanziali a che l'Italia sviluppasse la sua influenza nei Balcani.

Il signor de Jouvenel prevede il ritorno di Herriot, al potere, prima della fine della sua missione semestrale. Mi ha detto che Herriot è sensibile, anzi suscettibile «come una donna » e che fa d'uopo tenere conto di questa sua particolarità. Il senatore ha aggiunto, su questo tema, altri particolari e mi ha confidato che Herriot si è mostrato assai riservato con lui negli ultimi giorni e non l'ha felicitato per la nomina a Roma. Il neo-ambasciatore vorrebbe non dimostrarsi preoccupato della freddezza dell'ex-presidente del consiglio, ma di fatto ne è assai seccato.

Il senatore de Jouvenel conta partire per Roma il 21 di questo mese. Lo vedrò ancora. Sembra che non possa esservi dubbio sulla sua intenzione di non abbandonare il seggio al Senato. La sua missione non andrà oltre i sei mesi. Il nuovo ambasciatore gode intera la fiducia dell'attuale presidente del consiglio, ma il ministero Paul Boncour non avrà, a quel che pare, lunga durata; potrebbe cadere fra una settimana. La posizione del signor de Jouvenel rimarrebbe, tuttavia, abbastanza solida anche con un nuovo Gabinetto. Egli è membro della commissione degli esteri del Senato, della quale è presidente il senatore Bérenger. Il Senato ha un peso reale nella vita politico-parlamentare francese; non di rado esso occasiona crisi di Gabinetto e può anche, in determinate circostanze, provocare lo scioglimento della Camera dei deputati. Il fatto che l'ambasciatore de Jouvenel appartiene alla commissione degli esteri del Senato e ne interpreta le direttive politiche chiaramente e ripetutamente manifestate in favore di un riavvicinamento all'Italia, dà un indubitabile valore alla sua azione, indipendentemente dalla presenza al Governo di questo o quell'uomo politico. La figura dell'ambasciatore potrebbe assumere un'importanza anche maggiore se dalle parole si passasse ai fatti.

Non vedo fra le personalità politiche che potranno assumere il governo della Francia nei prossimi mesi, nessuno, ad eccezione forse di Caillaux, che abbia autorità e coraggio per concretare un riavvicinamento itala-francese, a meno che nel periodo agitato al quale la Francia va probabilmente incontro sorga l'uomo nuovo che eserciti il potere all'infuori del Parlamento. Bisogna, dunque, tener conto dell'influenza determinante che può avere il Senato nell'eventualità che le conversazioni che il nuovo ambasciatore provocherà si svolgano in un ambiente favorevole e si avviino a una fase risolutiva. Sarà allora la commissione degli esteri del Senato che accrediterà negli ambienti parlamentari e nel paese la delicata azione del Governo del momento. Ed ecco perché il signor de Jouvenel, ambasciatore per sei mesi, nominato da un Gabinetto che non ha credito politico, non ben visto dal signor Herriot, presidente del Consiglio di domani, potrà avere, ciononostante, una funzione importante da svolgere per l'autorità che gli viene dal fatto di essere membro della commissione degli esteri del Senato

(l) Cfr. n. 11.

20

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL CAPO GABINETTO, ALOISI

APPUNTO. Roma, 9 gennaio 1933.

In occasione della visita del Conte Szembeck la Direzione Generale Affari Politici ritiene opportuno di sottoporre a V. E. un breve riassunto della situazione politica nei riguardi della Polonia.

Il R. Ambasciatore a Varsavia, nell'annunciare la visita del Conte Szembeck, informava del desiderio del Ministro Beck che egli potesse venire a Roma prima della riapertura dei lavori di Ginevra. r quindi presumibile che egli vorrà parlare anzitutto di disarmo e di sicurezza.

Disarmo. È noto il nervosismo con cui la Polonia ha accolto il comunicato di Ginevra circa la «parità di diritto». È parimenti noto con quanto sospetto la Polonia segua la tendenza di risolvere le questioni relative al disarmo a mezzo di riunioni a cinque, e ciò per due ragioni:

l) il timore che nelle riunioni a cinque gli interessi della Polonia possano essere sacrificati;

2) l'ambizione della Polonia di essere considerata grande Potenza ed il suo risentimento di vedersi così messa fuori del loro consesso.

Sicurezza. L'atteggiamento assunto dalla Germania in occasione degli Accordi di Locarno nei riguardi delle frontiere orientali ha trovato un nuovo sviluppo nelle recenti dichiarazioni di Neurath -qualora cioè sotto la veste di sicurezza si volesse richiedere alla Germania l'accettazione e la garanzia delle sue frontiere orientali, la Germania avrebbe formalmente sollevata la questione della revisione delle frontiere stesse.

I consigli prodigati alla Polonia dalla Francia nel senso di rinuncia al Corridoio, da parte di uomini politici (il Signor Pierre Cot) o di giornalisti (il signor D'Ormesson) non sono certo fatti per calmare il nervosismo polacco.

La politica estera della Polonia è oggi dominata dalla questione del revisionismo che essa naturalmente cons·idera come il peggior disastro che le possa capitare. L'alleanza con la Francia viene appunto considerata in Polonia in funzione di «antirevisionismo '> e le tendenze che oggi cominciano a manifestarsi in Francia, favorevoli ad una revisione dei Trattati, mettono Varsavia in forte disagio e la spingono a sondare, se possibile, altre vie di garanzia dello statu quo. È sotto questo punto di vista che vanno considerate le tendenze recentemente accentuatesi in Polonia per un riavvicinamento alla Piccola Intesa e le conseguenti manifestazioni di amicizia polacco-cecoslovacca e polaccojugoslava.

Non è evidentemente il caso di drammatizzare le manifestazioni in questione. Per la Polonia esistono due grandi problemi: le sue relazioni con l'URSS, e le sue relazioni con la Germania. Se questi problemi possono creare dei punti di contatto con la Romania e la Cecoslovacchia, rispettivamente, essi restano tuttavia di tale mole che la Polonia non può certo prendere sulle sue spalle anche il peso dei problemi danubiani e balcanici che costituiscono invece l'interesse prevalente della Piccola Intesa.

Potrebbe tuttavia essere opportuno attirare l'attenzione del Conte Szembeck sulle recenti manifestazioni jugoslavofile della stampa polacca, particolarmente in occasione degli incidenti di Traù, mettendo invece in rilievo l'atteggiamento dell'Italia che, unica fra le Potenze europee, finora non ha mai dato «consigli '> alla Polonia circa la questione del Corridoio.

Si potrebbe chiedere al Conte Szembeck qualche maggiore chiarimento circa gli sviluppi che il Governo polacco intende dare alla sua politica verso l'URSS, dopo la recente firma del Patto di amicizia.

Si potrebbe pure chiedere al Conte Szembeck di chiarire il pensiero del Governo polacco circa le sue relazioni con la Germania. Al riguardo, in un colloquio avuto dal Sottosegretario di Stato col Conte Vannutelli, il Colonnello Beck gli aveva accennato, senza entrare in maggiori particolari, a progetti suoi che, se accettati, avrebbero forse potuto mettere le relazioni fra i due paesi su basi migliori.

Analoghi chiarimenti potrebbero essere richiesti per quanto concerne le previsioni sulle relazioni fra la Polonia e la Lituania.

Non è escluso che il Conte Szembeck possa tener parola anche della questione del prestito polacco 1924. Com'è noto, il Governo polacco aveva richiesto di potere far fronte al servizio del prestito per il 1933, prelevando le somme all'uopo necessarie, dal fondo di garanzia depositato in Italia. La richiesta polacca, sebbene avesse incontrato, in linea di massima, il benevolo interessamento di S. E. il Capo del Governo, non fu potuta accogliere per l'oposizione del Ministero delle Finanze, basata su effettive difficoltà di ordine tecnico.

21

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. RR. 2. Belgrado, 9 gennaio 1933

In conformità alle istruzioni ricevute {l) non mi è stato difficile tornare nel colloquio avuto oggi con Jeftich sulla frase che egli mi disse il 22 dicembre scorso (2).

Egli ha cominciato con l'esprimere il dubbio dì potermì rispondere perché estremamente delicato e difficile il farlo: sì è poi deciso ad iniziare qualche chiarimento dopo mia formale assicurazione che ciò era solo ed unicamente per mia direttiva e conoscenza personale.

La sua esposizione è stata fatta con tono di estrema gravità e decisione. Ha sorriso ad ogni mia replica e tentativo di obiezione, mostrando incredulità. E malgrado i miei incoraggiamenti egli è stato indubbiamente reticente.

Espongo l'essenziale della sua risposta, le mie repliche, alcuni scambi di frasi.

Jeftìch: «Penso che ci siamo torturati per lunghe ore per trovare una formula che componesse gli interessi dei nostri due Paesi. Vi abbiamo messo sincerità e passione grandissima, desiderosi dì arrivare non ad una intesa che è poca cosa, ma alla formazione dì una unica entità politica ed economica come non ve ne sono ancora in Europa. In nessun Paese d'Europa voi potevate trovare come da noi la profonda buona volontà dì intero e durevole accordo. Re Alessandro ha esposto anche la sua personalità e la sua responsabilità. Io sono stato a Roma a trattare alla insaputa dì Marìnkovìch, e tutto è stato tentato e fatto da noi per arrivare ad una conclusione. Credevamo dì essere alla buona vigilia dì essa. E per il beneficio che ci avrebbe recato ed i vantaggi sicuri che la Jugoslavia ne avrebbe tratto, eravamo disposti anche a qualche sacrificio del nostro amor proprio. Eravamo talvolta sorpresi per inesplicabili rinvii e curiose lungaggini nelle trattative, ma in sostanza credevamo sempre alla possibilità di concludere.

Ha poi pronunciato la seguente frase testuale: "Peut etre on y arrivera quand mem.e, après un détour tragique. Et nous prenons nos mesures".

Si è dopo tale frase svolto Il seguente colloquio che riferisco quasi stenograficamente:

Io -Signor Ministro! (ridendo francamente) non posso davvero seguirvi su questa linea.

Fin che si tratta di rimpiangere che l nostri colloqui non abbiano avuto conclusione, possiamo anche essere d'accordo, per quanto se voi aveste ceduto un poco sulla questione albanese forse la conclusione vi sarebbe stata. Ma pensare ad un possibile avvenimento tragico, mai e poi mal. Queste sono follie e fantasie che non possono venire in menti sane. Se fondate tale supposizione sulle invenzioni di Stecd, sulle voci di certa stampa abbietta che Inventa convegni militari italo-bulgaro-ungheresi a Sofia e Budapest, se credete ad accordi segreti militari italoungheresl etc. etc. allora le vostre basi sono ben fragili. Che dovremmo dire noi allora delle vostre effettive riunioni militari? del vostri effettivi preparativi e della reale politica militare vostra?

Jeftich -Io mi baso su fatti precisi.

Io -Quali? Ditemeli.

Jeftlch -Non posso adesso (e dopo mie nuove lnslstenze e ~enegazloni sue) debbo

prima verificarli. Io -Oh! allora se dovete prima verificare l fatti aspettate l'esito prima d! avanzare ipotesi cosi gravi e cosi catastrofiche che mi ribellano>).

La conclusione è invece mancata. ~>Jon solo. Ma dal giorno in cui la difficoltà prima, la impossibilità poi di accordarci è apparsa chiara, si sono prodotti una serie di fatti ininterrotti che ci convincono che l'Italia persegue finalità interamente opposte a quelle che sembrava desiderare quando trattava per l'accordo. E dobbiamo perciò prendere le nostre misure. Con ciò non intendo esprimere nessuna minaccia, ma guardare e calcolare freddamente la situazione per non trovarci impreparati a tutti i possibili eventi. Non voglio credere a nessuna eventualità estrema, ma è nostro dovere sapere come dovremo difenderci se essa si presenterà».

Io: «Ma quali sono questi benedetti fatti sui quali basate così oscure previsioni? Io esaminando la situazione obiettivamente, astraendo quasi dalla mia qualità di italiano e ponendomi su un terreno esterno ai nostri due paesi non riesco a vederli, se non nelle fantasie e nelle invenzioni di menti torbide e malate di politicastri e di giornalistoidi ».

Jeftich: «Ve li dirò. Le vostre fortificazioni al nostro confine ed a Zara. Tutta la vostra frontiera verso dì noi sì riempie di cannoni, tutte le vostre vie sono disposte per rapidi movimenti di truppe lanciate al nostro attacco; Zara è fortificata, la vostra attività militare in Albania è senza tregua.

Inoltre abbiamo saputo da molte personalità straniere che hanno partecipato al Convegno Volta che i vostri circoli dirigenti e responsabili hanno una idea singolare della situazione interna della Jugoslavia e credono al suo smembramento che sarà di profitto all'Italia. Quindi lo favoriscono, e guardano di buon occhio alle difficoltà interne che indubbiamente esistono, ma sono meno gravi di quanto credete. Agognano pertanto la nostra fine, e sperano di approfittarne in ogni possibile modo anche allargando il possesso territoriale dalmatico.

Balbo è stato a Berlino. Ha espresso sul nostro conto e sui disegni militari italiani contro di noi dei propositi molto precisi e minacciosi.

L'Italia è a capo del movimento revisionista. Questo mira a modificare le nostre frontiere, a toglierei quello che il sacrificio di molte centinaia di migliaia di uomini ci ha procurato. E dalla autorità dell'Italia i popoli a noi nemici si sentono incoraggiati.

Così pure le poche fazioni interne che sono contro la Jugoslavia si sentono incoraggiate dal vostro atteggiamento. Ma non fatevi illusioni. Queste fazioni speculano sulla minaccia contro di noi che può venire dallo sperato appoggio che loro viene dall'Italia, ma non amano l'Italia e non sono disposte ad alcun sacrificio per essa. Vogliono solo farsi pagare più caro l'accordo con noi. Mentre la Jugoslavia, o meglio i serbi che sanno cosa è la vita di uno stato e quello che sono le necessità dello stato, furono e sono sempre pronti al sacrificio per il maggior bene che può venire alla Jugoslavia intera da una sicura intesa con voi.

Che dire della vostra stampa? in uno stesso giorno Giornale d'Italia, Corriere della Sera e Stampa hanno pubblicato tre o quattro colonne dove il nostro paese è dipinto con i colori più foschi e tragici. Cosi ogni giorno. Ciò non si fa se non quando si voglia un fine prossimo ed immediato che non può essere che a noi ostile.

Da tutto questo si va progressivamente formando nell'opinione pubblica la dolorosa convinzione che non è possibile regolare con i mezzi pacifici le questioni fra Italia e Jugoslavia, e che è perciò forse fatale che tale regolamento non possa venire che da mezzi estremi anche militari, anche di guerra.

Ed io ho paura che se questa atmosfera duri, noi ci troveremo davvero in una situazione senza uscita. Per evitarla occorrerebbe una pronta, chiara ed inequivoca spiegazione. Se no, noi dobbiamo pensare al peggio e prepararci per questo peggio. Questo vuol dire la mia frase, essa non intende minacciare, ma solo esprimere un gravissimo e tormentoso dubbio, ed una dolorosa ipotesi.

Uno dei giorni più tristi della mia vita è stato quando il Signor Mussolini ha pronunciato il suo discorso per i fatti di Traù. Come parlare di una Jugoslavia che vuol aggredire? noi non vogliamo aggredire nessuno, noi vogliamo soltanto conservare quello che la guerra ci ha dato, e non abbiamo nulla di più da guadagnare. E perché aggredire se eravamo sinceramente pronti ieri a modificare profondamente le nostre direttive politiche per accordarci con voi e poter disarmare e dedicare tutte le nostre forze al risanamento interno ed alla messa in valore delle nostre ricchezze, con nostro beneficio certo, ma anche con vostro poiché avremmo voluto costituire un solo mercato del quale unicamente la vostra industria avrebbe tratto profitto».

Ho replicato principalmente così: «Le fortificazioni? ma ogni fortificazione è difesa, non attacco. Tutti i caporali lo sanno. Le fortificazioni di Zar a? ma conoscete voi il territorio di Zar a? lo avete visto? sapete che da due anni sono cominciati dei trinceramenti e dei lavori di attacco da parte jugoslava contro Zara e che le guarnigioni jugoslave si sono colà aumentate? Fortificazioni? Ma il nostro Stato Maggiore ne costruisce lungo tutta la nostra frontiera, anche verso la Svizzera. Non per questo la Svizzera crede che vogliamo dichiararle la guerra ed invaderla. Egli è che voi guardate con occhi sospettosi tutto quello che succede da noi come se fosse rivolto sempre contro di voi. Per esempio: guardate le nostre colonie scolastiche estive? ne partono da molti luoghi che presentano per noi un delicato problema politico: dalla Tunisia e da Malta, dalla Corsica e da Marsiglia. Non avvengono incidenti di sorta. Ma si ripetono invece regolarmente ogni estate a Veglia ed in Dalmazia, dove, proprio per riguardo a voi, non si sono neppure costituiti i Fasci che abbiamo creato in tutto il mondo. Non so cosa abbiano riportato le persone «autorevoli» che sono state al Convegno Volta. So che S. E. Nincich fu ricevuto da S. E. Mussolini e ne ha sentito, con frasi di sincera simpatia per il vostro Sovrano, sentimenti di amicizia per la Jugoslavia. Se Franges lo avesse chiesto S. E. Mussolini lo avrebbe anche ricevuto e questo croato aderente al Regime vi avrebbe detto anche meglio questo che è per la Jugoslavia il pensiero di S. E. il Capo del Governo, che è il solo che conti. Non ricordo di viaggi di S. E. Balbo a Berlino. Ad ogni modo se vi è stato era, suppongo, per ragioni di aviazione o private, non per ragioni politiche. Il movimento revisionista? ma la prima potenza revisionista è la Francia ed è proprio in Cecoslovacchia che Masaryk si è dichiarato più volte disposto a regolare le questioni con l'Ungheria rivedendo i confini di Trianon. Sì certo la politica di S. E. Mussolini è per il revisionismo ma in quanto questo può

evitare la guerra, non per la guerra aL scopo di ottenere con essa la revisione. E poi vi è una grande associazione creata per il revisionismo: è la Società delle Nazioni: vi siete anche voi.

Le vostre questioni interne. Certo le seguiamo con attenzione. Ma se qualche nostro giornale non le considera con simpatia, vi sono anche grandi giornali inglesi, francesi, cecoslovacchi e tedeschi che fanno altrettanto. Perché inquietarvi solo dei nostri?

Il discorso di S. E. Mussolini per Traù? Ma esso risponde anzitutto allo sdegno di ogni italiano per l'offesa alle grandi memorie venete. E sentire offesa per le memorie venete deturpate e distrutte non significa irredentismo dalmatico e pretesa alla Dalmazia. È un sentimento del quale non sapete rendervi conto. Sentimento aggravato dalla convinzione che le vostre autorità hanno cooperato alla distruzione. Nel discorso di S. E. il Capo del Governo non è alcuna frase o parola od intenzione di minaccia».

Jeftich -in tono sorpreso «Le nostre autorità hanno cooperato alla distruzione?».

Io: «Si, certo. Il vostro Bano Jablanovich ha dichiarato al nostro Console di Spalato che deplorava che il lavoro di asportazione dei Leoni fosse stato da Anicich affidato a mani inesperte che hanno completato la distruzione! È un curioso modo per dire che è stato proprio Anicich a volere la completa distruzione dei leoni gettati nel museo del mare!

CJeftich ne ha preso appunto dichiarando che avrebbe verificato. Ma io ho dalla mia anche una dichiarazione fattami ieri da un altro funzionario del Ministero degli Affari Esteri che si è espresso con me testualmente così: «Noi siamo stati stomacati quando abbiamo letto il rapporto da Spalato su quello che Anicich ha fatto a Traù. Io credo che se Marinkovich o Nincich fossero stati al Ministero degli Affari Esteri avrebbero prese delle severe sanzioni contro di lui. Ma Jeftich non ha ancora all'interno autorità politica sufficiente e non può imporsi ad una corrente nazionalista la cui esistenza è indubbia e che a torto o a ragione vede nei Leoni veneti una provocazione »).

La nostra stampa? ma essa non è espressione della politica, ma di una tattica politica. E la vostra? ed il vostro N ovosti di Zagabria? è uno dei grandi vostri giornali. Che dire della campagna velenosa che svolge ininterrotta da molti e molti mesi, su argomenti e temi che la stampa di Belgrado non tratta, ma che sono di sicura e diretta ispirazione belgradese?» poiché vogliamo parlarci amichevolmente non è a me che poteva negarlo.

Ne concludo che le ragioni per arrivare alle vostre conclusioni pessimiste sono ancora molto deboli, e converrà ne riparliamo ancora.

* * ...

V. E. mi consenta adesso, con qualche richiamo, alcune brevi subordinate considerazioni e conclusioni.

n colloquio con Jeftich è durato due ore precise. Ciò non astante non sono stati toccati scottanti argomenti anche recenti. Per questo lo ritengo reticente, e volutamente ancora oscuro.

È del resto la terza volta che Jeftich pronuncia con me frasi analoghe a quelle del 22 dicembre.

Il 22 Ottobre egli così mi parlò: «Preferirei fare il clearing dell'amicizia. Ma ad ogni modo regoliamo le questioni piccole, visto che non possiamo regolare le grandi, anzi mi pare che vada sempre peggio... Verrà un momento in cui sarà troppo tardi e ci accorgeremo dell'errore commesso».

Ed il 17 dicembre così scrissi a V. E. O): <<Il discorso di Jeftich ha avuto accento grave ed accorato, ma anche di velata minaccia ... Egli ha detto « ...se malgrado questa nostra buona volontà vediamo che si eccita tutta l'Italia, etc. etc. allora dobbiamo credere che il vostro disegno e la vostra volontà mirano ad obiettivi che ci sono interamente ostili e nutrono disegni che si propongono la nostra distruzione... dobbiamo prendere le nostre misure di difesa ... Sappiate che non ci lasciamo facilmente intimidire, e che i metodi di intimidazione hanno scarsa presa su di noi. La nostra storia prova di quale resistenza morale e militare ha dato prova il nostro popolo».

Quanto all'Albania la necessità di far partire col corriere di stasera il presente rapporto mi impedisce di fare precise ricerche, e citare perciò le date di talune mie passate affermazioni ed informazioni. Ma a più riprese ho fatto presente a V. E. che una eventuale ipotetica occupazione nostra dell'Albania, od anche soltanto una estensione ed un rafforzamento della presente nostra posizione colà, possono essere considerate qui tanto gravi da dover decidere se o no la Jugoslavia debba muovere guerra per difendersi dalla minaccia che attraverso la presenza di truppe italiane in Albania verrebbe alla sua integrità.

V. E. rammenta certo che allorquando fu firmato il primo patto di Tirana qui si pensò seriamente alla guerra. Se la Jugoslavia non fu tratta ad un vero e proprio colpo di testa lo si dovette alle pressioni franco-inglesi, e soprattutto alla netta opposizione assunta da Pescich, allora Capo di Stato Maggiore ed ora Ministro di Jugoslavia a Bruxelles, che dimostrò la impossibilità da parte dell'esercito jugoslavo di sostenere qualsiasi lotta contro quello italiano. Ed il maggiore scoglio che incontrarono le note conversazioni fu appunto la impossibilità da parte jugoslava di ammettere anche in via di estrema ipotesi, e pur con ogni possibile garanzia, che vi fosse uno sbarco anche soltanto temporaneo di truppe italiane in Albania. Se dico questo è perché la frase dettami da Jeftich è del 22 dicembre ed il passo jugoslavo a Londra e Parigi sarebbe del 2 o 3 gennaio (2). E qui si è data subito la interpretazione che le supposte trattative per una unione doganale avessero per l'Italia scopi non economico-commerciali, ma essenzialmente ed unicamente politici, e che il giorno in cui l'unione doganale fosse costituita, la ragione per un «intervento militare italiano >> in Albania sarebbe stata tale che nessuno l'avrebbe potuto impedire. Per questa estrema ipotesi la parola «guerra» è stata più volte in passato pronunciata da Re Alessandro.

Vi è quindi ragione di supporre che il 22 dicembre Jeftich potesse, parlando con me, pensare alla notizia pervenutagli da Tirana di trattative per una unione doganale itala-albanese. Oggi questo motivo di fronte alla nostra

smentita ed alla smentita albanese non sussiste più. Ma intanto era nel pensiero di Jeftich quando mi parlò, ed è stato qui sfruttato con la consueta mala fede, quasi giustificazione a posteriori delle inquietudini jugoslave per i pretesi propositi minacciosi dell'Italia. Ciò che è tattica tradizionale di questo Governo.

Poiché la base prima di partenza è sempre la stessa: debolezza della situazione interna, situazione interna critica, minaccia al Regime, tendenza sempre più marcata dello spirito pubblico ad un accordo federativo, raggiungimento di una situazione di effettiva parità fra serbi e croati, fine della prevalenza del serbismo.

Per difendersi da tutta questa gradazione di pericoli l'anti-Italia è stata l'arma facilmente adoperata in vario modo e con differente intensità da tutti i governi che si sono succeduti alla direzione di questo Stato, anche nei momenti dei migliori rapporti. Per alimentare questa campagna, che certamente giova in qualche misura alla coesione jugoslava, tutti i fatti veri o ritenuti tali o voluti ritenere tali od adoperati nel modo più tortuoso e tendenzioso sono stati e sono buoni. Perciò si giunge alla auto-formazione di una vera e propria psicosi che finisce col credere in buona fede alla assoluta certezza di quello che la Jugoslavia stessa ha deformato o voluto deformare o inventare ai fini suindicati.

Enumero gli ultimi fatti che hanno potuto alimentare questa psicosi, così come sono visti o voluti vedere dal Governo Dittatoriale:

a) vi è qui se non la prova giuridica, la convinzione morale che i ribelli della Lika sono stati aiutati in ogni possibile modo anche da autorità italiane. In corrispondenza con questa convinzione sussiste il timore che possibili nuove insurrezioni primaverili, delle quali si parla con insistenza, trovino uguali appoggi da noi ed anche in Ungheria.

b) I rapporti fra Italia e Ungheria sono guardati con l'occhio più sospetto e timoroso. Specie il viaggio di Giimbiis a Roma è stato considerato come una nuova prova della esistenza di una comunità di intenti distruttivi della Jugoslavia. E posso confermare a V. E. che questo Stato Maggiore crede alla esistenza di un accordo militare segreto fra Italia ed Ungheria.

c) Della politica revisionista si fa responsabile soprattutto l'Italia. Ma om poiché la dichiarazione di parità di diJI'itto alla Germania negli armamenti si estenderà anche a Bulgaria, Ungheria, Austria, la situazione strategica della Jugoslavia può venirsi a trovare capovolta, e la Jugoslavia quando la parità di diritto divenisse anche un fatto non avrebbe più nessuna forza per opporsi alla revisione territoriale.

d) Il timore che l'Italia possa un giorno o l'altro portare truppe in Albania è un vero costante incubo.

e) La voce insistentemente ripetuta da questa stampa che le difficoltà al rinnovamento del patto dii mnicizda fra Italia e Romania vengano da una clausola di neutralità da noi richiesta e che annullerebbe i vincoli militari rumenojugoslavi è del pari considerata riprova delle intenzioni aggressive italiane contro questo Stato.

f) Poiché nessuno vede il male proprio, così quanto qui da anni scrive sul nostro Paese questa mediocre stampa, non è tenuto presente, come si ignora o

7 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XIII

si vuol ignorare tutta la propaganda irredentista sugli allogeni e si vuole scorgere nella insistente campagna giornalistica italiana un disegno aggressivo contro la unità jugoslava, con obiettivi prossimi od immediati.

Debbo a tale proposito esprimere rispettosamente e subordinatamente il mio giudizio sulla attitudine della nostra stampa. Jeftich mi ha citato tre fra i nostri più importanti giornali. Io debbo rilevare che l'elenco delle società jugoslave dato dal Giornale d'Italia non è esatto in se stesso ed ha di per se stesso valore di polizia, ma non esprime una precisa situazione politica, poiché se ai fini di polizia è utile conoscere l'elenco di tutte le varie società jugoslave, la loro composizione, i capi, etc. etc., ai fini politici esse hanno molte diverse finalità ed intonazioni, e per l'aspetto nazionalista od antitaliano che assumono devesi rilevare che si tratta sempre delle stesse poche centinaia di persone che in ogni luogo appaiono in forma e con veste diversa, ma sono sempre le stesse che si riversano da una società all'altra, e si trasformano e si camuffano con i più diversi nomi. Quanto agli articoli del Corriere della Sera del Signor Aponte essi sono quanto di più inesatto si può immaginare, ed hanno come solo scopo quello di mostrare questo paese sotto un colore impressionantemente oscuro e tragico, il che non nego che in parte non sia, ma non bisogna ignorare e trascurare altri elementi, solo per essere alla moda del giornalismo italiano.

Se a questi maggiori nostri giornali si aggiunge tutta la folla degli altri minori e specie quelli provinciali di Fiume e di Zara che stampano quotidiane ingiurie contro i serbi, si arriva facilmente a comprendere perché il Governo jugoslavo tragga una impressione di aggressività specialmente dalla nostra stampa che è unanime ed all'unisono nel suo giudizio delle cose jugoslave, e la sfrutti e se ne valga dovunque. Ed a questo proposito, senza voler né suggerire né giudicare una linea di condotta della nostra stampa, desidero tuttavia esprimere il mio sincero desiderio che i nostri corrispondenti e redattori, nello scrivere della Jugoslavia, facciano una distinzione fra il Regime attuale jugoslavo ed il suo Re ed i suoi consiglieri ed il popolo serbo che indubbiamente ha serie e degne qualità, anche se le sue condizioni civili siano, in confronto dei grandi popoli europei, ancora arretrate.

In conclusione la Jugoslavia o meglio il Regime CV. E. sa quale sia il mio pensiero circa la estensione della crisi attuale, pensiero che non posso ancora modificare poiché le velleità separatiste del gruppo Macek sollevano ogni giorno più i miei sospetti quanto alla loro effettiva sincerità e più ancora i miei dubbi quanto alla possibilità di realizzazione, mentre invece le forze militari che sorreggono il Re sono integre) sente contro di sé due minacce: una gli viene dalla crisi interna e dalla supposizione che in primavera possano verificarsi nuove e più gravi rivolte con aiuti dall'estero ma specialmente italiani ed anche ungheresi, l'altra da un attacco che l'Italia mediterebbe contro di essa in corrispondenza con tali rivolte od anche indipendentemente da esse.

Per questi due pericoli Re e Governo preparano fin da ora le difese che sono connaturate alle tradizioni serbe e che sono perciò anche nefande. Così la rete dei comitagi (ne ho riferito in dettaglio il 17 dicembre u.s. con numero 8887/2010) (l) si appresta forse a sopprimere i capi dell'opposizione al

Regime al primo accenno di sollevamento interno, ed a portare scompiglio e confusione nei territori nemici alla prima dichiarazione di guerra. In pari tempo lo Stato Maggiore non è inerte e predispone cautamente ma rapidamente quanto può essere dettato dalle necessità di una mobilitazione sia per ragioni interne sia per la difesa del paese. Ho dato a parte e continuo a dare a V. E. molte notizie di dettaglio, nessuna delle quali è specificatamente significativa, ma tutte insieme fanno sicuramente credere allo intensificarsi di rapidi preparativi. Gli spostamenti di qualche reparto verso la frontiera sono prudentemente interpretati per ora dal Colonnello Franceschini nel senso che si vogliono prendere maggiori misure di vigilanza ai confini sia per la possibile introduzione di materiale militare destinato alle temute insurrezioni, sia per impedire diserzioni che in caso di mobilitazione potrebbero, specie in un primo tempo, verificarsi numerosissime. Questa spiegazione del Colonnello Franceschini parmi ragionevole e cauta, e la faccio mia.

E qui si ferma oggi l'esame e la spiegazione del presente momento.

Dire quale sarà il suo sviluppo, se l'allarme attuale cesserà (non potrebbe totalmente cessare che allorquando si avesse qui la netta convinzione che una trasformazione interna della Jugoslavia non ci interessa, e nulla si fa in Italia in un senso o nell'altro, accompagnata dalla certezza assoluta che non vi sono aspirazioni italiane in Dalmazia) o si allargherà, non posso affermare poiché sarebbe incauto ed avventato. Certo l'attitudine e la volontà francesi sono e saranno ancora le determinanti, e quali correnti prevalgano colà V. E. saprà certo da ottime fonti.

(l) -Con telespr. s. 238721/638 del 30 dicembre 1932. (2) -Galli aveva riferito con R. rr. 144 del 22 dicembre: « Jeftlch è tornato ancora sull'argomento dei nostri passati colloqui segreti deplorando che non fossero gi.unti a conclusione. ripetendo che era stato un grave errore, etc. etc. (l) -Cfr. serie VII, vol. XII, n. 557. (2) -Cfr. n. 6.

(l) Non pubblicato.

22

IL MINISTRO A BUCAREST, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 134/9 R. Bucarest, 10 gennaio 1933, ore 18 (per. ore 2 dell'11).

Presidente del consiglio, alla fine di un banchetto d'addio che, malgrado crisi, ha voluto dare iersera in mio onore, mi ha lungamente intrattenuto su relazioni italo-romene.

Mi ha detto:

l) che egli volle personalmente recarsi alla stazione, alla partenza di Titulescu per conferenza Piccola Intesa in Belgrado, allo scopo ripetergli ancora una volta che Romania non avrebbe mai potuto ammettere che Piccola Intesa assumesse eventualmente atteggiamento antiitaliano;

2) che detta alleanza aveva unico fine proprio, assolutamente al di fuori dispute particolari dei suoi membri;

3) che attività della Romania doveva pertanto svolgersi in detto stretto limite, salvo beninteso, eventuali iniziative di conciliazioni e di chiarimenti.

Maniu ha soggiunto che sia nel caso resti al potere e sia nel caso sia obbligato passare opposizione, avrà sempre come meta il raggiungimento di un completo e stretto accordo con l'Italia, non solo nel campo economico e culturale, ma anche in quello essenzialmente politico. Egli ha sottolineato con grande forza quest'ultimo suo proposito.

Presidente del consiglio mi ha detto infine che se sormonterà crisi invierà ben presto a Roma Titulescu; che se invece abbandonerà potere, si recherà egli stesso costà al fine di conferire direttamente con V. E. per cui da lungo tempo professa profonda e sincera ammirazione.

23

IL MINISTRO A PRAGA, ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 144/5 R. Praga, 10 gennaio 1933 (per. ore 12,50 del 12).

In occasione di un colloquio che ho avuto oggi con Benes per una questione di ordinaria amministrazione (mio telespresso odierno n. 36/21 (l): caso Thun) il ministro degli affari esteri ha fatto incidentalmente allusione all'atteggiamento amichevole che esso Benes si sarebbe sforzato e si sforzerebbe di conservare verso l'Italia, «nonostante l'atteggiamento di opposizione seguito dalla politica italiana nei confronti della Cecoslovacchia».

Avendolo io pregato di precisare tale sua dichiarazione, Benes ha detto che l'opposizione della politica italiana alla Cecoslovacchia non è che indiretta, ma ciò non toglie che le ripercussioni siano per la Cecoslovacchia non meno sensibili e penose di quelle che risulterebbero da una opposizione diretta. Egli ha tenuto, con l'occasione, a completare -come egli stesso mi ha detto -la sua ultima esposizione della situazione europea (miei telegrammi per corriere

n. 155 (l) e 160 del 27 dicembre 1932) (2) con alcune osservazioni sul modo

in cui egli vede il problema dell'Austria.

Ecco quanto egli mi ha detto, mentre io osservavo il riserbo del caso.

Premesso che, a suo avviso, nessuna sistemazione dell'Europa centrale sarà possibile contro o senza l'Italia, Benei§ ha aggiunto ritenere che le sole soluzioni possibili e pratiche siano quelle che tengano conto degli interessi dell'Italia e della Cecoslovacchia.

Senza giungere a proporre una diretta collaborazione di questi due paesi per lo studio di tali soluzioni, Benes ha tenuto ad esprimere rammarico pel fatto che la collaborazione italo-cecoslovacca, esistita durante e immediatamente dopo la guerra, sia cessata, ed ha espresso la speranza che questa potrà tuttavia riprendersi.

Tornando qui all'argomento dal quale era partito, Benes mi ha detto che egli tiene in modo assoluto a mantenere l'atmosfera dei rapporti italo-cecoslovacchi assolutamente sgombra da motivi di diretta opposizione, affinché ostacoli del genere non abbiano comunque ad intralciare una chiarificazione dei rapporti dell'Italia con la Francia e con la Jugoslavia, nel momento in cui questa fosse possibile. Egli del resto ha fiducia in una tale chiarificazione, poiché a suo avviso la tensione fra i detti paesi non può prolungarsi all'infinito. In attesa però che le condizioni necessarie a tali chiarificazioni si maturino, Benes ravvisa già una attuale comunanza di interessi fra Italia e Cecoslovacchia in confronto del problema austriaco.

Esprimendosi in termini più espliciti Benes mi ha dichiarato che egli considera oramai inevitabile che la conferenza del disarmo addivenga, alla sua imminente ripresa, ad una formulazione pratica della uguaglianza di diritti in materia di armamenti. Questa formulazione dovrà naturalmente concernere non solo lo statuto militare da dare alla Germania, ma altresì quello da attribuire all'Austria, all'Ungheria ed alla Bulgaria.

Benes pensa che questa sia la migliore e forse l'ultima occasione di arginare la marcia verso l'Anschluss, col condizionare lo statuto militare dell'Austria ad adeguate garanzie atte ad impedire che l'Anschluss stesso possa operarsi. Tali garanzie possono andare -come al Benes è scappato detto nella foga dell'esposizione -fino alla neutralizzazione dell'Austria. Egli si è peraltro subito ripreso parlando di «giusto statuto militare» da negoziare come contropartita di «serie garanzie contro l'Anschluss ».

Ad illustrare la sua tesi Benes non ha mancato di rifare cenno al suo tema preferito del pericolo germanico per l'Italia, che accomunerebbe naturalmente gli interessi italiani a quelli della Cecoslovacchia ancor più che a quelli della Jugoslavia. Al riguardo egli ha fatto anche allusione a «deplorevoli» simpatie jugoslave per la possibilità di confinare col più grande Reich per comuni obiettivi adriatici (sic). Tutto questo per insistere sul comune interesse dell'Italia e della Cecoslovacchia a fronteggiare l'Anschluss mediante una politica concorde verso l'Austria, mirante a fare di questa una loro congiungente atta a sbarrare la ripresa della spinta germanica verso il sud-est europeo.

Come ultimo argomento, Benes, in un'allusione non priva di malevolenza, ha detto che le recenti dichiarazioni del Conte Apponyl lascerebbero scorgere la tendenza magiara a fare assegnamento sopratutto sulla Germania, dalla quale soltanto l'Ungheria può sperare la realizzazione di tutte le sue rivendicazioni nazionali e territoriali. L'Italia, ha concluso Benes, non può soddisfare tutte le rivendicazioni ungheresi. Ed alla prima disillusione l'Ungheria, dimentica dei benefici avuti, si rivolgerà contro l'Italia, per poco che possa sperare in un avvicinarsi della Germania alle sue frontiere.

Naturalmente -salvo alcune ovvie riserve che non ho mancato di fare allorquando il linguaggio del Benes poteva attribuire significato di consenso anche al mio silenzio -non ho espresso alcun giudizio sulle considerazioni che egli mi ha esposte e che ho qui riferito integralmente per opportuna conoscenza dell'E. V. specialmente in quanto questa possa essere utile in vista della ripresa dei lavori a Ginevra.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. serie VII, vol. XII, n. 578.
24

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, A ... (l)

PROMEMORIA. Roma, 10 gennaio 1933.

Il Signor von Hassell mi ha detto stamane che in colloqui avuti con S. E. il Capo del Governo a proposito delle intenzioni attribuitegli di essere fautore della divisione dell'Europa in sfere d'influenza politica fra i vari Grandi Stati,

S. E. Mussolini aveva precisato il suo pensiero nel senso che le grandi industrie di taluni paesi dovessero accordarsi per non farsi concorrenza in un determinato campo di azione.

Egli aveva riferito la cosa a Berlino ed aveva ricevuto stamane una risposta in proposito.

Il Barone von Neurath aveva esaminato la questione con i Consiglieri Ministeriali Koepke e Ritter ed era giunto alla conclusione che la cosa in principio appariva accettabile ma che si temeva a Berlino che in pratica non fosse attuabile. Mentre in Italia infatti con l'esistenza dello Stato corporativo il Governo aveva il controllo dell'industria e poteva impartire disposizioni in un determinato senso, in Germania gli industriali erano completamente liberi di fare quanto meglio credessero e non accettavano indicazioni e tanto meno prescrizioni che limitassero la propria attività.

Egli si riservava intrattenere prossimamente della cosa S.E. il Capo del Governo.

25

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 142/10 R. Vienna, 11 gennaio 1933, ore 19,35 (per. ore 22)

Cancelliere austriaco rimasto assai soddisfatto andamento discussione segreta di ieri nel comitato parlamentare principale esecutivo. Tesi sostenuta dai competenti socialisti è presso a poco quella dell'odierna Arbeiter Zeitung che fo telegrafare in riassunto come Agenzia Stetani speciale. È risultato dalla discussione che socialisti erano stati molto particolareggiatamente messi al corrente dal loro informatore di Verona. Alle osservazioni mosse loro che con la loro campagna correvano rischio e pericolo compromettere Austria nel campo internazionale e in ogni caso danneggiavano operai austriaci, essi mi hanno fatto comprendere rendersene conto ma essere nell'impossibilità assumere dlverso contegno politico a causa loro rapporti con socialisti altri paesi.

Cl) Il destinatario del documento non è indicato.

Cancelliere austriaco è stato assai parco nelle sue spiegazioni ed ha soltanto in parte accennato agli argomenti di cui ai miei telegrammi nn. 5 e 6 (1). Come noto, Dollfuss ha avuto voto favorevole. Parlamentarmente questione

può considerarsi come liquidata e in modo soddisfacente.

Ministro di Cecoslovacchia e ministro di Romania hanno annunziato per oggi loro visita al ministero affari esteri. Nulla ha fino ad ora comunicato ministro di Jugoslavia. Al ministro di Francia sono state date spontaneamente alcune spiegazioni come da telegramma suddetto.

Ritelegraferò circa dichiarazioni ministri Piccola Intesa. È mio dovere segnalare all'E. V. contegno leale, premuroso, amichevole tenuto da cancelliere e da tutte le altre autorità competenti.

26

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 150/11 R. Vienna, 12 gennaio 1933, ore 15 (per. ore 19).

Mio telegramma n. 10 (2). Ministro di Francia ha mostrato non solo contentarsi delle ristrette spiegazioni dategli bensì anche non desiderare gliene fossero fornite di maggiori. Tanto ministro di Cecoslovacchia quanto ministro di Romania si sono li

mitati chiedere informazioni.

Stessa richiesta è stata fatta anche da ministro di Jugoslavia.

È notevole anche che nella seduta parlamentare segreta dell'altro giorno nessun attacco sia stato mosso all'Italia né a Ungheria.

27

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, CERRUTI, A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, A LONDRA, GRANDI, A MADRID, GUARIGLIA, A MOSCA, ATTOLICO, A V ARSA VIA, BASTIANINI, E AI MINISTRI, A BERNA, MARCHI, A BELGRADO, GALLI, A BUCAREST, PREZIOSI, A BUDAPEST, COLONNA, A PRAGA, ROCCO, E A SOFIA, CORA

T. 64/c. R. Roma, 12 gennaio 1933, ore 24.

Stampa e qualche parlamento estero si occupano affare armi pretesamente spedite Italia Ungheria e smistate officina austriaca di Hirtenberg sotto pretesto riparazioni.

Per sua norma e per eventuali informazioni, se richieste, tenga presente a noi risulta quanto segue:

Trattasi armi austriache residuato guerra. Quantitativo notevolmente inferiore a quello indicato da alcune informazioni stampa estera. Speditore di Verona per conto privati.

Scopo invio officine austriache, per ricalibrare. Questione non ha per noi importanza; comunque conviene evitare se ne faccia speculazione (l).

(l) -Cfr. nn. 16 e 17. (2) -Cfr. n. 25.
28

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA R. 192/70. Belgrado, 13 gennaio 1933.

Mi riferisco a telegramma-posta n. 14/2 del 2 corrente del R. Console Generale in Zagabria (2).

Le dichiarazioni attribuite a Re Alessandro sembrano corrispondere grosso modo a quelle che questo Sovrano va costantemente facendo da qualche tempo a questa parte al suo entourage, ed ai ministri stranieri con i quali ha contatto.

Del resto la opinione generale diffusa in tutto il paese e che si ripete dovunque è che nella primavera scoppierà la guerra con l'Italia. Importante è che questo sentimento comincia ad impressionare anche molti elementi avversi al regime e specialmente il partito radicale. Questo non ha modificato la sua attitudine principale di opposizione e di intransigenza verso il Sovrano ed il governo, ma in alcuni membri si fa strada il pensiero che la Jugoslavia sta attraversando un difficile periodo della sua situazione estera e che potrebbe anche rendersi necessaria una unione di partiti per salvare il paese.

In ogni caso, come meglio V. E. potrà rilevare dal prossimo riassunto sulla politica interna il partito radicale ha fatto qualche passo indietro sugli atteggiamenti riformatori sostenuti fino a poco fa quanto alla riorganizzazione amministrativa politica della Jugoslavia e si oppone ora decisamente al federalismo, sostenendo invece una larga riforma basata sulla decentralizzazione e su qualche limitata autonomia. Ed in genere il partito radicale va assumendo l'attitudine del partito che può costituire la rocca ultima destinata a salvaguardare con la monarchia la unità centralizzatrice jugoslava. È una evoluzione che meritava essere subito segnalata, e che a mio avviso, è riflesso della situazione che il Governo dittatoriale ha interesse mostrare minacciosissima per la Jugoslavia e proveniente dall'Italia.

(l) -Identico telegramma fu inviato a Buenos Ayres, Rio de Janeiro, Washington, Atene, L'Aja e Tirana (t. 87 R. del 17 gennaio, ore 24) con l'aggiunta del seguente brano: «R. ministro in Vienna informa che nella riunione segreta comitato parlamentare esecutivo circa questione invio armi, spiegazioni date da Dollfuss hanr.o condotto a un voto favorevole al Governo cosicché parlamentarmente questione può ritenersi liquidata modo soddisfacente». (2) -Non rinvenuto.
29

IL MINISTRO DESTINATO AD ADDIS ABEBA, VINCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

PROMEMORIA. Roma, 16 gennaio 1933.

Mi onoro sottoporre all'E. V. i seguenti argomenti che riterrei opportuno discutere in occasione della venuta di S. E. Astuto:

l) Sarebbe utile stabilire uno stretto collegamento fra Ministero Esteri e Ministero Colonie, in modo che le istruzioni alla R. Legazione in Addis Abeba e al Governo dell'Eritrea siano sempre concordate.

2) Rapporti con i Consoli. Le istruzioni ai RR. Consoli in Etiopia dovrebbero essere date esclusivamente per tramite della R. Legazione. I R. Consoli potranno, per loro conto, dar conoscenza ai Governi delle Colonie dei rapporti trasmessi alla R. Legazione.

Per il rapido collegamento con la Legazione sarebbe opportuno fornire il Consolato di Harrar di un apparecchio radio. Il Governo della Somalia sarebbe, pare, disposto a cedere un apparecchio radio someggiato.

3) Per l'azione alla periferia, che il Governo dell'Eritrea è incaricato di preparare, occorrerà che gli incaricati siano persone di provata prudenza, tatto, e senso politico, che conoscano l'ambiente e specialmente che non tendano a ottenere un successo personale sollecito, che potrebbe poi compromettere più seri risultati; che nessun incarico di tal genere sia affidato ai RR. Consoli che avranno solo prudenti necessari contatti con gli incaricati; che almeno per i primi tempi, non siano dati incarichi a persone che, come il Barone Franchetti, sono già in sospetto del Governo etiopico, o che non hanno mostrato, nel campo politico, quell'avvedutezza e quella segretezza che sono necessarie. Ciò perché, in omaggio alle istruzioni di S. E. il Capo del Governo (l), io possa sopire i sospetti che sono nutriti dall'Imperatore a nostro riguardo (2).

30

IL MINISTRO A PRAGA, ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 252/12 R. Praga, 17 gennaio 1933 (per. il 19).

Faccio seguito al mio telegramma-filo di 1eri n. 10 (3).

La stampa locale sembra si vada calmando dopo i numerosi allarmi da essa lanciati in relazione all'incidente di Hirtenberg. Naturalmente nei giorni

scorsi non è qui mancata la speculazione che era facile prevedere nei riguardi dell'Italia e dell'Ungheria. Tre punti meritano qualche rilievo:

l) La gazzarra -come ho già riferito -è stata molto minore di quella che accompagnò l'incidente analogo di San Gottardo.

2) A questa relativa moderazione, evidentemente inspirata, va contrapposto l'appello lanciato dall'ufficiosa Prager Presse alla S.d.N. affinché si acceleri la conclusione della convenzione per regolare il commercio internazionale delle armi. «L'affare di Hirtenberg -ha scritto quel giornale -mostra come sia dannoso il fatto che non si sia ancora raggiunto l'accordo intorno a questa convenzione. Un efficace disarmo non è possibile se il contrabbando internazionale di armi ostacola la leale applicazione degli accordi fra gli Stati. L'affare delle «riparazioni ~ di Hirtenberg dovrà costituire una lezione agli Stati che si occupano seriamente del disarmo per chiedere efficacemente e realmente tutte le fonti che tentano di sottrarsi agli impegni per il disarmo ~.

3) Accenni significativi sono apparsi qua e là nella stampa locale circa l'impossibilità in cui si troverebbe l'Austria di conservare la sua neutralità in caso di conflitto armato fra i suoi vicini. D'altra parte, i rimproveri di questa stampa sembrano dirigersi piuttosto all'Austria, che avrebbe permesso il transito delle armi, anziché all'Italia e all'Ungheria. Si mettono infine in rilievo i rapporti politici fra l'Italia e l'Austria che sembrano sempre più intimi.

In tutto ciò è presumibile l'ispirazione di Benes allo scopo di preparare l'ambiente internazionale a quelle garanzie circa il mantenimento della neutralità da parte dell'Austria alle quali ho fatto cenno col mio telegramma per corriere n. 5 del 10 corrente (l) ed alla prossima azione internazionale che questo Governo sarà per svolgere a Ginevra.

Al riguardo ho fondato motivo di ritenere, per accenni fatti da fonte autorevole, che a questo ministero degli affari esteri sia già pronto o in preparazione un preciso progetto di neutralizzazione dell'Austria.

Si tratterebbe di una specie di patto di garanzia col quale tutti i vicini dell'Austria dovrebbero impegnarsi a rispettarne o addirittura a garantirne la neutralità. Non è escluso che su tale progetto sia stato già presentito qualcuno dei Governi interessati, per presentarlo a Ginevra secondo che le convenienze e le circostanze suggeriranno.

Naturalmente l'incidente di Hirtenberg è giunto quanto mai sfruttabile in tali intendimenti. A conferma di quanto riferivo col mio telegramma-filo di ieri n. 10, sono in grado di riferire che effettivamente Benes ha fatto, di fronte alla commissione parlamentare degli affari esteri, alcune dichiarazioni circa l'incidente della spedizione di armi in Ungheria. Tali dichiarazioni hanno avuto la forma di una informazione riservata al deputato socialdemocratico che aveva interrogato il ministro degli affari esteri al riguardo. Benes avrebbe dichiarato trattarsi di un incidente molto spiacevole ed avrebbe assicurato non essere possibile imporre sacrifici al contribuente cecoslovacco per dar corso al noto pre

stito all'Austria se questa mostra atteggiamenti così deplo·revoli. Pare che Benes abbia dato assicurazioni che il contributo cecoslovacco al prestito austriaco non sarà votato fino a quando le responsabilità austriache nell'affare di Hirtenbeng non saranno accertate e non avranno dato luogo ad adeguate misure. È quindi presumibile che come piattaforma di manovra per aprire la discussione sulla necessità di neutralizzare l'Austria possa anche essere prescelto appena se ne presenti l'occasione, il comitato di controllo finanziario per l'Austria o quella qualunque altra sede in cui verrà in discussione il prestito all'Austria.

(l) -Cfr. n. 7. (2) -Il 24 gennaio fu tenuta presso il Ministero delle Colonie una riunione alla quale parte·ciparono fra gli altri De Bono, Suvich e Astuto. Non se ne pubblica il verbale. (3) -T. 214/10 R. del 16 gennaio, ore 19,30, non pubblicato: riferiva circa i commenti della stampa cecoslovacca relativi alla questione delle armi.

(l) Cfr. n. 23.

31

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. R. 14. Belgrado, 18 gennaio 1933.

Ieri Jeftic mi ha pregato andare a vederlo ed ha subito iniziato il colloquio con la domanda « ed allora la vostra stampa diviene di giorno in giorno più aggressiva! a che mira essa e che si vuole?» ed ha poi seguitato come l'E. V. potrà leggere più diffusamente qui di seguito. Tutto il suo colloquio, 11 tono col quale è stato tenuto, le osservazioni fattemi, la timidità quasi di certe richieste ed il rinnovato rammarico per la mancata conclusione dei colloqui sono da me interpretati come un tentativo, se non di riprendere i colloqui stessi, almeno per ottenere con una linea più equa della stampa, una diminuzione della tensione presente.

Ho risposto largamente a quanto dettomi da Jeftic ed anche con fredda amarezza, tanto che dopo il mio colloquio, Jeftic ha chiamato uno dei funzionari del Ministero degli Affari Esteri O'Avakoumovic) che incontratosi poco dopo alla Legazione di Germania col Cav. Cortini, gli ha subito narrato che io ml ero mostrato assai «malcontento » col suo Ministro.

Ecco il riassunto dell'esposto di Jeftic:

« Allora dunque la vostra stampa diviene di giorno in giorno più aggressiva!! a che essa mira e che vuole? non passa giorno che tutti indistintamente i vostri giornali ci attacchino nel modo più violento ed ingiurioso, che non vediamo esposta la nostra situazione interna e le nostre difficoltà nel modo più nero e catastrofico, che i serbi e la Serbia e la Jugoslavia siano considerati come nazione selvaggia incivile e provocatrice. Non dico ciò soltanto per il vostro Gayda al quale siamo ormai abituati; ma ora anche il Corriere della Sera che era da noi larghissimamente diffuso. Siamo stati costretti a vietarne la introduzione in Jugoslavia perché fra esso ed i giornali a noi più ostili non v'è nessuna differenza, mentre fino a qualche mese addietro il Corriere della Sera aveva tenuto quasi sempre una linea di serenità che avevamo molto apprezzato. Non nomino poi i piccoli giornali che si stampano a Fiume e Zara e che sono quanto di più insolente ed indisponente si può mai immaginare.

Questa campagna di stampa che non ha riscontro in alcun altro paese, poiché se anche altrove vi sono giornalisti o giornali mal disposti verso la Jugoslavia, non si nota quella unanime avversione che è da voi, non può non pre

figgersi un fine e non sappiamo vedere quale esso sia. In ogni caso esso avvelena sempre più l'opinione pubblica, e comincia a far credere anche alle persone più responsabili del nostro paese che nulla sia più da tentare per migliorare i rapporti fra i nostri due Paesi.

Ora essi sono dove la natura li ha posti e vi saranno sempre, per cui malgrado le attuali difficoltà non è possibile non abbia a venire un momento in cui non ci si debba intendere. Che può essere fatto per questo?

Nel discorso di S. E. Mussolini si è detto di un disegno ostile nostro contro di voi, di intenzioni aggressive. Quali intenzioni e quale disegno? Se fino a relativamente poche settimane addietro eravamo pronti a mutare radicalmente tutta la nostra politica e lo siamo anche oggi!

S. E. Mussolini ha dichiarato al Giornale New Chronicle che vuole buoni rapporti con la Jugoslavia ed attende che questa dia prova di buona volontà. Anche noi vogliamo buoni rapporti con l'Italia e quale è questa prova di buona volontà che ci chiedete? cosa dobbiamo fare per darvela?

Per quello che mi riguarda, fin che sarò a questo posto farò ogni possibile sforzo per dirimere ogni possibile questione, per risolvere con vostra soddisfazione ogni incidente, per frenare ogni reazione della nostra stampa e della nostra opinione pubblica, poiché non amo che alle ingiurie si risponda con altre ingiurie, perché voglio ad ogni costo evitare mi si possa far mai rimprovero di non avere tutto tentato e tutto fatto quanto è nel mio potere per stabilire migliori rapporti fra i nostri due Paesi, od evitare che essi peggiorino ancora. Ma se vi sia altro da fare ditemelo con la franchezza che i nostri rapporti di amicizia ed il ricordo delle fatiche che abbiamo compiute inutilmente insieme autorizzano ~.

Ho risposto:

a) ricordando la campagna di stampa jugoslava contro di noi a base di false notizie e di calunnie. Se avessi avuto bisogno di un ultimo esempio mi bastava ricordare il chiasso fatto per un progetto di unione doganale con l'Albania che non era mai esistito, chiasso continuato malgrado una precisa smentita di questo Ministro d'Albania, che non si era voluta pubblicare e continua ancora dopo la smentita ufficiale dei due Governi, e che seguita ancora di rimbalzo. Anzi ora si cerca un nuovo argomento: un preteso progetto di colonizzazione italiana in Albania. Il semplice buon senso lo faceva escludere perché il nostro bisogno di territorio deve tenere presente, se mai possibile, il collocamento di qualche milione di italiani: !i 30 o 40 mila che potremmo, con difficoltà, collocare nellle pianure albanesi bonificate della Zadrina e della Musakia non risolverebbero il nostro massimo problema e creerebbero invece una nuova questione. Era «vera mala fede>> quella della stampa jugoslava e di chi la ispirava.

b) la campagna irredentista per l'Istria ed il Gor1zlano. A S. M. il Re che me lo aveva negato nei nostri famosi colloqui (anche assai bruschi) avevo fatto pervenire pronrio ner suo tramite. l'elenco delle dimostrazioni irredentiste dell'ultimo trimestre di quell'epoca con unito l'elenco delle pubblicazioni periodiche e degli opuscoli ultimi. Io potevo continuare l'elenco e dargli un altro gruppo di nuove pubblicazioni.

c) dovevo riconoscere che il Ministro degli Affari Esteri aveva in passato risolto rapidamente e volonterosamente tutti gli incidenti che si erano prodotti. Ma dovevo anche rilevare che dal luglio di quest'anno (è il momento in cui Srskic ha assunto la Presidenza e Jeftic il portafoglio degli Esteri) si erano verificati numerosissimi incidenti a cominciare da quelli gravissimi di Veglia per finire a quelli di frontiera degli ultimi giorni. Nessuno (ripetevo nessuno) era stato finora risolto con nostra soddisfazione. A Veglia solo dopo un mio intervento violento (e riferisco adesso a V. E. che fu anche volgarmente ingiurioso perché allo scopo fossero raccolte dai censori delle comunicazioni telefoniche pronunciai parlando con Veglia e Sussak vere ingiurie e minacce se per la sera stessa in cui parlavo le misure da me richieste non fossero state attuate) gli incidenti erano soltanto cessati ma nessuna sanzione. La morte del Lusina era la sola sanzione. Per gli altri incidenti non avevo per ora che risposte interlocutorie e che sembravano piuttosto una canzonatura. Non volevo poi ricordare ancora i fatti di Traù con i Leoni veneti messi al «museo del mare»

d) ma anche ad ammettere che tutti gli incidenti fossero stati regolati con soddisfazione, ciò era soltanto una parte formale dei nostri rapporti. Che erasi fatto verso la pubblica opinione? Il Prof. Ristich della cui purezza e profondità di sentimenti patriottici serbi non era da dubitare, ma che da più di venti anni coltivava un da noi apprezzatissimo amore per l'Italia, aveva da Roma mandato alla Politika articoli simpatici per l'Italia ed il fascismo. Erano finiti nel cestino. (Jeftich ha promesso chiamare subito Ristich).

e) che dire delle amabHità della poHz~a ve·rso di no~? Egli sapeva del vero assedio di agenti provocatori.

Ed Jeftich mi ha detto allora che uno di questi era stato arrestato, ma ha ammesso (noti bene V. E. la curiosa e spudorata ammissione) che effettivamente questo figuro era stato adoperato dallo Stato Maggiore quale agente provocatore ed aveva anche spillato del denaro al Colonnello Visconti, ma soltanto in passato. Adesso da molto tempo non era adoperato. Jeftich concludendo con la speranza che non avrei avuto più di tali inquietudini, lo ho subito disilluso rimettendogli due appunti già pronti e nei quali erano contenuti i nomi di due noti poliziotti, conosciuti come agenti provocatori( uno è certo Arbes Vilko che ha parecchi precedenti da noi) e che si erano presentati il 10 e 14 gennaio rispettivamente ai consolati di Serajevo e di Zagabria offrendo informazioni spionistiche e chiedendo compensi. Ho concluso dal canto mio che per tale ramo di attività poliziesca speravo ora che la Legazione ed i Consolati sarebbero tranquilli, ma che se un agente provocatore si fosse di nuovo presentato in Legazione, gli avrei giuocato un tiro tale, e di pura marca fascista, che avrebbe fatto ridere allegramente.

Che dire poi della sorveglianza su di noi? Avevo già detto a Purich di quanto doveva sopportare l'Addetto Aeronautico (mio telegramma per corriere

n. 23/21 del 13 corrente) (1). Il risultato dei miei passi era che il giorno dopo sul pianerottolo dell'appartamento del Colonnello Brenta invece di uno spione

ce n'erano due. Avevo perciò autorizzato il Colonnello Brenta a buttarne almeno uno di sotto dalle scale alla prima occasione.

Ed Jeftich ha aggiunto: « Ha anche la mia autorizzazione». Ho insistito ed insisto continuamente con la polizia perché tali meschinità cessino una buona volta.

Ed io: «Bene; dirò al Colonnello Brenta che ha anche la vostra autorizzazione».

f) che consigli avevo da dargli e quali suggerimenti? Non sapevo. Provasse a far tacere la sua stampa, a evitare invenzioni ed allarmi e manovre sulle intenzioni di V. E. che sono le più chiare e palesi che si possano desiderare. Sarebbe già un piccolo passo. Ma V. E. non poteva per certo dimenticare che il patto di amicizia con la Jugoslavia era stato firmato nel gennaio 1924 e che la serie di attentati terroristici dell'Orjuna nella Venezia Giulia era cominciata nell'estate di quell'anno per sommare alla fine del 1930 a parecchie decine, e che in questi attentati erano mescolati costantemente i nomi del Colonnello Andrejka dell'Ufficio informazioni militari di Lubiana, del Commissario di polizia Batagelj di Jesenice, del Commissario di Sussak Uijcic (ancora al suo posto malgrado i nostri reclami) ed infine del Console a Trieste Juricich, ora Ministro Aggiunto agli Affari Esteri, ma richiamato allora da S. E. Marinkovich a nostra domanda.

Poi siamo passati ad altri argomenti.

Mentre confermo che la intenzione di Jeftich era secondo me di fare delle aperture concrete, ne ho tratta anche l'impressione del suo profondo rammarico per la non conclusione dei nostri colloqui, e la conferma della debolezza sua politica; poiché egli non riesce neanche ad imporsi ai più bassi organi di polizia.

Quanto alla situazione politica del Regime (non già della Jugoslavia) trasmetto con questo medesimo corriere un esposto che V. E., se degnerà ritenerlo opportuno, potrà richiedere. La mia conclusione di oggi è che se il Re possiede ancora intatta o quasi la sua forza materiale, poiché essa non ha alcun contenuto ideale, ma il suo regime si è macchiato di nefandezze innumerevoli, non potrà forse indefinitamente resistere alle forze morali che gli si fanno sempre più avverse e che per opera di Koroscez e di Pribicevich gli hanno portato in questi ultimissimi giorni due gravissimi colpi, mentre le simpatie di importanti circoli inglesi sono alienate e molta parte della opinione pubblica francese giudica sempre più severamente la dittatura Sovrana.

(l) Non pubblicato.

32

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE RR. 326/3 R. Vienna, 21 gennaio 1933 (per. il 25J.

Mio telegramma n. 17 (1).

Signor Peter, dal quale mi sono stamane recato con Auriti per una visita di cortesia, ha toccato la questione della spedizione di armi da Verona, riferendo alquanto disordinatamente le risposte che il cancelliere e lui stesso ebbero a dare ad alcuni quesiti posti da questo ministro di Francia, in un colloquio avuto luogo martedì scorso, in occasione del consueto ricevimento diplomatico.

In succinto, il conte Clauzel chiese:

l) se le armi qui importate da Verona dovessero servire ad armare le «Heimwehren ». Gli fu risposto recisamente di no, giacché tale eventuale procedimento sarebbe stato contrario ai vigenti trattati di pace.

2) A quale scopo fosse destinato il carico d'armi in questione.

Gli fu risposto che a tale domanda, trattandosi di un traffico privato, potevano dare ragguagli la direzione della fabbrica di Hirtenberg o lo speditore italiano signor Cortese: che se le due inchieste non avessero dato risultati, il Governo francese avrebbe potuto rivolgersi per schiarimenti al Governo italiano, cessando così dall'avvalersi della debolezza di quello austriaco per assillarlo con richieste che potevano sembrare indiscrete.

Al riguardo fu anzi obiettato che le esitanze francesi a rivolgersi direttamente al Governo italiano potevano dipendere anche dalla cura del Quai d'Orsay di non volere intralciare con nuovi incidenti la missione affidata al signor Jouvenel per il conseguimento di una détente italo-francese. Al che non pare che il conte Clauzel abbia opposto obbiezioni di sorta.

3) In qual modo il Governo di Vienna intendeva giustificare l'avvenuto trasporto, su territorio austriaco, dei numerosi vagoni di armi.

Gli fu risposto che il massimo che poteva fare l'Austria era di mantenere un atteggiamento di perfetta neutralità. Al riguardo dovevano essere ricordati i convogli d'armi ed i cannoni che erano stati spediti dalla Cecoslovacchia in Jugoslavia attraverso l'Austria. Tali trasporti non erano contemplati dal trattato di San Germano; giacché se l'art. 322 ed i seguenti prevedono un passaggio di treni fra Cecoslovacchia ed i porti di Trieste e di Fiume attraverso il territorio dell'Austria, essi richiedono d'altra parte una convenzione fra detti Stati, convenzione che non era stata mai né chiesta né tanto meno conclusa.

4) Nella supposizione che i vagoni d'armi fossero in realtà diretti in Ungheria, quali misure il Governo austriaco intendeva prendere per proibire l'avviamento di essi a quella volta.

Gli fu risposto che se l'Austria aveva accettato i trattati di pace, non aveva assunto alcun impegno per la loro esecuzione. D'altra parte, detto divieto derivava all'Ungheria da un trattato che non era stato firmato dall'Austria, la quale non poteva dunque assumersi la parte di gendarme.

Peter mi ha aggiunto poi che se un eventuale passo della Piccola Intesa a Ginevra avesse portato all'invio di una commissione di inchiesta in Austria, il Governo federale avrebbe di certo opposto un rifiuto. Esso si sarebbe anzi ritirato dalla S.D.N., dichiarando di non poter ammettere una diversità di trattamento fra i membri di detta Istituzione.

Terminata così la sua espos1zwne, il signor Peter ha accennato a notizie preoccupanti, pervenute da Parigi, nonché all'eventualità che il Governo francese rifiuti il versamento della sua aliquota di prestito. Concluse che di tutta la questione codesto ministro d'Austria era già stato incaricato di tener parola a V.E.

(l) T. 276/17 R .. pari data, delle ore 23, con il quale Preziosi riferiva, tra l'altro, avergli detto il Segretario Generale agli Esteri austr~aco che la Piccola Intesa Intendeva portare la questione delle armi anche davanti alla Società deile Nazioni.

33

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. RR. S. 22. Belgrado, 21 gennaio 1933.

Mi onoro far pervenire qui unita a V. E. una comunicazione che S. E. Plamenatz, ultimo Presidente del Consiglio montenegrino, mi ha fatto pervenire il 14 corrente mese attraverso persona di tutta fiducia che ha servito frequentemente di tramite fra lui e me.

Sulle affermazioni del Plamenatz debbo fare qualche riserva, come sulla di lui sicura possibilità di suscitare un movimento di rivolta in Montenegro.

Certo è che ivi il malcontento contro il Regime è vivissimo, che di recente (ne riferii dettagliatamente nel mio riassunto sulla situazione interna del 5 dicembre u.s.) (l) l'antico deputato montenegrino alla disciolta Scupcina, il serbo radicale Stojadinovich, fece un giro in tutto il Montenegro accolto con incredibili manifestazioni pubbliche di entusiasmo che gendarmeria e polizia stimarono più prudente non reprimere.

Se e come tale malcontento contro il Regime potrebbe trasformarsi in movimento rivoluzionario antiserbo ed antijugoslavo questo sarebbe più azzardato affermare. Certo avrei più fiducia in una volontà di decisa azione montenegrina che in quella parolaia e malsicura dei croati.

E circa il Montenegro mi sia consentito ricordare una opinione espressami da Marinkovich in uno dei momenti di sincerità che egli aveva frequentemente con me: «I nostri vincoli con i montenegrini sono ancora deboli. I montenegrini hanno bisogno di sentire che essi hanno fatto qualche cosa per lo Stato, di essere quindi creditori verso lo Stato di un riconoscente dovere per il loro sacrificio. Una profonda unione fra noi e montenegrini non vi sarà che quando avremo fatto la guerra insieme ed essi potranno dire allo Stato che la hanno vinta con noi».

ALLEGATO.

17 gennaio 1933.

Il 14 corrente ho visto il signor P.

Mi ha detto che la propaganda sua e degli amici suoi nel Montenegro ha avuto tale successo che egli è ora in grado di far scoppiare nel Montenegro, in ogni momento, la rivolta. In caso di eventuale mobilitazione, è in grado di assicurare che al massimo

un terzo risponderebbe all'appello, mentre la grande maggioranza si darebbe alla montagna per formare l'esercito verde.

Egli ha raccomandato alla sua gente le buone relazioni con gli albanesi poiché, nel dato momento, gli albanesi e i montenegrini dovranno procedere concordi. In tale sua opera egli è ostacolato da un suo nipote (comandante delle guardie di frontiera da Podgoriza a Plava). Anche per altri fatti egli lo ritiene traditore della causa montenegrina e perciò si adopera per farlo sparire.

Ha poi aggiunto che sarebbe necessario rivolgere la massima attenzione all'attività del signor Djonovic in Albania. Egli afferma che il Djonovic non ha per il momento altra missione che quella di osservare attentamente ogni mossa italiana, specialmente di carattere militare. Il Djonovic non riferisce mai direttamente da Tirana a Belgrado le sue impressioni, ma in automobile si reca a Cettigne per farlo. Anche il Djonovic è ritenuto un traditore della causa montenegrina e non occorre dimenticare che già nel 1907 fu condannato a morte nel Montenegro. Tale sentenza potrebbe essere eseguita in occasione di uno dei suoi frequenti viaggi nel Montenegro.

Parlando del Djonovic, ha poi detto che presso l'ufficio stampa della Legazione jugoslava a Tirana si trova un altro P., ma che -insieme a quello che comanda le guardie da Podgoriza a Plava -non ha nulla di comune con lui. Le mansioni che ricoprono sono state loro attribuite a bella posta, per poter dire domani: Sono della famiglia P.

I montenegrini aspettano la resurrezione. Se domani in Albania dovesse essere eletto come principe ereditario il Principe Michele del Montenegro, la cosa avrebbe nel Montenegro l'effetto di una bomba. Sarebbe quanto di meglio si potesse fare.

Nel Montenegro regna generale malcontento, specialmente tra la gioventù. Vi si usano tutti i mezzi e persino la propaganda comunista per creare il caos ed aumentare le ire contro l'attuale stato di cose.

Il Montenegro, dopo il 1918, lottò da solo pur avendo quasi tutti contro, sia all'estero che all'interno. Ora che i croati, gli sloveni ed altri si agitano, se domani dovesse essere versato il sangue, i montenegrini saranno i primi a farlo, tanto più che le prospettive di riuscita sono oggi di molto migliori, se si tien conto anche del fatto che la causa montenegrina potrebbe oggi contare sulla benevolenza di molti.

Se lo sviluppo degli avvenimenti dovesse portare ad una rivolta nel Montenegro, basterebbe un commovente proclama -ad esempi.o della Regina Elena -che dicesse: «il vostro vecchio Re giace qui, tra le mie braccia, nella terra della libertà, ecc. ecc. » per far insorgere tutti i montenegrini.

Parlando su questo argomento il P. appariva visibilmente commosso e stringendo i pugni ripeté: «Sapete dove si trova l'unico essere capace di far insorgere il Montenegro nel momento in cui egli lo vorrà? -Dinanzi a voi».

Passato a parlare della situazione interna jugoslava disse che in Serbia si nota ormai forte agitazione. Il malcontento contro il Regime ed il Re aumenta sempre più. Delle persone sono venute a chiedergli se egli riteneva che con l'uccisione degli attuali ministri si otterrebbero i frutti desiderati. Egli avrebbe loro risposto che le cose certamente muterebbero se venisse soppresso il Re.

Disse poi che quattro persone sono state già arrestate sotto l'incolpazione di aver complottato contro la vita del Sovrano.

(l) Non pubblicato.

34

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 22 gennaio 1933.

In occasione della sua ultima conversazione con S. E. il Capo del Governo, il Signor De Hory ebbe a rimettergli un appunto con alcune informazioni sul

8 -Documenti diplomatici • Serle VII • Vol. XIII

convegno che ha avuto luogo di recente a Belgrado fm 1 rappresentanti della Piccola Intesa. In questo appunto era detto che la Romania aveva rifiutato di impegnarsi contro l'Italia.

Il Ministro d'Ungheria mi ha detto oggi che il suo Governo non era ancora riuscito a controllare l'esattezza di queste informazioni. Però in corso di una conversazione avuta con un suo collega a Roma, questi gli avrebbe detto che a Belgrado Titulescu si sarebbe spinto oltre quello che finora risultava, nel senso cioè che si sarebbe convenuto che la Romania avrebbe cercato di fare delle <avances » verso l'Italia.

[De Hory non] sapeva di più, ma ad ogni modo mi informava di ciò a titolo confidenziale. Ha aggiunto, pregandomi però di tenere la cosa riservata, che la notizia veniva dall'Ambasciata di Germania.

35

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 303/17 R. Ginevra, 23 gennaio 1933, ore 13,15 (per. ore 15).

Ho veduto Massigli.

Egli, pur confermandomi di aver preso parte ad una conversazione dei membri della Piccola Intesa, mi ha detto che essa si era tenuta esclusivamente sulle linee generali e che nessuna decisione era stata presa. Inoltre nella riunione non era stato mai parlato dell'Italia.

Gli ho fatto osservare che non intendevo, per ora, entrare nel merito della questione della spedizione delle armi in Austria, nella quale credevamo di essere in perfetta regola ed alla quale non attribuivamo grande importanza, ma sulle ripercussioni che avrebbe avuto in Italia un intervento diretto e quasi direttivo della Francia proprio nel momento in cui il nuovo ambasciatore della repubblica giungeva a Roma.

Massigli mi è sembrato rendersi esatto conto di ciò e mi ha promesso di agire subito per limitare la portata dell'iniziativa della Piccola Intesa e riferire stasera stessa l'esito dei suoi passi.

Faccio oggi pressioni su Drummond o A venol.

36

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 307/23 R. Ginevra, 23 gennaio 1933, ore 20,15 (per. ore 24).

Mio telegramma n. 17 (l). Massigli mi ha detto di essersi messo subito in rapporto con Benes e di avergli dato pressante consiglio di soprassedere dal sollevare questione spedi

zione armi in Austria. Ha aggiunto sembrargli che i suoi consigli fossero stati efficaci. Oggi arriva Ginevra sottosegretario di Stato Cot e terrò a lui stesso linguaggio che con Massigli.

Ho poi veduto Drummond e dopo aver parlato varie questioni poste domani all'ordine del giorno, gli ho fatto cenno della spedizione armi in Austria e gli ho dimostrato che ove essa venisse in esame al Consiglio la discussione che ne seguirebbe non potrebbe limitarsi al caso attuale, ma dovrebbe generalizzarsi ed assumere una portata ed una gravità che nel momento attuale mi sembravano oltremodo pericolose. Drummond mi ha risposto che la questione non era stata fin qui formalmente sollevata da alcuno Stato e che soltanto il delegato jugoslavo gliene aveva parlato in forma generica e senza troppo insistervi. Ha aggiunto che egli, Drummond, condivideva pienamente le mie preoccupazioni. Gli ho pertanto domandato di adoperarsi, con ogni suo potere, per evitare che la discussione per la spedizione armi in Austria venisse in discussione al consiglio.

(l) Cfr. n. 35.

37

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. 127/17 R. Roma, 23 gennaio 1933, ore 23.

Suo telegramma 17 (1).

Con riferimento passo compiuto da Egger qui e di cui V. S. ha avuto notizia da Peter. Autorità nostre sono contrarie alla restituzione del materiale. Se costà ritengono poterlo trattenere per note riparazioni o meglio inoltrarlo a destinazione pregola favorire.

38

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. u. 128/18 R. Roma, 24 gennaio 1933, ore 24.

Prego V. S. indicare Dollfuss che R. Governo anche nell'interesse migliore possibile trattazione affare armi desidererebbe conoscere comunicazioni da lui fatte rappresentanti Francia e Piccola Intesa in risposta richiesta all'uopo ri

voltagli. Potrà aggiungere che risulterebbe che Dollfuss avrebbe fatto sapere che armi erano destinate Ungheria e che parte sarebbe già stata rispedita a destino. È questo un punto su cui è indispensabiile che abbiamo esplicite indicazioni.

(l) Cfr. n. 32, nota l. Circa il passo di Egger, cui accenna anche in chiusura il telegrammacitato, non è stata rinvenuta la documEntazione. Si trattava, evidentemente, di una richiesta del Governo austriaco di poter rinviare le armi in Italia.

39

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, JOUVENEL

APPUNTO. Roma, 24 gennaio 1933.

II nuovo Ambasciatore di Francia, signor de Jouvenel, è venuto a trovarmi per una visita di cortesia.

Nel discorso mi ha detto che aveva già spiegato a S. E. il Capo del Governo (l) il carattere della sua missione per cui sono previsti solo sei mesi non intendendo egli abbandonare la carriera politica per entrare in quella diplomatica. Ora la legge a questo riguardo è molto severa. Si era pensato anche di modificarla per riguardo suo ma poi la cosa non è andata.

Egli è stato molto incerto se accettare o no questo incarico, ma poi si è deciso per l'accettazione ritenendo di poter far cosa nell'interesse dei due Paest: l rapporti fra la Francia e l'Italia richiedono di urgenza una chiarificazione; probabilmente nei prossimi sei mesi in Francia assisteremo a vari cambiamenti di governo; un diplomatico si sentirebbe nell'obbligo ad ogni cambiamento di attendere le istruzioni di Parigi e quindi ricominciare daccapo; egli invece per la sua posizione politica ha una certa indipendenza e pensa di poter trattare senza soluzioni di continuità.

Mi dice della grande impressione avuta dalla Mostra della Rivoluzione e della visita a s. E. il Capo del Governo.

Egli non ha alcun programma definitivo e rigido per la sua permanenza a Roma ma soltanto un grande desiderio di poter fare l'interesse dei nostri due Paesi e si mette perciò a nostra completa disposizione.

Egli ha l'impressione che la politica fatta dal Governo Fascista con carattere eminentemente costruttivo abbia ormai talmente operato nel campo interno, con evidente successo, che debba passare ad una fase europea. Egli ha la pro.:. fonda convinzione che lo spirito latino, che la Francia sente moltissimo, sia uno spirito costruttore e crede perciò nella possibilità di una larga intesa fra i nostri due Paesi. Questa intesa è difficile invece con altri Paesi europei: l'Inghilterra ha un movimento proprio da curare; la Germania è troppo assorbita dalle proprie rivendicazioni e d'altronde è in una situazione torbida di disorientamento interno, che forse non sarà così presto superato.

Egli si pone il problema se nell'adempimento della propria missione egli debba prospettare delle linee generali di collaborazione franco-italiana o debba entrare nell'esame di problemi singoli.

Ho risposto che poteva forse convenire un pratico esame dei problemi che dividono i due Paesi, per delle reali difficoltà da sormontare e delle altre che si possono più facilmente risolvere con un po' di buona volontà per creare un'atmosfera che consenta l'esame di una politica di collaborazione; avendo accennato ad alcuni di questi problemi, che del resto sono stati ricordati anche dall'Ambasciatore de Jouvenel nelle sue recenti interviste, ho avuto l'impressione che lo stesso si preoccupa sopratutto della difficoltà di risolvere la questione della parità navale; ho l'impressione che a Parigi abbia trovato seria resistenza su questo punto.

L'Ambasciatore de Jouvenel mi ha pregato di aiutarlo nella chiarificazione dei vari punti prima di ripresentarsi al Capo del Governo con un quadro più completo delle possibilità di accordo. Ho risposto che aderivo volentieri alla sua richiesta.

(l) Il verbale del colloquio non è stato rinvenuto.

40

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO U. Ginevra, 24 gennaio 1933.

Ho ricevuto la visita del Ministro di Stato cinese Kung, che è una personalità del suo Paese, oltre che per la carica che occupa, anche per aver sposato una delle figlie di Sun-Yat-Sen, alla quale or non è molto V. E. si compiacque di concedere un'udienza, per cui ora entrambi i signori Kung desidererebbero esprimere la loro gratitudine.

II signor Kung è stato inviato in Europa dal suo Governo per fare acquisti di materiale di aviazione e di macchinario e attrezzi agricoli. Stasera parte per la Francia e per l'Inghilterra in un giro di visite agli stabilimenti produttori. Dopo il 3 febbraio verrà in Italia allo stesso scopo, proponendosi di soggiornarvi una settimana. Mi ha detto che in questa occasione suo ambito desiderio ed onore sarebbe quello di ottenere una udienza da V. E. (1).

Per quanto 11 Ministro Kung non si sia espresso in termini precisi, pur tuttavia crederei di· venir meno all'Incarico affidatomi da V. E. se Le nascondessi che ho avuto netta la sensazione che l'udienza accordatagli da S.E. il Capo del Governo ha piuttosto disilluso S. E. Kung. Egli, nel corso del viaggio susseguente all'udienza, a tropJ)i3 riprese ha Insistito sul fatto che Il colloquio era stato Improntato alla più grande cordialità, ma che S. E. il Capo del Governo aveva tenuto ad ogni Istante l'Iniziativa e la condotta della conversazione.

A questo posso aggiungere, forse temerariamente, che come non mi ha nascosto alcune fasi, per il suo paese molto lncoragglantd, delle conversazioni avute la settimana precedente con Il signor MacDonald e con slr John Slmon, così forse non avrebbe del tutto taciuto gliaspetti per lui positivi dello scambio d'idee avuto con il nostro Duce. A confermarmi in questa impressione, sta una frase che sfuggi al Ministro al momento in cui stavamo J)i3r separare!. Egli si sforzò di farmi intendere che non è da stupirsi se un paese in un momento critico, quale attraversa attualmente la Cina, "preferisca passare ordinazioni urgenti a quel paesi di cui l Governi svolgono azione diplomatica favorevole"».

Data l'ammirazione manifestata per V. E., la concessione di un'udienza a questo personaggio potrebbe contribuire ad assicurare buoni e concreti risultati al suo soggiorno in Italia, specie se completata da un buon programma e da una buona organizzazione di visite non solo ai nostri stabilimenti produttori di materiale di aviazione e di macchinari agricoli, ma anche ai grandi lavori che documentano i progressi del nostro Paese nel campo dell'agricoltura. È presumibile che ciò potrebbe notevolmente contribuire allo sviluppo dello smercio dei nostri prodotti industriali in Cina.

Qualora V. E. si degnasse ricevere il signor Kung e dare ordini per l'orga-' nizzazione del suo giro di visite, sarei grato se volesse compiacersi di darmene comunicazione telegrafica, dovendo io a mia volta darne tempestivo avviso al signor Yen, Ambasciatore della Cina presso la Società delle Nazioni.

(1) Annotazione a margine di Mussollnl: «SI». Non si è trovato Il verbale del colloquioMussollni-Kung ma cfr. quanto riferiva Theodoll a Suvlch il 17 febbraio da Ginevra: «il Ministro Kung ambiva di essere ricevuto da S. E. Il Capo del Governo nella speranza di poterloconvincere che spetta a Lui, che non ha esitato mai a segnare la via in modo quanto mal chiaro e preciso al popoli attraverso le difficoltà del dopoguerra, a Lui che non cessa di sostenere che non vi sarà pace né stabilità fintanto che la sistemazione di un continente continua a riposare su del trattati imposti colla forza, di !anelare oggi dall'alto della Sua grande autorità Il grido d'allarme, onde la pace nel Pacifico non venga ad essere minacciata da una sistemazione quanto mal artificiosa della Manclurla Imposta con la forza...

41

IL SOITOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GRANDI, A MADRID, GUARIGLIA, A PARIGI, PIGNATTI, A WASHINGTON, ROSSO, E AI MINISTRI A BUDAPEST, COLONNA, E A VIENNA, PREZIOSI

T. 136 R. Roma, 25 gennaio 1933, ore 18.

Per sua norma ho telegrafato a delegazione Ginevra (l) quanto segue:

«Da accertamenti fatti risulta spedizione eseguita da privato che dovendo utilizzare armi residuate guerra le ha inviate fabbriche di origine per riparazione e ricalibramento in base regolare contratto. Effettivamente risulta che armi sono in riparazione nelle officine austriache. Se parte inoltrata altra destinazione ciò avvenuto per traffici tra privati probabilmente contrabbando. Noi e Governo ungherese ignoriamo questione.

Per quanto riguarda Austria nulla vieta operazioni in corso.

Del resto risultano come da documenti a sue mani numerose spedizioni

avvenute attraverso Austria Stati Piccola Intesa.

Appena disporremo altri dati corso accertamento comunicherò:$.

42

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 335/21 R. Vienna, 25 gennaio 1933, ore 22,10 (per. ore 4,45. del 26).

Telegramma di V. E. n. 17 (2). Riferendosi passo fatto costà da von Egger, cancelliere mi ha detto che con esso non si era voluto fare né una proposta né una suggestione, ma sempll

cemente esporre il modo di vedere della Ballplatz. Ha soggiunto che finora non aveva ricevuto ancora risposta da von Egger al quale intanto erano stati inviati altri due telegrammi.

Ho osservato al cancelliere che non potevasi pensare al rinvio delle armi qui giunte, al che Dollfuss ha replicato che a suo modo di vedere nel momento attuale non poteva procedersi ad alcunché. Egli ha indicato d'altra parte che un eventuale inoltro del materiale avrebbe potuto porre il noto paese destinatario in grave imbarazzo, il che non sarebbe nell'interesse di alcuno. Ha concluso essere suo fermo proposito procedere in perfetto accordo con noi.

Da parte mia sarò grato se, per opportuna mia norma, vorrà comunicarmi termini risposta a von Egger.

(l) -Con t. r. 130/6 R. del 24 gennaio. (2) -Cfr. n. 37.
43

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 337/23 R. Vienna, 25 gennaio 1933, ore 22,10 (per. ore 4,45 del 26).

Telegramma di V. E. n. 18 (1).

Cancelliere mi ha smentito nel modo più assoluto che egli abbia fatto dichiarazione nel senso di cui ultima parte predetto telegramma di V. E. Allo scopo procurarmi conferma gli ho mostrato un ritaglio di giornale austriaco riproducente comunicato da Parigi, che attribuiva al cancelliere dichiarazione che 47 vagoni ferroviari con armi destinate Ungheria avevano passato il confine della repubblica.

Dollfuss mi ha smentito con medesima recisione notizia stessa. Altrettanto egli mi ha fatto circa dichiarazione del sottosegretario di stato agli affari esteri francese, a quella commissione affari esteri (vedi Temps del 20 corrente) relativa sequestro che avrebbe operato Governo austriaco su carico armi spedite dall'Italia in Ungheria.

Avendo allora io chiesto se eventualmente le dichiarazioni attribuitegli e da me segnalategli fossero state invece fatte a sua insaputa da alti funzionari della Ballplatz, cancelliere si è affrettato ad opporre la più recisa smentita.

44.

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T PER CORRIERE 339/20 R. Ginevra, 25 gennaio 1933 (per. il 26).

Il delegato ungherese al disarmo, ministro Masirevitch, mi ha fatto informare sui risultati degli accordi presi coi tedeschi, in occasione della visita a

Berlino, dnserita nel suo vdagg,io da Budapest a Ginevra; visita di cui codesta legazione di Ungheria ha reso edotto, giorni fa, il R. ministero. Tali accordi vertono quasi esclusivamente sull'a.ttitudine, che ,la Germania, e, dietro di essa, l'Ungheria, intendono assumere in sede di conferenza del disarmo, di fronte al piano francese ed alle proposte Simon del l 7 novembre scorso.

l} Piano francese. Si opina dalle delegazioni tedesca ed ungherese che il capitolo I ed il capitolo II delle « Propositions " finiranno per naufragare davanti alle reticenze più o meno velate e più o meno ritardate dell'America e dell'Inghilterra. Tale circostanza finirebbe per provocare l'inapplicabilità di tutto il resto del piano, le cui varie parti sono connesse alla realizzazione delle proposte dei detti capitoli I e II.

Circa 11 capitolo III, la Germania e l'Ungheria si atterranno al criterio che non è possibile per loro aderire a sistemazioni europee di qualsiasi genere, politiche o militari, che non comprendano anche l'Inghilterra, sullo stesso piede e cogli stessi diritti e doveri degli altri.

Le due delegazioni ritengono che le riserve su questo punto saranno di effetto decisivo, giacché l'Inghilterra non aderirà mai a qualcosa che anche da lontano assomigli al capitolo III del piano francese; ed i francesi lo sanno benissimo.

Per quanto riguarda le clausole più precisamente tecniche e militari del

piano -milizie di leva per la difesa nazionale, e truppe di mestiere per il

servizio internazionale a disposizione della S.d.N. -tedeschi ed ungheresi si

limiteranno ad accettare il poco che loro conviene; e cioè il concetto dell'istitu

zione di milizie di leva ed a ferma breve come esercito nazionale, per tutti gli

Stati, ed a parità di condizioni per tutti. Il resto del piano militare -forza

internazionale -sarà rigettato come tecnicamente inapplicabile.

Del capitolo IV -forze navali -intendono disinteressarsi.

Finalmente, le proposte del capitolo V -forze aeree -potrebbero venire

accettate, sulla base di una parità assoluta per tutti; salvo sostituire al criterio

di una « internazionalizzazione :~> dell'aeronautica civile quello di una «regola

mentazione internazionale»; e salvo, naturalmente, la negativa alla creazione

di forze aeree internazionali, per le stesse ragioni addotte contro le forze terre

stri internazionali di cui sopra.

Le due delegazioni mostreranno, in definitiva, una recisa ostilità ad assu

mere qualsiasi impegno di natura repressivo-militare nei riguardi della sicu

rezza: intendono limitarsi agli impegni già in vigore in virtù del Covenant e

del patto Kellogg.

Sarà riaffermato, con modalità variabili secondo le circostanze, il concetto

che qualsiasi nozione di sicurezza, compresa nella convenzione del disarmo,

debba lasciare impregiudicata la possibilità di modificare le clausole territo

riali dei trattati di pace, e cioè non implichi la cristallizzazione delle attuali

frontiere.

La Germania accetterebbe, finalmente, la proposta di adesione obbliga

toria all'atto generale di arbitrato (v. piano francese, cap. III), ove non sia

escluso il ricorso all'arbitrato per le questioni territoriali derivanti dalla guerra

e sancite dai trattati di pace (v. atto generale di arbitrato, art. 39, par. c.}.

2) Piano Simon. Quando fosse portato in discussione, sarà considerato con assai maggiore favore, e più precisamente:

a) Affermazione che il trattato di Versailles è un documento che tuttora lega le parti -Negativa: il trattato è stato già rotto dalla parte dei vittoriosi, col mancato disarmo. Quindi non lega più i tedeschi, almeno per questa sezione.

b) Proposta di un nuovo patto di Parigi di portata Europea (anche sostituendo la dicitura «ricorso alla forza » a quella di «guerra »). -Favorevole.

c) Limitazioni degli armamenti tedeschi da includersi nella convenzione generale del disarmo. -Favorevole. d) Durata e revisione di tali limitazioni, identiche a quelle sancite nella convenzione per tutti gli altri. -Favorevole. e) Eguaglianza qualitativa degli armamenti tedeschi cogli altri. -Favorevole, purché in brevi tappe tale eguaglianza divenga anche quantitativa. f) Misure di disarmo generale qualitative e quantitative.

Entriamo nel campo puramente tecnico; a parte obbiezioni e modifiche su cui non sarebbe impossibile l'intesa, non esistono fondamentali obbiezioni (l'esperto militare ungherese darà, su questo punto, ampi dettagli ai colleghi italiani) (l).

(l) Cfr. n. 38.

45

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AI MINISTRI A BUDAPEST, COLONNA, A VIENNA, PREZIOSI, E ALLA DELEGAZIONE A GINEVRA

T. 146 R. Roma, 26 gennaio 1933, ore 23.

(Solo per Vienna) Suo telegramma n. 21 (2). A seguito precedente passo di cui mio telegramma n. 17 (3).

(Per tutti) Ministro Austria è venuto a chiedere da parte di Dollfuss che almeno alcuni dei vagoni di armi rientrino in Italia.

Gli ho risposto che di massima siamo contrari, anche per ragioni prudenza, e che se mai questione prendesse in seguito aspetto più grave potremmo fare al massimo rientrare qualche vagone ma di armi già riparate. Per il momento unica cosa da fare, se non si può farle proseguire, è trattenerle e farle riparare.

(l) -Con t. 430/45 R. del 28 gennaio Cerrut! comunicò che Neurath gli aveva detto che a Ginevra «la Germania non Intendeva fare alcuna propcsta; la sua tattica avrebbe consistito nell'attesa d! ciò che faranno gl! altri, sopratutto di ciò che faranno per ridurre i propri armamenti di tanto superiori a quelli tedeschi. Solo quando non si facesse nulla nel senso di disarmare, la Germania potrebbe indursi a trarre le consc1, uenze dalla situazione e ad avanzare pretese. Ma lo farebbe con molta ponderazione ed in modo che la responsabilità ricada su quelli a cui spetta ». (2) -Cfr. n. 42. (3) -Cfr. n. 37.
46

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 363/24 R. Bucarest, 27 gennaio 1933, ore 20,15 (per. ore 3 del 28).

Titulescu nel corso della conversazione di cui al telegramma precedente (1), ha tenuto a negare nella maniera più enfatica che il convegno di Sinaia abbia condotto ad un qualsiasi risultato concreto e che fra i due paesi si sia concluso un qualsiasi accordo di natura politico-militare.

A suo dire non si è firmato, o piuttosto parafato, che una sola convenzione, di cui per darmi una prova della sua amicizia e della sua fiducia (gradiva però che di ciò non fosse stata fatta parola al Ministro d'Italia a Belgrado) teneva a mostrarmi l'originale: e cioè un accordo concernente costruzione sul Danubio del ponte destinato a collegare i sistemi ferroviari della Jugoslavia e della Romania, tagliando il vizioso arco di cerchio che l'attuale linea ferroviaria fa sul percorso Vincovici, Subotiza, Temesvar, Turnu Severin.

(Rilevo fra parentesi che il semplice fatto che si sia in poche ore raggiunto l'accordo su tale spinosissima questione che era dibattuta da oltre un decennio ed alla quale sono collegati tanti gravi interessi d'ordine tecnico finanziario e militare, dimostra che entrambi i Governi hanno agito sotto un impulso molto energico. Ma ciò mi sono ben guardato dal far rilevare al Signor Titulescu per non interrompe.re la piena delle sue confidenze, né il fiotto delle sue parole).

Verso la fine del suo discorso egli mi ha detto apertamente che gli uomini politici jugoslavi non sono in questo momento sereni.

A parte le questioni interne, il Governo di Belgrado teme oggi la guerra.

Teme cioè un attacco italiano, e cerca quindi serrarsi agli altri due membri della Piccola Intesa. «In Jugoslavia non c'è che il Re, ha aggiunto Titulescu, che abbia la testa a posto e che comprenda come l'Italia non voglia avventure. Ma anche il Re è obbligato a tener conto dello stato d'animo del suoi consiglieri~. È superfluo ripetere qui che cosa io abbia replicato per illustrare, nel confronto del nervosismo e del panico altrui. il sereno e pacifico atteggiamento dell'Italia. Ma Titulescu ha tenuto a dirmi che le mie proteste erano superflue; egli aveva più volte avuto l'onore di parlare con Mussolini e ne conosceva l'intimo pensiero, stava di fatti però che la politica revisionistica dell'Italia produceva allarme in tutto il pollaio della Piccola Intesa. «Sapete: -noi siamo dopotutto dei bambini e se sentiamo tuonare, è comprensibile che ci stringiamo l'uno all'altro e ci prendiamo per mano » (2).

(l) -T. 360/23 R., pari data, non pubblicato. (2) -Non sl pubblica un rapporto del 25 gennaio del facente funzione d! addetto stampa a Bucarest, G. Costa, sul convegno d! Sinaia, trasmesso da Sola con R. 224/69 del 28 gennaio.
47

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

L. 202793/28. Roma, 27 gennaio 1933.

S. E. il Capo del Governo ha portato la Sua speciale attenzione sul Tuo rapporto del 12 corrente n. 165/62 (l) relativo alla riunione dell'« Institute

ot International Affairs », nella quale Kosutic ha denunciato la dittatura di Re Alessandro e· le violenze che si commettono ai danni della nazione croata. Il Capo si è soffermato in particolare tanto sulla parte del rapporto nella quale è riferito l'appello che Kosutic rivolge agli uomini di Stato e all'opinione pubblica perché intervengano in pro' dei suoi connazionali (pag. 3 n. 1-2-3) (2), quanto sulle parole conclusive del prof. Seton-Watson, analoghe a quelle con cui terminava la nota precedente lettera Seton-Watson, Nevinson etc.

L'interesse da parte di circoli inglesi per la questione croata appare veramente notevole. Chissà che non si decidano a portare la questione in un ambiente di più larga risonanza come potrebbe essere la Camera dei Comuni o Ginevra.

S.E. -il Capo mi dice di chiederti se la cosa ti pare possibile e se tu ritieni di poter in qualche modo influire in questo senso. S.E. -il Capo resta in attesa di Tue indicazioni in proposito.

P.S. -Forse ricorderai che già nello scorso ottobre vi fu al Comuni un tentativo di sollevare la questione croata da parte dell'an. Rys Davies. Si potrebbe anche ricordare la risposta che allora fu data dal Sottosegretario agli Esteri, che prevedeva la possibilità di far redigere un rapporto sulla situazione jugoslava.

48

COLLOQUIO FRA IL CAPO GABINETTO, ALOISI, E IL CAPO DELLA DELEGAZIONE TEDESCA ALLA CONFERENZA DEL DISARMO, NADOLNY

APPUNTO. Ginevra, 27 gennaio 1933.

È venuto a visitarmi l'Ambasciatore Nadolny, Capo della Delegazione tedesca, per avere uno scambio di idee sulla ripresa dei lavori della Commissione Generale del Disarmo.

Come già ho informato V. E., Nadolny crede che Paul Boncour -il quale sarà Primo Delegato del suo paese anche se il suo gabinetto dovesse cadere e manterrà quindi in ogni caso inalterata la condotta politica francese del disarmo a Ginevra -esporrà le linee del pia:::.> Herriot-Boncour, cercando di provocare una presa di posizione di tutte le altre potenze. Per tale eventualità, Nadolny mi ha esposto quali sono le idee sue, e conseguentemente del Governo germanico, in proposito.

Tre sono, in fondo, gli elementi essenziali del problema: sicurezza, costituzione di una forza esecutiva, disarmo.

a) -sicurezza: Nadolny crede che il Patto Kellog, specialmente se opportunamente ritoccato con l'aggiunta della clausola del «no force power ~. ha già in sé tutti gli elementi di sicurezza desiderabili. Egli è del resto pronto a discutere qualunque altra proposta venga avanzata, a patto però che gli eventuali vincoli da imporsi ai vari paesi in vista del raggiungimento della sicurezza non precludano alla Germania la possibilità di pervenire per altra via, ossia per via diplomatica, al raggiungimento dei suoi fini politici.

b) -costituzione di una forza esecutiva: personalmente Nadolny è del parere che il piano francese non regge e che non ha quindi alcuna probabilità di essere accettato. Tuttavia, quale rappresentante del suo paese, egli si dichiara pronto a discuterlo, sicuro che sarà la stessa discussione, non appena essa abborderà i particolari tecnici di esecuzione, a rilevarne la inattuabilità.

c) -disarmo: dato che si tratta di una questione completamente a sé, il delegato tedesco è di opinione che la trattazione debba continuare il suo corso indipendentemente dalle vicende della discussione del piano francese. Bisogna soprattutto spingere innanzi l'esame di tutti i progetti relativi al disarmo qualitativo.

Chiaritomi il suo punto di vista sull'argomento, mi ha chiesto il mio, sperando che concordassero. Gli ho detto che, essendogli già noto il pensiero del Capo del Governo in proposito, egli poteva con sufficiente approssimazione arguire quale potesse essere la mia presa di posizione nel caso che il corso della discussione mi ci avesse obbligato.

Soddisfatto, mi ha chiesto di volermi mantenere in stretto contatto con lui durante il corso delle discussioni.

Gli ho risposto che ben volentieri sarei stato disposto a farlo ma, ben conoscendo la pericolosa «lourderie » della diplomazia tedesca, ho creduto prudente fargli osservare che mi sembrava preferibile astenerci da una visibile intimità di rapporti che agli occhi del pubblico non avrebbe potuto mancare di recar danno ad entrambi.

Ha convenuto e si è congedato pienamente soddisfatto del colloquio.

(l) -Non pubbllcato. (2) -Kosutié aveva affermato: «è necessario ed urgente che un membro del Consiglio della Società delle Nazioni attiri l'attenzione del Consiglio stc sso su tale pericolosa situazione e lo stesso Consiglio adotti quindi quelle misure che parrann:J più opportune a porvi rimedio».
49

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. 160/22 R. Roma, 28 gennaio 1933, ore 17,15.

Faccia sapere Gombos assoluta infondatezza notizia riportata da giornale Germania riguardo proposta di neutralità che avrei fatto a Rumenia in caso di conflitto rumeno-magiaro.

Ho trasmesso Berlino mia deplorazione per divulgazione notizia inesatta (1).

(l) Con. t. 159 R. del 28 gennaio, non pubblicato.

50

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. 161/23 R. Roma, 28 gennaio 1933, ore 18.

Voglia sentire da presidente Gombos sua opinione su dichiarazioni Titulescu ed atteggiamento piuttosto favorevole stampa ungherese ad una più stretta collaborazione economica con Rumenia e con paesi Europa danubiana (1).

51

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 432/51 R. Berlino, 28 gennaio 1933

(per. il 2 febbraio).

Barone von Neurath osservò ieri meco che non si era mai parlato tanto di «revisione di trattati » quanto nelle ultime settimane. I polacchi da un lato, la Piccola Intesa dall'altro sembravano essere ossessionati da tale idea. Questa aveva creduto di inscenare la riunione di Belgrado, la Polonia aveva mandato in giro per le varie capitali il colonnello Beck ed il conte Szembeck.

Dissi dal mio lato che quest'ultimo, che avevo incontrato a Roma, si era effettivamente mostrato meco assai preoccupato sopratutto delle idee revisioniste di cui si era fatta eco la stampa francese durante le ultime settimane.

Barone von Neurath mi narrò che il conte Szembeck lo aveva intrattenuto della questione a Ginevra e che egli gli aveva detto ben chiaramente che la Germania non avrebbe parlato essa stessa per prima di «revisioni», ma che se a Ginevra si fosse discusso il problema delle « garanzie » probabilmente sarebbe venuto automaticamente sul tappeto, al di fuori della Germania, anche quello delle revisioni che sembrava preoccupare tanto la Polonia.

Lasciai allora cadere la frase che da quanto mi aveva detto il conte Szembeck, mi era parso comprendere che a Varsavia si temeva che fosse già intervenuta o potesse intervenire un'intesa franco-germanica per il «corridoio~.

Barone von Neurath rispose che evidentemente una simile intesa sarebbe molto utile e garantirebbe la pace del mondo. «Le cose si dovevano però fare l'una dopo l'altra, con calma e metodo e non era venuto ancora il momento

di discorrere del problema orientale, almeno per la Germania. Se gli altri lo volevano, il problema poteva divenire attuale, come già mi aveva detto. al di fuori della Germania».

(l) Tltulescu aveva dichiarato ad un corrispondente dell'Az-Est di Budapest: «~ mio avviso che per giungere ad una pratica realizzazione d! Intimi accordi economici fra Ungheria e Romania, non cl sia. che una sola. formula: un'Intesa. fra. i paesi dell'Europa centrale UngherlaAustrla-Cecoslovacchla-Jugoslavla-Romania, sulla base delle tariffe preferenziali con un rispetto del diritti di tutte le nazioni tenendo conto degli Interessi speciali di alcuni Stati dell'Europa centrale». (Telespr. 242/83, Bucarest, 28 gennaio).

52

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 5. Ginevra, 28 gennaio 1933

Ieri sera ebbi comunicazione, dalla Delegazione inglese, di un nuovo piano per il disarmo; lo trasmetto in allegato tradotto (l). È questo probabilmente il risultato degli sforzi di invenzione di cui Biancheri ebbe ad informare V. E., prima della mia venuta a Ginevra.

Mi è mancato -avanti la partenza del corriere di stamane -il tempo per raccogliere le impressioni dell'ambiente. Ho però già avuto occasione di attingere, dalla bocca di Drummond, la sensazione che i compilatori danno sopratutto al piano l'importanza di un ponticello per passare, dall'inevitabile sebbene dignitoso siluramento della parte politico-militare del piano francese, ad una fase successiva della Conferenza. In tal senso vanno interpretati quei due o tre spunti del piano francese che sono stati raccolti ed inseriti nel nuovo piano britannico (per esempio I, 2).

Per la parte militare, si invita semplicemente a ricominciare a discutere e concludere rapidamente su quanto si è già discusso, senza concludere nulla, per quasi un anno.

I paragrafi 3, 4 e 5 del Cap. I traggono la origine dal piano Simon del 17 novembre 1932 e sono fatti per la Germania in special modo.

Il c no force pact ~ del paragrafo I deriva appunto dal piano Simon, ed è interessante perché -accettato dalla Germania -può costituire forse un punto fermo all'accordo in materia di nuove garanzie.

Mi manca il tempo per ulteriori commenti, che istraderò ove utile, ulteriormente.

« l) Un'affermazione solenne compiuta da tutti gli Stati europei che In nessuna circostanza essi non tenteranno di risolvere qualsiasi presente o futura divergenza fra gli Stati stessi ricorrendo alla forza.

2) Immediata messa allo studio da parte degli Stati continentali europei, e In vista della loro reciproca sicurezza, della possibllltà di realizzare accordi politici, definendo le condizioni alle quali ciascuno degli Stati stessi avrà diritto alla cooperazione degli altri Stati contraenti.

3) Applicazione del principio che le limitazioni agli armamenti della Germania e deglialtri Stati disarmati devono essere contenute nella medesima convenzione di disarmo che dovrà definire le limitazioni degli armamenti degli altri Paesi, di modo che quegli articoli della parte quinta del Trattato di VersaUles che attualmente limitano le armi e le forze armate della Germania nonché le corrispondenti disposizioni degli altri Trattati di pace debbano essere sostituiti dalla convenzione del disarmo per quanto concerr.e gli Stati disarmati.

4) Applicazione del principio che le limitazioni recentemente espresse per la Germania e per gli altri Stati disarmati debbano durare per lo stesso periodo ed essere soggetti agli stessi metodi di revisione di quelle rifle.ttentl gli altri Paesi; e l'esecuzione attraverso la conferenza del disarmo di un impegno da parte degli Stati firmatari di aprire in tempo debito trattative prima della scadenza di questa convenzione all'Intento di concludere una nuova convenzione di disarmo allo scopo di giungere ad un ulte·rlore adeguazione di armamenti.

5) Introduzione nella convenzione, per quanto concerne li materiale del principio dell'eguaglianza qualltatlva, prevedendo la realizzazione di .tale eguaglianza, se non Immediatamente dopo la sua entrata in vigore, almeno per gradi specificati. In relazione a questo punto dovrebbe venire considerata la riduzione degli eserciti degli Stati europei continentali a un tipo generale uniforme di organizzazione».

Per ora, mi sono limitato a dire agli inglesi che non ho obbiezionl ad iniziare eventualmente qualche discussione in Conferenza, anche in base a codesto loro abbozzo, se lo desiderano; ma non ho nascosto che non trovo che esso costituisca qualche cosa che, per se stesso, prometta nuovi orizzonti.

Allego un'analisi del piano stesso, fatta dall'odierno Journal des Nations (l) che mi è parsa istruttiva.

(l) SI pubblica solo Il seguente brano che contiene i punti essenziali del nuovo piano inglese:

53

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 377/29 R. Vienna, 29 gennaio 1933, ore 0,30 (per. ore 3).

Mio telegramma n. 28 (2).

Questo ministro d'Inghilterra e questo incaricato d'affari di Francia si sono recati testè dal cancelliere per chiedergli ulteriori informazioni su nota questione. Cancelllere si è riservato dare una risposta.

A quanto mi ha detto Peter predetti rappresentanti hanno rilasciato un pro-memoria contenente numerosi quesiti. Di questi Peter ricordava quelli che gli sembrano i principali:

1°) Esatte notizie non già del numero vagoni ma del quantitativo armi;

2°) Che cosa si intendesse fare di dette armi una volta riparatele stante che esse non possono restare nel paese.

Peter mostravasi preoccupato del passo e dei quesiti posti, insistendo meco sul punto della difficoltà in cui trovavasi questo Governo nel formulare sue risposte e ciò per il fatto che ad esso è direttamente nota la cosa avendo a suo tempo accordato permesso temporaneo ad importazione. D'altra parte mio interlocutore ha escluso attuale possibilità eventuale inoltro adducendo gravi rischi dipendenti estrema sorveglianza.

Mi risulta intanto che verrà esaminata eventualità mettersi direttamente in relazione con Governo italiano. Peter mi ha detto che in ogni modo per lunedi ufficio competente dovrà approntare risposte ai quesiti.

54

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 419/32 R. Ginevra, 29 gennaio 1933 (per. il 1° febbraio).

Mio telespresso n. 5 in data 28 corrente mese (3). Il segretario generale della delegazione inglese, signor Cadogan, ha detto a Soragna che il piano francese di sicurezza e disarmo non può avere alcun

successo, in quanto che America non ne vuole sapere degli obblighi conferitile da cap. l detto piano. Tutt'al più, più tardi, quando nuovo presidente e Governo americano fossero insediati, e se Stati europei riuscissero a concordare fra loro un piano di disarmo e sicurezza effettivo, America consentirebbe forse a spingersi fino ad accettare principio consultazione in base a patto Kellogg.

Attitudine Gran Bretagna, cui spetterebbe, secondo cap. Il piano francese, accettazione art. 16 del Covenant senza riserve, è naturalmente condizionata da attitudine americana e dovrebbe quindi mantenersi negativa.

Cadogan ha quindi detto che, per evitare brusco naufragio preliminare che potrebbe segnare fine disastrosa della conferenza, converrebbe, se si apre discussione sul piano francese, cominciare da cap. III, questioni europee, lasciando nell'ombra primi due capitoli che interessano la Gran Bretagna e Stati Uniti. Essere anche intenzione delegazione inglese influire sull'ufficio di presidenza affinché, appena chiusa serie dei discorsi dei primi delegati sul piano francese, vengano presentate quelle che essi denominano «proposte procedurali » e che ho inviato a V. E. ieri (V. E. avrà infatti osservato che esse hanno scopo far scivolare immediatamente discussione su assetto Europa continentale).

Soragna obiettò Cadogan che in tal modo si ripeteva subito in materia di sicurezza e garanzia, falso metodo seguito anche in materia disarmo: cominciare dai particolari subordinati anziché dai principi generali che li subordinano. Comprendeva preoccupazioni inglesi: ma d'altra parte interessi Italia esigevano che noi non si prendesse il minimo impegno in cose europee specie muovendosi fra le idee molto pericolose del piano francese in materia, senza che attitudine America e Gran Bretagna fosse in precedenza ben chiarita. Essere mia intenzione porre questa pregiudiziale senza ambagi nel mio discorso.

Cadogan pregò Soragna che rinunciassimo ogni dichiarazione che ponesse America direttamente in gioco. Soragna lo assicurò che comprendeva benissimo il suo punto di vista e che eravamo gli ultimi a voler fare cosa imbarazzasse l'America. Avremmo saputo fare in merito le nostre riserve, senza imbarazzare nessuno conservando a dette riserve un carattere procedurale anziché politico.

Tradotto in parole povere, tutto questo armeggio significa che l'America e l'Inghilterra desiderano convogliare il piano francese fino in Europa, onde cada là per mano dell'Italia e della Germania, invece che silurarlo essi stessi in precedenza sull'Oceano. Io, pur nella dovuta misura, come sopra detto, non mi presterò a tal giuoco, affinché le difficoltà inevitabili che seguiranno all'esame del piano cominciando dal centro non possano essere addossate a noi, in quanto che avremo fatto le più ampie riserve e predetto in anticipo, nel mio discorso, quanto sarà per avvenire.

(l) -Non rinvenuta. (2) -T. 361/28 R. del 27 gennaio, ore 22, non pubblicato: riferiva che il passo franco-Inglese presso il Governo austriaco per la questione delle armi non era stato ancora compiuto. (3) -Cfr. n. 52.
55

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 436/55 R. Berlino, 29 gennaio 1933 (per. il 2 febbraio).

Fra gli argomenti di cui si discorse col barone Von Neurath il 27 corrente, vi fu anche quello della neutralizzazione dell'Austria, patrocinata dal Dailv

Telegraph e subito rilevata e valorizzata dall'agenzia telegrafica cecoslovacca

di Londra.

Il barone von Neurath mi disse che la Germania sarebbe stata contraria

ad una tale neutralizzazione. La sua politica avrebbe collimato con quella del

l'Italia al riguardo. Era assurdo voler fare il raffronto fra la Svizzera e l'Au

stria. Le due posizioni geografiche erano diverse e la neutralizzazione del

l'Austria avrebbe significato l'impossibilità per l'Italia di recare soccorso al

l'Ungheria. Il barone von Neurath menzionò questa sola impossibilità; non

quella dell'Italia di passare con le proprie truppe attraverso l'Austria per por

tarle in aiuto della Germania.

Egli non riteneva del resto meritevole di troppa preoccupazione questa idea

del signor Benes.

Gli dissi a titolo personale, che a me pareva che si sarebbe forse potuto controbatteria indirettamente ponendo innanzi l'idea di una neutralizzazione simultanea della Cecoslovacchia. Barone von Neurath rispose che egli concordava in questa idea.

56

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. R. 562/325. Vienna, 29 gennaio 1933.

La questione della neutralizzazione dell'Austria è tornata in discussione.

E come risulta dalle segnalazioni di questa R. Legazione, essa è tornata sotto due versioni. La prima, che la Francia avrebbe fatto nuovi passi diplomatici per regolare in modo definitivo la situazione internazionale dell'Austria, proponendo la neutralizzazione del territorio della Repubblica Federale Ctelespresso n. 141 del 19 c.m.) (1). La seconda, che la questione fosse stata sollevata dalla stessa delegazione austriaca alla Conferenza del disarmo e messa a prezzo dell'introduzione del sistema della milizia: donde la recisa smentita ufficiale di questo governo (mio telespresso n. 198 del 23 c.m.) (l) e quella generica data « alle voci correnti » circa la neutralizzazione stessa, dal Cancelliere nel suo recente discorso a Monaco di Baviera (Mio telespresso n. 204 del 23 c.m.) (1).

La prima versione ha ricevuto un nuovo interessante commento della stampa austriaca. Lo ha fatto il Neues Wtener Journal rilevando, in una sua corrispondenza da Londra che, per quanto il Foreign Office non abbia ancora preso una posizione ufficiale nella questione della neutralizzazione dell'Austria, si può fin da ora prevedere che il Governo britannico si dichiarerebbe contrarlo al progetto stesso. Esso infatti non accetterebbe una decisione tendente al maggiore sminuzzamento dell'Europa centrale e una soluzione che porterebbe probabilmente come conseguenza una maggiore elevazione di quelle barriere che già separano paesi geograficamente legati fra loro. L'Austria -ha osservato 11 giornale -una volta neutralizzata non sarebbe vitale, sopratutto perché

9 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XIII

i paesi vicini perderebbero ogni interesse ad essa con conseguenze assai gravi per la sua economia. La dichiarazione di neutralità sarebbe dunque il primo passo per porre l'Austria sotto il dominio della Francia.

La seconda versione trova invece un diretto ed autorevole riscontro nelle recenti aperture fatte dal signor Benes al R. Ministro a Praga (telespresso di

V. E. n. 202198 del 24 c.m.) (1). Con esse Benes ha voluto ancora servirsi del ricordo della comunanza degli interessi italo-cecoslovacchi nei riguardi dell'Austria per insinuare di nuovo l'idea della neutralizzazione di questo paese, benché mettendola questa volta a corrispettivo dello «statuto militare » che potrebbe esser concesso all'Austria dalla Conferenza del Disarmo.

La questione è tutt'altro che nuova. Essa è nata fin da quando si è presentata la preoccupazione di escogitare una soluzione intermedia tra i due piani più discussi di sistemazione dell'Austria, l'« Anschluss >> e la confederazione danubiana; ed è stata, come si ricorderà, favorita dal signor Benes, il quale, nell'estate del 1931, trovò a più riprese il modo di intrattenerne il R. Ministro in Praga, nonché la nostra Delegazione a Ginevra. La questione venne allora da noi esaminata con la più grande attenzione ed il R. Governo, pur mostrandosi non ostile, ebbe tuttavia cura di non prendere una decisa posizione ufficiale nei riguardi di essa (2).

I vantaggi che deriverebbero alla Cecoslovacchia dalla neutralizzazione dell'Austria sono evidenti. Difatti, tale neutralizzazione scongiurerebbe il pericolo dell'« Anschluss », che è una vera e propria tenaglia tedesca alla gola di Praga, dando a quest'ultima una maggiore libertà di azione nei riguardi della Germania. Inoltre la Cecoslovacchia sarebbe posta in grado di esercitare tutta la sua influenza presso la Piccola Intesa, onde trarne non solo ogni possibile profitto economico, ma anche per maggiormente disporla -venuto a mancare il pericolo dell'« Anschluss » e quindi uno dei principali motivi che servono oggi di limite alla ostilità di detta alleanza verso l'Italia -alla nota politica del Quai d'Orsay cui Praga è infeudata.

D'altra parte, neutralizzando l'Austria, si verrebbe ad impedire non solo, come si è detto, una unione dell'Austria con la Germania, bensì anche, ed è questo uno speciale interesse cecoslovacco, ad impedire una eventuale unione austro-ungherese e relativa restaurazione asburgica. Infine, si verrebbe ad offrire alla Piccola Intesa il più efficace mezzo per la realizzazione dell'ambita sua meta: l'adescamento dell'Ungheria.

L'interesse per contro della Francia a elvetizzare il territorio austriaco, appare meno evidente; perché se è vero che tra gli scopi della politica francese nel centro Europa vi è quello di impedire l'assorbimento dell'Austria da parte della Germania, e se è vero altresì che qualsiasi azione tendente al rafforzamento della Cecoslovacchia e alla sottrazione dell'Austria dalla nostra sfera di influenza riesce preziosa a Parigi, non è men vero che, con la neutralizzazione dell'Austria, Parigi verrebbe a perdere il vantaggio strategico che, nella sua politica verso la Germania, le deriva dalla necessaria fondamentale coincidenza tra la sua e la nostra politica nei riguardi della questione dell'« Anschluss ».

Senonché, dal promemoria che il signor Beaumarchais consegnò a codesto R. Ministero nel luglio del '31 (1), risulta ben chiaro che il Quai d'Orsay ha sagacemente cercato di sormontare l'inconveniente dianzi accennato col tentare bensì di realizzare il mantenimento dello stato austriaco e di ovviare all'infeudamento di questo alla Germania ed all'Italia, ma con misure diverse da quella di una neutralizzazione a tipo elvetico.

Con la neutralizzazione dell'Austria resterebbero infine escluse, almeno teoricamente, determinate possibilità strategiche: possibilità che non è nella mia competenza né di accennare né di esaminare; come resterebbe insoluto il problema economico dell'Austria con l'aggravante che questa, specie se neutralizzata, potrebbe cadere sotto l'assoluta dipendenza francese.

So bene che vi sono anche delle ragioni in appoggio della neutralizzazione; e fra di esse ravviso quella di lasciare una porta aperta per un eventuale ricorso al minor male. Ma nella situazione che si è venuta formando in questi ultimi tempi in dipendenza della nostra politica verso Budapest e Vienna, e di fronte ormai alla possibilità che il problema della neutralizzazione ridiventi d'attualità, specie in rapporto alla Conferenza del Disarmo, può essere opportuno che noi si riesamini la questione stessa, e ciò sia per evitare che il nostro atteggiamento non impegnativo assunto verso di essa incoraggi l'eventuale iniziativa altrui, che per valorizzare tempestivamente ed adeguatamente, presso chi di ragione, quella decisione che solo l'alta parola di V. E. può segnare al cammino della nostra uolitica centroeuropea.

(l) Non pubblicato.

(l) -Non rinvenuto. (2) -Cfr. seria VII, vol. X, nn. 235, 337, 351, 395, 396 e vol. XI, n. 13.
57

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 403/58 R. Berlino, 30 gennaio 1933, ore 20,40 (per. ore 0,30 del 31).

Impressione prodotta da soluzione della crisi è stata a Berlino di sorpresa per numerosissimi che escludevano collaborazione Hindenburg Hitler e che non consideravano possibilità costituita da Papen al posto Vice Cancelliere.

Capitale sino ad ora è calmissima, vi è però minore movimento nelle strade perché molta gente ritiene prudente rimanere in casa. Per la sera sono stati convocati telefonicamente davanti cancelleria tutti i militi reparti assalto. Ovunque sono misure speciali polizia ed anche militari ordinari partito nazlonal-socialista hanno ricevuto ordine di tenersi pronti accorrere reprimere eventuale movimento estremista.

Regna preoccupazione notevole circoli affari a causa pregiudiziale antisemita partito nazionale socialista ed in quelli industriali timore che Hugenberg patrocini politica favore agli agrari provocando rappresaglie Stati esteri verso l prodotti industriali Germania.

Mi si assicura che alta ufficialità Reichswehr, devota Schleicher, riproverebbe, ancorché con ogni deferenza Hindenburg metodo molto spicciativo con cui ha liquidato cancelliere dimissionario, che fino pochi giorni fa era considerato uomo forte e soprattutto abilissimo tattico.

Parte ufficiali inferiori Reichswehr, invece, avrebbero negli ultimi giorni perduto fiducia Schleicher a causa troppi compromessi che egli stava assumendo verso socialisti. Ad ogni modo Reichswehr è fedelissima e non vi è da temere alcuna sorpresa da questo lato.

Sono attesi con ansia primi provvedimenti nuovo Governo che sta, intanto, cercando anche appoggio centro al quale riserverebbe ministero giustizia e comunicazioni. Se questo accordo avviene Governo potrà contare maggioranza parlamentare e governare in apparenza costituzionale pur prendendo Reichstag lungo congedo.

In caso contrario si ritiene che Hindenburg consentirebbe concedere nuovo Governo facoltà sciogliere Parlamento senza indire nuove elezioni, a condizione però che Hitler e Papen assumano responsabilità essere solidali grave atto anticostituzionale. Ciò però metterebbe Hindenburg in una situazione molto delicata.

Ognuno si domanda come faranno Hitler, Papen, Hugenberg andare accordo avendo ognuno idee proprie che ciascuno dovrà fare prevalere (l).

(l) Cfr. serle VII, vol. X, n. 395.

58

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AI MINISTRI A BUDAPEST, COLONNA, A VIENNA, PREZIOSI, E ALLA DELEGAZIONE A GINEVRA

T. R. 166 R. Roma, 30 gennaio 1933, ore 23.

Questa ambasciata britannica ha fatto ieri pervenire una nota in cui in forma confidenziale e amichevole chiede di conoscere alcuni elementi circa la nota partita di armi. Aggiunge che la richiesta è intesa ad evitare gli inconvenienti che potrebbero sorgere con una discussione pubblica della questione.

Oggi ho avuto un colloquio con gli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia sullo stesso argomento.

Mando per corriere sia copia della nota che relazione sui colloqui (2).

Nell'attesa informo avere comunicato che effettivamente su richiesta di una persona privata venne tempo addietro accordata da autorità italiane competenti una autorizzazione per la spedizione in Austria da Verona alla ditta Steyer di una partita di armi portatili ex austriache residuato di guerra che dovevano appunto essere ricalibrate e rimesse in ordine alla fabbrica di origine prima fornitrice. Non sembra che tale fabbrica abbia in alcun modo divieto di lavorazioni del genere, trattandosi non di costruzione ex nova ma di semplice riattamento.

{l) Con successivo T. 415/62 R. del 31 gennaio, ore 19,30 Cerrutl comunicò ancora quanto segue: « Hindenburg ha Imposto permanenza von Neurath, che aveva agito molto abilmente consigliando avantierl Hindenburg chiamare Hitler. Pare che argomentazioni da lui poste Innanzi e che hanno Impressionato Hlndenburg, siano state quelle che entro l'anno Germania dovrà risolvere questione trasformazione Reichswehr in esercito coscrizione o In milizia e che occorreva pertanto avere Governo for,te per combattere e vincere questa battaglia».

Comunque l'introduzione temporanea in Austria non deve considerarsi in contrasto con i trattati tanto è vero che da anni c'è un attivissimo passaggio di armamenti attraverso l'Austria soprattutto dalla Cecoslovacchia verso la Jugoslavia. Non intendiamo per ora fare ulteriori comunicazioni ai Governi che hanno fatto il passo suaccennato.

(Per Vienna e Budapest) Pregola informare confidenzialmente codesto Governo di quanto precede.

(2) Non rinvenuti.

59

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. 168/40 R. Roma, 31 gennaio 1933, ore 14.

Suo telegramma n. 46 (1).

V. E. può comunicare a codesto Governo seguente risposta R. Governo: «Il Governo italiano prende atto e ringrazia dell'invito rivoltogli col promemoria 24 gennaio, e si riserva di mettersi d'accordo col Governo degli Stati Uniti sugli ulteriori sviluppi e sulla data più opportuna per l'invio di propri rappresentanti a Washington ~.

A voce ella potrà aggiungere, come suggerisce, che si tiene a disposizione di codesto Governo per ulteriori sviluppi, ciò che del resto è implicito.

Tenga presente in linea generale che non (ripeto non) è nostro interesse di legare trattativa a quella di nessun altro paese; parimenti che non ci conviene di legarla alla trattativa di questioni economiche (quelle monetarie non es~stendo pe1r noi); che Ciil.'ca tempo discussione convdene che ci riserviamo la maggiore latitudine per decidere del momento opportuno, come avvenne per precedente negoziato; che per ora in ogni caso semb;ra :Ln mass:ima convenirci arrivare alla discussione dopo gli altri.

60

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA S. 927/169. Budapest, 31 gennaio 1933.

Mio telegramma n. 18 in data odierna (2).

l. Ho visto stamane S. E. Gombos. Mi sono espresso anzitutto nel senso del telegramma di V. E. n. 22 (3).

Mi ha risposto: «Sono molto grato al Duce della sua comunicazione, sebbene questa non mi occorresse per essere rassicurato. Non ho mai dubitato dell'infondatezza della notizia. Io ho fiducia in lui~.

2. Gli ho parlato quindi delle dichiarazioni di Titulescu (telegramma di

V. E. n. 23) (1). Mi ha detto: «Quando Titulescu, transitando tre settimane or sono per Budapest, ha fatto le sue prime dichiarazioni per un riavvicinamento ungaro-romeno, ho pensato che convenisse andare in fondo alla cosa per scoprire il suo gioco, cioè il gioco francese. Ho mandato perciò a Bucarest un giornalista di mia fiducia, con l'incarico di intervistarlo, e di sondare al tempo stesso il Presidente Vaida ed il Sottosegretario alla Presidenza di Romania. Avete letto l'intervista che ho fatto pubblicare sull'Az Est, giornale di opposizione... Leggerete, a titolo confidenziale, il resoconto degli altri colloqui, non appena mi sarà pervenuto. L'atteggiamento della stampa ungherese circa la questione è stato voluto da me; ho pure concordato con Bethlen la sua interrogazione e la mia risposta agro-dolce di venerdl.

A mio parere il gioco è chiaro: l'economia per non parlare della «cultura» e dei «sentimenti~ -è messa avanti per coprire la politica; la solita proposta politica, la proposta Benes, Tardieu, francese: l'Unione Danubiana. «Spiritualizzare le frontiere ) sarebbe, nelle intenzioni di quei signori, aprire alla Piccola Intesa le frontiere dell'Ungheria. So che altre lusinghe sono in preparazione per tentare di sottrarre l'Ungheria a quel sistema italo-germanico, che penso sempre sia il solo che ci convenga e che considero oggi più facilmente realizzabile dopo l'avvento di Hitler. Si sbagliano.

Mi è stato confidenzialmente riferito da Bucarest -in relazione al recente incontro di Re Alessandro con Re Carol, che sembra effettivamente preludere ad una più stretta cooperazione politica e militare serbo-romena, diretta forse contro la Bulgaria -che l'aiutante di campo del Re di Jugoslavia, mio antico compagno d'armi, sarebbe inviato nei prossimi giorni a Budapest con l'incarico di farmi una comunicazione segreta e personale. Se verrà effettivamente, vi terrò informato.

Nell'adottare la linea di condotta circa le dichiarazioni di Titulescu ho mirato a due scopi: quello principale, di rendermi esatto conto della manovra di politica generale; quello accessorio, ma non trascurabile, di bloccare, almeno, l'azione dei romeni nella faccenda di Hirtenberg ».

3. Ho fatto a questo punto a S. E. Gombos le comunicazioni di cui al telegramma di V. E. n. 24 (2). Mi ha risposto: «Ecco i vantaggi dell'essere una Grande Potenza. Con noi, come sapete, le cose vanno diversamente.

Per fortuna tutta questa faccenda sta perdendo importanza. È stata a suo tempo montata da Benes, per valersene in materia di disarmo; l'avvento di Hitler preoccupa adesso abbastanza i francesi; non credo la vogliano ormai più condurre fino in fondo.

Dollfuss si è portato bene da principio, poi ha cambiato. Abbiamo intercettato un telegramma da cui risulta che ha confidato al Ministro di Francia Clauzel che qualche trasporto d'armi in Ungheria era già avvenuto.

Dollfuss non è un gentleman; ma penso ormai farà quanto deve: la nomina di Hitler aumenterà subito l'intensità e l'importanza della pressione germanica a Vienna.

Conosco gli austriaci: gli ho telegrafato che tenga ferme le armi finché non avrà avuto dai francesi i quattrini che aspetta, e che poi me le mandi subito; ritengo me le manderà.

Occorre però che i Ministri d'Italia e di Ungheria a Vienna continuino a spingerlo ed a sorvegliarlo ».

Ho chiesto a S. E. Gi:imbi:is se gli era stato riferito quanto il R. Addetto Militare aveva comunicato a tale scopo al fiduciario del generale a Vienna, circa le direttive date a Roma al ten. Colonnello Oxilia la settimana scorsa.

Mi ha risposto che si, e che concordava pienamente sull'opportunità che tutte le armi fossero inoltrate in Ungheria, essendone tutt'al più rispedita in Italia -a scopo dimostrativo e sempreché indispensabile -una minima parte effettivamente riparata. «Sedicimila fucili», mi ha detto, «già sono qul, al sicuro; il resto verrà, non appena possibile. Le modalità tecniche del trasporto, anche ferroviario, sono state studiate bene».

4. Le odierne dichiarazioni di S. E. Gi:imbi:is, che -nella loro parte essenziale -ho qui sopra testualmente riferito all'E. V., hanno rafforzato in me l'impressione, già tratta da quelle fatteci in precedenza, che il generale conti,

-o quanto meno speri, fondare la politica estera del suo paese, la quale oggi sostanzialmente sembra compendiarsi in una più intensa attività per la revisione del trattato del Trianon, sull'appoggio nostro e germanico ad un tempo. S. -E. Gi:imbi:is non mi ha detto quale potrebbe o dovrebbe divenire, a suo avviso, il carattere dei rapporti economici tra i paesi destinati a far parte più (Italia, Germania, Ungheria) o meno (Austria) volontariamente -della combinazione politica vagheggiata.

Forse il generale non si rende ancora pienamente conto degli interessi, delle necessità e dei fini della politica economica italiana; forse ritiene per il momento prudente non aggiungere altro a quanto è stato già accennato in proposito da lui e dal Conte Bethlen a Roma. Data l'importanza e la delicatezza dell'argomento -che ha carattere urgente ma non immediato -non ho creduto dover cercare di approfondirlo senza una espressa autorizzazione dell'E. V.

(l) -T. 362/46 R. del 27 gennaio, non pubblicato. (2) -T. 409/18 R., non pubblicato. (3) -Cfr. n. 49. (l) -Cfr. n. 50. (2) -R!trasm!ss!one del n. 46.
61

IL MAGGIORE RENZETTI AL CAPO DELLA SEGRETERIA PARTICOLARE DEL CAPO DEL GOVERNO, CHIAVOLINI (l)

L. P. Berlino, 31 gennaio 1933.

Hitler mi ha oggi chiamato alla Cancelleria per farmi le seguenti dichiarazioni:

«Quale Cancelliere desidero dirle, perché Lei ne faccia oggetto di comunicazione a S. E. il Capo del Governo, che io dal mio posto perseguirò con tutte le mie forze quella politica di amicizia verso l'Italia che ho finora costantemente caldeggiato. Il Ministro Neurath personalmente condivide le mie idee su questo punto: vi sono però molti ostacoli da superare nel ministero stesso.

Non mi è possibile quindi compiere subito tutto quanto vorrei. Lei sa che lo non ho ancora gli elementi capaci per sostituire quelli che attualmente coprono le varie cariche nel ministero degli esteri. Ai miei uomini manca la esperienza. Ma io spero di poter gradatamente arrivare a circondarmi di miei fidi. Io vorrei avere un colloquio con Mussolini a cui intanto io La prego di trasmettere le mie espressioni di viva ammirazione e i miei omaggi. Ora posso andare dove voglio. Eventualmente io potrei recarmi in aereoplano a Roma e se occorre in via privata. Io sono arrivato a questo punto certo per il Fascismo. Se è vero che i due movimenti sono diversi, è pur vero che Mussolini ha realizzato la « Weltanschaung » che unisce i movimenti stessi: senza tale realizzazione forse non avrei potuto raggiungere questo posto. Se è vero che non si esportano idee

o sistemi, è pur vero che le idee per loro conto si espandono così come fanno i raggi, le onde,_

Io ho risposto: «Comunicherò a S. E. il mio Capo quanto Lei ha avuto la amabilità di dirmi.

S. E. il Capo del Governo, che come Lei sa ha sempre seguito con la più viva simpatia il Suo movimento e la opera Sua, sarà lieto del Suo successo e sarà anche lieto di ricevere la comunicazione che Lei mi prega di farGli. Io mi rendo perfettamente conto delle difficoltà che Lei dovrà vincere, ma sono certo, come sono stato certo in passato del Suo sicuro divenire, che Lei riuscirà a vincerle.

La politica italiana è semplice: mira a far raggiungere in Europa un accordo a quattro. Per attenerlo, occorrerebbe che Italia, Germania ed Inghilterra riuscissero ad intendersi per costringere la Francia a rimanere isolata o a entrare nella combinazione. L'accordo a quattro però non è raggiungibile se una Nazione conclude un'intesa a due con la Francia stessa.

L'Italia e la Germania oltre ad un accordo politico ed economico, possono stringerne un altro, culturale, ideale. Le due Nazioni mirano infatti, o meglio mireranno da oggi in poi, a realizzare in Europa una nuova dottrina, una nuova teoria politica. Occorre quindi che entrambe si intendano anche in questo campo per poter stringere vincoli ideali, per poter lavorare in comune a favore della nuova idea rivoluzionaria la quale deve estendersi a tutta l'Europa per far iniziare una nuova Era ».

Hitler ha ascoltato attentamente quanto gli ho detto, ha annuito varie volte ed infine mi ha pregato di restare a stretto contatto con Lui, con la stessa amiCi2lia degli anni scorsi (l).

(l) Da A C S. Segreteria particolare del Duce. Ed. In COLLIER. pp. 471-472.

62

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 462/9 R. Vienna, 2 febbraio 1933 (per. il 5).

Mio telegramma n. 31 (2). L'avvento di Hitler al potere ha indubbiamente indebolito sia il ministero Dollfuss che il movimento delle «Heimwehren ».

Per quanto riguarda il Gabinetto Dollfuss, devo segnalare che esso è venuto a trovarsi di fronte a due pericoli l'uno di destra e l'altro di sinistra.

Il primo è rappresentato dall'azione del ministro Rintelen, che cerca di trarre ogni vantaggio dal maggiore prestigio che gli deriva dalle aumentate fortune dei nazional-socialisti austriaci, che, come è noto, sono in strette relazioni con le associazioni dissidenti heimwehriste della Stiria, che Rintelen di fatto dirige.

Il Rintelen ha assunto un contegno ambiguo; e non sono da escludersi le sue dimissioni, ch'egli presenterebbe al diretto scopo di provocare una crisi e mettere così la sua candidatura al cancellierato.

D'altra parte sono a conoscenza che Dollfuss si è dichiarato pronto a cedere il suo posto a qualunque altro candidato cristiano-sociale, come lo Schuschnigg -che potrebbe ottenere l'appoggio dei pangermanisti -ma mai al Rintelen ch'egli vuole combattere a tutt'uomo, rendendo assai più pronunziata la sua spinta a destra, ed affidando, -come mi è stato riferito in confidenza -il portafogli della Guerra all'attuale ministro dell'industria, signor Jaconcig, del movimento delle «Heimwehren l),

Il pericolo di sinistra è rappresentato dall'attività che spiega l'ala sinistra dei cristiano sociali per trovare un terreno d'intesa con i socialisti, per la formazione di un cartello rosso e nero, allo scopo di eliminare la possibilità che i nazional-socialisti, in nuove elezioni, raccolgano i mandati attualmente dati ai piccoli partiti, divenendo gli arbitri d'ogni combinazione di Governo.

Pel momento Dollfuss, ad evitare quest'ultima probabilità, si propone di rinviare il più possibile le nuove elezioni, che in ogni caso non dovrebbero cadere prima del prossimo novembre.

L'indebolimento delle «Heimwehren l) è indicato infine non solo dal nuovo rigoglio delle dissidenti associazioni heimwehriste della Stiria, ma dal fatto generale del prestigio che al movimento social-nazionale austriaco è stato portato dall'avvento di Hitler al cancellierato tedesco.

I ministri Fey e Jaconcig, delle «Heimwehren l), con cui mi sono lungamente intrattenuto, mi hanno separatamente confermato la situazione suesposta. Il Fey mi è sembrato tuttavia più ottimista del Jaconcig. Egli è più deciso del suo collega nell'asserire la necessità che il Gabinetto usi del potere con mano forte e con la ferma volontà di restarvi, e ciò sia col Parlamento e sia, se necessario, senza. Anche per quanto riguarda la ripercussione dell'ascesa di Hitler sulla situazione in Austria, egli si è mostrato meco meno preoccupato del Jaconcig. Il maggiore Fey subordina difatti la misura di detta ripercussione alle reali probabilità di Hitler di restare alla direzione del Reich.

(l) -Non si pubblicano altre due lettere d! Renzettl del 23 e 31 gennaio, edite In COLLIER. pp. 467-471. (2) -T. 402/31 del 30 gennaio, non pubblicato: riferiva circa le ripercussioni in Austria dell'avvento al potere di Hitler.
63

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 465/65 R. Berlino, 2 febbraio 1933 (per. il 4).

Commenti alla situazione creatasi in seguito costituzione nuovo Governo:

l) perdura profonda impressione per liquidazione del generale von Schleici.ler che universalmente, sino a qualche settimana fa, era considerato un uomo fortissimo.

Ragioni della sua caduta in disgrazia presso il maresciallo von Hindenburg vanno delineandosi: innanzi tutto l'eccessivo suo voler trattare coi sindacati operai, poi le misure di polizia adottate per sorvegliare von Papen, uomo di fiducia del presidente del Reich che anche dopo il ritiro a vita privata conservò l'alloggio nella casa adiacente a quella in cui abita il maresciallo von Hindenburg che si recava a visitare frequentemente come amico intimo, infine i troppi compromessi coi partiti per poter rimanere al potere. In altre parole von Hindenburg avrebbe preferito un cancelliere che, per essere generale, fosse rigido, tutto d'un pezzo e invece non apprezzò il più politicante e remissivo, nei confronti dei partiti, dei propri collaboratori. Aggiungasi che, come già riferii, Ia Reichswehr si era divisa nei riguardi di von Schleicher e che -non esiste

ormai dubbio al riguardo -ad un dato momento gli amici dell'ex cancelliere si permisero di far comprendere al presidente del Reich che non avrebbero potuto facilmente ammettere una soluzione della crisi politica contraria ai loro desideri. Ne consegui una reazione immediata del maresciallo von Hindenburg che di fronte al pericolo che l'esercito si ingerisse nella politica, costituendo un precedente gravissimo, invitò von Papen e Hugenberg a mettersi ad ogni costo e colla massima urgenza d'accordo con Hitler per costituire subito il nuovo Governo nazionale. A questa fretta devono forse ascriversi i mancati tentativi di accordo col Centro con le conseguenze ormai note.

2) produssero ottima impressione gli accenni molto deferenti pel presidente del Reich contenuti nel discorso-radio pronunciato da Goering la notte del 30 gennaio e nel recente discorso-radio programma di Hitler.

I nazionalsocialisti furono molto avveduti facendo queste pubbliche dichiarazioni di gratitudine e di rispetto verso l'uomo più rappresentativo della Germania che con tanta abnegazione porta il peso che gli fu affidato dalla nazione.

3) il programma di governo non r·mtiene gran che: dimostra però serietà d'intenti nella stessa sua povertà. Oggi occorre soprattutto dar lavoro ai disoccupati, rimettere in moto gli stabilimenti industriali in modo che la Germania torni a produrre e possa consumare i prodotti agricoli caduti a prezzi troppo bassi.

Le dichiarazioni di politica estera non potevano essere più prudenti e pacifiche e non dovrebbero suscitare timori né in Francia né in Polonia.

Saranno certamente malcontenti i Soviet per l'accenno alla necessità di impedire i tentativi bolscevici di distruggere la Germania, preludio a provvedimenti severi contro il comunismo.

Ma ciò non significherà con ogni probabilità mutamento nelle relazioni amichevoli germanico-sovietiche che sono basate su reciproci interessi politici militari ed economici. I Soviet sanno, quando non possono farne a meno, sopportare con disinvoltura le avversità a cui li espone la politica della Terza Internazionale.

Osservo che il nuovo ministro della Reichswehr, generale von Blomberg fu sino ad ora comandante della P divisione a Konigsberg nella Prussia orientale e che in tale sua qualità egli fu in contatto seguito con lo Stato Maggiore sovietico per scambio di idee circa i provvedimenti da adottarsi per il caso di un

conflitto con la Polonia. Egli non sarà quindi certo animato da preconcetti o da sentimenti ostili verso l'U.R.S.S. 4) La decisione di sciogliere il Reichstag ed indire le elezioni pel 5 marzo fu presa prima che si conoscesse in modo sicuro l'atteggiamento del Centro.

Essa corrisponde ad una esatta valutazione della situazione da parte di Hitler, il quale intende sfruttare l'indiscussa popolarità di cui torna a godere dacché è andato al potere per ottenere una votazione imponente nelle prossime elezioni.

Sembra logico che nazionalsocialisti, tedesco-nazionali ed elmi di acciaio si intendano per formare una lista elettorale unica con carattere nazionale. Si afferma in proposito che questa lista porterebbe il motto «per Hindenburg e la Patria'>.

Serrata sarà certamente la lotta che farà il centro, partito compatto di tradizioni antiche, abituato ad essere l'arbitro di situazioni politiche delicate ed in questo momento irritato per la concentrazione delle forze nazionali avvenuta con rapidità da esso imprevista ed a sua insaputa e conscio che la Germania si avvia verso un Governo assoluto.

Quanto ai comunisti ed ai socialisti essi spareranno tutte le loro cartucce ma sanno che se il Governo Nazionale si afferma non avranno da fiatare nel prossimo avvenire, dato che ogni loro gesto inconsulto affretterebbe l'installazione della dittatura.

5) Il cancelliere Hitler volle ricevere oggi, per primi fra tutti i giornalisti esteri, quelli italiani. Fu redatto alla fine del ricevimento un comunicato che fu subito telefonato all'agenzia Stetani.

Mentre le dichiarazioni di Hitler verso l'Italia furono molto amichevoli, mi causò stupore ch'egli non abbia creduto di menzionare S. E. il Capo del Governo né inviargli un saluto. Deploro molto questa sua omissione che non avrebbe dovuto verificarsi se egli fosse stato meglio consigliato.

6) Finora Hitler non lasciò, come sogliano fare i nuovi cancellieri, la sua carta da visita agli ambasciatori. Suppongo che lo farà senza indugio. Dopo di che prenderò accordi per essere ricevuto da lui.

7) Le impressioni complessive che producono i primi atti del nuovo Governo sono favorevoli.

64

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA 609/225. Belgrado, 2 febbraio 1933.

Mio Telespresso n. 523/182 del 30 gennaio 1933 (l). Da fonte assai confidenziale, ma eccezionalmente sicura, mi è stato riferito che il motivo principale del viaggio di Re Alessandro e della Regina Maria a

Sinaia è stato effettivamente quello di riavvicinare definitivamente i due cognati e riappacificarli. Tale viaggio è stato preceduto da un lavorio diretto a smussare la suscettibilità reciproca per questioni di precedenza, ciascun Sovrano pretendendo a dovere essere il primo a ricevere l'altro.

La Regina di Romania sarebbe stata l'agente principale di tale incontro che ha permesso uno scambio di vedute su tutti i problemi che interessano le due dinastie.

La visita però in primo luogo rientra nella linea generale della politica jugoslava diretta in questi ultimi mesi a cercare un appoggio sempre più sicuro e deciso nella Romania colpita dai medesimi pericoli esterni che minacciano la Jugoslavia, specialmente col revisionismo.

Mi si conferma che due ufficiali superiori dell'esercito jugoslavo hanno preceduto a Bucarest Re Alessandro, tanto più che una delle questioni risolte nel convegno è stata quella del Ponte sul Danubio che ha anzitutto importanza militare e che perciò doveva essere esaminato e deciso dal punto di vista militare e strategico. Secondo il mio interlocutore il ponte dovrebbe essere costruito a Turn Severin, ciò che significherebbe un maggiore onere per la Jugoslavia per la congiunzione ferroviaria alla sua rete.

La stessa fonte nel darmi tali informazioni ha aggiunto che al Ministero degli Affari Esteri si riassumono le impressioni del viaggio di Re Alessandro in questo modo: finora l'alleanza con la Romania era una alleanza politica, ora è anche militare, che dopo la costruzione del ponte rafforzerà sempre più la reciproca funzione militare per la difesa di comuni interessi. E poiché il ponte sul Danubio permetterà la congiunzione Belgrado-Bucarest in dieci ore creando quindi una enorme facilità di comunicazioni, l'alleanza diverrà anche unione di popoli.

(l) Non pubblicato.

65

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 500/72 R. Berlino, 3 febbraio 1933 (per. il 9).

Von Biilow si mostrò stamane molto soddisfatto meco delle notizie ricevute da Ginevra secondo le quali gli ambasciatori barone Aloisi e Nadolny avevano convenuto di avere scambi di vedute circa l'atteggiamento ed il linguaggio da tenere alla conferenza del disarmo a proposito della proposta francese. Essi erano cosi addivenuti ad una ripartizione di lavoro per gli argomenti da far valere nelle rispettive dichiarazioni che erano state molto felici ed avevano pienamente servito a mostrare l'impossibilità di attuare il progetto francese.

Von Biilow mi disse che Litvinov aveva mostrato molto interesse a recarsi nuovamente a Ginevra per farvi dal suo Iato delle dichiarazioni, attese per oggi

o domani dopo quelle britanniche. Litvinov aveva transitato per Berlino senza fermarsi ed egli ne aveva avuto notizia indiretta dall'ambasciata sovietica.

66

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE S. 527/51 R. Bucarest, 3 febbraio 1933 (per. il 12).

Con mio telegramma del 25 gennaio (l), espressi a V. E. la convinzione che il convegno di Sinaja, tra i Sovrani di Romania e Jugoslavia, rappresentava una nuova fase del tentativo che questi due paesi stanno facendo da alcuni mesi, per rinverdire e probabilmente rafforzare nel campo politico e militare gli accordi che da tempo esistono fra le due nazioni, quali partecipanti al raggruppamento della Piccola Intesa.

Da informazioni raccolte, per quanto ancora non confermate, mi risulterebbe che fin dalla Conferenza di Belgrado la Jugoslavia pose agli altri due ~appresentanti della Piccoia Intesa hl problema deH'atteggiamento che Cecoslovacchia e Romania avrebbero assunto nel caso di un conflitto isolato con l'Italia. Entrambi i Governi di Praga e di Bucarest avrebbero rifiutato ogni loro concorso attivo.

Ultimamente la Romania avrebbe a sua volta fatto sentire alla Jugoslavia che essa aspirava ad un suo concorso diretto nel caso di un conflitto isolato con la Russia. Tale richiesta di assistenza deve evidentemente essere messa in rapporto con la firma del Patto di non aggressione fra la Russia e la Polonia, e con la conseguente eventualità che, nonostante l'alleanza fra Romania e Polonia, quest'ultima avesse trovato modo, in caso di un conflitto, di astenersi da una sua attiva partecipazione.

Anche la richiesta della Romania non avrebbe incontrato a Belgrado la eco aspettata.

Però, ad onta delle reciproche ripulse, Jugoslavia e Romania non hanno potuto non constatare un certo parallelismo nella loro posizione nei confronti dei rispettivi sistemi d'intesa e d'alleanza.

Da una parte il Governo di Belgrado si rende conto della crescente disapprovazione francese per la condotta degli affari interni del paese e vede al tempo stesso rafforzarsi, ogni giorno più, talune correnti dell'opinione pubblica francese che reclamano un riavvicinamento con l'Italia, ed è indotto quindi a paventare la possibilità di trovarsi isolato in un eventuale conflitto con l'Italia (di tale eventualità si sono fatti qui eco, con parole chiare da me apprese dalla bocca stessa del ministro Titulescu i consiglieri di Re Alessandro venuti per il convegno di Sinaja). Dall'altra parte la Romania per il mancato sincronismo fra essa e la Polonia nella conclusione di un patto di non aggressione con il Governo dei Soviet, si sente oggi isolata ed esposta nell'eventualità di una improvvisa crisi dei suoi rapporti con la Russia.

Deve essere quindi riuscito del tutto spontaneo il movimento delle cancellerie di Belgrado e di Bucarest per la ricerca (al di fuori, si noti, di un intervento del terzo membro della Piccola Intesa, e cioè del Governo di Praga), di un terreno d'accordo. Posto però come punto fermo, ed in ciò concordano tutte

le mie informazioni, che né la Romania intende in nessun caso dare alla Jugoslavia un contributo diretto nell'eventualità di un suo conflitto con l'Italia, né la Jugoslavia intende, a sua volta, farsi trascinare in un conflitto con la Russia, si sarebbe abbordato a Belgrado, e continuato a Sinaja, lo studio di un programma di aiuto indiretto. Cioè: la Romania avrebbe ammesso il proprio obbligo (nell'eventualità di un conflitto itala-jugoslavo) di spostare, come misura precauzionale e di eventuale pressione, un certo numero di sue divisioni verso la frontiera magiara e verso quella bulgara, in maniera da prevenire ogni possibilità di improvviso attacco delle due accennate Potenze, mentre identica obbligazione sarebbe stata assunta dalla Jugoslavia nella ipotesi di un conflitto russo-romeno.

Il signor Titulescu, nel colloquio accordatomi nella settimana scorsa, ebbe a dichiararmi in maniera enfatica, che in nessun caso la Romania avrebbe concesso alla Jugoslavia un solo uomo nella eventualità di quel conflitto isolato, con l'Italia che «la mente malata dei consiglieri di Re Alessandro» paventava in quel momento. Aggiunse essere sua convinzione che, neanche la Cecoslovacchia, in una simile deprecata ipotesi, avrebbe concesso alla Jugoslavia effettiva assistenza militare.

M. V. E. rileverà che queste parole del signor Titulescu non si trovano in contrasto <<letterale» con le informazioni che ho più sopra riportate.

Non sono in grado di dire che a Sinaja siano stati firmati protocolli o siansi verificati scambi di lettere, che sanciscono gli obblighi sopra menzionati. Mie informazioni concordanti m'inducono a ritenere che i negoziati si sono effettivamente svolti sulla linea che ho sopra tracciata. È comunque significativo, e l'ho già messo nella dovuta luce (mio telegramma n. 24) (l) che i due Governi hanno deciso di costruire il noto ponte sul Danubio, elemento essenziale di ogni più intima collaborazione militare tra i due paesi.

Passato questo momento di panico, potrà anche avvenire che le difficoltà dei raccordi ferroviari, dipendenti dalla scelta della località, ove il ponte dovrebbe sorgere, ne faranno poi effettivamente ritardare e magari rimandare alle calende greche la effettiva costruzione. Sta di fatto però, che una decisione concreta ha potuto essere presa.

A mio avviso, è la prima volta che la Romania si è lasciata indurre ad assumere qualche impegno di carattere militare, sia pure indiretto, nella eventualità di un conflitto itala-jugoslavo. Questa circostanza andava rilevata.

La contropartita che la Romania ha ricevuto, e cioè la garanzia da essa conseguita nella eventualità di un suo conflitto con la Russia, porta forse qualche luce anche su quella certa buona grazia con cui il Governo romeno ha acceduto alla nostra richiesta di lasciar cadere le note lettere allegate al patto di amicizia itala-romeno.

È !ungi da me ogni intenzione di prospettare la politica odierna della Romania come nettamente orientata contro l'Italia. La Romania, anche in vista di una possibile intesa fra Roma e Parigi, tiene a conservare con noi i più cordiali, e se possibile, i più intimi rapporti, anche perché essa si rende conto che l'attuale fase politica, che porta i suoi interessi a collimare in maniera così

perfetta con quelli della Jugoslavia, p_:.. essere passeggera, ed è comunque in funzione di uno schieramento politico in Europa, del quale non è possibile prevedere con esattezza le linee, fino a quando permangono le numerose incognite (rapporti franco-tedeschi, itala-francesi, itala-jugoslavi, questioni baltiche, ecc. ecc.), che lo rendono così incerto.

La Romania quindi, pur avendo proceduto sulla strada del riavvicinamento con la Jugoslavia, si studia tuttavia di conservare, per quanto è possibile, una certa libertà di movimento, e tanto meno sarà incline ad assumere in avvenire nuovi impegni, quanto più vedrà rimanere nel campo astratto le tendenze revisionistiche.

(l) T. 329/20 R., non pubbllcato.

(l) Cfr. n. 46.

67

IL MAGGIORE RENZETTI AL CAPO DELLA SEGRETERIA PARTICOLARE DEL CAPO DEL GOVERNO, CHIAVOLINI

L. P. Berlino, 3 febbraio 1933.

Hitler ha voluto avermi oggi a colazione: ho passato così due ore e quasi sempre senza estranei con esso. Mi ha ripetuto subito tutta la sua ammirazione per il Duce e mi ha dipinto quanto egli vorrebbe fare qualora, dopo la sua visita a Roma, il Duce venisse a Berlino. Gli voglio mostrare, scaglionate dall'aerodromo all'Albergo, ducentomila Camicie brune, mi ha detto e voglio che Egli si renda conto della popolarità e del bene che qui lo circondano (Goring ha poi rincarato la dose dicendo che uno o due milioni di persone acclamerebbero Mussolini se venisse a Berlino).

Mi sono intrattenuto poi con Hitler sulla questione «elezioni». Io ho sostenuto che egli deve assolutamente riportare, insieme ai tedesco-nazionali, una vittoria decisiva: i due partiti debbono raggiungere il 53 o il 54 % dei voti. Per ottenere ciò oltre alla propaganda, si debbono impiegare tutti gli altri mezzi legali ed illegali e glieli ho indicati e particolareggiatamente spiegati. Lo scopo da raggiungere è nobile e quindi ogni mezzo è buono. Una volta ottenuta la maggioranza, lei potrà fare quanto vorrà, essere illegale, rimanendo invece nel terreno, così caro ai tedeschi, della legalità; può infine acquistare un maggior prestigio all'estero. D'altra parte, ho aggiunto, i mezzi che io Le indico, sono stati inventati e messi in opera proprio dai democratici e dai liberali, noi fascisti non ne abbiamo certo bisogno; costoro quindi non potranno certo lamentarsi.

Su tale argomento poi mi sono intrattenuto a lungo con Gobbels e con Goring ai quali naturalmente ho spiegato ed illustrato convenientemente il da fare per spingere gli operai a votare per le Camicie brune o per indurii di astenersi dall'andare . a deporre la scheda e via via di seguito.

Non è certo impresa facile quella di indurre i tedeschi cosi formali, cosi attaccati alle disposizioni e alle consuetudini, ad agire irregolarmente. Pure io conto di indurii a farlo. Io ho dichiarato loro che se non riusciranno ad ottenere la maggioranza assoluta dei voti, verranno a trovarsi in una posizione particolarmente delicata. Lo scioglimento del partito comunista, ho detto, non

basta: bisogna convincere la Nazione che voi siete i più forti, che voi avete il diritto di governare come meglio vi piace. Io sono molto a contatto con i vari elementi di destra a cui fornisco indicazioni, consigli, avvertimenti.

68

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, E IL CAPO DELLA SEZIONE ACCORDI COMMERCIALI DEL MINISTERO DEGLI ESTERI AUSTRIACO, SCHÙLLER

APPUNTO (l) . Roma, 4 febbraio 1933.

Il Ministro Schiiller porta al Capo del Governo i ringraziamenti del Can· celliere Dollfuss per l'appoggio avuto dal Governo italiano, appoggio che, a quanto ha riferito il Ministro Auriti, sarà continuato anche per l'avvenire.

Il Signor Schiiller dice di essere a Roma per questioni di carattere tecnico.

In primo luogo è intenzione dell'Austria di abolire le «Devisen-Ordnung » nei riguardi dell'Italia. La situazione austriaca del commercio fra i due Paesi è tale che l'Austria può prendere questa disposizione, nei riguardi del nostro Paese, senza incorrere in eccessivi rischi.

Il Signor Schiiller ha parlato al riguardo anche col Ministro Jung.

Il Ministro Schiiller, venendo a parlare dei problemi vitali per l'Austria nel campo economico dice che la crisi ha dimostrato che il suo Paese non può vivere se non trova degli sbocchi alla sua produzione. L'industria austriaca è completamente a terra, ridotta come è stata la esportazione del 60 %. È sempre opinione dei circoli economici austriaci che un sistema basato sul libero scambio commerciale dell'Austria con l'Italia e l'Ungheria, al quale potrà poi aggiungersi se le circostanze politiche lo permetteranno, anche la Jugoslavia, sia la soluzione migliore.

Il Ministro Schiiller vede la possibilità di arrivare a questo risultato -senza adoperare dei termini che possano sollevare delle forti opposizioni da parte di terzi attraverso un allargamento del regime del Semmering, ideato dal povero consigliere Brocchi e poi completato dall'attuale Ministro delle Finanze Jung.

11: sua convinzione che l'importanza di questo sistema, che egli qualifica un «capolavoro», non è ancora sufficientemente apprezzata e non è neanche, e questa è una fortuna, compresa dagli altri. Basti dire che tale sistema contempla già delle facilitazioni per un importo di 19 milioni e che tutti i dazi pagati dalle merci austriache che importano in Italia ammontano a 28 milioni. Questo dimostra come si sia già più vicini di quanto non sembri quando fossero applicate completamente le disposizioni attuali ad una soluzione integrale del problema.

Il Signor Schiiller osserva però che questo sistema non potrà avere una larga applicazione e non potrà portare ai risultati desiderati se non si elimineranno le opposizioni delle amministrazioni ai turbamenti del regime economico attuale.

Il Capo del Governo riconosce senz'altro che il primo passo che s'intende fare -l'abolizione delle restrizioni delle divise nei riguardi dell'Italia -gli pare un ottimo provvedimento, ottimo sia perché avrà un benefico effetto nei rapporti fra i due Paesi, sia perché è un atto di rinsavimento di fronte a tutti i provvedimenti anche razionali che oggi portano l'economia mondiale su una falsa strada, provvedimento quindi atto ad avere una benefica ripercussione anche all'estero.

Per quanto riguarda il problema più vasto sollevato dal Ministro Schiiller, Egli deve riconfermare in questa occasione quelle che sono state sempre le sue idee e che non ha ragione di mutare. Fin dal 19 gennaio (1931) Egli ebbe a dichiarare nettamente al Conte Bethlen, allora Presidente del Consiglio ungherese, che Egli era favorevole ad una unione doganale fra Italia, Austria ed Ungheria (l). Se la parola unione doganale è atta a suscitare delle difficoltà di ordine internazionale, Egli non insiste affatto per mantenerla.

Non è feticista per la parola, è invece feticista per la sostanza ,delle cose quando ciò risponda ad una propria convinzione. Crede che il metodo proposto dal Ministro Schiiller sia buono ed è lieto dell'elogio da lui fatto del defunto Consigliere Brocchi, che egli stesso ha apprezzato come funzionario, oltre che intelligente, integro e devoto fino ad una forma di ascetismo.

Il Capo del Governo non si preoccupa della opposizione dei tecnici. I tecnici sono necessari, non se ne può fare a meno, ma bisogna che le loro ragioni non trascendano dal campo in cui possono essere utilmente applicate. La tecnica non può dominare la politica, ma deve esserne invece l'ausilio. Egli ritiene che gli accordi tendenti ad un libero scambio commerciale fra l'Italia e l'Austria debbano essere applicati anche all'Ungheria e non esclude che in un secondo tempo si possano estendere alla Jugoslavia. Egli pensa anche che un provvedimento del genere potrà essere un esempio ed uno sprone anche per gli altri paesi se non vogliono intristire tra la muraglia di una economia chiusa,

o come si dice oggi, autarchica.

Perciò forse sarà bene che i provvedimenti si concretino prima della Conferenza Economica Monetaria Mondiale, che si riunirà presumibilmente a Londra nella estate avanzata.

Il Capo del Governo chiede al Signor Schiiller quale sarebbe secondo lui il procedimento per l'applicazione dei principi.

Il Signor Schiiller ritiene che convenga procedere per tappe -due o tre attraverso un allargamento di contingenti fino ad arrivare circa in due anni alla libertà completa. Ci potrà essere qualche eccezione: ad esempio gli acciai austriaci o il vino italiano, per cui converrà mantenere forse per più tempo il contingentamento.

Il Capo del Governo ritiene che la prima tappa potrebbe essere il contingentamento delle merci sulla base dello statu quo attuale, merci che, beninteso con l'applicazione del sistema, sarebbero libere da diritti doganali.

La seconda tappa, poi, potrà essere l'abolizione per la massima parte dei prodotti dei contingenti in maniera che le importazioni sarebbero libere come quantitativo e libero come dogana. Egli crede che converrebbe preparare tutto

IO -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XIII

il piano di applicazione prima della Conferenza Economica Mondiale per metterlo in vigore subito dopo la Conferenza. Alla Conferenza stessa si potrebbero annunciare gli accordi nella forma opportuna.

Il Capo del Governo approva questo modus procedendi, e dà incarico al Sottosegretario Suvich di prendere gli opportuni contatti con gli altri Ministri interessati.

(l) Al colloquio era presente Suvich, autore del presente appunto.

(l) Cfr. sel'ie VII, vol. X, nn. 4 e 34.

69

IL CONSOLE GENERALE A MONACO DI BAVIERA, PITTALIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA 522/4 R. Monaco di Baviera, 6 febbraio 1933 (per. il 10).

Ho profittato di una brevissima sosta di Hitler a Monaco di Baviera (ripartito questa sera stessa per Berlino) per fargli una visita di felicitazioni.

Nel corso della conversazione assai cordiale, Hitler ha ricordato i molti anni di lotta compiuta: «lotta dura, asprissima, egli mi ha detto, e che non è ancora finita. Questa è soltanto la prima tappa».

Entrato subito nel campo della politica estera, il neo cancelliere ha tenuto a confermare ancora oggi quella che è stata sua ferma convinzione: la necessità di agire in piena intesa con l'Italia e l'Inghilterra in una essenziale pacificazione. «Ma, egli ha aggiunto, mentre nei riguardi Gran Bretagna tale convinzione mi è soprattutto dettata dal ragionamento, nei riguardi invece dell'Italia è anche il cuore che mi ispira e la stretta parentela fascista che ci unisce. Io ho sostenuto idea del ravvicinamento all'Italia due anni prima fascismo, e il grandioso avvenimento della marcia su Roma ha rinsaldato il mio convincimento. Germania e Italia sono i paesi che per assicurare l'equilibrio in Europa devono rafforzarsi e operare unitamente per sventare a qualunque costo le pretese egemonie della Francia. Questa collaborazione avrà una delle sue più immediate palestre a Ginevra».

Il cancelliere si è mostrato tuttavia scettico sui risultati della conferenza Ginevra ed ha aggiunto: «a Ginevra o fuori Ginevra, la Germania affermerà il suo diritto, sicura di contare sulla comprensione e la collaborazione italiana. Il fascismo è una forza che si deve imporre al mondo; questo ideale comune ci farà sempre più forti e uniti».

Sulla questione dell'Alto Adige, Hitler ha egualmente tenuto a confermare oggi quanto egli affermò sino dall'inizio del suo movimento: per quanto possa costare al suo cuore e alla sua fede di nazionale germanico che, già studente a Vienna ed allora suddito austriaco, lottò per il principio della nazionalità contro la monarchia asburgica, egli è pienamente compreso delle necessità strategiche che impongono all'Italia mantenimento confine del Brennero, ed è convinto che la sorte di qualche migliaio di ex-cittadini germanici non ha e non deve avere influenza nei rapporti con l'Italia, tanto più che il rafforzamento di tali rapporti, quale è nel suo desiderio e nel suo programma potrà importare un miglioramento e un attenuamento della questione.

Ad un mio cenno sullo sfruttamento continuo che della questione alto-atesina si fa in Baviera, Hitler ha rilevato con sdegno che la Baviera dovrebbe essere l'ultima ad accampare assurde rivendicazioni paternità alto-atesine, dopo le persecuzioni di cui proprio essa ha fatto oggetto Andrea Hofer ed ha aggiunto: «In Baviera fino a ieri si è pensato solo a fare politica di partito e di intrighi di pura marca parlamentare. Ma anche in questo stiamo per mettere ordine».

Non so né ho creduto opportuno cercare di precisare se in tali parole con le quali si è chiuso colloquio possa scorgersi allusione al proposito che qui si paventa dell'invio di un commissario del Reich anche per Baviera. Esse confermano in ogni modo quanto rilevato col mio telespresso n. 1413 2 corrente (l) circa le non liete disposizioni che il « particolarismo » del Governo e partito popolare bavarese possono attendersi oggi così da von Papen come da Hitler cui movimenti hanno sempre opposto la più cieca e partigiana ostilità.

70

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. RR. 563/326. Vienna, 6 febbraio 1933 (per. il 10).

Mio telegramma per corriere n. 462/9 del 2 febbraio (2).

Il Principe Starhemberg mi ha stamane lungamente intrattenuto sulla situazione interna, sostenendo che l'avvento di Hitler al potere non aveva finora prodotto vere e proprie ripercussioni su di essa. Ha soggiunto che, a suo modo di vedere, di ripercussioni potrà parlarsi solo in seguito ed in rapporto all'esito delle elezioni generali tedesche.

Egli ha poscia osservato che, pel momento, detto avvenimento aveva prodotto due opposte conseguenze: l'una favorevole, col segnare un nuovo importantissimo successo delle teorie fasciste, e quindi col ravvivare le fortune delle « Heimwehren » ed in generale delle tendenze di destra; l'altra sfavorevole, col dare ai nazionalsocialisti austriaci il modo di aumentare il loro credito presso le masse elettorali, e sovrattutto i loro già cospicui fondi di propaganda, e col provocare il grave pericolo d'una coalizione rosso-nera nelle future elezioni politiche.

Ciò premesso, il mio interlocutore mi ha confidato che, d'accordo con i due ministri delle « Heimwehren » -cioè Fey e Jaconcig -la direzione del movimento ha stabilito di fronteggiare senz'altro la situazione con mezzi energici, e tali da comprimere seriamente l'attività e la tracotanza dei socialisti. Ha precisato che il Segretario di Stato per la Sicurezza, Fey, procederà pertanto intensamente alla soppressione degli armamenti socialisti, continuando così nella via che è stata iniziata col recente sequestro del deposito d'armi di Wiener Neuestadt (mio odierno teleposta 311) (1).

In proposito, il mio interlocutore ha precisato che tale importante sequestro è avvenuto senza che il Fey ne avesse data alcuna previa notizia al Cancelliere: una cautela che, a suo dire, è necessario adottare sia per evitare la dl lui opposizione a misure del genere, constando ormai alle «Heimwehren » che se il Signor Dollfuss è disposto a subire i fatti compiuti, non lo è affatto ad autorizzarli, e sia per non metterlo in troppo aperto attrito coi «leaders » socialisti.

Il Principe Starhemberg ha qui insistito sulla necessità di procedere senz'alcun indugio a dar forza e prestigio all'attuale Governo con azioni positive ed energiche. Al riguardo, egli ha detto che il Presidente del Consiglio ungherese, Géimbi:is, gli aveva dichiarato pochi giorni fa che le « Heimwehren », nel caso di un loro movimento rivoluzionario, potrebbero contare su rifornimenti di viveri dall'Ungheria.

Starhemberg mi ha annunziato infine che nella settimana entrante si recherà a Roma, dove spera essere ricevuto da V. E.

(l) -Non pubbllcato. (2) -Cfr. n. 62.
71

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. 465. Londra, 6 febbraio 1933 (per. il 15).

Rispondo alla tua gradita del 27 gennaio u.s. (1).

Sono lieto che anche da costi si veda come sia veramente notevole l'inteil'esse che i circoli politici inglesli. stanno prendendo per la questione Croata. Modestia a parte, l'opera che sta svolgendo in tal senso da tre mesi a questa parte l'Ambasciata d'Italia, non è stata priva di successo. Spero che il Duce sia soddj_sfatto, e tu puo1 assicurarlo che nulla rimane intentato in questo campo.

Circa quanto il Duce desidera sapere, se cioè mi sembri possibile rche la questione sia portata ai Comuni, rispondo: difficile, ma possibile. Il Governo non des1dera naturalmente, che la questione venga sollevata in Parlamento, e poiché alla Camera dei Comuni non accade nulla di dissimile di quanto accade al Parlamento Italiano e cioè che, quando il Governo invita un deputato a non sollevare una questione, nove volte su dieci il deputato aJccede all'invito rivoltogli dal Governo, così la cosa non si presenta senza difficoltà. Io ho già presi contatti con Lord Noel Buxton, Bailey e Rhys Davis, e forse essi riusciranno a girare la questione.

Circa Ginevra io mi sono spesso domandato, e mi domando, perché i Croati non hanno ancora usufruito di questo megafono internazionale per dar sempre maggior pubblicità alla loro questione. Il Duce ricorda certamente che un anno fa io gli portai Pavelric a Palazzo Venezia per d~scutere circa la fondazione di un giornale ·croato a Ginevra. Fu dato per questo al Pavelic una buona somma di denaro. Del giornale non uscì se non un primo numero e assai mediocre.

Ma, a parte il giornale, la cui utilità è sempre discutibile, io ritengo ad esempio che l'invio di petizioni al Consiglio della Società delle Nazioni, petizioni in cui dovrebbero essere documentate le violenze serbe in Croazia e denunziata sistematicamente la tirannia di Belgrado, sarebbe una cosa utile. È ben vero che tali petizioni sarebbero probabilmente dichiarate irri<cevibili da'l Sottosegretariato, ma il valore morale di esse non sarebbe diminuito per ciò e non è escluso che qua}che membro del Consiglio se ne potesse servire all'occorrenza, presentandosi la buona occasione. Documenti di tal genere avrebbero poi indubbiamente vasta ripercussione nella stampa internazionale.

Valga ad esempio il precedente sulle minoranze ucraine. È bastato che Lord Cecil, spinto a sua volta dai laburisti inglesi, abbia dichiarato la sua volontà di portare la cosa al Consiglio perché la questione abbia raggiunto, ad un dato momento, proporzioni imprevedute e assai maggiori di quelle assunte precedentemente in simili occasioni. È ben vero che la questione delle minoranze ucraine è diversa da quella relativa alla Croazia. Ma perché non tentare di precostituire delle posizioni vantaggiose contro la Serbia, anche in questo terreno?

P. S. -È appena superfluo dire che il Foreign Office non gradisce affatto questa campagna anti-serba nella stampa e nella pubblica discussione. Cito un episodio: quando il Kossutich è venuto a Londra, invitato dal R. Institute of International Affairs, la Legazione serba ha chiesto ed il Foreign Office si è adoperato ad ottenere che al Kossutich fosse rifiutato il permesso di sbarco. Non siamo più ai tempi di Palmerston! L'Institute of International Affairs ha protestato e solo allora il Foreign Office ha concesso il nulla osta allo sbarco del patriota croato.

(l) Cfr. n. 47.

72

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 487/76 R. Berlino, 7 febbraio 1933, ore 21,10 (per. ore 23).

Ministro Kanya che incontrai ad una colazione, mi ha preso in disparte per dirmi avere stamane recato Hitler messaggio Gomboes. Esso lo felicita per sua assunzione cancelliere, esprime voti che politica dei due paesi continui essere amichevole, chiede che la Germania faccia concessioni Ungheria in materia tariffe doganali, propone che minoranze tedesco-magiare Stati successori si tengano più concordi che per il passato onde darsi reciproco aiuto lotta rivendicazioni nazionali, domanda che la Germania e l'Ungheria procedano intimamente unite questioni relative disarmo parità diritti. Hitler gli aveva risposto ringraziando e aderendo interamente proposte Gomboes. Aveva aggiunto che propria politica estera avrebbe avuto come caposaldo fondamentale stretta intimità con l'Italia. Conoscendo cordiale amicizia che lega Ungheria all'Italia, era certo che a Budapest avrebbe fatto gradita impressione conoscere quanto precede e che si sarebbe ivi compreso come Germania desidera mantenere anche con Ungheria stessa politica intima. Hitler aveva aggiunto che in politica economica non occorreva essere sognatori. Era assurdo parlare oggi trattamento doganale uguale da farsi a tutti gli Stati. Era fautore politica accordi preferenziali f,ra gruppi Stati menzionando Germania, Italia, Austr,ia, Ungheria. Disse aver constatato in questi pochi giorni di Governo come ministero esteri e rappresentanti tedeschi all'estero fossero animati scarso spirito combattività e preferissero quietismo che era oramai fuori di luogo.

Egli avrebbe pensato porre rimedio questo stato di cose.

Erravano coloro che credevano che egli potesse cedere presto potere ad altri. Era determinato conservarlo a lungo e rigenerare Germania. Kanya mi ha detto avere riferito esattamente colloquio pensando farmi

cosa gradita.

L'ho ringraziato esprimendogli dal mio lato certezza che egli dovesse essere soddisfatto assumere fra pochi giorni direzione politica estera Ungheria dopo aver udito dichiarazioni così esplicite cancelliere.

Dovevamo ora tutti collaborare programma politico corrispondente reciproci nostri interessi.

Mia impressione è stata che Kanya, nel recare ad Hitler messaggio redatto secondo la propria idea personale intesa avviare politica ungherese sulla stessa strada quella tedesca, abbia però trovato Hitler fermamente deciso fare politica estera basata intima collaborazione coll'Italia che, tuttavia, non esclude, anzi implica adesione ad essa Ungheria e Austria.

Di fronte tale constatazione e probabilità durata cancelliere Hitler, Kanya aveva dovuto quindi fare buon viso e indursi prima di partire per Budapest manifestarmi sentimenti soddisfacenti in proposito.

Kanya mi ha confermato che partirà 9 corrente.

73

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 491/78 R. Berlino, 7 febbraio 1933, ore 21,10 (per. ore 0,30 dell'B).

Scorsa settimana siamo stati tutti ammalati influenza all'ambasciata ed anche io dopo averla trascinata in piedi per vari giorni, dovetti coricarmi due giorni ragione per la quale non ho potuto avere molti contatti.

31 gennaio scorso ho detto a Renzetti venuto vedermi che ritenevo dovessimo attendere da cancelliere Hitler sollecito invio telegramma caldi saluti E. V.

Non ho più visto Renzetti sino a stamane.

Alle sue dichiarazioni di essere stato tutti i giorni scorsi contatto continuo con Hitler Goering (l) ed altri partito nazional-socialista e «Elmi d'Acciaio» ho osservato come mi avesse stupito costatazione che telegramma di cui gli avevo

parlato non fosse stato inviato e come anche in occasione ricevimento giornalisti italiani, atto che avevo molto gradito, Hitler non aveva creduto menzionare nome del Duce. Renzetti ha risposto quanto al secondo punto che Hitler non era stato evidentemente bene consigliato e quanto al primo esprimendo maggior meraviglia dato che Goering gli aveva rimesso da vari giorni copia telegramma compilato per essere inviato a Roma. Egli era talmente convinto che telegramma è sicuramente partito, che non soltanto non me lo aveva portato ma non lo aveva neppure inviato in copia a V. E. Renzetti attribuisce mancato invio azione ministero degli affari esteri che considera per ragioni che ignoro ispirarsi sentimenti non favorevoli verso l'Italia.

Mi ha domandato anzi spiegazioni in proposito che ho evitato dargli. Renzetti mi ha detto che del resto vi è certamente malumore verso Italia anche in seno al partito nazional-socialista.

Ho osservato che non lo comprendevo perché commenti stampa italiana per nuovo Governo erano stati coro solo lodi e auguri. Egli ha precisato che Goering aveva avuto sentore commenti poco lusinghieri del Duce a suo riguardo per annunzio da lui dato dicembre scorso al banchetto Volta assunzione potere Hitler e per conseguente suo ritorno in volo a Berlino mentre la notizia era infondata (l).

Renzetti crede che nuovo ambasciatore di Germania a Roma semini zizzania. Io gli ho detto aver udito qui che Hassell è in ottimi rapporti con partito nazional-socialista.

Renzetti invece sostiene che Hitler lo vuole sostituire e che vuole anche liberarsi di von Neurath mettendo suo posto von Papen. Dice aver fatto sì che Hitler ottenesse da von Neurath assunzione posto capo personale ministero degli affari esteri, tra breve disponibile, di von Bulow nipote ex Cancelliere e amico personale Renzetti. Dice che Hitler gli ha manifestato intenzione recarsi appena possibile a Roma probabilmente in volo.

Ritengo che pensi a tal mezzo locomozione più che per velocità per non dover traversare Alto Adige. Renzetti che a me non disse nulla menzionò a ~'11nsigliere ambasciata sua intenzione recarsi prossimamente a Roma.

Incontrerò e conoscerò domani sera Hitler al pranzo che presidente della repubblica offrirà capi missioni estere.

(l) Renzett! si era Incontrato con Goer!ng !l 5 febbraio, come risulta da un suo rapporto dello stesso giorno, mentre per l'Incontro con Hitler cfr. n. 67.

74

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO

TELESPR. 204076/78. Roma, 8 febbraio 1933.

Nota di codesto R. Ministero n. 40153 del 7 Gennaio c.a. (2).

In risposta alla nota sopracitata, questo R. Ministero ha il pregio di informare codesto che, condividendo le considerazioni svolte a proposito della

presente situazione nell'Ogaden, concorda per parte sua, allo stato attuale delle cose, nella linea di condotta proposta da codesto stesso Ministero verso le popolazioni d'Ogaden.

Nel consentire eventualmente l'ingresso in Somalia di qualche gruppo di dette popolazioni, questo Ministero ritiene che S. E. il Governatore della Somalia terrà presenti le istruzioni di massima da codesto Ministero d'accordo con lo scrivente già impartitegli, e risultanti dal telespresso n. 47200 del 6 agosto 1932 di codesto Ministero (1).

Per quanto si riferisce ai fondi da mettersi a disposizione di S. E. Rava per l'azione politica nell'Ogaden, questo R. Ministero si riserva, appena possibile, ulteriori comunicazioni (2).

(l) -Con t. rr. 241/48 R. del 14 febbraio Suvlch autorizzò Cerrutl a «dichiarare che tali commenti non sono mal esistiti». (2) -Cfr. n. 14.
75

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R.RR. 605/353. Vienna, 8 febbraio 1933 (per. il 24).

Mio telespresso n. 326 del 6 corrente (3).

Il Segretario per la Sicurezza Maggiore Fey è venuto a vedermi.

Dopo avermi parlato dell'attività dei nazional-socialisti austriaci e della possibilità di un loro colpo di stato (specie nel caso in cui Hitler ottenesse nelle prossime elezioni una maggioranza sua propria) mi ha intrattenuto sul movimento di reazione che si delinea nei social-democratici, prospettandomi l'ipotesi di una qualche loro violenta azione. Ne ha dedotto che, stante i due opposti pericoli, l'attuale situazione interna austriaca richiede più che mai una estrema vigilanza ed azioni atte a fortificare sempre più il Governo.

All'uopo le « Heimwehren » sarebbero decise a sventare il maggior pericolo, quello socialista, diminuendo quanto più possibile la forza che ai social-democratici proviene dalle note organizzazioni armate dello « Schutzbund ».

Il Maggiore Fey ha attirato a tale riguardo la mia attenzione sul sequestro di armi avvenuto a Wiener Neustadt (Mio telespresso n. 311) (l): un'azione che aveva indispettito e preoccupato profondamente i « leaders » socialisti. Ha aggiunto che egli aveva ormai individuato i 150 depositi d'armi dello « Schutzbund », !asciandomi comprendere la sua decisione a proseguire nelle iniziate azioni repressive. Cosicché occorreva esaminare due ipotesi: o la rassegnazione dei socialisti al fatto compiuto o la loro reazione contro le << Heimwehren ». In tale ultimo caso sorgerebbe dunque la necessità di agire con mezzi del tutto eccezionali, che potrebbero andare fino al colpo di stato.

Ciò premesso, il Segretario di Stato per la Sicurezza ha concluso che sia nell'evenienza di reazioni socialiste, e sia nella evenienza di un eventuale colpo

di testa da parte dei nazi-austriaci, le « Heimwehren » desideravano poter esser sicure dell'appoggio morale e materiale dell'Italia. Ha insistito sul punto che il primo è ad esse necessario per accrescere il loro ascendente sulle masse, ed il secondo per poter approntare i mezzi materiali indispensabili.

Al riguardo il Maggiore Fey mi ha fatto chiaramente intendere che lo scopo principale del viaggio del Principe Starhemberg a Roma è proprio quello di ottenere gli appoggi in questione.

(l) -Non pubblicato. (2) -Il presente telespresso fu sottoposto da Buti all'approvazione di Mussolini con una relazione del 3 febbraio. (3) -Cfr. n. 70.
76

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 501/79 R. Berlino, 9 febbraio 1933, ore 13,34 (per. ore 16,35).

Riferisco estesamente per corriere (l) circa pranzo offerto ieri sera presidente della repubblica al quale assistette Hitler.

Nel colloquio avuto con lui ai miei ringraziamenti ed al mio compiacimento per saluto datogli da stampa italiana, Hitler ha risposto che commenti italiani erano stati «veramente favolosi» e che gli erano riusciti particolarmente graditi.

Ha manifestato in seguito speranza poter appena possibile recarsi a Roma per conoscere personalmente V. E., vedere opera da lei compiuta ed esprimerle tutta la sua ammirazione. Ha detto che da molti anni sincero fautore collaborazione politica italo-tedesca, era lieto trovarsi ora in grado dare attuazione pratica tale sua convinzione. Parlando situazione politica generale, Hitler ha detto che non si può pensare ad una reale pacificazione animi sino a quando non sia ristabilito equilibrio perfetto delle forze ed ha precisato anzi, sino a quando Germania non sia altrettanto forte che Francia.

Egli ha aggiunto che Francia e Germania non potranno cercare terreno intesa prima di allora perché tedeschi nutrono verso i francesi risentimento per torti subiti ed i francesi hanno coscienza sporca trattamento fatto a tedeschi.

77

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 542/86 R. Parigi, 9 febbraio 1933 (per. il 13).

Ho fatto questa mattina la mia prima visita al presidente del consiglio. Dopo il consueto scambio di cortesie il signor Daladier ha accennato alla

oscura situazione ~internazionale. Ho osservato che si notava infa.tti una certa nervosità nell'Europa centro-balcanica e specialmente nel settore jugoslavo, dilaniato da una profonda crisi interna. Segni non dubbi permettevano anzi di affermare che in alcune sfere dirigenti di quello Stato si pensasse a una guerra contro l'Italia come a un mezzo decisivo di rinsaldare la scossa compagine dello Stato.

Il presidente del consiglio mi ha detto che non gli risultava e che non credeva che la Jugoslavia nutrisse propositi di guerra. Mi sono servito allora di alcuni dei dati di .fatto dall'E. V. fornitimi col pregiato telespresso del 31 gennaio scorso n. 203137/C (1). Ho dato risalto al diuturno lavorio di provocazione verso di noi e di eccitazione della popolazione che si svolge al di là delle nostre frontiere orientali, mi sono riferito alle parole di velata minaccia e ai frequenti a·ocenni a un prossimo conflitto che partono fino dalle più alte autorità dello Stato jugoslavo. A tutto questo armeggio interno, ho detto, si era aggiunto, da ultimo, il linguaggio dei corrispondenti speciali inviati in Jugoslavia dai più importanti giornali parigini. I governanti e il popolo jugoslavo non avevano invero bisogno di essere esaltati oltre misura. Se si desidera veramente di conservare la pace, ho osservato, è questo il momento di pesare con saggezza le parole.

Ma alla voce dei giornalisti se ne era aggiunta una più autorevole, quella del signor Herriot, capo autorevole del partito radica-socialista, ex presidente del consiglio. Ho informato il signor Daladier di avere assistito alla conferenza «Francia e Europa Mediterranea » che il signor Herriot ha ripetuto il 7 corrente alla sala Gaveau dopo averla pronunciata una prima volta all'università des annales.

Non ho nascosto che avevo anche fatto stenografare la conferenza della sala Gaveau, perché i commenti dei giornali sulla conferenza tenuta all'università degli annali mi avevano fortemente impressionato. Ho dichiarato al presidente del consiglio che le persone che hanno ascoltato il signor Herriot e che non avendo della politica italiana e del fascismo un'idea propria, avevano formato il loro giudizio su quello dell'ex presidente del consiglio, sono certamente uscite dalla sala Gaveau convinte, sulla fede delle parole del capo autorevole del partito radicale, che l'Italia prepara la guerra. Per parte mia non riuscivo a rendermi conto come mai l'uomo che a Tolosa aveva pronunciato le parole che tutti conoscono, alla distanza di pochi mesi in circostanze immutate, servendosi di citazioni frammentarie alcune volte errate, deformasse fatti e situazioni fino al punto di presentare ai suoi uditori un quadro falsato della politica estera italiana. Forti del nostro pacifico atteggiamento noi non siamo preoccupati, ho detto al signor Daladier, ma stimiamo necessario di stabilire posizioni e responsabilità.

Il presidente del consiglio non conosceva il testo del discorso di Herriot, ma se lo sarebbe procurato. Ma ha detto che si rendeva conto dell'importanza del mio passo e che mi ringraziava delle mie parole «très nettes ». Ha osservato che il riavvicinamento fra i nostri due paesi non è problema facile, da presumere il volere risolverlo in fretta. Ho replicato che condividevo il suo

apprezzamento e che da parte mia come non mi ero lasciato trasportare in passato da facili entusiasmi, mantenevo ora una calma fiduciosa.

Il presidente del consiglio si è !agnato acerbamente nel corso della conversazione del linguaggio della nostra stampa. Gli ho risposto che la Francia ha a Roma nella persona del corrispondente del Temps un giornalista che non lascia sfuggire occasione per rammentarci che ci è sinceramente avverso. I nostri giornalisti sono a volte irruenti, ma il signor Gentizon, dandosi l'aria di critico imparziale, spiega un'attività nefasta.

(l) T. per corriere 531/83 R., pari data, non pubblicato.

(l) Non rinvenuto.

78

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR.520/43-44 R. Vtenna, 10 febbraio 1933, ore 22 (per. ore 7 dell'11).

Avendo appreso stamane che questo Governo aveva deciso rinviare in Italia

10.000 fucili, ho chiesto testè cancelliere se egli si fosse messo previamente d'accordo con Roma, giacché modo di vedere del R. Governo (di cui al telegramma di V. E. n. 27 del 27 gennaio) (l) non mi pareva conforme predetta decisione.

Cancelliere mi ha detto:

1° -Che al Governo federale è giunta notizia che Piccola Intesa e i Governi di Parigi e di Londra hanno in animo di procedere a nuovo passo a Vienna;

2° -passo, che potrà pregiudicare concessione prestito, sarebbe stato eliminato con immediata e palese dimostrazione buona fede austriaca in questione armi;

3° -che Governo si preoccupava del fatto che solo sull'Austria è caduta la responsabilità della cosa;

4° -che pertanto aveva pensato a predetta rispedizione la quale, stante quantità denunziata e possibilità ulteriori importazioni, non pregiudicherebbe in nulla divisato corso operazioni.

Ho obbiettato che a mio parere 10.000 fucili erano troppi e che loro rispedizione senza previ avvertimenti, a così breve distanza dall'arrivo nel paese, poteva dare impressione che Italia e Austria, ammettendo loro difetto, volessero correre ai ripari. Ma mio interlocutore ha insistito sua tesi pregandomi rappresentarla a V. E. e fargli conoscere al più presto suo modo di vedere.

Alle mie domande circa possibilità inoltro, mi è stato risposto che questo potrebbe accadere soltanto quando si fosse riusciti a risolvere in modo definitivo incidente diplomatico: ciò che Governo austriaco ritiene avverrebbe in seguito summenzionata rispedizione.

(l) Cfr. n. 45, che era stato inviato a Vienna con protocollo particolare 27.

79

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 538/81 R. Parigi, 10 febbraio 1933 (per. il 13).

Il signor Herriot è stato eletto all'unanimità alla presddenza della commissione degli esteri della Camera, al posto del signor François Albert, assunto al ministero dei lavori pubblici nel Gabinetto Daladier. Ho informato l'E. V. con mio telegramma n. 23 del 14 gennaio (l) dello scacco precedentemente subito dal signor Herriot nella votazione per la rinnovazione annuale delle cariche parlamentari. Il suo competitore François Albert, avendo mantenuto la propria candidatura alla presidenza della commissione degli esteri alla Camera, l'ex presidente del consiglio non riuscì a riprendere allora il posto al quale ambiva. L'incidente fece chiasso perché ambedue i deputati appartengono allo stesso gruppo radicale socialista.

A vice-presidenti della stessa commissione degli esteri sono stati eletti i deputati Longuet, socialista, e de Tessan che appartiene alla tendenza giovane radicale. Il deputato Bergery, nemico personale di Herriot, è stato eletto relatore.

Nella prima seduta della commissione, presieduta da Herriot, il deputato Ibarnegarey ha intrattenuto i suoi colleghi sull'esistenza di un trattato segreto fra l'Italia, la Germania e l'Ungheria. Secondo il giornale L'Ordre il deputato in discorso avrebbe dichiarato di essere assolutamente sicuro che, nel mese di agosto scorso, è stato concluso un trattato offensivo e difensivo fra le tre potenze succitate. Sempre secondo l'Ordre Herriot avrebbe risposto che presentiva l'esistenza di tale trattato, ma di avere lasciato il Quai d'Orsay prima di averne la prova. Altri giornali riferiscono che Herriot ha negato il trattato a tre, ma ha ammesso l'esistenza di un accordo italo-ungherese e di un altro germano-ungherese. Mi riservo di assumere informazioni e non dispero di potere riferire come sono andate le cose (2).

Per quel che riguarda Herriot e dopo il suo discorso della sala Gaveau, nulla più meraviglia. Ma ormai non si tratta più solo di Herriot. I numerosi patrocinatori del riavvicinamento italo-francese che ancora due mesi fa mi si stringevano intorno si sono silenziosamente allontanati. Il senatore Bérenger, il ministro de Monzie e tanti altri si sono eclissati. Anche i giovani radicali hanno assunto un contegno circospetto. Persona che conosce bene Emile Roche mi assicura dei suoi sentimenti tuttora favorevoli a noi, ma io non vedo più

«Potrebbe essere opportuno far fare una interrogazione o una interpellanza alla Camera per smentire.

L'occasione potrebbe servire per un accenno a tutte le altre fandonie che s'inventano sull'Italia. e che non meritano una smentita ufficiale, mentre non si possono passare sotto silenzio le dichiarazioni di un ex-Capo del Governo e Ministro degli Esteri, quando parla di cose avvenute durante il periodo in cui era In funzione e dal quale si deve pretendere almeno conoscenza degli argomenti di cui parla e senso di responsabilità».

il direttore di La République e gli articoli del suo giornale sono tiepidi verso di noi.

Paul Boncour fa la sfinge: persona della quale mi fido e che, vivendo fra i giornalisti francesi è in grado di avere buone informazioni, mi assicura che l'attuale Ministro degli Esteri non ha per nulla mutati i suoi sentimenti di avversione al fascismo.

Per parte mia persisto nell'atteggiamento che ho avuto fino dal primo giorno del mio arrivo qui: cortesia e dignità.

(l) -T. per corriere 205/23 R., non pubblicato. (2) -Cfr. in proposito urr appunto di Suvich per Mussolini del 12 febbraio circa l'opportunità di smentire la voce di una pretesa alleanza !taio-germanico-ungherese. L'appunto cosi proseguiva:
80

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. ...febbraio 1933 (l).

Contro il progetto di disarmo francese (Herriot -Paul Boncour) erano facilmente prevedibili, ed attesi, i siluri inglese, tedesco e russo.

Per gli inglesi le posizioni politiche nel problema della sicurezza sono oggi nel nuovo piano immutate di fronte a quelle che condussero ai rifiuti della garanzia da parte della Gran Bretagna nel 1919 e del p,rotocollo nel 1924. Da allora, se mai, c'è maggior isolamento e maggiore intransigenza. Era prevedibile quindi che meno che mai volesse oggi la Gran Bretagna saperne di ulteriori impegni.

I tedeschi perseguono tenacemente i due scopi del riarmamento e, conseguentemente, del sommovimento della cristallizzazione odierna. Era chiaro che dovevano opporsi ad un piano che stronca il riarmamento altrui riassorbendolo in un macchinone al servizio degli interessati all'attuale cristallizzazione della situazione politica europea.

I russi son russi, e l'onore della firma li porta necessariamente all'estrema forma di opposizione, che a sua volta trascina con sé fatalmente l'opposizione anche di amici provati dalla Francia quali la Polonia e la Romania.

M'è parso quindi che non dovesse mancare anche il nostro siluro; e che fosse anzi augurabile che partisse pel primo. In tal modo, essendo l'Italia ad aprire la discussione, è sembrato a tutti che fosse l'Italia ad impostarla. Ed è sembrato pure che fosse la nostra chiara presa di posizione a incoraggiare quella degli altri.

Esisteva poi una ragione tattica, di non minore importanza, ed era quella di prevenire una sospettata manovra inglese. Già la proposta britannica del 30 gennaio, con la sottile distinzione fra il «no force Pact » esteso a tutti gli stati europei -e quindi anche alla Gran Bretagna, di cui al Palagrafo l, e l'augurabile organizzazione della sicurezza da ricercarsi fra gli Stati « del Continente Europeo » -e quindi Gran Bretagna esclusa -di cui al Paragrafo 2, aveva fatto intravedere l'insidia. Alcuni approcci fatti da membri della delegazione inglese nei giorni precedenti la discussione avevano confer

mato l'intenzione britannica di far cominciare la discussione dal problema dell'organizzazione della sicurezza nel «cerchio >> continentale per ottenere già in quella sede il fallimento del piano, senza bisogno di passare a discutere del problema degli altri « cerchi» esterni, interessanti la Gran Bretagna, allo scopo di addossare così alle sole potenze continentali il fastidio e l'onere di far cosa ingrata alla Francia.

Ho fatto semplicemente il contrario, mettendo in risalto l'armonia della costruzione francese che ne impediva lo spezzettamento. L'architettura mirabilmente unitaria imponeva di seguirne le linee, passando dalla discussione del «cerchio>> più vasto a quella dei «cerchi» interni più ristretti.

Con che l'Inghilterra, messa con le spalle al muro, ha dovuto risolversi alle recise e secche dichiarazioni di Eden, secondo cui essa non può « faire espérer le moins du monde qu'il soit possible de modifier son attitude ».

La pietra tombale al progetto francese era così apposta dalla Gran Bretagna. Dopo di che tutta l'accademia perdeva qualsiasi valore. Ho creduto con l'atteggiamento assunto di essere l'interprete più fedele delle istruzioni di V. E.

(l) n documento, privo di data, reca a margine: «10-2-33 » che è forse la data di archiviazione. Il discorso di Alolsi cui si fa riferimento nel testo ebbe luogo ll 2 febbraio. Cfr. ALOISI, Journal, p. 59.

81

IL CONSOLE GENERALE A ZAGABRIA, UMILTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA R.U. 680/109. Zagabria, 10 febbraio 1933 (per. il 13).

Questa opposizione mi ha fatto oggi sapere che essa crede che la causa ultima dell'internamento del dott. Vlatko Macek, sia stato l'articolo comparso nel Petit Parisien, in cui era riprodotta l'intervista del suo corrispondente con lo stesso Macek.

Pare che oltre l'incarico dell'intervista, il giornalista avesse ricevuto anche il compito da parte della commissione parlamentare agli Esteri di Parigi, di domandare direttamente al dott. Macek quale sarebbe stato l'atteggiamento dei croati in caso di guerra.

Il giornalista avrebbe steso al riguardo un rapporto diretto al Quai d'Orsay, in cui era chiaramente riportata la risposta di Macek, che cioè certamente il 90% dei croati non avrebbe combattuto contro l'Italia e che la Francia in nessun caso avrebbe potuto fare assegnamento sulla collaborazione dei croati, per mantenere un regime che essi combattono ad oltranza.

L'articolo destinato al giornale non parlava di tale atteggiamento croato in caso di guerra, ma accennava alla volontà separatista della Croazia.

Tanto l'atteggiamento dei croati in caso di guerra, contenuto nel rapporto su riferito, quanto l'aspirazione a separarsi dai serbi, pubblicata nel Petit Parisien avrebbero fatto non solo a Belgrado, ma anche a Parigi una enorme impressione. A Parigi l'ex Ministro Pribicevic avrebbe dovuto in qualche modo giustificare tali due circostanze che tanto differivano dalle assicurazioni che egli in ogni occasione dava ai circoli francesi, che cioè tutta l'opposizione era con lui d'accordo, per avere una Repubblica Jugoslava integrale, secondo i desideri della Francia.

Pribicevic avrebbe ora approfittato dell'internamento di Macek per cercare di creare confusione nel partito croato ormai privo del suo Tribuno, e a tal uopo si è servito del suo rappresentante a Zagabria, signor Wilder, che ha gettato l'allarme nel Direttorio croato, dicendo che l'ex Ministro degli Esteri Momcilo Nincié si troverebbe attualmente a Roma ove si sarebbe già messo d'accordo con V. E. sui seguenti punti:

l) Fiume sarà ceduta alla Jugoslavia;

2) Il raggio del territorio di Zara verrà alquanto allargato;

3) Veglia passerà all'Italia;

4) Ca t taro idem;

5) Completo disinteressamento dell'Italia al riguardo dei croati;

6) Sequestro della circolazione in Italia del famoso ultimo libro di Pribicevic contro i Karagjiorgie.

Non avendo i croati qui nessuno che possa autorevolmente controbattere tali dicerie, esse trovano facile adito fra il popolo, che incomincia a impressionarsi, per tema di essere tradito.

V. E. vedrà se non sia il caso di autorizzarmi, parlando con qualcuno dell'opposizione; di smentire tali notizie per lasciare forse comprendere all'opposizione stessa che l'Italia vede sempre con simpatia il movimento separatista.

Senza tale autorizzazione, naturalmente, io continuo, nei miei contatti con questi signori, a !imitarmi ad ascoltare quanto mi raccontano, senza dar loro modo di comprendere quale sia in realtà la linea di condotta della nostra politica.

82

IL MINISTRO A GEDDA, DE PEPPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 533/9 R. Gedda, 11 febbraio 1933, ore 14,40 (per. ore 20).

Fuad Hamza venuto telli a vis:itarmi mi ha confermato notizia già pubblicata da noto organo ufficioso Mecca, fine rivolta Assir. Tutte le cabile ribelli si son sottomesse o furono domate, ultimi combattimenti si ebbero ancora in settimana. Necessità impedire qualunque velleità di riscossa spiega invio di truppe da me segnalato con telegramma 7 (1).

Hassan el Idrisi abbandonato da tutti e rifugiato Yemen verrà consegnato ad Ibn Saud. Iman Yahia (di cui anche Umel Qurà esalta atteggiamento amichevole) ha ottenuto per lui la grazia della vita e dell'onore dei beni.

Fuad Hamza mi ha riparlato, come era da attendersi, dei fuorusciti hegiazeni in colonia Eritrea citandomi nomi di cinque ribelli colà rifugiati ultimamente, fra cui due personaggi famiglia idrissita.

Mi ha detto essere egli personalmente convinto che Governo dell'Eritrea non ha favorito né favorirà loro azione delittuosa contro il regime saudiano amico dell'Italia, ma che per quanto stretta sia loro sorveglianza è fuori dubbio che questi elementi hanno potuto e potranno ancora mantenere rapporti con coste dell'Assir e fomentarvi rivolte che si risolvono in deplorevole spargimento di sangue. Comunque, loro concentrazione in colonia Eritrea, specialmente dopo misure espulsione prese in Aden, Camaran, Egitto, Palestina, Yemen, dà impressione nel mondo mussulmano che l'Italia sia ostile al Re Ibn Saud e che colonia Eritrea sia presa come base per maneggi e intrighi contro Saudia.

Ho opposto noti argomenti (mancanza azioni delittuose, libero esercizio commercio, diritto di asilo ecc.). Fuad ha in forma corretta ma energica rinnovato protesta rimettendosi completamente alla lealtà del R. Governo per adozione misure da noi ritenute necessarie e conformi allo spirito ed alla lettera del trattato di amicizia.

Comunicato al Governo Eritreo.

(l) Non pubbUcato.

83

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, CERRUTI, A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, A LONDRA, GRANDI, A MOSCA, ATTOLICO, A PARIGI, PIGNATTI, A VARSAVIA, BASTIANINI, A WASHINGTON, ROSSO, AI MINISTRI A BUCAREST, SOLA, A BUDAPEST, COLONNA, A PRAGA, ROCCO, A VIENNA, PREZIOSI, E ALLA DELEGAZIONE A GINEVRA

T. 232 R. (1). Roma, 13 febbraio 1933, ore 24.

(Per tutti meno Londra).

Ho telegrafato alla R. ambasciata Londra quanto segue che le comunico per opportuna informazione e norma: (Per tutti) Sono nuovamente apparse ultimamente a più riprese nella stampa notizie relative a progetti di neutralizzazione dell'Austria. Nell'attuale situazione politica generale, considero tali progetti non (ripeto non) favorevoli ai nostri interessi in vista particolarmente delle direttive della nostra azione verso Budapest e Vienna. Affine di evitare che contegno riservato da parte nostra possa essere costì erroneamente interpretato (e per quanto presuma per ovvie ragioni netta opposizione del Governo tedesco a progetti medesimi) V. E. potrà occasionaimente intrattenere al riguardo codesto ministro esteri al quale farà opportunamente comprendere serie riserve italiane anche nell'interesse generale circa l'opportunità e lo sostanza di simili iniziative, facendomi poi conoscere come problema sia considerato da codesto Governo.

(l) Il telegramma venne inviato a Londra e Washington per filo e alle altre sedi per corriere.

84

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. P. 236/51 R. Roma, 13 febbraio 1933, ore 16.

Richiamo tua attenzione su atteggiamento assunto dal Foreign Office -al completo rimorchio della Francia e della Piccola Intesa -nell'affare delle armi di Hirtenberg. Ti darò comunicazione della specie di vero e proprio ultimatum rimesso a Dollfuss da Francia e Inghilterra. Ma sin da questo momento trova modo di far sapere che atteggiamento Foreign Office suscita nostra viva meraviglia e non serve interessi pace.

85

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. 237/36 R. Roma, 13 febbraio 1933, ore 16.

Pregola comunicare urgenza testo esatto nota rimessa da Francia Inghilterra cancelliere Dollfuss e chiedergli se ci autorizza farne uso per passo amichevole che intendiamo intraprendere Londra. Ritengo sia da evitare qualunque caso rispedizione armi in massa. Può però tranquillizzare cancelliere dicendo che dopo passo che sarà fatto via urgenza risponderemo su quantitativi e forma rispedizione. La terrò informata perché V. S. possa dare notizia cancelliere del nostro passo (l).

86

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 553/46 R. Vienna, 13 febbraio 1933, ore 18,45 (per. ore 21).

Mi riferisco al mio telegramma 45 (2).

Peter mi ha pregato di passare da lui. Mi ha letto testo nota francoinglese, che mi ha detto essere stata già comunicata a V. E. da Egger. Peter era adirato e preoccupato. Ha definito il documento di «ultimatum» che potrebbe mettere in pericolo

ministero Dollfuss. Ha criticato sia stata ammessa procedura passo franco

{2) T. 524/45 R. dell'll febbraio, non pubblicato, con 11 quale Prezlosi riferiva che nel pomeriggio i ministri di Francia e Gran Bretagna avevano separatamente intrattenuto 11 cancelliere circa la questione delle armi.

11 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XIII

inglese, sostenendo che sede S.d.N. avrebbe offerto maggiore possibilità difesa. Ha insinuato che nostra azione diplomatica non era riuscita al suo scopo. Ha concluso che oramai restava esclusa ogni possibilità di «inoltri~ ecc.

Peter ritiene documento in questione sia dovuto essenzialmente all'Inghilterra. Dubito, però, che egli sia in speciale modo animato da sentimenti francofili.

(l) Preziosi rispose con t. 559/47 R. del 14 febbraio, quanto segue: «Fatta comunicazione. Cancelliere austriaco perfettamente d'accordo ringrazia V. E. Con telegrammi a parte invio testo francese nota».

87

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 575;'13 R. Vienna, 13 febbraio 1933 (per. il 15).

Mio telegramma n. 46 (l).

Un mio conoscente della Ballplatz mi ha confidato testé, con grande riserva, che questo ministro di Inghilterra gli aveva fatto comprendere che il Foreign Office vuole assolutamente che l'affare di Hirtenberg trovi al più presto la sua definitiva soluzione; donde, a suo avviso, la drasticità del memorandum presentato qui sabato scorso, e di cui Egger ha rimesso il riassunto a V. E.

Il pensiero di sir Eric Phipps sarebbe che il Governo di Londra temerebbe moltissimo che l'affare fosse portato a Ginevra, e ciò in previsione dello scalpore che l'Italia menerebbe colà per i continui trasporti d'armi verificatisi, attraverso l'Austria, tra la Cecoslovacchia e la Jugoslavia; per le complicazioni che ne seguirebbero; e per l'atmosfera che vi verrebbe creata, un'atmosfera cioè assolutamente contraria a quel qualsiasi risultato che il Foreign Office tuttora vivamente spera potersi raggiungere in sede di conferenza del disarmo.

Non ho mancato di attirare l'attenzione del mio collega austriaco sui predetti passaggi d'armi, che si sono sempre verificati a seguito dell'esplicita autorizzazione concessa dal Governo austriaco ai relativi permessi di transito sollecitati dal Governo di Praga: permessi che, di per sé, stanno a dimostrare, contrariamente alla tesi qui sostenuta presso lo stesso mio interlocutore da questo ministro di Francia, come la Cecoslovacchia essa medesima non ritenga poter ripetere tale diritto di transito dagli esistenti Trattati.

Il conte Clauzel ha infatti sostenuto che la Cecoslovachia avrebbe il diritto a detti transiti sia in ragione della conferenza di Barcellona, sia in ragione degli articoli 322-23-24 del trattato di San Germano, e sia per il fatto che né per la Cecoslovacchia né per la Jugoslavia esistono divieti di armamenti.

Mio interlocutore ha naturalmente ammesso, in principio, il diritto dell'Italia ad esigere, nelle nuove circostanze, l'arresto dei traffici d'armi in parola. Sulla questione ho già riferito con il mio telegramma n. 19 del 23 gennaio u.s. (2).

(l) -Cfr. n. 86. (2) -T. 312/19 R., non pubbllcato.
88

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 604/165 R. Londra, 13 febbraio 1933 (1).

Atteggiamento tenuto a Ginevra da Eden, Sottosegretario di Stato agli Esteri, in queste ultime fasi conferenza disarmo e sopratutto sue categoriche dichiarazioni su problema sicurezza sono stati accolti qui con marcata soddisfazione. Questo è un altro segno delle tendenze che si sono andate di recente affermando in Inghilterra per una politica estera a carattere più nazionalista e condotta con una tattica più decisa, come reclamano gli elementi giovani e combattivi in seno Unione Nazionale. Ho avuto già occasione di segnalare inconsueta rigidità atteggiamento di questo Governo di fronte a iniziativa americana per riesame del problema dei debiti. Posso aggiungere che, nonostante sfavorevole reazione americana, tale atteggiamento -con la sola eccezione di pochi isolati gruppi liberali -è stato accolto con manifesta soddisfazione nel Parlamento e nel paese. La discussione pubblica del problema ha anzi dato luogo a una riaffermazione del concetto che Inghilterra deve trovare in una vigorosa politica di concentramento e di protezione imperiale la difesa dei suoi essenziali interessi. Quello che la maggioranza del paese oggi chiede è infatti questo: il minor numero di impegni internazionali che possano legare l'Inghilterra alla politica europea, il maggior numero di impegni interimperiali che rafforzino i legami delle varie parti dell'Impero tra loro. Sottosegretario Eden a Ginevra ha interpretato queste tendenze che, ripeto, si fanno sempre più precise e più vive. Non so invece sino a qual punto dichiarazioni Eden fossero previste da questo Governo. Foreign Office forse ne avrebbe fatto volentieri a meno. Ultimo progetto francese presentava infatti per Inghilterra vantaggio di vedere soddisfatte aspirazioni della Francia in materia di sicurezza continentale senza che Inghilterra debba contrarre nuovi impegni e senza soprattutto che essa debba prendere posizione nella polemica della sicurezza. Chi ha evidentemente costretto delegato inglese a fissare atteggiamento suo Governo è stata azione delegazione italiana. Anche per mia esperienza di Ginevra mi permetto aggiungere che nostra iniziativa non poteva essere più tempestiva e nostra azione diplomatica meglio condotta e meglio riuscita. Noi abbiamo deluso le speranze di coloro che credevano di poter soddisfare le domande della Francia per aumento della sicurezza senza aumentare responsabilità internazionali dell'Inghilterra. Questo spiega tono amaro di qualche commento inglese al nostro atteggiamento come quello dell'Economist dell'l! corrente (vedi mio telespresso n. 588/234) (2). Con il mio fonogramma stampa n. 104 (2) ho già segnalato a V. E. editoriale del Times sull'argomento. Esso è a mio avviso di particolare importanza perché mostra come alcuni ambienti (che non nascondono loro fiducia in una intesa franco-britannica) cerchino di mitigare effetto prodotto da dichiarazioni di Eden. Ma, nella sostanza esso riafferma avversione inglese ad assumere ulte

rlori impegni e tale avversione giustifica con il vecchio argomento con il quale Inghilterra fece cadere patto di garanzia del 1919, e cioè rifiuto americano a partecipare a sistemi di sicurezza.

(l) -Privo di data di arrivo. (2) -Non pubblicato.
89

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, E IL MAGGIORE RENZETTI (l)

APPUNTO. Roma, 13 febbraio 1933.

Il Capo del Governo chiede al Maggiore Renzetti la propria impressione sulla situazione tedesca.

Il Maggiore Renzetti osserva che una cosa è soprattutto certa: che Hitler non intende abbandonare il potere qualunque sia la situazione che si verificherà in seguito alle prossime elezioni. È sperabile tuttavia che i «Nazi » abbiano nel campo elettorale un reale successo. Egli calcola che potrebbero portare fra 230 a 250 deputati il che darebbe loro la maggioranza soprattutto se riusciranno ad indurre parte degli operai a non votare. I «Nazi » hanno fatto molto bene a fare una lista a parte perché ciò darà loro la possibilità di costituire un Governo totalitario, il che probabilmente non avverrà subito, ma gradatamente. Un uomo del quale si potranno servire è von Papen che è un gentiluomo e che, essendo uomo di assoluta fiducia del Presidente Hindenburg, può costituire per Hitler un ottimo collegamento. Non è escluso che in un secondo tempo von Papen sia nominato Ministro degli Esteri, dato che Neurath è considerato un uomo superato. Occorre però che i nazional-socialisti si persuadano della necessità di ottenere il successo nelle elezioni con qualunque mezzo, mentre oggi sono ancora un po' titubanti di fronte a degli scrupoli !egalitari. Gli altri partiti che oggi concorrono al Governo con i nazional-socialisti, sebbene in un primo momento possano costituire un appoggio, domani potranno diventare un peso. Ciò vale specialmente nei riguardi di Hugenberg del quale d'altronde si dubita che possa essere all'altezza del compito che si è assunto: quello del risanamento economico del paese.

Il Capo del Governo osserva:

l) che bisogna che cessi questo stillicidio di delitti politici, che dopo l'arrivo al potere di Hitler non possono che diminuire il suo prestigio. Le formazioni hitleriane devono collaborare con le autorità costituite a mantenere l'ordine, sia pure con la massima energia, ma su un terreno !egalitario.

Il Maggiore Renzetti fa presente che Hitler intende prendere in tutte le questioni una posizione netta dopo le elezioni. Non si può nasconderei che i partiti sovversivi tedeschi sono un osso molto duro. D'altronde però già da ora le

S.A. cominciano a collaborare con la polizia, di modo che si può sperare che l'ordine venga ristabilito tra breve.

2) Uno dei problemi più delicati da risolvere è quello di sistemare le formazioni irregolari hitleriane e ciò sia pure per trovare uno sbocco a questo movimento, sia per sistemare anche una parte dei giovani che hanno seguito Hitler in questi anni di preparazione. Vanno sistemati soprattutto i più turbolenti. Ora, se pare difficile poter fare passare direttamente questi giovani nelle vere e proprie forze armate, si potrebbero istituire diverse specialità di milizia come esistono da noi: ferroviaria, confinaria, stradale, portuaria, postelegrafonica, ecc.

3) Gli pare molto importante che gli hitleriani arrivino a costituire un Governo totalitario, almeno nel senso che non debbano patteggiare con altri partiti per svolgere la loro linea politica.

4) Sarà utile che il partito nazional-socialista si metta al corrente delle riforme apportate dal Fascismo in Italia, soprattutto nel campo dei rapporti di lavoro della collaborazione fra le classi, dell'educazione della gioventù e delle opere assistenziali. Sono esempi che potranno essere molto bene imitati in Germania.

5) Ritiene che nel movimento antisemita bisogna procedere senza scosse violente ma con una eliminazione graduale degli ebrei dai posti di responsabilità.

6) Gli pare anche opportuno l'atteggiamento assunto da Hitler nella questione dinastica che non è di attualità in Germania. Non ritiene che il Kaiser possa essere più accetto al popolo tedesco.

Il Maggiore Renzetti conferma ciò osservando anche che il Kronprinz negli ultimi tempi si è molto esautorato. Il Maggiore Renzetti si riserva di far presenti a Hitler le osservazioni del Capo del Governo.

(l) Al colloquio era presente Suv!ch.

90

L'UFFICIO III DELLA DIREZIONE GENERALE AFFARI ECONOMICI AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH (l)

APPUNTO. Roma, 13 febbraio 1933.

Ho l'onore di informare la E. V. che, in occasione della recente permanenza a Roma del Signor Schtilyler (2), sono stati concretati i seguenti Accordi:

l) un Accordo per regolare la liquidazione del vecchio clearing;

2) un Accordo per regolare i pagamenti dei nuovi scambi commerciali tra i due Paesi.

Tali Accordi, che saranno completati da uno scambio di note, verranno sottoposti all'approvazione del prossimo Consiglio dei Ministri per essere poi firmati.

Con il Signor Schtlller è stata discussa anche la questione dell'allargamento dell'Accordo del Semmering, rimanendo inteso che si procederà a gradi e prossimamente ci comunicheremo le liste dei nuovi prodotti italiani e austriaci da ammettere ai benefici del detto Accordo per poi discutere al riguardo in una riunione che avrà luogo nel prossimo mese di marzo in Italia o in Austria.

(l) -La copia che si pubblica è priva di firma. (2) -Cfr. n. 68.
91

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, E IL MAGGIORE RENZETTI (l)

APPUNTO. Roma, 14 febbraio 1933.

Il Maggiore Renzetti riferisce che Hitler ha espresso il desiderio di venire quanto prima a fare una visita al Capo del Governo a Roma. Aveva pensato di mettere in esecuzione tale suo progetto prima delle elezioni, ma ciò non gli riesce possibile; calcola di venire però appena il sistema che seguirà la campagna elettorale gliene darà la possibilità.

Il Capo del Governo afferma che non vuole che Hitler dia a questa visita un carattere di omaggio personale, ma che, ben lieto di salutare Hitler a Roma, intende parlare con lui da Capo di Governo italiano a Capo di Governo tedesco per discutere gli importanti problemi nel campo politico ed economico che interessano i nostri Paesi.

Nei riguardi dell'Anschluss il Capo del Governo desidera che Hitler sia messo bene in chiaro sulla nostra contrarietà alle mire tedesche sull'Anschluss. Del problema dell'Anschluss è meglio che ora non se ne parli da parte tedesca; se in avvenire gli sviluppi politici dovessero riportare in discussione il problema, qualunque soluzione non può essere presa che con il concorso dell'Italia.

92

COLLOQUIO FRA IL CAPO GABINETTO, ALOISI, E L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, JOUVENEL

APPUNTO. Roma, 14 febbraio 1933.

Ieri, dopo la visita a S. E. Suvich (2), de Jouvenel è passato a visitarmi. Venuti a parlare delle grandi difficoltà che intralciano gli inizi della sua

missione a Roma, ho creduto opportuno fargli presente quanto vi abbiano contribuito le note dichiarazioni di Herriot sul preteso accordo italo-tedesco-magiaro e il poco opportuno intervento della Francia nell'affare delle armi di Hirtenberg.

Jouvenel ha convenuto. Mi ha detto che assai più che i probabili mutamenti ministeriali, i quali finiranno per alternare al potere lo stesso gruppetto di uomini e avranno quindi scarsa influenza sulla politica, lo preoccupa il risentimento personale di Herriot. In un colloquio avuto con lui prima della sua partenza per Roma, Herriot si era mostrato visibilmente freddo e solo gli aveva detto: «gli italiani non vogliono l'accordo».

Malgrado tutto, de Jouvenel non si sente sfiduciato. Mi ha chiesto anzi consiglio sul miglior modo di svolgere la sua missione. Gli ho detto allora che, a mio modo di vedere, era forse più utile procedere a un preventivo rasserenamento dell'ambiente in Francia, anziché affrettarsi a entrare senz'altro subito nel vivo delle trattative. Tanto più che nello spazio di tempo di sei mesi, che è quanto egli crede di avere a sua disposizione, sarebbe azzardato presumere di poter ottenere più che una buona impostazione delle trattative.

Nel corso della conversazione de Jouvenel mi ha detto che dopo aver letto il resoconto della conferenza tenuta da Herriot «aux Annales » gli è sorto il sospetto che questi mediti sul serio un riavvicinamento con la Russia. Tanto più che dall'altra parte si può trovare un sintomo di consentimento nel contegno insolitamente fiacco tenuto da Litvinov a Ginevra nei riguardi del piano francese. De Jouvenel ha concluso deprecando una tale eventualità che, secondo lui, si risolverebbe in un disastro per la Francia e per la pace.

Questo fiacco contegno di Litvinov che, come era da attendersi, aveva visibilmente influenzato l'attitudine della Polonia e della Turchia, aveva colpito anche me durante il mio soggiorno a Ginevra.

(l) -Al colloquio era presente Suv!ch. (2) -Il verbale d! questo colloquio non è stato rinvenuto.
93

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 14 febbraio 1933.

Il Generale Alessandro Bodrero mi fa sapere che ha avuto una comunicazione da Zivkovic, già Presidente del Consiglio e sempre uomo di fiducia del Re di Jugoslavia che sarebbe disposto a venire in Italia per discutere con chi gli sarà indicato di una possibile intesa fra la Jugoslavia e l'Italia 0).

(l) Annotazione a margine: «Il Generale Bodrero è stato ricevuto da S. E. !l S. S. questa mattina 16/2 ».

94

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 603 R. (1). Parigi, 15 febbraio 1933 (per. ore 13 del 17).

Col mio telegramma per corriere n. 81 del 10 corrente (2) ho comunicato all'E. V. l'impressione da me riportata di un radicale mutamento avvenuto delle sfere politiche dirigenti francesi nei nostri riguardi.

Nel confermare quella prima impressione sono in grado di corroborarla con informazioni avute da fonte che considero attendibile.

L'inatteso avvento di Hitler ha prodotto qui un profondo turbamento. Le speranze caldeggiate in passato della possibilità di un accordo con la Germania, sono cadute d'un sol colpo. Il linguaggio dei giornali esponenti dell'industria siderurgica francese e dei gruppi parlamentari che ne sono una emanazione, la loro preoccupazione di dare risalto a ipotetici preparativi bellici dell'Italia e dell'Ungheria specialmente, potrebbero quasi dare a pensare che la Francia ricerchi la guerra a breve scadenza prima di dare tempo alla Germania di completare il suo armamento. Il mio collega di Ungheria mi ha espresso ieri la sua convinzione che la Francia prepari la guerra, o per essere più precisi lasci la Jugoslavia libera di preparare atti di provocazione. Il barone Villani mi ha detto che l'ambasciatore di Germania, col quale è in stretti vecchi rapporti di amicizia, è del suo stesso avviso. Mi riservo di parlare di questo al signor Koster. Non l'ho fatto finora perché mi sono accorto che gli agenti di polizia di servizio davanti alle rappresentanze di Ungheria e di Germania prendono il numero delle macchine dei visitatori. Dovrò quindi essere circospetto, diradare le visite, e recarmi a piedi da quei miei colleghi.

Dalle notizie che ho raccolte in questi ultimi giorni e dall'impressione ge

nerale che mi sono fatta, non credo che si possa dire con fondamento che la

Francia prepara coscientemente la guerra. Sta di fatto però che il Governo fran

cese, autorevoli parlamentari e la stampa influente, agiscono in modo da get

tare esca sul fuoco che cova nei Balcani. Se sono bene informato non è sol

tanto la Jugoslavia che è in cerca d'incidenti per provocare un conflitto. Anche

la Polonia, mi è stato assicurato da un deputato francese di sinistra, è in preda

a un'esaltazione pericolosa.

Il Governo francese, ho detto, è seriamente preoccupato dell'hitlerismo e

dell'isolamento politico-militare della Francia. La Piccola Intesa non è più con

siderata militarmente efficiente per le discordie interne che minano la Jugo

slavia e Romania e perché l'esercito cecoslovacco riflette l'aspetto del paese

mosaico di nazionalità in lotta fra loro.

In un recente consiglio di Gabinetto (al consiglio di Gabinetto, a diffe

renza di quello che avviene per il consiglio dei ministri, assistono i sottose

gretari) Paul Boncour ha dichiarato di considerare l'intesa con l'Italia di scarso

valore per la Francia, in questo momento. L'Italia, secondo lui, si occupa e preoccupa unicamente della Jugoslavia; non può essere di aiuto alla Francia in una guerra contro la Germania. Il ministro degli esteri ha sostenuto che la Francia deve invece cercare un intimo accordo con la Russia. Questa notizia, della quale credo di potere garantire l'esattezza, riceve indiretta conferma dalla seguente informazione che mi è stata riferita da persona dimostratasi veritiera in precedenti circostanze. L'ufficio stampa di codesto R. Ministero ha certamente notato che negli ultimi giorni la République ha ripreso a pubblicare articoli polemici d'intonazione favorevole a un 1riavv,icinamento f,ranco-italiano. Lo stesso giornale ha ricevuto lunedì 13 una telefonata dal Gabinetto del Quai d'Orsay che riferisco come mi è stata riportata dalla persona che l'ha ascoltata, trovandosi in quel momento nella sede del giornale: «Fate attenzione, mentre voi patrocinate l'accordo franco-italiano, W. è in trattative per un accordo militare coi Sovieti ». L'indomani la République pubblicava l'articolo «Qui parle d'alliance? » dove si legge il periodo che riferisco testualmente, per non dare all'E. V. la briga di farlo ricercare « Bon, m'ont dit ces excellents amis, mais il y a Weygand. Et Weygand très préoccupé par l'idée de la nouvelle triplice (italo-germano-ungherese), pas très rassuré sur la force de la Petite Entente, songe à s'appuye,r sur la force militai,re de l'Union des Soviets >>.

Le notizie ricevute da Berlino e quelle che io stesso ho raccolte qui, consentono di non escludere che la politica dei Sovieti abbia di mira di giocare la Francia e il suo Stato Maggiore e si proponga, in ultimo, di spillare soldi ai banchieri francesi. Però bisogna tenere conto di un fatto nuovo: Hitler. I Sovieti sono disposti a continuare con Hitler la collaborazione che avevano avviato coi Governi democratici precedenti? Mi sembra che a questa domanda non si possa dare finora una risposta conclusiva.

Preferisco per un eccesso di prudenza di non parlare al mio collega di Germania del tentativo del generale Weygand, secondato dal Governo francese. Il controllo può essere fatto a Berlino e a Mosca per non lasciare trapelare che la notizia viene da questa R. Ambasciata. Raccomando una specialissima discrezione per l'informazione proveniente dal consiglio di Gabinetto. È una fonte preziosa che potrebbe chiudersi e sarebbe un guaio. Posso aggiungere che il presidente del consiglio Daladier non è sembrato condividere il parere del suo ministro degli Esteri, nei riguardi dell'Italia. Egli mi ha detto a questo proposito «Il faut en finir, il faut se mettre d'accord ». Riguardo al signor Paul Boncour mi è stato confermato quello che ho detto nel precedente telegramma

n. 81 e cioè che fa una politica di astuzia nei nostri riguardi e che ha mandato a Roma de Jouvenel per metterei fuori di str~da. L'ambasciatore francese sarebbe in buona fede.

In settimana vedrò Emile Roche, il direttore de la République. Mi viene detto con insistenza che Roche e i suoi amici mantengono fede all'idea di un accordo con l'Italia come quello che solo può convenire alla Francia nelle presenti circostanze. Roche considera il tentativo d'accordo coi bolscevichi una ingenuità.

(1) -Manca Il numero di protocollo particolare. (2) -Cfr. n. 79.
95

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 629/91 R. Berlino, 15 febbraio 1933 (per. il 19).

Faccio seguito al mio telegramma filo odierno n. 90 Cl).

Sono stato ricevuto stamane dal cancelliere Hitler che mi accolse con molta cortesia. Gli dissi che desideravo porgergli i miei omaggi e rinnovargli fervidi voti di successo. Lo pregai di considerarmi un sincero, convinto fautore della necessità di una sempre maggiore comprensione ed amicizia itala-germanica e mi posi a sua disposizione per collaborare all'opera che sapevo stargli a cuore.

Il cancelliere mi ringraziò e mi fece le seguenti dichiarazioni: «Ho già avuto occasione di dirle quali saranno le linee direttive generali della mia politica estera. Alla Germania occorre assolutamente uscire dallo stato d'inferiorità in cui essa si trova perché una Germania priva delle armi necessarie per difendersi non è certo un elemento di equilibrio in Europa. Ora nessuno intende tollerare il predominio di una nazione sul vecchio continente e questo predominio esiste di fatto, dato che la Francia insieme agli Stati minori suoi alleati vieta agli altri di respirare. Su questo punto credo che esista identità di vedute fra la Germania e l'Italia. All'interno ho uno scopo immediato che intendo raggiungere a qualunque costo: quello di debellare il marxismo. La Germania non può essere un campo in cui si fanno esperimenti del genere. Il compito che mi assumo è immane, lo so, perché si tratta di mettere fuori combattimento tredici milioni di uomini, ma ci riuscirò. Ho ricorso alle elezioni non perché creda al Parlamento, ma perché volevo avere una prova di più, raggiunta sotto il mio Governo, della impossibilità di tirare innanzi con i metodi attuali. Le elezioni del 5 marzo non significheranno nulla. Può essere che mi diano la maggioranza; forse però la daranno ai marxisti. Io non escludo la possibilità che i comunisti salgano a 120 mandati, ma ciò non avrà alcun significato perché, come ho già detto, sono ben deciso a non tollerare oltre la loro attività. Molti in Germania parlano della situazione presente e di me come di un periodo e di un uomo politico transitorio. Sbagliano, perché io sono fermamente deciso a non lasciare questo posto di c;:,mando per molto tempo. La situazione è fondamentalmente diversa in Germania da quella che era in Italia, ma il Duce mi servirà di esempio in molte cose, innanzi tutto nel perseverare nell'opera intrapresa>>. Dopo che il cancelliere Hitler mi ebbe fatto queste dichiarazioni in quest'ordine, senza interruzione, gli domandai se egli poteva dirmi qualcosa circa i rapporti futuri germanico-sovietici.

Egli mi rispose senza un istante di esitazione:

«Per la Germania non esiste soltanto il problema colla Francia. Non meno importante, e più pericoloso è quello orientale, perché contro un attacco dal

lato del Reno possediamo la garanzia dell'Inghilterra e dell'Italia. Se l'Inghilterra fosse disposta a garantirci anche da un attacco polacco, noi potremmo eventualmente rinunciare ad altre garanzie. Ma l'Inghilterra non lo vuole né può fare. La Germania deve dunque contare su un aiuto contro la Polonia. Se i polacchi fossero soli, noi potremmo avere ragione di loro anche nella situazione presente. Ma non c'è dubbio che i francesi ci attaccherebbero immediatamente dal loro lato, donde la necessità per noi che la Russia ci aiuti contro la Polonia.

A me non importa assolutamente nulla del regime che i russi hanno istituito nel loro paese. Che abbiano lo Czar, una Monarchia parlamentare, una repubblica democratica o una repubblica socialista fa lo stesso, purché tengano il regime che hanno, per loro uso interno. Quello che non tollero, è che essi credano di venire a compiere esperimenti in Germania. Farò vedere in brevissimo tempo come si deve agire nei riguardi dei comunisti.

Con la Russia, quale che sia il suo governo, noi dobbiamo intenderei politicamente ed economicamente ed io mostrerò coi fatti che non mi lascerò menomamente influenzare da quello che accade nell'interno di quel paese. Ma anche i russi devono accettare lo stato di cose che si è creato in Germania e che ha carattere di continuità.

Voialtri in Italia avete saputo difendervi in modo tale contro il marxismo, che per voi è agevole mantenere buoni rapporti con i Soviet. Direi anzi che nessun Governo si trova in posizione più favorevole di quello fascista per trattare con Mosca.

II capo del vostro Governo ha subito posto fuori legge il comunismo. La sua decisione è stata agevolata dall'occupazione delle fabbriche compiuta dai comunisti la quale, ancorché terminata con un formidabile insuccesso, gli aveva però permesso di incolparli di reato contro il diritto di proprietà. In Germania i comunisti non hanno purtroppo perpetrato alcunché di simile. Per questa ragione io non scioglierò, come molti credono ed essi stessi temono, il partito comunista prima delle elezioni. Ma dopo di esse, quale che sia il loro risultato, vedrete in quale modo li sterminerò. Lo potrei fare anche oggi; basterebbe che io dessi un ordine. Ma mi occorre documentare la loro delinquenza. Devo, con grande dolore, lasciare che i comunisti ammazzino per qualche tempo ancora giornalmente qualcuno dei miei seguaci Cnel 1932 e fino ad oggi nel 1933 furono uccisi circa 350 e feriti 1.200 nazionalsocialisti -Nota mia) perché cosi l'opinione pubblica si renderà conto della necessità dei provvedimenti draconiani che mi propongo prendere. Voi in Italia avete avuto pure tanti martiri ed è solo col sangue che si è cementato il Fascismo. I nostri martiri serviranno di cemento anche a noi».

A questo punto della conversazione fu an--~mciata un'altra visita.

Prima di congedarmi domandai peraltro al Cancelliere quando credeva di recarsi a Roma. Egli mi rispose che fino al 5 marzo gli era impossibile muoversi perché impegnato giornalmente nella campagna elettorale oltre che al lavoro di epurazione nelle varie amministrazioni stat~li e di costruzione del nuovo edificio nazional-socialista. Riteneva però che la fine di marzo o il principio di aprile sarebbero state epoche opportune per il mo viaggio. Ed aggiunse che gli sarebbe riuscito oltremodo gradito ricevere per quell'epoca un invito da parte dell'E. V.

Il colloquio oggi avuto con il cancelliere Hitler confermò la prima impressione da me riportata di lui. Egli si esprime in modo molto franco, con lealtà e senza pensieri reconditi.

È generalmente calmo; ad un dato momento peraltro, quando mi parlò per la seconda volta della sua intenzione di sterminare il marxismo in Germania, si animò molto e si espresse ad altissima voce con la maggiore energia pur non eccedendo nel manifestare il proprio sdegno per le dottrine comuniste.

(l) T. 572/90 R., pari data, non pubbl!cato: pr~annunc!ava l'invio del presente telegramma.

96

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 592/93 R. Berlino, 16 febbraio 1933, ore 13,05 (per. ore 13,45).

Von Neurath mi ha informato iersera di aver telegrafato a Nadolny per impartirgli istruzioni di astenersi favorire discussioni di questioni di minore importanza e procurare invece di far che conferenza disarmo si pronunci sulla questione della parità di diritto.

Ministro degli affari esteri ha aggiunto che preferirebbe, in fondo, che attuale discussione terminasse in modo brusco col constatare che Francia contesta oggi alla Germania parità di diritto che le era stata riconosciuta nel dicembre scorso. In tal caso infatti il mondo vedrebbe chiaramente quali sono i reali propositi della Francia.

97

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BELGRADO, GALLI

T. 252/31 R. Roma, 16 febbraio 1933, ore 24.

Ci sono giunte da fonte seria e bene informata gravi notizie relative a provvedimenti di carattere militare in corso in Jugoslavia, notizie sulle quali R. Governo non può non fermare la propria attenzione. Trattasi della predisposizione presso i municipi dei manifesti di mobilitazione e del richiamo, almeno in certe provincie, di alcune categorie di ufficiali e di sei classi in congedo.

Pregola domandare charimenti esaurienti a codesto Governo Cl).

(l) Cfr. n. 114.

98

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL CAPO DELLE HEIMWEHREN, STARHEMBERG

APPUNTO R. (1). Roma, 16 febbraio 193:1

Si esaminano tutte le possibilità dell'azione. Il principe Starhemberg dà l'impressione di aver studiato a fondo i possibili sviluppi della stessa e di essere deciso a marciare.

Nel campo interno l'unica difficoltà seria può essere costituita da una resistenza del Bundeschutz -organizzazione socialista a tipo militare -forte di circa 50.000 uomini e di 35.000 fucili. I socialisti austriaci, estremisti per tendenza, hanno dimostrato anche in altre occasioni un certo coraggio di cui bisogna tener conto.

I Nazi hanno un'ottima organizzazione di propaganda, utile soprattutto nell'eventualità di una campagna elettorale, ma nessuna efficiente organizzazione a tipo militare. Essi dovrebbero seguire piuttosto con simpatia il movimento delle Heimwehren. Starhemberg potrà raccogliere --spera -30.000 giovani pronti e decisi. Ha la assoluta fiducia nella riuscita, purché l'azione sia rapida. Il movimento si inizierà come un movimento !egalitario di reazione a un tentativo sovvertitore socialista (scoperta di armi... (2)). Interverrebbe la polizia e l'esercito e come rinforzo volontario le formazioni Heimwehriane che prenderebbero in mano la situazione. Occorre mandare a casa il Parlamento almeno per un anno e sciogliere l'amministrazione del Comune di Vienna. Il tempo necessario per demolire le posizioni socialiste del paese. Converrà mantenere in funzione qualcuno degli uomini vecchi; Dollfuss potrebbe rimanere; Rintelen.

Probabilmente si perderà il prestito -ma questo non è un disastro per l'Austria -anche Rintelen è di quest'opinione.

Occorre un periodo di 3 o 4 settimane di propaganda -il paese è generalmente contro il Parlamento -ma occorre persuaderlo della possibilità dl una politica economica sociale in vantaggio soprattutto delle classi operaie, politica che oggi è sabotata dal Parlamento.

Il principe Starhemberg espone il suo programma di propaganda-stampa in tema ... manifesti corruzione e programma di mobilitazione che importano la necessità di un finanziamento di circa 2 milioni e mezzo di scellini (tra 6 e 7 milioni di lire); bisognerebbe poter disporre di mezzo milione di scellini subito e il resto fra una settimana o 10 giorni.

Il principe Starhemberg propone che sia incaricata una persona di fiducia del controllo dell'erogazione dei fondi; il nostro aiuto potrebbe essere dato in forma di prestito -naturalmente con un largo respiro per la restituzione.

Io gli osservo che forse la somma chiesta può essere ridotta -il principe risponde che forse ci può essere una certa elasticità, che però non si può scendere troppo al di sotto della cifra da lui indicata -oggi si tratta veramente

di rischiare il tutto per tutto ed è forse l'ultima possibilità di sottrarre l'Austria all'infeudamento socialdemocratico.

Per quanto riguarda le reazioni esterne egli ritiene che Hitler non potrà vedere che favorevolmente l'instaurazione in Austria di un principio di ordine e di disciplina.

La Piccola Intesa e la Francia strilleranno certamente, ma ritiene che tutto si fermerà n. È una questione interna austriaca. Se i Cecoslovacchi si muovessero che cosa farebbe l'Italia?

Gli rispondo che da parte nostra ci sarebbe certamente la più pronta e la più energica reazione. Per quanto riguarda la politica che dovranno svolgere i nuovi reggltori dell'Austria si rimane d'accordo sui seguenti punti:

* l) niente Anschluss; 2) accordo di carattere politico fra Italia, Austria, Ungheria; 3) accordo di carattere economico molto stretto (Zollverein se questo ap

parirà conveniente) fra Italia, Austria, Ungheria; 4) gli accordi di cui ai punti 2 e 3 estensibili alla Croazia (l) nel caso che questa riuscisse nella sua tendenza separatista * (2).

(l) -Autografo di Suvich. (2) -Alcune parole sono illeggibili a causa del deterioramento del documento.
99

APPUNTO (3)

Roma, 16 febbraio 1933.

Nella seduta pomeridiana del 15 corrente della Commissione Politica il

Senatore Cavallero ha preso la parola per richiamare l'attenzione su alcuni punti del progetto di convenzione presentato dalla Delegazione britannica per un impegno da prendersi dagli Stati continentali europei «a non ricorrere in alcun caso alla forza» (4). Nel progetto è anche contenuta una clausola con la quale gli Stati contraenti si impegnano ad osservare lo spirito e non soltanto la lettera degli accordi sottoscritti.

Il Senatore Cavallero ha osservato che un impegno da prendere in sede di disarmo non dovrebbe essere limitato ai soli Stati continentali, perché non si vede ragione che questi assumano obblighi ai quali non sono legati la Gran Bretagna, la Russia e gli Stati di altri Continenti.

Circa la distinzione fra lettera e spirito degli accordi, ne ha messo in rilievo l'inopportunità in quanto essa equivale ad ammettere la malafede dei contraenti.

Non si pubblica un appunto di Suv!ch per Mussollni del febbraio (nella data manca !l giorno) sui rapporti colle Heimwehret1.

L'On. Motta ha dichiarato di essere della stessa opinione. Il Senatore Cavallero si è poi soffermato sulla interpretazione del progetto in relazione al Patto di Parigi (Kellogg).

Il progetto non parla di « riaffermazione di impegni » come era detto nella clausola accettata in novembre dalle cinque Grandi Potenze, ma usa la formula «prendere solenne impegno>>. La diversità della formula è importante perché, mentre la clausola di novembre legava strettamente l'impegno preso agli obblighi derivanti dal Patto di Parigi, con tutte le riserve quindi che ad esso erano state fatte al momento in cui era stato firmato, la formula oggi proposta può apparire indipendente e dal Patto e dalle riserve. È da ricordare al riguardo che la stessa Francia aveva allora fatto riserve, nei riguardi della difesa contro un'aggressione, della libertà di azione degli Stati, nel caso che il Patto fosse stato infranto già da uno di essi, nei riguardi degli impegni stabiliti dal Patto della Società delle Nazioni, dall'Accordo di Locarno e dai Trattati già esistenti di neutralità.

Il Senatore Cavallero ha quindi sostenuto l'opportunità che la formula da adottarsi si colleghi strettamente agli impegni presi in passato, costituendo in sostanza una riaffermazione del Patto di Parigi, anche se con qualche differenza di formulazione.

Queste osservazioni hanno suscitato molto interesse e sono state accolte con molto favore da una parte dei Delegati. Motta vi ha aderito pienamente. Vi sono stati naturalmente dei contrasti.

Circa la definizione del concetto di «forza », parola già adoperata in novembre in sostituzione della parola «guerra» del Patto di Parigi (in vista degli avvenimenti dell'Estremo Oriente) il Senatore Cavallero, richiamata l'osservazione già fatta dal Barone Aloisi nel suo discorso sulla condizione di inferiorità che può creare a determinati Stati sprovvisti di mezzi di pressione economica finanziaria l'impegno a non ricorrere alla forza, ha detto che debba in ogni caso esaminarsi se si debba dire «forza» o «impiego della forza».

Come dovrebbe considerarsi, ad esempio, il caso di una mobilitazione sul confini? La definizione di « forza » potrà presentare difficoltà notevoli non dissimili forse da quella di definizione dell'« aggressore». Sembra che per « forza» dovrebbe intendersi, interpretando il Patto Kellogg, lo stato di guerra non accompagnato da dichiarazioni formali.

La Commissione Politica ha deciso di nominare un Comitato di redazione, che si riunirà pel 17 mattina. L'azione del delegato italiano si svolgerà sulle linee già seguite nella Commissione Politica. Nei numerosi colloqui avuti oggi dal Senatore Cavallero è apparsa la tendenza di molte delegazioni a seguire la delegazione italiana nelle varianti e proposte al progetto inglese. Lo stesso delegato inglese Eden ha convenuto della loro giustezza. Così pure il Signor Nadolny che ha ammesso di non essersi in un primo tempo reso esatto conto della maggior portata che avrebbe avuto un impegno assunto ex nova senza legame col Patto Kellogg e alle numerose riserve che ne infirmano il valore e ne rendono elastica l'interpretazione. La tendenza di molte delegazioni nelle discussioni che avranno luogo domattina nel Comitato di redazione sembra quindi delinearsi per la rlaffermazione del legame col Patto di Parigi e per l'allargamento dell'eventuale Patto di sicurezza considerandolo aperto a tutti gli Stati.

Nella seduta di oggi alla Commissione Generale è stato deciso di deferire a un Sottocomitato composto non di tecnici ma di delegati la questione dell'abolizione dell'arma aerea o in via subordinata dell'aviazione di bombardamento. La proposta dell'abolizione dellarma aerea è partita dalla Delegazione germanica alla quale si è subito associato, evidentemente a scopi tattici, il delega t o francese Pierre Cot (l).

Per quel che riguarda la questione degli effettivi e dell'uniformazione delle disposizioni concernenti la ferma prevista dal progetto britannico, il Signor Eden ha proposto che il periodo di servizio militare venisse da tutti ridotto a un termine molto breve. Il delegato tedesco ha risposto ironizzando sulla contraddizione della proposta attuale con l'imposizione della lunga ferma cui nel 1919 fu obbligato lo Stato tedesco. In seguito anche a questo intervento l'atmosfera della Conferenza essendosi resa molto difficile, il Presidente Henderson ha rinviato la seduta della Commissione Generale a sabato mattina.

(l) -In un pr;mo t&mpo Il testo diceva: «estensibili eventualmente allu Jugoslavia o alla Croazia». (2) -Il passo fra asterischi è la traduzione del testo tedesco dell'accorùo Buv!ch-Starhemberg che si trovava allegato al n. 103. (3) -L'appunto, privo d! firma, è redatto su carta Intestata del Gabinetto. (4) -(;fr. Document" on British Foreign Policy, 1919-1939, second series, vol. IV, pp. 492-494.
100

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. Vienna, 16 febbraio 1933.

Il Segretario Generale di questo Dipartimento degli Esteri, Signor Peter, prendendo un tono di intimità e dando alle sue parole un carattere privato e confidenziale, mi ha detto volermi accennare alla questione relativa all'insegnamento, in lingua italiana, delle cose di religione, nell'Alto Adige. All'uopo anzi avrebbe desiderato ricordarmi dichiarazioni ufficiali italiane circa il rispetto della lingua e della cultura tedesca in detta regione.

L'ho interrotto vivamente osservando che mi meravigliavo ch'egli mi facesse

accenni del genere, stante lo speciale trattamento di cui godeva in detta regione

l'elemento cui egli si riferiva; che perciò desideravo avvertirlo che non avrei

potuto ulteriormente ascoltarlo senza dare alle sue parole un valore diverso da

quello che comportava il tono amichevole e confidenziale che egli aveva voluto

dare alla nostra conversazione.

Il Signor Peter si è affrettato a dire che aveva solamente voluto accennarmi

alla cosa; e che del resto su di essa il Dott. Schiiller aveva avuto l'incarico di

attirare la diretta attenzione di S.E. il Capo del Governo.

Gli accenni del Peter sono da mettersi in relazione con la campagna di

protesta che ferve a Innsbruck (e di cui ai molteplici recenti rapporti di quel

R. Console Generale), relativamente alle nostre disposizioni dell'agosto scorso per le scuole elementari nella Venezia Tridentina.

(l) Allegato a questo documento è il seguente appunto di Suvich: « 17-2-33 a. XI. Ginevra. Far sapere che conviene agire con molta prudenza nella questione relativa abolizione o limitazione arma aerea. Informazioni sullo stadio attuale questione e prospettive sviluppo».

101

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 613/40 R. Bucarest, 17 febbraio 1933, ore 21,30 (per. ore 0,30 del 18).

Nei circoli romeni si tende a presentare nuovo patto politico stipulato fra i componenti della Piccola Intesa come l'atto di battesimo di una specie di superstato e cioè, scrivono i giornali, come del più forte organismo dell'Europa centrale.

Un solo organo della stampa si mostra scettico circa possibilità che alle intese politiche possano realmente far seguito quelle economiche, le sole capaci di sostanziare una intesa permanente.

Tutti gli altri giornali esaltano l'avvenimento, e pur mantenendosi riguardosi verso l'Italia, non lasciano tuttavia di far trasparire che il nuovo sistema d'alleanza fra i tre membri della Piccola Intesa costituisce una risposta al movimento per la revisione dei trattati.

È opinione generale di questi circoli diplomatici che l'affare di Hirtenberg abbia affrettato conclusione dell'accordo.

Le clausole del nuovo patto che limitano indipendenza azione internazionale tra aderenti sono state volute, come ho già detto nel mio telegramma n. 36 (1), dal signor Ti tulescu.

Tali clausole, se da un lato danno apparenza maggior coesione al blocco, sono tuttavia rivelatrici delle diffidenze, che naturalmente permangono fra i vari membri della Piccola Intesa.

È probabilmente sul terreno economico che si dimostrerà l'inefficienza del raggruppamento. Ma fino a quando le questioni politiche (disarmo, eguaglianza dei diritti, revisione dei trattati ecc.) si presenteranno in primo piano, noi non dobbiamo sottovalutare la capacità di coesione del gruppo ma dobbiamo considerarlo come tendenzialmente ostile alle note direttive della nostra politica internazionale.

102

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, JOUVENEL

APPUNTO. Roma, 17 febbraio 1933.

Il Signor de Jouvenel mi ha intrattenuto sulla campagna di stampa, dicendosi dispiacente di dover toccare questo argomento del quale aveva detto di non volersi occupare, ma gli sembra che oramai la tensione sia arrivata a un punto tale che bisogna cercare di portare un po' di calma dall'una parte e dall'altra.

«Titulescu avrebbe già ottenuto l'inserzione, nello Statuto, di una clausola che vieterebbe ai membri della Piccola Intesa di assumere isolatamente impegni polLtici, ed anche economici, che potessero comunque influenzare la loro posizione nel detto raggruppamento ».

12 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XIII

Mi prega di rimette~e l'undta lettem a S. E. il Capo del Governo, pregandolo di scusarlo in considerazione del fatto che, come giornalista non ha altra tribuna e perciò ricorre alla forma epistolare.

Dice che capisce la versione italiana perché risponde a quello che è il suo temperamento di polemista; fa presente però una diversità di impostazione della campagna da una parte e dall'altra che non può sfuggire al senso di giustizia del Capo del Governo.

Da parte francese i giornali che attaccano l'Italia sono i giornali d'opposizione al Governo o qualche singolo foglio screditato. Dei grandi giornali francesi: Il Petit Parisien -il maggiore -è decisamente favorevole all'Italia. Il Petit Journal altrettanto.

Per quanto riguarda il Temps, sa che noi non abbiamo molta simpatia per Gentizon, che è uno svizzero; egli del resto lo ha già richiamato; ma in linea generale non si può dire contrario.

Le Journal è piuttosto favorevole all'Italia. Il Matin è un giornale che può scappare di mano ma l'Ambasciatore ha influenza sulla direzione dello stesso. Soltanto è contrario l'Echo De Paris; e qui non c'è proprio niente da fare: Pertinax non è raggiungibile. D'altra parte bisogna considerare che la campagna che l'Echo fa contro l'Italia è poca cosa in confronto di quella che fa contro il Governo francese. Va tenuto poi conto che la République, il giornale ortodosso del partito oggi al potere è decisamente e nettamente italofilo. La campagna contro l'Italia è fatta soprattutto da due giornaletti, assolutamente screditati, che nessuno in Francia prende sul serio: l'Ordre e l'Homme libre. L'Ordre è ii giornale del signor de Vandel, uno de'i pezzi grossi del Comité des forges, uomo che ha gli interessi a cavallo fra la Francia e la Germania: una cosa che ha fatto molto scalpore a suo tempo è stato il fatto che le officine del signor vandel sono state risparmiate dalla artiglieria tedesca, pure essendo situate in una zona che è stata completamente devastata. Anche oggi non si sa bene che interessi serva il giornale, interessi che possono essere molto torbidi. L'Homme libre è un giornale altrettanto screditato, appartiene al signor Lautier -serve certamente degli interessi più o meno obliqui -non sa però dire con precisione quali.

In Italia invece è la stampa tutta che con una assoluta unanimità, come per un cenno dato, attacca la Francia.

L'Ambasciatore prega S. E. il Capo del Governo di voler tener conto di questa situazione; egli sarebbe ben lieto se gli si chiedessero informazioni sulla stampa francese e su quello che rappresenta: è una partita che conosce bene e si mette a nostra disposizione.

Gli faccio presente che la smentita fatta dal Capo del Governo al Consiglio dei Ministri è stata necessaria non per la notizia riportata dall'Ordre, ma per

l'enorme diffusione che la stessa aveva avuto in tutta la stampa francese e attraverso questa nella stampa degli altri paesi. La smentita riportata fino dall'inizio della campagna dai nostri giornali non era stata ritenuta sufficiente.

Gli ricordo tutti gli ultimi attacchi della stampa francese contro l'Italia, fra i quali veramente inaudito quello a proposito dell'Atlantique. Non si può andare a fare ogni volta la diagnosi dell'origine e degli interessi dei giornali e dei loro rapporti col Governo; in Italia e negli altri Paesi quella è la stampa francese.

Ma anche nei giornali che non seguono la tattica degli attacchi diretti, si devono molte volte constatare i segni di un malanimo nei riguardi dell'Italia. Anche il recente accordo della Piccola Intesa è stato in Francia interpretato come diretto contro l'Italia.

L'Ambasciatore non vuol drammatizzare la campagna della stampa, ma ritiene che in queste condizioni l'opera di avvicinamento alla quale egli si è dedicato con assoluta buona fede col massimo fervore è resa oltremodo difficile.

Egli ritiene che un accordo fra i nostri due Paesi non possa limitarsi a qualche segnalazione di dettaglio: conviene affrontare in pieno la questione centrale.

Egli non vede motivi di conflitto fra la Francia e l'Italia se si superano alcune situazioni che si sono irrigidite intorno a false impostazioni. È venuto a Roma animato delle idee che gli avevano ispirato il discorso di Torino e i colloqui avuti dal Capo di Governo col Bérenger e con altri suoi amici francesi. Riconosce che Mussolini è l'unico punto fermo in Europa, fra tanti Paesi in via di rivoluzione,

o di evoluzione, o di involuzione. Ha avuto l'impressione che Mussolini fosse pronto a riprendere una posizione direttiva nella politica europea e si è proposto di collaborare a questo nuovo indirizzo, sicuro di fare gli interessi del proprio paese. Ha considerato che cosa potrebbe portare di bene per l'Europa e per il mondo una collaborazione franco-italiana, che dovrebbe essere alla base anche della politica delle quattro Potenze, e quale enorme prestigio ne verrebbe ai due Paesi.

La situazione attuale è assolutamente assurda, ciò che permette a figure come Benes, di prendere una posizione nel quadro mondiale che non è assolutamente corrispondente alla loro statura.

Rispondo che la buona fede e la buona volontà che l'Ambasciatore porta nell'opera a cui si è accinto, sono fuori discussione.

Certamente molte delle considerazioni che egli fa passano anche nel nostro spirito. Non posso però nascondergli che in Italia abbiamo l'impressione che non altrettanta sincerità nei nostri riguardi ci sia da parte di alcuni fattori determinanti nella vita politica francese; per citarne alcuni: lo Stato Maggiore, il Quai d'Orsay, molti ambienti parlamentari, il Comité des Forges. Non parlo del popolo francese che forse non è ostile nei nostri riguardi, ma che ha il torto di non conoscerci e di giudicarci in base a dei preconcetti.

L'Ambasciatore osserva che le mie osservazioni oggi sono in parte superate. Il Generale Pétain, Capo dello Stato Maggiore, ha dichiarato che l'unica sicurezza della Francia è in una alleanza con l'Italia.

Gli rispondo che Weygand passa per nostro nemico. L'Ambaciatore dice che Weygand è un galantuomo e che se riconosce di aver avuto torto è uomo da ricredersi.

Gli menziono il Generale Lepetit che mette su la Jugoslavia contro di noi.

Non lo conosce, non può escludere, è questione di cambiare indirizzo.

Per quanto riguarda il Quai d'Orsay l'Ambasciatore osserva che forse avrei ragione per quanto riguarda Berthelot, ma questi è ormai finito. Il suo successore Léger è un italofilo il cui principale desiderio è quello di venire Ambasciatore a Roma.

Gli osservo che il Quai d'Orsay continua per inerzia e per tradizione sulla vecchia via. L'Ambasciatore assicura che non è il caso di preoccuparsi di ciò.

Il Senatore de Jouvenel, per quanto riguarda i circoli parlamentari, osserva che la f,razione radicale ha fatto delle manifestazioni indubbie del proprio desiderio di un riavvicinamento.

Gli do atto di ciò.

Per quanto infine riguarda il Comité des Forges, a cui in Italia si darebbe troppa importanza, l'Ambasciatore de Jouvenel osserva che non c'è una politica del Comité des Forges, ma che ce ne sono molte perchè i contrasti fra gli esponenti sono notevoli. È vero però che sono contro l'accordo. Non contro quello itala-francese; contro tutti gli accordi, perchè questo è il loro interesse. È vero anche che vendono armi alla Jugoslavia, per Io stesso motivo. Ma il Paese non vuole essere dominato, e non Io è, da questi speculatori, ammesso pure che gli stessi esercitino un'influenza in determinati centri.

L'Ambasciatore conchiude dicendo che egli non perde la fiducia nella possibilità di un successo: il suo Paese ha fatto certamente un'evoluzione, se anche non sufficiente, nei ~iguardi dell'Italia. Il momento è grave e può essere determinante. Egli sente che lasciar cadere questa possibilità di intesa può importare ora una grande responsabilità per l'avvenire.

Si decide di riprendere la conversazione per esaminare gli altri punti (disarmo, conferenza economica, parità navale ecc.) mercoledì alle 17.30.

ALLEGATO

JOUVENEL A MUSSOLINI

L. P. Roma, 17 febbraio 1933.

C'est à Votre bonne foi que j'adresse cette lettre.

J'avais formé le propos de ne pas me plaindre des articles de journaux. En effet, bien que mon gouvernement soit fort loin de pouvoir exe1·cer sur la presse française l'autorité dont Vous disposez vis-à-vis de la presse italienne, je me disais que puisque nous ne pouvions pas en France évìter des attaques de journalistes, je n'avais qu'à supporter avec bonne humeur celle des journalistes italiens contre mon pays. Aussi m'étais-je bien volontiers rallié à la formule de S. E. M. Suvich, qui, reconnaissant le mauvais état de l'atmosphère, m'avait dit: «Il faut continuer à causer et chercher à se mettre d'accord sans se préoccuper du temps qu'il fait dehors ».

Mais V. E. a noté l'autre jour très justement Elle-méme la différence qu'il fallait faire entre des nouvelles de presse et des nouvelles portées devant une commission parlementaire. La différence est encore plus notable entre des articles de journaux et un communiqué du Conseil des Ministres.

Le communiqué auquel je me réfère a donné une consecration gouvernementale à la campagne de presse qui se déroule depuis le soir du 9 Février en prenant pour motif de prétendues déclarations faites à la commission des Affaires Etrangères de la Chambre française du 8 Février dernier.

Or V. E. me permettra de Lui faire respectueusement observer:

1°) que le communiqué Havas remis à Stefani le 8, lequel eut du seul faire foi, ne faisait pas mention des propos pretés le lendemain à M. le Président Herriot et à M. Ybarnegaray;

2°) que l'information du Lavoro Fascista, parue le 9 Février au soir, parait empruntée à une nouvelle pubbliée le matin meme dans le journal L'Ordre, sous la piume de M. Deleplanque, journaliste discrédité et qui a été, si je ne me trompe, l'objet de plaintes en justice du Ministère des Affaires Etrangères français;

3°) qu'au cours de la campagne de presse, les journaux italiens se sont abstenus avec une unanimité frappante de citer l'Ordre, et qu'ainsi ils Vous ont induiit en erreur, comme ils avaient commencé à m'induire en erreur moi-meme. Si nous avions en effet connu la source à laquelle s'alimentait cette campagne, nous nous serions aussitòt souvenus que le journal l'Ordre avait annoncé de ma part des «plaintes véhémentes » avec lesquelles mon attitude formait, je crois, contraste. Nous eussions jugé de la véracité du numéro du jour par celle du numéro de la veille et le Consci! des Ministres italien n'aurait pas fait à une feuille comme l'Ordre l'honneur d'une démenti.

Nous ne saurions, M. le Premier Ministre, nous dissimuler que la mission d'en_ tente avec l'Italie et avec Vous-meme dont j'ai été chargé par mon gouvernement doit rencontrer l'opposition de certains interets. Mais ceux-ci triompheraient à trop bon compte si les relations entre deux grands peuples pouva.ient etre à la merci de n'importe quel journaliste et dépendre de nouvelles dont on n'aurait pas pris soin de contròler l'authenticité.

(l) Con t. 587/36 R. del 15 febbraio Sola aveva comunicato quanto segue:

103

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL CAPO DELLE HEIMWEHREN, STARHEMBERG

APPUNTO (l) Roma, 17 febbraio 1933.

Il principe Stahremberg mi espone il piano di propaganda e di organizzazione per cui ha richiesto il finanziamento dell'importo di 2 1h milioni di scellini.

Propaganda:

l) Manifesti e cartelli;

2) Molte riunioni di propaganda;

3) Riunione in massa (fra 3-4 settimane) o a Vienna in provincia;

4) Servizio informazioni (possibilmente anche un'agenzia all'estero o servizio a mezzo agenzie estere);

5) Stampa; acquisto di 2 o 3 giornali -particolarmente in provincia;

6) Fondi per propaganda.

Organizzazione e azione:

l) Distribuzione delle armi;

2) Costituzione a Vienna di un reparto da 350-400 disoccupati riuniti dalle provincie (monture, accasermamento ecc.);

3) Vestiario e sopratutto scarpe per le Heimwehren della provincia;

4) Acquisto di 200 Bendoliche (pistole automatiche a 24 colpi);

5) Acquisto eventuale di 2-3 apparecchi (per cui già accordo con l'aeroclub);

6) Fondo a disposizione per tutti i movimenti: ammassamento, trasporto, acquartieramento e mantenimento, ecc.

Informo il principe Starhemberg che, salvo ancora un definitivo benestare, noi siamo disposti ad aiutarlo. La somma chiesta è forte ed anche noi abbiamo difficoltà; vedrò se mi riesce di raccogliere un fondo di 5.000.000 di lire.

Ad ogni modo, se noi diamo l'approvazione definitiva e se il movimento si scatena, le Heimwehren possono contare sul nostro aiuto fino alla cifra sopraindicata con la quale vedremo di acquistare la maggior somma possibile in scellini.

Informo lo Starhemberg che chiamiamo immediatamente a Roma il Morreale che fungerà da tramite durante la preparazione e l'azione. Eventualmente il Morreale potrà essere fiancheggiato da qualche altra persona di nostra fiducia che potrà -per l'esperienza acquistata sui campi delle battaglie fasciste essere di aiuto e di consiglio alle Heimwehren.

La nostra risposta definitiva la faremo avere col Morreale, che -in caso affermativo -provvederà anche al finanziamento.

Il principe Starhemberg prega che mezzo milione di scellini gli sia dato a metà della prossima settimana (non più tardi del 23) e il resto in 2 parti una al 1° e la seconda al 10 marzo.

Il principe Starhemberg, che ha ottima opinione del Morreale, prega di invitare lo stesso a non parlare della cosa con Pabst che non ha nulla a che fare con la sua organizzazione; prega anche che tutte le comunicazioni sieno fatte direttamente e soltanto a lui, Starhemberg.

Al Ministro Preziosi dirà per ora che ha presentato a Roma un piano di azione e che attende risposta, che gli sarà portata da Morreale; al Cancelliere dirà che è stato a Roma per discutere della situazione che si viene a creare in Austria in seguito al Cancellierato di Hitler, e che si tende a ottenere che i Nazi in Austria non spieghino un'attività troppo spinta.

Il principe Starhemberg approva e sigla l'unito appunto (1).

(l) Autografo di Suvich.

104

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 17 febbraio 1933.

Cavallero mi telefona da Ginevra che nella odierna seduta della Commissione politica è venuta in discussione la formulazione del testo dell'art. 1° della proposta inglese. L'azione del delegato italiano si è svolta nel senso di estendere a tutte le Potenze nei riguardi del «No Force Pact ~-In massima questa

tendenza è stata accolta, salvo una modifica del testo dell'art. 1° richiesta dal delegato jugoslavo, la quale trasformerebbe la formula «tout différend actuel ou futur entre eux » nella formula «tout différend actuel ou futur entre eux, de quelque nature ou de quelque origine qui puisse etre ». La frase innestata è tolta integralmente dall'art. 2 del Patto Kellogg.

I nostri giuristi, interpellati in proposito, ritengono la modifica sostanzialmente innocua. Sottopongo il quesito all'approvazione di V.E. (l)

(l) L'appunto è 11 testo dell'accordo Suvlch-Starhemberg per Il quale cfr. n. 98, nota 2, p. 102.

105

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 255/56 R. Roma, 18 febbraio 1933, ore 4.

Con telegramma a parte trasmetto a V.E. testo nota consegnata dai ministri di Francia e d'Inghilterra a Vienna al cancelliere austriaco, e indico di seguito punto di vista e osservazioni R. Governo in proposito.

l) Anzitutto quanto tono deUa nota, redatta quasi in fmma di ultimatum, esso appare in ogni caso sproporzionato all'affare di cui trattasi. Ridotta nei suoi veri termini questione è infatti di sapere se spedizione viola, come codesto Governo assume, o non viola, come noi riteniamo e come ha ritenuto Governo austriaco, trattato di San Germano. Per quanto riguarda pretesi invii in Ungheria è questione di fatto e onere dimostrazione non può spettare -secondo le norme di diritto -che a chi avanza una tale imputazione. Pertanto forma comunicazione al Governo austriaco aggrava e non facilita un chiarimento;

2) Per l'interpretazione dei trattati sono stabiliti degli speciali organi ed una precisa procedura. Poiché le potenze che hanno fatto il passo non hanno nessuna speciale investitura per interpretare i trattati, loro interpretazione è unilaterale e quindi non impegnativa nei riguardi altrui e non giustifica pertanto quanto è stato fatto a Vienna.

3) Effettivamente, a nostro modo di vedere, azione austriaca è perfettamente giustificata e non è fatta per nulla in violazione dei trattati: difatti le armi sono state importate temporaneamente in Austria per essere riesportate dopo la riparazione. Su questo punto non c'è quindi violazione di trattato, perché quest'ultimo vuole impedire soltanto l'importazione definitiva in Austria. Le fabbriche di Hirtenberg e Steyer che riparano le armi sono attrezzate per industrie di pace. Il trattato ha regolato le fabbriche di armi in Austria, che debbono essere soppresse salvo quelle sottoposte ad un determinato controllo, ma il trattato non impedisce che fabbriche destinate ad industrie non belliche possano all'occorrenza fare qualche riparazione anche ad armi per conto di terzi. Non esiste quindi violazione di trattati neanche a tale riguardo.

4) D'altra parte se le officine austriache hanno fatto un contratto con un privato per riparazioni di armi, contratto perfettamente lecito e valido dal punto di vista dei trattati, e se l'Austria sotto la pressione del passo delle Potenze dovesse procedere alla distruzione di queste armi, evidentemente essa sarebbe ritenuta responsabile del valore delle stesse da parte del privato speditore.

5) Quanto sopra detto dimostra lè buone ragioni dell'Austria e la mancanza di fondamento del passo intrapreso dalla Francia e dall'Inghilterra.

6) Governo italiano confida pertanto che Governo inglese riconoscerà opportunità di consentire alle fabbriche austriache di corrispondere ai contratti stipulati col proprietario delle armi rinviando le stesse al posto di origine mano mano che siano state ricalibrate dalle fabbriche. Già da qualche tempo le prime armi riparate son cominciate a rientrare in Italia allo speditore.

7) Le notizie diffuse su questa questione nella stampa, i commenti che sono stati fatti, la maniera in cui la questione è trattata, il suo collegamento col prestito concesso all'Austria, danno impressione di una manovra politica che non dovrebbe sfuggire a codesto Governo e a cui codesto Governo non dovrebbe prestarsi.

8) Governo italiano e Governo inglese hanno collaborato costantemente all'interpretazione e all'applicazione dei trattati di pace. Governo italiano pur impressionato sfavorevolmente dall'atteggiamento di codesto Governo, è disposto nell'interesse generale a continuare a collaborare anche in questo caso. Si attende perciò che Governo inglese riconsideri suo atteggiamento entrando nell'ordine di idee di cui al punto n. 6 e facendo relative comunicazioni.

9) Su quanto precede ho intrattenuto questo ambasciatore d'Inghilterra (1). Il Capo del Governo prega V.E. valersi degli elementi di cui sopra per parlare con MacDonald e Simon e telegrafare esito conversazione (2).

(l) Annotazione a margine di Mussollni: «Si».

106

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CONSOLE GENERALE A ZAGABRIA, UMILTA

T. PER CORRIERE RR. P. 267 R. (3). Roma, 18 febbraio 1933.

Autorizzala smentire qualsiasi notizia su trattative come da suo rapporto

n. 680/109 (4). Tale voce è del resto inverosimile dopo recenti accordi Piccola Intesa.

Abbiamo dato ordine stampa cessare campagna pro-Dalmazia e può assicurare circoli croati nostra intenzione continuare favorirli. Pregola insistere su necessità che si abbia fiducia in nostro capo.

(3} Minuta d'l pugno di Suvich. (4} Cfr. n. 81.
(l) -Il colloquio era avvenuto il 16 febbraio come risulta da un appunto di suvich. (2) -Per la risposta di Grandi cfr. n. 115.
107

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. PER CORRIERE 268 R. Roma, 18 febbraio 1933.

Impressione che Governo francese si orienti verso un ritorno a politica intesa con la Russia, già rilevata anche da codesta stampa (V. articolo Manchester Guardian segnalato suo fonogramma 633 del 15 corrente) (1), viene rafforzata da indizi e segnalazioni concordanti che si vanno da qualche giorno facendo sempre più frequenti.

Sarà opportuno che V.E. attiri alla prima occasione su questa eventualità, che può maturare rapidamente, attenzione di codesto Governo. La prego di farmi poi conoscere come essa venga costà considerata (2).

108

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AI MINISTRI A BUDAPEST, COLONNA, E A VIENNA, PREZIOSI

T. PER CORRIERE RR. 269 R. Roma, 18 febbraio 1933.

(Per Budapest) Ho telegrafato a Vienna quanto segue:

(Per tutti) Dica a Dollfuss che abbiamo insistito presso il Governo inglese perché riconsideri il suo atteggiamento. Le invio a parte telegramma diretto in proposito al R. ambasciatore a Londra (3) di cui ella potrà opportunamente valersi in via riservata presso cancelliere. Non è evidentemente ammissibile richiesta giustificazione circa pretesi invii armi in Ungheria. È norma riconosciuta di diritto che onere della prova spetta a chi fa una imputazione. Né d'altronde gioverebbe in nessun caso e neanche a Governo austriaco di fare qualsiasi ammissione in proposito. Così pure non conviene in nessun caso ad Austria corrispondere a domanda di rispedizione o di distruzione delle armi fondata sulla interpretazione unilaterale del trattato ma insistere su punto di vista restituzione dopo ricalibramento.

Eventualità rinvio questione a Ginevra, del resto poco probabile, deve essere considerata con ogni serenità, poiché non ci mancherebbero in tal caso solidi argomenti giuridici su cui fondare nostra azione in difesa buon diritto Austria e potremmo sollevare questione invio materiale bellico dalla Cecoslovacchia in Jugoslavia.

(Per Budapest) V. S. potrà intrattenere in proposito Gomboes.

(l) -Non pubblicato. (2) -Per la risposta di Grandi cfr. n. 147. (3) -Cfr. n. 105.
109

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 675/98 R. Berlino, 18 febbraio 1933 (per. il 23).

Mio telegramma n. 93 (l).

Il barone von Neurath, dopo avermi comunicato ad un pranzo da lui offerto le istruzioni inviate all'ambasciatore Nadolny a Ginevra, si intrattenne meco della perdita continua di prestigio della Società delle Nazioni. Dopo di aver constatato insieme come la pretesa autorità di quest'ultima sia stata fortemente scossa dagli insuccessi riportati nei conflitti sino-giapponese, bolivianoparaguayio e peruviano-colombiano, il barone von Neurath mi disse che egli si domandava proprio a che cosa servisse la Società delle Nazioni, dato che i fatti avevano provato la sua impotenza a risolvere onorevolmente qualsiasi seria divergenza internazionale. Ed aggiunse che il non lieve contributo di spesa di ogni Stato era certo inadeguato ai miseri risultati ottenuti, cosicché egli sarebbe più che lieto se l'organismo ginevrino cessasse un giorno di esistere.

110

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL MINISTRO D'AUSTRIA A ROMA, EGGER

APPUNTO. Roma, 18 febbraio 1933.

Ho convocato il Signor Egger, per informarlo sui passi intrapresi a Londra (2), riaffermando il nostro punto di vista che in qualunque caso fosse da evitare una restituzione delle armi in massa.

Lo ho informato della visita a Roma nei giorni scorsi del Principe Starhemberg (3), il quale è venuto per prospettare! la delicata situazione creatasi in Austria in seguito all'andata al potere in Germania di Hitler: ha insistito sul fatto che la ripresa di un'attiva propaganda da parte degli hitleriani in Austria, mentre non li può portare al potere -almeno per ora -non fa che indebolire il fronte dei partiti nazionali a tutto vantaggio della social-democrazia. Il Principe Starhemberg ci ha chiesto di contribuire anche da parte nostra a chiarire tale situazione col nuovo Governo tedesco.

Ho detto al Signor Egger che non occorreva che egli riferisse su ciò a Vienna, pe,rché il Principe Starhemberg sarebbe andato ad informare il Cancelliere del suo passo.

(l) -Cfr. n. 96. (2) -Cfr. n. 105. (3) -Cfr. nn. 98 e 103.
111

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, JOUVENEL

L. P. 1301. Roma, 18 febbraio 1933.

S. E. le Chef du Gouvernement m'a remis Votre lettre du 17 courant (l) au sujet de récentes polémiques apparues dans la presse française et italienne et il m'a chargé de Vous exprimer son appréciation pour l'esprit de confiance dans lequel Vous Vous adressez à Lui.

Cependant, en ce qui concerne les observations qui font l'objet de Votre lettre, je ne peux pas m'empècher de Vous exposer quelques précisions. Il est effectivement exact que le premier communiqué reçu par l'Agence Stefani le 8 courant de l'Agence Havas concernant la nomination de M. Herriot à la présidence de la Commission des Affaires Etrangères, ne faisait aucune allusion aux discussions qui avaient eu lieu au sein de cette Commission.

On a appris au contraire le lendemain les propos qui auraient été tenus au sujet de la prétendue alliance par les publications apparues dans l'Ordre, le Matin, le Populaire, l'Action Française, du 9 février et dans le Journal des Débats du 11 février.

Puisqu'un démenti officieux donné à l'Agence Stefani le 10 courant n'avait pas suffi à écùaircir l'atmosphère chargée de soupçon, mon Gouvernement a crù opportun couper court, par le communiqué du Conseil des Ministres du 15 courant, à la campagne qui continuait sur la presse française.

C'est seulement alors que l'Agence Havas a fait connattre qu'à aucun moment et sous aucune forme la nouvelle relative au soidisant traité d'alliance italo-germano-hongrois n'avait été portée devant la Commission des Affaires Etrangères. Cette déclaration fut également confirmée par la lettre que Vous a été adressée par M. Herriot, et que Vous avez eu l'obligeance de me communlquer.

Je désire cependant attirer Votre attention sur les déclarations que M. Herriot a faites au Temps (n. du 17 courant, qui est arrivé hier matin à Rome) dont je ne peux pas m'emp~cher de relever la contradiction avec le communiqué Havas.

Par cette exposition des faits que j'estime exacte, V. E. peut se rendre compte que le démenti officiel opposé par le Gouvernement ne visait point tel ou tel journal, mais toute une campagne de presse qui avait pris des proportions considérables et qui ne contrtbuait certainement pas à l'éclaircissement des rapports entre nos deux Pays.

(l) Cfr. n. 102, allegato.

112

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (l)

L. P. Londra, 18 febbraio 1933.

Come ho preavvisato con telegramma (2) ho avuto ieri un lungo scambio di idee con Simon.

Mi sono espresso con Simon secondo le Tue istruzioni ed usando le stesse parole del Tuo ultimo telegramma (3). Essere stato cioè il Governo Italiano sgradevolmente meravigliato dell'attitudine presa dal Foreign Office circa l'incidente di Hirtenberg, attitudine che non serve certo la causa della pace. Ho aggiunto per conto mio che ritenevo utile nell'interesse e per la chiarezza dei rapporti italo-britannici avere uno scambio di idee sulla situazione politica generale del centro-est europeo. La situazione politica dell'Europa centro-orientale, specie da alcuni mesi a questa parte, è assai peggiorata, e ciò -ho detto -per opera diretta del Governo di Belgrado e della Piccola Intesa, e per opera indiretta del Governo di Parigi. L'Italia è tranquilla, perché è abituata a guardare le cose in faccia, a misurarle e a valutare, nella loro esatta portata, tutte le eventualità. Ma quanto sta accadendo da qualche mese a questa parte, ha provocato un profondo risentimento nello spirito italiano, e questo è un dato di fatto di cui il Governo britannico, nel valutare la situazione generale, deve tenere il giusto conto. Ho tracciato un quadro della situazione italo-jugoslava, citando la serie dei fatti veramente impressionanti che testimoniano di quello che è oggi nell'animo e nel disegno dei dirigenti la politica serba, sino alla grottesca manovra tentata da Herriot alla Camera francese per accreditare la notizia di un'alleanza italo-magiara, e ciò all'unico scopo di mascherare di fronte all'Europa la portata assai grave del nuovo statuto politico-militare delle alleanze degli Stati della Piccola Intesa.

Mi sono quindi soffermato più dettagliatamente su altra precedente manovra organizzata da Parigi e Belgrado a danno dell'Italia, manovra nella quale H Foreign Of.!ìice ha finito coll'esse,re sia pure indirettamente coinvolto. Intendo parlare della notizia relativa all'unione doganale italo-albanese e al presunto «passo» del Ministro jugoslavo a Londra. È vero che il Foreign Office mi ha smentito l'esistenza di tale passo, ed è anche vero che il Foreign Office mi ha detto che il Governo britannico non aveva preso sul serio il piccolo trucco «balcanico» escogitato dal Governo di Belgrado. Ma è altrettanto vero che la notizia di una visita del ministro serbo al Foreign Office, divulgata a cura della Legazione jugoslava, ha permesso all'« Ha vas» di lanciare attraverso l'Europa la sera stessa una serie di telegrammi tendenziosi facendo credere che l'Inghilterra appoggiava la politica di Belgrado contro l'Italia nella questione dell'unione doganale italo-albanese. Questa unione doganale italaalbanese, ho detto incidentalmente a Simon (come avevo ripetuto parecchie volte nelle scorse settimane a Vansittart), non è un fatto di oggi né un fatto

di ieri. La questione venne discussa amichevolmente fra il Governo di Roma e il Governo di Tirana circa un anno fa ed il negoziato venne interrotto per comune volontà dei due Governi, i quali sono e si sentono tuttavia perfettamente liberi di concludere nell'avvenire un accordo di tal genere se di comune accordo riconosceranno essere ciò nel reciproco interesse. Non saranno certo le proteste jugoslave od eventualmente di alcuna altra Potenza a far deviare d'un pollice quella che potrà essere ad un certo momento la comune volontà dell'Italia e dell'Albania.

«Quello che è accaduto a proposito dell'Unione doganale itala-albanese -ho continuato -ha l'aria di ripetersi in occasione dell'incidente di Hirtenberg. Non conosco il testo della comunicazione inglese al Governo austriaco, ma è certo che già Francia e Piccola Intesa cercano di fare credere che il Governo britannico abbia aderito all'azione da essi intrapresa contro l'Austria. È vero che voi, Simon, avete corretto nelle vostre dichiarazioni alla Camera dei Comuni l'impressione sgradevole determinata dalla notizia di un passo britannico a Roma, ma è altrettanto vero che l'opinione pubblica internazionale ha avuto l'impressione che in questa disgraziata questione delle armi in Austria il Governo britannico si sia messo al rimorchio dei governi della Francia e della Piccola Intesa».

Simon ha protestato vivamente dicendomi che il Governo britannico non è al rimorchio di nessuno, e che unica preoccupazione del Foreign Office è stata quella di consigliare moderazione a quei Governi che intendevano dare alla questione una proporzione molto maggiore. Egli ha ripetutamente insistito perché l'incidente sia liquidato nel più breve tempo possibile, evitando una procedura di accertamenti che avrebbe complicato ancora più la situazione. Simon mi ha detto, con accento di sincerità, di essermi grato della franchezza colla quale gli parlavo. Non credeva che gli uffici del Foreign Office, i quali nella sua assenza si erano occupati dei dettagli della questione, avessero avuto l'intenzione di allontanarsi dalle direttive da lui impartite. Ad ogni modo, se qualche errore di esecuzione vi era stato, egli stesso, Simon, avrebbe provveduto a considerarlo attentamente. Simon ha continuato dicendo: « Non vi sono ormai in Europa se non due Governi che diano garanzia di stabilità, quello di Mussolini e quello britannico. Quello di Mussolini è, naturalmente, molto più stabile del nostro ma ad ogni modo l'attuale governo britannico ritiene d'avere avanti a sé un periodo di tempo ragionevolmente lungo durante il quale esso potrà governare il paese. E il governo attuale britannico tiene assolutamente alla leale collaborazione con l'Italia. «Questo -ha continuato Simon -vi prego di confermare al Duce nel modo più assoluto».

Circa la situazione nel centro-est europeo Simon mi ha detto di esserne seriamente preoccupato, aggiungendo che a suo avviso la disgregazione della Jugoslavia potrebbe creare nuovi turbamenti alla pace.

Gli ho risposto che l'Italia non ha affatto in animo di provocare una disgregazione della Jugoslavia, ma non può tollerare che la Jugoslavia assuma un'attitudine di sempre maggiore tracotanza, il che è il vero pericolo per la pace. Simon mi ha domandato se ritengo assolutamente impossibile riprendere l'idea di un patto tripartito itala-franco-jugoslavo. Gli ho risposto: Impossibile. Francia e Jugoslavia con la recente rinnovazione del trattato di alleanza hanno compromesso, evidentemente, tutte le possibilità, se pure fossero esistite, in tal senso.

Tornando all'incidente di Hirtenberg Simon ha concluso che egli ti sarà grato, ove tu voglia suggerirgli quale soluzione Tu ritenga opportuna per liquidare l'incidente in modo che non se ne parli più.

Questa, per sommi capi, la mia conversazione con Simon. Il corriere parte e debbo rinunciare oggi a dilungarmi con considerazioni di carattere più generale sulla politica estera inglese, in questo momento. Lo farò tuttavia prossimamente. Ho voluto intanto riferirTi quello che nella mia conversazione con Simon mi sembra essenziale.

(l) -Da A C S, Carte Grand!. (2) -T. 624/119, pari data, non pubblicato. (3) -Cfr. n. 84.
113

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A GEDDA, DE PEPPO

T. 270/7 R. Roma, 19 febbraio 1933, ore 1,30.

Suo telegramma n. 9 (1).

V. S. può confermare a Fuad Hamza che nessun significato ostile a Saudia può avere presenza in Eritrea fuorusciti hegiazeni così come per quanto ci riguarda non abbiamo mai ritenuto atto ostile presenza nell'Hegiaz di Ahmed Scerif e di altri senussiti.

Fuorusciti hegiazeni continueranno ad essere debitamente sorvegliati; e ove si rendesse necessario opportune misure saranno prese nei loro riguardi, in relazione nostri buoni rapporti con codesto Governo. Trattato italo-hegiazeno continuerà ad essere lealmente osservato anche per quanto trovi applicazione in questa questione.

114

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, CERRUTI, A LONDRA, GRANDI, A MADRID, GUARIGLIA, E A WASHINGTON, ROSSO, E AL MINISTRO A BELGRADO, GALLI

T. PER CORRIERE 282 R. Roma, 19 febbraio 1933, ore 23.

(Per tutti meno Londra) Comunico per conoscenza e norma seguente telegramma diretto al R. ambasciatore Londra: (Per tutti) A parte progressivo sviluppo preparazione militare jugoslava accentuatasi in questi ultimi mesi e su cui verranno inviati dettagli a V. E., ai

primi del mese corrente sono stati rilevati segni di una così intensa attività militare con voci circolanti di richiami e di mobilitazione, che R. ministro a Belgrado ha avuto istruzioni (l) di chiedere formali chiarimenti in proposito a quel Governo.

R. ministro a Belgrado ha riferito in data di ieri (2) aver ricevuto da quel presidente consiglio, in assenza ministro degli esteri smentita voci movimenti militari e promessa che al R. addetto sarà dimostrato carattere ordinario spostamenti effettuati ed in corso rispondenti nuovo raggruppamento forze.

È anche segnalata una più intensa attività di missione militare francese in Jugoslavia.

Pur non escludendo ipotesi che tutte queste misure siano dettate da preoccupazioni per torbida ed inquieta situazione interna, prego V. E. trovar modo di tenerne ad ogni buon fine discorso costì in relazione a situazione politica generale e alle precedenti segnalazioni delle recenti oscure dichiarazioni del ministro Jeftic a R. Ministro a Belgrado (3).

(l) Cfr. n. 62.

115

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 641/122 R. Londra, 20 febbraio 1933, ore 17,45 (per. ore 22).

Ho veduto stamane Simon ed ho avuto con lui nuovo lungo e laborioso colloquio, a conclusione del quale Simon mi ha dichiarato accettare per conto Governo britannico proposte di V. E. contenute nel punto 6° del telegramma 56 (4) e di fare passi opportuni perché Governo francese accetti anche esso tale soluzione.

Governo britannico è d'accordo dunque che le armi inviate in Austria da spedizioniere italiano per essere ricalibrate siano rispedite in Italia quando lavoro riparazione sarà completo. La prova dell'avvenuta rispedizione consisterà a suo tempo semplicemente nei certificati doganali che saranno rilasciati dalle autorità austriache.

Cade quindi richiesta giuramento nonché termine, perentorio, di due settimane contenuto nota franco-inglese. Sir John Simon mi ha detto che egli impartiva subito opportune istruzioni al ministro a Vienna.

Invio direttamente R. ministro a Vienna presente telegramma perché ritengo utile che Governo austriaco sia subito messo al corrente da parte nostra di quanto precede.

(l) -Cfr. n. 97. (2) -Con t. 619/42 R., non pubblicato. (3) -Cfr. n. 21, nota 2. (4) -Cfr. n. 105.
116

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 642/62 R. Vienna, 20 febbraio 1933, ore 23,20 (per. ore 5 del 21).

Telegramma per corriere di V. E. n. 269 (l).

Ho avuto lungo colloquio con cancelliere che ringrazia vivamente V. E. per costante suo caldo appoggio della cui importanza egli si è reso pienamente conto.

Dollfuss, che ho opportunamente informato delle istruzioni di V. E. a Londra (2), mi ha mostrato profonda riconoscenza aggiungendo che egli non avrebbe mai potuto far valere quanto V. E. nella sua grande autorità ha potuto colà rappresentare.

Segnalo intanto che atteggiamento cancelliere resta così definito: egli non darà alcuna risposta scritta al noto «ultimatum». Se però nel ricevimento diplomatico di domani ne sarà richiesto (come pare sicuro) dai due interessati, risponderà oralmente rilasciando loro appunto scritto seguente tenore preciso:

1°) Governo austriaco ritiene, come ha sempre sostenuto, trattarsi di traffico commerciale non in contrasto con il trattato di Saint Germain. 2°) Fino da principio ha fatto presente essere disposto fare tutto il possibile per accelerare tale traffico e riparazione.

3°) Governo austriaco non vede motivo abbandonare tale punto di vista e considera impossibilità corrispondere tanto in relazione forma che contenuto, alle domande formulate nota franco-inglese.

Cancelliere austriaco mi ha detto che secondo sue informazioni di questa sera Francia e Inghilterra sarebbero venute più miti consigli desiderando risolvere al più presto incidente.

Ciò considerando cancelliere austriaco vuole evitare nella risposta ogni accenno a possibile ulteriore procedura a Ginevra o a l'Aja.

117

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BUCAREST, SOLA

T. 285/31 R. Roma, 20 febbraio 1933, ore 24.

Presentandosene occasione e regolandosi come se ella agisse di sua iniziativa personale, anche per evitare impressione che sopravalutiamo recente accor

do Piccola Intesa, cerchi sapere come s1 inserisce patto italo-romeno negli accordi medesimi e se un eventuale rinnovo dovrebbe costituire una specie di patto Italia-Piccola Intesa (l).

(l) -Cfr. n. 108. (2) -Cfr. n. 105.
118

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO

TELi::SPR. 205280/102. Roma, 20 febbraio 1933.

Il R. Ministro in Etiopia in data 11 febbraio u.s. ha telegrafato quanto segue:

«A documentazione persistenti timori e diffidenze di questo Governo nei riguardi nostri, comunico che mi risulta in modo sicuro che Imperatore ha telegrafato negli scorsi giorni a Ras Seium per informarlo di aver avuto sentore "che gli italiani sono ben preparati per la guerra" e per chiedergli conferma circa notizia di concentramenti di aeroplani in varie località dell'Eritrea verso la frontiera etiopica.

Conforme istruzioni mi adopererò dissipare queste apprensioni. Riterrei per altro opportuno la mia opera venisse secondata evitando, per il momento, in Eritrea manifestazioni suscettibili di acuire diffidenze questa gente l) (2).

La notizia sopra riportata conferma nuovamente le diffidenze che, come noto, si nutrono da parte etiopica nei nostri riguardi e che, alimentate ad arte della propaganda a noi ostile, costituiscono da qualche tempo un crescente ostacolo ad un miglior andamento dei nostri rapporti con l'Etiopia e alla stessa tutela dei nostri interessi in quell'Impero.

Questo R. Ministero, mentre provvede per parte sua acché siano evitate nella stampa pubblicazioni suscettibili di alimentare e rafforzare tali diffidenze, che è nostro interesse, come concordato anche nell'ultima riunione interministeriale (3), di sopire, prospetta a codesto R. Ministero l'opportunità che analoghe istruzioni vengano impartite da codesto, per quanto si riferisce alla stampa coloniale nel Regno e nelle Colonie, a concorda inoltre col R. Ministro in Addis Abeba nel ritenere che convenga evitare, sia in Eritrea che in Somalia, manifestazioni o atteggiamenti, suscettibili di rendere vana l'azione che quel R. Rappresentante va svolgendo per attutire -in quanto possibile i sospetti e gli allarmi etiopici ( 4).

Sembra escluso però che patto !taio-romeno dovrebbe necessariamente costituire un patto Italia Piccola Intesa ».

(-3) Cfr. n. 29, nota l.

13 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XIII

(l) Sola rispose con t. 657/46 R. del 21 febbraio: «da un riassunto ufficiale dello statuto, oggi apparso, risulterebbe che ogni trat.tato politico, come quello che lega Italia e Romania, non può essere rinnovato senza il consenso degli altri due membri.

(2) -T. 532/72/10 R. (4) -Il presente telespresso venne redatto sulla traccia di un appunto di Buti per Suvlch del 18 febbraio.
119

APPUNTO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

Roma, 20 febbraio 1933.

PREPARAZIONE

l) Propaganda (comizi, acquisto alcuni giornali, neutralizzazione di altri) sulla base del !egalitarismo. Parola d'ordine: salvare lo Stato.

2) Graduale disarmo delle formazioni ostili -specie nelle piccole città e località della provincia -sorveglianza delle formazioni di Vienna.

AZIONE

Scoperta sensazionale di armi e di preparativi per instaurare in Austria la repubblica rossa. Proclamazione dello stato di assedio. Arresto di tutti i capi socialisti. Soppressione dei loro giornali. Chiusura delle loro sedi. Completazione del disarmo del republikaner Schutzbund. Scioglimento della Camera e rinvio delle elezioni sine die. Dimissioni di Dollfuss e assunzione del Cancellierato da parte di Starhemberg. Scioglimento del partito comunista. Scioglimento del consiglio comunale di Vienna e nomina di un Commissario statale. Proclama alla popolazione:

«Esaltazione patriottismo austriaco; ordine; riorganizzazione dello Stato per risolvere i problemi interni ed economici. Avvenire dell'Austria. Nessun accenno a possibili restaurazioni. Rapporti di amicizia con tutti i vicini. Il popolo non ha nulla da temere; programma contro la disoccupazione che il Parlamento non è riuscito a risolvere. Quando la situazione sarà chiarita il popolo sarà chiamato a nominare i propri rappresentanti.

Tutta l'azione nel termine di 24-36 ore. Stroncare qualsiasi tentativo di sciopero generale o dei servizi pubblici, predisponendo l'arresto dei capi dei sindacati e l'organizzazione delle forze che possono sostituire gli scioperanti.

120

COLLOQUIO FRA IL CAPO GABINETTO, ALOISI, E IL MINISTRO DEGLI ESTERI TURCO, TEWFIK RUSCHDI BEY

APPUNTO. Ginevra, 20 febbraio 1933.

Ho visto Tewfik, che mi ha comunicato le sue impressioni dopo un colloquio avuto con Litvinoff sulle relazioni russo-tedesche. Litvinoff gli ha detto di

aver proceduto al trattato di non aggressione con la Francia avendo di mira due scopi: a) impedire che Francia e Germania potessero giungere a qualche accordo speciale, come correva voce in quel momento;

b) dimostrare a Berlino che ancbe Mosca aveva la possibilità di avvicinarsi, quando voleva, alla Francia.

Ho chiesto a Tewfik se egli credeva che conseguenza del trattato di non aggressione potesse essere qualche intesa economica. Egli lo ha assolutamente e decisamente escluso dicendomi che le clausole dell'accordo Mosca-Angora sottopongono qualsiasi accordo o intesa che possa comunque influenzare la politica estera di uno dei due contraenti al consenso dell'altra parte. Quindi, poiché ad Angora nessun consenso è stato chiesto, c'è da dedurre che nessun mutamento sia in vista nelle direttive della politica estera russa.

Ha però soggiunto che dopo l'avvento di Hitler al potere si avverte nei circoli dirigenti russi un certo disagio per i possibili mutamenti che Hitler potrebbe apportare nelle relazioni fra i due paesi. Gli ho detto che mi pareva che pel momento il compito di Hitler fosse principalmente interno e che quindi il disagio di Mosca dovesse essere piuttosto da ricollegarsi a timori sui propositi di Hitler nei riguardi dei comunisti in Germania. Trattandosi però di affari interni di un paese, queste preoccupazioni non avrebbero esercitato alcuna influenza concreta sull'atteggiamento del Governo di Mosca verso Berlino, così come analoghe preoccupazioni non ne avevano esercitato, a suo tempo, sul suo atteggiamento verso Angora.

Abbiamo esaminato anche il fatto nuovo del rafforzamento della Piccola Intesa. Tewfik ha condiviso il parere che la formazione di questo nuovo gruppo internazionale devesi sopratutto al desiderio dei suoi componenti di contrapporsi al revisionismo e allo hitlerismo spiegando, sempre d'accordo con la Francia, un'azione efficace per impedire che l'Austria segua l'esempio tedesco, e per spingere invece i socialisti al potere a Vienna. Tewfik è di opinione che la Piccola Intesa sia una combinazione negativa e di dubbia durata.

Per qualunque azione vi fosse eventualmente da svolgere in comune, tanto nel campo di questa questione della Piccola Intesa quanto in quello delle discussioni sul disarmo, Tewfik ha tenuto a dirmi che egli si teneva a mia completa disposizione.

Andrò a vedere Litvinoff per controllare quanto mi ha detto Tewfik.

121

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. PER CORRIERE 288 R. (l). Roma, 21 febbraio 1933.

V. E. potrà all'occasione e in via di conversazione far rilevare a Hitler come non vi sia da fare alcun serio affidamento sull'Inghilterra legata a fil

doppio alla Francia anche se qualche volta pare assuma atteggiamento indipendente e di critica alla politica francese. Nei momenti determinanti l'azione britannica si affianca sempre a quella francese. Richiami anche attenzione Hi-tler su atteggiamento Russia, di evidente francofilia che si è manifestata nella [occasione] della ratifica al noto patto e nei commenti più significativi dei giornali bolscevichi. È mia opinione che a e'lezioni ultimate Hitler dovrà procedere ad una chiarificazione dei rapporti germano-russi, secondo le linee applicate in Italia. Lotta contro il comunismo all'interno e rapporti normali con U.R.S.S.

(l) SJJBd!to direttamente dal Gabinetto, non Inserito ne! registri del telegrammi !n poartenza.

122

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 673/57 R. Ginevra, 21 febbraio 1933 (per. il 23).

Seguito telespresso n. 30 (1).

Comitato di redazione per compilare testo del cosi detto «no-force pact » ha tenuto oggi sua terza seduta senza raggiungere accordo, anzi separandosi su un grave e significativo dissenso franco-tedesco.

Come noto, spirito proposta inglese era semplicemente di riaffermare patto Kellogg precisando che per guerra intendesi ogni atto di forza anche senza espressa dichiarazione di guerra; e di questa riaffermazione servirsi come di una nuova garanzia, a largo e generico significato, da annettersi a futura Convenzione disarmo.

Noi decidemmo aderire tale punto di vista ed anzi attaccarvicisi strettamente, in modo da evitare fin dove possibile ogni nuova specificazione di impegni o di obblighi che ci legasse le mani più di quanto non avesse fatto il patto Kellogg.

Nel corso della discussione in seno al comitato di redazione, le cose cominciarono a deragliare, nel senso che da talune delegazioni si cercò di « tagliare » le connessioni formali stabilite, nel testo inglese, fra il patto Kellogg e la nuova riaffermazione. Ne venne che tale riaffermazione prendeva poco a poco l'aspetto di un nuovo patto a sé stante. E allora, da una parte, occorreva rivedere e ripetere tutte le riserve contenute od adombrate nei documenti diplomatici che accompagnano il patto Kellogg; dall'altro, si correva il rischio di sostituire il Kellogg con un nuovo patto, distruggendo, o per lo meno minando fortemente, il valore del primo.

Assieme a noi, le delegazioni di Germania, Svizzera, Soviet e Turchia, si batterono, con metodi diversi, ma tutti tendenti allo stesso scopo, per conservare alla riaffermazione il suo carattere primitivo. L'Inghilterra, al solito, sebbene direttamente interessata alla propria proposta, mostrò la più evidente voglia di lasciar agire gli altri; e soltanto oggi ha ripreso a tenere le posizioni assunte con una certa fermezza.

Ma oggi, per l'appunto, l'altra parte (Belgio, Francia, Jugoslavia) ha scoperto, per una vera imprudenza verbale del signor Massigli, le batterie nascoste dietro l'asserita necessità di ripetere le riserve del patto Kellogg.

II gruppo ha cioè proposto l'aggiunta, alla redigenda affermazione, del seguente paragrafo:

« Les membres de la S.d.N. déclarent que le présent engagement ne porte

pas atteinte à l'accomplissement des mesures prévues dans les actes interna

tionaux en vigueur ou par des actes similaires à venir, en vue de s'opposer à

une agression ».

Mentre il rappresentante tedesco stava considerando, pochissimo soddisfatto ma tuttavia titubante, la formula, il signor Massigli lasciò intendere che, naturalmente, qualsiasi inadempienza ad atti internazionali (v. trattato di Versailles, ecc.) poteva venir considerata come aggressione, e quindi costituiva sospensione dell'obbligo di non ricorrere alla forza, in virtù del principio sempre in vigore della legittima difesa.

Queste espressioni del signor Massigli arrecarono invece, come ben si immagina, gran piacere a noi, che fin dall'inizio avevamo compreso il pericolo della formula e stavamo pensando al modo acconcio per silurarla. Giacché il tedesco, fattasigli luce completa, puntò i piedi, e senza più nemmeno, nell'emozione del momento, ricorrere ai sapienti cavilli giuridici, dichiarò che la Germania rifiutava netto di incamminarsi per tale via.

Opportunamente il presidente Politis, sebbene l'ora non fosse peranco avanzata, deliberò immediatamente di sospendere la seduta, col pretesto di avere tempo di studiare una formula (credo nata morta) proposta in quel momento da un'altra banda.

Ciò non toglie che il comitato di redazione del «no-force pact », su cui almeno stimavasi di poter raggiungere un accordo generale, si è dovuto separare in tutta fretta su di un contrasto preciso e sostanziale franco-tedesco che, pur essendo avvenuto in un ambiente stretto e chiuso al pubblico, è certamente il più grave e significativo che si sia verificato dal 23 gennaio ad oggi.

Non credo superfluo di richiamare l'attenzione anche sul rapporto diretto che la proposta Massigli comporterebbe coi casi che direttamente ci interessano, per es. con la posizione dell'Austria nei riguardi della questione delle armi di Hirtenberg, e relativa pretesa violazione o inadempienza dei trattati.

Aggiungo che, a seduta finita, e riandandone gli episodi, il delegato belga. Signor Bourquin espresse al nostro delegato la sua persuasione che il tedesco avesse cercato di escludere dalle riserve -che si trasporterebbero dal patto Kellogg al nuovo patto -certune concernenti Locarno e, più precisamente, quelle riferentesi all'art. 43 del trattato di Versailles; nel senso che la violazione del detto articolo (con concentramenti bellici tedeschi nella zona neutra) non avrebbe costituito caso di aggressione, cioè non avrebbe liberato la Francia

o il Belgio dall'obbligo di non ricorrere alla forza per impedirli o prevenirli.

È indubitato che il dibattito fu, alla fine, rapido e confuso. La prossima seduta chiarirà meglio le cose.

(l) Non pubblicato.

123

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 666/110 R. Berlino, 22 febbraio 1933, ore 14 (per. ore 18,,11).

Telegramma del R. console Monaco di Baviera 18 corrente (1).

Btilow mi ha detto non si è mai pensato nominare commissario per Baviera e che ad ogni modo colloquio avuto a Berlino da Schaeffer capo partito popolare bavarese con cancelliere ha chiarito la cosa. Non v'è più alcuno il quale pensi nominare principe Rupprecht a capo del Governo bavarese e tanto meno restaurare monarchia. Del resto principe Rupprecht, che è persona molto intelligente e prudente, conserva atteggiamento di attesa rendendosi conto che eventi non sono ancora maturi.

124

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 699/110 R. Parigi, 22 febbraio 1933 (per. il 24).

La pubblicazione della nota franco-inglese all'Austria e i commenti suscitati In Italia, in Ungheria e in Germania hanno prodotto qui una notevole impressione. Giornali autorevoli come il Temps, l'Echo de Paris, i Debats che pure avevano invitato il Governo a mostrarsi deciso a pretendere una soluzione soddisfacente dell'incidente, hanno attribuito alla mancanza di tatto diplomatico del Quai d'Orsay la cattiva piega presa dalla cosa. La ribellione dell'Austria, l'atteggiamento della sua stampa, il timore di un mutamento delle direttive politiche del Gabinetto austriaco, hanno ispirato il tono conciliante assunto, poi, dalla stampa. Il sentire parlare dell'Anschluss, ora che il potere è, in Germania, nelle mani di Hitler, ha causato, negli ambienti responsabili francesi, una vera preoccupazione. Anche il giornale socialista Populaire che si era fatto notare per il sno accanimento contro il cancelliere austriaco, ha repentinamente mutato di rotta, pubblicando un articolo equilibrato.

Qui si teme la Germania di Hitler. La politica estera ed interna francese è dominata, in questo momento, dalla preoccupazione di quello che possa succedere in Germania.

L'avvento di Hitler ha gettato la Francia in un profondo turbamento; i primi discorsi del Fiihrer erano attesi con malcelata ansietà. Ora si aspettano le elezioni e si vogliono trarre pronostici da fatti singoli che avvengono qua e là, per aprire l'animo alla speranza. L'atteggiamento della Baviera è seguito con compiacenza. Se ne parla poco e se ne scrive meno, ma si confida che qualcosa

esca dalla imbrogliata situazione tedesca che permetta alla Francia di respirare più liberamente.

L'affannosa ricerca di accordi con la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e i Sovietis risponde a questa nuova fase della politica estera francese dominata, come ho detto, dall'assillo del pericolo tedesco.

In queste condizioni, ossia fin che la Germania di Hitler rappresenti una minaccia agli occhi della Francia, non c'è verosimilmente da aspettarsi un favorevole orientamento francese verso di noi. Fatte alcune eccezioni gli ambienti dirigenti francesi ci considerano molto vicini a Hitler e, se non proprio legati a lui, non disposti a sostenere la Francia democratica contro un hitlerismo fatto prepotente da una vittoria elettorale.

Per quel che concerne l'atteggiamento della R. ambasciata mi riferisco al mio telegramma in pari data n. 109 (1).

(l) Con t. r. 633/10 R. del 18 febbraio, non pubblicato, Pittalls aveva riferito circa un collequio avuto con il barone Cramerklett, nel corso del quale quest'ultimo gli aveva richiesto di appoggiare presso il Governo tedesco un eventuale progetto di restaurazione monarchica in Baviera.

125

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 787/25 R. Mosca, 22 febbraio 1933 (per. il 2 marzo).

Come V. E. avrà rilevato, Litvinov a Ginevra ha un po' l'aria di fornicare con i francesi. Io credo che egli faccia questo per ragioni di tattica contingente e che possono non intaccare le linee fondamentali della politica sovietica. Ritengo tuttavia che, date circostam:e, converrebbe da parte nostra intensificare i nostri rapporti con lui.

In un momento in cui gli eventi ci pongono inevitabilmente contro la Francia ed i suoi satelliti, mi sembra utile far sì che l'URSS non si estranii alla nostra politica. Noi potremo anche utilmente affermarci di fronte all'URSS come possibile elemento di coesione con la Germania hitleriana.

126

COLLOQUIO FRA IL CAPO GABINETTO, ALOISI, E IL COMMISSARIO DEL POPOLO PER GLI ESTERI SOVIETICO, LITVINOV

APPUNTO. Ginevra, 22 febbraio 1933.

È tanto pessimista sulla riuscita della Conferenza del Disarmo che ritiene consigliabile profittare di una buona occasione per provocarne la fine; e ciò apertis verbis, senza neanche darsi la pena di salvare le apparenze. È convinto che una buona ventata che spazzasse via questa impostura chiarificherebbe l'atmosfera internazionale. Parlando della politica francese e dei rapporti della Russia con Germania e Francia ha detto che la Francia è, secondo lui, internazionalmente isolata: le relazioni con l'Inghilterra sono indebolite dalla tensione franco-americana che obbliga l'Inghilterra, per un riguardo all'America, a non mostrare soverchia intimità con la Francia; le relazioni con la Germania sono le peggiori che si siano mai avute; quelle ben note con l'Italia non danno

certo motivo di soddisfazione e perfino in quelle con la Piccola Intesa si avverte un certo disagio da che questa tenta di svincolarsi dall'invadente controllo francese.

Le relazioni tedesco-:russe trave'l'sano un pedodo alquanto c,r,itico. Sin da Losanna von Papen cercò di addivenire a un accordo con la Francia contro la Russia e successivamente non ha mai lasciato intravedere alcun sintomo di mutamento di direttive. Quanto a Hitler, prima del suo avvento ha lasciato che i suoi giornali conducessero una continua campagna contro la Russia e ha menato intrighi antibolscevichi in Ucraina e posteriormente alla sua andata al potere non ha fatto nulla che potesse far supporre una resipiscenza. Questo stato delle relazioni tedesco-russe, conosciuto a Parigi, ha incoraggiato la Francia a tentare il colpo di un r.iavvicinamento a Mosca che le desse il modo di rompere l'attuale isolamento.

È venuto cosi il trattato di non aggressione franco-sovietico, che da parte bolscevica ha avuto il puro e semplice significato di una normalizzazione dei rapporti con la Francia, che fino a quel momento, sotto una apparenza amichevole, erano piuttosto difficili. Difatti esso non ha portato ad altra conseguenza pratica che a quella dello scambio dei relativi addetti militari. Al di fuori di ciò null'altro è stato conchiuso. Del resto -mi ha assicurato Litvinov di sua iniziativa -egli non addiverrà mai ad alcuna intesa o alleanza che possa nuocere all'Italia, con la quale egli è stato lieto poter constatare esistere i migliori rapporti possibili. Ha tenuto ad aggiungere che egli è sempre pronto ad accogliere qualunque iniziativa noi intendessimo prendere nel senso di un maggior riavvicinamento con la Russia. A tale proposito ha ricordato le sue conversazioni con S. E. Grandi a Milano e poi a Ginevra allorché le avances russe non potettero essere accolte sia per l'opportunità di procedura per gradi e sia per non aver l'aria di voler imitare una iniziativa francese. Passato del tempo, egli spera ora che le suesposte obiezioni possano venir meno e che l'accordo economico attualmente in discussione possa aver buon esito e avere ulteriori sviluppi. Mi ha detto che solo della denunzia del trattato di commercio egli aveva a lamentarsi, dato che aveva prodotto una penosa impressione sull'opinione pubblica del suo paese. Io l'ho rassicurato sul significato della nostra denunzia.

In complesso, ho avuto l'impressione che egli sfrutti l'isolamento internazionale della Francia, e la conseguente propaganda sovietofila di Herriot e compagni, per dimostrare a Berlino -ave si recherà fra pochi giorni -che la Russia ha in sua mano anche la carta francese da giuocare al tavolo della politica internazionale. Forte di questa arma, egli spera di poter fronteggiare le temute iniziative antibolsceviche di Hitler, tanto sul fronte esterno internazionale, quanto sul fronte interno della lotta contro il comunismo tedesco.

(l) T. 698/109 R., non pubbl!cato.

127

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, JOUVENEL

APPUNTO. Roma, 22 febbraio 1933.

L'Ambasciatore de Jouvenel ha ringraziato per la risposta avuta sull'incidente di Aosta, e parlandomi del caso Eydoux (per cui mi ha chiesto scherzando se non lo avessimo dimenticato) mi ha detto che, assunte informazioni a Parigi può assicurarci che l'interpellanza Malingre, che probabilmente non si svolgerà mai, è diretta contro l'Eydoux e contro il secondo Bureau dello Stato Maggiore.

Gli ho risposto che non si dimenticava l'Eydoux e che per intanto si dava il permesso alla figlia di venire a visitarlo nei prossimi giorni. Riprendendo le conversazioni, si toccano le questioni del disarmo e della parità navale.

L'Ambasciatore chiede se anche su questi argomenti ci sia la possibilità di sgombrare il campo dai molti equivoci, e di trovare dei punti di contatto per una politica comune. Ritiene che si potrà esaminare la questione successivamente con più calma, magari con l'intervento del Barone Aloisi che tratta il disarmo a Ginevra, per vedere su quali punti ci potessimo accordare.

Io gli ho ricordato che noi, pur accettando di discutere quei progetti, eravamo per la tesi del disarmo qualitativo che ci pareva l'unico metodo atto a portare un serio e reale vantaggio in questo campo.

L'Ambasciatore vede invece molto difficile la questione della parità navale, soprattutto per il recente irrigidimento dell'Ammiragliato francese in seguito alla questione del Gleichberechtigung richiesto dalla Germania anche nel campo marittimo e per la quale Simon in alcune sue dichiarazioni a Ginevra si sarebbe già compromesso.

Il Senatore de Jouvenel ritiene che una discussione in questo momento sarebbe prematura e che la cosa potrebbe molto meglio rientrare in un quedro generale di accordo. Ad ogni modo egli intende anche in questo campo mettere la massima buona volontà per ottenere una favorevole soluzione.

Per quanto riguarda la proposta Davis, egli ha appreso che l'Ammiragliato francese è decisamente contrario soprattutto per il fatto che la Francia potrebbe distruggere un determinato tonnellaggio di sommergibili già costruiti.

Io gli faccio presente che questa richiesta è portata avanti dagli inglesi e dagli americani nel loro interesse stesso oltre che nell'interesse dell'Italia.

Nel campo aereo il Senatore de Jouvenel pensa che la questione sia bene avviata: egli è stato uno dei primi in Francia, assieme a Pierre Cot -portato su da lui nella vita politica -a fare la campagna per l'abolizione dell'aviazione da bombardamento e per l'internazionalizzazione dell'aviazione civile. Egli ha sentito con sorpresa che in Italia non si sarebbe più favorevoli a questa soluzione, mentre a lui parrebbe logico che i vantaggi maggiori dovrebbero derivarne all'Italia per il fatto che ha la capitale sul fronte marittimo e i centri più vitali in prossimità della frontiera tedesca.

Sulla questione della conferenza economica finanziaria non pare ci debbano essere diversità di vedute tra la Francia e l'Italia, anzi un interesse comune da difendere specialmente nel campo monetario per il mantenimento del Goldstandard, oggi minacciato.

Io ricordo all'Ambasciatore che ci sono altre questioni di specifico interesse franco-italiano da risolvere, come quella dei confini tripolitani e tunisini e l'altra dello stato di cittadinanza degli italiani di Tunisia.

L'Ambasciatore dice che queste questioni vanno automaticamente a posto quando si entri nel criterio di un accordo generale.

Il senatore de Jouvenel vuole rttornare però sul suo concetto centrale: quello di una politica costruttiva itala-francese nel campo europeo. Egli insiste sugli sviluppi che può avere il discorso di Torino, che gli pare la sintesi più semplice e nello stesso tempo più completa che alcun uomo politico abbia fatto negli ultimi tempi delle principali questioni politiche mondiali.

Il senatore de Jouvenel pensa ad una funzione veramente europea di S. E. il Capo del Governo per portare l'Europa ad una forma di sistemazione, appoggiando anche un accordo franco-tedesco.

Egli si rende conto della opportunità di conoscere in via definitiva la situazione de:lla Germania, ammettendo che, qualunque sia l'esito delle elezioni, Hitler rimarrà a capo del governo. Sa che Hitler deve venire prossimamente a Roma e crede che si potrà parlare di una fase conclusiva delle conversazioni franco-italiane dopo tale venuta. Non esclude che Hitler stesso possa avere anche una parte in un accordo generale.

Faccio presente all'Ambasciatore che non c'è niente di concreto sulla venuta di Hitler, che comunque non potrebbe essere imminente. Si sa solo, e già da tempo, che Hitler ha espresso il desiderio di venire a Roma appena gli sarà possibile.

Il senatore de Jouvenel, in via di conversazione, mi avverte che la nota cosiddetta francese contro l'Austria è stata redatta al Foreign Office e che il Governo francese non vi ha aggiunto neanche una parola.

L'Ambasciatore mi chiede quando potrebbe vedere S. E. il Capo del Governo, al quale vorrebbe esporre soltanto qualche sua idea di massima senza entrare per ora in problemi di dettaglio e senza richiedere per il momento alcuna discussione per lasciare a S. E. il Capo del Governo tutto il tempo necessario per riflettere su quanto egli intende esporre.

Gli rispondo che calcolo che l'udienza potrebbe aver luogo nel corso della prossima settimana, e si rimane d'accordo che, dopo tale udienza, si riprenderanno le conversazioni per esaminare i singoli punti di dettaglio.

128

L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, JOUVENEL, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. P. Roma, 22 febbraio 1933.

Puisque c'est Vous qui avez pris la peine de répondre (l) à la lettre que je vous avais prié de remettre à M. Mussolini (2), il m'a paru que je devais aux relations amicales instituées entre nous de me reporter aux articles des journaux français auxquels votre lettre se réfère.

A l'exception du Populaire qui me manque, mes services de presse étant incomparablement moins riches que les vòtres, j'ai pu retrouver les articles

\2) Cfr. n. 102, allegato.

et, pour faciliter votre édification personnelle, j'ai cru devoir mettre sur deux colonnes, d'une part, les articles des journaux français, d'autre part, ceux des journaux italiens.

JOURNAUX FRANçAIS

Le Matin du 9: ~M. Ybarnegaray a demandé à M. Herriot de réclamer au Ministre des Affaires Etrangères des explications sur les pourparlers poursuivis avec l'Italie et sur certains traités secrets qui auraient été signés par cette puissance arnie ~ (il n'est pas question d'une réponse de M. Herriot).

Le Journal des Débats du 10: (meme texte que le Matin).

L'Action Française du 9: ~ ...Si nos renseignements sont exacts... >>.

L'Ordre du 9, lui-meme: « ... M. Herriot répondit qu'il pressentait l'existence d'un tel traité, mais qu'en vérité il avait quitté le quai d'Orsay sans avoir la preuve qu'il avait été signé ~.

JOURNAUX ITALIENS

Le Lavoro Fascista du 10: ~M. Herriot... a fait des confidences sur un prétendu traité tripartite... l>.

Le Giornale d'Italia du 11: ~M. Herriot... a raconté qu'il avait été informé quand il était Ministre des Affaires Etrangères de la conclusion d'un traité d'alliance offensive et défensive entre l'Italie et la Hongrie et entre la Hongrie et l'Allemagne. Les déclarations stupéfiantes de l'ancien Ministre des Affaires Etrangères de France ont été pour le moins imprudentes ~.

Le Popolo d'Italia du 12: «M. Herriot se range parmi les agents provocateurs des feuilles militaristes... ».

Meme journal, du 15: « Nous sommes devant une falsification digne de faire pàlir la fameuse dépeche d'Ems».

Je me permets de demander à V. E., pour reprendre ses propres termes, de quel còté est la «campagne de presse qui a pris des proportions considérables et qui ne contribue certainement pas à l'éclaircissement des rapports de nos deux Pays ».

Au surplus, le communiqué publié à l'issue du Conseil des Ministres italien ne vise pas une campagne de presse, mais des informations portées à la Commission des Affaires Etrangères de la Chambre française.

Ce qui fait l'importance du communiqué italien du 15 février, c'est la mise en cause directe de cette Commission, soulignée par la dernière phrase qui déclare que de telles informations ne seraient pas dignes d'etre démenties ~si elles n'avaient pas été portées en un tel lieu ».

Vous reconnaitrez, j'en suis convaincu, que pour « l'éclaircissement des rapports entre nos deux Pays », il eil.t été préférable, avant de démentir si officiellement des propos qui n'ont pas été tenus par M. le Président Herriot, d'en contròler l'authenticité.

Dans des cas de cette sorte, daignez, M. le Ministre, faire souvenir le Chef du Gouvernement Italien qu'il a à sa disposition un journaliste français qui ne demande qu'à le renseignex avec exactitude, et que, pour faciliter l'information du Gouvernement ltalien, la République F1rançaise a mème donné à ce journaliste rang d'Ambassadeur.

(l) Cfr. n. 11.

129

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, CERRUTI, A LONDRA, GRANDI, E A PARIGI, PIGNATTI

TELESPR. 205541/C. Roma, 23 febbraio 1933.

Per opportuna informazione di V. E. Le comunico che, secondo notizie pervenute da Berlino a questo Ambasciatore di Germania, il signor Daladier, Presidente del Consiglio francese, parlando con il corrispondente della Frankturter Zeitung avrebbe affermato che egli ritiene che ci sia un accordo fra Italia, Germania e Ungheria, ed avrebbe prospettato la possibilità che l'Italia tenti un'annessione dell'Albania o che si verifichi un'invasione di territorio jugoslavo da parte dell'Ungheria: avvenimenti l'uno e l'altro che evidentemente non potrebbero lasciare indifferente la Francia.

Risulterebbe inoltre al signor von Hassell che l'Ambasciatore inglese a Parigi, parlando col suo collega tedesco a Parigi avrebbe manifestato le sue preoccupazioni per l'eccessivo nervosismo francese e prospettato l'opportunità di una smentita ufficiale anche da parte tedesca del preteso accordo.

Il Governo tedesco non intende fare smentite, ha incaricato invece l'Ambasciatore a Parigi di riaffermare ancora nei suoi colloqui al Quai d'Orsay l'assoluta insussistenza di questa voce.

130

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL MINISTRO D'UNGHERIA A ROMA, HORY

APPUNTO. Roma, 24 febbraio 1933, ore 19.

Il Ministro di Ungheria ha ricevuto stasera un telegramma urgente dal suo Governo, in cui si dice che di fronte alle nuove rivelazioni sulla questione delle armi, sarebbe stato consigliabile di far rientrare in Italia le armi che si trovano a Hirtenberg. Sarebbe la migliore smentita alle accuse di violazione dei trattati che si fanno contro i nostri Paesi.

Il telegramma dice espressamente -secondo quanto mi riferisce il Ministro -: «almeno le armi che si trovano a Hirtenberg ».

Rispondo che secondo me conviene continuare a sostenere il nostro punto di vista e rinviare in Italia per ora soltanto qualche spedizione di armi che siano state riparate.

Il Ministro de Hory mi intrattiene poi sulla situazione in Croazia, facendo presente il danno che derivava al movimento separatista dalle notizie diffuse ad arte relativamente alle nostre p:dese sulla Dalmazia. Pare anche che Pribicevic stia facendo una campagna per il ravvicinamento dei croati alla Serbia.

Gli comunico che abbiamo già provveduto a smentire le voci surriferite e che, secondo nostre informazioni, anche Pribicevic manteneva sempre il suo atteggiamento di netta opposizione. Qualche emissario di Pribicevic invece in Croazia pare veramente abbia fatto il doppio gioco.

Infine il Ministro di Ungheria mi trattiene sulla situazione dell'Austria e sul pericolo rappresentato dai << Nazi >> che ora si sentiranno rinforzati, e che accentueranno il loro atteggiamento contrario alle Heimwehren (1).

Gli ho risposto che eravamo bene informati della cosa e che su questo punto agivamo di pieno accordo col Governo ungherese.

131

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALLA DELEGAZIONE A GINEVRA

T. 301/18 R. Roma, 25 febbraio 1933, ore 22,30.

Telegramma di V. E. n. 59 (2).

Ministro Giannini informa che sue condizioni di salute non gli consentono partecipare personalmente riunione Brusselle del 27 corrente. Non essendo possibile far togliere questione dall'ordine del giorno con la motivazione che essa è estranea ai fini della riunione, ha dato disposizioni signor Minozzi, che interverrà in sua vece, affinché attiri attenzione altre delegazioni su opportunità non prestarsi manovra jugoslava ed avverta anche delegati Piccola Intesa che delegazione Italia si riserva far eventualmente includere nell'ordine del giorno:

l) questione nuovo patto Piccola Intesa, per conoscere se esso sia consono con spirito e lettera patto S.D.N. ed altre stipulazioni internazionali generall;

2) trattamento fatto dalla Jugoslavia alle minoranze, con particolare riguardo ai croati e sloveni.

Ministro Giannini avverte comunque che riunione Brusselle è preparatoria lavori assemblea che si riunirà luglio prossimo.

«Questo Ministro di Ungheria ha ricevuto Istruzioni dal suo Governo di informarsi intorno alle Idee del Governo Italiano relative alla situazione interna austriaca, avuto riguardo all'arrivo di HU!er al potere e alle sue naturali ripercussioni sul movimento pangermanista e sulle Heimwehren. Dato che l'Italia e l'Ungheria hanno un interesse contrario all'« Anschluss >>, 11 rafforzamento delle Helmwehren rappresenterebbe un evidente interesse.

Il Ministro di Ungheria si riserva di parlare con l'E. V. al riguardo ».

(l) Cfr. !n proposito 11 seguente appunto di Buti per Suvich del 21 febbraio:

(2) Con t. 694/59 R. del 24 febbraio, non pubblicato, Aloisi aveva riferito che all'ordine del giorno della IV Commissione dell'Unione Internazionale delle Associazioni per la lega delle Nazioni convocata a Bruxelles pe,r d! 27 era stata aggiunta la questione delle armi di Hirtenberg su proposta dell'Associazione jugoslava.

132

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL

APPUNTO. Roma, 25 febbraio 1933.

L'Ambasciatore di Germania è venuto a intrattenermi sui possibili accordi fra l'industria tedesca e quella italiana per un'azione comune nell'Europa centrale.

Nei prossimi giorni, fra lunedi e mercoledì si troveranno a Venezia da parte italiana i Signori Olivetti e Guarneri e da parte tedesca i Signori Kassel e Raumer.

L'Ambasciatore mi dice che è d'avviso che gli accordi possono riguardare molti punti e cioè: categorie di prodotti da esportare, prezzi, finanziamenti, ecc.

Il Governo tedesco pensa anche che, dopo i contatti fra privati, converrà prendere dei contatti fra gli organi tecnici dei governi, e il governo di Germania dichiara fin d'ora di essere disposto a mettere a disposizione un proprio funzionario che potrà venire a Roma regolarmente in determinate epoche per seguire lo svolgimento degli accordi.

In via di conversazione, l'Ambasciatore von Hassell mi accenna a chiarimenti avuti dalla Piccola Intesa sul carattere assolutamente pacifico del nuovo accordo, che non è diretto contro nessuno.

L'Ambasciatore ha anche notizie che il Signor Titulescu dopo la sua intervista sull'Azest, e ancora recentemente, continua a parlare di un possibile accordo con l'Ungheria.

133

IL CONSOLE GENERALE A ZAGABRIA, UMILTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA RR. 874/127. Zagabria, 25 febbraio 1933.

Telegramma per corriere n. 267 gab. del 18.2.1933 XI (1).

Con riferimento al telegramma per corriere a margine citato mi onoro di informare che mi sono affrettato a far conoscere ai sottocapi della opposizione croata, in assenza del confinato dott. Macek, il contenuto del telegramma citato.

Mi sono convinto che le parole di incoraggiamento dell'E. V. hanno fatto una seria e profonda impressione su di essi ed hanno servito a chiarire la situazione, intorbidita da tanti avversari.

Ecco, qui di seguito, un riassunto delle risposte che in detta occasione 1 maggiorenti esecutivi della opposizione diedero alle informazioni ricevute:

<< ••• Avendoci l'oppressore temporaLamente privati del nostro Capo dott. Macek, non siamo in grado di rispondere ufficialmente alle buone parole del Duce.

Sebbene mai abbiamo dubitato della efficace benevolenza dell'Italia ai nostri riguardi e tutto il nostro atteggiamento sia stato armonicamente intonato a tali rapporti più che amichevoli, tuttavia siamo grati di cuore al Duce per aver sventato -non tanto in noi dirigenti, che siamo stati sempre fuori di qualsiasi dubbio -ma fra quei nostri seguaci, che per varie circostanze hanno con noi più rari contatti, il tentativo di affievolire la loro fiducia in lui. L'alto messaggio ci giunge in buon punto per serrare le file minacciate ad oltranza dal Regime. Tralasciando la campagna della stampa italiana ai riguardi della Dalmazia, si priverà la stampa governativa jugoslava dell'argomento principale, per allontanare le simpatie dei croati dagli italiani. Non è dubbio che d'ora in poi i croati guarderanno con più fede nell'avvenire, poiché la loro causa ha trovato nel Duce un patrocinatore che ha saputo imporsi a tutto il mondo. Subito invieremo a cajnica al dott. Macek un corriere orale col Messaggio e subito informeremo il dott. Trumbié, ch'è sorvegliato a casa».

Giacché V. E. me ne ha dato occasione, accennando sul telegramma al quale mi riferisco al recente patto della Piccola Intesa, debbo dire che esso non ha scosso per niente la fede di questi capi che, sicuri dell'opera di V. E., lo ritengono piuttosto un nuovo elemento di debolezza del Regime. Essi pensano che i tre Stati legati tra di loro dal nuovo patto, hanno, specialmente Rumenia e Jugoslavia, troppi elementi interni di disgregazione, per poter costituire un serio appoggio alla Francia nel momento in cui si dovesse arrivare a trattare seriamente della revisione dei trattati di pace che hanno loro dato la vita.

Essi mi hanno informato essere convinti che, almeno in Jugoslavia, 11 nuovo patto darà forse al Regime la spinta a fare qualche altro passo nell'inasprimento della dittatura. La stampa canta le lodi per l'abilità del Governo in tale occasione, ma sembra che anche quelle persone che in un modo o in altro dipendono dal Regime e ne sono allo stesso tempo il sostegno, credano anche ora più poco alla sua stabilità e pensino che neanche le più strette alleanze all'estero riusciranno a mantenerlo in vita a lungo.

Aggiungo infine che, a quanto ho sentito da varie parti, l'antipatia generale verso la Francia si rafforza e si estende.

(l) Cfr. n. 106.

134

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Ginevra, 25 febbraio 1933.

Paul Boncour mi ha voluto ieri vedere prima della sua partenza per avere amichevoli scambi di idee su tutte le questioni in corso, ma sopratutto su quella del disarmo. Esaminando la situazione attuale, ambedue cl

siamo trovati pienamente d'accordo nel giudicare che le attuali discussioni non potranno menare a risultato alcuno. Boncour mi è parso tanto pessimista che a un certo momento ho potuto porgli nettamente la questione se egli credeva che il suo piano avesse una qualsiasi probabilità di giungere a un risultato pratico qualsiasi.

Mi ha risposto di non avere in proposito alcuna illusione, ma di dover malgrado tutto rimanervi inchiodato per la fortissima pressione dell'opinione pubblica francese, così come ognuna delle altre delegazioni è costretta a rimanere inchiodata al suo atteggiamento per la pressione della propria opinione pubblica. Sono questi i due 'massimi pericoli che oggi chiudono ogni uscita alla Conferenza: il pericolo costituito dei nodi venuti tutti contemporaneamente al pettine dopo un incauto e lento ingrossamento di tutte le questioni, menato in lungo attraverso estenuanti discussioni durate oltre un anno, e l'eccitamento delle opinioni pubbliche che hanno oramai precluso a tutti ogni elasticità di manovra, E ciò indipendentemente dai pericoli indiretti che possono sorgere ogni momento per le complicazioni a cui indulgono con leggerezza e frequenza le piccole Potenze.

Insomma Boncour mi è apparso assai preoccupato. A un certo punto è giunto anche a dirmi «vi assumereste voi il compito di silurare la conferenza?». Gli ho sorriso. Ha sorriso anche lui. <<Ma allora, che fare?».

Il momento mi è parso opportuno a un tentativo. E ho cominciato a prospettargli l'insieme della situazione in modo da fare a poco a poco intravedere la possibilità di una via di uscita. Il voto di ieri contro la logicità stessa rappresentata dal nostro ordine del giorno è servito a rappresentare chiarissimamente una sola cosa: che cioè il congegno politico attuale della Conferenza non permette nessuna soluzione perché porta ogni discussione a un controsenso. «La maggioranza a vostro servizio vi ha portato a prevalere per l'appoggio di piccoli Stati americani e dell'Inghilterra, gli uni e l'altra per differenti ragioni poco o nulla interessati nella questione, contro la vera maggioranza di interessati, che sola avrebbe la possibilità di decidere, e cioè quella delle tre grandi Potenze militari europee, le quali hanno votato in nostro favore, Ora, un tale controsenso si ripeterà ogni volta che si discuterà una questione essenziale e irrigidirà sempre maggiormente le posizioni».

Era quindi chiarissimo che la via di uscita doveva essere precisamente quella opposta, e cioè una che portasse a decidere non i molti, e quasi tutti i piccoli, irresponsabili disinteressati, ma i pochi, e tutti grandi, responsabili interessati. Bisognava dunque ricondurre la decisione fra questi pochi grandi che hanno il diritto di aver voce in capitolo. Giovava passarli in rassegna. L'America è assente e, comunque, poco propensa a impicciarsi di affari interni continentali; l'Inghilterra, semi-assente e preoccupata sopratutto dei suoi rapporti con l'America e per nulla interessata in una decisione che non la riguarderebbe se non per quel tanto di appoggio alla Francia a cui tiene a prestarsi; la Germania, come ieri Nadolny mi ha dichiarato in una intervista avuta con lui, vede dipendere le sorti della Conferenza solo dalle decisioni che potrà prendere l'Italia, e infine la Russia ha quella speciale posizione appartata che a tutti è nota. Gli interessati che contano, e che avrebbero la possibilità di apportare l'uno la maggioranza del numero e l'altro la maggioranza del peso politico dei maggiori, si ridurrebbero dunque, in sostanza, all'Italia e alla Francia.

Boncour appariva colpito e molto ansioso. Del resto questa volta l'ansia è generale: come lui, anche l'inglese e il tedesco mi hanno dato l'impressione di essere giunti al punto di non sapere a che santo votarsi.

Il momento psicologico mi è apparso quindi opportuno e tempestivo per tentare un suggerimento.

«Data questa situazione, esaminiamo se ci sia da fare qualche cosa fra voi e noi. Voi avete a Roma un ambasciatore che si trova in un disagio penoso e che invano si sta arrovellando a cercare qualche mezzo che gli diminuisca la pressione che lo affatica da ogni parte. Non potreste invece incaricarlo di esporre tutte le vostre apprensioni al Capo del Governo italiano e, senza fargli parola di parità né pretendere condizioni, chiedere a lui una formula che permetta di essere accettata da tutti per chiudere così la conferenza sopra un " gentlemen agreement" franco-italiano sul disarmo cui, come si è detto, sarebbe poi facile fare accedere grandi e piccoli? ».

Nel mio pensiero, nel fare tale suggerimento, sono stato guidato dalla constatazione del totale disorientamento in cui brancolano tutti a Ginevra; dal desiderio, e direi quasi bisogno, che ho avvertito da tutte le parti -e che molti mi hanno confessato -che V. E. dia le direttive all'Europa in un momento così difficile e, infine, dal desiderio di porgere a V. E. una occasione di abbassare, se lo crede opportuno, l'attuale tensione itala-francese.

Sottopongo al giudizio di V. E. l'idea che una formula soddisfacente potrebbe basarsi ad esempio su una percentuale di riduzione dei bilanci. Un tale accordo in questo momento sarebbe molto apprezzato anche dall'America e servirebbe a dare una nota di calma che, partendo da Roma, avrebbe sicuramente una vasta portata.

A proposito dei bilanci, aggiungo che Boncour mi aveva detto prima di essere rimasto favorevolmente impressionato dal fatto che, dopo la riduzione dei bilanci militari francesi, anche l'Italia aveva fatto altrettanto.

Alla fine del colloquio ho, naturalmente, ben chiarito a Boncour che il mio suggerimento era dato a titolo esclusivamente personale. Debbo dire di avere avuto l'impressione che a Boncour esso sia apparso come un'ancora di salvezza nelle difficoltà presenti. Mi ha detto che a Parigi avrebbe ben studiato la cosa con l'intenzione di darvi seguito.

135

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Ginevra, 25 febbraio 1933.

Per meglio chiarire i termini del colloquio avuto con Paul-Boncour in materia di disarmo -su cui riferisco con rapporto separato (l) -credo

14 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XIII

opportuno accennare anche agli argomenti sfiorati nel corso della discussione:

l) azione di de Jouvenel a Roma. -Dopo quanto avevo detto a questo proposito sull'argomento del disarmo, ho creduto di mantenermi sulle generali.

2) Piccola Intesa. -Boncour ha sostenuto con vivacità che la Francia non entra per nulla nella sua formazione. Ed io credo di non esser lontano dal vero attenuando, per lo meno, le responsabilità della Francia in questa faccenda.

3) Hirtenberg. -Boncour ha tenuto a dirmi che l'azione svolta dalla Francia non deve essere interpretata come ispirata da animosità contro l'Italia. La difesa dei trattati è il perno della politica francese e in ogni occasione la Francia non può assolutamente rinunziare alla difesa di questa sua tesi politica fondamentale.

4) Jugoslavia. -Boncour era al corrente del passo del R. Ministro a Belgrado circa le notizie da noi ricevute sulla diramazione di precetti di mobilitazione in Jugoslavia. Mi ha assicurato di dare continuamente consigli di moderazione a Belgrado, ma di ritenere che noi esageriamo la gravità della situazione interna jugoslava, interpretando come processo di dissolvimento quello che egli crede di essere unicamente una difficile condizione di cose. Gli ho risposto che sull'argomento della situazione interna poteva essere facile una diversità di apprezzamenti tratti dagli stessi elementi di fatto, ma che sull'argomento della mobilitazione esistevano punti fermi che giustificavano il convincimento che la Jugoslavia preparasse una mobilitazione.

Gli ho assicurato che noi conservavamo i nervi perfettamente a posto, ma che non per questo non era da giudicare estremamente pericoloso il fatto che la Jugoslavia continui quotidianamente ad accrescere i suoi armamenti ai nostri confini .. Su questo punto credevo utile richiamare la sua attenzione.

5) Bacino danubiano. -È convinto che l'interesse stesso della Francia, rappresentato dal reddito dei suoi capitali mutuati, esige una benefica preponderanza italiana in questo settore.

A conclusione del colloquio, egli mi ha ripetuto che farà tutto quanto è possibile per riavvicinarsi all'Italia, convinto come è che l'Europa non potrà essere salvata se non risolvendo il dLsidio franco-italiano.

(l) Cfr. n. 134.

136

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. PER CORRIERE R. 302 R. Roma, 26 febbraio 1933.

Risulterebbe che codesto ministro di Romania sarebbe stato da von Biilow a fargli delle dichiarazioni in merito al nuovo patto della Piccola Intesa, 11

passo della Romania dovrebbe essere seguito da quello degli altri due paesi alleati. Prego V. E. di vedere, se, possibile, di avere notizie in proposito da von Btuow senza far capire che la cosa è a nostra conoscenza.

137

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL CAPO GABINETTO, ALOISI, A GINEVRA

T. RR. 306/19 R. Roma, 26 febbraio 1933, ore 15,30.

A proposito della formula «no force pact ~ resta inteso che la delegazione italiana lo accetta se la Germania lo accetta. In caso di accettazione da parte della Germania la delegazione italiana si pronuncerà dopo che il delegato tedesco avrà dichiarato la sua accettazione.

138

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 790/17 R. Berlino, 26 febbraio 1933 (per. il 2 marzo).

Telegramma di V. E. per corriere n. 288 del 21 corrente (l) deve essersi incrociato con quello mio n. 91 del 15 corrente (2).

Riferisco infatti in esso che il cancelliere Hitler si era espresso meco, circa la politica estera della Germania nei riguardi dell'U.R.S.S. in termini che mi sembrano coincidere con le vedute ed i suggerimenti di V. E.

Conversazioni ulteriori avute circa le relazioni germanico-sovietiche mi permettono di confermare quanto già riferii: non esistere cioè alcuna seria preoccupazione a Berlino per un'eventuale intesa franco-sovietica.

Viceversa nelle sfere dell'Auswartiges Amt che si occupano in particolar modo dei problemi nord-orientali europei, ho notato un certo timore che

U.R.S.S. e Polonia, agendo ciascuna sugli Stati baltici che sono loro ligi, possano influire perché si costituisca una specie di «piccola intesa baltica~ comprendente Lituania, Lettonia ed Estonia, la quale dovrebbe gravitare esclusivamente verso Mosca e Varsavia.

(l) -Cfr. n. 121. (2) -Cfr. n. 93.
139

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 436/213. Varsavia, 26 febbraio 1933.

Non è privo di significato il fatto, che ritengo di dover segnalare a V. E., della scarsissima fiducia che i tedeschi residenti o domiciliati all'estero dimostrano verso il nuovo Cancelliere del Reich.

Avevo già avuto occasione di notare, nei tedeschi incontrati negli anni scorsi in ItaLia, in Greoia od altrove un persistente stato d'animo di ostile riserva nei confronti di Hitler e dei suoi più diretti collaboratori, quando questi erano soltanto i capi del Partito Nazional-Socialista ed il fatto mi aveva interessato per la concordanza di vedute che a tale soggetto si manifestava in ogni categoria di tedeschi, dal diplomatico al professore di archeologia, dall'artista al rappresentante di commercio.

Dopo l'ascesa al Governo del Capo «Nazi », tale stato d'animo non sembra molto differente, nemmeno fra i tedeschi che si possono incontrare a Varsavia, i quali, per trovarsi proprio a contatto del problema o delle questioni che la Germania mostra di considerare come grave offesa al suo sentimento, si penserebbe che dovessero guardare ad Hitler che impersona tutte le rivendicazioni morali e materiali della razza, con simpatia e fiducia.

Non può non meravigliare alquanto la constatazione contraria che si vien facendo anche qui tutti i giorni. Hitler non riscuote fiducia né tra i funzionari del servizio diplomatico, né fra i tedeschi della piccola borghesia, né fra quella gente di affari d'incerta razza ed origine che ha conservato in Polonia la cittadinanza tedesca per ragioni di orgoglio o d'interesse e che magari nutre in cuor suo la speranza di rivedere la Germania a Posen. Ricordando come tre mesi dopo la Marcia su Roma, quando ancora il Governo Fascista non aveva potuto dare prova delle sue capacità, io stesso constatai la spontanea e quasi totalitaria adesione a Mussolini di collettività italiane come quelle della Tunisia, residenti cioè in zone contestate soltanto in ispirito ai dominatori, la diffidenza marcata e persistente dei tedeschi per Hitler mi sembra assai significativa ed ho tenuto a segnalarla.

140

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUCAREST, SOLA

T. 310/38 R. Roma, 27 febbraio 1933, ore 18,45.

Suo telegramma 35 e seguenti (l). Confermando nostro atteggiamento svalutativo sta bene ella continui a mettere costì in evidenza intimi elementi debolezza e contraddittori recente

sistemazione Piccola Intesa che oltre tutto con sua significazione antisovietica male si inquadra in attuale fase relazioni franco-russe. Ella potrà pure con ogni cautela agire nel senso prospettato in fine suo telegramma 45 (l) precisando intanto suo pensiero.

(l) Cfr. nn. 101, nota l e 117, nota l, p. 121.

141

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO

T. 311/31 R. Roma, 27 febbraio 1933, ore 19.

Circa nuova sistemazione Piccola Intesa V. E. potrebbe opportunamente metterne in evidenza suo significato in senso antirusso oltre che antirevisionista. A Bucarest gli si attribuisce nettamente quel carattere. Ella potrebbe anche discretamente indagare come ciò che testè si è fatto sotto gli auspici di Parigi si coordini ed accordi con recente patto e relazioni attuali francosovietiche.

142

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 766/21 R. Vienna, 27 febbraio 1933 (per. il 1° marzo).

Avendo raccolto l'insistente voce che il cancelliere, in seguito a pressioni francesi, non fosse alieno dal procedere ad un rimaneggiamento del Gabinetto, con l'inclusione dei pangermanisti, e con l'eliminazione, od almeno la riduzione, dei rappresentanti delle «Heimwehren », ho creduto necessario intrattenerne senz'altro il signor Dollfuss.

Questi mi ha dichiarato nel modo più formale quanto segue:

lo -che a malgrado le tante voci che negli ultimi due mesi hanno circolato circa dissensi nel Gabinetto, imminenze di crisi, rimaneggiamenti ministeriali, ecc., egli non ha alcuna intenzione di lasciare il potere;

2° -che fino a quando gli sarà dato di restare al Governo egli manterrà in modo assoluto, nel suo Gabinetto, i rappresentanti delle «Heimwehren ~;

3° -che l'entrata nel Governo dei pangermanisti è quanto mai improbabile, desiderando essi, che posseggono solo sette seggi, ottenere almeno quattro portafogli.

() Il brano finale del t. 650/45 R. del 2 fabbralo è il seguente:

«L'accordo a tre è effetto d! panico. Panico derivante anche da progressiva palese stanchezza di Parigi verso .l slngol! componenti della Piccola Intesa. È ora probabile, anzi è certo che la Francia cercherà d! r!nverd!re stipulazlone e patti con tutto il blocco. Questo è il pericolo, la Romania permane comunque il punto più debole della compagine. Se qui può tentarsl qualche cosa per mandare a monte il blocco, sebbene il suo Ideatore sia proprio Tltulescu, assicuro

V. E., sempre che lo ne riceva l'ordine, che non mancherò d! farlo».

Ho poscia opportunamente attirato l'attenzione del signor Dollfuss sulle importanti dichiarazioni dell'ex cancelliere Streeruwitz (un cristiano-sociale di cui erano note, finora, le tendenze verso sinistra -mio telegramma n. 75) (l) e dopo avere messo in rilievo come esse non solo significhino un deciso orientamento verso destra, ma anche la formulazione di un importante piano economico, gli ho chiesto il suo pensiero in proposito.

Dollfuss mi ha risposto che non gli era sfuggita l'importanza del discorso e delle proposte. Ha aggiunto essere sua intenzione di presentare al Parlamento, subito dopo le feste pasquali, una legge per la riforma corporativa che egli ha da tempo studiata nei suoi particolari. Al riguardo Dollfuss mi ha spiegato che, sfortunatamente, la costituzione impone la maggioranza di due terzi per poter far passare un progetto di legge che importi modificazioni costituzionali; che tuttavia egli riteneva di poter camuffare le sue proposte di riforme in modo da eludere la necessità della maggioranza dei due terzi, facendole passare a semplice maggioranza.

Riferendomi poscia ad un eventuale sviluppo di forze del partito cristianosociale, gli ho chiesto se egli si proponesse condurre senz'altro a termine la questione del concordato. Dollfuss, mostrandomi di avere ben compreso il mio pensiero, mi ha risposto che egli intendeva infatti portare al più presto in porto tale questione, e ciò tanto più in quanto ben sapeva che solo un Gabinetto ed una maggioranza parlamentare, quali C'-gli possedeva, poteva attendere con successo alla conclusione di un concordato con la S. Sede. Dicendo così Dollfuss ha voluto darmi una conferma della infondatezza delle voci di una possibile sostituzione degli «heimwehrìsti » con i pangermanisti, nell'attuale Gabinetto. Difatti, questi ultimi, lungi dal facilitarla, ostacolerebbero la stipulazione di detto concordato.

143

COLLOQUIO FRA IL CAPO GABINETTO, ALOISI, E IL MINISTRO DEGLI ESTERI RUMENO, TITULESCU

APPUNTO. Ginevra, 27 febbraio 1933.

1!: venuto a visitarmi poco dopo avere avuto una conversazione telefonica col Principe Ghika, il quale gli aveva riferito il colloquio avuto con S. E. Suvich.

Lo scopo della visita di Titulesco è stato palesemente quello di darmi la sua assicurazione -e lo ha fatto ripetutamente e in tutti i modi -che nessun patto militare segreto aveva accompagnato la stipulazione del recente trattato politico (2), e di comunicarci l'interpretazione che la Romania dà della genesi e della struttura della nuova alleanza. Secondo lui, questa è stata originata dalle sovrapposizioni di tre paure: la paura della Romania che, scottata dalla duplice lezione dell'abbandono della Francia e della Polonia, sentiva il bisogno

di procurarsi qualche nuovo appoggio contro la Russia e, in mancanza di meglio, lo cercava nella Piccola Intesa, impegnando gli altri suoi membri a non concludere alcun Patto con la Russia senza il concorso rumeno; la paura della Cecoslovacchia per l'ascesa al potere dello hitlerismo; la paura jugoslava per la minaccia italiana.

Quanto allo scopo della alleanza, T~tulescu ha tenuto a chiarirmi che essa ha mirato a costituire un fronte unico diplomatico ed economico, ma non militare. È stata sopratutto la Romania a voler escludere il carattere militare, anche per ragioni egoistiche, dato che un tal carattere avrebbe implicato una stretta soggezione di tutte le tre Potenze alla Francia, con vantaggio esclusivo di due sole di esse, la Cecoslovacchia e la Jugoslavia, e con esclusione della Romania. La esperienza passata ha infatti dimostrato che la Francia ha sempre curato il rifornimento militare dei soli Stati confinanti con la Germania e l'Italia. Da un legame di carattere militare la Romania avrebbe avuto il danno di una diminuita libertà d'azione senza il corrispettivo di un rafforzamento bellico.

È stato quindi lud, 'I11tuleseu, a voler imprimere aU'aJ.leanza il carattere diplomatico, mediante l'inclusione dell'articolo 6 che esige il consenso di tutti a ogni nuovo vincolo che ciascuno si assume, e il carattere economico, allo scopo di evitare il pericolo di una unione doganale austro-ungherese con esclusione della Romania.

Titulescu ha aggiunto che mai in tutto il corso delle trattative, che sono incominciate nello scorso dicembre, si è presentato in discussione alcun argomento specialmente diretto contro l'Italia, salvo quello del revisionismo, contro il quale i tre membri della Piccola Intesa, per evidenti ragioni, non possono non formare un blocco intransigente.

Nei riguardi del trattato di amicizia con l'Italia, Titulescu è di opinione che, essendo anteriore alla costituzione della Piccola Intesa, esso non rientra nel caso del consenso unanime richiesto dall'art. 6, e può quindi essere liberamente rinnovato o modificato. Egli, da parte sua, è sempre pienamente disposto ad accogliere favorevolmente qualunque nostra iniziativa in proposito.

Passando a considerare il problema dell'inquadramento che la Piccola Intesa dovrà assumere nel quadro della politica europea, Titulescu ha detto che esso si ripresenta ora nella stessa forma in cui si presentò all'epoca della costituzione della prima edizione della Piccola Intesa. Mi ha detto che nel 1928 egli ricordò a V. E., in occasione della visita che egli Le rese (1), come l'Italia avesse rifiutato la protezione alla prima Piccola Intesa, dopo che analogo rifiuto avevano espresso Londra e Parigi. Oggi egli sarebbe di opinione di ripresentare all'Italia l'offerta di allora. Egli è sicuro che tanto Praga quanto Belgrado sarebbero d'accordo con la Romania nell'accettare la protezione italiana e magari, se l'Italia lo volesse, anche ad accogliere l'Ungheria nell'alleanza. Tanto Praga quanto Belgrado sanno benissimo anch'esse che nel bacino danubiano non vi è posto che per la preponderanza tedesca o per quella italiana. E l'una e l'altra non hanno esitazioni sulla scelta.

Chiudendo la conversazione sull'affare di Hirtenberg, ha detto che per imprescindibile dovere di solidarietà egli ha dovuto unire la propria firma

a quelle degli alleati, ma che nell'atto stesso di apporla ha cllchiarato loro di non approvare il loro atteggiamento in questa faccenda, che egli era sicuro non avrebbe potuto terminare che come è terminata.

In tutto il colloquio mi sono limitato ad ascoltare.

(l) -Con t. 737/75 R. del 26 febbraio, ore 11,30, non pubblicato, Preziosi aveva riferito circa una conferenza tenuta da Streeruwltz sull'ordinamento economico Italiano, nel corso della qualel'ex cancelliere aveva auspicato un'organizzazione economica su base corporativa anche !n Austria. (2) -In un appunto per Mussolini, datato Roma 6 marzo, Aloisi faceva alcune precisaz!on1 circa la conversazione con Titulescu e osservava che «realmente Il programma della Piccola Intesa era steso tutto di pugno di Bene~ e corretto di pugno di Tltulescu ».

(l) Cfr. serie VII, vol. VI, n. 46.

144

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. P. Londra, 27 febbraio 1933.

Vorrei riassumerti brevemente in questa lettera alcune mie impressioni schematiche sul Foreign Office, sulla condotta degli affari esteri qui, e sugli orientamenti generali della politica inglese in questo momento. Butto giù queste note col solo intendimento di «segnare il punto», lasciando alla corrispondenza ufficiale che ho con il Ministero tutte le questioni di dettaglio e i particolari della situazione. Questi particolari potranno correggere qua e là quanto ti verrò esponendo, ma quello che mi interessa oggi di presentarti è una traccia generale -traccia che limito alla mia esperienza personale di questi mesi.

Mi rifaccio dunque a Losanna. Prima di Losanna la politica inglese era

diretta su linee che a noi erano perfettamente chiare:

l) annullamento delle riparazioni tedesche;

2) cancellazione dei debiti interalleati;

3) fissazione del limite massimo delle flotte delle cinque maggiori potenze

navali; 4) abbassamento della potenza militare francese; 5) parità di diritto alla Germania, Austria, Ungheria e Bulgaria; 6) unione austro-tedesca; 7) stretta collaborazione anglo-americana.

Questo programma nella sua totalità portava l'Inghilterra, volente o nolente, verso una posizione di permanente antagonismo alla politica francese. Dico volente o nolente, perché nella politica inglese di questi anni si sono agitate due correnti contrarie. Da una parte la tendenza a concepire gli interessi di conservazione e di stabilità dell'Inghilterra come necessariamente legati a quelli identici della Francia, dall'altra la tendenza a impedire che la Francia stabilisse una egemonia politica, economica e militare nel continente. Noi ci siamo trovati ora di fronte all'una ora di fronte all'altra di queste tendenze, ma in complesso credo si possa dire che, fino a Losanna, la tendenza alla collaborazione conservatrice anglo-francese avesse dovuto costtmtemente cedere agli interessi fondamentali di una politica di revisione e di equilibrio, che, ripeto, portarono l'Inghilterra sempre o quasi sempre su posizioni lontane o avverse a quelle della Francia. Il problema dei rapporti itala-inglesi ne risultava assai

semplificato. Noi potevamo con lievissimo sforzo, far agire i tuoi principi di revisione del regolamento della pace e di equilibrio della potenza politica in Europa. L'Inghilterra di tanto in tanto cadeva nella illusione di una politica conservatrice anglo-francese, ma a noi bastava riporre i problemi fondamentali della pace d'Europa (riparazioni, disarmo, parità di diritti) come vigorosamente tu li hai più volte posti, perché essa dovesse staccarsi dalla Francia, e riprendere la sua funzione di equilibrio, quella funzione che solo può giustificare e garantire una collaborazione itala-inglese.

Questa situazione raggiunse la sua fase più vantaggiosa per noi nell'estate del 1931. L'Inghilterra si trovò allora di fronte uno spiegamento generale delle forze francesi: il franco contro la sterlina, il programma navale francese contro gli accordi di Londra, la politica francese delle riparazioni contro la moratoria Hoover .

Dal luglio del 1931 a oggi questo spiegamento di forze si è andato riducendo. La Francia ha perduto -soprattutto nel campo finanziario -alcuni dei più essenziali elementi di azione nei riguardi dell'Inghilterra. In Inghilterra si è andato diffondendo il concetto che la potenza francese -politica e finanziaria sia in declino. Quelle che erano le antiche preoccupazioni per l'intransigenza francese nel problema delle riparazioni hanno ceduto alle preoccupazioni per l'intransigenza americana nel problema dei debiti. La Germania è riapparsa all'orizzonte. Accanto alla compiacenza per la diminuita potenza francese si sono conminciati a delineare i primi timori, le prime esitazioni di fronte a quello che potrebbe essere una ripresa della Germania imperiale.

Vediamo punto per punto in quale fase si trovi lo svolgimento della politica estera inglese.

Annullamento delle riparazioni tedesche. Questo è oramai un fatto compiuto. Ogni tanto, a scopo polemico, MacDonald o Sir John Simon, o Neville Chamberlain, presentano l'ipotesi che ove non si giungesse a un regolamento del debito con l'America, bisognerebbe rivedere gli accordi di Losanna, ma né essi né alcuno nel paese crede in tale possibilità. È questa semplicemente una delle forme nelle quali essi esprimono il concetto fondamentale in base al quale essi vorrebbero che gli Stati Uniti misurassero la capacità di pagamento dell'Inghilterra: gli accordi di Losanna non si possono toccare; per non toccarli è necessario che gli Stati Uniti consentano a una riduzione del 90 per cento del debito inglese. Convinti che i pagamenti in conto riparazioni non saranno ripresi, gli uomini di stato inglesi non hanno più le preoccupazioni, che nutrivano negli anni scorsi, per l'accumularsi di cospicue riserve auree nelle casse della Banca di Francia. I pericoli di una dittatura del franco sono diminuiti. E quando gli uomini della City ne parlano si ha l'impressione che essi vogliono più che altro mantenere nell'opinione pubblica il senso di questi pericoli, per difendere la loro politica di svalutamento d-lla sterlina. Grava ancora sul popolo inglese il ricordo delle oscure giornate dell'estate del '31, e la City se ne serve a sostenere il principio che la sterlina non potrà essere riportata alla base aurea che quando saranno stabilite garanzie internazionali che regolino il movimento dell'oro. Quali debbano essere tali garanzie nessuno ha mai detto e nessuno sa dire, ed esaminato da vicino l'argomento ha tutta l'aria di una giu~ stificazione fittizia, dietro la quale non esi:te affatto la preoccupazione della potenza finanziaria francese -quale esisteva ancora un anno fa -ma esiste la preoccupazione di difendere gli interessi degli industriali e dei commercianti i quali reclamano non solo una sterlina svalutata, ma una sterlina ulteriormente svalutabile.

Il problema del giorno, quello che domina oggi nel Foreign Office, nella Tesoreria e nella City è il problema del debito di guerra con gli Stati Uniti. Tutta la polemica, condotta per anni e anni con la Francia per la questione delle riparazioni, si è trasferita nel problema dei debiti con l'America. L'irritazione popolare, una volta diretta contro la Francia per l'opposizione di questa all'annullamento delle riparazioni, è oggi diretta contro gli Stati Uniti. Ieri era Parigi oggi è Washington che gli inglesi accusano di cecità e di egoismo, e oggi sono gli Stati Uniti, come ieri la Francia, che vengono indicati come i responsabili di una politica che blocca il processo di ricostruzione dell'economia mondiale.

Come ebbi a suo tempo a informarti la decisione di pagare la quota del 15 dicembre non fu raggiunta che con difficoltà. Sembrò che il farlo fosse saggio e fosse necessario. Ma il «no l> francese trovò, nell'antica radicata ostilità popolare per l'America, una ripercussione di profonda simpatia, e gli ambienti responsabili videro subito quale notevole contributo esso portasse alla politica inglese. D'altra parte, per le circostanze in cui esso avvenne, con voto del Parlamento contro il Governo, con un bilancio minato da un deficit spaventoso, e l'economia nazionale minacciata da una legislazione socialista, non era questo «no » un altro segno del declino della potenza francese? Un segno di debolezza finanziaria e di confusione politica?

Il rifiuto francese di pagare la quota del 15 dicembre creò molti francofili in Inghilterra: tra coloro che vedevano con soddisfazione la Francia tirare le castagne dal fuoco per conto dell'Inghilterra, e tra coloro che vedevano in esso la prova concreta che Londra aveva ripreso il sopravvento su Parigi, la Francia scendeva fino all'abdicazione del suo credito. Esso contribui quindi ad attenuare il conflitto franco-inglese nel campo della politica finanziaria internazionale, e mise anzi in valore la collaborazione indiretta della Francia in un'azione destinata a tener testa agli Stati Uniti.

Quello che il Governo britannico ha infatti in mente è che a Washington bisogna agire di comune accordo. MacDonald mi ha detto: «Niente fronte unico, ma azione concertata». Una volta si trattava di organizzare l'azione concertata per obbligare la Francia a rinunziare alle riparazioni, ora si tratta di organizzare l'azione concertata per obbligare gli Stati Uniti a rinunziare ai debiti. Il problema è dunque nettamente spostato dal piano dei rapporti europei sul piano dei rapporti con l'America.

Questi rapporti sono andati essi stessi modificandosi. La vecchia idea inglese di un accordo generale con gli Stati Uniti (idea alla quale nel corso degli ultimi dieci anni sono stati sacrificati due dei più fondamentali principi della politica tradizionale britannica, e cioè l'alleanza giapponese e il two-powerf> standard) ha perduto molto del suo fascino. Gli Stati Uniti non hanno risposto che freddamente alla sollecitudine inglese, e quando hanno voluto difendere l loro interessi, non hanno avuto per l'Inghilterra riguardo alcuno. Nella questione degli armamenti navali es::::i hanno tirato per la loro strada, rifiutandosi

di ridurre il tonnellaggio delle navi di linea e di abolire i sottomarini, nella questione tariffaria hanno colpito spietatamente il commercio inglese, che da 45 milioni di sterline di esportazioni nel 1929 è sceso a 15 milioni nel 1932; nella questione dei debiti hanno rifiutato di cedere senz'altro a quella che appare l'unica soluzione logica. Anzi a un certo punto sono venuti innanzi a chiedere delle concessioni commerciali e monetarie. L'Inghilterra non ha tratto dalla politica di collaborazione con gli Stati Uniti assolutamente nulla, o almeno crede di non aver tratto nulla. L'opinione pubblica si è impazientita. Gli stessi elementi dirigenti hanno cominciato a mostrare un certo nervosismo. Il Cancelliere dello Scacchiere, nei suoi discorsi, è stato di una franchezza con l'America che era qui inconsueta. Il conflitto manciuriano ha poi dimostrato che l'Inghilterra non può seguire la politica americana in Estremo Oriente. L'opinione pubblica qui ha apertamente simpatizzato col Giappone, e da quello che mi è sembrato intendere dai lavori della Società delle Nazioni, l'azione della Delegazione inglese a Ginevra non ha avuto affatto un carattere di ostilità per la politica giapponese. Sir John Simon, parlando di recente a Southampton, ha tenuto a mettere in rilievo che l'Inghilterra aveva cercato di non spingere a Ginevra le cose oltre il limite ragionevole di una conciliazione. Del resto il paese non avrebbe né capito né accettato una azione anti-giapponese. Poche sere fa in un meeting popolare, Churchill ha ricordato, tra gli applausi scroscianti della sala, il «vecchio fedele alleato dell'Inghilterra in Asia~. VI sono molti inglesi che considerano che I'ahbandono dell'alleanza anglo-giapponese è stata la causa maggiore del declino dell'influenza britannica in Asia, e una delle cause indirette della crisi rlvolm:ionaria in India. Quelli stessi elementi che chiedono un ritorno in India ai vecchi metodi di governo chiedono anche un riavvicinamento al Gianpone, e di conseguenza una politica navale indipendente riF;petto agli Stati Uniti. Tesi estreme. beninteso. q11ali sono esistite sempre qui, anche in periodi della più accesa fiducia nella collaborazione angloamericana, ma che oggi acquistano un certo rilievo inquadrate come sono in una revisione della posizione generale dell'Inghilterra, e poiché n fallimento della Società delle Narioni a realizzare una limitazione universale degli armamenti, è ormai dichiarato e patente.

Intanto nessuno qui mi parla più della necessità di completare l'accordo navale di Londra. Questo che era il leit-motiv delle conversazioni italo-inglesi sembra caduto. Si direbbe che I'Inghilterr3 oramai pensi che un accordo navale !taio-francese sia irraggiunglbile. e che 3d essa conviene nremunirsi liberamente contro le costruzioni franceF;i. in attesa di rinrendere il '36 la sua completa libertà. La flotta francese del resto preoccuna "'eno, da che comincia a profilarsi all'oriz:>:onte anche una flotta tedesca. L'abb::1.sc::nmento della potenza militare e navale francese era -ed a mio avviso F> ancora -uno dei fini della politica estera inglese. Ma, ora che la parità di diritto è o sarà presto un fatto compiuto e che la Germania si prepara a ri::Jrmare, l'abbassamento di questa potenza non può venire senz'altro da un aumento della potenza militare e navale della Germania?

L'assunzione di Hitler al potere è stata qui intesa come il segno definitivo che la Germania era uscita dallo stato di nazione vinta. Solo alcuni scimuniti, liberali e socialisti, hanno cercato di fare dello spirito sul leader del fascismo germanico. La gente seria ha capito che Hitler significava la messa in ordine della casa tedesca. Il maggior prestigio di Hitler viene naturalmente da Te e non da lui, dall'idea che egli potrà fare per la Germania qualche cosa almeno di quello che Tu hai fatto per il nostro paese. La sua personalità interessa poco, e ti aggiungerò che nessuno osa compararlo a Te. Ma egli è il Mussolini tedesco, l'uomo cioè che, utilizzando in Germania dieci anni di esperienza italiana, porterà la Germania alla sua rinascita economica, politica e militare. Il quadro di questa nuova Germania comincia a delinearsi davanti agli inglesi. Messo accanto al quadro francese -alle difficoltà economiche e finanziarie in cui si dibatte la Francia, al suo disordine politico -essa sembra ancor più vigoroso. Gli inglesi si sono compiaciuti finora di veder declinare la potenza francese. Si cominciano ora a preoccupare che abbia a costituirsi in Europa una nuova potenza tedesca. Uno dei dogmi della politica tradizionale inglese è stato sempre quello di appoggiare la nazione europea che sia al secondo posto nella gerarchia delle potenze. Lo spirito britannico si sta dunque a poco a poco piegando verso l'idea che la Germania sia destinata in breve tempo a riprendere il primo posto e la Francia il secondo nella gerarchia delle potenze europee.

La prima precisa rivelazione di questo fatto io l'ho avuta proprio nel corso di queste ultime settimane quando ho cercato di intendere le ragioni della simpatia, o almeno della indifferenza inglese, per il nuovo Statuto della Piccola Intesa. La vecchia posizione inglese era identica alla nostra: la Piccola Intesa strumento nelle mani della Francia serve all'egemonia militare e politica di questa nel Continente. Essa deve essere perciò direttamente combattuta. In questa occasione ho trovato gli inglesi più tranquilli. Potrei ricostruire le loro ragioni così: in primo luogo, una Piccola Intesa più forte, sarà anche più indipendente dalla Francia. Anzi se la Jn~oslavia, la Cecoslovacchia, la Romania hanno sentito il bisogno di rafforzare i loro legami, è perché hanno sentito la politica francese tanto verso la Germania che verso la Russia indebolirsi: il loro nuovo Statuto di alleamm può registrarsi dunque intanto come un altro segno della debolezza francese. In secondo luogo la Piccola Intesa solidifica la resistenza dell'Europa sud-orientale contro la Russia. In terzo luogo essa prepara un mercato centro-europeo-balcanico, il cui stabilimento potrà essere utile all'industria inglese. Non bisogna inoltre dimenticarsi che il Foreign Office è ancora oggi quale lord Tyrrell lo lasciò, prima di assumere l'Ambasciata di Parigi. Esso è sempre per l'« Entente Cordiale». La sua idea è che Francia e Inghilterra abbiano degli interessi mondiali comuni, e che su questi esse devono intendersi. Esso ha sempre sottovalutato l'egemonia continentale francese. E se la politica estera inglese si è impegnata più volte a combattere questa egemonia, è perché gli uomini politici che ne hanno avuto la direzione hanno corrette le tendenze del Foreign Office, che per suo conto avrebbe cercato di trovare, a ogni occasione e per ogni questione, un accomodamento con la Francia.

Ora è il suo momento. La polemica delle riparazioni è caduta e la polemica del disarmo sta cadendo nel nulla. Gli uomini politici inglesi non sono più premuti dall'opinione pubblica verso un atteggiamento di contrasto con la politica finanziaria e militare francese, che sembra oramai in decadenza. I conservatori sono stati sempre francofili. Il movimento di resistenza all'egemonia francese veniva soprattutto dai liberali e dai laburisti. Ma questi oggi sono sconcertati davanti al trionfo del nazional-socialismo in Germania, trionfo che dà ai Fascisti d'Inghilterra il più chiaro e vigoroso argomento che essi potessero invocare in favore dell'universalismo fascista.

L'opinione pubblica, beninteso è ancora ostile alla Francia. Quelli che io ho raccolti e esposti qui sono i segni di un movimento che si avverte abbastanza distintamente in alcune zone dirigenti del paese. Non è un movimento popolare ma molta gente che trovavo francofoba e germanofila due o tre anni fa, oggi parla con meno simpatia per la Germania e con assai minore antipatia per la Francia. La cosa mi è sembrata abbastanza interessante per essere considerata e seguita da vicino. Non altro. Come ti dicevo in principio, intendevo buttar giù queste note per metterti al corrente di certe mie impressioni e per «segnare il punto». Nell'Europa inquieta e instabile nella quale viviamo è difficile fare delle previsioni. E queste mie impressioni vanno prese quali sono: notazioni del momento, che sottopongo come elementi di fatto al Tuo giudizio.

145

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. R. 315/64 R. Roma, 28 febbraio 1933, ore 20,45.

Suo 110 (1).

Nell'attuale situazione internazionale il R. Governo è d'avviso che convenga evitare qualsiasi movimento suscettibile di indebolire la compagine interna della Germania. In un momento così grave per la Germania sarebbe opportuno che tutte le forze veramente nazionali, e fra queste anche l'elemento monarchico, collaborassero sinceramente all'opera di ricostruzione ed evitassero fra di loro ogni sorta di conflitti.

Ciò premesso è evidente che questione restaurazione monarchica in Baviera nel quadro costituzionale del Reich è questione interna germanica. R. Governo come non si opporrebbe ad eventuale restaurazione così non ritiene poter in qualsiasi forma intervenire in suo favore.

Qualora V. E. concordi pregola impartire istruzioni in tal senso al R. console generale a Monaco di Baviera.

(l) Cfr. n. 123.

146

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. 317/90 R. Roma, 28 febbraio 1933, ore 24.

Col corriere in partenza le spedisco una lettera che le indirizza S. E. il ministro delle finanze (1). Essa contiene indicazioni e considerazioni sulla fase attuale della questione dei debiti in relazione anche alle osservazioni da lei fatte. Considerazioni valgono per sua informazione e orientamento personale a tutt'oggi. Successivamente a mano a mano che la questione verrà sviluppandosi, le saranno fatte conoscere eventuali ulteriori osservazioni. Direttive di massima restano intanto quelle di cui al mio telegramma n. 168/40 del 31 gennaio (2).

Attiro particolarmente la sua attenzione sul fatto che ove l'Italia volesse richiedere moratoria per rinvio pagamenti in conto capitale scadenza 15 giugno dovrebbe farlo con preavviso 90 giorni e cioè non oltre sedici marzo prossimo venturo. Inopportunità ricorrere a richiesta del genere si presenta sotto molti aspetti evidente. Gradirei tuttavia conoscere suo avviso in proposito sopratutto per quanto riguarda ripercussioni codesta opinione pubblica.

147

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 829/215 R. Londra, 28 febbraio 1933 (per. il 6 marzo).

V. E. mi domanda (3) quali impressioni hanno qui suscitate recenti manifestazioni riavvicinamento franco-sovietico. Avvenimento è stato ostentatamente ignorato nella stampa, in Parlamento ed in genere da parte circoli cosidetti ufficiali. Parlandone con questo ambasciatore sovietico Maisky col quale sono in frequenti contatti, egli non ha nascosto suo disappunto per questo fatto. «Gli inglesi fingono di non vedere >> così ha detto. Gli ho domandato se Governo di Mosca pensa effettivamente ad un mutamento della politica seguita sin oggi. «No, mi ha risposto, abbiamo voluto soltanto dare un serio avvértimento a Hitler. Da un po' di tempo in qua la Germania si comporta male con la Russia. Le relazioni russo-tedesche dipenderanno dalla condotta che Governo tedesco adotterà nei nostri riguardi '>.

(l) -Non rinvenuta. Le sue conclusioni, come si desume ùalla risposta di Rosso, in data 14 marzo, che non si pubblica, erano le seguenti: «l) t essenziale mantenere 11 nostro negoziatoben distinto da quello degli altri paesi, specialmente Inghilterra. e Fnmcla. 2) Conviene ritardare quanto possibile il nostro negoziato. 3) Conviene tener presente che il criterio del compensidifficilmente può trovare materia di applicazione nel riguardi dell'Italia. 4) Conviene che Il nostro futuro negoziato venga. impostato sulla. «capacità di pagamento ». 5) Occorre una sistemazione definitiva del problema. 6) La nostra linea di condotta potrebbe opportunamente essere, per ora., quella di semplice attesa ». (2) -Cfr. n. 59. (3) -Cfr. n. 107.
148

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA P.R. 34. Parigi, 28 febbraio 1933.

Ho l'onore di trasmettere la lettera qui unita che il locale corrispondente de Il Popolo d'Italia dirige a S. E. il Capo del Governo.

L'esposizione della situazione che fa il Comm. Pirazzoli, merita la maggiore attenzione. Il turbamento prodotto in Francia in seguito all'avvento di Hitler, tende ad aggravarsi con rapprossimarsi delle elezioni. Le sfere dirigenti e l'opinione pubblica, hanno avuto un breve periodo di ottimismo dopo i discorsi pronunciati dal Ftihrer che sono sembrati meno malvagi del previsto. La preoccupazione tende ad acutizzarsi nuovamente, da qualche giorno. La discussione alla Commissione degli Esteri della Camera sull'esistenza di una alleanza itala-germano-ungherese e le polemiche di stampa che vi hanno fatto seguito, sono sfruttate da quegli ambienti che giudicano indispensabile che la Francia giuochi al più presto la carta della guerra. L'esercito francese, essi dicono, è pronto come non lo sarà più. Nei prossimi anni vi saranno le classi deficienti (creuses) e l'Italia, la Germania, l'Ungheria avranno completati i loro armamenti. Oggi si parla e si scrive senza ritegno della guerra (leggere La République e il Populaire di questi giorni) e se ne discute pubblicamente.

Osservai nel mio telegramma n. 109 del 22 corrente (l) che lo Stato Maggiore e l'industria metallurgica, sono le due incognite della presente situazione. La preparazione industriale per la guerra è in corso da tempo. I RR. addetti militari presso la R. ambasciata hanno tenuto al corrente i rispettivi ministeri. Negli ultimi sei, sette mesi il ritmo di questa preparazione è stato accelerato in relazione inversa ai successi della politica di rivendicazioni perseguita dalla Germania. Ad ogni nuova concessione che la Francia ha dovuto fare a Ginevra

-o a Losanna, ha fatto riscontro un'adeguata maggiore copertura militare. Che lo Stato Maggiore, sentendosi pronto, e sapendo d'altra parte che non riuscirà, negli anni avvenire, a mantenere la posizione di predominio in materiale umano e bellico che oggi detiene, sia tentato di agire al più presto, è ovvio il supporlo ed è prudente temerlo. Non credo però che si possa attribuire allo Stato Maggiore francese che ha fama di disporre di capi di valore i quali uniscono alle virtù militari un adeguato senso politico, non credo dico che lo Stato Maggiore possa pensare di piegare l'Italia, in tre mesi o tutt'al più nel corso dell'estate, e s'illuda di farlo senza suscitare altri incendi pericolosi per la Francia. Ma dato anche e non concesso che lo Stato Maggiore sia sicuro del fatto suo e deciso all'azione, non si può non prendere in considerazione il fattore politico. In Francia ci sono senza dubbio potenti interessi che, a prescindere dagli ambienti militari, sono persuasi della convenienza di rimettere la decisione alle armi, ma sarebbe azzardato affermare che quest'opinione sia condivisa dalle sfere dirigenti. Non credo ad esempio che gli uomini che sono al Governo

ricerchino la guerra; sarebbe se mai più esatto dire che la temono. Non è possibile escludere che la situazione politica possa subire rapidi mutamenti. Ma è vero altresì che la tendenza borghese di sinistra ha nel Paese un seguito non indifferente e si può ancora oggi ritenere con fondamento che larghe sfere dell'opinione pubblica appoggerebbero coloro che si ergessero, a tempo, per deprecare un conflitto. Sono d'altra parte convinto che eventuali atti da parte della Jugoslavia, intesi a provocare la guerra, incontrerebbero l'opposizione risoluta di un'imponente massa del popolo francese. La Francia teme la Germania: per questo è preparata alla guerra, ma non la vuole. Ricerca l'accordo e lo ricerca specialmente nei riguardi della Germania. L'E. V. mi giudicherà forse uggioso per la ripetizione che faccio, quasi in ogni mio telegramma, del medesimo motivo. Considero l'accordo franco-tedesco, all'infuori di noi, una temibile eventualità. Da una parte e dall'altra, in Francia e Germania, vi sono forti interessi che lavorano freddamente anche nelle presenti circostanze, alla preparazione di questo accordo.

Ho esposto la situazione quale la vedo in questo momento. È seria, ma non è catastrofica. Non lo è perché stimo che vi sia ancora la possibilità di stornare la bufera che potrebbe addensarsi alle nostre frontiere, se trascurassimo di accordare l'importanza che hanno a'i non dubbi s,intomi precursori che da varie parti ci vengono segnalati.

La situazione seria, suggerisce, a mio modo di vedere, un nostro atteggiamento di estrema prudenza, specialmente per quello che concerne il linguaggio della stampa. I giornali francesi ci hanno coperto di calunnie, un ex presidente del Consiglio per mire sue personali ha pubblicamente posto in luce falsa la politica estera dell'Italia, e ha tentato di dare parvenza di realtà a delle favole. Col peso del prestigio di cui egli gode, non solo nel suo Paese ma in Inghilterra e negli Stati Uniti d'America, ha fatto tutto il possibile per danneggiarci. La stampa italiana ha reagito con vigorosa sobrietà; l'articolo del Popolo d'Italia «Responsabilità», perfetto, ha prodotto grande impressione in Francia e suppongo che abbia avuto, anche in altri Paesi, una ripercussione favorevole. Ma, in seguito, la polemica è diventata aspra, il signor Herriot è stato preso personalmente a partito (Popolo d'Italia del 26 corrente: «Uomini leggeri))). Per quanto si cerchi, da parte della R. ambasciata, di spiegare che le RR. autorità non esercitano un controllo preventivo su ogni articolo che si pubblica in Italia, non si è creduti. Ne consegue che tutto quello che scrivono i nostri giornali contro la Francia viene attribuito ad una precisa direttiva di Governo, e alla medesima unica ispirazione sono riferiti non solo gli attacchi dei giornali più importanti, ma anche ad esempio gli articoli del Tevere.

Giudica l'E. V. che, in queste condizioni, sia opportuno sospendere ogni e

qualsiasi polemica di stampa per una ventina di giorni, almeno. Se la decisione

dell'E. V. sarà favorevole, mi pare che risulterà chiara e dimostrata, non solo

di fronte alla Francia ma davanti al Mondo, la nostra volontà di facilitare il

superamento di questo difficile momento. Nel periodo di venti giorni si pren

derà norma dall'atteggiamento della Francia. In ogni caso si toglierà all'opi

nione pubblica francese il pretesto di preoccupazione o di rancori verso di noi.

Si avrà, inoltre, maggiore agio di seguire eventuali orientamenti francesi verso

la Germania. Se poi la Jugoslavia e la Piccola Intesa nutrissero veramente il

proposito di turbare la pace, noi ci troveremo in migliore postura di fronte a un'eventuale aggressione, mentre d'altro lato gli elementi che, in Francia, si rendono conto delle losche manovre della Piccola Intesa e per essa della Jugoslavia, potranno ricevere il sussidio di nuovi e più larghi consensi.

Per quel che concerne due punti della lettera del Comm. Pirazzoli informo

v. E. che:

a) Ho disposto controlli circa l'esplosione avvenuta alla fabbrica Renault che secondo le informazioni raccolte dal corrispondente del Popolo d'Italia sarebbe da attribuirsi a scoppio di esplosivo.

b) Faccio controllare anche l'informazione riguardante la fornitura di mille cannoni commessi alla Citroen. Il R. addetto militare osserva in proposito non sembrargli probabile che una fabbrica di automobili possa eseguire di punto in bianco un'ordinazione di cannoni.

ALLEGATO

PIRAZZOLI A MUSSOLINI

L. P. Parigi, 27 febbraio 1933.

Mi perdoni se non vengo a Roma per parlarle come sento che il dovere mi detta della situazione franco-italiana che mi sembra divenuta enormemente insidiosa. Due giorni or sono, secondo quel che mi risulta da fonte molto seria in grado di essere informato il Capo di Stato Maggiore Weygand in un pranzo di intimi, quando 1 camerieri si furono ritirati confermò la sua già nota tesi di prendere bruscamente l'offensiva lasctando intendere che ormaà anche le sfere politiche sono acquisite al suo piano. Egli dichiarò che la guerra con l'Italia è imminente; indicò come data i primi giorni d'aprile; aggiunse che la partita sarà liquidata in tre mesi, al massimo tra la primavera prossima e l'estate successiva; si vantò di aver preparato la Francia in tempo utile per conseguire una facile vittoria che le assicurerà un lungo periodo di tranquillità e conchiuse: «Siamo in piena efficienza; quest'anno o mai più! Naturalmente il primo colpo di fucile partirà dalla Jugoslavia che è prontissima!».

A quest'informazione bisogna aggiungere che si preparava... (l) col Presidente della Repubblica un ministero di concentrazione Tardieu-Herriot che si renderebbe rapidamente padrone della situazione facendo marciare in una crociata contro il fascismo anche i socialisti; sarebbe il Ministero della GuelTa con Tardieu che diverrebbe il Tigré N. 2 ed Herriot che avrebbe... (l) e dei contatti con gli esponenti democratici all'estero, cioè con Roosevelt, con MacDonald e la Spagna che lascerebbe passare le truppe coloniali. Tutto è messo in opera per non lasciar passare il momento favorevole. L'andirivieni dei militari fra Belgrado e Parigi si è intensificato.

Lo scoppio avvenuto dieci giorni or sono in una delle officine Renault (50 morti) è dovuto non all'esplosione di una caldaia ma alla deflagrazione di una quantità di esplosivo che si adoperava nella fabbricazione di proiettili. Nessun giornale ha detto la verità. Del resto tutti gli industriali che lavorano per la guelTa sono ormai in istato di mobilitazione e sotto il controllo militare. Essi ricevono delle ispezioni quotidiane che controllano la qualità e quantità della produzione e non possono assentarsi per più di due giorni dalla loro sede senza un permesso dello Stato Maggiore e senza indicare i luoghi dove si recano. La settimana scorsa lo Stato Maggiore ha passato a Citroen un'ordinazione di 1000 cannoni. Nel tempo stesso tutti i vecchi cannoni non rispondenti alle esdgenze della guerra moderna sono stati ritirati e destinati alla rifusione. Nel campo dei meccanici non ci sono più disoccupati, a meno che non si tratti di stranieri o di naturalizzati poco sicuri.

15 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XIII

Persona che frequenta la redazione del Temps, considerato come francese quantunque sia russa mi assicura che in quell'ambiente in cui sembra si sia informati delle nostre cose e soprattutto della quantità e qualità dei nostri ordigni di guerra, si manifesta verso l'Italia un odio a petto del quale l'animosità verso la Germania impallidisce. Anche qui si dice ormai apertamente che la guerra contro l'Italia è indispensabile ed imminente: «L'Italie nous marche sur les pieds; c'est assez! ».

L'odio contro di noi si è diffuso e acuito in questi ultimi tempi in forma impressionante per tutti gli strati dell'opinione ptibblica.

Caro Presidente, io vorrei che queste informazioni ed impressioni fossero esagerate

o addirittura infondate, ma purtroppo non riflettono che una parte della verità. Io abito da otto anni in una casa e una strada di militari, fra Les Invalides e l'Ecole Militaire. La preparazione della Francia dal lato materiale e uomini è semplicemente formidabile oggi; superiore credo alla preparazione tedesca del 1914, perché le polemiche di certi nostri giornali, non sempre condotte con abilità e conoscenza si sono trasformate qui in cannoni. Siamo noi in grado di accettare una partita di quest'importanza nel momento in cui piace agli altri di imporla? Abbiamo uno Scipione adeguatamente equipaggiato? Possiamo trascurare il fatto tempo che lavora sicuramente per noi e contro i nostri nemici? Non pon1;o questi interrogativi per domandare delle risposte. Soltanto mi auguro di non essere sorpreso dagli avvenimenti e di non rimanere intrappolato in Francia e inviato in un campo di concentramento e confido nel suo genio (1).

(l) -T. per corriere 698/109 R., non pubbUcato.

(l) Le lacune sono dovute al deterioramento del documento.

149

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 365/120. Ankara, 28 febbraio 1933 (per. il 17 marzo).

A seguito del mio rapporto n. 250/89 del 13 febbraio c.m. (2) ho l'onore di rimettere a V. E. copia di un rapporto a me diretto dal R. Console a Samsun, per riferirmi intorno alle voci che anche lì sono state messe in giro sopra pretesi allarmi turchi per un fantastico pericolo di aggressione italiana.

Come V. E. vede, ci troviamo in presenza di una campagna a larga diffusione che non può non destare preoccupazioni. Nel mio rapporto sopracitato io dicevo che mi sembrava inopportuno fare un passo ad hoc presso questo Governo, e che avrei atteso che qualcuno mi avesse parlat<l di questi allarmi. Dopo di allora ho avuto occasione di intrattenermi con Ismet Pascià in maniera insolitamente confidenziale avendomi egli invitato a casa sua per una colazione a due, assente persino la Signora Ismet, appunto perché si avesse da una parte e dall'altra la massima libertà di conversazione.

Il colloquio ha preso subito tale andatura sciolta e facile, sui temi più disparati dell'ora presente e dell'avvenire, che ho creduto di poterne profittare per toccare in maniera quasi spontanea la questione dei recenti allarmi turchi verso l'Italia. Si parlava, fra l'altro, dei rapporti tra l'Italia e la Francia in relazione alla missione di Jouvenel a Roma, e Ismet Pascià diceva che V. F. gli aveva manifestato -durante la visita che egli Le aveva reso -uno stato d'animo accessibile ad una intesa con la Francia, che egli riteneva esistere in

Francia delle correnti desiderose di eliminare le difficoltà esistenti, ma che le più favorevoli fra tali correnti non si adattavano affatto all'idea che l'intesa con l'Italia potesse costare alla Francia qualche sacrificio di orgoglio e tanto meno territori. «I francesi non vogliono dare nulla, oppure vogliono dare la roba degli altri~.

Con queste parole Ismet Pascià non poteva darmi più facile spunto all'argomento che avevo interesse di chiarire. Gli dissi quindi che, dato che egli aveva pronunziato una cosi palese allusione, io avevo il dovere di esprimergli il rammarico che provavo nel sentire diffondere in questo paese le voci più insane sulla possibilità di una intesa italo-francese ai danni della Turchia, essere nel giuoco francese di offrire sempre la roba degli altri sia per la speranza di raggiungere uno scopo a buon mercato e sia per assicurarsi, in mancanza di quello scopo, almeno il vantaggio di metter veleno tra amici e separarli per meglio tenerli a bada; essere però la politica di V. E. di tale chiarezza e dirittura per le amicizie liberamente assunte da non consentire dubbi o sospetti di sorta verso l'Italia; esistere oramai tra l'Italia e la Francia una situazione che non ammette deviazioni -di esclusivo interesse francese -all'inevitabile contrasto di supremazia imperniato da una parte sull'ansia di cristallizzare una egemonia che l'altra parte non può più ammettere; non essere verosimile che in tale stato di cose l'Italia, chiusa nel Mediterraneo e con grandi necessità di vita, andasse a crearsi dei nemici in quella parte orientale del bacino del Mediterraneo ove ha voluto invece costituirsi un sistema di amicizie ed una via di più largo respiro. Se Ismet Pascià dubitasse di questi sentimenti, di questi interessi e sopratutto della serena e schietta politica di S. E. il Capo del Governo, essere suo assoluto dovere di parlarne immediatamente per non lasciare ingombrare l'orizzonte di nuvole minacciose che accumulandosi potrebbero risolversi in malaugurate tempeste.

Ismet Pascià mi ha ascoltato con una grave espressione di serietà e preoccupazione e, dopo una breve meditazione, ha risposto in tono fermo e preciso: «Ho fiducia assoluta nel Signor Mussolini. Il giorno in cui un dubbio sorgesse nel mio animo, sentirei anch'io il dovere di parlarne ~.

In seguito a questo colloquio è apparso sul giornale Varkit organo del partito, l'articolo di fondo che qui allego in traduzione. A parte la improvvisa uscita di tono delle ultime parole, esso mi sembra molto sensato e vi è in esso in maniera più che evidente la traccia di Ismet Pascià.

(l) -Cfr. la seguente l. p. di Suvich a Plgnattl dell'8 marzo: «Il Capo ha letto la lettera di Pirazzol! e Il suo rapporto sullo stesso argomento. Mi incarica di dirLe perché ne dia comunicazione anche a Pirazzoli che non c'è nessuna ragione di allarme ». (2) -Non pubblicato.
150

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

R. R.P. 809. Berlino, 28 febbraio 1933.

Ho l'onore di trasmettere, qui allegati, all'E. V. a titolo d'informazione e controllo gli appunti relativi alle cose dettemi dal Maggiore Comm. Renzetti nelle visite fattemi il 22 e 27 corrente.

Salvo nei casi in cui è espressamente menzionata una mia osservazione, mi sono limitato ad ascoltare quanto il Maggiore Renzetti mi ha riferito.

ALLEGATO l

Il Maggiore Renzetti riferì il 22 febbraio di essere ritornato da Roma il giorno innanzi. Disse di essere stato ripetutamente ricevuto da S. E. il Capo del Governo ed interrogato sulla situazione interna della Germania. Aveva risposto esponendo le ragioni della coalizione dei partiti nazionali e dicendo che Hitler è deciso di conservare il potere e di muovere guerra al marxismo.

Circa la situazione estera rispose che i nazional-socialisti non vogliono saperne della Francia, come lo provò il rifiuto di Hitler di ricevere giornalisti francesi. Il Capo del Governo gli disse che occorreva vigilare attentamente perché non era affatto escluso che Francia e Germania si intendessero a scapito dell'Italia..

Renzetti rispose che sarà sua cura vigilare, tanto più che, se esistesse il pericolo di un'intesa franco-germanica, esso riteneva che l'Italia dovesse affrettarsi a concludere da parte sua un accordo con la Francia.

Il Capo del Governo gli disse che bisognava far comprendere a Hitler che l'Italia, qualora si dovesse intendere con la Francia, non scorderebbe i suoi amici e non farebbe nulla a loro danno.

Il Capo del Governo gli parlò poi dell'Austria e dell'Anschluss. Renzetti rispose che in questo momento nessuno in Germania pensava all'Anschluss. Espresse la sua opinione che la politica italiana nei riguard.i dell'Austria fosse stata errata e sciupato il mezzo milione di lire dato al Maggiore Pabst. Aggiunse di non avere peraltro conoscenza approfondita dei problemi austriaci.

Renzetti disse a questo punto al R. Ambasciatore che si proponeva compiere fra breve un viaggio di una diecina di giorni a Vienna perché gli occorreva orientarsi su quella regione.

Il Capo del Governo gli aveva pure parlato del viaggio di Hitler a Roma, menzionando una comunicazione ricevuta dal R. Ambasciatore in Berlino. Disse che egli non riteneva opportuno un viaggio in questo momento, perché doveva essere preceduto da scambi di idee politiche; occorreva quindi fare intendere ciò al Cancelliere e procedere a tali scambi di vedute.

Renzetti comunicò quindi che S. E. Suvich gli aveva detto che le conversazioni fra Italia e Fmncia non erano affatto interrotte, ch'egli aveva ricevuto varie volte l'Ambasciatore de Jouvenel ed era stato tramite di comunicazioni fra questi ed il Capo del Governo.

ALLEGATO Il

Il Maggiore Renzetti comunicò il 27 febbraio al R. Ambasciatore di avere veduto dopo il suo ritorno quasi giornalmente Goering e di avere appreso da lui che in seno al Gabinetto vi è una forte corrente filo-francese.

Una missione di industriali della Sarre, venuta a Berlino, avrebbe confermato quanto aveva detto mesi or sono un deputato francese, vale a dire che la Francia si disinteresserebbe del corridoio, qualora fosse possibile concludere un accordo con la Germania.

Chiestogli dall'Ambasciatore chi fossero stati questi industriali della Sarre (gli industriali suddetti sono tutti tedeschi e noti anti-francesi) e quando fossero venuti a Berlino, non seppe fornire notizie precise, disse anzi di non sapere bene se fossero già venuti o se dovessero ancora venire.

Renzetti aveva osservato a Goering che non vedeva come la Francia avrebbe potuto fare una politica di cessione del corridoio senza inimicarsi la Polonia e la Piccola Intesa che avrebbe temuto altre concessioni.

Renzetti disse poi di avere parlato a Goering nel senso che la Germania e l'Italia non dovrebbero iniziare alcun passo verso la Francia senza essersi previamente intese, in modo da procedere come fronte unico.

Renzetti informò di essere stato richiesto da un conoscente tedesco se Hitler avrebbe fatto una politica interna violenta contro le Banche e le industrie e di avere risposto in senso tranquillante.

Il R. Ambasciatore osservò che era prudente astenersi dall'esprimere opinioni sugli affari interni della Germania. Non c'era che da perderei.

Renzetti disse di essere stato molto seccato per la conferenza già fatta dal Prof. Bortolotto, il quale si era espresso in termini tali da far credere al tedeschi che in Italia si considerasse il Nazional-socialismo figlio del Fascismo. Aggiunse che l'On. Polveverelli gli aveva assicurato che il Prof. Bortolotto sarebbe stato diffidato di non par. !are in questo senso e che egli aveva scritto invocando provvedimenti che vietino simili conferenze inopportune e soprattutto interviste di giornalisti con Hitler.

Aveva insistito sul fatto che se si voleva fare propaganda in Germania, la si doveva concentrare tutta nelle mani di Renzetti che avrebbe saputo farla da conoscitore di questo Paese e non mandare qui gente inesperta. I risultati erano nefasti.

Il R. Ambasciatore osservò che non bisognava farsi illusioni: se il movimento nazional-socialista sarà coronato da successo, fra mezzo secolo la maggior parte dei tedeschi sosterrà che il nazional-socialismo fu il creatore della nuova ideologia da cui ebbe origine il fascismo e che il primo generò il secondo. Renzetti disse di essersi espresso negli stessi termini Roma.

151

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

R. P. Berlino, 28 febbraio 1933.

Dall'appunto dell'udienza concessa da S. E. il Capo del Governo al Maggiore Renzetti in data del 14 corrente (l) rilevo quali siano le idee del Duce circa la visita a Roma del Cancelliere Hitler.

Come V. E. vedrà dall'appunto (2) delle cose riferitemi dal Maggiore Renzetti al suo ritorno da Roma -che trasmetto con altro foglio personale -questi interpreta in modo diverso le cose dettegli da S. E. il Capo del Governo, nel senso cioè che la visita a Roma deve avere luogo soltanto dopo che si sia fatta una preparazione politica adeguata qui a Berlino, a mezzo di scambi di vedute.

Mi rivolgo all'E. V. pregandola di farmi conoscere come stiano le cose, quali siano le intenzioni di S. E. il Capo del Governo e soprattutto se e quale linguaggio debba tenere al Cancelliere Hitler il quale attende tuttora una risposta alla comunicazione fatta fare al Duce dal R. Ambasciatore a Berlino circa la sua intenzione di recarsi a Roma.

Informo altresì l'E. V. che il Cancelliere ha accettato un invito a pranzo all'Ambasciata per il 16 marzo.

152

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

R. 1007/441. Mosca, 28 febbraio 1933 (per. il 14 marzo).

La ratifica del patto di non aggressione franco-sovietico e le vicende ginevrine mi hanno fornito materia di interessanti contatti e scambi di idee con questo Ambasciatore di Germania.

La prima reazione alla ratifica da parte del Signor von Dirksen era stata quasi nulla. Egli la considerava un fatto di pura iniziativa francese soltanto affrettato dall'avvento di Hitler, mentre, negli atteggiamenti ginevrini di Litvinov, non vedeva alcuna presa di posizione e neanche semplici «avvertimenti » nei confronti della Germania.

Questo sino ad una settimana fa. Ora, peraltro, il Signor von Dirksen sembra avere alquanto cambiato di opinione. In una conversazione avuta con lui ieri l'altro von Dirksen ha dovuto fare alcune significative ammissioni e particolarmente:

a) che, dopo tutto, Litvinov a Ginevra avrebbe benissimo potuto arrivare alle stesse conseguenze e raggiungere gli stessi scopi (cioè colpire il Giappone attraverso la sua nota definizione dell'aggressore) senza per questo scostarsi dalle linee che gli erano proprie e che aveva consistentemente seguite fino qui, e accostandosi invece alla tesi della « sicurezza di pura marca francese;

b) che i commenti ufficiosi apparsi sulla stampa avevano dato alla ratifica un significato ed una estensione politica non necessaria. Le Isvestia, in particolare, avevano detto che «fra URSS e Francia non esiste alcun contrasto speciale, come non ne esistono neanche fra URSS e la principale alleata della Francia -la Polonia -».

Questa ultima affermazione, specialmente (e von Dirksen se ne era lamentato anche con il Signor Krestinski) lasciava adito al dubbio che dopo la ratifica, l'URSS si tenesse pronta ad iniziare tutta una politica nuova, non solo di amicizia con la Francia, ma perfino di adesione al « sistema » politico francese.

Pur ammettendo tutto questo, von Dirksen riteneva peraltro che il patto franco-sovietico sarebbe rimasto pressoché sterile di risultati, sempreché la Francia non allargasse i cordoni della borsa, l'obbiettivo principale essendo in questo momento per i Soviet appunto questo: ottenere dei crediti.

Le Isvestia -del resto -lo avevano detto apertamente:

«I popoli vivono non solo di pace, ma anche di pane, e un riavvicinamento fra i due Paesi deve manifestarsi nel desiderio cosciente di consolidare anche le reciproche relazioni economiche. L'indipendenza economica di un Paese consiste nella sua capacità a difendere la propria causa con le sue stesse forze politiche ed economiche. Ma questa indipendenza, propria alla Francia e raggiunta dall'URSS, non significa e non deve significare un isolamento economico. L'Unione sovietica non ha mai condotto una politica di isolamento. Le relazioni economiche con un paese che si è messo sulla via della storia, rappresentano le maggiori garanzie di stabilità e di sicurezza per la Francia. Nella politica di riavvicinamento economico di due potenze non si deve scendere ad un esame minuzioso di dettagli. Nelle relazioni economiche fra i due Paesi occorre marciare al riavvicinamento con la stessa arditezza ed energia che predicano nel campo politico alcuni dirigenti della politica francese».

Nulla, tuttavia faceva ritenere, aggiungeva von Dirksen, che la Francia fosse disposta a mostrarsi, almeno per ora, con la Russia sovietica altrettanto generosa quanto con la Russia tzarista, tanto più la Francia essendo usa a non dar denaro se non a condizioni e scopi politici.

-<Ma se in una maniera o nell'altra, questi denari l'URSS li ricevesse, la credereste capace di cambiare rotta?>>.

-<Non lo escludo ~. fu la risposta di von Dirksen.

Domandai al collega tedesco se Litvinov avesse avuto nel suo ultimo passaggio da Berlino alcun contatto con la Wilhelmstrasse. <Nessuno~. <E credete che ne avrà al ritorno?~ «Speriamo~. mi disse von Dirksen.

Io capii che a Berlino si sta manovrando in maniera da far sì che Litvinov, ritornando da Ginevra, sosti a Berlino. Un colloquio Litvinov-Hitler potrebbe forse chiarire la situazione. Frattanto, il Narkomindiel avrebbe fatto sapere ancora una volta alla Germania che, da parte sovietica, sarebbe molto apprezzata la ratifica, per decreto presidenziale, del noto protocollo germano-sovietico del 1926.

L'URSS a parte le manovre tattiche per sfruttare a proprio vantaggio tanto i francesi quanto i tedeschi, non ha, a mio parere, alcun interesse salvo n caso poco probabile di cospicui crediti francesi, a cambiare le linee fondamentali della sua politica nei riguardi della Germania.

Tale iniziativa potrebbe essere più facilmente presa dalla Germania il giorno che questa, liquidate le conseguenze del trattato di Versailles, e reintegrata nella pienezza dei suoi diritti e delle sue facoltà, potesse venire ad una utile intesa con la Francia. Richiamo in proposito quanto Litvinov mi disse dopo n suo colloquio con von Schleicher (mio telespresso del 7 gennaio n. 30/17) (l): c Fin quando la Germania non avrà ottenuto di potersi riarmare a suo libito, nulla vi sarà da temere per le relazioni germano-sovietiche~.

Crede forse l'URSS che, dopo tutto, una entente germano-francese sarebbe, con una Germania hitleriana e quindi capace di ottenere condizioni migliori, più possibile che altrimenti?

Oppure soltanto ritiene che, facendo intravedere la possibilità di accordarsi con la Francia, può tenere la Germania meglio e più fortemente legata a se stessa?

Oppure le due cose insieme? Io propendo per questa ipotesi più comprensiva. L'URSS vede innanzi a sé, in questo momento, la possibilità di due politiche. In attesa che Hitler si consolidi e si dichiari (le istruzioni di battere in breccia Hitler attraverso Ginevra mi risulterebbero provenire dal Polibureau), Litvinov manovra in maniera da tenersi aperte le due strade. Del resto, non è da escludere che la presenza di Hitler rendendo l'amicizia della Germania internazionalmente più pericolosa, l'URSS, che paventa le ripercussioni all'interno di ogni possibile complicazione esteriore, voglia mettersi al sicuro e non mostrarsi, dopo tutto, così intimamente legata alla Germania da doverne seguire in ogni caso le sorti. Quanto alla Francia, nulla è da escludere quando essa sia presa, come sembra esserlo nuovamente in questo momento, dalla paura, la cui origine fondamentale è una sola: la visione di una naturale e crescente coincidenza di interessi e di azione fra l'Italia fascista e una Germania hitleriana.

(l) -Cfr. n. 91. (2) -Cfr. n. 150.

(l) Non pubblicato.

153

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

TELESPR. 1492. Roma, ... febbraio 1933.

t mio intendimento che la visita che il Cancelliere Hitler si propone di fare a Roma sia preceduta da un'adeguata selezione degli argomenti che si dovranno trattare.

I punti sui quali intendo discutedere col Cancelliere sono i seguenti:

Atteggiamento nei confronti della Società delle Nazioni con particolare riguardo alla questione del disarmo, questione della revisione dei Trattati e questione particolare del corridoio polacco, anschluss, e politica danubiana, politica verso la . . . (l) accordi economici.

Non ritengo opportuno di intrattenere il Cancelliere su questi problemi prima delle elezioni. Ad ogni modo Le farò avere, a [tempo] le necessarie istruzioni. La prego però, fin d'ora, di raccogliere gli elementi per tale discussione sentendo anche in forma discreta l'opinione dei circoli determinanti della politica tedesca di domani.

154

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. (2).

Il Comitato del Diciannove che, come è noto, è una emanazione dell'As

semblea straordinaria per il conflitto cino-giapponese, riunitosi giorni or sono,

ha constatato che gll sforzi fatti dal proprio Presidente e da Drummond per

trovare una formula di conciliazione accettabile dalla Cina e dal Giappone erano

falliti di fronte all'intransigenza giapponese.

Ha allora deciso di procedere alla redazione del Rapporto finale, secondo

quanto prevede l'articolo 15 del Patto, che dovrà contenere un «esposto dei

fatti ~ e indicare le « soluzioni '> che la S.d.N. raccomanda alle Parti come «equa

ed appropriata alle circostanze». Della redazione di tale rapporto ha incaricato

un Comitato ristretto di nove Potenze del quale, naturalmente, l'Italia fa parte.

L'importanza della decisione presa dal Comitato dei Diciannove sta nel

fatto che si è passati cosl dall'applicazione del Paragrafo terzo dell'articolo 15,

il quale contempla una procedura di conciliazione che non può prescindere dal

voto delle Parti, all'applicazione del Paragrafo quarto dello stesso articolo che

prevede invece l'adozione da parte della Assemblea del Rapporto finale anche

solo a maggioranza e con esclusione del voto delle Parti.

Per attenuare l'importanza della decisione presa, che mette per la prima

volta la Società delle Nazioni di fronte al problema di dover emanare un vero

e proprio verdetto nel quale il dogma dell'unanimità, caro a Ginevra, non viene rispettato, il Comitato dei Diciannove ha creduto bene che sino al giorno nel quale l'Assemblea non avrà definitivamente adottato il rapporto che il Comitato sta redigendo, non venga considerata definitivamente chiusa la procedura di conciliazione, lasciando così alle Parti, o, per meglio dire, al Giappone, la possibilità di ritornare sui propri passi.

II nocciolo della questione sta nel fatto che si sono trovate di fronte l'intransigenza giapponese nel pretendere ad ogni costo il riconoscimento della indipendenza dal nuovo Stato mancese e l'intransigenza cinese nel pretendere ad ogni costo la c:onservazione della sovranità, almeno nominale, sulle tre provincie orientali e sullo Jehol.

La Cina ha avuto l'abilità di impostare la questione su di un piano internazionale giuridico più che politico assicurandosi cosi l'appoggio delle Piccole Potenze, tra le quali principalmente la Cecoslovacchia, la Spagna, la Svizzera, l'Irlanda, la Svezia, la Norvegia. La Francia si barcamena fra l'amicizia giapponese dovuta alla comunanza di vari interessi orientali e ginevrini e il desiderio di non dispiacere alla Piccola Intesa e di non diminuire l'azione delle Piccole Potenze in una questione che tocca direttamente la validità dell'articolo 12 del Patto (immutabilità delle frontiere) e che può mettere in primo piano l'ineluttabile necessità della «revisione) di quei Trattati che «siano divenuti inapplicabili» e di quelle situazioni « che possono rappresentare un pericolo per la pace del mondo) (art. 19 del Patto). L'Inghilterra, preoccupata per le conseguenze che potrebbero derivare dall'uscita del Giappone della Società delle Nazioni o per gli atti anche di estrema gravità cui il Giappone potrebbe essere spinto se si trovasse la strada sbarrata da una coalizione mondiale, ha dovuto in questi ultimi tempi mascherare il più possibile la sua nippofilia per evitare le ripercussioni sfavorevoli, aggravantesi in questi ultimi giorni, che tale suo passato atteggiamento ha avuto sul prestigio e sugli interessi inglesi in Cina.

Per quanto ci riguarda, nelle varie discussioni che hanno avuto luogo sinora in seno al Comitato dei Diciannove ed in seno al Comitato di Redazione, ho ritenuto che il nostro atteggiamento dovesse essere di generica collaborazione, astenendosi dal prendere qualsiasi posizione nettamente sgradita all'una o all'altra parte. D'altra parte ho continuato ad avere presente che, secondo la tesi da me già svolta nel discorso dinanzi all'Assemblea nel dicembre u.s., è interesse dell'Italia che sia conservata al Patto, in ogni sua applicazione, quella flessibilità che saggiamente si sono prefissi i suoi fondatori.

La prima parte del Rapporto finale che è già stata redatta suona riprovazione all'azione giapponese che viene a risultare un'evidente violazione del Patto della Società, del Patto di Parigi e del Trattato di Washington. Si procede ora alla compilazione delle «soluzioni» che l'Assen·ì)!ea «raccomanderà alle Parti). Adottando le raccomandazioni contenute nel rapporto della Commissione si inviterebbe la Cina a concedere una larga autonomia alla Manciuria e si consiglierebbe la Cina ed il Giappone a stipulare vari trattati (di definizione delle questioni controverse, di amicizia e di non aggressione, di commercio, ecc.) che chiariscano le reciproche relazioni ed evitino futuri conflitti e si provvederebbe alla creazione di una gendarmeria internazionale.

Riterrei opportuno, salvo contrade istruzioni di V. E. che la nostra azione durante la redazione delle «raccomandazioni» si ispirasse ai seguenti principi:

a) fare risultare in ogni opportuna sede come i trattati divengano inapplicabili quando le situazioni cambiano e divengano, se mantenuti rigidi, causa di conflitto (tesi della rivedibilità).

b) far riconoscere ogni volta che sia possibile come la posizione della Manciuria rispetto al Giappone (geografica, strategica, economica) crei per esso dei particolari diritti (tesi del riconoscimento degli interessi speciali).

(l) -Parola 1!legg!blle per Il deterloTamento del dooumento. (2) -L'appunto è privo di data. SI colloca qui poiché ha come titolo: «Consiglio della Società delle Nazioni (questione cino-giapponese gennaio-febbraio 1933).
155

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 773/81 R. Vienna, 1° marzo .1933, ore 23,15 (per. ore 4,30 del 2).

Essendomi pervenute voci che il Governo federale esaminerebbe eventualità proporre patti di non aggressione a tutti i paesi limitrofi, ho creduto intrattenerne Peter, e ciò anche per toccare opportunamente la questione della neutralizzazione (telegramma di V. E. per corriere n. 232 R.) (1).

Peter, nel confermarmi opposizione del Governo federale a qualsiasi progetto di neutralizzazione, mi ha dichiarato che voci di cui gli avevo fatto cenno erano assolutamente senza fondamento. Ha anzi aggiunto che Ballplatz non solo non aveva mai pensato a progetti del genere ma nemmeno mai sentito parlarne.

Telegrafato quanto precede per il caso in cui alla nostra stampa pervenissero voci del genere.

156

IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE PERMANENTE DEI MANDATI DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI, THEODOLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 1° marzo 193.1.

Riassumo le mie impressioni, dopo le conversazioni avute con de Jouvenel in questo mese di soggiorno a Roma, e sviluppate in tre lunghi colloqui.

a) Sensazione precisa (di cui non può dar prova) che l'Italia non è sino ad oggi impegnata con Hitler.

b) Prima dell'avvento di Hitler, Mussolini aveva incasellato la Germania in una combinazione speciale (quale?) facente parte del suo programma generale (quale?).

c) Coll'avvento di Hitler tutto è cambiato; la Francia ha perduto il quarto d'ora favorevole per intendersi con l'Italia (conversazioni Laval-Berthelot-Theodoli) Settembre 1931-Marzo 1932. Oggi tutto è molto più difficile!

d) La venuta di Hitler in Italia offre per la Francia il pericolo di un'intesa di politica interna tra Mussolini e Hitler, che li trascinerà ad un'alleanza, portandoli fatalmente ad una guerra generale (in un minimo di tempo, necessario alla Germania per armarsi).

e) Probabile illusione in Italia e Germania che un rafforzamento interno dei due regimi fascista e hitleriano permetta loro di attendere in questi anni lo sfasciamento jugoslavo, il fallimento romeno e l'indebolimento cecoslovacco.

f) L'Inghilterra ha accentuato, con un Governo di coalizione, la sua politica estera di indecisioni e di compromessi, e potrebbe non impedire per la seconda volta in questo secolo, il cataclisma generale, non intervenendo a tempo in caso di complicazioni internazionali.

g) Come e su chi può Mussolini contare per aiuti finanziari? Gli Stati Uniti offrono uno spettacolo pietoso sotto tutti i punti di vista (impotenza e smarrimento).

h) È un errore italiano credere che sia più facile di trattare con un Governo forte in Francia (vedi nazionalisti o militari) piuttosto che puntare sulle masse pacifiste di tutte le sinistre, dal centro ai socialisti. Jouvenel è sostenuto e d'accordo con tutti gli uomini che vanno da Tardieu a Blum, coi quali, prima di lasciare Parigi, ha scambiato idee sul programma e sulla condotta da tenere con Mussolini.

Jouvenel si proponeva di andare a Parigi verso il 10 corrente, per calmare Herriot, mettere al corrente tutti, compreso il Presidente della Repubblica, concretare proposte e garanzie da darsi all'Italia, accordarsi col Quai d'Orsay (nuovi uomini) e poi tornare a Roma, forte di tali consensi e a nome della Francia, prima dell'incontro Mussolini-Hitler, per poter dimostrare poi (in caso di un'avvenuta intesa itala-tedesca) che la Francia era andata al limite massimo delle offerte concrete, compatibili con la dignità, per raggiungere insieme a Mussolini una vera pace europea. Ma non bisogna credere che in caso d'insuccesso la Francia si lascerebbe andare allo scoraggiamento, indebolita da lotte politiche interne, guardando fatalisticamente il risorgimento e l'armamento della Germania.

Molte e svariate cose mi ha detto l'Ambasciatore allo scopo di rendersi conto del fatto che mentre tutte le personalità che hanno in Italia responsabilità e posizioni direttive nel campo politico, militare e finanziario-economico, riconoscono individualmente l'utilità di un'intes:: fra la Francia e l'Italia, quando si scende alle gerarchie sottostanti e più ancora alle masse popolari più facilmente influenzabili dalla propaganda della stampa si rileva un atteggiamento passionale in un senso diametralmente opposto. Tale contrasto di atteggiamento è per lui inesplicabile e quel che egli ha cercato più di una volta di sapere da me è il motivo di esso. Naturalmente mi sono tenuto nel maggiore riserbo.

(l) Cfr. n. 83.

157

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, E L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, JOUVENEL (l)

APPUNTO. Roma, 2 marzo 1933.

De Jouvenel -Sono venuto da voi per chiedervi a che punto sono: où j'en suis.

Mussolini -Trovo abbastanza strano che lo veniate a chiedere a me.

De Jouvenel -Appunto da voi, perché da voi dipende il mio permanere a Roma con qualche risultato o nessun risultato. Dal giorno del mio arrivo molti avvenimenti si sono verificati che hanno sconvolto i miei piani di indagine e di lavoro: il lamentevole affare Eydoux di cui la responsabilità risale ai nostri circoli militari; la conferenza del disarmo che non cammina; il patto della piccola intesa, l'avvento di Hitler; le dichiarazioni di Herriot male interpretate. (Non ha fatto parola di Hirtenberg).

Mussolini -Vi dò atto che questa serie di avvenimenti e le loro inevitabili ripercussioni non hanno facilitato il vostro compito.

De Jouvenel -Poiché nella prossima settimana andrò a Parigi, vorrei poter comunicare qualche vostro punto di vista sulla situazione.

Mussolini --Vi parlerò netto com'è nel mio stile. Quando si comincia un negoziato bisogna stabilire dove e come si vuole concludere. Esclusa una vera e propria alleanza -per ragioni generali evidenti -lo scopo dovrebbe essere quello di raggiungere una intesa politica, presupposto di una più vasta intesa di ordine europeo, quindi anche tedesco. Gli ho ricordato i problemi specificamente franco-italiani (statuto degli italiani di Tunisia e frontiere libiche!). Questi problemi sono risolvibili. Gli [uffici c'erano quasi arrivati]. Molto più grave e delicato è il problema navale ... (2) effettivamente il Governo italiano aveva accettato ... Londra ... disparità navale, che ... suggerimento di N. Davis sulla parità delle costruzioni [navali dal 19]33 al 1936. Se da questo piano franco-italiano passiamo al piano europeo dobbiamo domandarci dove i nostri punti di vista coincidono e dove sono antagonisti. Sulla questione della Gleichberechtigung non coincidono e così sulla questione generale del disarmo. Coincidono forse nella valutazione del problema del corridoio polacco? Non credo. La nostra tesi revisionista si pone dinnanzi a questa alternativa, o una soluzione pacifica o la guerra. È stato un errore gravissimo quello di tagliare in due la Germania, errore non necessario per dare uno sbocco marittimo alla Polonia. Errore complicato e reso, forse, irreparabile dalla costruzione di Gdinia ad occidente di Danzica, città tedesca al 100 per 100.

(-1) Originale autografo di Mussollnl. Ed., con maggior lacune, in B. MussnLINI, Opera omnia, vol. XXXVII, pp. 134-136 in traduzione francese In ALOISI, pp. 77-80.

De Jouvenel -Riconosco anch'io che la questione è fra le più delicate e che la Conferenza di Versaglia commise un errore di cui non valutò le conseguenze. Ma voi avete una soluzione del problema?

Mussolini -Ho molto riflettuto sul problema e studiato tutti i progetti compreso quello del povero Conte Gravina. Il rimedio è nello stabilire la contiguità territoriale fra le due parti della Germania. La misura effettiva di questa contiguità sarà stabilita, ma il risultato sarebbe la fine della mutilazione della Germania, mutilazione che la Germania non potrà mai accettare. [La Polonia conserverebbe il suo entroterra polacco e avrebbe sul mare] uno sbocco commerciale non territoriale.

De Jouvenel -Voi pensate che questa soluzione sarebbe accettata?

Mussolini -[Né dall'uno né dall'altro] sul principio. Questa prima revisione dovrebbe avvenire [con tutta] la preparazione necessaria, dopo che fosse stata accettata dalla Francia e dall'Inghilterra e possibilmente nell'ambito della Società delle Nazioni. È una soluzione che potrebbe significare «l'economia ~ di una nuova e non meno terribile conflagrazione.

De Jouvenel -Riconosco che qui vi può essere l'avviamento a una soluzione ma bisogna «ménager ~ l'amor proprio dei polacchi. Ne avete mai parlato coll'Ambasciatore d'Inghilterra?

Mussolini -No. Non ancora. Sono questioni così delicate che non guadagnano nulla dal portarvi uno spirito di precipitazione.

De Jouvenel -Non credo che sulla questione del corridoio polacco nostri punti di vista siano antite·tici. Posso!llo incontrarst

Mussolini -Un punto dove invece coincidono è sulla questione dell'Anschluss. Ma giunti sul bacino danubiano, io debbo dirvi che la situazione dell'Ungheria è intenibile. È stata gravemente mutilata e umiliata. Una revisione s'impone.

De Jouvenel -Qui il problema diventa più difficile, poiché non si tratta di convincere un solo Stato, come la Polonia, ma tre Stati, né si vede come il problema potrebbe risolversi.

Mussolini -Restituendo all'Ungheria i territori contigui alle sue attuali frontiere popolati prevalentemente da magiari.

Mussolini -Finalmente il problema dell'Adriatico [o meglio della nostra sicurezza] nell'Adriatico ci pone l'uno di fronte all'altro. Il pomo della discordia fra noi e Belgrado è l'Albania. Ma la nostra politica in Albania ci è imposta dalla nostra [sicurezza nell']Adriatico e quindi non ci è possibile cambiarla. Per non essere prigionieri in quello che più giustamente dovrebbe chiamarsi il Golfo di Venezia, noi abbiamo bisogno di avere sull'altra sponda, almeno uno Stato amico.

De Jouvenel -Non si potrebbe studiare la possibilità di un patto francoitaliano-serbo-albanese per l'Adriatico?

Mussolini -Non credo che sia possibile montare una macchina del genere, specialmente dopo il nuovo patto della Piccola Intesa.

De Jouvenel -Le vostre precisazioni mi sono molto utili e mi riportano al discorso di Torino, che considero sempre come uno dei più importanti pronunciati in questi ultimi tempi. Bisogna tenere conto anche dei piccoli Stati.

Mussolini -D'accordo purché la loro politica non conduca a conflitti fra i grandi Stati. Qui è la debolezza della Società delle Nazioni e per questo la Società non avrà mai le mie simpatie.

De Jouvenel -Le soluzioni che mi avete prospettato chiedono calma e tempo.

Mussolini -Sì. Devono essere ponderate ed « espacées » nel tempo. Ci sono altre questioni che possono essere affrontate fra noi in un secondo tempo.

De Jouvenel -Non mi resta quindi che attendere.

Mussolini -Si. Per il momento non c'è nulla da fare. Aspettare e cercare intanto di non avvelenare l'atmosfera; non tendere ma distendere [gli spiriti]. In modo che non avvenga nulla d'irreparabile.

De Jouvenel -Quest'attesa voi la mettete in rapporto alla situazione politica interna della Francia o ad altri motivi?

Mussolini -Alla situazione generale europea.

Il colloquio è durato un'ora. Nel !asciarmi il de Jouvenel si è !agnato che Boncour sia stato interpellato circa le accoglienze romane che, dice De Jouvenel, sono state invece gentilissime. Il De Jouvenel mi ha dato l'impressione di un uomo che è già rassegnato all'insuccesso della sua missione.

(2) -La lacune sono dovute al deterioramento dell'originale. Questo brano del documento è riassunto da ALarsi e non pubblicato per esteso.
158

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, JOUVENEL

APPUNTO (l) . Roma, 2 marzo 1933.

I -... (2) francese per la politica ... unico punto fermo in Europa ... politica italiana a quella europea. Politica delle grandi Potenze, a base della quale intesa itala-francese «le due potenze costruttrici».

II -Nell'ambito di tale intesa possibilità soluzione grandi problemi europei, che costituiscono continua minaccia pace, come corridoio Danzica, Anschluss, revisionismo.

III -Concorso Francia per solmjone maggiori problemi che interessano l'Italia.

a) sicurezza nell'Adriatico -intervento francese nei riguardi atteggiamento jugoslavo -eventuale accordo a tre -eventuale intesa provvisoria itala-francese per il caso di azioni jugoslave importanti pericolo immediato per la pace.

(mia •risposta che per l'Adriatico e pe.r i rappo·rti con la Jugoslavia non abbiamo bisogno dell'intervento francese).

b) [espansio]ne economica italiana nell'Europa ... Orientale e nei Balcani . . . Francia che vede nei legami . . . [re]lazioni fra l'Italia e i detti ... salvaguardia contro l'Anschluss.

Possibilità di azioni economiche-finanziarie concordate. c) espansione demografica italiana. Unica possibilità con sollievo immediato e grandi prospettive future paesi arabi del Mediterraneo orientale -particolarmente Siria et Libano cui mandato andrà a cessare -eventuale accordo a tre con Gran Bretagna-Siria possibilità collocamento alcuni milioni europei -valorizzazione paese in collaborazione finanziaria Francia. Difficoltà altri sbocchi -anche Africa -dove oltre il resto aspirazioni tedesche. d) rafforzamento interessi italiani paesi altri continenti -particolarmente Africa -ancora da sfruttare. Possibilità intesa economico-commercialecoloniale Italia-Francia.

IV -. . . difficilissimi oggi -. . . facili domani nel quadro . . . parità navale -difficile soluzione . . . problema isolato --anche proposta Davls dichiarata inaccettabile Stato Maggiore Marina che dovrebbe distruggere tol!nellaggio già esistente mentre altri paesi potrebbero aumentarlo (questione sottomarini).

V -Problemi economico-finanziari-monetari di importanza mondiale -relativa facilità di un'intesa.

VI -Questioni particolari di interesse itala-francese: Giado -statuto Italiani Tunisi -nessuna difficoltà in un accordo generale -andrebbero a posto automaticamente.

VII -Abissinia -non fa cenno di questo problema, data nota e dichiarata diffidenza italiana che Francia voglia imbarcarla lunga e dispendiosa avventura. Disposto però a discutere tutte le possibilità se nostra iniziativa discussione.

(l) -Autografo di Suvich. (2) -Le lacune sono dovute al deterioramento dell'originale.
159

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

R. P.RR. 839/371. Berlino, 2 marzo 1933 (per. il 5).

Giorni or sono fui informato in via riservatissima che Hitler o forse Goering avevano l'intenzione d'inviare a Roma un fiduciario personale per mantenere contatti diretti con talune persone. Mi si disse che il Barone von Neurath, avendo avuto sentore della cosa, vi si era opposto in modo categorico.

Avendo ragione di ritenere che il proposito di cui si tratta non fosse stato peraltro abbandonato e che il fiduciario dovesse essere scelto fra le persone che stanno attorno al Ministro Goring, il quale è pure Commissario per l'Aviazione, indirizzai le mie indagini indirette e riservatissime nell'ambiente aviatorio.

Esse furono coronate da successo perché nei fumi del vino dell'ultimo giorno di carnevale un aviatore tedesco confidò al mio informatore che l'invio di tale fiduciario era stato effettivamente deciso e che la cosa doveva rimanere segretissima.

Ne informo l'E. V. in via personale e segreta, riservandomi di farLe conoscere il nome della persona prescelta non appena riesca a saperlo.

160

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 806/101 R. Washington, 3 marzo 1933, ore 18,53 (per. ore 4,30 del 4).

Telegramma di V. E. n. 90 (1).

Concordo pienamente nell'avviso di V. E. circa inopportunità, allo stato presente delle cose, di presentare richiesta di proroga per rinvio pagamento in conto capitale della scadenza del 15 giugno.

Domanda che venisse fatta oggi, in tal senso, dall'Italia, creerebbe imbarazzi al Governo americano, complicando situazione già tanto complessa.

È evidente che gli Stati Uniti sono interessati e intendono trattare questione in primo luogo con Gran Bretagna e Francia ed iniziativa italiana che avesse conseguenza di portare in prima linea discussione del nostro debito sarebbe probabilmente accolta con poco favore da Governo ed opinione pubblica. Situazione potrebbe apparire diversa qualora passo analogo venisse fatto anche da altri paesi interessati.

Non sono in grado di dire se iniziativa del genere sia contemplata da In

ghilterra e Francia ma suppongo ciò potrà essere facilmente accertato a Londra

e a Parigi. D'altra parte mi pare che inconveniente di lasciare passare scadenza

del termine prescritto per preavviso possa considerarsi coperto dall'invito rivol

toci da Governo americano con sua comunicazione del 24 gennaio la quale

implica possibilità di revisione.

Resto in attesa della lettera di S. E. il ministro delle finanze per regolarmi

nei contatti che avrò col nuovo Segretario di Stato. Qualora situazione si mo

dificasse prima del 15 marzo nel senso di consigliare richiesta di moratoria,

non mancherò di darne tempestivo avviso.

(l) Cfr. n. 146.

161

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 832/138 R. Parigi, 3 marzo 1933 (per. il 6).

Ho avuto oggi la visita del mio collega di Germania. Egli considera con sufficiente ottimismo la situazione generale e non crede che la Francia ricerchi un conflitto. È bene al corrente della preparazione bellica della Francia e la spiega senza attribuirvi propositi di guerra. Secondo lui la grande industria e specialmente il Comité des Forges, spargono la voce di una prossima conflagrazione per giustificare, di fronte all'opinione pubblica, le importanti ordinazioni di materiale bellico militare che strappano al Governo. Quest'ultimo, spinto dallo Stato Maggiore, si lascia trascinare su quella via che ha il duplice vantaggio di salvaguardare la Francia da ogni eventualità e di alleggerire la disoccupazione, tenendo a freno le classi proletarie.

Secondo il mio collega alcuni Capi dello Stato Maggiore e della Marina sono interessati, anche materialmente, all'efficienza della grande industria dalla quale sono sovvenzionati. Egli mi ha fatto osservare che non è raro il caso di personalità militari le quali, lasciando la carriera, trovano immediatamente collocamenti lautamente retribuiti presso la grande industria o nel giornalismo da essa finanziato. Quest'ultimo rilievo è esatto. L'Ambasciatore di Germania mi ha detto di aver riferito in questo senso al suo Governo.

Ho detto a Koster che mi compiacevo del suo ottimismo nel considerare la situazione, per le ragioni che mi aveva esposto alle quali riconoscevo un certo fondamento. Mi sembrava, tuttavia, che la posizione della Francia non potesse essere ormai distaccata da quella della Piccola Intesa e della Polonia e doveva egli convenire con me, che da quel lato non si poteva non nutrire qualche preoccupazione.

A prescindere dal nervosismo polacco che concerneva più direttamente la Germania, noi non potevamo non tener conto dell'atteggiamento della Jugoslavia, che, per ormai manifesti indizi, dava a vedere di non rifuggire dal provocare un conflitto quale diversivo a una situazione interna che non si reggeva più in piedi. Il collega ha convenuto pienamente in quello che io dicevo. Risultava anche a lui la irrequietezza jugoslava, ma giudicava che, essendo prevenuti dei propositi provocatori di quel Governo, si poteva e si doveva prepararsi a non raccoglierli. Koster ha insistito molto su questo punto e sulla imprescindibile necessità di una condotta prudente, per non fare il giuoco di alcuni Stati i quali, bene al corrente della perfetta preparazione bellica della Francia, potrebbero essere indotti a trascinarla in un conflitto, giudicando il momento presente quanto mai favorevole. Ho detto al mio interlocutore che le sue ragioni avevano senza dubbio un certo peso, ma che non è sempre dato di arginare i colpi di testa di Stati retti da Governi senza scrupoli e tracotanti, la irresponsabilità politica dei quali era resa pericolosa dal successo che aveva finora coronato le loro gesta.

Per quanto il dr. Koster si renda certamente conto del pericolo che cova sotto l'imbrogliata situazione balcanica, ho tratto l'impressione, dalla nostra

16 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XIII

conversazione, che egli crede possibile di evitare complicazioni anche da quel lato.

Se questo suo ottimismo riflette il pensiero del suo Governo, può trovare spiegazione nell'attenzione che la Germania dedica allo sviluppo dei rapporti commerciali con gli Stati balcanici in genere e con la Jugoslavia in ispecie.

Se sono bene informato, l'industria germanica considera con sempre maggiore interesse il mercato jugoslavo. È questo un fattore importante da non trascurare da parte nostra sia dal punto di vista politico che da quello dello irradiamento della nostra espansione commerciale. Se la Germania s'insedia commercialmente in Jugoslavia fino sotto le nostre frontiere, dovranno in seguito lottare faticosamente per sloggiarla e riconquistare posizioni che ci appartengono sotto ogni riguardo. La Germania ha dei sistemi di lotta commerciale efficacissimi; li ho visti in atto negli anni che ho passati alla direzione della R. Legazione a Praga. In quel tempo, e nonostante tutte le facilitazioni consentite a Trieste dalla tariffa adriatica, i tedeschi ci tenevano in iscacco e le merci prendevano, stranamente, la via di Amburgo.

Ho condotto in seguito il discorso sulla situazione interna tedesca dopo l'avvento di Hitler. Il dr. Koster è stato a Berlino recentemente, ma non ha visto il cancelliere. Vi ritornerà dopo le elezioni e si presenterà al suo capo. Mi consta che egli ha confidato giorni or sono a un amico di non sapere che intenzioni abbia Hitler. Ho cercato di farlo parlare su questo punto, ma egli si è mantenuto riservato, mi ha detto che non si potevano fare previsioni sul risultato delle elezioni perché non era possibile di rendersi conto delle reazioni dei recentissimi avvenimenti, sull'opinione pubblica.

Mi ha detto di non credere che il cancelliere possa recarsi in Italia prossimamente. L'annuncio di questo viaggio, ha prodotto in Francia una forte impressione.

L'ambasciatore di Germania è fatto oggetto di domande d'informazione da ogni parte e constata che l'atteso avvenimento suscita grandissima preoccupazione. Ho l'impressione che il mio collega si sia fatto eco a Berlino di questo particolare stato d'animo francese e che abbia forse sconsigliata la visita di Hitler a Roma. Si tratta di un'impressione che ho tratta specialmente dalla freddezza che ha dimostrato il dr. Koster per la prevista manifestazione. Aggiungo, per parte mia, che essendomi recato giorni or sono dal nuovo segretario generale del Quai d'Orsay, signor Leger, per felicitarlo della nomina a quel posto, egli mi ha manifestato viva preoccupazione per il viaggio di Hitler a Roma, annunciato quel giorno dai giornali.

La meraviglia con la quale ho accolto la sua dichiarazione, lo ha indotto a spiegarmi che il Quai d'Orsay avrebbe considerato la cosa con calma, ma che si doveva essere preparati ad affrontare serie manifestazioni di nervosità che non sarebbero mancate, nell'opinione pubblica francese.

Ho risposto che se il signor Paul Boncour esprimesse il desiderio di recarsi a Roma potremmo forse suggerirgli di fare precedere il viaggio da qualche conversazione, ma se egli insistesse nel suo proposito, credevo di poter assicurare che non gli avremmo certamente sbarrato il passo per recarsi alla capitale d'Italia.

La conversazione è caduta infine sulla posizione del Gabinetto francese. Il mio collega condivide l'opinione generale che dà al signor Daladier, dopo il voto del terzo dodicesimo provvisorio, un mese almeno di vita. Egli mi ha parlato di una nuova combinazione che si sta preparando e che farebbe capo all'ex ministro del commercio signor Flandin, con la partecipazione dell'ex ministro delle finanze, il corso signor Pietri, e del noto signor Patenòtre.

Ki:ister mi ha dato conoscenza del numero preciso di voti di cui potrebbe disporre il Gabinetto: li aveva accuratamente notati in un libretto. Il partito radico-socialista aderirebbe alla concentrazione radico-concentrista alla quale parteciperebbero Paul Boncour e forse Herriot: quest'ultimo non avrebbe però il portafoglio degli esteri.

Non so in verità dire se trattisi di previsioni che si avvereranno, p'<!rché di questi giorni le combinazioni ministeriali pullulano e credo che il farne e disfarne giornalmente parecchie, costituisca la più importante occupazione, del momento, dei deputati. Ho parlato della combinazione Flandin-Pietri-Patenòtre, perché contiene due provati amici nostri che sono però nello stesso tempo assai amici della Germania. Posso dire di più; che Patenòtre si è scostato da noi negli ultimi tempi, segno evidente che il vento non è più in nostro favore. Dunque, e bisogna tenerlo presente, anche con Hitler al potere v'è chi pensa, qui all'accordo con la Germania come alla soluzione principe. I tre uomini politici che ho nominati, rappresentano un cumulo di forti interessi. Posso aggiungere a mo' di conclusione che Flandin e Patenòtre frequentano l'Ambasciata di Germania: ce li ho visti io.

162

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A PRAGA, ROCCO

T. 339/29 R. Roma, 4 marzo 1933, ore 12,45 (1).

Suo telegramma n. 42 (2).

Dichiarazioni Benes non possono essere sufficienti a sciogliere le riserve dell'Italia di fronte al nuovo patto della Piccola Intesa, espresse nelle dichiarazioni di S. E. Suvich alla Camera, che hanno definito l'attuale atteggiamento del R. Governo in proposito.

Nel suo colloquio con Benes sarà bene che V. S. stia piuttosto a sentire quanto egli vorrà dirle; in linea di massima mantenga atteggiamento svalutativo, mettendo eventualmente in evidenza intimi elementi debolezza e contraddittori recente sistemazione Piccola Intesa.

È parimenti opportuno che V. S. non accetti di discutere con Benes dell'affare di Hirtenberg.

(l) -Annotazione a margine: «N. B. -Consegnato all'Ufficio Cifra. il 4/3/933, ore 11,30. Bollati». (2) -Con t. 779/42 R. del 2 marzo Rocco aveva richiamato l'attenzione sulle dichiarazioni fatte da Benes circa il patto della Piccola Intesa. e l'affare Hirtenberg.
163

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 866/24 R. Vienna, 4 marzo 1933 (per. il 7 ).

Mio telegramma per corriere n. 23 del 28 febbraio u.s. (1).

Le mie reiterate indagini presso la Ballplatz circa il nuovo patto della Piccola Intesa sono state più rivolte allo scopo di conoscere se e quali insidie il Governo federale intravvedesse in detto patto nei riguardi dell'Austria, nonché dell'Ungheria e della Bulgaria, che a quello d'ottenere nuove informazioni circa le origini ed il contenuto del patto stesso.

Senonché, come V. E. lo avrà osservato, dalla mia corrispondenza, la Ballplatz si è diffusa in notizie retrospettive; e solo Peter mi ha accennato, senza approfondire, ad una possibile azione dell'unificata Piccola Intesa, per attirare a sé l'Ungheria.

Invece, ciò che preme non è già un'esegesi delle ragioni che hanno indotto Praga, Belgrado a Bucarest a foggiarsi, mercè la loro unione, un elemento di sicurezza ed un mezzo di precauzione nei riguardi dei loro stessi opposti interessi e preoccupazioni internazionali, ma bensì un'indagine sulla possibile azione della rinnovata alleanza.

Ora, a mio avviso, questa azione sarebbe da ricercarsi nella probabile attività che la Piccola Intesa vorrà svolgere, col maggiore prestigio che le proviene dal nuovo Patto unificatore, verso la Bulgaria, l'Ungheria e l'Austria.

l) Verso la Bulgaria. È da supporsi che la Jugoslavia, avvalendosi delle buone relazioni di Praga con Sofia, e dei tanto migliorati rapporti tra la Romania e la Bulgaria, non mancherà di far compiere da detti suoi due alleati ogni sforzo per attrarre al nuovo gruppo, sia nel campo economico che politico, la Bulgaria. È vero che la Romania paventa, in fondo, l'eventuale adesione bulgara ad un'unione degli slavi del Sud; ma le preoccupazioni romene verso la Russia e l'Ungheria sono diventate in questi ultimi tempi così istericamente assillanti, che non potrebbe escludersi che, ad un determinato momento, ed in corrispettivo di determinate nuove prestazioni da parte degli altri due alleati, Bucarest non possa finire con il lasciar fare.

E se detta questione può apparire alquanto remota, resta sempre da tener presente il probabile tentativo di attirare la Bulgaria in un complesso economico sud-orientale, bene accetto alla Piccola Intesa. Al riguardo è anzi da osservare che detta alleanza, mettendo soprattutto a profitto il probabile appoggio inglese (non bisogna infatti dimenticare l'antico progetto britannico per l'Europa danubiana), non mancherà di compiere ogni sforzo affinché la Bulgaria provveda ai suoi interessi agrari, mischiando la sua sorte a quella dei tre Stati alleati.

2) Verso l'Ungheria, la Piccola Intesa, nella sua nuova forma, più che essere una prima attuazione dei gruppi regionali auspicati dalla Francia, rappresenta una adesione di principio al piano Tardieu. Ora, le note ansie romene nei riguardi dell'Ungheria, spingeranno sempre più Titulescu verso l'attuazione di detto piano. Ed a tale proposito occorre osservare essere ormai evidente che, allorquando Titulescu vanta i suoi propositi di completa détente e collaborazione con Budapest, non si riferisce in alcun modo a possibili progetti di discriminazione della politica di ciascuno dei tre Paesi della Piccola Intesa verso l'Unghe\"ia, ma mette le sue « amichevoli >> disposizioni completamente ed esclusivamente al servizio d'una soluzione « integrale >> dei rapporti fra la Piccola Intesa e l'Ungheria. E difatti gli aggrovigliati accenni fattimi da lui al momento della mia partenza da Bucarest (mio te.J.e,spresso n. 206 del 18 gennaio u.s.) (l) circa

una «confederazione naturale degli Stati di detta parte d'Europa, sotto gli auspici dell'Italia, altro non erano che un sintomo dell'azione, cui egli vorrà adesso attendere, affinché la Piccola Intesa si rivolga con tutto il suo peso ed i suoi allettamenti verso l'Ungheria, disperdendo il più possibile le apprensioni dell'Italia, con la lusinga appunto della parte che essa sarebbe chiamata a giuocare nella nuova combinazione.

D'altra parte, i principali passaggi dell'ultimo discorso di Benes al Parlamento cecoslovacco, non indicano che la stessa speranza e lo stesso segreto piano. Donde il giudizio di Peter, che è ceco d'origine, e che segue -anche per questo -con occhio vigile la politica di Praga.

3) Verso l'Austria. Ed a tale riguardo potrebbe ripetersi quanto sopra, sostituendo il nome di Benes a quello di Titulescu, quale principale attore.

In fondo, tutte le osservazioni che precedono, e tutta la probabile suaccennata azione della Piccola Intesa, traggono maggior luce se poste in rapporto con la reazione suscitata nei tre paesi della Piccola Intesa, a suo tempo, dalla notizia del viaggio di Gombos a Roma e di quello di Dolfuss a Budapest. Così semplicemente prospettato l'assunto, può riuscire chiarita la possibile nostra linea di condotta, nonché l'opportunità di un riesame con Budapest e Vienna, della situazione, in rispetto alla nuova forma ed alla possibile attività della Piccola Intesa.

Per quanto più direttamente mi concerne, io non so se e quali accordi siano stati stipulati o abbozzati da Schuller nella sua recente visita a Roma. Né so se gli accordi Brocchi siano giudicati da V. E. come un esperimento da essere allargato e continuato. Ad ogni modo il riesame suaccennato potrà sempre servire per accertare se quanto è stato fatto possa tuttora costituire una garanzia sufficiente nei riguardi di nuove attività della Piccola Intesa verso Vienna e Budapest, con l'aiuto diretto o indiretto di Parigi e di Londra (2).

(l) T. per corriere 814/23 R., non pubblicato.

(l) -Non pubblicato. (2) -Questo telegramma fu ritrasmesso con t. per corriere 384/C R. dell'H marzo a Londra, Parigi, Berlino, Varsavia, Mosca, Madrid, Washington, Ankara, Budapest, Praga, Belgrado, Tirana, Sofia e Atene.
164

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 881/132 R. Berlino, 4 marzo 1933 (per. il 9).

Telegramma per corriere di V. E. n. 302 R. (1).

Iersera, dopo un pranzo all'ambasciata dei Soviet, mi è stato agevole discorrere con von Btilow della Piccola Intesa. Egli mi disse che due dei ministri, quello romeno e quello cecoslovacco, avevano parlato del nuovo accordo all'Auswartiges Amt, il primo con lui, il secondo col barone von Neurath. Il ministro jugoslavo non si era fatto vedere. Egli lo aveva però avuto a colazione in casa sua nei giorni scorsi ed aveva espresso al signor Balugdzic, una certa ironica meraviglia per non aver ricevuto la sua visita, dato che aveva avuto luogo quella degli altri due suoi colleghi della Piccola Intesa. Balugdzig aveva risposto che non aveva proprio nulla da dire a proposito di un accordo che riteneva avrebbe lasciato il tempo che aveva trovato.

Da quanto il barone von Neurath aveva riferito a von Btilow (ed in termini uguali egli si espresse pure con me) il Ministro cecoslovacco Mastny si era limitato a dichiarare che il nuovo patto non aveva alcuna portata meno che amichevole verso la Germania o l'Italia e perseguiva una sempre più stretta unione, soprattutto nel campo economico, tra i tre Stati che formavano la Piccola Intesa.

Il ministro romeno Comnène parlando con von Bulow, aveva cercato di far risalire a Titulescu il merito dell'accordo. È noto che all'Auswartiges Amt risulterebbe invece che la paternità ne spetta a Benes). Egli aveva detto che la Piccola Intesa si era risentita per la sua esclusione dall'accordo a cinque dell'H dicembre scorso circa la parità di diritto e che col nuovo accordo aveva inteso marcare la sua funzione di grande potenza. Von Btilow mi disse che a questo punto interruppe il ministro di Romania per dirgli che a dire il vero, egli era alquanto sorpreso che egli si fosse recato da lui solo e non accompagnato dai suoi due colleghi cecoslovacco e jugoslavo. Comnène aveva risposto che ciascuno Stato conservava la propria indipendenza ed interessi politici speciali. Cosi ad esempio la Romania desiderava mantenere le ottime relazioni che la legavano alla Germania ed all'Italia. Ma vi erano altri interessi che erano comuni ai tre Stati, tanto nel campo politico quanto in quello economico e questi sarebbero stati d'ora innanzi curati in modo speciale. Egli aveva aggiunto che era un errore credere che il patto fosse stato suggerito dalla Francia.

Discorrendo poi con von Btilow constatammo come esista già una rivalità fra Benes e Titulescu per la paternità del nuovo accordo. Da quanto riferì nei giorni scorsi un giornale berlinese pare poi che in Cecoslovacchia si facciano sentire voci di giuristi che considerano il nuovo accordo contrario alla costituzione dello Stato, la quale conferisce al presidente della repubblica diritti che sarebbero oggidì di spettanza della singolare trinità rafforzata a Ginevra.

(l) Cfr. n. 136.

165

PROGETTO DI PATTO POLITICO DI INTESA E DI COLLABORAZIONE FRA LE QUATTRO POTENZE OCCIDENTALI

[Rocca delle Ca minate, 4 marzo 1933].

1

Le quattro Potenze occidentali: Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia si impegnano a realizzare fra di esse una effettiva politica di collaborazione in vista del mantenimento della pace secondo lo spirito del Patto Kellogg, del «no force Pact » e si impegnano nell'ambito europeo ad un'azione che faccia adottare anche ai terzi, ove sia necessario, tale politica di pace.

2

Le Quattro Potenze, riconfermano, secondo le clausole del Patto della Società delle Nazioni, il principio della revisione dei Trattati di pace, in quelle condizioni che potrebbero condurre ad un conflitto tra gli Stati, ma dichiarano che tale principio di revisione non può essere applicato che nell'ambito della Società delle Nazioni ed attraverso la mutua comprensione e solidarietà degli interessi reciproci.

3

La Francia, la Gran Bretagna e l'Italia dichiarano che, ove la Conferenza del Disarmo non conduca che a risultati parziali, la parità di diritti, riconosciuta alla Germania, deve avere una portata effettiva, e la Germania si impegna a realizzare tale parità di diritti con una graduazione che risulterà da accordi successivi da prendersi fra le quattro Potenze, per la normale via diplomatica.

Uguali accordi le quattro Potenze si impegnano a prendere per quanto riguarda la « parità » per l'Austria, l'Ungheria, la Bulgaria.

1

In tutte le questioni politiche e non politiche europee ed extra-europee le quattro Potenze si impegnano ad adottare, nella misura del possibile, una linea di condotta comune anche per quanto riguarda il settore coloniale.

5

Questo accordo politico di intesa e di collaborazione, che sarà presentato, ove occorra, entro tre mesi alla approvazione dei Parlamenti, avrà la durata di dieci anni e si considererà tacitamente rinnovato per lo stesso periodo di tempo se un anno prima della sua scadenza non sarà stato denunciato da una delle Parti.

6

II presente Patto sarà registrato al Segretariato della Società delle Nazioni.

(l) Ed. in SALATA, pp. 175-176, in GIORDANO, pp. 183-184 e in traduzione francese in ALOISI, pp. 83-84.

166

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 4 marzo 1933.

70a -SESSIONE DEL CONSIGLIO DELLA SOCIETÀ DELLE NAZIONI

(Febbraio 1933-Xl)

Disarmo. Nei rapporti passati (l) ho mostrato a V. E. quale sia stato il crescendo di difficoltà fra cui si dibatte la Conferenza del Disarmo.

La prima fase del disagio si è rivelata nell'ambito tecnico, dove ogni questione si è irrigidita nei suoi termini, fra immobili pretese da una parte ed immobili contropretese e riserve dall'altra.

Di là la preoccupazione è passata nel campo politico, dove a poco a poco la constatazione della inutilità della ricerca di ogni possibile via di uscita ha finito per spargere una vera sensazione di sgomento. I problemi di politica interna, i problemi finanziari, i problemi delle relazioni europee con l'America ed i gruppi europei tra di loro, sono stati tutti esasperati dall'incubo della questione insoluta ed insolvibile del disarmo.

In tale stato di animo mi parlarono gli inglesi, ed in tale stato di animo mi parlarono Nadolny e Boncour. Nella mia ultima relazione riferii appunto a V. E. la constatazione che avevo fatta: che, cioè, non sapendo a qual santo votarsi, varie voci raccolte in giro avevano dichiarato di attendere da V. E. il gesto che indicasse la via di uscita.

Tutta questa tensione era, secondo me, aggravata dal fatto che l'irrigidimento trovava un appoggio nella intesa franco-inglese e che da vari mesi non tralasciava di manifestarsi sempre più chiaramente in ogni occasione. Dopo le note precedenti manifestazioni di or è qualche mese, avevamo avuto nelle ultime settimane la controprova nella faccenda di Hirtenberg, e poi le controprove nelle questioni discusse al Consiglio, ed ora infine abbiamo quest'ultima dell'annunziata partenza di MacDonald e di Simon -e si dice anche di Daladier -per Ginevra. È questa la manifestazione più decisa: è una spedizione franco-inglese nella quale Parigi comanda, ma non può esporsi, e Londra eseguisce e si espone, per imporre alla Conferenza del Disarmo l'unica possibile via di uscita della minor resistenza, su cui ho avuto altre volte l'onore di intrattenere V. E.: quella della soluzione minima in base ad un po' di disarmo qualitativo e di un po' di gentlemens agreement.

In questa delicata condizione di cose, già sin dal mio arrivo, in questa ulti

ma gita a Ginevra, avevo ritenuto opportuno dare ordini a tutta la Delegazione

di contenere l'azione al limite minimo compatibile col nostro prestigio, per

esporci il meno possibile, da soli, data l'astenica assenza inglese, al voto pre

ponderante della Francia e dei suoi seguaci. Dopo l'arrivo delle istruzioni auto

grafe di V. E. (2) ho confermato e rafforzato le disposizioni già impartite.

Da allora la nostra Delegazione ha assunto la parte di «osservatrice », in attesa della piega che prendesse il corso delle discussioni.

Non è da nascondersi che nella eventuale prossima gita a Ginevra le difficoltà saranno per noi cresciute in ragione diretta del rafforzamento della intesa franco-inglese.

Conflitto cino-giapponese. Ho illustrato di volta in volta gli sviluppi di questo conflitto, la cui ultima fase si è chiusa con l'allontanamento del Giappone. Il voto della Delegazione italiana non poteva rompere l'unanimità dell'Assemblea a) perché l'Italia è stata rappresentata nel Comitato dei Diciannove che ha presentato la risoluzione; b) perché durante tutto il corso dei tentativi di pacificazione l'Italia ha cercato di non fare alcun gesto che potesse essere interpretato come rottura della neutralità in favore di una delle due parti, e non poteva smentirsi nella votazione definitiva dando un eccezionale risalto al suo eventuale voto in favore del Giappone, che sarebbe stato l'unico a rompere l'unanimità.

Lo scopo di conservare intatte le simpatie dei due contendenti, di cui nelle istruzioni di V. E., è stato pienamente raggiunto dato che in ogni fase della questione i delegati tanto della Cina quanto del Giappone hanno tenuto a dirmi che essi apprezzavano al giusto valore l'atteggiamento della Delegazione italiana.

Questioni bolivio-paraguayana e columbiana-peruviana. Nei quotidiani rapporti ho riferito a V. E. lo svolgimento delle prime fasi delle due questioni. Finora l'opera del Consiglio ha seguito i binari imposti dalla procedura ordinaria di conciliazione.

(l) -Cfr. n. 80. (2) -Non rinvenute.
167

IL DELEGATO AGGIUNTO ALLA CONFERENZA DEL DISARMO, SORAGNA (1), AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. RR. 42. Ginevra, 4 marzo 1933.

Mio Telespresso n. 40 del 3 corrente (2).

Durante le trattative passate nel Comitato di Redazione, per raggiungere una formula del «no force » accettabile da tutti, si era chiaramente manifestata la ostilità inglese ad ogni estensione del patto oltre i confini europei; anzi, nell'ambiente più chiuso del Comitato di Redazione, tale ostilità aveva assunto l'aspetto di una «conditio sine qua non » della partecipazione inglese, mentre tutto il peso, ancora grande, dell'influenza britannica veniva discretamente messo in opera per ridurre a ragione i recalcitranti (ed erano, la Russia in testa, non pochi) ostinati a volere l'unive: alità del patto.

Prevalse, in seno al Comitato di Redazione, la pretesa britannica; e, invero, anche perché giustificata dal fatto che gli Stati Uniti avevano apertamente declinato ogni eventualità di assumere nuovi impegni e dall'altro fatto della

situazione in Estremo Oriente, dove non si vede neppure in qual modo la firma di un « no force> poteva essere proposta in questo momento alla Cina e al Giappone.

In seno alla Commissione Politica del 3 marzo, peraltro, quando il rachitico testo, stentatamente partorito dal Comitato di Redazione, venne esposto alla pubblica considerazione, i Delegati degli Stati asiatici indipendenti, guidati dal Persiano, abile e preciso, e segretamente incoraggiato dalla Russia, presero la redazione come una punta mascherata contro la loro sicurezza e protestarono. Persia, Cina ed Afganistan fecero capire chiaramente che proibire la forza in Europa, mentre in Asia restava proibita soltanto la guerra, era come un metterli fuori dalla legge e mantenere la porta aperta, nei loro riguardi, alla violenza delle Potenze coloniali; e rifiutarono il voto. Si concluse infine per l'europeismo, colla riserva che l'estensione del «no force» avrebbe dovuto essere ripresa in considerazione e decisa più tardi in seno ancora alla Conferenza del Disarmo: al chè la Delegazione inglese, dopo un lungo, imbronciato ed imbarazzato silenzio, finì col dichiarare che anch'essa votava oggi con la riserva di riconfermare o meno l'adesione in seguito alle decisioni definitive. In altre parole, si riservava di poter silurare il «no force» in caso d'allargamento all'Asia. Tutti hanno perfettamente capito insomma che essa non vuol far gettito della possibilità di impiegare mezzi coercitivi nelle proprie zone sensibili (Canale di Suez, Palestina, confini Indo-Afgani, ecc.).

Prego V. E. di voler considerare che cosa suggeriscano nostri interessi a questo riguardo; e se essi non ci portino per avventura a stare dalla parte dell'Inghilterra, coadiuvando la sua tendenza contraria all'allargamento del nuovo patto. Penso sopratutto alla situazione politico-militare ai confini etiopici della colonia Eritrea e della Somalia, ed alla convenienza di conservarvi maggiore libertà di mano. Parmi che la cosa sia assai importante e che meriti che questa Delegazione riceva ordini precisi in proposito.

(l) -Soragna era anche segretario generale della delegazione. (2) -Non pubbllcato
168

IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 41438. Roma, 5 marzo 1933 (per. il 6).

Risposta al telespresso n. 205280 del 20 corrente (l).

Comunico copia del telegramma di istruzioni ai R. Governi dell'Eritrea e della Somalia (2) perché curino di evitare tutte quelle manifestazioni pubbliche e private, che possano dare l'impressione al confinante Governo etiopico di un nostro atteggiamento ostile e di una preparazione militare offensiva.

Non v'ha dubbio che i predetti R. Governi si adopereranno efficacemente in tal senso; tuttavia bisogna tener presente che i lavori, i movimenti, le sistemazioni militari che si compiono, per loro natura non possono sottrarsi alla

osservazione, specie di chi porti interesse alla cosa. Quindi, non volendo e non potendo rinunciare all'attuazione del nostro programma di sistemazione difensiva delle due colonie orientali, bisogna prevedere che le apprensioni etiopiche abbiano a continuare.

Ritengo, pertanto, che presentandosi occasione opportuna, sia il caso di riconfermare i nostri intendimenti di amicizia e di buoni rapporti da noi più volte dimostrati e che non attendono altro che di trovare la giusta comprensione nel Governo etiopico, dove non la troveranno, al caso, con l'abituale base di falsità.

(l) -Cfr. n. 118. (2) -Non pubblicato.
169

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (l)

APPUNTO. Roma, 5 marzo 1933.

È venuto a un ricevimento in casa mia ed ha colto l'occasione per parlarmi lungamente dell'intervista avuta con V. E. (2). Se ne è mostrato soddisfatto e ha detto che, per quanto si renda perfettamente conto che la ll.'isoluzione di sì grossi problemi non possa intravedersi che a lunghissima scadenza, pure egli si propone di presentare sin d'ora a Parigi le idee espostegli da V. E. come base di possibili negoziati da intavolarsi non naturalmente tra Francia e Italia, ma tra le Potenze interessate. Ho compreso che egli si propone di indurre il Governo di Parigi a mettersi in contatto con quello di Londra per una discussione in proposito.

Mi ha detto di avere intanto fissato per iscritto i termini esatti del colloquio per poterli studiare a fondo prima di comunicarli a Parigi. In un primo momento aveva pensato di andare egli stesso ad illustrarli personalmente, ma ha poi dovuto rinunziarvi dopo l'arriva della lettera di un suo amico politico che gli diceva che la sua presenza a Parigi sarebbe stata male interpretata come un segno poco favorevole delle condizioni della sua missione a Roma.

Passando a parlare di qualcuno dei termini più importanti del colloquio, egli si è mostrato specialmente perplesso nei riguardi della proposta di V. E. re~ativa al covridoio polacco. Ho allora meduto di pote>r ins•inuare che in sede di una più esauriente discussione non sarebbe forse esclusa la possibilità di procurare alla Polonia qualche compenso.

Comunque, ho avuto l'impressione che egli si è reso esattamente conto del punto di vista di V. E. sull'insieme delle questioni, che egli crede nella possibilità di portarle in discussione e infine che egli ha fiducia nella probabilità di addivenire a una formula risolutiva accettabile da tutti.

Circa il disarmo, abilmente e amichevolmente mi ha fatto comprendere che, secondo lui, noi troppo risentiamo dell'ambiente ginevrino e troppo ci irrigidiamo nelle nostre posizioni. Gli ho risposto che i sistemi procedurali vigenti a Ginevra e le difficoltà suscitate dal progetto costruttivo francese e da quello

inglese di discussione concorrono fatalmente a spingere ognl delegazione a irrigidirsi. Che, del resto, la colpa dell'irrigidimento risiede appunto nelle cause accennate, lo mostra chiaramente tanto il corso della discussione sul disarmo, quanto l'opinione oramai unanime di tutte le delega:?lioni che se qualche cosa non si muta nei progetti e nei sistemi di discussione, sarà assolutamente impossibile andare a vanti.

Egli ignorava l'intenzione inglese di presentare un nuovo progetto minimo di disarmo, che a lui è parso molto opportuno. Gli ho fatto notare però che se tale progetto, per quanto minimo, sarà portato in Assemblea plenaria e dato in pasto a tutte le Potenze presenti al disarmo, finirà per portare a risultati identici a quelli dei precedenti tentativi. Sarebbe quindi opportuno discuterlo fra le grandi cancellerie prima di presentarlo a Ginevra, tanto più che, in fondo, la questione del disarmo attualmente non è che una questione italo-franco-tedesca. Egli ha convenuto.

A tale proposito mi permetto di far rilevare a V. E. che se realmente gli inglesi presenteranno questo progetto e se, come pare, la tendenza che si delinea è quella di discuterlo, prima che all'Assemblea, fra le cinque Potenze maggiori, noi ci troveremo sicuramente di fronte alla pretesa della nuova Piccola Intesa e della Polonia, appoggiate dalla Francia, a intervenire. Fra questi sette, invece che cinque, noi saremmo sicuramente in minoranza. Un tal pericolo noi potremmo eventualmente, e fino a un certo punto, pararlo chiedendo allora l'intervento di altre Potenze specialmente interessate, quali l'Ungheria, l'Austria, ecc. ma saremmo così risospinti di nuovo in alto mare.

Mi permetto quindi di sottoporre a V. E. l'opportunità di sondare Londra sugli intendimenti del viaggio di Mac Donald e Simon a Ginevra, ed eventualmente sulla fondatezza della voce della loro sosta a Parigi per accordarsi con Daladier, prima di prendere qualunque decisione allo scopo di evitare di trovarci di fronte a un fatto compiuto ai nostri danni.

(l) -L'appunto si riferisce a un colloquio con Jouvenel. (2) -Cfr. n. 157
170

IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE PERMANENTE DEI MANDATI DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI, THEODOLI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 5 marzo 1933,

Ho trovato de Jouvenel, dopo il suo incontro con Mussolini giovedì sera 2 corrente (1), completamente cambiato e pieno di ottimismo.

Ha rinunziato per ora ad andare a Parigi, come mi aveva detto mercoledì scorso di voler fare, consigliato per telefono dai suoi amici al Governo, onde non svigorire la sua azione e non creare allarmi.

«Mussolini m'a donné l'impression d'une absolue franchise! Il m'a inspiré la confiance. Je croyais entendre parler le bon sens meme, le bon sens d'un homme de génie, qui vient du peuple ».

Egli mi ha detto che Mussolini non ha soltanto l'istinto e la comprensione dell'opinione pubblica italiana, ma l'istinto dell'opinione pubblica generale!

Per Mussolini le questioni tra la Francia e l'Italia non sono primordiali. Per lui tutti i punti divergenti, Tunisi, Libia, Albania ecc., « sont à envisager comme faisant partie d'un arrangement local. Ce sont des querelles de village, comparées à des questions de continents!

Le règlement franco-italien doit s'insérer dans le règlement général que Mussolini a en téte ».

De Jouvenel mi ha dichiarato esser pieno di fiducia, perché quanto gli ha detto Mussolini rientra nel quadro che si era fatto a Parigi delle possibilità di riuscita della sua missione, meditando il discorso di Torino e rileggendo le interviste accordate a Bérenger, Roche, Dupuis ecc.

Soltanto nel colloquio di giovedì egli è rimasto ammirato de «l'esprit de solution ». Nelle interviste Mussolini vedeva i problemi in modo generale, mentre parlando con lui ha intraveduto delle soluzioni precise. Soluzioni che si applicano ai problemi i più difficili dell'Europa. Ma se sono d'applicazione difficile, non sono però insolubili, e de Jouvenel spera nei risultati. Sarà un cammino lungo, arduo, bisognerà prendere ogni sorta di cautele, ma da Mussolini l'Europa ritrarrà degli enormi benefici. I grandi uomini costano cari, ma Mussolini è un grande uomo «qui rapportera énormement à l'humanité ».

Le precauzioni non sono mai troppe; rimaniamo d'accordo che la prima condizione di successo è il segreto il più assoluto. Secondo Jouvene.I, un'altva necessaria precauzione è la modWca dello spirito pubblico, che egli spera di vedere realizzata in una «détente de presse».

Egli ha la sensazione precisa, condivisa anche dai suoi colleghi, che la campagna di stampa è faziosa in Francia e preordinata in Italia. In Italia essa è riuscita a far dimenticare i metodi e gli orrori della guerra, e far odiare la Francia invece del nemico ereditario teutonico. De Jouvenel ha una tale opinione, stima ed ammirazione per Mussolini, che non arriva a spiegarsi come egli possa lasciar fare una campagna a freddo di odio e di ingiustizie, che alla lunga potrebbe provocare mali irreparabili. Mussolini non vuole la guerra. E allora? Quale è lo scopo di questa sistematica campagna? Si crede forse in Italia di intimidire i Francesi? Perché in tutti gli ultimi incidenti la stampa italiana ha travisato fatti, manomesso documenti, colorito incidenti e notizie a tutto danno della Francia ed a beneficio dell'Inghilterra?

A questo punto gli ho osservato che metodi analoghi prevalgono sempre nella stampa, e almeno anche in larga parte, nella stampa francese.

Se Mussolini è forse sicuro di poter modificare rapidamente l'opinione pubblica dei suoi concittadini, più difficile è rimediare all'estero agli effetti di una campagna cosi tenace e continua.

De Jouvenel dopo questi sfoghi riprese con sicurezza:

«Il s'agit de dénouer le noeud gordien, et non pas de le trancher. Mais pour cela il faut se maintenir étroitement sw.-le te,r.rain des négociations et éviter toute manifestation publique ». Aggiunge che è pure indispensabile di evitare di crearsi delle difficoltà. Nel caso Herriot, questi mancò forse a Tolosa di diplomazia, tatto e preparazione, ma era però pieno di buona volontà ed entusiasta del riavvicinamento itala-francese. Pignatti con qualche buona parola poteva impedire che si trasformasse da amico e collaboratore in acido avversario.

Secondo de Jouvenel, per giungere ad intendersi bisogna praticare l'arte della preparazione. Egli capisce benissimo che nel momento attuale nel quale Mussolini cerca di sfruttare il successo di Hitler, la stampa italiana non dimostri sintomi di sorta per una possibile détente colla Francia; ma d'altra parte egli teme che al momento che Hitler «pourrait avoir déçu S. E. Mussolini, ou celui-ci se sera aperçu que si la discussion avec les Français est souvent agaçante, les discussions avec les Allemands sont peut-etre encore plus insupportables », la ripresa di negoziati tra Francia e Italia sia resa più complicata da difficoltà di persone, che verrebbero ad aggiungersi a quelle dei popoli. Le ingiurie collettive si dimenticano, mentre quelle personali si cancellano più difficilmente! Ecco perché l'affare Herriot è grave, e de Jouvenel se ne preoccupa.

De Jouvenel mi cita poi il caso del Conte Manzoni, che per ottenere la liberazione del Segretario del nostro Addetto Navale, avrebbe detto al Quai d'Orsay: «ricordatevi che oggi a me, domani a te». Suvich ha promesso a Dampierre che Eydoux sarebbe stato messo in libertà dopo la condanna, ed io aspetto con fiducia!

Fatta da me allusione alla base politica diplomatica di cui ha bisogno l'Ambasciatore di Palazzo Farnese sia alle Camere francesi, sia al Quai d'Orsay, egli mi ripete che capisce questa preoccupazione a Palazzo Chigi, ma che basta ricordarsi dei 60 anni di storia politica e diplomatica della Repubblica per essere sicuri che qualunque cosa egli combinerà a Roma, sarà ratificata a Parigi.

«Il faut naturellement établir dcs points d'appui en France avant de laisser publier quoi que ce soit, mais cette affaire me régarde, et je m'en charge, d'accord avec tous les Gouvernements possibles. Je ne craindrais qu'un Gouvernement de droite, ou un Gouvernement Herriot, (à cause des blessures personnelles dont il a déjà été question), et encore, car le programme de Mussolini est parfait: c'est un pian constructif complet ».

Non è stato facile, caro Suvich, precisare, riassumendo, tutto quello che in diverse volte mi ha detto de Jouvenel. Spero però riuscir chiaro a S. E. il Ministro, e ti prego volermi confermare le istruzioni già datemi, di continuare cioè a mantenere i contatti con Palazzo Farnese, e riferirti quanto de Jouvenel potrà dirmi.

P. S. Dimenticavo riferire che de Jouvenel mi domandò l'altra sera, al pranzo all'Ambasciata di Turchia, se aveva notizie da Ginevra dopo l'uscita del Giappone, in rapporto alle isole sotto mandato, e scambiammo poi delle idee sull'avvenire della S.d.N. Ma quello che ritengo necessario di sottolineare a S. E. il Ministro sono i timori manifestati dall'amico francese sui pericoli che possono sorgere dalle interminabili discussioni della Conferenza del Disarmo. Egli teme incidenti sempre possibili tra «experts à vues limitées » in un'atmosfera che si è tesa parecchio in queste ultime settimane.

Noi ci troviamo assolutamente d'accordo per riconoscere quanto Mussolini abbia avuto ragione, fin dall'anno scorso, di nutrire poca fiducia nei risultati pratici della Conferenza e come S. E. trovi pericoloso !asciarla trascinarsi in simile atmosfera carica di elettricità; ma de Jouvenel ritiene che sarebbe anche più pericoloso, non solo per l rapporti franco-italiani, ma per l'Europa intera, se si arrestasse in un vicolo cieco.

Secondo de Jouvenel, a Ginevra si opera una concentrazione di opinioni abbastanza simile, nell'ordine intellettuale, alla concentrazione che ha realizzato nell'ordine materiale «le machinisme contemporain ».

Questo è un fatto del quale è necessario tener conto. Bisogna assolutamente evitare, secondo lui, una rottura brutale del «Disarmo». Ho capito, perché vi è tornato a parlarmene una seconda volta, che l'Ambasciatore si augura di poter avere col Capo del Governo, durante una sosta della Conferenza (che si giustificherebbe con le prossime vacanze pasquali) uno scambio di idee, destinato alla ricerca dei mezzi per giungere a dei risultati concreti, anche se limitati, che permettessero di realizzare una prima tappa sulla via del Disarmo. Egli crede che questo sia desiderato da tutti, di qua e di là dell'Oceano.

«La diplomatie des diplomates », ha concluso de Jouvenel, « pourrait peutétre arriver à des résultats que ne semble pas susceptible d'obtenir la diplomatie des orateurs et des experts ».

(l) Cfr.n. 137.

171

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 846/82 R. Vienna, 6 marzo 1933, ore 22,15 (per. ore 6,15 del 7).

Cancelliere austriaco è deciso a non chiedere al presidente della repubblica l'emanazione di un'ordinanza per la riconvocazione della Camera; ordinanza necessaria dato che Consiglio Nazionale travasi senza alcun [capo] essendosi dimessi sia il presidente che i due vice presidenti.

Cancelliere sottoporrà domani sera predetto suo proposito al partito cristiano-sociale.

Egli confida riceverne assenso.

In tal caso egli sarebbe deciso esercitare Governo senza Parlamento, emanando senza indugio due decreti-legge: l'uno che apporta limitazione alla stampa e l'altro che vieta ogni comizio. Quest'ultimo decreto sarebbe inteso sopratutto ad evitare le iniziative di cui al mio telegramma numero seguente (1).

172

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 847/83 R. Vtenna, 6 marzo 1933, ore 22,45 (per. ore 6,15 del 7).

Mio telegramma n. 82 (2).

Un membro del Governo mi ha confidato che Hitler avrebbe deciso inviare in Austria noto propagandista Goebbels nonché centoventi oratori nazionalsocialisti per intensa propaganda in pubblici comizi.

In connessione a tale movimento le Heimwehren dissidenti della Stiria, si accingerebbero a creare loro filiali nelle maggiori città. Scopo di tale iniziativa sarebbe quello di svalutare le Heimwehren di Starhemberg contribuendo cosi alle fortune del movimento nazionalsocialista.

Comizi su citati sarebbero evitati dal decreto restrittivo di cui al mio telegramma sopra citato.

(l) -Cfr. n. 172. Suv!ch telefonò a Preziosi d! far sapere a Dollfuss che Mussol!ni approvava il suo atteggiamento (cfr. un appunto d! Suv!ch dell'8 marzo). (2) -Cfr. n. 171.
173

IL MAGGIORE RENZETTI AL CAPO DELLA SEGRETERIA PARTICOLARE DEL CAPO DEL GOVERNO, CHIAVOLINI

L. P. Berlino, 6 marzo 1933.

Ho trascorso la notte dal cinque al sei insieme a Hitler, Goring, il ministro dell'istruzione Rust, Tyssen, il presidente del Landtag Kerrl, Kube ed altri -principi, deputati, personalità nazi -miei vecchi amici e conoscenti. L'esito delle elezioni è stato appreso da tutti con esultanza ed io ho avuto la mia parte di felicitazioni poiché da tutti è stato ricordato, con gratitudine e con particolare cordialità la mia proposta fatta nella notte del 30 gennaio di fare le elezioni e le mie previsioni fatte a Hitler, Kerrl, Rust ecc.: voi otterrete, dissi allora, da sedici a diciassette milioni di voti. Mi è stato ricordato anche dai presenti che in passato io ho sempre visto giusto nell'avvenire anche quando da parte loro vi era scoramento e depressione.

Cito ciò in quanto quello che ho fatto va a intero favore del F'ascismo:

la deduzione che qui se ne trae logicamente è quella che tutti i fascisti hanno

sperato, augurato e previsto come io ho fatto.

In seguito all'esito delle elezioni, Hitler ha rafforzato enormemente la sua

posizione nel gabinetto, di fronte alla Nazione e nei confronti di Hindenburg.

Egli può esercitare ora effettivamente le funzioni di comando.

Il centro ha perduto la battaglia. Per tale partito dovrebbe iniziarsi da

oggi in poi il declino. Hitler e con lui il ministro dell'istruzione e dei culti

Rust, sono decisi a togliere ai vari prelati e "popolari" la funzione di protettori

dei cattolici. La loro missione non sarà facile in quanto si tratta di sradicare

abitudini di decenni, di combattere contro le mentalità di donnucce e di mon

tanari, contro l'opera politica di parroci e di capi di sindacati. Il ministro

Rust, persona intelligente, conoscitore profondo dell'Italia dove ha vissuto per

più di un anno a scopo di studio, stanotte mi ha fatto presente le difficoltà

da superare. Io gli ho ricordato quelle che il Duce ha dovuto vincere non tanto nella lotta contro i «popolari » quanto per addivenire alla conciliazione con il Vaticano: che i nazi avrebbero dovuto seguire, mutatis mutandis, la stessa via seguita dal nostro Capo. (Il pensiero dei presenti è stato rivolto nella notte spesso al Duce sempre con ammirazione e con devozione: tutti hanno voluto sentire da me «se Esso era contento dell'andamento della situazione tedesca, della loro vittoria»).

Nella notte è stata discussa anche la possibilità della proibizione del partito comunista: non è stata presa però alcuna decisione in merito. Hitler è però fermamente deciso a compiere tale atto così per togliere la possibilità al partito oggi disorientato di riorganizzarsi, come anche per essere in grado al parlamento di avere, con il suo partito soltanto, la assoluta maggioranza ed infine per potere servirsi di una maggioranza composta dai due terzi del Reichstag per modificare eventualmente la attuale costituzione.

Ho parlato lungamente con Hitler della situazione: gli ho raccomandato, come del resto ho fatto con altri, di non lasciarsi influenzare troppo dall'entusiasmo e di procedere con molta cautela. Il Cancelliere è stato come sempre cordialissimo con me e mi ha ripetuto che io posso andare a trovarlo quando voglio. Io non ho ritenuto opportuno recarmi da lui negli scorsi giorni -anzi nelle poche ore ,in cui è stato a Be11lino -sono deUa opinione che in certi momenti è conveniente lasciarsi desiderare... Andrò a vederlo domani.

L'interesse per l'ordinamento fascista è più che mai vivo. Continuamente, da Personalità politiche mi si richiedono notizie, spiegazioni, consigli e mi si afferma la affinità tra nazionalsocialismo e fascismo. Io d'altra parte evito con cura di fare dei confronti ma nello stesso tempo indico le vie da seguire e cito l'esempio italiano. Pochi giorni fa a Rostock ad esempio, ho parlato ad un centinaio di personalità del Meclemburgo tra cui lo stesso Presidente del Consiglio di colà del Fascismo e dell'ordinamento corporativo: dopo la conferenza per quattro ore ho risposto ai vari quesiti massimi. Tra pochi giorni parlerò a Greiswalde a trecento tra PersonaHtà politiche, dator·i e prestatori di lavoro della Pomerania: ho ricevuto degli altri inviti da Stettino, Halle: il notiziario nel quale riporto in tedesco fatti ed aspetti dell'Italia fascista si diffonde sempre maggiormente e proprio oggi mi è stato richiesto da parte di una società per lo studio del Fascismo di volere per l'avvenire provvedere a inviarne ad essa anziché venti, trecento copie. Si studia con particolare interesse la questione della immissione dei sindacati nello Stato, l'ordinamento dello Opera Nazionale Balilla, quello del Dopolavoro.

Tutto questo interesse avrà anche ripercussioni turistiche: il numero di coloro che si recherà in Italia a scopo di studio aumenterà considerevolmente. Se ciò si verificasse, sarebbe a mio subordinato parere necessario creare un centro di ritrovo per gli stranieri studiosi: a tale centro potrebbero affluire, per avere spiegazioni e notizie gli interessati, la cui visita però dovrebbe avvenire soltanto in seguito a loro iniziativa. Noi non dobbiamo offrire il Fascismo: dobbiamo aspettare che lo si venga a cercare: nello stesso tempo dobbiamo inpregnare gli stranieri di Fascismo senza che essi se ne avvedano.

17 --Dnr'umrnti rliplomafi('i -Serie VII -Vol. XIII

174

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 862/84 R. Vienna, 7 marzo 1933, ore 22 (per. ore 5 dell'B).

Campagna dei nazionalsocialisti è diventata vivacissima. Oltre Anschluss essi rivendicano anche «tutto quello che è tedesco». Capo nazista di Vienna ha poi dichiarato, fra l'altro, ieri sera in un numeroso comizio che suo partito vuole «una Austria degna di Andrea Hofer ».

Questo improvviso e così reciso atteggiamento dei nazionalisti produce due conseguenze: quella di rafforzare la reazione dei socialisti e dei cattolici; ma anche quella di mettere in difficile posizione partito cristiano sociale e Heimwehren designandoli come «rinunziatari».

Cancelliere è più che mai deciso combattere nazisti e loro campagna.

Tuttavia spavaldo irredentismo dei nazisti per Alto Adige produce sensazione, essendo in Austria opinione diffusa che Hitler si « disinteressasse » Alto Adige.

Come ho già riferito a V. E. (mio telegramma n. 82 {l) cancelliere si propone emanare ordinanza interdicente pubblici comizi il che metterebbe fine alla su riferita propaganda.

Naturalmente molto diverso sarebbe il caso se cancelliere non potesse per ragioni di politica interna attuare detto proposito.

175

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, CERRUTI, A LONDRA, GRANDI, A PARIGI, PIGNATTI, E A WASHINGTON, ROSSO

T. PER CORRIERE RR. 349 R. Roma, 7 marzo 1933.

Come è noto a V. E. in seno alla commissione generale della conferenza del disarmo le proposte francesi relative alla unifica~ione del tipo degli eserciti europei, hanno raccolta la maggioranza dei voti.

Il risultato della votazione, ottenuto nonostante la bontà e l'evidenza delle argomentazioni italiane, quali risultano dal discorso del senatore Cavallero, ha dimostrato una volta di più che il voto risponde ad idee preconcette ed a coalizioni già prestabilite.

S. E. il Capo del Governo ha quindi inviate istruzioni alla delegazione italiana di mantenersi rigidamente sulle tesi contenute nel discorso Cavallero, tesi che del resto già rappresentano una concessione alla tesi francese. S. E. il Capo del Governo intende parimenti che da parte nostra non si facciano sforzi

ulteriori per superare i punti morti della conferenza dovuti alla ormai fin troppo evidente volontà francese di non disarmare e ci si astenga dall'andare alla ricerca di formule di compromesso.

Sono state pure impartite istruzioni alla delegazione italiana di affermare, alla prima occasione favorevole, la inamissibilità del sistema di votazione attualmente in corso presso la commissione del disarmo -pur tenendo conto del carattere non impegnativo delle decisioni della commissione suddetta -in quanto che essendo le risoluzioni prese a maggioranza si viene in pratica a farle dipendere dal voto di paesi che non hano interessi diretti nelle questioni trattate.

Le istruzioni impartite alla delegazione italiana rispondono a quella che è sempre stata la direttiva costante della politica italiana nella questione del disarmo: arrivare cioè ad una soluzione che importi un disarmo effettivo. Esse sono quindi concepite in rapporto alle posizioni rispettive delle varie potenze nella fase attuale della conferenza del disarmo.

Informo V. E. di quanto precede per sua riservata norma. Qualora l'atteggiamento delegazione italiana a Ginevra venisse costà particolarmente rilevato ed ella fosse interpellato in proposito potrà far osservare che l'Italia ha dato già prove indubbie del suo sincero desiderio di arrivare ad un disarmo effettivo: le ragioni del nostro attuale atteggiamento di riserva non vanno quindi ricercate in un mutamento della politica italiana ma nei sistemi e nelle intenzioni effettive di quanti cercano praticamente di paralizzare l'opera della conferenza del disarmo.

(l) Cfr.n. 171.

176

IL MINISTRO A PRAGA, ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 882/45 R. Praga, 7 marzo 1933 (per. il 9).

I -Benes mi ha ricevuto sabato mattina, prima che mi giungessero le istruzioni contenute nel telegramma di V. E. n. 29 (l) pervenutomi nel pomeriggio del 4 corrente.

Ritengo del resto sia stato preferibile che la mia visita avesse carattere di iniziativa personale, ciò che ho potuto affermare sinceramente, mentre le direttive impartitemi da V. E. hanno interamente confermato i criteri ed il linguaggio ai quali mi ero attenuto, allo scopo di:

l o -Confermare le riserve del R. Governo circa il nuovo patto della Piccola Intesa.

2° -Svalutare il patto rilevandone gli elementi di debolezza e contraddittori!.

3° -Provocare eventuali dichiarazioni di Benes.

Il -Intorno al discorso di Benes ed al mio colloquio con lui riferisco, quanto segue:

1° -Dall'atteggiamento di Benes risulta definitivamente confermato il carattere prevalentemente dimostrativo del nuovo patto che, sostanzialmente, non apporta elementi nuovi all'efficienza della Piccola Intesa. Questa impressione e questo giudizio sono pressoché unanimi nel corpo diplomatico di Praga.

2° -Detto fine dimostrativo, princioalmente antirevisionista, era diretto in primo luogo contro l'Italia. L'« excusatio non petita » ampiamente sviluppata nel discorso di Benes mi è stata confermata esplicitamente da lui, che non è stato sorpreso dalla vivace reazione dell'opinione pubblica italiana.

3° -Di questa reazione Benes non si è doluto, dicendomi che in certi momenti occorre spiegarsi con franchezza. Forse egli si è compiaciuto di avere provocato in un primo momento una forte reazione della nostra stampa.

4° -A proposito della pretesa funzione moderatrice che su ciascuno dei tre alleati dovrebbe essere esercitata dagli altri due, in confronto della rispettiva grande Potenza confinante, Benes ha evitato di rispondere alla mia domanda sulla eventuale neutralità cecoslovacca in caso di un ipotetico conflitto itala-jugoslavo.

Messo però alle strette circa l'applicazione dell'art. 16 del patto della Società delle Nazioni, da lui stesso indicata come contenuto nel nuovo patto della Piccola Intesa, Benes ha dichiarato che Cecoslovacchia e Romania (come pure gli altri due binomi nelle altre due combinazioni) si conformerebbero alle deliberazioni della S.d.N., non solo abbandonando il terzo alleato, ma partecipando altresì alle eventuali sanzioni ordinate contro di esso.

Col che si dimostra l'incompatibilità giuridica del patto della Piccola Intesa con la Società delle Nazioni.

5° -La portata economica del patto appare ancora da inventare. Benes ne fa gran caso, ma essa non è possibile che allargando le relazioni della Piccola Intesa e di ciascuno dei suoi membri con gli Stati che non ne fanno parte: Austria, Ungheria e Polonia. Converrà vigilare attentamente eventuali contatti e negoziati nel campo dei sistemi preferenziali.

Benes mi ha confermato che nel campo economico nulla di positivo può fare la Piccola Intesa senza il concorso dell'Italia e della Germania.

6° -Benes non ha tralasciato i consueti allettamenti e le consuete allusioni alla cooperazione con l'Italia per opporsi all'Anschluss. Nulla di nuovo in questo suo atteggiamento.

7° -Benes, che ha visto male la «Gleichberechtigung », mostra il viso delle armi contro il revisionismo, facendo stampare in corsivo o in grassetto le sue pubbliche dichiarazioni al riguardo. Però, parlandomi in tono confidenziale, ha messo le mani avanti e si è spinto fino ad un sondaggio per una mediazione dell'Italia tra Ungheria e Cecoslovacchia. Naturalmente io non ho raccolto l'apertura, che potrebbe essere uno dei tanti paracadute che Benes predispone per il futuro. Forse gli sviluppi del movimento di revisione potranno dar modo di vedere chiaro in tali profferte.

III -A questi rilievi mi preme aggiungere tre conversazioni sulle quali non ho parlato con Benes, e cioè:

lo -Si conferma sempre più l'impressione che il nuovo patto non sia di ispirazione francese. L'assenteismo finanziario francese degli ultimi tempi avrebbe anzi determinato quel carattere di richiamo alla Francia che da più parti viene rilevato in questo episodio della politica della Piccola Intesa. Questo mio collega di Romania mi ha detto che Benes gli avrebbe dato l'assicurazione di non averne preavvisato i francesi a Ginevra. Se questa informazione fosse esatta, sarebbe inventata la dichiarazione di Paul-Boncour di avere dato il benestare preventivo della Francia.

2° -Gli inviti alla Polonia sono caduti di colpo, dopo gli ardenti «vieni meco » della stampa. Come per una parola d'ordine, Benes, i suoi interlocutori parlamentari e la stampa hanno adottato un linguaggio estremamente cauto e discreto. Evidentemente la suscettibilità polacca viene rispettata, per non compromettere le dubbie possibilità future. Ma si deve anche considerare che legarsi alla Polonia significa per la Cecoslovacchia imbarcarsi nel problema del corridoio. Come ho più volte ripetuto i tre milioni di minoranza tedesca non possono essere dimenticati dai cechi.

3° -Da fonte molto seria e attendibile mi è stato riferito che, a Ginevra, Benes avrebbe preventivamente informato Nadolny della imminente conclusione del patto e dei suoi termini.

Nei circoli politici e diplomatici di Praga si ritiene che la Piccola Intesa abbia accentuato il suo carattere di sistema militare senza accrescere la sua efficienza politica e perdendo, invece, in elasticità diplomatica. Benes e Titulescu hanno messo nella cosa molta politica personale, esponendo i rispettivi paesi a rischi maggiori che non avessero prima. Salve, come ho già detto, le riserve mentali di ciascuno dei tre contraenti, la Jugoslavia, come il più malfermo dei tre Stati, sebbene il più forte militarmente, avrebbe ottenuto i maggiori vantaggi.

Con telespresso odierno n. 389/246 (l) trasmetto ad ogni buon fine, come documentazione di possibile utilità, oltre al testo integrale del discorso parlamentare di Benes, l'esatto resoconto del mio colloquio con lui.

(l) Cfr.n. 162.

177

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (2)

APPUNTO. Roma, 7 marzo 1933.

Litvinoff gli ha dato comunicazione tanto delle conversazioni avute con me a Ginevra (3), quanto di quelle avute ora con Neurath a Berlino. Di queste

ultime Litvinoff in un primo tempo si era mostrato soddisfatto, dato che Neurath gli aveva rinnovato tutte le assicurazioni richieste. Ma successivamente era venuta la violenta carica a fondo fatta da Hitler contro la Russia sovietica nel suo discorso alla Società degli Sports, che aveva gettato la confusione in tutte le idee che Litvinoff si era formato sull'avvenire dei rapporti russotedeschi.

In questa incertezza, che minaccia di riportare le relazioni tra i due Paesi allo stato di tensione da cui appena accennavano ad uscire, mentre la Francia soffia nel fuoco per mettere in ogni modo zizzania fra Germania e Russia da un lato e Italia e Russia dall'altro per Isolare i Sovietici, l'Ambasciatore sovietico desiderava conoscere da V. E. se gli ultimi malevoli commenti sulla politica russa nei suoi tentativi di intromissioae nella politica interna tedesca, comparsi recentemente sulla stampa italiana, dovessero interpretarsi come un mutamento delle direttive della politica italiana verso Mosca. Mi ha citato in proposito vari articoli di giornali italiani, dando speciale rilievo a quello comparso sul Giornale d'Italia del 5 corrente, che egli stesso mi ha consegnato e che accludo (1).

Gli ho risposto che non mi pareva vi fosse nulla di seriamente fondato che potesse far credere a un mutamento dei rapporti fra l due paesi. Nelle stesse frasi che egli mi veniva stralciando dagli articoli che lo avevano messo in apprensione gli attacchi venivano tutti diretti contro la Terza Internazionale e non contro il Governo di Mosca. Servendomi quindi degli stessi argomenti di cui si era servito Neurath per un caso analogo nelle sue conversazioni con Litvinoff (confronta telegramma per corriere della R. Ambasciata a Berlino

n. 818 in data 2 marzo) (2) gli ho fatto rilevare che attacchi di tal genere non dovevano preoccupare il Governo di Mosca, che tante volte ha tenuto a dichiarare di non aver nulla a che fare con la Terza Internazionale.

Non ha avuto che replicare. Mi ha solo pregato, comunque, di richiamare l'attenzione di V. E., su quanto egli mi aveva esposto (3).

(l) -Non pubblicato. (2) -L'appunto si riferisce a un colloquio con l'ambasciatore dell'URSS. (3) -Cfr. n. 126.
178

COLLOQUIO FRA IL CAPO GABINETTO, ALOISI, E IL MINISTRO DI ROMANIA A ROMA, GHIKA

APPUNTO. Roma, 7 marzo 1933.

Il principe Ghika era visibilmente emozionato dall'argomento che lo aveva indotto a visitarmi: voleva sapere se i recenti attacchi della stampa italiana contro la Romania stessero a rivelare un mutamento nei rapporti fra i due Paesi. Mi ha fatto notare che i violenti articoli di cui si preoccupava erano

apparsi sui maggiori organi della nostra stampa: Corriere della Sera, Stampa,

Messaggero ecc.

Gli ho risposto con franchezza che la sua sorpresa teneva poco conto del fatto che il suo paese aveva proprio ora firmato un patto federativo che per le sue tendenze non poteva non provocare una reazione nell'opinione pubblica italiana. Data la politica seguita negli ultimi tempi dalla Piccola Intesa sotto la guida di Benes, era ben naturale che tutti i suoi componenti, e quindi anche la Romania, malgrado che nessuna ragione specifica di rancore vi fosse contro di lei, venissero coinvolti nel naturale movimento di reazione verificatosi nella stampa italiana.

Come già Titulescu aveva asserito a S. E. Suvich e a me, anche lui ha tenuto ad assicurarmi che nessun trattato militare segreto esiste fra i membri della Piccola Intesa. Si sentiva però depresso dal fatto che anche questa sua dichiarazione non avesse trovato alcun credito presso la stampa. Egli deplorava infatti gli articoli di Gayda che avevano messo in dubbio le sue parole.

Fino all'ultimo questa conversazione è stata davvero penosa per lo stato di scoraggiamento e di avvilimento di cui dava mostra il mio interlocutore.

(1) -Non sl pubblica. (2) -T. per corriere 818/126 R., non pubblicato. (3) -Il presente appunto venne comunicato a Mosca con telespr. 208046/42 del 17 marzo. Attolico rispose con R. 1422/662 del 27 marzo, affermando fra !"altro «Ho ragione di ritenere che il passo compiuto da PotemkAn sia dovuto a sua personale lnlzlatlva. Io ho visto Lltvinov prima e dopo 11 7 marzo e mal egli mi ha detto alcunché che potesse rivelare In lui alcuna preoccupazione nel senso fatto presente da Potemkln ».
179

IL MAGGIORE RENZETTI AL CAPO DELLA SEGRETERIA PARTICOLARE DEL CAPO DEL GOVERNO, CHIAVOLINI

L. P. Berlino, 7 marzo 1933.

Hitler, con il quale ho avuto un nuovo lungo colloquio, mi ha detto che intende convocare al più presto il Parlamento la cui prima seduta avrà luogo a Potsdam e le altre [sedute] nell'ex teatro Kroll. Le sedute dovrebbero durare tre o quattro giorni al massimo. Il Reichstag dovrà approvare [un apposito] regolamento per frenare gli abusi oratori e per permettere di escludere dai lavori quei deputati che disturbassero lo svolgimento dei lavori stessi. Hitler poi intende richiedere ed ottenere i pieni poteri e la facoltà di convocare la camera quando lo riterrà opportuno.

Il cancelliere Hitler che gode ottima salute ed appare fresco così come in passato... (l) e me lo ha riconfermato sempre in via riservatissima, a fare un repulisti generale. «In questi quattro anni ... dopo non si penserà più alla possibilità che il nazionalsocialismo sia un partito~. Il suo scopo [è quello] di eliminare gradatamente gli elementi degli altri gruppi, [attimreJ a sé coloro i quali possono rendere dei servizi al paese e far [entraJre nella orbita statale i sindacati, di liquidare inoltre il blocco [nazdonale e anche] il centro.

Dalla questione interna siamo passati a quella del suo viaggio a Roma. Io gli ho detto che il capo del Governo gradirebbe molto la sua visita ma che questa non deve essere solo un atto di cortesia, ma deve invece servire alla risoluzione di problemi. L'incontro avrà delle fortissime ripercussioni nel mondo,

ecco quindi la necessità di prepararlo convenientemente perché da esso si abbiano risultati concreti, risultati positivi.

Hitler mi ha risposto dicendomi che si rende conto perfettamente della bontà della opinione espressa da S. E. il Capo del Governo: che la preparazione per l'incontro potrà iniziarsi non appena terminati i lavori parlamentari e cioè dopo la prima decade di aprile. Io ho esposto al cancelliere la necessità che la Germania si renda conto delle aspirazioni italiane nei Balcani; anche la questione austriaca deve essere compresa nei riguardi delle necessità italiane. Bisogna quindi trovare una formula di accomodamento fra Italia e Germania.

Hitler mi ha risposto che si rende conto della importanza di tali questioni delle quali in passato io gli ho più volte parlato. Ha aggiunto, «per mio conto ritengo che la politica tedesca deve rivolgersi verso l'Europa Nord-Orientale ed è questo il motivo per cui ho tenuto l'ultimo discorso elettorale proprio a Konisberga, nella Prussia orientale».

Dalla questione politica sono passato a quella economica. Non sono entrato in particolari in quanto so che Hitler non è molto ferrato in tale argomento e mi sono contentato di dirgli che a mio giudizio gli scambi commerciali tra Italia e Germania potrebbero aumentare qualora si riducessero gli impedimenti che sono stati collocati: aumenti doganali, restrizioni di divise, proibizioni sanitarie e via di seguito. Hitler mi ha risposto di essere, una volta ottenuti i pieni poteri, fermamente deciso a realizzare il principio più volte esposto, di facilitare le nazioni -in primo luogo l'Italia -con le quali la Germania si trova in cordiali relazioni. Finalmente sono tornato alla questione "Francia". Ho detto al cancelliere di avere riferito al Duce quanto egli mi disse prima della mia partenza per Roma, lo scorso mese: essere egli assolutamente deciso a seguire una politica sincera verso l'Italia, di non addivenire ad una intesa con la Francia se non dopo consultata l'Italia. Gli ho detto anche di avere ampiamente riferito del mio colloquio avuto con il deputato conte Reventlow al quale sono demandate le trattative che si svolgono tra nazi ed ex combattenti francesi. Ripetute poi al cancelliere quelle che sono le mie opinioni sulle intenzioni francesi, gli ho detto che in Italia si persegue una politica chiara, decisa e leale soprattutto nei confronti della Germania: che io per mio conto speravo che in avvenire la cooperazione itala-tedesca avrebbe potuto diventare più cordiale, più stretta di quello che non era stata.

Hitler mi ha risposto di essere sempre della stessa convinzione in materia di rapporti itala-tedeschi e franco-tedeschi. «I francesi mi perseguitano con le loro attenzioni. (Berlino è piena di emissari francesi, industriali, banchieri, uomini politici, signore); io sono verso di loro sempre molto cortese ma di pratico, di concreto non vi è assolutamente nulla. Io mi preoccupo di rimandare le soluzioni che mi si prospettano sinora e di evitare lo scoppio di conflitti. La Francia vuole accordarsi con l'Italia per provocare un conflitto in Polonia e annientare noi: vuole accordarsi ... per far nascere ... eliminare l'Italia. A questo ... ripeto ai francesi di essere pronto alla conclusione ... però con la immissione dell'Italia. Ripetuti ad Hitler ... argomenti che da anni gli fo sempre prospettato (a lui ed ai suoi collaboratori) il cancelliere ha chiuso la se[ri]a conversazione dichiarandomi che di tutto quanto sarebbe intervenuto in tale materia, mi avrebbe posto immediatamente al corrente.

Prima di accomiatarmi ho detto ad Hitler quanto il Duce mi dichiarò nei

riguardi della Inghilterra. (Hitler non crede più come un tempo alla possibilità

di una triplice Italia-Germania-Inghilterra); gli ho infine detto della necessità

di non rompere le relazioni con la Russia che è una carta preziosa da tenere

in riserva. Il cancelliere si è mostrato del mio avviso (del resto già alcuni mesi

fa parlò con me di tale argomento); mi ha detto che egli non intende affatto

raffreddare le attuali cordiali relazioni economiche tra Russia e Germania. «Una

volta scomparso il comunismo dalla Germania, io non avrò alcuna difficoltà a

pormi in relazioni strette con la nazione russa>>.

Il cancelliere poi mi ha detto di essere profondamente grato al[l'Italia per

il contegno] da questa tenuto verso la Germania nazionale ... tra i due paesi si

addiverrà ad una profonda e duratura ... Una volta che io mi sarò impossessato

del potere, sarà sulla base itala-tedesca ... popoli hanno interessi comuni e,

... hanno una stessa Weltanschaung come non ... (1).

(l) Parole Illeggibili per il deterioramento del documento.

180

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 871/141 R. Berlino, 8 marzo 1933, ore 21 (per. ore 23).

Cancelliere Hitler parlando di Ginevra mi ha detto che nessuno Stato vuole in realtà disarmare ma ognuno far ricadere sugli altri responsabilità insuccesso conferenza. Germania si trova in posizione particolarmente favorevole ma deve vigilare perché non le siano attribuite colpe che non ha. Ha aggiunto che non pensò mai recarsi Ginevra e che d'altronde non furono esercitate pressioni in proposito. Ne parlarono solamente i giornali.

181

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 903/149 R. Parigi, 8 marzo 1933 (per. il 10).

A telegramma per corriere n. 2301 p.r. del 4 corr. (2), con riferimento pure al mio telegramma del 10 dicembre u.s. n. 635 (2).

Dispongo immediati controlli qui e sul posto. Ho convocato a Parigi il

R. Console a Metz per dargli istruzioni e lo inviterò a recarsi al più presto nella Saar per raccogliere informazioni.

A proposito del riavvictnamento franco-tedesco confermo le impressioni riferite nel mio telegramma per corriere del 3 corr. n. 138 (1). Persona che è molto vicina al signor Patenòtre, sottosegretar·io di Stato per l'economia nazionale, mi assicura che l'azione di quell'uomo politico, è in questo momento, esclusivamente diretta a ricercare un accordo con la Germania. Paul Boncour sarebbe nello stesso ordine di idee. Il gruppo francese avrebbe già preso contatto con von Papen, probabilmente per il tramite di questo Ambasciatore di Germania che del vice cancelliere è parente ed amico. Il cancelliere non sarebbe al corrente di tale scambio preliminare di idee. Il mio informatore che ha avuto un vivace contrasto di parole con Patenòtre, mi ha detto di non credere che sussista la possibilità di addivenire, per ora, a concrete intese, anche perché Hitler -è sempre il mio interlocutore che parla -è contrario in modo assoluto, ad un accordo con la Francia.

La manovra Boncour-Patenòtre e consoci è più che probabile. Per quel che riguarda von Papen mi riferisco alle note sue offerte fatte a Losanna a Herriot; il suo atteggiamento presente risponde alla linea di condotta da lui seguita durante il cancellierato.

Per quel che riguarda la Francia non si può a meno di rilevare la mancanza di qualsiasi seria direttiva di politica estera da parte dei Gabinetti che si sono succeduti al potere dal giugno scorso ad oggi. Si va avanti a tastoni, bussando a tutte le porte, architettando le più svariate combinazioni e passando con impressionante facilità dall'entusiasmo al più cupo scoraggiamento.

(l) -Il giorno 9 Renzetti inviò un altro rapporto che non si pubb!ica perché troppo deteriorato. (2) -Con tale telegramma, suvich aveva comunicato quanto segue: «Da Berlino, in relazione note tendenze avvicinamento franco-tedesco, si accenna a missione industriali della Sarre che disporrebbesi recarsi capitale tedesca. Prego controllare e eventualmente riferire su composizione e scopo missione ». (3) -Non pubblicato nel vol. XII della serie VII.
182

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 936/142 R. Berlino, 8 marzo 1933 (per. il 12).

Faccio seguito al mio telegramma-filo odierno n. 140 (2). Il cancelliere Hitler si è mostrato raggiante per le congratulazioni che

V. E. volle fargli da me esprimere in occasione del trionfo da lui riportato nelle elezioni di domenica scorsa.

Dopo avermi pregato di far pervenire all'E. V. i suoi vivi ringraziamenti ed essersi espresso nei precisi termini già riferiti, il cancelliere mi ha detto che sarebbe venuto in uno dei prossimi giorni a restituirmi la visita all'ambasciata, scusandosi di non averlo fatto sinora a causa del lavoro elettorale.

Avendogli detto che mi sarei assentato posdomani, recandomi a Roma, per due o tre giorni, il cancelliere mi pregò di rendermi allora a viva voce

interprete verso V. E. dei suoi sentimenti che si riprometteva rinnovare presto quando avrebbe avuto la grande soddisfazione di incontrarsi con lei.

Ho fatto conoscere a Hitler che V. E. aveva molto gradito la sua intenzione di recarsi a Roma e che attendeva la sua visita con grande soddisfazione. Circa l'epoca del viaggio ritenevo che se ne sarebbe potuto parlare al mio ritorno dall'Italia insieme ad altri argomenti. Il cancelliere concordò pienamente meco e disse che mi pregava però di esprimere sin d'ora all'E. V. il vivissimo suo desiderio ch'ella si rechi dal suo lato a Berlino, assicurandoLa che il popolo tedesco L'avrebbe accolta con sommo entusiasmo. Egli assumeva sin d'ora la responsabilità piena ed intiera per tutta la durata del soggiorno di V. E. in Germania.

Hitler ripetè poi che Germania e Italia devono stringere i loro vincoli di amicizia. «La Francia -aggiunse -esercitò tre volte una notevole influenza in Germania, in differenti epoche. La prima volta ciò accadde dopo la riforma allorché assunse la difesa del cattolicesimo; allora gli Stati del sud della Germania si schierarono dal suo lato e la sua influenza fu molto grande. La seconda volta ciò si avverò dopo la rivoluzione francese, quando le nuove idee si diffusero del !'1esto in tutta l'Europa ed allora gU Stati del sud furono alleati della Francia. La terza volta s'impose ancorché ad un numero limitato di tedeschi con le idee demo-liberali massoniche molto care a tanti parlamentari francesi. Oggi però questo liberalismo ha fatto il suo tempo e deve cedere il posto anche in Germania alle idee nuove proclamate dal vostro Duce. Marciamo dunque verso l'attuazione del fascismo -del fascismo in pieno -ancorché la nostra situazione sia com'è naturale diversa da quella dell'Italia e richieda provvedi

menti adeguati alle circostanze».

Avendo Hitler fatto poi un lieve accenno ai provvedimenti in corso contro i marxisti, ne profittai per segnalargli l'esistenza a Berlino della «società degli amici della libertà italiana » di cui gli diedi l'indirizzo, affinché essa non fosse scordata dalla polizia.

Il cancelliere mi disse di lasciare fare a lui ed aggiunse che mi pregava di segnalargli le persone che ritenessi nocive agli interessi del fascismo, che erano poi quelli del nazional-socialismo. Egli non le avrebbe espulse se non in casi eccezionali, per impedire che si recassero in paesi, dove continuassero a darci noia, ma le avrebbe fatte sorvegliare in modo tale da renderle innocue.

Colsi l'occasione per accennargli all'ex-pretore Mungioli, residente ad Amburgo, che diede recentemente ricetta al Bassanesi, colà arrestato ed espulso verso la Danimarca, dicendogli che le autorità di Amburgo dovevano essere già state informate del caso dal R. console generale.

Il cancelliere osservò che da due giorni Amburgo non è più in mano dei marxisti, cosicché non dubitava che il nuovo Senato di quella città libera avrebbe agito con rigore. Ad ogni modo se ne sarebbe o :upato.

Egli mi pregò poi, poiché si parlava di questi argomenti, di esprimere all'E. V. tutta la sua riconoscenza per l'asilo tanto generosamente offerto in Italia ai nazional-socialisti, che avevano dovuto cercarvi rifugio. Sperava che fra poche settimane, in seguito ai provvedimenti legislativi in corso, essi potranno ritornare in Germania. Né essi né lui scorderanno però mai l'atteggiamento benevolo dell'Italia fascista a loro riguardo.

(l) -Cfr. n. 161. (2) -T. 870/140 R., pari data, non pubblicato: riferiva che Hitler, dopo aver espresso la propria sincera gratitudine per le congratulazioni di Mussolini, aveva affermato, tra l'altro, di voler restare a lungo al potere per sbarazzare !l terreno politico da tutti gli impacci.
183

L'ADDETTO STAMPA A VIENNA, MORREALE, AL VICE CAPO GABINETTO, JACOMONI (l)

L. P. V. Vie1ma, 8 marzo 1933.

Starhemberg si è recato domenica scorsa a far visita a Gombos. Non sapendo ancora fino a che punto questi fosse a conoscenza, si è tenuto sulle generali informando di attendere ancora da Roma una risposta precisa, ma che intanto gli erano stati dati aiuti per agire coi giornali.

Gombos gli ha detto di non preoccuparsi troppo della propaganda per anschluss da parte dei nazionalsocialisti perché Hitler, a quanto gli consta, avrebbe per suo conto rinunziato all'idea.

Nella mia prima lettera credo di aver fatto comprendere che Starhemberg desidera sapere, per sua norma di linguaggio, fino a che punto è informato GombOs. Se possibile gradirei precisioni sull'argomento; eventualmente mi basta sapere se si è andati o no più in là di quanto al primo capoverso della presente.

184

IL DELEGATO AGGIUNTO ALLA CONFERENZA DEL DISARMO, SORAGNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 888/74 R. Ginevra, 9 marzo 1933, ore 14,55 (per. ore 16,45).

A puro titolo informativo comunico voce che Mac Donald si proporrebbe nelle sue conversazioni di Parigi di persuadere Francia a consentire a forte riduzione nel materiale terrestre ed aereo contro accessione della Germania al piano francese di mutua assistenza continentale europea, magari !asciandone cadere la parte riguardante truppe internazionali. Questi principi, ove Francia accettasse, costituirebbero piattaforma dell'azione che Mac Donald si propone svolgere a Ginevra.

Secondo mia impressione delegazione tedesca in Ginevra è agitata, incerta e come ossessionata dai problemi del materiale e della parità di diritti, problemi che t!roverebbe·ro nel piano di Mac Donald una soluzione a.lmeno temporanea.

Non escludo quindi che essa possa lasciarsi trascinare a negoziati che avrebbero per conseguenza un certo, possibile nostro isolamento, se da Berlino non le giungono direttive di stile molto fermo.

185

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 895/156 R. Londra, 9 marzo 1933, ore 21 (per. ore 2 del 10).

Ieri nel pomeriggio ho veduto Simon.

Egli mi ha de,tto che improvvisa decisione MacDonald recarsi a Ginevra è stata determinata da intenzione primo ministro di compiere ultimi sforzi possibili per salvare conferenza disarmo clamoroso fallimento, essendo che tale fallimento avrebbe dannose conseguenze su già delicata situazione internazionale e renderebbe ancora più difficili lavori prossima conferenza economica e negoziati debiti con America.

Simon mi ha dichiarato che MacDonald non <dico non) porta con sé alcuna proposta o specifico schema d'accordo. Seguendo suo vecchio sistema, egli cercherà semplicemente di compiere ultimo sforzo per trovare «formula l> di conciliazione. Esame situazione che egli farà insieme rappresentanti paesi interessati, suggerirà quali potranno essere eventuali soluzioni.

A tale riguardo MacDonald e Simon s.i rtpromettono ave,r con barone Aloisi un esauriente scambio di idee non solo su particolare problema disarmo ma su situazione politica generale. Simon mi ha detto che [scopo] fermata Parigi è permettere Mac Donald di incontrarsi con Daladier per convincere presidente francese accettare ragionevole compromesso che permetta evitare fallimento conferenza.

Simon mi ha quindi parlato con inusitata franchezza rapporti itala-inglesi e attitudine dell'Italia nei riguardi della Germania. Segretario di Stato per gli affari esteri mi ha dichiarato che Inghilterra non (dico non) approva nè intende assolutamente incoraggiare tendenze revisionistiche della [Germania] che possano minacciare o turbare la pace d'Europa. Egli mi ha aggiunto che nuovo Governo degli Stati Uniti è nello stesso ordine di idee. Voleva dirmi lealmente questo perché egli crede che ove si delineasse una stretta cooperazione itala-tedesca avente come scopo il perseguimento di una decisa politica revisionista, la collaborazione itala-inglese diventerebbe assai difficile. Egli mi ha aggiunto testualmente: «noi abbiamo avuto l'impressione in questi ultimi tempi che l'Italia sia passata dall'altra parte della siepe».

È superfluo che io riferisca a V. E. quello che ho risposto.

Con la stessa franchezza con la quale egli mi aveva parlato, io gli ho detto le mie impressioni sulla politica estera inglese dal patto di fiducia in poi. Il colloquio in qualche momento è stato assai delicato. Simon non mi ha tra l'altro nascosto che era rimasto personalmente assai

scosso dalle dichiarazioni fatte da S. E. Suvich alla Camera sull'affare delle armi, dichiarazioni che, a incidente chiuso, gli erano sembrate particolarmente dure per l'Inghilterra. Egli ha tenuto a ripetermi che non è nelle intenzioni dell'Inghilterra venire a concreto accordo con Parigi.

Tono generale conversazione non è stato però tale da farmi escludere che nell'affannosa ricerca cosiddetta «formula conciliante» possa scaturire difatti dagli incontri di Parigi e Ginevra nuovo rafforzamento cooperazione fra questo Governo e quello di Pari.gi. Stamane Times (l) in un editoriale, evidentemente ispirato dal Foreign Office e che ho trasmesso nella traduzione integrale, cerca di svalutare il significato politico della visita dei due ministri a Parigi. Esso accenna apertamente alla possibilità di un incontro fra Mac Donald e il

Duce a Torino, a Milano o in qualunque altra città dell'Italia settentrionale. L'articolo conolude dicendo sostanzialmente che l'Inghilterra non cerca un accordo con la Francia, ma che questo può venire da un rifiuto italiano e tedesco di collaborazione con il Governo inglese.

(l) Le lettere di Morrca!e erano parzialmente cifrate.

(l) Nota dell'ufficio C!fra: «Vedi telegramma R.S. 866 del 9 marzo».

186

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO

T. PER CORRIERE 367 R. Roma, 9 marzo 1933.

Suo telegramma per corriere n. 25 (l). Per sua opportuna e riservata conoscenza le invio, qui accluso, il riassunto di un colloquio che S. E. Aloisi ha avuto a Ginevra con Litvinoff (2).

Condivido il suo pensiero sia per quanto concerne l'apprezzamento della politica di Litvinoff a Ginevra, sia per quanto riguarda l'opportunità per noi di fare quanto è possibile per evitare che l'U.R.S.S. si estranei alla nostra politica.

Aggiungo, per sua norma, che sono state impartite istruzioni al R. ambasciatore a Berlino di consigliare al Governo germanico di curare i rapporti con l'U.R.S.S. attenendosi alla linea seguita dal Governo fascista che ha sempre mantenuto una netta distinzione fra il Governo sovietico e la Terza Internazionale, lottando cioè con il comunismo all'interno e mantenendo all'estero normali e soddisfacenti relazioni con 11 Governo sovietico. Poiché da parte germanica si è voluto dare particolare rilievo ad avvertimenti dati da Roma a Berlino circa la politica franco-sovietica e non è escluso che l'eco di tali «avvertimenti» sia giunto agli orecchi di Mosca, potrà essere opportuno che V. E.: presentandosene l'occasione faccia conoscere costà il consiglio che è stato fatto pervenire a Berlino.

A parte le giuste considerazioni di V. E., ritengo che nell'attuale fase delle relazioni franco-sovietiche ci si faccia, da una parte e dall'altra, non poche illusioni; da parte francese sulla possibilità di aggiogare l'U.R.S.S. alla sua politica e da parte sovietica sulla possibilità di trovare in Francia rilevanti prestiti a lunga scadenza. È quindi lecito attenderci, in un periodo più o meno lontano, ad una considerazione più realistica delle situazioni rispettive.

Ciò premesso sono d'avviso:

1°) Che non convenga mostrarci allarmati di fronte alle attuali «intimità» franco-sovietiche e considerarci quindi soddisfatti delle assicurazioni forniteci da Litvinoff.

2°) Non ci convenga per il momento raccogliere le «avances » sovietiche che alludono chiaramente alla conclusione di un patto di non aggressione. A parte il fatto che oggi, nella situazione politicamente forte in cui si trova l'URSS, un patto con l'Italia avrebbe in realtà per Mosca una importanza secon

daria, cw potrebbe apparire un nostro ingenuo tentativo di parare il colpo francese.

3°) Non ci convenga parimenti di avviare alla conclusione le trattative di carattere economico in un momento in cui, date le speranze che rappresenta per l'U.R.S.S. il mercato francese, qualsiasi accordo non potrebbe realizzarsi, almeno a quanto si può giudicare da qui che a condizioni particolarmente onerose per noi.

Quello che a mio avviso potrebbe o dovrebbe farsi, è intensificare la politica già seguita del resto da V. E. di contatti con codesto Governo nel campo politico, sia a scopo informativo, sia ai fini di un'azione politica concorde là dove ciò è possibile. Politica del resto che dovrebbe entrare piuttosto nell'ordine di idee di codesto Governo.

(l) -Cfr. n. 125. (2) -Cfr. n. 126.
187

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE S. 931/29 R. Vienna, 9 marzo 1933 (per. il 12).

Dai miei colloqui con diverse personalità politiche, situazione può cosi riassumersi:

1°) Dollfuss è più che mai deciso a perseverare nella via intrapresa. Tuttavia le incessanti esortazioni alla moderazione, e le reiterate minaccie di dimissioni, da parte del vice-cancelliere Winkler, disturberebbero non solo i suoi propositi, ma influirebbero sulle sue decisioni, sovente ritardandole.

2°) Le emanate ordinanze, alla cui esecuzione sarà provveduto nel modo più rigido, non sarebbero seguite, pel momento, da altre del genere. Vorrebbesi invece procedere al più presto ad una fattiva opera legislativa, specie nel campo assistenziale.

3°) Gli annunziati tentativi per la riconvocazione del parlamento, sia quelli provenienti dall'ex presidente del Consiglio Nazionale, il socialista Renner, e sia quelli provenienti dall'ex vice presidente, il pangermanista Straffner, sarebbero destinati a restare lettera morta. Il Governo è infatti in massima deciso ad opporvisi financo con l'occupazione del parlamento, da parte della polizia.

4°) Alcuni membri del Governo, sulla cui energia e determinazione si sarebbe finora nutrito qualche dubbio, come ad esempio il ministro della guerra Vaugoin, si sarebbero invece ora dimostrati pienamente consapevoli dell'importanza e delle esigenze dello speciale momento. Ad esempio, il predetto ministro avrebbe dichiarato esplicitamente iersera essere pronto ad inviare le truppe necessarie per vietare una illegale riunione dell'assemblea parlamentare.

5°) La nomina d'un commissario straordinario pel municipio di Vienna, a luogo cioè dell'attuale amministrazione socialista, sarebbe prevista nel caso che questa prendesse posizione, in qualsiasi modo, contro l'autorità costituita.

6°) L'esperimento attuale di Governo dovrebbe infine portare ad una situazione tale da render possibile una concentrazione delle forze borghesi formanti l'attuale maggioranza: cattolici-agrari-Heimwehren. E ciò allo scopo di formare, nelle future elezioni politiche, una lista unica, che dovrebbe prendere il nome: «Oesterreichischer Vaterland Partei ».

Per ovvii motivi di prudenza, credo dovermi astenere dal fornire altri particolari su eventuali nuovi provvedimenti, o su speciali tendenze, nonché di riferirmi, specificandole, a persone con cui mi sono intrattenuto.

188

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA 1354/472. Belgrado, 9 marzo 1933.

Nel colloquio del l o corrente Jeftich si è doluto meco della pubblicazione fatta dal Popolo di Trieste dell'll gennaio u.s. sotto il titolo «Re Alessandro ammalato di nervi causa la paura». lvi sono riferite alcune notizie sul Re jugoslavo citandone la fonte che è la Reichpost di Vienna. Jeftich ha detto che non era ammissibile e tollerabile che la stampa italiana attaccasse il Re, che se ciò continuasse si potrebbero avere serie conseguenze etc. etc.

Ho risposto che il suo reclamo egli doveva rivolgerlo alla Reichpost che è giornale viennese non a me. La stampa italiana potrebbe essere responsabile se pubblicasse essa di sua iniziativa notizie false esagerate od offensive contro Re Alessandro, ma non quando, indicandone la fonte riportava notizie di altri giornali esteri, che non erano soltanto austriaci, ma anche inglesi e francesi.

Se questa è stata la mia risposta ad Jeftich mi sia per altro subordinatamente consentito ripetere quanto già fatto presente in altre varie occasioni. La nostra stampa riproduce senza soverchio controllo quanto sulla crisi jugoslava viene pubblicato da altri giornali stranieri. Ora se la crisi è in sé grave, e può anche, in via di estrema ipotesi, sboccare ad oscuri risultati (per il preciso mio pensiero in proposito richiamo quanto riferisco regolarmente all'E. V.) sta anche in fatto che in giornali come il Manchester Guardian, e più ancora nel Reichpost e nella agenzia Gric si trovano spesso notizie che non hanno ombra di fondamento, ma sorgono solo dalle accese e fantastiche speranze degli emigrati croati. Ciò (fenomeno psicologico comune a tutte le emigrazioni politiche) si ripete costantemente da mesi e mesi da quando nella primavera dello scorso anno si parlò di rivoluzione, di fuga del Re, di uccisione di Marinkovic e fino a poche settimane or sono quando si affermò della perquisizione in casa di Monsignor Bauer, restituzione delle decorazioni jugoslave, etc.

Mi sembrerebbe quindi utile, nell'interesse della nostra stampa raccomandare un vaglio accurato delle notizie che provengono dagli ambienti della opposizione croata, e delle quali il 90 % se non è addirittura falso è per lo meno storpiato e deformato. Ne ho settimanale esperienza in quanto diligentemente e coscienziosamente viene riferito a V. E. ed a me, naturalmente per puro debito di ufficio, dal R. Console Generale in Zagabria.

Le stesse considerazioni crederei subordinatamente svolgere per le notizie diffuse dalla nostra radio. Non è stato infrequente udire io stesso da Roma o da Milano che la rivoluzione era qui imminente, mentre invece la calma più esemplare regnava e la rivoluzione restava come resta ancora un romantico desiderio di emigrati staccati dalla sensazione del proprio paese, od una aspirazione di qualche capo croato subordinata, per altro, alla propria incolumità personale (l).

189

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 1028/561. Vienna, 9 marzo 1933 (per. il 27).

Nel groviglio dell'attuale situazione interna austriaca due dubbi maggiormente sono affiorati:

l) l'iniziativa del Cancelliere di sopprimere di fatto il Parlamento non è forse una misura troppo contingente al successo di Hitler e ai conseguenti timori dei cristiano-sociali e dei socialisti per l'avvento del nazismo austriaco, da non lasciar supporre che tale iniziativa sarà per svolgersi esclusivamente in tale unico rapporto, e per di più nei limiti d'un beneplacito della socialdemocrazia?

2) E se questo non sarà il caso, fino a qual punto il Cancelliere potrà

o vorrà tirare tutte le conseguenze della sua iniziativa?

Il primo dubbio risponde ad una soverchia aspettazione o ad una troppo corriva diffidenza.

Certo, l'tniziativa del signor Dollfuss è in dipendenza diretta col successo hitleriano e con la minaccia d'un conseguente trascendentale movimento in Austria. Ma il problema dell'indispensabile rafforzamento dell'autorità dello Stato esiste già da lungo tempo in Austria: da anni il Parlamento federale non serve gli interessi del paese; da anni si sono formate forze armate di destra e di sinistra, che sono chiari segni dell'incapacità e dell'impotenza del regime; e da anni reclamasi un governo di effettivo prestigio. Ed è pure un fatto che mentre nessun uomo politico austriaco, compreso Monsignor Seipel, ha osato cogliere alcune delle tante occorse propizie occasioni (basta ricordare i moti del '27), per instaurare un nuovo ordine di cose, il giovine Cancelliere Dollfuss ha voluto e saputo farlo, pur rendendosi conto che, in caso di insuccesso, rimarrebbe in gioco non solo la sua carriera politica, ma l'avvenire del suo partito e quello delle Heimwehren.

Ora, di fronte ad un così evidente rischio, ben può ammettersi che il Cancelliere abbia colto l'occasione, che gli si è presentata, sovrattutto nella presup

18 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XIII

pos1z1one che alle sue misure di eccezione non sarebbe seguita una troppo viva opposizione dei socialdemocratici. Ma ciò sarebbe avvedutezza di calcolo, non collusione. Questa sarebbe avvenuta, od avverrebbe, se egli avesse accettato, od accettasse, le tante insistenti offerte socialiste per una combinazione rosso-nera, che oltre a rendergli facile la vita, gli profitterebbe la gratitudine della Francia e della Cecoslovacchia. Invece, fino ad oggi, il Cancelliere non solo ha rifiutato tale connubio, ma si è addirittura ad esso contrapposto con l'iniziativa in parola. Anche dunque se il tentativo dovesse riuscire vano, anche se domani la questione dovesse risolversi con un cartello rosso-nero, resterebbe sempre il fatto che il Parlamento è stato mantenuto chiuso; che sono stati emanati decreti-legge contemplanti misure eccezionali; che comizi socialisti sono stati impediti; che l'Arbeiter Zeitung è stata sequestrata; che il signor Bauer ha sentito il bisogno di ritornare in cattedra per gridare ai pericoli delle insidie fasciste e di far affiggere grandi manifesti annunzianti che «la libertà è in pericolo »; che un ministro si è dimesso per soverchia sensibilità democratica; che ai tentativi di riapertura del Parlamento, il governo fenerale ha finora risposto con la minaccia delle più severe misure; che le elezioni per le Diete non saranno più tenute, ecc. Sono queste dimostrazioni, il cui senso ed il cui valore d'esempio non potrebbero essere negati neppure se domani tutta la questione si risolvesse con uno dei tanti compromessi fra i partiti, ai quali l'Austria non è certo nuova.

Meno facile è rispondere al secondo dubbio: quello relativo alle scarse pospossibilità del signor Dollfuss per l'attuazione del suo programma.

Ora, le forze di cui dispone il Cancelliere sono più che note: un partito cattolico, la cui ala di sinistra pende nettamente, con gli agrari di Winkler, nella demagogia, per non dire addirittura nel socialismo, e le Heimwehren, che tutti si sono sempre compiaciuti a deprimere se non a condannare, mentre alcuni stessi leaders cattolici (il Rintelen, p. es.) si sono affrettati ad inquinarle col seme della discordia, onde dividerle.

Lo si sa fin troppo bene: le forze governative sono ben sparute; si sono rette al governo con un sol voto di maggioranza, indulgendo alle situazioni, forse patteggiando tacitamente con gli oppositori. Ma l'ardita attuale iniziativa di Dollfuss e delle Heimwehren dovrebbe logicamente più essere esaltata, date le locali circostanze, che quasi derisa, nell'indicarla come sproporzionata alle forze che il governo possiede per sorreggerla e menarla a buon fine.

Difatti, quali che siano state le circostanze fortunate che hanno accompagnato la recente decisione di Dollfuss, quale che sia il tacito compromesso con i socialisti, il Cancelliere è comunque riuscito a rompere finalmente l'incantesimo del Parlamento, e di conseguenza quello della socialdemocrazia. Male per questa, se si sia adattata a dette misure per tema del peggio nazista. In ogni caso l'incantesimo resta rotto; ed in politica sono i simulacri che occorre salvaguardare.

Invece, assai più difficile diventa la risposta al dubbio manifestato circa i probabili limiti che Dollfuss intende mettere alla sua iniziativa.

Ciò è difficile perché si va nel campo delle ipotesi, e sovratutto perché la prudenza non è mai soverchia in un paese in cui abbondano le sorprese, e più ancora quel tipo d'uomo pubblico, che il mio predecessore definiva giustamente di «ciriola :.>. Tuttavia, mettendo da parte tutte le altre personalità del governo, sul cui valore non mi posso del tutto pronunziare, devo riconoscere che almeno il Dollfuss, nei due mesi che l'ho frequentato, non mi ha mai dimostrato siffatta pochezza d'animo, e sempre finora mi ha provato la sua buona volontà nell'attuare le sue dichiarazioni. Ed in questo tempo è occorso l'affare di Hirtenberg.

In ogni caso permane la realtà del passo da lui compiuto, il quale non ha tanto un valore per gli avvenimenti che ha fin'oggi prodotto, ma per quelli che potrebbe produrre. Gli è che Dollfuss, una volta compiuto questo passo, dovrebbe trovarsi costretto dalla forza stessa delle cose, e fosse pure a suo malgrado, a tirare le conseguenze del suo atto. Lo farà?

Cosicché, a mio avviso, il maggior pericolo non sta in qualche compromesso tacito o palese che Dollfuss fosse indotto a tentare, ma bensì in una sua passività: cioè in un suo vivacchiare giorno per giorno, lasciando da una parte che i socialisti riprendano a po' a po' le loro antiche posizioni, e dall'altra non tentando l'avvicinamento delle masse naziste, con l'instaurare un governo veramente forte ed audace. Difatti in tal caso egli ed il partito cristiano-sociale perderebbero ogni prestigio, mentre il paese cadrebbe in balia dei socialisti o dei nazisti.

(l) Annotazione a margine d! Mussol!n!: «Segnalare a Polverell! ». Altra annotazione: «Provveduto da parte dell'Ufficio Stampa a fare un appunto al Popolo d! Trieste 19-3-XI ».

190

L'ADDETTO STAMPA A VIENNA, MORREALE, AL VICE CAPO GABINETTO, JACOMONI

L. VII. Vienna, 9 marzo 1933.

L'aiuto finanziario giunto subito dopo il mio ritorno è servito a rinfrancare gli amici ed a dar loro la sicurezza necessaria per il passaggio all'azione. Mi è stato altresì facile lavorare tra l'uno e l'altro in modo da rinfrancarli reciprocamente e dissipare qualche dissidio di orientamento. Ora tra Starhemberg, Jakoncig e Fey sono effettivamente tutti per uno ed uno per tutti. Fey, a mia richiesta, mi ha dichiarato di non attendere altro che di potere andare fino in fondo. Tanto Jakoncig che Fey hanno lavorato bene in seno al Governo, avviando il Cancelliere verso quel pendio che deve rendere possibile il giuoco. Starhemberg lavora dal di fuori agendo sul Cancelliere per vincerne le incertezze che, malgrado le apparenze, sono ancora parecchie. Oggi deve aver visto anche il Presidente della Repubblica: non ho notizie dell'andamento del colloquio, ma mi accennava egli ieri sera che gli avrebbe parlato del momento storico in cui si decidono le sorti, l'essere od il non essere di tutta l'azione. Il Cancelliere ha pregato Starhemberg di tenersi per ora, egli ed i suoi amici, un po' riservati affinché egli possa dare ai cristiano-sociali l'impressione di agire non sotto la pressione dei Heimwehren ma di sua iniziativa e seconda che il suo spirito detta per la miglior condotta del suo partito. Del resto, il piano che con Starhemberg abbiamo concordato è questo: aiutare il Governo nella sua azione contro i socialnazionalisti, poiché questa è forse quella che gli sta a cuore più dell'altra contro i socialdemocratici: i fatti stessi si incaricheranno, come si stanno incaricando, di costringere il Cancelliere a cambiare obbiettivo ed a puntare contro questi ultimi. Verrà allora per Starhemberg il momento dell'intervento diretto, sia che il Cancelliere pieghi sotto il peso delle responsabilità, sia che si voglia liberare di esse. Il Presidente della Repubblica pare s1 trovi ancora sul terreno giuridico, ma poiché anche la legge è di caucciù, si conta che egli finisca col non comprendere più quale sia il terreno giuridico. Ogni azienda ha i suoi metodi, e mi pare che questo sia il buono per avvicinarsi quanto più possibile ad un colpo di Stato. Incoraggio sempre Starhemberg ad evitare le mezze soluzioni e mi sembra che sia ormai deciso. Bisogna fare il conto anche colle possibili sorprese ed è per questo che anche qui si esamina la situazione con serietà e senza soverchi ottimismi: a tal riguardo Fey mi pare ben preparato ed ancor ieri ha avuto assicurazione dai più efficienti fra la polizia che anche essi collaboreranno.

Ho l'impressione, invece, che il lavoro di propaganda tra i heimwehren vada un po' a rilento: tra giorni si avranno i primi giornali, un forte gruppo di uomini sarà tenuto sempre pronto a Vienna: i fiduciari dei heimwehren convergono anche essi gradualmente in Vienna per ricevere istruzioni. Generale Htilgerth (Capo Heimwehren carinziane) ha avuto da Fey l'incarico di formare nel suo paese e coi suoi uomini un forte gruppo per la sorveglianza della frontiera austro-jugoslava. Naturalmente tale sorveglianza dovrà essere estesa proforma anche alla frontiera austro-italiana che si trova dalla sua parte. Non appena la organizazzione sarà più avanzata fornirò particolari anche perché siano avvertiti i nostri di guardar con simpatia tali sorveglianti.

Si attende qui con molta ansia l'uomo che dovrà trattare per la partita di aeroplani di cui alla mia terza lettera.

191

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 942/149 R. Berlino, 10 marzo 1933 (per. il 13).

Mio telegramma per corriere n. 145 (1).

Conte Bethlen che pranzò iersera all'ambasciata, insieme al barone von Neurath, ed ebbe un lungo colloquio con quest'ultimo, mi informò poi di avere attirato la più seria attenzione del ministro degli affari esteri sulla situazione in Austria. Egli disse al barone von Neurath che sarebbe un grave errore non sostenere Dollfuss, perché Rintelen non vale gran che ed è inferiore al primo. Ritiene superfluo fare elezioni nel momento presente. Quello che occorre è invece arrivare all'intesa fra socialnazionali e Heimwehren e guadagnarsi l'adesione dei cristiano-sociali. Barone von Neurath gli aveva risposto che egli stava agendo in questo senso sul cancelliere Hitler, tentando di convincerlo e sperava di riu

204 sclrvi. Conte Bethlen aveva insistito sul fatto che occorreva agire con energia a Vienna ed aveva detto che questo poteva essere fatto utilmente da Berlino e Roma, tanto più utilmente quanto più sollecitamente ed in modo fermo.

Conte Bethlen aveva poi espresso al barone von Neurath opinione che fosse necessario discutere in questo momento la questione dell'Austria nel suo complesso. Ministro degli esteri gli aveva detto che a Berlino non si pensava né ad un'annessione, né ad un altro fine pangermanista qualsiasi. Conte Bethlen se ne era compiaciuto ed aveva manifestato convinzione che occorreva discorrere fra Berlino e Roma per trovare una soluzione soddisfacente, la quale garantisse indipendenza dell'Austria. Non si trattava di una soluzione che dovesse avere la durata di trenta o più anni, ma di qualcosa di pratico per il momento presente e per qualche anno almeno.

Avendo sentito che stavo per recarmi a Roma, conte Bethlen mi disse che mi sarebbe stato grato di parlare di quanto precede a V.E., esprimendole al pari tempo i suoi più cordiali saluti.

Ho assicurato il conte Bethlen che le avrei riferito quanto egli mi aveva detto ed ho aggiunto che avevo ragione di ritenere che una conversazione nel senso suddetto corrispondeva alle intenzioni dell'E. v.

(l) T. per corriere 921/145 R. del 9 marzo, non pubblicato: riferiva circa una conferenza tenuta da Bethlen sul tema «l'Ungheria nella nuova Europa».

192

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 932/151 R. Berlino, 10 marzo 1933 (per. il 12).

Barone Von Neurath mi ha parlato della conferenza del disarmo, dicendo di avere ieri conversato a lungo per telefono con il signor von Hasselll impartendogli dettagliate istruzioni. Egli in sostanza espresse il timore che l'Italia dia la sua adesione ad una proroga indeterminata o a lunga scadenza, della conferenza stessa, il che sarebbe contrario agli interessi tedeschi. La Germania potrebbe accettare una proroga di un paio di mesi al massimo, qualora continuasse durante questo tempo a funzionare un comitato ristretto. Ma non potrebbe andare al di là di questo.

Ho chiesto al barone von Neurath se sapesse con quali propositi si recassero a Ginevra MacDonald e Simon. Rispose di ignorarlo, ma che certamente tireranno fuori qualche progetto nocivo agli interessi della Germania.

Non diversamente si è poi espresso meco barone von Rheinbaben, membro della delegazione tedesca alla conferenza del disarmo, tornato ieri a Berlino per conferire col barone von Neurath. Egli mi ha detto di confidare che l'Italia si sarebbe indotta ad opporsi ad una proroga indeterminata o prolungata. Ha elogiato la nostra proposta di una tregua negli armamenti. Parlando poi ed animandosi, mi disse che dovevo comprendere la situazione della Germania. La parità di diritto le era stata riconosciuta 1'11 dicembre scorso da quattro Potenze, ma la Francia non avrebbe probabilmente ratificato l'accordo, la Polonia e la Piccola Intesa non avrebbero mai ammesso la parità. Si era dunque

fatto un lavoro inutile. Qualunque fosse la decisione che fosse presa a Ginevra una cosa era certa: che in un modo o nell'altro la Germania doveva riarmarsi e lo avrebbe fatto perché non poteva farne a meno.

193

IL MAGGIORE RENZETTI AL CAPO DELLA SEGRETERIA PARTICOLARE DEL CAPO DEL GOVERNO, CHIAVOLINI

L. Berlino, 10 marzo 1933.

Il sottosegretario alla aviazione, Milch, mi ha oggi consegnato il progetto che trasmetto in allegato accompagnato dalla traduzione italiana, per la costruzione in Italia di un certo numero di apparecchi militari per l'aviazione.

Io mi sono limitato a far presente al Milch, come feci già con il suo Ministro Goring, la difficoltà dell'invio in Italia di un migliaio di piloti da addestrare. Non sono entrato in merito al progetto stesso per ovvie ragioni di opportunità.

Il progetto che allego non è stato mostrato da me ad alcuno (1).

ALLEGATO

PROGETTO

l) Il Governo italiano mette a disposizione un grosso numero di apparecchi, 10001500 (il 70 % da bombardamento, il resto da caccia e da esplorazione).

2) Gli apparecchi dovranno venire approntati, una volta presi gli opportuni accordi circa i particolari di costruzione, con la massima sollecitudine. I motori saranno italiani: gli strumenti di bordo verranno dati dalla Germania.

3) Sino alla completa preparazione dei predetti apparecchi, il Governo italiano porrà a disposizione un certo numero di apparecchi militari, sempre che questo non danneggi la potenzialità militare italiana.

4) Gli apparecchi resteranno pronti nei campi italiani.

5) Il Governo italiano studierà la possibilità della istruzione di piloti militari nelle proprie scuole.

6) Si propone che il pagamento degli apparecchi venga compiuto mediante consegna di materie prime quali carbone, minerale di ferro e mediante prodotti finiti quali ad esempio prodotti chimici. Si potrebbe anche studiare la possibilità di consegne di materiale da costruzione.

Il pagamento avverrebbe, probabilmente, nel termine di due o tre anni.

(l) Annotazione a margine di Suvlch: «Far conoscere all'aeronautica e sentirne il parere, 22-3-1933 ».

194

IL CAPO DELL'UFFICIO ALBANIA, FARALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 11 marzo 1933.

Il generale Pariani è venuto a riferire che a Tirana si vivrebbe in una situazione di disagio a causa delle preoccupazioni create dalle discussioni sulle questioni finanziarie attualmente in corso fra la R. Legazione ed il Governo albanese.

Ha riaffermato ancora una volta le sue idee sulla «incompatibilità della politica di alleanza con la politica di penetrazione » e sulla «necessità di dare libero sviluppo al programma militare, che esige come condizione imprescindibile il rafforzamento del sentimento nazionale degli albanesi »; ha accennato ad una situazione di «imbarazzo » in cui egli si trova nel dare corso alle direttive di mirare ad una trasformazione dell'Ente Gioventù Albanese; ha dichiarato che non potrebbe più oltre accollarsi la responsabilità dell'organizzazione militare, ove non gli fosse lasciata piena libertà d'azione in questo campo, che non tollererebbe -a suo avviso -intralci ed attenuazioni derivanti da una politica che egli si ostina a considerare in contraddizione con quella dell'alleanza.

In prosieguo di conversazione si è capito che questo discorso di carattere generale era diretto a patrocinare, sia pure in termini vaghi, le domande di Re Zog in materia di revisione delle convenzioni SVEA. È noto che l'accoglimento sia pure parziale di tali domande non potrebbe non portare in definitiva allo svalutamento o addirittura alla remissione dei pegni. Il generale Pariani si riferiva nel giustificare le domande albanesi alla diffusa convinzione che la SVEA è una Società fittizia dietro la quale sta il Governo italiano e che era naturale l'assimilazione del debito contratto colla SVEA a quello contratto con un Governo straniero. È noto come da parte nostra sono state sempre particolarmente curate quelle manifestazioni atte a ingenerare una convinzione contraria, e ciò non solo per evitare che il debito SVEA segua il destino di tutti i debiti governativi, ma anche perché i pegni nelle mani di una Società privata possano essere manovrati nei riguardi dell'Albania con maggior libertà di quanto potrebbero esserlo nelle mani del Governo Italiano.

In fine il Generale Pariani osserva che « non conviene assumere atteggiamenti di resistenza, quando si preveda di dover poi mollare». Evidentemente il generale Pariani è nella convinzione che l'accoglimento delle domande albanesi trova qui la maggiore resistenza, e così nel suo discorso più volte sono ricorse le espressioni: «è un peccato che il ministro Koch non sia ascoltato dal Ministero», «occorrerebbe che al ministro a Tirana fosse lasciata maggiore libertà d'azione » ed altre del genere.

Sempre in materia finanziaria, Pariani ha lamentato che l'apporto gratuito viene centellinato, anziché generosamente erogato, e che gli organizzatori sono troppi, disorientati ed alcuni anche oziosi. Su quest'ultimo punto ha preannunziato che il R. ministro a Tirana avanzerà delle proposte.

È superfluo riferire quali argomenti gli siano stati contrapposti.

Interrogato sul recente attentato contro la vita di due nostri ufficiali, il generale Pariani ha detto che era difficile ottenere dal Governo albanese le soddisfazioni che ci attendiamo perché «disgraziatamente l'attentatore è diciassettenne». Ed, essendogli stato ribattuto come potesse precisare anche l'età dell'attentatore in un Paese che non aveva fino a pochi anni fa lo stato civile, e in ogni caso come potesse un dicliassettenne trova,rsd arruolato nell'esercito, il Generale Pariani ha affermato che «la colpa di ciò era da attribuirsi agli stessi nostri ufficiali che lo avevano arruolato pur sapendolo diciassettenne», che « in Italia per casi analoghi si aprirebbe un procedimento disciplinare a carico di questi ufficiali »; che infine per queste considerazioni << non si può da parte nostra essere troppo esigenti nei confronti del Governo albanese».

È superfluo riferire che gli si è affermato un avviso diametralmente opposto.

Nel corso della conversazione è stato rilevato che il generale Pariani -contrariamente al solito -ha espresso severi giudizi sui sentimenti di Re Zog verso l'Italia e sui sistemi in cui si concretano, e ha chiaramente accennato alla « situazione di minor prestigio » in cui egli si trova nei confronti del Re stesso dal giorno in cui, per premere su di questi nel senso della rinnovazione del Patto di Sicurezza, fu indotto a presentare le dimissioni, alle quali non dette poi seguito per ordine del R. Governo.

195

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 919/76 R. Ginevra, 12 marzo 1933, ore 1,45 (per. ore 6,35).

Appena giunto ho visto MacDonald il quale mi ha detto scopo sua venuta esser quello cercare districare conferenza disarmo difficoltà attuali e cercare formula programma minimo che valga ridonare mondo fiducia perduta. Mi ha assicurato non (dico non) essere portatore alcun programma definitivo e venire da intervista con uomini politici francesi conservando mani completamente libere.

Avendo tuttora spexanza collaborazione itaLiana era ansioso conoscere quanto io venendo da Roma potevo di:rgJi in proposito. Ho risposto che istruzioni impartitemi dal Capo del Governo erano di collaborare con lui alla migliore possibile soluzione tali questioni. Dato però stato nervosismo opinione pubblica mondiale Capo del Governo riteneva preferibile proporsi scopo immediato ristabilire calma anziché iniziare nuove discussioni che potrebbero arrecare altri turbamenti.

Capo del Governo riteneva quindi preferibile rinviare dopo Pasqua esami questioni vitali le quali intanto si sarebbero potute incominciare trattare tramite varie cancellerie, continuando Ginevra discussione questioni secondarie. Avendomi MacDonald obiettato che forse programma minimo potrebbe già adesso raggiungere scopo prefisso, gli ho fatto notare che per essere facilmente accettabile tale programma avrebbe probabilmente dovuto assumere formulazione talmente vaga e generica da non aver a:lcun significato. Giacché nel caso avesse voluto assumere serio contenuto avrebbe inevitabilmente dovuto affrontare spinose discussioni con pericolo che nuove probabilità fallimento avrebbero ancora peggiorato situazione.

Dietro sua richiesta ho detto ritenere Germania accetterebbe programma minimo esclusivamente se venissele assicurata parità. Sembrami argomenti addotti abbiano prodotto impressione sopra MacDonald, Simon e Eden.

Simon mi ha chiesto se politica italiana rimaneva ferma nel non (dico non) voler riarmare Germania, come io gli avevo detto altra volta. Avendogli risposto nostra poutica rimane iimmutata su tale punto ammettendo esclusivamente riarmamento eventualmente permesso, e anche questo per tappe, inglesi si sono dimostrati molto soddisfatti.

Ho notato tanto in MacDonald quanto in Simon una non dissimulata preoccupazione per avvento Hitler al potere nonché per le sorti del regolamento dei debiti e della conferenza economica che sarebbero compromesse da un fallimento del disarmo.

Nel corso discussione ho confermato conversazione S. E. Grandi con Simon a Londra di cui al telegramma n. 156 data 9 corrente (1), mettendo in chiaro assenza nostri impegni con Germania, riaffermando nostra politica revisionista essere aliena dalla violenza, assicurando essere desiderio di V. E. collaborare con Inghilterra.

Infine MacDonald espressomi suo desiderio incontrarsi con V. E. Ho risposto vagamente e cortesemente che V. E. gradirebbe incontro; astenendomi da qualunque precisazione. Dopo istruZiioni telefoniche di V. E. lSJscerò cadere discorso su tale argomento, nel caso sua insistenza.

Colloquio terminò decidendo, di comune accordo, rivederci domani dopo che ognuno separatamente avrà incontrato capi altre delegazioni.

196

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, CERRUTI, A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, A LONDRA, GRANDI, A PARIGI, PLGNATTI, E A WASHINGTON, ROSSO, E AI MINISTRI A BELGRADO, GALLI, A BERNA, MARCHI, A BUDAPEST, SOLA, A L'AJA, TALIANI E A PRAGA, ROCCO

T. 390/c. R. Roma, 12 marzo 1933, ore 18.

Per eventuale norma di linguaggio si richiama attenzione su quanto segue:

A Ginevra piano francese, cui mancanza base realtà è generalmente ammessa, può considerarsi naufragato. In corso speculazione per attribuire responsabilità fallimento disarmo Italia e Germania principali oppositori detto piano. Per quanto riguarda nostro paese ricordasi anche, con richiamo recente deliberazione Gran Consiglio, che proposte italiane nel campo del disarmo sono le più radicali e riguardano quelle limitazioni che sole possono dare garanzia di effettivo disarmo ed esercitare conseguentemente influenza tranquillizzante su spirito pubblico mondiale.

Con suaccennate manovre sono probabilmente in relazione dichiarazioni assolutamente infondate Camera e stampa francese su riarmamento Ungheria e Bulgaria da parte Italia.

(l) Cfr. n. 185.

197

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 937/77 R. Ginevra, 12 marzo 1933, ore 20,05 (per. ore 20,45).

Iersera ho rivisto a un pranzo MacDonald il quale aveva trascorso intera giornata in consultazione. Era completamente depresso per fatto nuovo categorico rifiuto Nadolny qualsiasi aggiornamento.

Interpretando tale rifiuto alla luce recenti dichiarazioni intransigenza Hitler, premier inglese temeva che eventuale decisione rinvio, presa a maggioranza, potrebbe rischiare fornire Hitler occasione fare colpo forza dichiarando che di fronte confessata incapacità conferenza, Germania sentesi svincolata ogni impegno e riarmarsi.

Conseguenze tale atto sarebbero disastrose anche punto di vista debiti e relazioni America.

Seguito rifiuto tedesco rinvio, situazione ora capovolta. Vantaggio arrivo MacDonald mani libere, dopo mancato accordo con Daladier Parigi, è annullato. Francesi, colto palla 1/ctlzo minaccia contenuta nel rifiuto tedesco rinvio, hanno profittato immediatamente indecisione e paura inglese nonché improvvisa difficoltà nella quale venutasi trovare idea italiana rinvio per cercare imporre convinzione che, nello stato attuale, unicamente riavvicinamento francoinglese con adesione americana, potrebbe salvare situazione. Tentativo francese è stato affiancato manovra giornalisti sviluppatasi iersera con segnalazione notizia incontro rappresentanti quaUro maggiori Potenze, in alta Italia, scopo profittare eventuale reazione italiana per allontanare Italia da Inghilterra accusandola parteggiare Germania. Tale situazione profondo pessimismo estesosi delegazione inglese nonché ambienti S.D.N., ho cercato iersera reagire parlando con Nadolny e cercando ricondurlo più esatta valutazione momento, nonché riparlare MacDonald sviluppando ancora ulteriormente carattere moderazione, calma nostra politica e tendenza collaborazione Inghilterra.

Malgrado tutto però, come riferito telegramma ieri (l), preoccupazione perplessità avvento Hitler domina completamente situazione. Tale preoccupazione divenuta acuta dopo rifiuto tedesco, unita necessità giustificare suo viaggio Ginevra, temo possa spingere MacDonald dilemma ricorrere vecchia via di uscita programma minimo ovvero cedere pressioni francesi per azione comune francoinglese.

Ambedue soluzioni comprometterebbero progetti V. E.

Intanto poiché MacDonald dichiarato intenzione rimanere Ginevra intera settimana cercando via uscita, vigilerò momento in momento sviluppo situazione informando V. E.

(l} Cfr. n. 195.

198

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 938/78 R. Ginevra, 13 marzo 1933, ore 0,30 (per. ore 1,45).

Ho rivisto oggi MacDonald che dopo avermi parlato questione conferenza nei termini mia telefonata odierna S. E. Suvich, mi ha detto avere deciso, dopo matura riflessione, accoglimento nostro suggerimento rinvio di cui al telegramma n. 76 (1).

Mi ha chiesto se avevamo [niente in] contrario a dare tale suggerimento seguente forma attuazione:

Una potenza qualsiasi sarebbe incaricata redigere quadro generale situazione questioni trattate fino ad ora conferenza disarmo che mettesse in rilievo questioni sulle quali già intervenuto accordo generale. Circa rimanenti questioni tuttora controverse ottenere che presidente conferenza proponga rinvio discussione questioni vitali dopo Pasqua, lasciando intanto continuare nelle relative commissioni discussione questioni minori.

Intendimento MacDonald sarebbe aggiungere quadro generale suggerimento sul modo risolvere questioni tuttora controverse. Ho risposto accettando idea generale attuazione nostro suggerimento attraverso redazione quadro generale.

Per evitare però ripetersi situazione verificatasi in occasione risoluzione Benes 23 luglio 1932 (2) ho obbiettato non (dico non) ritenere opportuna aggiunta suggerimento. MacDonald ha accettato tale punto di vista e mi ha detto essere necessario mio intervento presso Nadolny per cercare di rimuovere unico ostacolo alla riuscita tale progetto costituito da rifiuto delegato tedesco qualsiasi rinvio, nonché per ottenere impegno della Germania rimanere nella conferenza fino alla sua chiusura.

Data adesione inglese nostra proposta che allontanerebbe duplice pericolo segnalato mio telegramma n. 77 (3), che MacDonald vedasi costretto proporre programma minimo, ovvero che ceda iniziativa francese per accordo franco-inglese, mi sono recato da Nadolny. Questi mi ha francamente e confidenzialmente detto che sua fermissima opinione è che conferenza dovrà necessariamente morire e che interesse tedesco è che muoia presto, naturalmente evitando prima della sua fine qualsiasi occasione che possa costringere Germania a ritirarsi con conseguente sollevamento opinione pubblica mondiale contro di lei.

Gli ho obiettato nostro compito essere oggi quello prendere decisioni concretamente in base tendenza attualmente in giuoco. Conseguentemente tra progetto proposto MacDonald per uscire almeno con apparente successo dal vicolo cieco attuale, e pericolo lasciare campo libero alla Francia, sembravami interesse tedesco consigliasse secondare MacDonald.

Mi ha chiesto riflettere promettendo risposta domani.

(l) -Cfr. n. 195. (2) -Cfr. serie VII, vol. XII, n. 171. (3) -Cfr. n. 197.
199

IL MINISTRO AURITI AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 13 marzo 1933, ore 18 (1).

Starhemberg continua ad essere soddisfatto dello svolgimento della situazione. Sono state emanate varie «Notverordnungen » di carattere economico e sono stati lanciati da aeroplani manifesti di propaganda in Stiria ove, com'è noto, forti gruppi di Heimwehren, che ricevono sussidi da Berlino, gli rimangono ostili. Starhemberg insiste sulla necessità di passi presso Hitler affinché siano impartite istruzioni ai «Nazi » di Austria nell'intento di evitare che essi vi proseguano la loro propaganda in nome del « Sud Tirol », la quale nuoce cosi ai nostri interessi come a quelli delle Heimwehren e dei cristiano-sociali. Sarebbe assai utile, nella eventualità di una visita di Hitler a Roma, che della questione gli si parlasse qui seriamente, giacché Starhemberg crede che sarebbe più facile ottenere in tale occasione l'assenso del Cancelliere del Reich anche in considerazione del fatto che egli si troverebbe qui al di fuori delle pressioni di coloro che lo attorniano e lo spingono alla suddetta propaganda in Austria. Sarebbe anche utile, sempre secondo Starhemberg, che, in occasione di quella visita, fosse qualche giorno prima fatto venire a Roma qualcuno dei suoi uomini di fiducia da Vienna al fine di poter fornire ogni più preciso dato che fosse per essere utile nelle conversazioni su tale argomento con Hitler. Pare che a Berlino corra voce di una imminente visita di Hitler a Roma e che quell'Ambasciata di Francia, assai preoccupata di ciò, abbia fatto passi presso il Governo del Reich. Si dice che il Parlamento germanico sarà aggiornato per un anno. Von Papen teme che, data la relativa importanza del suo gruppo, esso non potrà continuare ad avere nel Gabinetto germanico l'attuale numero di rappresentanti e correrà rischio di essere messo completamente da parte da Hitler. Von Papen mantiene rapporti con le Heimwehren; un rappresentante di queste è andato a Berlino ed un rappresentante degli elmetti di acciaio a Vienna per chiarire la situazione e il programma dei rispettivi partiti. Von Papen stesso ha fatto consigliare Starhemberg di intervenire a Berlino per ottenere che Hitler desista dalla sua attuale campagna in Austria. In tale senso il Governo ungherese avrebbe già inviato istruzioni a quella sua Legazione.

Starhemberg afferma avere urgente bisogno di un milione di cartucce con estremità a punta rotonda, usate per i fucili austriaci di vecchio modello, che era stato finora dimenticato di chiedere. La spedizione potrebbe essere contenuta in meno di tre vagoni. Tale spedizione potrebbe essere inviata in Tirolo alle locali autorità governative, giacché in quella provincia ogni abitante gode del diritto di eccezione di possedere armi. Starhemberg ci farà confermare tale richiesta, forse oggi stesso, per mezzo di Morreale, e specificarne le modalità.

Occorre insistere presso Dollfuss affinché si astenga dal rispedire le armi in Italia. Le insistenze fatteci a tale riguardo non deriverebbero dal Cancelliere

stesso, bensì dal Segretario Generale Peter, che dovrebbe pertanto essere possibilmente lasciato da parte per l'ulteriore trattamento di tale questione.

Starhemberg sta facendo qui trattare l'acquisto di sei piccoli aeroplani ed i relativi negoziati sarebbero stati già iniziati con la Direzione dell'Aeroporto di Roma.

(l) Auriti si trovava temporaneamente a Roma in attesa di assumere la carica d! ambasciatore a Tokio.

200

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO GABINETTO, ALOISI, A GINEVRA, E ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 404 R. Roma, 14 marzo 1933, ore 13,45.

(Per Londra) Ho telegrafato a S. E. Aloisi a Ginevra quanto segue: (Per tutti) Per sua riservata notizia le comunico che oggi ambasciatore Graham è stato ricevuto da S. E. Capo del Governo e gli ha espresso desiderio MacDonald e Simon incontrarsi con lui in Italia. Capo del Governo ha risposto che impedito muoversi Roma corrente settimana potrebbe incontrarli in alta Italia dopo sabato. In conversazioni con Mac Donald e Simon V. E. può mostrare essere al corrente detto passo.

201

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 963/81 R. Ginevra, 14 marzo 1933, ore 23,20 (per. ore 3,15 del 15).

Trascorsa giornata ieri cercando convincere Nadolny accogliere mia tesi aggiornare discussione questione principale dopo Pasqua. Data resistenza che ho incontrata l'ho consigliato telegrafare Berlino.

Stamane Nadolny comunicatami risposta: «Conferenza travasi difficoltà causa questioni generali ordine politico venute sovrapporsi pura questione disarmo. Conseguentemente Germania ammette che talune questioni generali possano anche venire discusse apertamente, come nel passato, ma non (dico non) ammette che vengano completamente sottratte alla conferenza». Sostanzialmente, secondo interpretazione confessatami stesso Nadolny, Germania teme conferenza alleggerita sovrapposte questioni politiche, possa aver probabile approdo qualche risultato, frustrando così speranza fallimento che schiuderebbe subito Germania possibilità riarmarsi. Tanto più che qualora conferenza fallisse, egli pensa che opinione pubblica non addosserebbe colpa alla Germania ma bensì alla Francia che appare vera sabotatrice per complicazioni politiche nelle quali essa ha negoziato poi. Nadolny ha quindi concluso che Germania intende

che conferenza segua senza interruzione suo corso verso sorte riservatale. Egli

crede che analoga comunicazione debba aver fatto von Hassel a V. E.

Stamane durante momentanea sospensione consiglio ho avuto scambio di

idee sulla situazione con Boncour.

Gli ho convenientemente spiegato che nostra proposta aggiornamento, la

quale costituisce perno lavorio politico questi giorni, ben !ungi aver punta contro

Francia ovvero altri, è rivolta stesso scopo détente generale che è auspicata an

che da Governo francese.

202

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1035/161 R. Berlino, 14 marzo 1933 (per. ore 8 del 19).

Ho parlato stamane al barone von Neurath della situazione politica in Austria esprimendomi nel senso delle istruzioni da V. E. personalmente impartitemi cioè: 1°) opportunità di appoggiare Dollfuss, 2°) opportunità di non acuire il dissidio fra nazional-socialisti e Heimwehren, 3°) necessità per contro di agevolare un accordo fra questi due partiti e di rendere possibile pure l'adesione dei cristiano-sociali ad un fronte unico nazionale austriaco.

Dissi al ministro degli affari esteri che la collaborazione dell'Italia e della Germania poteva e doveva farsi valere in questo campo che era delicatissimo nel momento presente, perché l'Austria era esposta, ove commettesse degli errori, al pericolo di perdere la stessa sua indipendenza statale ed in ogni caso ad essere governata dai marxisti.

Occorreva però chiarire prima di tutto il punto dell'Anschluss al quale l'Italia era costretta di opporsi.

n barone von Neurath mi rispose che personalmente egli era sempre stato contrario all'Anschluss, che lo era tuttora e che agiva sempre nel senso di sconsigliare che vi si pensasse. In questo momento del resto la questione non era di attualità.

Per quanto concerneva le altre cose da me dettegli egli concordava intieramente con il punto di vista italiano. Riteneva infatti che il Governo del cancelliere Dollfuss dovesse essere sostenuto e rafforzato e che si dovesse non aizzare i partiti dell'ordine l'uno contro l'altro, ma indurii a costituire un blocco nazionale passando sopra alle divergenze esistenti.

Doveva però dirmi francamente che aveva bisogno del mio aiuto presso il cancelliere Hitler perché questi aveva idee proprie circa il problema austriaco le quali purtroppo divergevano da quelle dell'Auswartiges Amt. Sperava che Hitler il quale aveva una così grande deferenza per V. E. avesse tenuto conto del punto di vista del Governo italiano e modificato il proprio atteggiamento intransigente.

Mi riservo di riferire a V. E. il colloquio che avrò in proposito con il cancelliere Hitler.

203

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE S. 162 (1). Berlino, 14 marzo 1933 (per. il 22).

Il barone von Neurath mi ricevette stamane alle ore 11,30. Feci del mio meglio per rendermi fedele interprete presso di lui della situazione politica generale presente, secondo le istruzioni personalmente impartitemi, illustrando i principi che avevano indotto l'E. V. a formulare il progetto di accordo di intesa e collaborazione (2) di cui gli lasciai copia. Posi in particolare rilievo il fatto che V. E. si rivolgeva in primo luogo al Governo germanico per conoscere il suo avviso, che l'accordo riconfermava non solo il principio della parità di diritto già riconosciuto alla Germania, ma sanciva pure il principio che la parità di diritto doveva avere una «portata effettiva» per la Germania. Non mancai di porre in evidenza anche il fatto che l'art. IV menzionando fra le questioni politiche e non politiche, circa le quali deve essere adottata una linea di condotta comune fra le quatro Potenze, anche quella del settore coloniale, veniva a porre la Germania in condizioni di interessarsi nuovamente ai problemi coloniali.

Il ministro degli affari estel'li che mi aveva ascoltato attentamente disse che le notizie pervenute all'E. V. circa preparativi militari della Francia, del Belgio e della Jugoslavia concordano con quelle giunte al Governo germanico. Questo è pure a giorno delle preoccupazioni del signor MacDonald per la grave situazione creatasi a Ginevra e sa ugualmente che mentre i militari in Francia parlano apertamente della posStibilità di una guru-,ra e desiderano di scatenarne una preventiva l'opinione pubblica e lo stesso Governo auspicano una pacificazione degli animi.

In questi ultimi giorni il barone von Neurath mi disse di avere avuto occasione di fare una relazione ragguagliata circa la politJica estera generale tanto al presidente del Reich che al cancelliere Hitler. Le sue idee collimano con quelle di V. E. inquantoché egli definì follia pensare di risolvere mediante la forza la questione del corridoio, fece presente che le guerre non si fanno oggidì soltanto con gli uomini armati di fucile, ma con gli aeroplani, i carri blindati e le artiglierie auto-montate, tutti mezzi di cui la Germania non dispone ancora.

Egli espose pure al maresciallo von Hindenburg e a Hitler le ripercussioni che l'avvento al potere di quest'ultimo avevano avuto all'estero, i timori suscitati in taluni paesi e le idee di misure preventive che si erano andate manifestando.

Le preoccupazioni erano aggravate dall'andamento della conferenza per il disarmo in cui gli sforzi della Francia tendono a far ricadere sulla Germania e sull'Italia la colpa dell'insuccesso, nonché degli avvenimenti di questi ultimi giorni a Danz,ica.

Egli aveva concluso la relazione suddetta dichiarando che si doveva fare tutto il possibile per porre termine alla tensione attuale a scanso delle più gravi complicazioni.

Salutava quindi con la maggiore soddisfazione l'iniziativa dell'E. V. la quale nelle sue linee direttive corrispondeva alle idee del Governo germanico.

Procedetti quindi alla lettura del progetto di accordo dicendogli che occorreva naturalmente che la mia comunicazione fosse circondata dal più assoluto segreto.

Il ministro degli affari esteri lesse da parte sua il progetto, disse che avrebbe conferito al riguardo con il segretario di Stato von Biilow ed osservò soltanto sembrargli che l'art. III lasciasse all'arbitrio esclusivo dell'Italia, Francia e Inghilterra di concedere o meno alla Germania il diritto a riarmarsi. Ribattei che questa non era l'idea di V. E., ch'ella intendeva che il principio della parità di diritto fosse non solo riconfermato ma, come del resto gli avevo già detto, che fosse pure riconosciuto alla Germania il diritto di dare ad esso una portata effettiva. E questa portata effettiva doveva essere la facoltà di accrescere i suoi armamenti, ancorché gradualmente (cioè in conformità, fra l'altro, delle sue possibilità economiche) ed in base ad accordi successivi fra le quattro Potenze da prendersi per la via diplomatica normale, accordi che non escludevano a priori una eventuale diminuzione degli armamenti delle altre Potenze, in modo da rendere meno sensibile la differenza attualmente esistente.

Il barone von Neurath fu poi da me reso edotto delle modalità che l'E. V. intenderebbe seguire per la firma dell'accordo da parte dei quattro Capi dei Governi. Gli spiegai le ragioni della scelta di Torino. Il ministro degli affari esteri mi disse ch'egli si domandava come avrebbe potuto il cancelliere Hitler assentarsi da Berlino nei giorni prossimi dato che il Reichstag era stato convocato per il 21 marzo. Gli risposi che, anche nella migliore delle ipotesi sarebbero sempre occorse due settimane per poter addivenire alla firma dell'accordo ed allora il barone von Neurath disse che tutto andava bene.

Il ministro degli affari esteri mi informò poi che il cancelliere Hitler si sarebbe fermato tutta ·la giornata odierna a Monaco, ch'egli lo avrebbe però veduto subito dopo il suo ritorno che presumibilmente avverrà domani in mattinata, che lo avrebbe posto al corrente dell'interessante comunicazione fattagli dare dall'E. V. e gli avrebbe chiesto di ricevermi appena possibile affinché io gli esponessi direttamente gli argomenti in appoggio del progetto di accordo e gli facessi le comunicazioni di cui V. E. mi aveva incaricato nei riguardi delle prove di serenità e di calma che i Governi rivoluzionari ed autoritari devono dare subito dopo aver assunto il potere, per smontare le minacciose coalizioni degli Stati contrari.

Rimango pertanto in attesa di una comunicazione da parte del barone von Neurath circa la mia visita al Cancelliere Hitler.

Aggiungo che tl ministro degli affari esteri fu particolarmente sensibile alla dichiarazione da me fattagli che V. E. considerava giusta l'aspirazione della Germania di riavere la contiguità territoriale con la Prussia orientale e che l'Italia era pertanto disposta ad appoggiare la Germania per trovare una soluzione che le desse soddisfazione pur garantendo alla Polonia il libero accesso al mare.

Il barone von Neurath mi assicurò che la Germania desiderava sinceramente di tener conto degli interessi vitali della Polonia e che sarebbe stata molto arrendevole al riguardo.

(l) -n telegramma è privo di num8ro di protocollo generale poiché non fu Inserito nel registro del telegrammi In arrivo. (2) -Cfr. n. 165.
204

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 1064/576. Vienna, 14 marzo 1933 (per. il 4 aprile).

Mio rapporto n. 561 del 9 marzo (1).

In due discorsi il Cancelliere ha dato una diretta risposta ai dubbi che si erano venuti formando circa la natura e la portata della sua recente azione. Tali dubbi erano stati da me esposti, e commentati, nel rapporto cui mi riferisco.

Dollfuss ha in succinto sostenuto:

l) Situazione parlamentare. Il Consiglio Nazionale si è atrofizzato da solo. Occorre ora trar profitto dal presente stato di cose per riformare il regolamento della Camera, nonché la stessa costituzione dello Stato. A tal uopo il Governo ha in animo di attribuire al Presidente federale più larghi poteri e di trasformare il Consiglio federale in una rappresentanza delle provincie e delle corporazioni. Il Governo non si fermerà dunque alle ordinanze già emanate, ma procederà oltre sulla via intrapresa, sbrigando in primo Juogo quegli affari che, per l'ostruzionismo dell'opposizione parlamentare, non si erano potuti finora condurre in porto. Per far ciò, esso si metterà in diretto contatto con le diverse rappresentanze professionali.

2) Partito socialdemocratico. Con la sua tracotanza ha trascinato il paese sull'orlo della rovina. È pertanto da ritenersi il principale responsabile dell'attuale crisi. Il Governo federale manterrà un contegno deciso ed energico, opponendosi a scioperi e provvedendo con ogni mezzo in suo potere al mantenimento dell'ordine pubblico e della tranquillità interna. I socialisti che, spalleggiati da una milizia lor propria (lo « Schutzbund »), si sono lentamente impadroniti de'l potere esecutivo, inquinando financo gran parte dell'esercito e della polizia, dominando le organizzazioni dei ferrovieri e tendendo in tal modo alla dittatura del proletariato, dovranno essere ad ogni costo debellati dalle posizioni conquistate.

3) Movimento Nazionalsocialista Austriaco. Trattasi di una azione politica, la cui demagogia ed il cui spirito di fronda sono contrari alla sicurezza dello Stato. Quindi il Cancelliere ha testualmente detto: «Sono convinto che il movimento nazionalsocialista non può esser combattuto con un sistema di ritorsioni, che trovi il suo appoggio sulla tolleranza dei social-democratici. Tutto ciò che vi è di buono nel nazionalsocialismo non è che il vecchio programma cristiano-sociale. La parte fraseologica non ci interessa affatto. Se dunque noi

19 -Docurnenti diplornatici -Serle VII -Vol. XIII

realizziamo, con la stessa energia combattiva, con lo stesso slancio, con la medesima convinzione, ciò che nel programma nazista coincide coJ nostro e può avere dei risu!.tati positivi, certo questo significherà raccogliere tutto il vento delle vele nazional-socialiste. Noi siamo in una posizione di combattimento, attaccati dalla destra e dalla sinistra, ma noi terremo fermo. Noi non lottiamo solamente per il partito cristiano-sociale, ma per la Patria Austriaca~.

Questo passaggio del discorso di Dollfuss deve attirare tutta la nostra attenzione. Esso respinge ogni dubbio di collusione con i socialisti; indica un programma pratico ed efficace; ribadisce infine chiaramente il concetto che il Governo, più che alle sorti del suo partito, vuoi provvedere alla preservazione della «Patria Austriaca~-

Dollfuss ha messo così in luce l'antitesi vera che intercorre tra il partito cristiano-sociale ed il nazismo austriaco, esponendo allo stesso tempo il suo piano d'azione, che tende in ultima analisi all'assimilazione di quelle masse elettorali che, nel propiziare un governo forte e nel loro disappunto per non averlo fin oggi intravvisto nell'attività politica dei cristiano-sociali, si dirigono verso il nazismo austriaco.

Sicché, con le sue parole, Dollfuss risponde implicitamente al quesito ch'io sottoponevo a V. E. nel mio surricordato rapporto, scrivendo: «A mio avviso, il maggiore pericolo non sta in qualche compromesso tacito

o palese che Dollfuss fosse indotto a tentare, ma bensì in una sua passiwtà: cioè in un suo vivacchiare giorno per giorno, lasciando da una parte che i socialisti riprendano a po' a po' le loro antiche posizioni, e dall'altra non tentando l'avvicinamento delle masse naziste, con l'instaurare un Governo veramente forte ed audace. Difatti in tal caso egli ed il partito cristiano-sociale perderebbero ogni prestigio, mentre il paese andrebbe in balia dei socialisti o dei nazisti ~.

Ora, a mio credere, il pericolo segnalato all'E. V. con le surriferite parole sussiste tuttora: ed è la grande incognita della situazione.

Detto pericolo consiste nell'eventuale tentativo di praticare, alla moda austriaca, un'azione intermedia, la quale avrebbe l'effetto di lasciare ai socialisti il tempo di riprender fiato ed ai nazional-socialisti il modo di continuare a mietere allori non solo col tirare profitto dall'attuale prestigio di Hitler, ma anche con l'attrarre a sé tutti quegli elementi più impazienti d'un regime d'ordine e maggiormente stanchi dello strapotere dei rossi.

Parlando con Dollfuss e con i principali membri del Gabinetto, ho sempre rilevato la sicurezza con la quale asseriscono la loro decisione di andare fino agli estremi: e le loro ordinanze, considerandole alla lettera e nel loro drastico tenore, trovano corrispondenza con le dichiarate intenzioni. Ma v'è sempre nell'applicazione un'evidente interpretazione transattiva. Valga ad esempio quanto è avvenuto ieri in occasione del tentativo di Straffner di ridare vita al Parlamento. Per impedirlo, v'è stato l'uso della polizia nel recinto del Parlamento, l'ordine di divieto della seduta, l'allontanamento di deputati da parte degli agenti; ma è un fatto che l'opposizione è tuttavia riuscita a tenere un simulacro di seduta! Si è determinata cioè una grande sproporzione fra i poteri concessi alla polizia, nel recinto stesso del Parlamento, ed il fatto della seduta implicitamente consentita, non potendosi dare alcun valore alla spiegazione ufficiosa che la riunione sia avvenuta soltanto pel fatto che i deputati dell'opposizione erano convenuti alla Camera qualche tempo prima dell'ora notificata per la convocazione.

Sono queste debolezze «di fatto» che cominciano ad inficiare le recise asserzioni «di principio», dando all'insieme delle cose un senso di «relatività,, che potrebbe riuscire, come lo segnalavo a V. E. nel rapporto in questione, assai più dannosa d'uno stesso tacito o palese compromesso del Governo con questo

o quell'oppositore.

Naturalmente, in tale stato di cose, entrambi i partiti di opposizione cantano vittoria; e l'elettorato, su cui il Governo vorrebbe maggiormente influire per attirarlo dalla sua parte, potrebbe finire col condannare tutta l'agitata azione che il gabinetto Dollfuss va svolgendo con conseguimenti di ben scarso valore, rafforzando così le sue estremiste tendenze verso la sinistra rossa o la destra nazista.

Tutto ciò costituisce un grosso pericolo, anche perché potrebbe finire, nello scoraggiare i principali aderenti col rovinare il movimento delle Heimwehren,

o col provocare un ulteriore loro smembramento, e sovratutto col mettere in cattiva luce quelli che vengono comunemente designati come i principali sostenitori di esse.

Il fatto solo di aver segnalato con tanta insistenza a V. E. detto pericolo, sta a dimostrare quanto esso formi l'oggetto della vigilanza di questa R. Legazione.

(l) Cfr. n. 189.

205

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (l)

L. P. Londra, 10-14 marzo 1933.

10 marzo

*Ho spedito stamane il telegramma sul mio colloquio con Simon (2), telegramma nel quale mi sono Hmitato naturalmente, alla piatta «fotografia» di formato ministeriale di questa conversazione che in qualche momento ha assunto effettivamente un tono delicato (così ho detto nel telegramma), ma a Te dico invece avere assunto un tono «duro» da ambedue le parti*.

Queste impressioni che butto giù ora Ti arriveranno di qui a una settimana (il corriere non parte che mercoledì) e cioè forse quando altri avvenimenti la situazione internazionale gira ormai come una ruota vertiginosa -avranno già fatto perdere probabilmente a queste mie righe il loro carattere di sensibile immediatezza. Non è altro quindi se non il «punto» di oggi che faccio.

*Venerdì ho avuto la fortuna di potere stare un'ora davanti a Te nella Sala del Mappamondo, e ne sono uscito vivificato e collo spirito illuminato come da una fiamma. Vi è una cosa cui non riesco ad abituarmi e che costituisce il mio sacrificio maggiore, dover combattere e lavorare lontano da Te

C 2) Cfr. n. 185.

e senza avere. sia pure per un solo istante, la magica diretta influenza del Tuo sguardo di Capo sul mio spirito. *

Tu mi hai detto venerdì che a Tuo giudizio l'Inghilterra, se costretta a scegliere fra Francia e Italia, sceglierà la Francia. Io Ti ho risposto che Tu vedevi in questo come in tutto, assolutamente giusto. Nel mio ultimo rapporto confidenziale Ti parlavo soltanto di «tendenze l> della politica britannica, orientata in tal senso (1). Ma i tempi corrono in fretta. Sono arrivato infatti a Londra di ritorno da Roma lunedì, dopo la grande giornata tedesca. Ebbene, raramente ho visto questa gente più disorientata, dirò anche più «spaventata l>. Il trionfo di Hitler non era preveduto (qui non si prevede mai nulla!). Il delegato inglese Eden reduce da Ginevra ha fatto una pittura funerea delle cose di laggiù. I cablogrammi dall'America davano per lunedì per sicura una caduta del dollaro, il che non era parimente preveduto e che naturalmente avrebbe capovolto nuovamente i calcoli qui fatti in materia di politica monetaria. Hitler, Ginevra. Dollaro.

Qui hanno un poco perduto la testa. Di qui la precipitata, inopportuna, a Londra unanimamente criticata, decisione di partenza per Ginevra, col rischio di non trovare a Ginevra nessuno. Lord Tyrrell ed il Foreign Office hanno profittato della decisione di MacDonald per arrangiare la fermata a Parigi, sempre in omaggio alla loro politica dell'« Entente cordiale>>.

Quando qui si è saputo che nè Mussolini, né Hitler e neppure von Neurath, e forse neppure Daladier, -c'è qui chi si faceva perfino la puerile illusione che Tu saresti andato a Ginevra -avevano l'intenzione di muoversi, il disappunto per la probabilità dell'insuccesso che attendeva questa «missione l> di McDonald ha preso il sopravvento sulle preoccupazioni di politica generale.

Le parole dettemi da Simon vanno inquadrate nella atmosfera di questa non lieta partenza dei due Ministri Inglesi per il Continente.

Il Governo inglese sente di aver perduto ormai la fiducia da parte dell'Italia e della Germania. Vi sono molti che, come ho detto, vorrebbero andare con la Francia, ma la Camera dei Comuni non è ancora di questo avviso. MacDonald e Simon debbono tenere conto della Camera dei Comuni che ha applaudito il Sottosegretario Eden tornato da Ginevra solo perché è il primo delegato inglese che ha avuto il coraggio di dichiarare apertamente a Ginevra che l'Inghilterra si lava le mani in caso di complicazioni di guerra nel Continente. Perché questo è lo stato d'animo generale, in questo momento: L'Europa va rapidamente incontro alla guevra. La Gran Bretagna non solo deve evitare di essere coinvolta nella nuova conflagrazione, ma invece profittarne eventualmente per rinsaldare i legami fra gli Stati della Confederazione britannica

extra-europei.

La nuova Germania di Hitler qui comincia a tar paura, e di questo profittano i fautori dell'intesa anglo-francese. Simon non sa perdonarci di averlo scoperto davanti all'opinione pubblica inglese e internazionale colla così tempestiva ed opportuna pubblicazione della nota anglo-francese all'Austria (2) sul

Giornale d'Italia, e colle dichiarazioni fatte da Suvich alla Camera, dichiarazioni che io ho trovato perfette sotto ogni punto di vista, non solo per la loro precisione ed efficacia, ma anche per la loro correttezza diplomatica. Le parole dettemi da Simon sono quelle da me testualmente riferite, ma prima che la Camera dei Comuni sia portata ad accettare un deciso e concreto orientamento della politica britannica nella direzione dell'« Entente cordiale ~. come la vorrebbe forse Simon e il Foreign Office ne passerà del tempo! Avremo forse delle rinnovate fornicazioni anglo-francesi, magari di carattere sensazionale, (i francesi sono bravi per questo!) ma oltre questa specie di fronte fumogeno per ora non c'è nulla. L'Inghilterra guarda con sospetto la nuova Germania di Hitler, ma guarda con maggiore sospetto qualunque cosa che possa costringerla a fare la guerra. Il governo britannico sente inoltre chiaramente che l'Italia Fascista va dritta per la sua strada senza curarsi affatto di piacere o dispiacere di « tradizionali » amici inglesi. E questo è, !asciamelo dire, la Tua grande forza in questo momento. L'Inghilterra sente che la chiave di volta della guerra e della pace sta nell'Italia, cioè nella Tua volontà, e che l'ultima parola è quella che Mussolini dirà. Tutti sentono questo, e vorrebbero « riguadagnarci ~. Per ottenere ciò il Foreign Office crede che bisogna spaventarci. «Lo spettro dell'« Entente cordiale~ agirà sugli italiani, così come lo spettro di un ravvicinamento anglo-tedesco ha agito sui francesi~. Questo è il ragionamento, sbagliatissimo, che dimostra come i cosiddetti « circoli ufficiali~ britannici siano indietro nella comprensione dell'Italia fascista e non capiscano nulla del grande dramma rivoluzionario che oggi agita l'Europa. Ieri, ad es., è venuto Kennedy, redattore di politica estera del Times, cui si deve l'articolo di ieri mattina, fatto su commissione (come egli mi ha francamente detto) del Governo, per dirmi che il Times è costretto ad abbandonare l'atteggiamento amichevole tenuto sin ora verso la politica estera italiana. «Voi state preparando la guerra nel centroest europeo, e spingete la Germania verso la guerra egualmente », mi ha detto. «Fate quello che volete, gll ho risposto. Se il Times attacca l'Italia, la stampa italiana attaccherà l'Inghilterra. Ecco tutto». Kennedy ha concluso che ci rifletterà sopra.

Altra gente, più seria, dice apertamente che l'Italia è la sola Nazione cui l'Inghilterra deve rivolgersi, e domanda che l'Inghilterra faccia nei riguardi dell'Italia una diversa politica, e spinge MacDonald ad andare a Roma a vedere e intendersi col Duce.

Questo stato di confusione è, come Tu vedi, veramente interessante.

Oggi a colazione si parlava con Lady Oxford della famosa deliberazione disfattista degli studenti universitari di Oxford. «Perché rimproverare quei ragazzi?>>. Essa diceva. «Da qualche anno non si fa altro in Inghilterra se non predicare il pacifismo a tutti i costi. Ebbene ecco dei ragazzi che applicano i nostri insegnamenti. La colpa è nostra non loro».

Confusione, nella quale non c'è che un punto fermo, ormai, anche per la coscienza inglese, tarda, retrograda, che preferisce la candela alla luce elettrica (vi sono intere regioni in Inghilterra che non conoscono la luce elettrica) e le case senza bagno, e cioè che la Democrazia è un feticcio finito. Il Decennale Fascista e la vittoria di Hitler hanno dato il colpo di grazia agli ultimi illusi. Anche questo vecchio mondo inglese comincia a muoversi. Leggi, ad es.,

le riviste settimanali di oggi che ho riassunte nel mio fonogramma alla Stefani. Le riviste in questo Paese sono molto più importanti dei giornali. Il giornale non dà quasi mai lo stato dell'opinione pubblica inglese che ha « bisogno di tempo» per capire. Le riviste, quasi sempre, si. Il tema è unico: la campana a morte della democrazia, e la necessità di una intelligente revisione dei Trattati di Pace. Come, quando, e attraverso quali esperimenti politici, anche questa isola intorpidita arriverà alla sua Rivoluzione Fascista, non so, né è possibile per ora prevedere. Ma tutti sono ormai d'accordo che il vecchio mondo è in rovina. E alla Rivoluzione fascista anche l'Inghilterra, in un modo

o nell'altro, arriverà. Allora per chi capisce questa gente assai più e meglio di quanto essi non capiscano loro stessi, la faccenda dei due Pellegrini MacDonald Simon i quali adesso sono in viaggio per Ginevra -il santuario sbrindellato del paganesimo democratico -appare ancora più anacronistico di quello che già non sia per se stesso.

Domani sera, nel ristorante della Camera dei Comuni, avrà luogo una riunione di giovani deputati conservatori alla quale sono stato invitato a prendere parte per spiegare i principi fondamentali dello Stato corporativo. Mi hanno chiesto se ho obiezioni per il contraddittorio. Ho risposto naturalmente che niente mi potrebbe fare più piacere.

Martedì 14 -Rileggo questa lettera prima di consegnarla al corriere. Tre giorni soltanto sono passati eppure questa lettera già mi sembra invecchiata! Secondo le notizie che giungono da Parigi, MacDonald questa volta avrebbe tenuto duro. Ciò è motivo di sorpresa per molti inglesi. Si continua a desiderare e «domandare » con insistenza un incontro di MacDonald con Te (l).

(l) I brani fra asterischi sono editi nel «Borghese» del 21 aprile 1966. (l) -Cfr. n. 144. (2) -A proposito della quale io ho domandato a Simon se era vero quello che de Jouvenel ha detto a Roma e che cioè la redazione della nota era stata fatta al Foreign Offlce. Simon ha evitato di rispondermi, il che significa che è vero. [Nota del documento]

206

IL MINISTRO A TIRANA, KOCH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 973/48 R. Tirana, 15 marzo 1933, ore 0,50 (per. ore 10,20).

In colloquio avuto sabato scorso con Re Zog questi mi disse che circoli politici e parlamentari della città erano assai preoccupati perché bilancio dello Stato per nuovo esercizio non veniva ancora impostato.

Mi ha spiegato che se accordo con S.V.E.A. per regolamento debiti non fosse stato raggiunto prima della fine del mese, egli si sarebbe trovato nella necessità ridurre radicalmente spese militari e di mendicare aiuti altrove (sic) per far fronte ai suoi impegni e liberarsi finalmente di questo grave peso per il suo paese. Richiamava mia attenzione su gravità della situazione.

Gli ho risposto che se effettivamente Governo albanese, che negli anni scorsi sembrò preoccuparsi tanto poco del suo debito, si rende conto ora della necessità far fronte ai suoi impegni, unico modo dimostrare sua buona volontà

sarebbe quella di impostare il nuovo bilancio inscrivendo una annualità di pagamento in conto del debito, indipendentemente da quello che potrà essere un accordo eventuale con la S.V.E.A.; ciò gli avevo sempre suggerito come la politica più saggia. Non mi pareva facile pertanto che senza questa prova di buona volontà la S.V.E.A. si prestasse a nuove concessioni. Facesse pertanto impostare tranquillamente il nuovo bilancio su criteri saggi e di rigida economia iscrivendo anche il debito. Lo pregavo anche di intervenire perché cessasse questa artificiosa montatura dei circoli politici e parlamentari contro la S.V.E.A., ciò che era anche poco riguardoso verso creditori cui non si può fare altro rilievo che quello di attendere pazientemente da anni.

Ha insistito, facendo quasi un obbligo al Governo amico di liberarlo da questa e da altre difficoltà, come quella del grave deficit col quale si va chiudendo l'attuale bilancio dello Stato.

Mi sono dovuto render conto che generose continue liberalità del R. Governo sono qui comprese molto male e anziché riconoscenza andiamo raccogliendo misconoscenza per non dire di peggio.

Sviluppo per corriere e mi riservo di intrattenere prossimamente di persona V. E. su concetto che mi sono oramai fatto dei risultati della nostra collaborazione in questo paese.

Intanto Governo va prendendo in questi giorni provvedimenti in vari campi, specialmente nel culturale, voluti dal Re, che sono tutt'altro che conformi a quello spirito di amichevole collaborazione che avremmo diritto di attenderci sempre da lui.

Ne riferisco a parte (1).

Ho notato anche, in questi ultimi tempi, una maggiore attività diplomatica di questo ministro di Inghilterra, il quale ebbe ieri una udienza reale, si intrattenne subito dopo in lungo colloquio con ministro di Jugoslavia.

Nel pomeriggio quest'ultimo si è recato da lui a Durazzo. Oggi poi il signor Hogdson è venuto nuovamente a Tirana a intrattenersi lungamente con ministro di Francia.

Giudichi V. E. se non sia il caso di attirare l'attenzione del Foreign Office su questa attività che il ministro britannico manifesta in modo assai ambiguo ogni volta che i nostri rapporti con l'Albania attraversano un periodo maggiormente delicato (mi riferisco anche all'atteggiamento da lui tenuto al momento della campagna sull'unione doganale).

(1) La lettera fu inviata da Grandi a Suvich, perché la consegnasse a Mussollni, con un biglietto di cui si pubblica il passo seguente: «Ti sarò grato se vorrai consegnare questa lettera. al Duce. Essa ha un carattere assai personale, e ti sarò grato se, per ovvie ragioni, tu farai in modo che essa non vada in giro».

207

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 965/82 R. Ginevra, 15 marzo 1933, ore 3 (per. ore 6,30).

Oggi nel pomeriggio sono stato convocato da MacDonald a cui ho riferito risposta tedesca che per seguenti ragioni ha vivamente soddisfatto ministri inglesi: in primo luogo contrasto tesi italiana e tedesca dimostra irrefutabil

mente inesistenza preteso accordo itala-tedesco; in secondo luogo resta esclusa possibilità temuto colpo di testa tedesco immediato riarmamento finché conferenza continuerà mantenersi in vita. Mentre discutevamo è giunto telegramma Graham sul colloquio V. E. circa richiesta visita MacDonald in Italia (l). Ministri inglesi hanno accettato con soddisfazione vivissima. MacDonald testualmente dettomi: «Voglio mettere questa visita tutto mio cuore». Dietro suo invito gli ho fornito ancora altri chiarimenti su complesso visione V. E. ricostruzione europea e maggiori problemi politici. Mi ha detto essere completamente d'accordo. Chiestomi poi come regolarsi eventualmente broncio francese. Gli ho risposto poter invitare francesi considerare visita con stessa serenità con cui opinione pubblica italiana ha considerato frequenti fermate Parigi dei ministri inglesi nei loro viaggi da Londra a Ginevra.

Espostami sua opinione necessità rompere col passato e battere nuova via preconizzata da V. E. della collaborazione grandi Potenze alla soluzione maggiori problemi politici. Unicamente tal modo sarebbe possibile salvare situazione. Disgraziatamente egli erasi convinto che Francia non (dico non) avrebbe accettato tale sistema perché di fronte all'Italia e Germania ostili ed Inghilterra neutrale sarebbesi trovata minoranza. Nell'ultima gita Parigi egli aveva sondato Daladier e Boncour circa eventuale gita in Italia e li aveva trovati contrari. Postami precisa domanda se ritenevo potesse esservi possibilità alcuna convincere Francia sistema collaborazione, ho risposto che qualora Francia potesse essere sicura trovarvi possibilità uscire da precarie condizioni cui attualmente travasi di fronte questione disarmo e relazioni con Germania, ritenevo che forse avrebbe ceduto.

MacDonald mi ha detto anche di questo avrebbe fatto oggetto scambio di idee con V. E.

Fine colloquio, durato un'ora, MacDonald mi ha dichiarato, con tono estremamente soddisfatto, che risoluzioni che, egli aveva fiducia, andava a concretare Roma, avrebbero coronato sua vecchia aspirazione che prima di adesso egli non aveva avuto possibilità.

Prima risposta definitiva chiedevami riflettere un'ora.

Ritornato dopo trascorsa ora, ministri inglesi mi hanno comunicato seguenti decisioni: -· "'""Wi

Dato che opinione pubblica inglese non riuscirebbe comprendere utilità presente gita MacDonald Ginevra, se egli nulla vi avesse concluso, egli ha bisogno pronunciare qualche dichiarazione prima della partenza. Giovedì mattina prenderà quindi parola commissione politica disarmo per mettere rilievo punto cui sono giunti lavori e difficoltà esistenti, nonché numerosi problemi politici cui risoluzione egli crede rendere indispensabili conversazioni dirette fra uomini politici responsabili.

In seguito Henderson sospenderà lavori per qualche giorno lasciando chiaramente intendere non (dico non) trattarsi... (2). Tali sono linee generali pro

gramma previsto e sono suscettibili solo qualche lieve modifica dato che MacDonald non ha ancora potuto preparare discorso. Giorno successivo, ossia nella serata venerdì, partirà Italia ove giungerà sabato mattina per profittare aeroplani messi sua disposizione e giungere così pomeriggio stesso giorno Roma. Simon dettomi che per definire particolari viaggio nonché accordi protocollari si rivolgerà Graham perché provveda d'intesa col ministro.

MacDonald mi ha espresso desiderio, cui credo tenga molto. che sua figlia possa compiere anche lei, regolamento lo permette, viaggio in aeroplano. Prima congedarmi ho chiesto se potevo telegrafare V. E. tutto quanto erasi discusso e deciso fra noi nella giornata.

Ho avuto risposta affermativa.

Qualora, come credo, non avverrà nessun sostanziale mutamento suddetta decisione, partirò giovedì immediatamente dopo discorso per trovarmi a Roma, 24 ore prima MacDonald, a disposizione di V. E.

(l) Cfr. n. 209.

(1) -Cfr. n. 200. (2) -Gruppo lndeclfrato.
208

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. s. 989/159 R. Berlino, 15 marzo 1933, ore 21,15 (per. ore 1,30 del 16).

Neurath mi ha convocato nel pomeriggio e mi ha rimesso seguente promemoria (l): Progetto patto italiano (2) è una concezione geniale che potrebbe aprire via di uscita dalle difficoltà della situazione presente politica. Governo tedesco sarebbe pertanto eventualmente ben disposto entrare trattative circa progetto.

Esso desidera per altro esporre al R. Governo in via riservata, seguenti osservazioni ad alcuni punti di esso.

Articolo 2 progetto contiene nel primo periodo chiara conferma principio revisione trattati di pace. Nel secondo periodo realizzazione questo principio viene devoluta S.d.N. Poiché dlsposlzionl a termini del Covenant sono praticamente del tutto insufficienti, occorreva ctare progetto, in questo punto, redazione più precisa forse nel senso che le parti contraenti cercheranno realizzare revisione mediante intesa reciproca st varranno, per ciò fare collaborazione organo S.d.N.

Governo tedesco saluta con particolare compiacimento principio enunciato nel primo periodo articolo 3 che in vista risultati non soddisfacenti conferenza disarmo, parità diritto tedesca deve avere subito portata effettiva. Per quanto

concerne realizzazione questo princ1p10, Germania non intende fare uso subito della parità diritto nella misura che sarebbe giustificata dal mancato disarmo di Stati come la Francia. Limitazione proprio diritto, che la Germania sarebbe disposta accettare, dovrà essere per altro ridotta a 5 anni, termine di durata prima convenzione disarmo.

Qualora si dovesse conservare attuale redazione secondo periodo art. 3, accadrebbe che la Germania, per i provvedimenti che essa dovrebbe prendere per riarmarsi, rimarrebbe, anche dopo firma patto politico, dipendente arbitrario giudizio Governo francese. Con riserva di una soddisfacente redazione due punti suddetti, Governo tedesco potrebbe dichiararsi d'accordo rimanenti disposizioni progetto. Ho spiegato a Neurath che le disposizioni art. 2 non andavano intese nel senso dovesse essere lasciato alla S.d.N. se e quando sl dovesse procedere ad una revisione dei trattati. Principio informatore patto intesa collaborazione proposto da V. E. era quello devolvere alle 4 Potenze occidentali soluzioni maggiori problemi politici.

Poiché per altro esisteva S.d.N. e poiché art. 9 Covenant si riferisce espressamente revisione trattati, V. E. credeva che il principio revisione, qualora fosse riconosciuto di attualità dalle Potenze, dovesse essere applicato nell'ambito Società delle Nazioni, in altre parole che quest'ultima dovesse, ancorché solo formalmente contribuire azione revisione; Neurath mi ha risposto che in tal caso egli era pienamente d'accordo con V. E. e riteneva che sarebbe stato agevole escogitare redazione che tenesse conto sue osservazioni. Quanto alla osservazione fatta articolo 3 pregai von Neurath spiegarmi meglio suo pensiero. Egli mi ha detto che la Germania non poteva assumere impegno non armare per dieci anni che in misura molto limitata. Egli ammetteva di buon grado principio della graduazione e quello degli accordi successivi da prendersi al riguardo, proposti da V. E., ma domandava che il primo gradino degli accordi fosse di 5 anni, che si stabilisse tra le 4 Potenze quale prog,ramma di riarmamento potesse Germania svolgere in questo periodo di tempo. Dopo i primi 5 anni si sarebbe poi discusso programma da svolge,rsi successivamente. Questo sa,rebbe stato più o meno ampio a seconda de:i progressi fatti durante primo quinquennio dall'idea riduJ.'re armamenti degU altri Stati. Von Neurath mi ha dichiarato che Ja Germania non aspirava affatto raggJ.unge,re potenza armamenti francesi ma che non voleva legarsi le mani per più di 5 anni e mi ha lasciato intendere che se su primi 5 anni avrebbe potuto consentire armare moderatamente, non voleva obbligarsi sin da ora su altri cinque anni contando evidentemente poter allora procedere più speditamente proprio armamento. Ho fatto osservare al ministro degli affari esteri che avendo V. E. parlato di accordi successivi da prendersi, mi sembra che la sua osservazione ricevesse già risposta soddisfacente da attuale redazione.

Von Neurath mi disse che aveva veduto poco prima cancelliere il quale aveva accolto con il maggior compiacimento proposte di V. E. e aveva dato sua adesione osservazioni presentate che egli sperava sarebbero state trovate giuste da V. E. Aggiunse che aveva riferito parte di cose da me dettegli ieri ma che desiderava che io gliele ripetessi per esteso nel colloquio che avrò con lui domani.

(l) -Il promemoria è edito In Akten, I, l, n. 84. (2) -Cfr. n. 165.
209

IL MINISTRO A TIRANA, KOCH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1004/49 R. Tirana, 15 marzo 1933, ore 23,30 (per. ore 4 del16).

Mio telespresso n. 242 del 25 febbraio u.s. (1).

Malgrado assicurazioni che ebbi dal ministro degli affari esteri, il ministro dell'istruzione ha impartito al nostro nuovo organizzatore culturale istruzioni analoghe a quelle già date al prof. Bedosti, mettendolo intanto nella completa inattività.

Programma del ministro (evidentemente compilato d'accordo col Re, se non voluto espressamente da lui) è il seguente:

l) A partire dal 1° aprile prossimo ministero dell'istruzione avrà diretta gestione delle quattro scuole (compresa quindi quella di Scutari) alle quali sarà preposto un direttore albanese;

2) Attuali programmi e corpo imegnanti saranno mantenuti fino allo scadere dell'attuale anno scolastico;

3) Col nuovo anno scolastico l'insegnamento nelle quattro scuole verrà impartito in lingua albanese, da personale albanese con programma albanese;

4) Assicurata una forma di prestazione della lingua italiana (che... (2) obbligatoria) e di quelle materie tecniche, per le quali manca personale adatto albanese, sarà affidata ad insegnanti italiani;

5) A partire dalla fine dell'anno scolastico in corso, il personale italiano insegnante in tutte le scuole del Regno sarà assunto con contratto stipulato ex nova, secondo bisogni e secondo gli al)prezzamenti del ministro dell'istruzione.

Quanto a borse di studio ora amministrate dall'Italia, saranno tenute direttamente dal ministero dell'istruzione sin dal lo aprile prossimo, secondo disposizioni legislative esistenti nel paese per tale materia.

Per le scuole elementari sarà senz'altro applicata la legge da me trasmessa 1'11 corrente con rapporto n. 319 (1). Queste decisioni che il Governo albanese intenderebbe, senz'altro, applicare con provvedimento unilaterale a partire 1° aprile prossimo, stanno a dimostrare in che conto esso tenga generosi sforzi del Governo fascista e gli impegni [ai quali] il Re si dichiarò moralmente legato al momento della conclusione del prestito.

Ho richiamato seriamente attenzione del Re su questo stato di cose facendo presente che esse, in pieno contrasto con quei principi di collaborazione che erano stati concordati al momento dei nostri apporti finanziari e non è punto in armonia con lo spirito amichevole su cui si basa l'alleanza amichevole fra i due paesi. Ho manifestato la speranza che si sarebbe rivenuti su tali disposi

zioni del ministro dell'istruzione, che, se fossero applicate, sarebbero considerate come un atto non amichevole, da parte R. Governo; come tali intanto io le consideravo.

Il Re ha cercato di attenuare l'atteggiamento del ministro dell'istruzione, che nel fondo ha però condiviso; mi ha detto che queste disposizioni circa gli istituti scolastici fanno parte programma di statizzazione seguito dal Governo albanese sulle tracce di quanto fa il Governo fascista; ha sottolineato che non prese nessun impegno al momento del prestito e che rifiutò anzi di aderire al progettato scambio di note con le quali il ministro Soragna voleva prospettare le convenzioni del prestito; che egli del resto per mostrare il suo desiderio di favorire la propaganda della nostra cultura nel suo paese, avrebbe reso obbligatorio l'insegnamento della lingua italiana nelle scuole medie (promessa questa che, come è noto, ci è stata fatta più volte ma non è stata mai fin qui mantenuta).

Credo che il Governo albanese insisterà effettivamente su queste sue pretese. Non mi pare che in tal caso potremmo senz'altro prestarci anche per non vedere diminuito il nostro prestigio in questo Paese.

(l) -Non pubblicato. (2) -Gruppo !ndec!frato.
210

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 995/170 R. Parigi, 16 marzo 1933, ore 13,10 (per. ore 15,30).

Per quanto si parlasse da alcuni giorni di una probabile visita di MacDonald a S. E. il Capo del Governo, annunzio ufficiale datone iersera ha provocato sensazione. , 1"T:

r

Avvenimento è stamane commentato in vario senso a seconda della particolare tendenza di ciascun giornale. Echo de Paris ad esempio se la prende con Boncour che si è fatto giuocare e considera anche inopportuno il viaggio a Ginevra di Daladier, deciso iersera improvvisamente.

La nota giusta è data secondo me dal corrispondente Ginevra del Petit Parisien: riflessioni di Jullien, senza dubbio di ispirazione ufficiosa, riassumono d'altra parte impressioni condivise larghi strati dell'opinione pubblica francese. Il giornale scrive che il riarmamento della Germania costituisce il maggior pericolo del momento presente. L'appoggio che il Reich sembra comporti in Italia determina ripercussioni in Francia. Se, come sembrami, MacDonald si propone, andando a Roma, di ottenere una modificazione di tali direttive italiane, la Francia non può non vedere con la più sincera simpatia il suo viaggio. Il giornale non esclude la possibilità di un prossimo cambiamento che l'opposizione dell'Italia alla conferenza del disarmo, non lasciava speranza negli ultimi tempi.

È fuori dubbio che la speranza di un'intesa con l'Italia è oggi più che mai il voto dell'immensa maggioranza del popolo francese, che si rende conto dell'importanza del fattore italiano nella politica mondiale e dell'ineluttabile necessità per la Francia di tenerne conto.

211

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 999/160 R. Berlino, 16 marzo 1933, ore 14,30 (per. ore 19).

Hitler dopo aver ascoltato attentamente per oltre mezz'ora esposizione situazione politica da me fattagli conformemente istruzioni di V. E., mi ha detto che progetto patto sottopostogli era frutto di una concezione geniale.

Ove V. E. riuscisse farlo accettare dalla Francia (adesione dell'Inghilterra gli sembrava probabile) ella renderebbe servizio incommensurabile alla Germania ed al mondo.

Hitler accennò poi alle due osservazioni già fattemi ieri da von Neurath (mio telegramma n. 159) (1). Gli diedi le stesse spiegazioni già date al ministro degli affari esteri. Egli, senza esitazione, le dichiarò soddisfacenti e tenne a dirmi che da parte tedesca non si aveva avuto intenzione sollevare difficoltà poiché si approvava qui patto proposto.

Credetti accennargli, in esecuzione telegramma di V. E. n. 85 (2), possibilità che il termine della durata del patto fosse abbreviato. Egli osservò che non aveva grande importanza che un tale accordo durasse sette anni piuttosto che dieci.

Essenziale era che esso fosse concluso e che un nuovo spirito e una fiducia sino ad ora inesistenti reggessero mondo. Personalmente credeva che sarebbero però occorsi dieci anni perché crisi economica fosse interamente superata.

Hitler concordò per eventuale firma a Torino, riconobbe giustissime considerazioni da me esposte circa opportunità che sua andata a Roma fosse ritardata, espresse riconoscenza per comodità viaggio ferrovia che V. E. intende offrirgli e disse che sarebbe stato lieto constatare con i propri occhi sviluppi Italia.

212

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1000/164 R. Berlino, 16 marzo 1933, ore 19,50 (per. ore 21,30).

Ho intrattenuto cancelliere Hitler problema austriaco. Quanto Anschluss, egli escluse che sia problema attuale, disse che il sollevarlo creerebbe complicazioni internazionali gravissime; sarebbe del resto cosa inutile perché Germania ed Austria sono destinate seguire d'ora innanzi, anche rimanendo separate, stessa politica che sarà quella di «far del fascismo" in entrambi gli Stati.

Si mostrò invece irriducibile questione buttare a mare Dollfuss e di indire elezioni. Disse che attuale cancelliere austriaco non può contare sopra maggioranza, che pertanto Austria è minacciata nella propria indipendenza dalla

Francia, sola Potenza che le può dare continuamenLe danaro pt::rché tanto Italia che Germania sono povere. Egli vuole elezioni perché è sicuro che avverrà anche in Austria quanto avvenne in Germania, ancorché in tono minore. Conta sopra 45 socialnazionalisti, 50-55 cristiano-sociali, contro 70-80 mandati marxisti. A mio avviso Heimwehren non hanno alcun seguito e lo si vedrà nelle elezioni. È assurdo ritenere che i cristiano-sociali possano accordarsi con socialdemocratici i quali in Austria sono veri e propri comunisti.

Disponendo Governo austriaco nazionalsocialista dopo le elezioni, maggioranza 20,30 voti, esso non dovrà più temere ricatti dalla Francia in materia economica e si rivolgerà dove è naturale si rivolga cioè alla Germania.

Gli ho domandato chi desidererebbe vedere posto Dollfuss. Ha risposto non avere preferenze ma che non può appoggiare Dollfuss perché ha commesso errori troppo gravi ed è esautorato.

Insistetti perché si vedesse di seguire linea di condotta comune fra Germania e Italia in Austria. Hitler ha detto che lo desiderava ma ha aggiunto che non poteva cambiare suo modo di vedere perché era basato sopra conoscenza personale molto precisa situazione e perché gli stava a cuore che l'Austria potesse salvarsi dal pericolo essere asservita alla Francia ed alla Piccola Intesa, interesse questo comune all'Italia, alla Germania ed all'Ungheria.

(l) -Cfr. n. 208. (2) -con t. 2646/85 P. R. del 15 marzo, ncn pubblicato, suvlch aveva Informato Cerrut! della posslb111tà di limitare la durata del patto al 1940.
213

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. s. 997/165 R. Berlino, 16 marzo 1933, ore 19,45 (per. ore 21,30).

Ieri von Neurath mi domandò se V. E. credeva che Francia avrebbe approvato patto intesa e collaborazione proposto. Risposi ritenere che V. E. avesse buone ragioni per essere ottimista al riguardo.

214

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. s. 998/166 R. Berlino, 16 marzo 1933, ore 19,45 (per. ore 21,30).

Mio telegramma n. 160 (1).

Barone von Neurath mi disse ieri che cancelliere gli aveva chiesto come avrebbe accolto U.R.S.S. la conclusione eventuale del patto di intesa e collaborazione.

Egli aveva risposto ritenere che U.R.S.S. se ne sar~bbe compiaciuta, soprattutto se, come non dubitava, uermania e Italia gliene avessero, subito dopo firma, dato conoscenza e spiegata portata eminentemente paci1!Ca.

(l) Cfr. n. 211.

215

IL MINISTRO A TIRANA, KOCH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 1009/50 R. Tirana, 16 marzo 1933, ore 21,10 (per. ore 2 del 17).

Mio telegramma n. 48 (1).

Artificiosa montatura per situazione finanziaria va accentuandosi e lavorio diplomatico va facendosi più intenso. Scorsi giorni si agitava particolarmente il ministro d'Inghilterra; ora si agita soprattutto ministro degli Stati Uniti. Questo

ha avuto ieri e oggi lunghi colloqui con ministro di Jugoslavia. All'ufficio telegrafico si nota un particolare movimento di telegrammi per Londra, Parigi e Belgrado. Non è escluso che questi contatti nascondano qualche tentativo di intesa

ai nostri anni. Essa potrebbe essere diretta sia a spingere l'Albania a rivolgersi alla S.d.N. per aiuti di carattere economico e finanziario che le permettano di liberarsi dalle pressioni che si attribuiscono all'Italia per il pagamento della S.V.E.A., allo scopo di ottenere una garanzia di integrità e di neutralità che le consenta, con la smobilitazione dell'esercito, di raggiungere più facilmente il suo equilibrio finanziario. Tali voci si sono già sparse più volte nel passato e forse hanno anche oggi il valore di manovra voluta dal Re Zog, ma occorre tener presente che in pari tempo si stanno verificando tutti questi intrighi diplomatici.

Mentre cerco di vigilare qui, permettomi di confermare quanto ho accennato nel citato telegramma circa convenienza di richiamare attenzione del Governo inglese su attività di questo ministro d'Inghilterra e di sottoporre al giudizio di v. E. utilità di ricordare ad altre cancellerie impegni contenuti nella dichiarazione del 1921, non escludendo quelli di Washington.

Non mi pare sia il caso di far da parte mia nessun passo presso il Re poiché, finché non risulti qualche cosa di preciso su cui basare la nostra azione, esso non farebbe che avvalorare questa sua voluta campagna. Non sfuggirà in ogni modo a V. E. come con tale manovra egli tenda in definitiva a svisare codesto nostro atteggiamento e indebolire con tali pressioni nostra resistenza in modo da ottenere un nuovo accordo con S.V.E.A. che liberi l'Albania dai pegni esistenti.

(l) Cfr. n. 206.

216

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO

T. PER CORRIERE 426 R. Roma, 16 marzo 1933

Suo telespresso n. 894/394 (1).

Le è già stato trasmesso per sua opportuna conoscenza quanto è stato comunicato dalle RR. rappresentanze interessate sia per quanto concerne la portata effettiva del nuovo statuto della Piccola Intesa, sia circa i possibili sviluppi della sua politica nel bacino danubiano e nei Balcani.

Gli Stati componenti la Piccola Intesa hanno ciascuno una preoccupazione dominante, la Cecoslovacchia la Germania, la Jugoslavia l'Italia e la Romania l'URSS. Riunendo queste preoccupazioni singole intorno al comune denominatore del revisionismo, col nuovo statuto unitario ognuno di essi ha inteso principalmente limitare la libertà d'azione degli altri due nel settore che particolarmente lo interessa. È evidente quindi che per il giuoco dell'art. 6 dello statuto il fattore rumeno assume una importanza preponderante per quanto riguarda le relazioni con l'U.R.S.S. Jugoslavia e Cecoslovacchia non solo non potrebbero quindi regolarizzare, senza il consenso della Romania, i loro rapporti con l'URSS ma anche dovrebbero uniformare la loro politica verso i Soviet alle direttive di Bucarest. Cosi almeno stando alla lettera degli accordi.

Vi è poi un altro elemento che non dovrebbe sfuggire all'attenzione di codesto Governo: gli eventuali sviluppi cioè della politica della Piccola Intesa nei riguardi della Bulgaria per la pressione che un simile aggruppamento potesse esercitare sugli stretti e cioè in un interesse vitale dell'URSS.

V. E. è stata informata dalle istruzioni inviate in proposito al R. ambasciatore ad Angora (2). Lascio a V. E. di giudicare dell'opportunità di intrattenere in proposito codesto Governo ed in qual forma e misura. Informerò V. E. delle osservazioni del R. ambasciatore ad Angora e della azione che egli abbia a svolgere presso quel Governo. In relazione a ciò la successiva a:;~ione di V. E. dovrebbe indurre codesto Governo ad esercitare una azione conciliatrice fra la Grecia e la Bulgaria.

Vedrà poi V. E. se, e fino a qual punto, Le sarà possibile di servirsi degli elementi fornitile per attirare l'attenzione di codesto Governo sull'azione della Francia che se da una parte mostra di orientarsi verso una politica di collaborazione con codesto Governo, dall'altra incoraggia od almeno tollera un'attività politica che contiene una punta potenziale contro l'U.R.S.S.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 217.
217

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE AD ANKARA, LOJACONO (l)

T. PER CORRIERE 427 R. Roma, 16 marzo 1933.

Da quanto è stato pubblicato sulla stampa e dalle informazioni pervenute dalle RR. rappresentanze, comincia a delinearsi tanto la portata effettiva del nuovo statuto della Piccola Intesa quanto l'azione politica concertata che i tre Stati potrebbero essere portati a svolgere sia nel bacino danubiano che nei Balcani.

Sull'argomento, con telegramma per corriere n. 384 c. R. (2) le è stato trasmesso un recente rapporto del R. ministro in Vienna.

Trattasi evidentemente non di una politica già in atto, ma solo di eventuali possibilità avvenire. La questione è tuttavia di troppo grande importanza per noi perché non si debba prenderla, sin da ora, in attenta considerazione (3).

Pur non esagerando le possibilità effettive di realizzazione, il punto di minore resistenza sembra essere oggi la Bulgaria, isolata politicamente e geograficamente e quindi meno in grado di resistere ad eventuali pressioni od allettamenti. Ciò anche tenendo conto dei possibili sviluppi della crisi jugoslava.

Queste nostre considerazioni dovrebbero trovare completa rispondenza presso codesto Governo.

È evidente infatti che qualora, in un modo o nell'altro, si riuscisse di far entrare anche la Bulgaria nell'orbita della Piccola Intesa, la situazione politica e militare della Turchia spe'Cialmente nei riguardi degli Stretti, verrebbe a trovarsi in condizioni di manifesta inferiorità.

Converrebbe quindi ritentare la via già battuta di avvicinare cioè la Bulgaria al binomio greco-turco, e, come prima mossa, adoperarsi per un componimento delle questioni pendenti fra la Grecia e la Bulgaria.

Non mi nascondo le gravi difficoltà che si incontrano, ma l'attuale attività politica della Piccola Intesa, che costituisce indubbiamente, sia pure per diverse considerazioni, una minaccia potenziale per la Bulgaria come per la Grecia e per la Turchia, e forse anche la mutata situazione interna in Grecia, possono determinare un'atmosfera più favorevole alla realizzazione della nostra politica.

Sarei in ogni modo d'avviso che non ci convenga però di prendere, almeno in un primo tempo, l'iniziativa dell'opera di conciliazione. Sarebbe preferibile fare agire prima la Turchia e mantenere l'Italia in riserva per un intervento al momento che giudicheremo favorevole e decisivo.

Tewfik bey, nella sua conversazione avuta a Ginevra con il barone Aloisi (4) e di cui ella è stata informata, si è messo a nostra disposizione per qualsiasi azione da svolgere in comune.

hl -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. Xlii

Ove V. E. non abbia prima considerazioni sue da esporre in proposito, potrà parlargli della questione, esporgli nelle loro linee generali le idee suesposte, sentirne il pensiero circa le possibilità pratiche di realizzazione riferendomi in proposito.

Sarà bene anche che ella si adoperi in modo che codesto Governo faccia pervenire a Mosca il suo pensiero circa i possibili sviluppi della politica della Piccola Intesa, con particolare riguardo alla pressione che essa potrebbe esercitare sugli Stretti e tenuto conto della importanza che oggi assume, per il giuoco dell'art. 6 dello statuto, il fattore romeno per quanto riguarda la politica della Piccola Intesa verso l'URSS.

(l) -Il telegramma venne inviato, per conoscenza, anche all"ambasciatore a Mosca, Attol!co. (2) -Cfr. n. 163, nota 2. (3) -Fin qui 11 telegramma venne inviato ~n pari data anche a Belgrado, Bucarest, Budapest e Praga con 11 numero 429 e la seguente istruzione: «Prego V. S. di volermi far conoscere quanto possa eventualmente risultarle In proposito ed 11 suo pensiero sull'argomento». Un telegramma di tenore analogo fu inviato in pari data a Atene e Sofia col n. 428. (4) -Cfr. n. 120.
218

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1239/167 R. Berlino, 16 marzo 1933 (per. il 31).

Ieri sera ho incontrato il vice cancelliere von Papen ed ho discorso a lungo con lui, mettendolo al corrente delle mie conversazioni di questi giorni con il barone von Neurath. Von Papen fu molto lusingato quando gli dissi che V. E. pensava che egli avrebbe approvato le linee direttive che l'avevano indotta a proporre la conclusione di un patto di intesa e collaborazione fra le quattro grandi Potenze di Europa. Egli vi diede infatti la sua adesione piena ed intera lieto di sapere che il cancelliere Hitler ed il barone von Neurath l'avevano già data.

Nel corso della conversazione von Papen mi disse che anche lui aveva pensato che l'unico mezzo per salvaguardare il mantenimento della pace fosse quello di intendersi fra le varie Potenze ed era in questo senso che aveva parlato ad Herriot. Le sue parole erano state volutamente travisate o interpretate falsamente. Lo pregai a questo punto di dirmi come si fossero passate le cose. Von Papen aderì volentieri al mio desiderio e disse che a Ginevra, di fronte all'atteggiamento francese che non ammetteva un disarmo se prima non ci fosse la «sicurezza», egli aveva proposto di fare un accordo di conciliazione. Il presidente del Consiglio francese aveva insistito sul principio che occorreva assolutamente la «sicurezza» ed allora egli aveva osservato che la sicurezza «piena ed intera >> non si poteva ottenere che concludendo un'alleanza militare francogermanica. Queste sue parole che non erano state pronunciate coll'intenzione di fare una proposta, ma soltanto come una osservazione di fatto, erano state divulgate ad arte per farlo apparire come un elemento perturbatore della pace. Dissi a von Papen che nell'URSS si era stati assai risentiti per le pretese sue affermazioni, giacché si era pure detto che al signor Herriot che gli aveva chiesto contro chi sarebbe stata diretta l'alleanza militare, egli avrebbe risposto: naturalmente contro i Soviets.

Von Papen negò di avere detto una cosa simile e mi dichiarò pure che nulla era stato più lontano dal proprio pensiero che un'intenzione meno che amichevole verso l'Italia.

Mi ripetè che una sua frase pronunciata non durante un colloquio politico, ma in una conversazione generale era stata sfruttata per un secondo fine, quello di nuocere alla Germania ed a lui personalmente, dato che le proprie idee politiche non collimavano certo con quelle dei radicosocialmassoni francesi. Era stata una speculazione politica in mala fede. Ad ogni modo era lieto che oggi il maggior uomo di Stato vivente si facesse paladino di un'opera di conciliazione fra le quattro maggiori Potenze europee, per assicurare la pace al mondo e formulò i voti più sinceri per il successo dell'iniziativa.

219

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 168 (1). Berlino, 16 marzo 1933.

Faccio seguito al mio telegramma odierno 160 (2).

Il cancelliere Hitler accolse con molto interesse le cose da me dettegli in nome di V. E. circa i provvedimenti energici che occorreva prendere per porre termine agli eccessi di alcuni dei suoi seguaci. Gli avevo naturalmente riferito precedentemente l'ottima impressione riportata da V. E. per la straordinaria energia da lui spiegata nel prendere in mano tutte le leve di comando, del che fu molto compiaciuto. E gli avevo detto che V. E. gli faceva parlare in nome della grande simpatia che aveva per lui personalmente, del desiderio che la rivoluzione social-nazionale costituisse un Governo forte e duraturo e soprattutto, non come studioso teorico di problemi storici, ma come capo della rivoluzione fascista che aveva fatto egli stesso della storia, che aveva vissuto giorni di lotta e di ansia ed aveva dovuto affrontare difficoltà non diverse da quelle cui doveva far fronte ora Hitler.

Il cancelliere mi incaricò di ringraziarla delle gradite amichevoli comunicazioni e di riferire a V. E. che egli aveva già preso e prenderebbe, occorrendo, ulteriormente le misure necessarie, dando, come V. E. gli suggeriva, qualche «esempio » salutare.

220

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1034/169 R. Berlino, 16 marzo 1933 (per. ore 8 del 19).

Dispaccio di V. E. n. 1598 gabinetto del 3 marzo corrente (3).

Ho riassunto al cancelliere il rapporto di S. E. Attolico del 7 febbraio scorso (l), dicendogli che V. E. glielo faceva comunicare in via confidenziale.

Nel ringraziare il cancelliere confermò quanto mi aveva detto anteriormente, che cioè i rapporti germanico-sovietici rimarrebbero immutati. Egli riteneva anzi, che dopo una scossa inevitabile, sarebbero divenuti ancora migliori che per il passato, perché non sarebbe più esistito, in Germania il comunismo, cosicché l'U.R.S.S. avrebbe potuto trattare con la Germania senza che i due Stati fossero influenzati da un «fattore psicologico~ che finora li aveva obbligati a conservare sempre una certa riserva. Il « comunismo », aggiunse Hitler, «è per me soltanto una forma di Governo in casa d'altri e non ho alcuna obiezione a trattare con esso. In Germania infatti non ammetto che esista. Del resto, quando uno di questi giorni vedrò l'Ambasciatore dei Soviet, glielo dirò apertamente e sono certo che egli comprenderà il mio pensiero che è poi quello del Governo di Mosca il quale non tollererebbe certo una propaganda socialnazionale nell'U.R.S.S.~ (2).

(l) -Privo di numero di protocollo generale perché non inserito nella raccolta del telegrammi in arrivo. (2) -Cfr. n. 211. (3) -Non rinvenuto. Sl tratta probabilmente delle i,struzioni cui si fa cenno nel n. 186.
221

COLLOQUIO FRA... (3) E L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, GRAHAM

APPUNTO. Roma, 16 marzo 1933.

L'Ambasciatore di Inghilterra è venuto a presentare l'unito Aide-Mémoire, che avrebbe dovuto dare personalmente a S. E. il Capo del Governo, ma data l'urgenza della cosa mi prega di assumere questo incarico.

Mi dice che gli ambienti politici francesi sono molto nervosi perché si parla della possibilità dell'Anschluss, contro il quale il Governo italiano avrebbe lasciato cadere la propria opposizione.

Gli rispondo che, ad onta dell'atteggiamento eccessivo dei « nazi » in Austria si deve ritenere che non ci sia nessun pericolo attuale dell'Anschluss e che il governo italiano non ha modificato il proprio punto di vista in tale riguardo.

ALLEGATO

L'AMBASCIATA DI GRAN BRETAGNA A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

PROMEMORIA 192/7/33. Roma, 16 marzo 1933.

His Majesty's Embassy have the honoor to inform the Royal Ministry of Foreign Affairs that the Prime Minister and the Secretary of State for Foreign Affairs, after examining the situation at Geneva, have become convinced that if the Disarmament Conference is to avoid failure some fresh effort is required immediately. It will be generally agreed that failure would have incalculable consequences, and His Majesty's

Ministers have been at pains to consider how the Conference can be saved and hrw an opportunity can be given to it to reach practical results.

So long as the various aspects of the problem are tackled separately it seems unlikely, in the view of His Majesty's Government, that any progress can be made. No Government will commit itself on any ooe point until it knows what will be required of it on others. Even when offered a comprehensive settlement a Government can scarcely state its position until it knows the effect that settlement will have upon its neighbours. The only solution of this impasse would seem to be that some Government must undertake the ungrateful task of submitting a comprehensive and detailed settlement. His Majesty's Government in the United Kingdom have felt bound to undertake this task. Accordingly the Prime Minister will to-day address the Disarmament Conference, in the course of whlch he will make a generai survey of the situation and will refer also to the deterioration in European relations which makes the task confronting the Governments ali the harder; he will then outline the pian of a generai disarmament settlement which His Majesty's Government desire that the Conference should examine. His Majesty's Government will then immediately after the Prime Minister's speech circuiate to the Conference a draft convention.

His Majesty's Government are well aware that in attempting to find a via media leading to an equitable solution they are inevitably exposing themselves to criticism from nearly every side; they would, however, beg those Governments which are anxious to further the cause of disarmement to give-them their utmost sympathy and assistance and to bear in mind the spirtt in which His Majesty's Government are approaching this task.

(l) -R. 450/273, non pubblicato: riferiva circa le ripercussioni in URSS dell'instaurazione del Governo hitleriano in Germania. (2) -Ritrasmesso con t. 461 R. del 22 marzo !!, Mosca, Varsavia. Parigi, Londra e Bruxelles. (3) -Il colloquio ebbe luogo probabilmente fra Suvich e Graham. Alolsi il 16 marzo si trovava a Ginevra.
222

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A SOFIA, CORA

D. RR. 1833. Roma, 16 marzo 1933.

Ho Ietto il Suo interessante rapporto n. 582/153 del 16 febbraio (l) sullo stato attuale della questione Macedone. Circa la richiesta fattaLe a nome di Mihailoff dal Signor Tchkatroff, approvo il carattere mantenuto dalla S. V. alla conversazione avuta con lui.

Con la stessa cautela Ella vorrà regolarsi nei successivi contratti che sarà utile vengano tenuti con gli esponenti del movimento Macedone a scopo informativo.

223

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. [Ginevra, 16 marzo 1933] (2).

Arrivando, ho trovato una difficile situazione. Gli inglesi, passando per Parigi, avevano probabilmente cercato di indurre i francesi a qualche compro

messo, ma questi loro tentativi erano palesemente falliti. Verso i francesi, essi erano quindi in un certo disagio; verso i tedeschi, apparivano in un atteggiamento di profonda diffidenza nell'attesa che Hitler si manifestasse, e verso gli italiani mostravano una eguale diffidenza basata sul radicatissimo timore che esistessero accordi segreti italo-tedeschi. Il telegramma n. 156 del 9 corrente del R. Ambasciatore a Londra (l) rivela la seria consistenza di questo loro stato d'animo verso di noi al momento della loro partenza da Londra. Come ho comunicato nel mio telegramma n. 76 (2), MacDonald e Simon mi hanno ripetutamente rivolto esplicite domande al riguardo. Non solo, ma anche il Ministro ungherese von Kanya mi ha detto che anche a lui essi hanno posto nettamente la questione se esistessero accordi itala-ungheresi, o tedesco-ungheresi.

Gli inglesi apparivano completamente disorientati. I primi a mostrar subito chiaramente di mirare a trarre vantaggio della situazione sono stati i francesi. Troppo sicuri dell'isolamento di MacDonald verso l'Italia e la Germania, essi hanno spinto a fondo la loro manovra di accerchiamento, conducendo sulla stampa la campagna per il fronte unico franco-anglo-americano, nella fiducia di giungere ad avere gli inglesi nelle loro mani. Intanto il disorientamento e l'incertezza si erano estesi a tutte le altre Delegazioni, con cui ho avuto contatti.

In questa situazione, assicuratomi della immobilità della Germania sull'unico punto fermo di non voler permettere alcun attentato alla continuazione dei lavori della Conferenza, allo scopo d'impedirne il salvataggio (mio telegramma

n. 81) (3), e dell'assenza della Delegazizone americana, che priva di istruzioni, confessava di non avere né programmi né proposte, ho creduto opportuno lanciare la formula dell'aggiornamento allo scopo di deviare la discussione dei maggiori problemi politici connessi col disarmo dalla sterile e pericolosa accademia ginevrina alla serietà di una trattazione politica fra le Grandi Potenze interessate, in conformità con le visioni di V. E.

Intorno a questa proposta è rimasta imperniata per tutto il resto di questa settimana la battaglia politica, con gli inglesi al centro e da una parte i francesi decisi a non farli sfuggire e dall'altra noi che offriamo loro una via di uscita.

Lentamente, convincendo gli inglesi che, nell'assenza degli Stati Uniti e nella immobile intransigenza francese e tedesca sulle rispettive posizioni, l'unica possibilità di manovra era fornita dal fattore italiano, ho ottenuto che gli inglesi finissero sostanzialmente per accettare la proposta italiana, pur facendo qualche concessione alla opinione pubblica inglese, che esigeva dal « Premier » una qualche manifestazione politica a giustificazione della sua gita a Ginevra, nonché all'amor proprio francese, per cui gli inglesi tengono visibilmente ad usare qualche riguardo. A ciò si deve infatti l'invito dell'ultima ora rivolto da MacDonald a Daladier.

Due giorni or sono, gli inglesi si sono decisi per la gita a Roma, sfuggendo cosi all'accerchiamento francese.

(-2) Cfr. n. 195.

( 3) Cfr. n. 201.

Con .questa decisione, sostanzialmente, la Conferenza è sospesa, se non aggiornata, e i maggiori problemi politici sono sottratti ad essa e portati alla discussione fra le Grandi Potenze.

I primi segni della misura dell'importanza dell'avvenimento si sono avuti già stamane col precipitoso arrivo dell'ultima ora di Daladier, il quale col rimangiarsi il rifiuto dato solo un'ora prima al precedente invito inglese di venire a Ginevra, ha mostrato tutto il suo allarme per un possibile raffreddamento dei rapporti franco-inglesi; con una inaspettata visita mattutina di Nadolny, che non si è nemmeno fatto annunziare, e con le strida della stampa francese.

(l) -Con tale rapporto Cora aveva riferito, tra l'altro, che Tchkatroff gll aveva richiesto, a nome di Miha!lo!!, l'appoggio del Governo Italiano per ottenere il transito attraverso l'Albania del comltag! armati diretti nella Macedonia occupata. (2) -L'appunto, privo di data, ha come titolo «Disarmo, Ginevra 11-16 marzo 1933 -XI». Dai riferimenti nel testo e dal confronto col Diario di Aloisi p. 95 r,Jsulta che esso fu redatto il 16 marzo. (l) -Cfr. n. 185.
224

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 1085/591. Vienna, 16 marzo 1933 (per. il 4 aprile).

Mio rapporto n. 576 (1).

Come iersera il Ministro della Guerra Vaugoin, quest'oggi il Cancelliere ha tenuto a farmi la storia degli avvenimenti svoltisi ieri al Parlamento, in dipendenza del divieto apposto dal governo alla seduta indetta dal vice-presidente pangermanista Straffner.

Non ho mancato di far rilevare al Cancelliere che l'impressione generale era che le disposizioni del governo avevano rappresentato un sottile «mezzo termine» e come quest'impressione influisse non favorevolmente sul sentimento generale, e specie della giovinezza austriaca, ormai impaziente di azioni e di atteggiamenti effettivamente energici: ciò che avrebbe potuto pregiudicare fortemente la situazione dell'attuale governo.

Dollfuss ne ha convenuto pienamente. E nel maggior segreto mi ha confidato che le precise istruzioni da lui date ieri al capo della polizia di Vienna, signor Brandi, per impedire i piani dell'opposizione, erano state da questo tutt'altro che eseguite.

Il mio interlocutore mi ha quindi parlato delle misure eccezionali che il governo andava prendendo; mi ha annunziato in via del tutto riservata e personale il severo provvedimento che intende emanare senza indugio contro le organizzazioni armate socialiste del Tirolo e di una località della Bassa Austria (mio telegramma odierno n. 100) (2) e mi ha confermato infine la sua determinazione a proseguire nella via intrapresa.

Dollfuss mi ha poscia fatto comprendere la sua preoccupazione per la grande attività e per la viva opposizione dei nazi austriaci, accennando che solo una parola di S. E. il Capo del Governo al Cancelliere tedesco, allo scopo di ottenere una modificazione dell'atteggiamento del predetto movimento nazista austriaco, potrebbe migliorare grandemente la situazione.

A conforto di tali sue parole egli ha insinuato con grande discrezione che l'Anschluss è ormai in giuoco, i nazi austriaci volendolo al cento per cento, mentre il suo governo ed il suo partito si mantengono sul terreno nazionale.

Ha aggiunto che il governo ungherese si dichiara ostile all'Anschluss: informazione questa che contraddice a notizie di buona fonte pervenutemi circa accese simpatie che il signor Gi:imbi:is ed il suo entourage nutrirebbero per il movimento nazista, non solo in ragione del suo programma di destra ma anche per gli sviluppi che potrebbero derivarne in politica estera.

Il Cancelliere ha accennato poi al suo recente discorso, di cui al mio rapporto sopracitato; il che mi ha dato l'opportunità di sviare la conversazione.

In seguito il Cancelliere mi ha detto che le « Heimwehren » «devono far capo a lui e non già egli ad esse »: donde ho tratto conferma dei vivi incitamenti che vanno dando al governo Starhemberg e Fey, come entrambi mi hanno sempre dichiarato; e forse, in tono minore, il ministro Jaconcig, le cui reali tendenze, che alcuni vogliono volte all'opportunismo, non mi sono del tutto chiare, a malgrado di accesi propositi, che egli usa formularmi, parlando meco.

Ho trovato Dollfuss tuttora animato delle migliori intenzioni; ma forse un po' meno sereno e fiducioso che tre giorni fa.

Delle cose da lui dettemi circa la situazione interna, la più grave è certo quella concernente il comportamento assunto ieri dal Capo della Polizia di Vienna. Esso potrebbe lasciar supporre che il nazismo od n socialismo abbiano fortemente intaccato gli stessi organi di difesa dello Stato: n che potrebbe spiegare le manchevolezze che ho segnalato a V. E. nella recente azione del gabinetto Dollfuss.

Il Cancelliere non mi ha detto se egli si proponga o meno di sostituire il predetto alto funzionario: ma so che Starhemberg è deciso ad esigere tale misura.

(l) -Cfr. n. 204. (2) -T. s. 1001/100 R., non pubblicato.
225

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1013/131 R. Washington, 17 marzo 1933, ore 1,15 (per. ore 21).

Ieri ambasciatore d'Inghilterra chiese di vedere presidente per intrattenerlo sulla questione del disarmo. Dopo aver conferito con Davis, (che partirà settimana prossima per Ginevra come capo della delegazione americana) Roosevelt ha chiamato successivamente alla Casa Bianca ambasciatore di Francia e di Germania.

Mi risulta che presidente ha fatto presente ad entrambi gravità del momento e necessità per la Francia di fare dovute concessioni per la Germania di moderare sue pretese.

Mio collega di Germania mi ha confidato che presidente gli aveva parlato «con molta fermezza».

Commentando mossa del presidente, Davis mi ha detto che Roosevelt intende far tutto il possibile per evitare fallimento della conferenza. Egli conta per questo su collaborazione italiana e britannica e spera buoni risultati da colloquio di V. E. con MacDonald.

Parlando poi per conto suo Davis mi ha detto che il Governo degli S. U. spera

ancora che la Francia si renda conto del suo interesse di eliminare ragioni di

attrito con l'Italia e sappia agire in conseguenza.

Ho chiesto a Davis se vi era qualche cosa di cambiato nelle direttive della

delegazione americana relativamente ai problemi tecnici del disarmo.

Mi ha risposto che egli si andava convincendo di due cose:

1° -Che la questione degli effettivi aveva in realtà una importanza secondaria e che gli sforzi dovranno concentrarsi sul materiale, avendo principalmente in vista abolizione delle armi aggressive;

2° -Che per aeronautica militare non esisteva possibilità di adottare mezze misure.

Gli ho fatto osservare che questo era sempre stato il punto di vista italiano.

Circa proposte presentate da MacDonald (1), Davis non poteva ancora

pronunciarsi, ma ho avuto impressione che fosse piuttosto dubbioso sulla pos

sibilità di vederle accettate nella loro forma attuale.

226

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, E IL MINISTRO DEGLI ESTERI UNGHERESE, KANYA

APPUNTO. (2). Roma, 17 marzo 1933.

Il ministro de Kanya ha voluto fare un viaggio a Roma per conoscere e rendere omaggio al Capo del Governo.

Venendo a parlare di argomenti politici, tratta anzitutto della questione croata. Egli ha l'impressione che negli ultimi tempi la tendenza rivoluzionaria in Jugoslavia abbia perduto un po' di terreno, e ciò in conseguenza del deciso atteggiamento di repressione di Belgrado. Hanno contribuito certamente alla nuova situazione il patto della Piccola Intesa e i numerosi incontri avvenuti tra i Rappresentanti degli Stati Maggiori dei tre Paesi e l'incontro fra i Sovrani di Jugoslavia e Romania. Il Signor Kanya vede accanto ai croati come altro elemento su cui si può far conto nel caso dovessero scoppiare movimenti interni, quello dei macedoni. Oggi i macedoni stanno dilaniandosi fra loro, ma certamente, bene inquadrati ed indirizzati, possono offrire un elemento di prim'or

«Caro Alolsl -In complesso il piano è buono. Ottimo politicamente: la mutua assistenza europea è sfumata, rimane solo un Kellog con qualche estensione. Dal lato militare, molto meglio di quanto si creda. Sopratutto, non lasciatevi Influenzare dai gridi della Guerra. Con qualche ritocco, andrebbe. Attenti anche all'aeronautica: Fier mi dà la sua parola che è tutto accettablllssimo. Lunedì egli sarà qui e potrà spiegare Il suo punto di vista, ma fin d'ora vi metto In guardia. Sarò costi sabato coll'aereo alle 11 ».

dine. Tuttavia, pure tenendo conto della situazione grave in cui si trova la Jugoslavia, non si può calcolare su uno smembramento della stessa finché l'esercito tiene duro. E per ora, a parte qualche episodio di poco rilievo, non si può negare che l'esercito è ancora saldo.

Il Ministro de Kanya ritiene che tuttavia l'appoggio dato al movimento croato vada continuato e che convenga seguire molto da vicino la situazione che potrebbe indubbiamente riservare delle sorprese. Occorrerà anche uno stretto contatto fra il Governo italiano e quello ungherese e anche un contatto fra i due Stati Maggiori.

S. E. il Capo del Governo acconsente.

Passando alla questione Austria, il Ministro Kanya ritiene sia necessario ottenere in Austria un governo autoritario di destra perché l'Austria possa costituire un elemento armonico con l'Italia, l'Ungheria e anche la Germania. Egli ritiene altresì che la campagna per l'Anschluss fatta dagli elementi hitleriani debba essere abbandonata. Vede anche la necessità che i nazional-socialisti in Austria cessino dalla campagna contro Dollfuss e le Heimwehren. Ne ha scritto anche in proposito a von Papen, che è suo buon conoscente da molti anni, e pensa che si potrebbe interessare anche Hitler che dimostra molta comprensione per le necessità di politica estera.

Dopo uno scambio di idee sulla linea da seguire nei riguardi dell'Austria,

S. E. il Capo del Governo si dichiara d'accordo sul seguente programma: continuare a sostenere Dollfuss e le Heimwehren; evitare le elezioni, cercare di metter d'accordo Dollfuss con i nazional-socialisti e far entrare nel governo una rappresentanza di questi, che dovrebbero impegnarsi a non sollevare la questione dell'Anschluss. Se questo progetto non dovesse riuscire, si potrà esaminare la possibilità delle elezioni che dovrebbero esser fatte d'accordo coi partiti nazionali contro il fronte socialista e senza sollevare la questione dell'Anschluss, né in genere alcun'altra questione di politica estera. Bisogna ad ogni modo che i nazional-socialisti si decidano a combattere contro i socialdemocratici, anziché contro gli altri partiti nazionali.

Il Ministro de Kanya accenna poi ad altre questioni di politica estera dell'Ungheria, osservando che gli è stato fatto un rimprovero sia dal Ministro di Francia a Budapest, de Vienne, che dallo stesso Paul-Boncour a Ginevra, di fare la campagna del revisionismo condotta dallo stesso Capo del Governo Goemboes e di riarmare con l'aiuto dell'Italia e in genere di mettersi sempre con l'Italia contro la Francia. È stato anche ricordato che la Francia ha aiutato l'Ungheria in momenti molto difficili.

Il signor de Kanya ha risposto che l'Ungheria doveva cercare la propria sicurezza fuori della Francia, perché non pareva possibile che questa, legata alla Piccola Intesa, potesse assisterla in caso d'aggressione da parte di uno Stato di tale gruppo.

Il Ministro Boncour ha affermato che ciò non rispondeva all'atteggiamento francese e che il vero modo di tutelare la pace era quello di aderire al Patto di mutua assistenza. Il signor de Kanya a sua volta ha ribattuto che non vedeva quale aiuto l'Ungheria, tenuta sotto la pressione della Piccola Intesa, avrebbe potuto ritrarre da un simile Patto che non risolveva nessuno dei suoi problemi vitali.

Il Capo del Governo mette al corrrente il Ministro de Kanya del progetto di accordo fra le quattro Potenze occidentali, che sarà presentato ai Ministri inglesi, e mette in luce i vantaggi che potranno derivare da questo alla Germania e agli altri Paesi oggi disarmati (l).

(l) Il piano Inglese di disarmo non è edito nei D B che però sono ricchi di riferimenti In proposito, Cfr. in particolare vol. IV, n. 310 con l'annesso e appendice IV. Non si pubblicano le osservazioni fatte al plano dalla sezione mllltare della delegazione a Ginevra, dal Ministero dell'Aeronautica e da quello della Guerra. I tre documenti sono rispettivamente del 17, 16 e 20 marzo. SI pubblica Invece qui di seguito Il seguente appunto di Soragna per Alolsl allegatoallo stampato del proget.to inglese:

(2) L'autore dell'appunto è Suvich.

227

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL MINISTRO DEGLI ESTERI UNGHERESE, KANYA

APPUNTO. Roma, ... marzo 1933 (2).

Kanya si fa spiegare il progetto per l'accordo a quattro; ciò che faccio. Si rende conto dell'importanza delle disposizioni sulla revisione e sulla disparità dei diritti.

Discorrendo sulla revisione, gli chiedo quale è veramente il programma ungherese. Mi risponde che il programma massimo è quello di ottenere gli antichi confini che sono perfettamente delimitati geograficamente. Non è possibile seguire soltanto i confini demografici. Anche la Cecoslovacchia (l'antica Boemia) ha preso nel proprio territorio tre milioni e mezzo di tedeschi per avere i confini geografici. Gli chiedo se riteneva tattica migliore ottenere qualche cosa, salvo poi a ripresentare ulteriori richieste o mantenersi sulla linea intransigente insistendo per un programma integrale e rinviando magari la soluzione a tempi migliori.

Ritiene la migliore soluzione insistere per la richiesta integrale, ma accettare quanto si può quando l'occasione si presenti.

Con Benes non si può trattare; è un bugiardo; a Ginevra non lo ha voluto vedere sebbene si fosse fatto intermediario Pau! Boncour. Masaryk era disposto a cedere in Slovacchia, non Presburgo, è Benes che non vuole.

In Slovacchia ci sono oltre un milione e mezzo di magiari -le popolazioni sono rimaste fedeli alla loro patria --un plebiscito condotto bene, sarebbe favorevole all'Ungheria.

In Rumenia sono anche un milione e mezzo di ungheresi, di cui 600.000 in fondo al Paese nell'arco dei Carpazi.

Gli chiedo se la linea di Rothermere potrebbe andare. Mi risponde evasivamente. Anche qui le popolazioni magiare sono fedeli. Nella Bacska e Banato esiste circa mezzo milione di magiari. Non sono per nulla organizzati anche per i metodi bestiali di persecuzione dei serbi.

<< Il Barone Apor, Direttore degli Affari Politici che accompagna il Signor Kanya mi ha intrattenuto a due riprese nei riguardi dell'Anschluss. Egli si mostrava assai preoccupato dell'attività degli hitleriani in Austria e persuaso della necessità che essa dovesse cessare per i seri pericoli a cui poteva portare. Un Cancelliere hitleriano in Austria era assolutamente da evitare per 1a posizione che sarebbe stato costretto a prendere nei riguardi dell'Anschluss che era evidentemente una minaccia per tutti »

(l) Cfr. il seguente appunto di Buti per Suvich del 16 marzo:

(2) Manca l'indicazione del giorno in cui si svolse il colloquio. Presumibilmente avvenne il 17 marzo, dopo il colloquio con Mussolini, al quale assistette anche Suvich.

228

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA 1536/533. Belgrado, 17 marzo 1933.

Il risultato delle elezioni germaniche, il successo del movimento nazionalsocialista e le prime manifestazioni del Governo di Hitler sono stati accolti in questi ambienti politici con commenti che ancora una volta valgono a testimoniare l'incertezza jugoslava nei riguardi dei rapporti con la Germania.

Benché il riavvicinamento jugoslavo-germanico dell'anno 1930, particolarmente dovuto all'attività del Ministro jugoslavo a Berlino Baludgig e dei Ministri germanici a Belgrado Koestez e Von Hassell avesse segnato, dopo le dichiarazioni di Marinkovich in occasione della discussione a Ginevra nel 1931 sul progetto di patto doganale austro-germanico, un momento di arresto, e benché sempre maggiori siano state, da quella data, le difficoltà frappostesi a tale opera di riavvicinamento, è pur certo che anche negli anni 1931-1932 questi ambienti politici non rimasero insensibili all'influsso esercitato, in favore di una intesa con la Germania, sia dalla persistente opera dei Ministri citati, sia dalle seducenti proposte economiche avanzate dalla Germania tanto in occasione della discussione sul patto prede.tto quanto in occasione del .progetto petr una confederazione danubiana, sia in ne dall'orientamento che la cultura tedesca, ancora vivissima nelle vecchie provincie dell'impero austro-ungarico non cessava di dare in tal senso a persone ed a gruppi anche assai accetti al Regime ed al Sovrano.

Articoli frequentissimi sulla stampa jugoslava non mancavano di prospettare i vantaggi economici ed anche politici di una intesa jugoslavo-germanica; associazioni ed enti, quale ad esempio l'« Unione tedesco-jugoslava» presieduta già dal Prof. Stanojevich, ed ora da Nencich, cercavano di stabilire rapporti culturali fra i due paesi; delegazioni commerciali, industriali e tecniche germaniche visitavano spesso i centri jugoslavi, e ad una esposizione tedesca d'arte si volle dare particolare significato e rilievo.

In conclusione: quelle che Benes definì in quel tempo le «deplorevoli simpatie jugoslave per la Germania» tendevano realmente ad affermarsi presso questa pubblica opinione.

Nella realtà, in quel periodo, come è noto a V. E., gli uomini di governo jugoslavi cercavano e sollecitavano soprattutto una duratura, strettissima intesa con l'Italia. Ed era appunto la speranza in un'intesa itala-jugoslava che consentiva loro anche il tentativo di un realistico « flirt » con la Germania.

Le simpatie e le tendenze germanofile erano infatti fondate, oltreché sui motivi generici sopra esposti, sulla speranza nella possibilità di reali e vaste concessioni germaniche in materia economica, tali da permettere una esportazione agricola jugoslava in Germania che giungesse a ristabilire l'equilibrio della bilancia commerciale fra i due paesi, costantemente sfavorevoli alla Jugoslavia. Né sembrava agli uomini di Governo jugoslavi che tale politica di riavvicinamento potesse allora essere ostacolata da considerazioni o da timori di carattere politico, inquantoché il maggior timore ed il maggior pericolo, quello dell'Anschluss, era da essi ritenuto sufficientemente lontano e remoto per la valida opposizione che, unitamente all'Italia e grazie appunto all'amicizia dell'Italia. la Jugoslavia avrebbe potuto sollevare ad ogni tentativo di unione austro-tedesca.

I risultati pratici del « riavvicinamento » non furono però in definitiva vantaggiosi che per la Germania, la quale riuscì ad ottenere notevoli concessioni di carattere culturale in favore delle minoranze tedesche in Jugoslavia e, soprattutto, a passare al primo posto fra gli Stati importatori, inviando merci in Jugoslavia per il valore di 43 milioni di marchi nel 1932. La Jugoslavia non ha invece esportato in Germania che per 29 milioni, nello stesso anno. E, quel che per la Jugoslavia è più grave, il Trattato di Commercio jugoslavo-germanico, scaduto il 5 marzo corrente, non è stato rinnovato.

Tale non lieto risultato delle tendenze semi germanofile-jugoslave degli ultimi due anni ha certo influito in senso negativo sulla politica del «riavvicinamento ».

Ma contro quelle tendenze e simpatie hanno ora, e ben più gravemente influito gli avvenimenti politici europei degli ultimi mesi, primo fra essi il successo del movimento nazionalsocialista in Germania e la ascesa di Hitler al potere.

Se a tale avvenimento si aggiungono le conseguenze che esso sta per avere in Austria, l'inasprimento dei rapporti italo-jugoslavi e la sospettata, a torto od a ragione, intesa italo-tedesca, ben si comprenderà come le simpatie jugoslave per la Germania non possono più trovare appoggio ed incremento sulla base delle sole considerazioni economiche e culturali, quando quegli avvenimenti fanno qui risorgere il timore, dirò anzi la paura, dell'avverarsi dell'Anschluss.

Si pensa e si teme qui infatti che se l'intesa fra Italia e Germania, fra «il Fascismo del Sud ed il Fascismo del Nord », giungesse a fare abolire il veto italiano all'Anschluss, e se le non chiare e comunque finora disordinate iniziative dittatoriali del Cancelliere austriaco finissero, malgrado l'atteggiamento delle Heimwehren e dei cristiano-sociali austriaci, a fare del Signor Dollfuss il von Schleicher della situazione austriaca ed a preparare l'accesso al potere dei nazionalsocialisti austriaci, gli jugoslavi vedrebbero ben presto i confini del Reich portati sulle Karawanken, a diretto contatto con le forti minoranze tedesche della Slovenia.

Non tanto quindi per fare coro con la stampa francese, ma per dirette preoccupazioni, la stampa jugoslava e questa opinione pubblica hanno espresso, nei loro commenti, una viva contrarietà al successo nazionalsociallsta ed alle prime misure di governo adottate dal Cancelliere Hitler.

Dopo aver tentato, subito dopo il risultato delle elezioni germaniche, di svalutare la vittoria hitleriana, questa stampa si è data ora a prospettare il «pericolo per la pace europea » rappresentato dal programma di Hitler. E soprattutto essa rivolge i suoi attacchi all'« Intesa italo-germanica ». Dopo aver cercato infatti di diminuire la portata di tale intesa con l'affermarne «l'artificiosità e la transitorietà », essa finisce per non celare il proprio vivo disappunto e le proprie preoccupazioni di fronte all'attività del «blocco fascista e revisionista » e di fronte al «pericolo dell'Anschluss ».

Se si eccettuano però quegli aspetti della odierna situazione europea che sono collegati con la politica italiana, e che sono i più avversati da questa stampa, è interessante notare come in realtà, i commenti, non solo della stampa ma anche dei circoli politici jugoslavi più accreditati, siano, relativamente agli avvenimenti di Germania ed alla politica di Hitler, molto meno aspri e molto meno violenti di quanto non fosse dato aspettarsi.

Molti_ di tali commenti giungono anzi a prendere puramente e semplicemente atto di quanto sta avvenendo senza pronunciarsi al riguardo.

Sta di fatto in realtà che, malgrado tutto, le simpatie per la Germania e le tendenze in certo qual modo favorevoli a quest'ultima non sono qui completamente scomparse, anche dopo il successo di Hitler.

Esse simpatie sono tuttora e principalmente basate su considerazioni di carattere economico. La mancanza di un trattato di commercio fra Jugoslavia e Germania, mentre sembra non preoccupare quest'ultima, che ritrae vantaggi dall'esportazione dei propri prodotti in Jugoslavia anche pagando le tariffe doganali massime, reca invece non lieve pregiudizio all'economia jugoslava che vede, per causa dei contingentamenti agricoli germanici, diminuire sempre più le proprie esportazioni verso quel paese.

Solo le preoccupazioni di carattere politico, tanto qui ravvivate dagli avvenimenti recenti, impediscono a questi dirigenti politici di perseguire nei tentativi, anche recentemente ed inutilmente effettuati da una delegazione jugoslava a Berlino, per una stretta intesa economica con la Germania.

E solo il timore dell' Anschluss e del revisionismo impediscono alle simpatie di carattere culturale per la Germania di manifestarsi liberamente.

Ma quelle tendenze e quelle simpatie esistono qui tuttora, e realmente.

Sara interessante per noi il seguirne gli sviluppi ed il vedere in futuro se l'azione della Francia e la portata economica del Patto della Piccola Intesa, che certamente implica una attenta sorveglianza e concorrenza cecoslovacca contro ogni ripresa germanica in Jugoslavia, ove la Cecoslovacchia tende a riacquistare il primato nelle esportazioni, riusciranno o meno a farle scomparire o comunque a privarle di ogni pratico effetto.

229

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. s. 1018/172 R. Berlino, 18 marzo 1933, ore 2,30 (per. ore 7,15).

Ho conferito oggi lungamente con Btilow circa osservazioni mosse dalla Germania all'articolo 3° noto patto (l).

Egli si è spiegato meco più chiaramente di von Neurath dicendomi che convenzione disarmo a cui si addivenisse a Ginevra avrà durata cinque anni allo scadere dei quali dovrà riunirsi nuova conferenza disarmo. A questa seconda riunione Germania intende presentarsi in posizione non meno forte di quella attuale in modo da poter ripetere allora: «o disarmate voi o mi armo

io». Governo tedesco si domanda quindi se accettando attuale redazione articolo 3° -esso non verrebbe a trovarsi in condizioni di non poter più assumere tale posizione perché la Francia potrebbe contestare che essendosi Germania impegnata, con accr>rdo firmato, realizzare parità diritto ossia riarmare con una graduazione dipendente unicamente da accordi con le altre tre potenze, non può più esprimersi come è detto sopra. Bi.ilow rammentò inoltre timore che la Germania ottenga bensì da principio, mediante accordi previsti, facoltà riarmare fino a un certo limite entro due o tre periodi successivi biennali (militari tedeschi sogliono preparare piani biennali) ma che Francia possa poi opporle veto impedendole per i rimanenti anni durata patto accrescere proprio armamento. Germania sarebbe in tal caso impotente e dovrebbe attendere nono anno per denunziare patto. Ho osservato a Biilow che occorre innanzi tutto rendersi conto esattamente dello spirito informativo del patto il quale mira a creare atmosfera fiducia inesistente dalla guerra in poi, mettendo 4 grandi Potenze occidentali in condizioni di discutere fra loro in via diplomatica problemi vitali europei e mondiali e di risolverli mediante intesa e collaborazione. Patto assicurerebbe pertanto alla Germania maggiore comprensione da parte Francia e dovrebbe rendere relativamente minore timore francese per riarmamento della Germania.

Io poteva dirgli che V. E. dava alla portata effettiva della parità di diritti riconosciuti alla Germania il significato che si dovesse discutere fra le prime Potenze del graduale disarmo di Francia, Inghilterra, Italia in connessione col graduale riarmamento della Germania.

V. E. confidava che si potesse raggiungere mediante trattative discrete e segrete risultato maggiore che con discussioni pubbliche a Ginevra.

Chiesi dopo ciò a Biilow di dirmi francamente se egli credeva che posizione della Germania sarebbe stata peggiore dopo firma patto di quanto non sia ora e gli dissi di tenere presente che la Francia potrebbe oggi ancora opporsi al l"iarmamento tedesco non ratificando accordo ridare parità.

Biilow riconobbe che era così, tenne dichiararmi che egli era favorevole accettazione patto al cento per cento ma che doveva insistere sulle osservazioni fatte a scopo fiducia. Gli ho domandato allora se ritenesse preferibile che il patto durasse soltanto fino al 31 dicembre 1940.

Ha risposto che riteneva preferibile termine 10 anni con clausola rinnovabile tacitamente salvo denunzia ma che in fondo era accettabile anche termine più breve.

Essenziale era unicamente che gli impegni assunti dalla Germania non la ponessero in situazione meno forte per far valere proprio diritto riarmamento qualora gli altri non disarmassero.

Ho chiesto a BUlow se avesse pensato alle modificazioni da proporre per gli articoli 2° e 3°.

Ha risposto che non era sino ad ora riuscito a trovare formule soddisfacenti, che ci avrebbe ripensato e le avrebbe sottoposte a von Neurath lunedì 20 corrente, quando rientrerà a Berlino da breve gita in campagna.

Ha promesso che me le avrebbe poi subito comunicate.

(l) Cfr. n. 208.

230

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A TIRANA, KOCH

T. R. U. 443/35 R. Roma, 18 marzo 1933, ore 16,30.

Suo telegramma n. 48 (1).

Con corriere odierno le perviene nota di risposta (2) a nota albanese relativa

ad obbligazioni SVEA. V. S. avrà cura di consegnarla subito a codesto ministro

esteri lumeggiandone contenuto secondo istruzioni dispaccio di accompagna

mento.

Approvo linguaggio tenuto in questa circostanza da V. S. a Re Zog, che evidentemente mira a drammatizzare situazione complicandola con i ricatti che gli sono abituali. È superfluo che io raccomandi a V. S. di continuare a contrapporgli un atteggiamento di calma fermezza. In particolare ella, pur facendo rilevare che situazione finanziaria albanese non è tale da esigere provvidenze come riduzione radicale spese militari, dovrà dare impressione che una simile eventualità ci lascia completamente indifferenti, così come non ci preoccupano affatto minacce di mendicare aiuti altrove. Maneggi diplomatici vanno perciò seguiti attentamente ma senza far trasparire nostro particolare interessamento. Circa attività codesto ministro inglese, non ravvisando in quanto ella ha riferito finora estremi per richiamare su di essa attenzione Foreign Office, pregola farmi avere più concreti elementi (3).

Mi riserbo chiamarLa Roma per conferire.

231

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, IL PRIMO MINISTRO BRITANNICO, MACDONALD, E IL SEGRETARIO DI STATO AGLI ESTERI BRITANNICO, SIMON

VERBALE. Roma, 18 marzo 1933 (4).

The following we.re present:

British. Italian.

Mr. MacDonald. Signor Mussolini.

Sir John Simon.

Sir Ronald Graham.

Mr. Butler.

Mr. Nichols.

The Prime Minister expressed his pleasure at finding himself in Rome and meeting the Head of the Italian Government. He had read the proposed Italian Four-Power Agreement (1), which had been communicated to the Ambassador that morning, with the greatest interest. He felt that only by co-operation between the four Western Powers could any permanent understanding be reached. The situation was a very difficult one and called for early decisions; further delay would be dangerous. He himself could only stop two nights in Rome, for he was due to meet his Cabinet on Wednesday next week and to make a speech in the House of Commons on Thursday.

Signor Mussolini expressed pleasure on his side at receiving the British Ministers in Rome.

Sir John Simon then pointed out that, as they were returning by Paris, they would have an opportunity of discussing the document supplied them by the Italian Government with the French Government, for he understood that this document had already been communicated to the French Government through M. de Jouvenel.

Signor Mussolini then asked whether the British Ministers intended to discuss the proposed agreement with M. Daladier, and he further enquired whether the British Ministers were prepared to give him their own vlews on this document.

Sir John Simon replied in the affirmative, and pointed out that the first article was in accordance with the principles embodied in the Five-Power Declaration of December 1932.

Signor Mussolini then pointed out that the proposed agreement went further than the Five-Power Declaration, for it dealt with methods as well as principles -it suggested a method which might enable Germany to come lnto a four-Power arrangement. Moreover, it specifically recognised the necessity of treaty revision within the existing framework of the League of Nations. Further, the method envisaged a pacification for ten years. If the four Great Powers could themselves carry out the pollcy of pacification for such a period, they coud well impose it upon the smaller Powers.

Signor Mussolini went on to point out that Article 3 of the proposed agreement ensured that Germany should obtain «Gleichberechtigung ,, even if the Disarmament Conference should fai!. If Germany were to rearm, this agreement provided the method by which this rearmament should take piace, viz., by stages and in agreement with the four Great Powers. He added that

21 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XIII

he had reason to believe that Germany would accept an agreement of this kind. He was convinced that this was so.

The Prime Minister at this point recalled paragraph 4 of the Five-Power Declaration of the 11th December, and referred also to some opening remarks in his speech at Geneva on the 16th March on the attitude of Germany. Herr Nadolny had in private conversation admitted the justice of his remarks, and had virtually agreed to the realisation of equality in armaments by stages.

Signor Mussolini then pointed out that it was important to seize the opportunity now offered. Germany was at present engrossed in establishing a new internai régime, and she therefore could not risk external troubles. There would be far less difficulty in getting her assent to an agreement of this kind now than there would be later. We must not let this opportunity slip. He had spoken to M. de Jouvenel on the subject. The Ambassador had enquired what France would obtain from this agreement. He had replied that not only would she obtain security, but collaboration as well, which was even more precious The agreement he now proposed was in some sense complementary to and the fulfilment of the policy of Locarno.

Sir John Simon then explained that, in the opinion of His Majesty's Government, it was important that, whatever arrangement might be reached by the four Powers, it should assist the work at Geneva.

The Prime Minister said that in foreign affairs as they existed today there was a foreground as well as a background. In the foreground the convention submitted by the British delegation at Geneva was endeavouring to solve the technical problems with which the delegates to the Disarmament Conference were confronted. The Italian project might well assist to solve all those farreaching and important politica! problems which covered the whole background of Europe today.

Signor Mussolini made the point that directly the four Powers agreed between themselves on major problems, disarmament would go ahead, and, for this reason, France's security would be assured by Germany's signature of the agreement. What course could be taken to put the proposed agreement into effect?

Sir John Simon said he understood from Signor Mussolini that the Germans were ready to accept this agreement. What about France?

Signor Mussolini replied that M. de Jouvenel had this morning told him that he was enthusiastic over the proposed agreement (1). He had, however, stated that as regards Article 2 he would wish to insert some phrase indicative of the binding force or sanctity of treaties.

Signor Mussolini observed that the insertion of such a phrase would be bound to produce difficulties with Germany. As regards Article 3, M. de Jouvenel had assured Signor Mussolini that it would be acceptable to France.

At this point Sir John Simon showed Signor Mussolini the text of the FivePower Declaration of the 11th December, and the Prime Minister recalled that

250 he had quoted paragraphs 3 and 4 of it in his recent speech at Geneva. He pointed out that the proposed Italian agreement bore great resemblance to the standpoint he himself had then put forward, for in both the need for co-operation and for disarmament by stages was stressed. He wondered what report on the Italian proposal M. de Jouvenel had sent back to Paris.

The Prime Minister added that h e would be in Paris o n Tuesday morning and would see M. Daladier, who was most liberal-minded. He thought it would be easier to get an agreement with him than with most other French politicians.

With this view Signor Mussolini expressed his agreement.

The Prime Minister said that the French would inevitably begin by asking to what the Italian agreement committed them. Would it involve discussion of the Corridor, the future of Hungary and the position of Yugoslavia? The situation would require careful handling, but was not impossible. He would like to tell the French that the above subjects had been referred to and to ask them whether they were ready to discuss them. He would also require to consult his colleagues in the Cabinet. It would clearly be necessary for both Germany and France to be approached. Germany might best be approached through Signor Mussolini himself, while we would use our good offices with the French.

Signor Mussolini then observed that he had spoken extremely frankly on the politica! side of the agreement with M. de Jouvenel, who had replied: «Now we are informed as regards Italian views ».

Signor Mussolini then turned to the question of the Polish Corridor, which, he said, was one of the great mistakes made at Versailles, for it cur Germany in two halves. It was a real danger to peace; the Poles were a proud race and well organised, while the Germans on their side were completely intransigent over this question. They were determined to join up the two halves of Prussia. He said there were two aspects of the problem which called for decision. The first was the breadth of the strip by which continuity was to be secured between the two halves of Prussia; and the second was the guarantee of maritime, but not territorial, outlet to the sea for Poland.

Sir John Simon said that everybody was agreed that the problem was a difficult one, upon which Signor Mussolini observed that both Germans and Poles were unanimous in their respective points of view; moreover, the Poles had rendered it more difficult by the settlement and development of the port of Gdynia, which now had 40,000 inhabitants.

As to the question of the revision of Hungarian frontiers, Signor Mussolini was in favour of a rectification of frontiers wherever a racial preponderance of Magyars existed. He realised how difficult the delimitation of such frontiers would be. No one had hitherto dared propose the solution, but somebody must come forward.

Sir John Simon interposed that this was exactly analogous to what the Prime Minister had just done at Geneva in connexion with disarmament.

Signor Mussolini then turned to the generai question of revision, and pointed out that a specific provision was made for it under the terms of the Covenant of the League.

Sir John Simon agreed, but explained that under the Covenant nations had a double obligation: firstly, to respect treaties were not of a perpetuai character. The two principles were not irreconcilable. It should therefore be possible to recast paragraph 2 of the proposed Italian agreement in such a manner as to satisfy the French Government by a reference to the observation of treaties.

Signor Mussolini then recalled his first speech on this subject to the Senate five years ago. He had then made a distinction between (a) provisions which registered historical jait[s] accomplis such as Alsace-Lorraine und the Succession States to the Austro-Hungarian Empire; and on the other hand (b) the provisions which were liable to change as time went on, which had not the same moral validity and were definitely not worth a war. It was presumably these provisions which the Covenant of the League regarded as modifiable.

The Prime Minister then referred to the last four lines of Article 2. Granted that M. de Jouvenel, as Signor Mussolini had told them, was disposed to accept the article, provided that some reference to the sanctity of treaties could be inserted, he thought that there should be no serious difficulty in securing French acceptance of that article, seeing that the last four lines did, in fact, lay down satisfactory limits within which the provision could be accomplished. In other words, Article 2 already recognised in essence the principle of sanctity of treaties. He expressed, however, some scepticism as to whether the French would accept this article so easily.

Sir John Simon then explained that the insertion, if made, would certainly make the proposed agreement more acceptable to French public opinion. The Ambassador then raised the question whether the Germans would not object to such an insertion in Article 2.

Signor Mussolini replied that the insertion, if it were to content the Germans, would have to be so vague that it was doubtful whether it would then satisfy the French.

The Prime Minister said that he thought Signor Mussolini might wish to diffeil"'entiate between the moral sancti:ty of dilferent treaties; a tre,aty which was forced upon a country had perhaps not the same validity as one into which a country had freely entered after discussion.

Signor Mussolini stated that M. de Jouvenel had said that the pill or revision would be sweetened by the reaffirmation o! the doctrine of sanctity of treaties. Signor Mussolini had replied that Article 2 of the agreement as drafted contained the strict limits within which revision was to be possible. He added that treaties, though holy, were not eternai.

The Prime Minister then referred to Article 4, and enquired the precise meaning of «parity 1> as regards Austria, Hungary and Bulgaria. From the discussion on this point it emerged that Signor Mussolini intended by this clause merely to insure that the principle of qualitative «parity 1> should be extended to the three Powers in question; the distinction between vietar and vanquished must disappea.r. It has no moral basis; if it we,re conceded for Germany, it must also be conceded for Austria, Hungary and Bulgaria.

Signor Mussolini added that this «parity » would not be pushed to extremes; the four Powers would contro! the strenght of the forces allowed to other countries.

The Prime Minister agreed that this could be done by the four Powers, or at Geneva. The Prime Minister enquired the precise meaning of paragraph 2 of Article 4.

Signor Mussolini replied that he had in mind common action in questions which were not strictly politica!, e.g., economie questions such as those connected with the coming World Economie Conference. He had envisaged this provision as being analogous to and confirmatory of the Anglo-French Consultative Pact of July 1932. He himself felt that, owing to the number of adherents to this pact, it had become somewhat unwieldy.

Sir John Simon explained shortly the history of the pact, saying that it was, in fact, the French Government who brought in the minor Powers.

Signor Mussolini continued, saying that if, however, this paragraph, as drafted, did not meet with the complete approvai of His Majesty's Government, he was quite ready to modify it.

The Prime Minister agreed that more precision in the article would be useful.

Signor Mussolini then stressed that he attached great importance to the fact that the agreement was to last for ten years. The whole world was in a state of unrest and a period of ten years would offer a great chance of ensuring stability.

The Prime Minister quite agreed that the duration should be an extended one, but said that he had not had leisure to consider the article fully.

The Prime Minister then referred to the Five-Power Declaration of December, and said that proceedings at Geneva had changed its character and much diminished its value and significance. What was now required was a pact signed by the four Powers who exercised the real influence in Europe.

Signor Mussolini agreed, but what was to be done?

Sir John Simon stated to Signor Mussolini that Mr. MacDonald was asking whether it were possible to produce now, at once, a Four-Power Pact which would be open to adherence by other Powers.

Signor Mussolini's comment was that to enlarge the scope in this manner would inevitably weaken its effectiveness.

Sir John Simon explained that the pact would be reciprocally binding between the four Powers not to attack one another. If Poland were to adhere, the pact would have the same effect reciprocally between Germany and Poland.

The Prime Minister observed that, unfortunately, the effect of a specific agreement on the part of Germany not to attack France was to some extent an implication of her intention to attack Poland.

Signor Mussolini replied that Germany would in any case be debarred from attacking anyone if she signed the present Italian agreement.

Signor Mussolini then reverted to Article l of the proposed agreement, and stated that if the British Ministers were not convinced of the necessity of mentioning the <<No Force Pact », he for his part was quite ready to drop it.

The Prime Minister demurred and said the matter required further reflection.

Signor Musso lini summed up his views as follows: It was important that an agreement of the kind he had in mind should be signed by the four Powers for two reasons. Firstly, it would guarantee peace; and, secondly, it eliminated from the European scene the idea of two opposing blocs of Powers. The sensation of isolation which some Powers now felt would be eradicated. His project had many points of resemblance with the settlement reached at Locamo, especially in putting Germany on the same footing as the other Great Powers.

(l) -Cfr. n. 206. (2) -Non rinvenuta. (3) -Con t. 1019/52, pari data, non pubblicato, Koch aveva già inviato altre informazioni sull'attiv·ità svolta dal ministro di Gran Bretagna a Tirllllla, sottolineando che essa apparivadiretta a Indurre 11 governo albanese a ridurre le spese militari e ad aiutarlo a liberarsi dalla dipendenza finanziaria nei confronti dell'Italia. (4) -Il colloquio ebbe luogo a Palazzo Venezia alle ore 18; 11 verbale è edito in D B vol. V, pp. 70-76.

(l) Cfr. n. 165.

(l) Non sl è rinvenuto 11 verbale del colloquio Mussol!nl -Jouvenel avvenuto alle 9 del 18 marzo durante il quale Mussolinl comunicò all'ambasciatore francese 11 progetto di patto a quattro. Cfr. DDF. 1932-1939, I Serle, tomo III, pp. 15-18.

232

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. s. 1033/40 R. Mosca, 18 marzo 1933, ore 20,46 (per. ore 21).

Consigliere questa ambasciata di Francia, testè ritornato da Parigi, riferisce che spirito pubblico francese è gravemente turbato. In Francia non si pensa alla guerra come una semplice eventualità ipotetica, ma la si comprende fra le possibilità concrete ed attuali.

Nonostante ottimismo settimana scorsa a Berlino, Parigi ritiene che Hitler sarà trascinato dalla debolezza interna della Francia a tentare qualche colpo nei riguardi della Francia, la quale naturalmente « profitterebbe della buona occasione».

«Nello stato attuale -soggiungeva testualmente -del duello franco-tedesco, non ci importa che vengano il comunismo, la rivoluzione, la dittatura del proletariato. Noi francesi non dovremmo badare che all'esercito pur di finirla una buona volta con la Germania » (l).

233

IL CAPO DELL'UFFICIO II DELLA DIREZIONE GENERALE AFFARI POLITICI, BERARDIS, AL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, E AI CONSOLI GENERALI A LUBIANA, NATALI, E A ZAGABRIA, UMILTA

TELESPR. 208304/C. Roma, 18 marzo 1933.

Si ha il pregio di comunicare che il Times, in data 11 corrente, pubblica una lotteria a firma di Evens, Seaton Watson e Wickham Steed, in cui si dichiara che l'unità della Jugoslavia è una necessità europea. I firmatari aggiungono che essi sono convinti che non esiste alcun fondamentale conflitto di interessi tra Italia e Jugoslavia, e ricordano a tale proposito i negoziati italo-ju

goslavi del 1917 e 1918, ed il Congresso di Roma, al quale Mussolini prese parte attiva.

Essi suggeriscono una linea di condotta che consentirebbe alla Jugoslavia di uscire dalla situazione pericolosa in cui versa. Tale linea di condotta consisterebbe in una dichiarazione dei capi della opposizione con cui essi aderiscono allo Statuto della Piccola Intesa esprimendo particolarmente il loro desiderio di amicizia e di migliori scambi commerciali con l'Italia; la formazione di un Go·verno nazionale sulle basi di un patto tra Re Alessandro e i partiti e gruppi jugoslavi; dopo la formazione di tale Governo nazionale, la convocazione di una assemblea costituente per assicurare libere elezioni generali, libertà di stampa, diritti delle minoranze, ecc., ecc.

(l) Annotazione a margine di Suvich: «Segnalare a Cerruti per farlo vedere a Hitler». Il presente telegramma venne, infatti, ritrasmesso a Berllno con t. 468/94 R. del 23 marzo, ore 2.

234

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

D. CONFIDENZIALE 1901. Roma, 18 marzo 1933_

Mi pregio trasmettere qui unito a V. E., nel testo originale e nella traduzione inglese, un progetto di «Patto di intesa e di collaborazione :1', tra le quattro Potenze Occidentali (1), che è stato rimesso oggi con la traduzione nelle rispettive lingue, agli Ambasciatori di Gran Bretagna, di Francia e di Germania, e verrà esaminato e discusso col Primo Ministro Britannico, Signor MacDonald e col Ministro degli Affari Esteri Sir John Simon nei colloqui di questi giorni a Roma_

Oltre i suddetti Rappresentanti, che sono stati pregati di considerare il progetto ancora come segreto, ne ha avuto notizia confidenziale il Signor de Kanya, Ministro degli Esteri ungherese, nel colloquio che ha avuto con me in questi giorni in occasione della sua venuta a Roma.

Sarà mia cura tenere l'E. V. al corrente delle conversazioni coi due Ministri britannici e dell'accoglienza che verrà fatta dai Governi interessati al progetto, in modo da procurarLe tutti gli elementi di informazione e di giudizio che possano occorrerLe per l'eventuale ulteriore corso del negoziato costà (2).

235

IL MAGGIORE RENZETTI AL CAPO DELLA SEGRETERIA PARTICOLARE DEL CAPO DEL GOVERNO, CHIAVOLINI

L. P. Berlino, 18 marzo 1933.

Da parte di alcune personalità nazionalsocialiste che finora hanno costantemente dimostrato viva simpatia per noi, mi è stato detto che l'Italia aiuta e

t. -448 R. (protocollo pal'ticolare 95 per Londra e 141 per Parigi) d<ll 19 marzo Grandi e Pignatti furono avvisati della partenza del dispacci.

protegge gli avversari dei nazionalsocialisti in Austria, tattica questa errata a loro parere, in quanto presto o tardi le camicie brune si impossesseranno del potere. Le predette persone hanno aggiunto che il principe Starhemberg è fortemente indebitato, che ha pochissimo seguito (personalmente non nutro soverchia fiducia verso di lui) : che i nazi non pensano affatto a compiere l'Anschluss.

Mi sono limitato a prendere atto di quanto sopra.

(1) -Cfr. n. 165. (2) -A Parigi venne Inviato in pari data e con lo stesso numero un dlspaeclo In cui l primi due capoversi sono Wentlcl a questi ed Il terzo è sostituito dal seguente: «Quanto precede per opportuna Informazione di V. E. e con la rise·rva di ulteriori comunicazioni~. Con
236

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 1039/135 R. Washington, 19 marzo 1933, ore 12.52 (per. ore 21,30).

Ho ragioni di pensare che Presidente Roosevelt apprezzerebbe molto nostra iniziativa nel metterlo al corrente dei colloqui di S. E. il capo del Governo con primo ministro inglese. Suppongo che ciò verrà fatto in ogni caso da parte britannica.

Qualora V. E. convenga nella opportunità di tale mossa gradirei essere messo in grado, appena possibile, di fare comunicazione al riguardo sia al segretario di stato sia direttamente al presidente (l).

237

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, IL PRIMO MINISTRO BRITANNICO, MACDONALD, E IL SEGRETARIO DI STATO AGLI ESTERI BRITANNICO, SIMON

VERBALE. Roma, 19 marzo 1933 (2).

The followlng were present:-

British. Italian.

Mr. MacDonald. Signor Mussolini.

Sir John Simon. Signor Suvich.

Sir Ronald Graham. Baron Aloisi.

Mr. Butler.

:Mr. Nichols.

Signor Mussolini enquired whether the British Ministers had yet had time to examine the draft agreement which he had put forward yesterday for their consideration.

The Prime Minister stated that in his opinion France would probably prove the difficulty, and that we would have to do our best .to surmount it. It would be mos<t unfortunate if the French press we~re to be pe~rmitted to enlarge on the subject.

Signor Mussolini agreed.

Sir John Simon then turned to the draft agreement itself and said that the British Ministers had had as yet very little opportunity of examining as carefully as they would wish the terms of this instrument. He had, however, attempted a redraft of two of these articles which he had only just had the opportunity of showing the Prime Minister. He then turned to Article I and pointed out that the ' No force Pact ' had not been actually signed. It would be better to refer to the declaration of the 11th December, 1932, which 'envi: saged ' this pact.

Signor Mussolini said that there would be no difficulty as to this.

Sir John Simon then handed to Signor Mussolini a redraft of Article 2 (see Annex A). He explained that what he had attempted to do was, while retaining the meaning of the originai article, to introduce certain phrases

regarding the sanctity of treaties which would make the whole more acceptable to the French Government. In this effort he had based his draft upon the spirit of the preamble to the Covenant. The main thing in his opinion was to introduce a phrase which would satisfy the French that the sanctity of treaties would be duly observed.

The Prime Minister observed that Signor Mussolini had summed up the position very well yesterday when he had said that ' treaties are holy but not eternai'. The article as amended would stili, of course, bring this point out.

Arising out of a discussion on a side issue the Prime Minister said that lf Germany was ready to acquiesce in the Polish Corridor as it stood, there was no reason for the meeting today, but, in fact, those who were present were not theorists, they were practical men. lf they would not take the initiative there would certainly be trouble, but of course the words of the article must be very carefully scrutinised.

Sir John Simon observed that we were in no way committed to the language of the redraft he had put forward. The wording was merely tentative. He had to bear in mind the attitude of the French. They would ask what was the meaning of this article, and he would wish to assure them that the article made provision for the sanctity of treaties. The Prime Minister added that the amended version, as put forward by Sir John Simon, would certainly help M. Paul-Boncour with his own public opinion in France. Signor Mussolini then enquired what Germany's attitude was likely to be towards the article as redrafted.

Sir John Simon said that it should be acceptable, for 1f signed, this document would contain the first mention of the possibility of revision in a formai manner since Versailles, as Italy, Great Britain, and, above all, France would all have subscribed to this reference. This would be a big new factor in the situation, even if the principle of the sanctity of treaties was reaffirmed at the same time.

Signor Mussolinl assented.

Sir John Simon referred to Article 3, and said that in his opinion there were two reasons why some modification was desiderable. Firstly, as the Prime Minister had only just put forward a new convention from which much was hoped, it would scarcely be possible for us to assume failure at Geneva as the first line of this article seemed to suggest. Secondly, he thought that the words '... under agreements to be reached by the four Powers' might be misunderstood. We were not seeking to exclude other interested Powers; he would therefore tentatively propose the alternative wording '... under agreements to which the four Powers must be parties '.

Signor Suvich then explained what the Italian Government had in mind in the phrase 'Should the Disarmament Conference lead to only partial results '; they had intended to mean partial success rather than total failure.

Signor Mussolini then asked what were the British Ministers' views on 'parity ', referred to in the second paragraph of Article 3.

Sir John Simon replied that he understood the Italian Government to refer to the principle of equality of rights to which reference was made in the FivePower Declaration of the 11th December, 1932. They had no particular comments to make on this point. Sir John Simon then turned to Article 4, the intentions of which were, he said, somewhat obscure to the British Ministers.

The Prime Minister enquired what the Italian Government really had in mind in thls article.

Signor Mussolini replied, mainly economie collaboration.

The Prime Minister said he thought that it would be necessary to redraft this article. What, for instance, did the reference to the ' colonia! sphere ' signify? He would certainly be asked questions in the House of Commons on the subject. To illustrate his point that public opinion was always ready to make its own interpretations of documents, he recounted a recent meeting he had had with M. Benes at Geneva, at which they had discussed the agreement lately concluded by the Little Entente as its draftsmen meant it and as its readers read it. M. Benes had informed him that ali the talk of military and secret clauses was untrue. None such existed. But everybody was reading their own minds into it. We cannot publish an article which raises a multitude of serious questions by its vagueness.

The Prime Minister reiterated his belief that Article 4 would have to be

redrafted.

Sir John Simon emphasised the importance of not attempting to do too

much at once. The proposed agreement already envisaged both revision and equality of rights. This was enough. He thought that we should have trouble if the colonial question were also dragged in.

The Prime Minister drew attention to another practical consideration. A large section of opinion in England held that a good many injustices must be undone, but was somewhat apprehensive as to the after effects of undoing them; for instance, the grant of equality to Germany might mean rearmament, and if that were so England would have to consider whether she would not, much against her will, increase her navy and her air force. If the paragraph in which colonial questions were mentioned was retained, he feared that the agreement as a whole would alarm public opinion in too many countries, and that this would not improve the prospects of its success.

Signor Mussolini replied that he was content to omit the references to which the British Ministers took exception, and would be satisfied with a reference to economie collaboration.

The Prime Minister then suggested some such phraseology as the following: 'That the signatory Powers pledge themselves to co-operate in order to find a solution of the economie difficnlties which now face our nations and the world '.

Sir John Simon suggested that this might be embodied in a separate artic1e, and sa:id that he would draft such an article and submit it to Signo.r Musso lini.

The Prime Minister thought that such an article would be very useful and that it could frighten nobody.

Sir John Simon then turned to Article 5 and stated that, in the opinion of the British Ministers, the suggested duration of ten years was most satisfactory. A long period such as was envisaged would give the nations confidence and follow appropriately after the article relating to economie collaboration.

Some discussion followed on the word ' politica! ' in the first line of Article 5. If there was economie clause, ' politica! ' should be omitted.

Signor Mussolini pointed out that, if the British redraft of Article 4 were accepted, there was no provision for the signatories consulting on politica! questions.

Sir Ronald Graham thought that the earlier articles of the agreement did in fact provide for this.

Signor Mussolini assented.

Sir John Simon pointed out that, once the machinery for consultation got under way, its scope would, in fact, neèessarily tend to expand.

The Prime Minister foresaw that the French might object to the present agreement on the ground that it would conflict with the League of Nations. The French looked at it somewhat in this way: Germany was against them, Italy was not friendly, Great Britain was always concerned with bringing other nations together and was not a wholehearted supporter. There was therefore a chance that France would consider herself isolated; whereas in the League of Nations she was not isolated. He had as yet no solution for meeting this possible objection; he wished merely to utter a warning as to it.

Signor Mussolini asked whether the British Minister could accept the phrase in Article 5 regarding approvai by the various Parliaments within a period of three months. It was explained that ratification by Parliament was not necessary under the British Constitution, whereupon Signor Suvich pointed out that the words ' if necessary ' already occurred in the article.

Sir John Simon asked whether it was not highly desirable that the German Ambassador should be asked to warn his Government to say nothing whatever for the moment about the proposed agreement, for the greater the publicity given to the question in the Reich the less ready would the French Government be to accept it.

The Prime Minister then summed up the procedure he assumed would be followed:

The Prime Minister also recalled that he would have to meet his Cabinet on Wednesday afternoon and the House of Commons on the following day, and report in each instance on recent proceedings at Geneva as well as in Rome.

ANNEX A

ARTICLE 2

The four Powers confirm that, whilc the prov1s10ns of the Covenant of the League of Nations embody a scrupulous respect for ali treaty obligations as a means of achieving international peace and security, they also contemplate the possibility of the revision of the Treaties of Peace when conditions arise that mlght lead to a conflict between nations; but the four Powers declare that the application of such principle of revision shall only take piace wlthln the framework of the League of Nations and through the mutuai recognition of the interests of ali concerned.

(l) -Allegato al .telegramma il seguente appunto: «Il Ministro Buti attira l'attenzione sull'accluso telegramma. È del parete di provvedere senz'altro nel senso Indicato da Rosso, ma ritiene preferibile farlo per Il tramite di Garrett, anziché di Rosso perché ciò può consentire una maggiore ampiezza d! linguaggio». (2) -Il colloquio ebbe luogo all'Ambasciata britannica alle ore 14,30. Il verbale è edito In D B, vol. V, pp. 76-80. (l) -Sir John Simon would prepare a redraft of the text of the agreement in the light of the afternoon's discussions, and communicate it to Signor Musso lini. (2) -The British Ministers would, in Paris, sound the French Ministers. They would have to begin with a warning against leakage.
238

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE R. 1103/174 R. Berlino, 19 marzo 1933 (per. il 23).

L'inquietudine di cui si hanno tante prove in questi giorni in Francia, si manifesta in modo morboso anche a Berlino, all'ambasciata della repubblica e nelle rappresentanze diplomatiche degli Stati vassalli.

Secondo notizie pervenutemi, il signor François-Poncet non nasconde le sue espressioni per il recente breve mio viaggio a Roma e per la visita da me fatta, subito dopo il mio ritorno a Berlino, al cancelliere Hitler (1). Egli disse ad un giornalista estero che conosco da molti anni che non sarebbe stato stupito se io avessi sottoposto al cancelliere un patto di amicizia, se non addirittura un trattato di alleanza. Aggiunse che, a suo giudizio, la Germania non avrebbe proprio nulla da guadagnare da un simile patto con l'Italia. Gli risultava però che l'Italia teneva moltissimo alla stipulazione di un simile accordo ed era pertanto probabile che V. E., valendosi del grande ascendente che il suo nome e le opere realizzate dal fascismo esercitavano sopra il cancelliere Hitler, avesse voluto sfruttare in tempo questo favorevole stato di cose.

Altro motivo di preoccupazione gravissima è il presunto viaggio di Hitler a Roma.

Per parte mia non ho certo fatto nulla per dissipare tali apprensioni, ancorché mi sia astenuto da qualunque parola o gesto che potesse giustificarle od accrescerle.

Incontrai ad un ricevimento il mio collega francese col quale conversai cordialmente per alcuni minuti di cose non politiche.

Fui poco dopo avvicinato dal ministro del Belgio il quale mi domandò a bruciapelo se Hitler andasse o non a Roma. Gli risposi che fino al momento in cui gli parlavo, la questione non era di attualità. Il signor Comnène fece dal suo lato un'allusione scherzosa alla fatica del rapido viaggio, chiedendosi se al ritorno avessi firmato qualcosa. Il ministro di Polonia mi chiese come mai fossi rimasto così brevemente a Roma. Ad entrambi mi limitai a dare risposte vaghe, che lasciarono insoddisfatta la loro curiosità.

Mi risulta pure che negli ambienti dell'ambasciata di Francia non si tralascia occasione per denigrare Hitler, di cui si dice che ha un aspetto volgare, che parla ad alta voce, con pessimo accento tedesco, cose tutte che non sono vere, perché il cancelliere conserva in pubblico un atteggiamento molto semplice, ma per nulla impacciato, discorre con voce chiarissima e con accento bavaro-austriaco, ma senza peraltro gridare.

Altro motivo di ansiosa curiosità per i francesi pare sia stato pure il pranzo da me offerto il 16 corrente al cancelliere Hitler, al quale parteciparono 36 persone, fra cui tre in divisa bruna (i conti von Helldorf e von Wedel, rispettivi capi di reparti di assalto (S.A.) di Berlino e Potsdam, ed il dr. Hanfstaengl, capo dell'ufficio stampa estera del partito nazional-socialista prima ed oggi della cancelleria del Reich) e che fu seguito da un ricevimento-concerto a cui intervennero oltre 50 persone.

Alla una dopo la mezzanotte, una signora della legazione belga che era stata invitata insieme ad una sua cugina francese, uscendo dall'ambasciata, si a.-ecarono in un locale notturno donde telefonarono, giusta pll."evia inrtesa, a due corrispondenti di giornali parigini, ai quali fecero un'ampia relazione della serata, menzionando in modo speciale le persone con le quali il cancelliere si era intrattenuto più lungamente a conversare. Anche in tale occasione esse ridico

{l) Cfr. n. 211.

lizzarono Hitler, ma furono cortesemente contraddette da un giovane fascista italiano che era in loro compagnia, il quale lodò invece l'atteggiamento correttissimo del cancelliere dell'Impero.

239

AGREEMENT OF UNDERSTANDING AND COOPERATION BETWEEN THE FOUR WESTERN POWERS (l)

[Roma, 19 marzo 1933].

1

The four Western Powers: France, Germany, Great Britain, Italy, undertake to carry out between themselves an effective policy of co-operation in order to ensure the maintenance of peace in the spirit of the Kellogg Pact and of the «No resort to force» Pact envisaged by the declaration signed by the above Powers on 11th December, 1932 (2). They undertake furthermore to follow such course of action as to induce, if necessary, third parties, so far as Europe is concerned, to adopt the same policy of peace.

11

The four Powers confirm that, while the proVIswns of the Covenant of the League of Nations embody a scrupulous respect for all treaty obligations as a means of achieving international peace and security, they also contemplate the possibility of the revision of the Treaties of Peace when condition arise that might lead to a conflict between nations. In order to regulate and define the application of this principle of revision, the four Powers declare that such application should take piace through agreements based on the mutuai recognition of the interests of all concerned and within the framework of the League of Nations.

111

The four Powers reiterate their resolve to co-operate in the Disarmament Conference with the other States there represented in seeking to work out a Convention which shall effect a substantial reduction and a limitation of armaments with provision for future revision with a view to further reduction. But, should the Disarmament Conference lead to only partial results. France, Great Britain and Italy declare that the principle of equality of right, must have a practical value, and Germany agrees that such principle of equality of rights shall only be put into practice by degrees under agreements to which each of the four Powers must be a party.

IV. The application of such principle of equality of rights to Austria, Hungary and Bulgaria shall be governed by the same conditions as those expressed in the

case of Germany in the preceding article and only under agreement to which each of the four Powers must be a party.

v.

The four Powers pledge themselves to co-operate in the work of finding solutions for the economie difficulties which now face their respective nations and the world as a whole.

VI.

The present agreement of understanding and co-operation will, if necessary, be submitted for the approvai of the Parliaments of the Contracting Powers within three months of the date of its signature. Its duration shell be for ten years. If no notice is given before the end of the ninth year by any of the parties of an intention to treat it as terminated at the end of such ten years, it shall be regarded as renewed for another period of ten years.

VII.

The present agreement shall be registered, in accordance with the Covenant of the League of Nations, at the Secretariat of the League of Nations (1).

(l) -Edito in traduzione ita.llana ln SALATA, pp. 178-179 e in GIORDANO, pp. 184-185. (2) -Cfr. serie VII, vol. XII, n. 530.
240

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1063/139 R. Washington, 20 marzo 1933, ore 18,45 (per. ore 7 del 21).

Primi commenti della stampa americana sul progetto «Patto Mussolini » mettono in evidenza suo carattere realistico e possibilità che essa offre di correggere ingiustizie dei trattati di pace.

Viene unanimamente riconosciuto servizio reso da Mussolini all'Europa suggerendo procedura pratica per eliminare pericoli latenti di conflitto. Si attende con molto interesse di conoscere reazione del Governo francese.

241

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AI RAPPRESENTANTI DIPLOMATICI ALL'ESTERO

T. 451/c. R. Roma, 20 marzo 1933, ore 21. (Per tutti) Comunicato odierno sull'incontro con Mac Donald e Simon indica le grandi linee secondo le quali si sono svolti colloqui di questi giorni. E'

stata riconfermata la volontà di fare opera costruttiva di pace da parte dei due Governi evitando la formazione di gruppi di Stati e mirando invece ad un'opera

di collaborazione. A dare forma precisa a questi principi e ad avviarne la realizzazione nel campo politico economico mira il progetto da me presentato di cui d'accordo col Governo inglese è in corso l'ulteriore negoziato coi Governi francese e germanico cui esso viene comunicato. Supe~fluo che avverta che progetto pur limitato alle sole quatro grandi Potenze si ispira alla necessità di giovare a tutti gli Stati -grandi e piccoli -tenendo conto delle esigenze della situazione presente che solo la collaborazione fra i quattro maggiori Stati europei dà affidamento di poter superare.

(Per Washington) Maggiori particolari sul progetto da me presentato, vengono forniti a questa ambasciata.

(Per Vienna e Sofia) A questa legazione vengono forniti particolari sul progetto mettendo in evidenza il fatto che esso tiene specificatamente conto degli interessi di codesto paese per quel che riguarda l'applicazione del principio dell'uguaglianza dei diritti.

(Per Budapest) Il ministro Kanya presente in Roma durante i negoziati è stato tenuto al corrente in modo particolare del loro andamento ed è stato informato che il progetto tiene specificatamente conto degli interessi di codesto paese per quel che riguarda l'applicazione del principio dell'uguaglianza dei diritti.

(Per Praga Bucarest e Belgrado) Attiro l'attenzione in relazione a quanto precede sul seguente brano del discorso di Benes: «La quiete e la pace dell'Europa dipendono dalle relazioni fra la Francia, la Germania, la Gran Bretagna e l'Italia».

(Per tutti) Quanto precede per suo orientamento ed opportuna e per il momento discreta norma di linguaggio. Tenga presente che conversazioni e progetto sono l'applicazione e lo sviluppo delle dichiarazioni da me fatte a Torino.

(l) Questo progetto fu trasmesso a Grandi e Pignatti con dispacci del 20 marzo.

242

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE RR. 1086/34 R. Vienna, 20 marzo 1933 (per. il 22).

È venuto stamane a vedermi questo nunzio apostolico, monsignor Sibilia.

Tra l'altro, mi ha detto che il cancelliere gli aveva dichiarato regnare adesso l'accordo più completo fra il presidente della repubblica, lui Dollfuss, Vaugoin e lo stesso Rintelen; che da questo accordo fra le principali personalità del partito cristiano-sociale non potevasi che ben sperare; e che una prima conseguenza di esso, come gli aveva annunziato Rintelen, era stata la pacificazione delle Heimwehren stiriane con quelle di Starhemberg. Monsignor Sibilia ha messo in grande rilievo l'importanza di tale notizia, aggiungendo che le «Heimwehren dovrebbero ormai avere il potere di attrarre unicamente a loro la gioventù austriaca e la parte benpensante del paese».

Conoscendo l'intimità dei rapporti del mio interlocutore col ministro Rintelen, non ho creduto fargli notare che la composizione del suaccennato dissidio non solo non si è ancora avverata, ma neppure delineata. Gli ho fatto però presente l'opportunità di procurarsi una conferma da parte del Rintelen, al quale, tenuto presente l'alto prestigio di cui gode nella Stiria e presso le stesse dissidenti organizzazioni, avrebbe anzi potuto nell'occasione utilmente parlare nel senso istesso che aveva fatto meco.

S. E. mi ha poi confidato che qualche tempo fa aveva creduto di far presente al presidente della repubblica, che è un ottimo cattolico, tutto il pericolo insito nell'imperio esercitato dai socialcomunisti su Vienna, insinuando la necessità di espellerli da tale dominio con misure eccezionali. Il presidente gli aveva risposto che, desiderando mantener fede al giuramento prestato per il mantenimento della Costituzione, non avrebbe mai permesso misure che non fossero da essa contemplate. Al che monsignor Sibilia aveva replicato che nei canoni è previsto lo scioglimento del giuramento, qualora il suo mantenimento fosse per riuscir nocivo a terzi; scioglimento di voti a cui egli, nella sua qualità ecclesiastica, avrebbe senz'altro proceduto, la situazione dell'Austria essendo tale che un allontanamento dalla costituzione avrebbe rapresentato, più ancora che la cessazione di un nocumento, un sicuro vantaggio per tutti.

Senonché il presidente si era mantenuto sulla negativa. Tuttavia monsignor Sibilia è incline a credere che l'accorgimento usato da Dollfuss nel provocare l'attuale crisi parlamentare sarà ben valso ormai a far scomparire gli scrupoli del presidente.

S. E. ha infine aggiunto che avrebbe visto in giornata Dollfuss e Rintelen, cui non avrebbe mancato di far sentire il suo modo di vedere, che è quello da lui già sottoposto alla S. Sede: e cioè -come egli medesimo me lo ha riassunto sorridendo -che il Governo austriaco, qualora effettivamente voglia conseguire un reale successo, dovrà orma,i vestire calzoni e non già gonnelle.

Dalla conversazione ho infine l'impressione che il mio interlocutore sia contrario ad ogni eventuale intesa fra le Heimwehren ed i nazi austriaci; e che pertanto la sua azione tenda allo sviluppo graduale, ma energico e deciso, della situazione interna, quale essa si è formata in seguito alla interruzione dei lavori parlamentari: ossia che ogni azione venga unicamente rivolta al rafforzamento del partito cristiano-sociale e delle Heimwehren.

243

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (l)

T. PER CORRIERE R. 175 (2). Berlino, 20 marzo 1933 (per. il 27).

Mio teleg,ramma per cocriere n. 161 e filo n. 164 (3). La situazione in Austria viene considerata da V. E. e dal cancelliere Hitler sotto punti di vista divergenti. Parlo di Hitler personalmente, perché il pensiero

22 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XIII

del Governo tedesco concorda con quello del Governo fascista. La divergenza consiste, se non erro, in ciò che V. E. desidererebbe appoggiare l'attuale cancelliere Dollfuss ed aiutarlo a costituire un Governo forte con un fronte nazionale formato dalle Heimwehren, dal Landbund, dai socialnazionali e dai cristianosociali. Hitler per contro non ha fiducia in Dollfuss il quale, a suo avviso, commise troppi errori, egli vuole la caduta del Cancelliere austriaco e la convocazione dei comizi elettorali, dai quali :::i ripromette un successo notevole dei nazional-socialisti, la constatazione della scarsa forza delle Heimwehren e del Landbund e la consacrazione del vecchio partito cristiano-sociale che, secondo lui, non potrebbe in alcun caso fare un accordo con i social-democratici.

In altre parole tanto il Governo fascista quanto il cancelliere Hitler desiderano la costituzione in Austria di un fronte nazionale, ma noi vorremmo che il nuovo Governo austriaco fosse composto dei vari elementi del fronte unico, senza nuove elezioni onde evitare la prevalenza dei nazionalsocialisti, mentre Hitler sembra aspirare, attraverso le elezioni, al potere dei suoi condiviso unicamente con i cristiano-sociali, col sacrificio completo delle Heimwehren e del Landbund.

Non c'è dubbio Che l'aspirazione del cancelliere rappresenti un serio pericolo, ch'egli del resto non ha nemmeno cercato di nascondere, conversando meco. Hitler vuole che il futuro Governo austriaco sia prevalentemente nazionalsocialista, che si stacchi dalla Francia e sia intieramente dedito a Berlino, che esso, secondo la sua frase testuale, «si rivolga colà dov'è naturale si rivolga, cioè alla Germania». Egli non menzionò l'Italia in questa occasione e disse solo in fine del colloquio che l'Austr,ia doveva salvarsi dal pericolo di essere asservita alla Francia e alla Piccola Intesa, aggiungendo che questo era un interesse comune all'Italia, alla Germania e all'Ungheria.

Dopo aver riflettuto alla cosa ed avere assunto maggiori informazioni sopra la situazione in Austria, mi permetto sottoporre all'E. V. una proposta conciliativa. A mio giudizio non sarà infatti possibile evitare per lungo tempo la caduta del Cancelliere Dollfuss. Si dovrebbe dunque non continuare a dargli H nostro appoggio ma fare in modo che, prima ancora che siano indetti i comizi elettorali e costituito un nuovo Governo, presieduto da Rintelen o da Jakoncig o da un altro, si formasse anche in Austria un fronte nazionale -secondo l'esempio tedesco -costituito dai nazionalsocialisti, dalle Heimwehren, dal Landbund e dai cristiano-sociali, senza presentazione di una lista elettorale unica, ma con una ripartizione preventiva dei posti nel nuovo Gabinetto, in modo che ogni partito vi fosse rappresentato secondo la propria forza presunta.

Ove V. E. non negasse il proprio consenso ad una simile formula compromissoria, si potrebbe intrattenerne il cancelliere Hitler insistendo sul valore morale che avrebbe, ancor prima delle elezioni, lo spiegamento delle forze nazionali austriache e la costituzione di un Governo in cui fossero rappresentati non due soli partiti, ma tutti quanti quelli austriaci dell'ordine. Un'azione opportuna dovrebbe essere svolta anche a Vienna verso i partiti e gli uomini politici che sarebbero chiamati ad assumere la successione di Dollfuss (1).

(l) -Edito In DE FELICE, p. 471. (2) -Privo di numero di protocollo generale perché non inserito nella raccolta del telegrammi In arrivo. (3) -Cfr. nn. 202 e 212.

(l) Il 25 marzo Mussolini dette istruzione a Cerruti di non dar seguito per il momento a questa proposta (t. 3009/99 P. R.).

244

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, JOUVENEL

APPUNTO. Roma, 20 marzo 1933.

Ho incontrato ieri de Jouvenel che mi ha detto: Aver da Parigi impressioni favorevoli. Egli da parte sua ha fatto del suo meglio per presentare il Progetto del Patto in modo da indurre il suo Governo ad accettarlo. Ha avuto ripetuti colloqui con Paul Boncour ed ha pregato de Monzie di patrocinare la cosa presso Daladier. Ha l'impressione che gli inglesi abbiano buona opinione di Daladier; gli pare anche che la nostra stampa non gli sia ostile. È persuaso che il progetto andrà -è una grande cosa -si rende conto delle difficoltà del suo Governo, ma confida che le supererà. Vorrebbe che nell'articolo I fosse richiamato anche il Covenant: ciò faciliterebbe l'accettazione senza modificare in nulla lo spirito. Ha chiamato ieri mattina i tre rappresentanti della Piccola Intesa e della Polonia, per spiegare loro la portata e l'importanza del Patto. Ha trovato ragionevoli il Cecoslovacco e il Rumeno, specialmente il primo. Ha richiamato l'attenzione del Governo francese sulle dichiarazioni di Benes e sul fatto che le quattro Potenze occidentali sono quelle che hanno i seggi permanenti alla S.d.N. Se la cosa andrà, come spera, sarà un grande successo per Mussolini. «A noi (francesi) la cosa non ci disturba per nulla~. Bisognerà poi completare il Patto con accordi a due, primo fra tutti quello Francia-Italia (1).

245

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL

APPUNTO. Roma, 20 marzo 1933.

Convocato da me è venuto von Hassell; gli ho consegnato il progetto modificato (2), spiegandogli le ragioni delle modificazioni.

Mi è parso persuaso.

Mi ha chiesto se il suo Governo doveva fare ora le osservazioni; gli ho risposto di sì perché attendevamo anche quelle dei Francesi.

(l) -Questo appunto fu lnvla.to a. Plgnattl 11 22 marzo (d. 1940). (2) -Cfr. n. 239.
246

APPUNTO (l)

Roma, 20 marzo 1933.

Appare opportuno che, analogamente a quanto, in base al telegramma dell'Ambasciatore Rosso (2) si propone di fare nei riguardi degli Stati Uniti d'America informando l'Ambasciatore Garrett dello svolgimento dei negoziati con il signor MacDonald, anche l'Ambasciatore dell'U.R.S.S. venga, possibilmente nella giornata di oggi, chiamato al Ministero degli Affari Esteri perché possano essergli chiariti sulla base del comunicato stampa i concetti e gli scopi del progetto di trattato fra le quattro Potenze occidentali.

Potrebbero essere chiamati al Ministero anche l'Ambasciatore di Turchia, i Ministri di Austria e Bulgaria, per essere informati, se anche in modo più conciso, dell'andamento dei negoziati in corso; e gli ultimi due altresì del fatto che il progetto tiene conto anche dei loro Paesi per quel che riguarda l'applicazione del principio di uguaglianza dei diritti.

A tutte le Ambasciate e Legazioni italiane all'estero potrebbe essere inviato il telegramma qui accluso (3).

Oltre che all'Ambasciatore degli Stati Uniti ed all'Ambasciatore dell'U.R.S.S. parrebbe opportuno fare una comunicazione analoga all'Ambasciata di Polonia in vista della particolare situazione di questo Stato specialmente in questo momento nel quadro della politica europea (4).

247

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 507/155. Ankara, 20 marzo 1933 (per. il 29).

Faccio seguito al mio rapporto n. 420/132 del 7 c.m. (5).

Il Signor Tewfik Rustu è giunto qui il 12 corrente. Il 14 ha avuto luogo un Consiglio di Ministri, innanzi al quale egli ha fatto l'esposizione della situazione internazionale e il resoconto dell'opera da lui svolta a Ginevra e ad Atene.

Il 15 sono stato chiamato a conferire presso di lui. Quella chiarificazione degli intendimenti di lui che io mi proponevo di fare di mia iniziativa si presentava invece ad iniziativa di lui, e debbo anzi ritenere che le comunicazioni fattemi siano il risultato di deliberazioni adottate in Consiglio Ministri.

l. -Il Signor Tewfik Rustu ha cominciato col dirmi che in questo momento non vede pericoli immediati nella situazione internazionale. Per quello che riguarda gli avvenimenti in Germania, egli non crede che essi abbiano a condurre a precipitose soluzioni neppure nei riguardi del corridoio polacco che

pur essendo la più urgente delle aspirazioni tedesche deve sempre presumere che la Germania si costituisca, con o senza i consensi ginevrini, un minimo di forza militare. Nei riguardi della Russia, la Turchia finisce con avere, attraverso il riflesso di Mosca, un interesse alle vertenze dell'Estremo Oriente; il Signor Tewfik Rustu mi ha detto di avere ricercato, durante la permanenza a Ginevra, un chiarimento giapponese sulle relazioni nippo-sovietiche, specialmente in relazione al mancato patto di non aggressione; gli è stato risposto che il patto è stato rifiutato non perché si abbiano idee aggressive ma perché si vuole impedire che, dando ai Sovieti la sicurezza dell'impunità, questi non si permettano in materia di propaganda comunista e di organizzazioni di ogni genere a danno del Giappone in Estremo Oriente, ogni libertà.

Rivolgendo poi il suo esame alla situazione balcanica egli ha affermato di non vedere ancora ragioni di allarmi immediati.

2. -Pr,emesso questo quadro, come per dimostrare che egU non era sotto l'assillo di preoccupazioni che gli togliessero la serenità di giudizio, egli è venuto al punto oscuro della situazione: la Piccola Intesa. Per lui, il rafforzamento dei vincoli dei tre Stati non rappresenta nulla di nuovo; con o senza quel documento esplicito, la situazione implicita di solidarietà della Piccola Intesa esisteva ed esisterà. Ma è questo un punto di arrivo o un punto di partenza? Il pericolo della situazione risiede nella eventualità di allargamento del sistema. Gli sforzi che spiega la Francia per disgregare i sistemi altrui gli sono apparsi più evidenti durante il suo soggiorno a Ginevra, specialmente dopo la conclusione del patto della Piccola Intesa. Egli stesso ne è stato oggetto. «Non si può più dire -egli ha esclamato -che la Turchia resistendo alle lusinghe francesi disprezzi «l'uva acerba», cioè quel frutto che essa desidera ma che non può raggiungere; né si può più sostenere che la Turchia oscilli nei suoi sistemi e si tenga sottomano una uscita di sicurezza verso la F'rancia. A Ginevra tutto questo è stato tentato, è stato apertamente detto ed apertamente rifiutato. Oggi quei signori sanno a che cosa attenersi». E qui egli mi ha detto che i passi fatti verso di lui dal Signor Paul Boncour per attrarlo in una politica di collaborazione sono stati continui ed insistenti e lo hanno inseguito sino a Milano: mi ha mostrato una lettera dello stesso Paul Boncour che lo aveva raggiunto durante la sosta in Italia. In essa è detto che i recenti accordi turco-francesi non erano stati ancora ratificati per semplici ragioni di lavori parlamentari, ma che lo saranno prossimamente ed in tale occasione sarà promossa una seconda grande manifestazione della Camera francese per la Turchia e per l'amicizia franco-turca, allo sviluppo della quale il Signor Pau! Boncour intende dedicarsi con ogni impegno ecc., ecc.

A tutte le offerte francesi, il Signor Tewfik Rustu avrebbe risposto di essere pronto a qualsiasi intesa che sia compatibile con gli accordi di amicizia che legano la Turchia e con gli impegni presi dalla Turchia verso i propri amici. A rincalzo del Signor Pau! Boncour sarebbe poi venuto il Signor Titulesco, a cui Tewfik Rustu avrebbe risposto: «mettetevi d'accordo coi Russi prima di considerare l'eventualità di lavorare con me». A questo proposito, debbo dire che il Signor Tewfik Rustu che visibilmente dimostra poca fede nelle virtù rumene, ha additato la Romania come il locus minoris resistentiae della Piccola Intesa e come il punto di sfaldamento probabile.

A questo lavoro positvo verso la Turchia, si è aggiunto (continuano sempre le comunicazioni del Signor Tewfik Rustu) il lavoro negativo di avvelenamento dei rapporti italo-turchi, a mezzo delle voci, fortunatamente incredibili, messe in giro attraverso i vari satelliti che la Francia assolda nella stampa stambulina e persino tra i membri della Grande Assemblea Nazionale turca, o attraverso gli agenti jugoslavi.

3. -In seguito agli avvenimenti interni della Grecia e considerando la «simpatia naturale della Grecia verso la Francia~ e le impressioni che il nuovo patto della Piccola Intesa poteva aver prodotto in Grecia, specie nei momenti di instabilità atraversati, il Signor Tewfik Rustu ha dovuto precipitarsi, come egli mi ha detto, ad Atene per tamponare in tempo ogni possibile falla. Egli era felice di dirmi di essere arrivato prima dei francesi e di aver potuto constatare che il nuovo Governo greco non intende affatto mutare l'orientamento del paese verso la Turchia ed in genere verso il sistema di cui l'uno e l'altro paese fanno parte. La riaffermazione di questa linea politica, attraverso le ampie oscillazioni dei partiti in Grecia, dimostra che l'orientamento è stabile ed è fondato sul consenso concorde dei più opposti settori greci.

Il Signor Tewfik Rustu mi ha detto che finché non aveva avuto in mano questo elemento di tranquillità non aveva potuto esprimersi per intero col Barone Aloisi, a Ginevra, malgrado il grande affiatamento con cui avevano lavorato insieme; solo dopo il viaggio ad Atene egli aveva potuto individuare quello che rimaneva il solo punto nevralgico della situazione, e formare in maniera definitiva il suo pensiero in proposito. Questo punto nevralgico è la Bulgaria.

4. -Nel mio precedente rapporto io riconoscevo la situazione della Turchia di fronte al fatto nuovo della Piccola Intesa nel senso che diveniva interesse fondamentale ed urgente di questo Paese di assicurarsi l'amicizia della Bulgaria. Col passo del Signor Tewfik Rustu, il governo turco si è collocato in maniera precisa nella posizione prevista.

Il Signor Tewfik Rustu mi ha dichiarato che il Governo Turco se consi

dera con ferma serenità il nuovo patto della Piccola Intesa deve considerare

come un pericolo grave per sé e per la situazione generale ogni tentativo della

Francia e della Piccola Intesa di attrarre nella propria orbita la Bulgaria.

Il piano attribuito al Signor Tewfik Rustu come atteggiamento di reazione

al nuovo Patto non consiste dunque in alcuna iniziativa di carattere positivo,

ma è contenuto nei limiti logici e minimi di una difensiva: impedire l'accapar

ramento della Bulgaria nell'altro campo. Egli stesso, dopo avermi illustrato le

ragioni vitali per le quali la Turchia non può transigere su questo punto, ha

voluto insistere sulla necessità di non fare nulla che possa dare pretesto agli

altri per una nuova speculazione politica; quindi niente affermazioni di contro

blocchi ma semplice azione di salvaguardia contro l'eventualità dell'accessione

della Bulgaria al blocco della Piccola Intesa.

Il Signor Tewfik Rustu ha iniziato e intende svolgere questo lavoro di salvaguardia nel seguente modo:

a) Ha avvertito il Governo Britannico del pericolo che risiede nel punto nevralgico della Bulgaria, affinché -per amore della pace di cui quel Governo appare essere il supremo sostenitore e regolatore -sappia che una pressione micro-intesista sopra il Governo di Sofia sarebbe considerata come una minaccia per la Turchia e sappia quali conseguenti suggerimenti far pervenire ai male intenzionati.

b) Adopererà la sua azione persuasiva tanto ad Atene quanto a Sofia per eliminare le divergenze di puro carattere finanziario che attualmente rendono difficili le possibilità di intesa di quei due Governi.

c) Profitterà del margine di un anno che ancora rimane alla durata quinquennale del patto di neutralità tra Turchia e Bulgaria (6 marzo 1929) per cercare di ottenere almeno il rinnovo di esso, il che sarebbe già garanzia sufficiente contro l'eventualità di una adesione bulgara alla Piccola Intesa.

d) Si rivolge all'Italia affinché svolga la sua alta influenza presso il Governo di Sofia e faccia quivi pervenire i suggerimenti del caso. Questo lavorio del Governo Italiano avrebbe tanto maggior valore se fatto «in correlazione con gli aiuti che l'Italia fa pervenire alla Bulgaria » (parole testuali di Tewfik Rustu).

Queste le comunicazioni che sono stato incaricato di trasmettere a V. E.

Il mio subordinato avviso è che, contenuto nei limiti di una necessità logica evidente, il pensiero del Signor Tewfik Rustu e la richiesta di appoggio che viene rivolta al Governo Italiano per un comune lavoro verso la Bulgaria, debbano essere considerati come cosa seria e corrispondente al nostro interesse.

Le debolezze del sistema greco-turco e le minori forze di coesione di esso in confronto a quelle della Piccola Intesa ci impongono di supplire con una continua sorveglianza e con un appoggio politico le manchevolezze di esso: una macchina non perfettamente messa a punto ha bisogno dell'occhio assiduo del macchinista e di una scorta di pezzi di ricambio.

Alcune di queste debolezze risultano implicite dalle parole e dall'atteggiamento del Signor Tewfik Rustu verso la Grecia. La frase sulla «naturale simpatia della Grecia verso la Francia», la corsa precipitosa per tamponare una falla prevedibile, sono sintomi che quel locus minoris resistentiae che noi attribuiamo alla Romania nel sistema della Piccola Intesa, può essere attribuito egualmente alla Grecia nel sistema mediterraneo.

Aggiungo l'antirevisionismo logicamente presumibile nella Grecia (antirevisionismo che ha un valore che non deve un giorno sorprenderei in uno schieramento futuro dell'Europa tra paesi revisionisti ed antirevisionisti) e la innata diffidenza che noi sentiamo per lo spirito di lealtà e di dirittura di quel popolo.

Questo per la Grecia.

In quanto alla Turchia, credo alla dichiarazione di fedeltà del Governo turco ed alle ripulse di esso verso la Francia in quanto sussiste una fondata speranza di attrarre la Bulgaria verso il binomio greco-turco. Ma se questa speranza dovesse cadere, l'eventualità di una contro-assicurazione della Turchia nel campo opposto diverrebbe, a mio avviso, inevitabile.

Questa diagnosi deve portarci a non fare assegnamento sull'organismo greco-turco, pel fatto delle sue debolezze, ovvero a rinvigorirlo? Rispondo: a rinvigorirlo.

L'innesto bulgaro è il mezzo e la condizione sine qua non per tale rinvigorimento; ed è perciò che nel trasmettere a V. E. la comunicazione del Signor Tewfik Rustu, mi permetto associarmi al programma di una azione comune verso la Bulgaria O).

(l) -Il documento, privo di firma, è redatto su carta del Gabinetto. (2) -Cfr. n. 236. (3) -Cfr. n. 241. (4) -Annotazione a margine: «Il telegramma è stato approvato. URSS Polonia e Turchia non saranno chiamate. Il Ministro Buti può chiamare Egger e Wolkoff ». Altra annotazione di Buti: «Già provve<luto per Egger e Wolkoff 21/3 ». (5) -Non pubblicato.
248

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1082/177 R. Parigi, 21 marzo 1933, ore 21,15 (per. ore 23,40). Mio telegramma n. 176 (2).

Constato nella stampa locale e nell'opinione pubblica una maggiore riserva nel considerare iniziativa italiana che si teme nasconda insidie per la Francia e i suoi alleati.

In attesa che domani, dopo la partenza dei ministri britannici si chiariscano le cose, segnalo una manovra della quale ho avuto ieri la prima sensazione e che si è affermata oggi con più chiari sintomi.

È stato detto a me e ad altri che la intromissione dell'Inghilterra non sembrava necessaria né opportuna, Italia e Francia poter intendersi assai meglio direttamente.

È evidente il proposito di staccarci dall'Inghilterra per ristabilire, in un secondo tempo, intesa franco-inglese. A chi mi ha parlato nel senso suddetto ho risposto che l'Italia ha dato manifesti ripetuti segni di non rifuggire da conversazioni con la Francia. Ho osservato d'altra parte che i gabinetti di Parigi e di Berlino erano stati tenuti al corrente ora per ora, delle conversazioni di Roma in modo che si poteva ben dire che vi avessero partecipato direttamente.

249

IL MINISTRO A PRAGA, ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1100/51 R. Praga, 21 marzo 1933 (per. il 23).

II piano britannico presentato da MacDonald alla conferenza del disarmo è stato immediatamente offuscato, nella pubblica opinione di questo paese, e

«Rapporto importante da segnalare a Sofia. È evidente che nell'interesse dell'Italia, bisogna evitare che la Bulgaria entri -anche

soltanto moralmente nell'orbita della Piccola Intesa. La costituzione della triplice del Mediterraneo orientale coll'aggregazione della Bulgaria, risponde sempre al nostri interessi. Bisogna sanare il dissidio bulgaro-greco, far rinnovare il patto turco-bulgaro e agire da parte nostra sugli «agrari» per eliminare tendenze jugoslavofile di alcuni elementi bulgari».

«Vi è unanimità nella stampa e nell'opinione pubblica nel constatare il grande successo di s. E. il Capo del Governo, successo che, oltre al resto, ha avuto il vantaggio di acquistare all'Italia la simpatia dell'Inghilterra».

prima di essere ampiamente discusso, dalla visita del premier e del ministro degli esteri sir John Simon a Roma.

Per la documentazione cronologica si può dire che il progetto MacDonald aveva avuto qui accoglienza riservata ma non decisamente ostile. Il sopravvenuto annuncio del viaggio a Roma gettava invece subito un tale allarme che il piano inglese veniva considerato soltanto in funzione dei risultati del convegno itala-britannico.

L'atteggiamento di questi circoli politici ha rivelato fin dal principio il disorientamento e la preoccupazione per i nuovi contatti fra grandi Potenze ad esclusione dei rappresentanti dei piccoli Stati che più si agitano in Europa. Accenni che volevano essere insinuanti esprimevano la speranza che l'Italia tornasse alla collaborazione coi suoi grandi alleati rallentando i legami della sua nuova amicizia con la Germania hitleriana.

Ma il successo mondiale del convegno di Roma e l'impossibilità di ulteriormente mascherare il colpo da esso portato alla Piccola Intesa ha determinato rapidamente una reazione in questa stampa, che si è accentuata a misura che l'atteggiamento ostile della stampa francese è venuto precisandosi.

Con telespresso odierno n. 498/326 (l) trasmetto i principali commenti della stampa accompagnati dai telegrammi Stefani di ieri e di oggi che li riassumono. Da essi risulta quanto segue:

l) In Cecoslovacchia si levano alte strida contro la esclusione della Polonia e della Piccola Intesa, nonché degli slavi d'Europa dal «concerto delle grandi Potenze europee :» che si ricostituirebbe sotto specie di un blocco latinogermanico.

2) Grida d'allarme vengono lanciate contro le tendenze revisionistiche del progettato «direttorio delle quattro Potenze:» nel quale la Francia si troverebbe in minoranza contro un blocco itala-tedesco ed una Inghilterra disposta a fare tutt'al più da arbitro. Per cui si spera che la Francia non accetti di farne parte se non facendovi ammettere quale contrappeso, la Polonia e la Piccola Intesa che rappresenterebbero altre due grandi Potenze.

3) L'Inghilterra e MacDonald sono trattati da questa stampa molto male; in ogni caso con minore r>iguardo che l'Irtalia e Mussolini. Il che non toglie che il dispetto e il risentimento si manifestino anche contro l'Italia attraverso insinuazioni come quella, di fonte francese, che da Roma non sarebbe stato emanato un comunicato comune itala-britannico, ma solo un comunicato italiano. Da questo punto si traggono illazioni di pretese riserve di MacDonald in confronto del progetto Mussolini. Ma tali insinuazioni sono contraddette dalle stesse corrispondenze da Roma che riportano le allusioni di MacDonald al « comune comunicato:».

In conclusione si accusa il colpo e si cere::, di attenuarlo con la campagna per l'ammissione, nel gruppo delle quatro Potem:e, della Polonia, messa avanti come aspirante grande Potenza, e, al suo seguito, della Piccola Intesa in blocco.

Nei circoli politici si sente però che la resi~tenza degli Stati antirevisionisti è fortemente scossa. Presto occorrerà scegliere --come mi è stato detto in am

oienti politici -tra il prolungare la resistenza, anche sotto forma di semplice resistenza passiva, oppure prepararsi a negoziare. I circoli militari si preparano a resistere sul terreno della conferenza del disarmo con l'opposizione al piano MacDonald. Nei circoli diplomatici il successo italiano viene riconosciuto in pieno e senza riserve.

In relazione al telegramma di V. E. n. 451/C (l) pervenutomi oggi, ho chiesto di vedere Krofta col quale mi esprimerò secondo le istruzioni impartitemi, anche allo scopo di cercare di ottenere un atteggiamento più obbiettivo di questa stampa. Molto dipenderà dalle notizie che perverranno da Parigi sull'esito dei colloqui di MacDonald nella capitale francese.

(l) In relazione a questo rapporto Musso11ni annotò quanto segue:

(2) Con t. 1077/176 R. de 20 marzo Plgnattl aveva comunicato:

(l) Non pubblicato.

250

COLLOQUIO FRA IL CAPO GABINETIO, ALOISI, E L'AMBASCIATORE DI TURCHIA A ROMA, VASSIF BEY

!PPUNTO. Roma, 21 marzo 1933.

Mi ha messo a parte del malcontento della Turchia per due manchevolezze del progetto inglese di disarmo; e cioè per non contenere esso alcuna allusione alla Turchia, misconoscendo quindi il suo carattere di Stato europeo, e per aver assegnato alla Polonia e alla Romania delle quote di forze aeree ingiustamente superiori a quella concessa alla Turchia. Circa il primo punto ho risposto essere l'omissione della Turchia evidentemente dovuta allo speciale angolo visuale sotto cui è stato considerato il progetto, e non alla mancanza della dovuta considerazione verso la Turchia, dato che l'omissione lamentata si estende alla stessa Gran Bretagna. Quanto al secondo punto, ho fatto notare che la Turchia ha tutte le possibilità di far valere, in sede di discussione, le sue buone ragioni in favore di una migliore perequazione fra le sue forze aeree e quelle della Polonia e della Romania.

Ha finito con un'ultima lagnanza. Mi ha detto che, avendo letto il comunicato sui negoziati di Roma fra V. E. e MacDonald, e conoscendo d'altra parte la speciale sensibilità del Ghazi per certe questioni, riteneva più che probabile che il Ghazi sia rimasto poco soddisfatto della distinzione adottata nel piano proposto, fra grandi e piccole potenze. Ho cercato di convincerlo che non si trattava di grandi o di piccole potenze, ma di quattro potenze che per le peculia~i c:Lrcostanze di fatto del momento attuale si trovavano in condiz.ioni di poter assumere uno speciale atteggiamento di cooperazione e di guida di fronte alle altre verso il grande scopo comune della pacificazione e della ricostruzione europea. Cosi come non più tardi dello scorso dicembre altre diverse cir !ostanze di fatto avevano determinato un aggruppamento di potenze del tutto differente da quello attuale per una dichiarazione di parità navale, che allora era servita allo scopo comune di salvare la conferenza del disarmo (2).

(l) -Cfr. n. 241. (2) -Cfr. serle VII, vol. XII, n. 551.
251

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 260/91. Addis Abeba, 21 marzo 1933 (per. il 20 aprile).

Il R. Console di Adua informa di avere appreso che Ras Seium ha scritto a Addis Abeba, dicendo essere sua persuasione che il Governo italiano prepari la guerra contro l'Etiopia a breve scadenza. Il Ras soggiunge che il nostro Governo farà venire in Eritrea delle truppe libiche, prevedendo la defezione delle popolazioni eritree, e consiglia l'Imperatore a sollevare proteste contro tale misura. Egli aggiunge ancora che il Diglàl Beni Amer ha ricevuto l'ordine di fare affluire al Mareb tutti i cammelli disponibili.

Segnalo queste informazioni di Ras Seium al suo governo come un altro sintomo dell'opinione diffusa nelle sfere etiopiche di una nostra prossima guerra contro l'Abissinia.

Il Governo dell'Eritrea è stato informato direttamente dal R. Consolato d1 Adua.

252

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. RR. 1356/633. Mosca, 21 marzo 1933.

Taluni spunti tratti da rapporti di altre RR. Rappresentanze mi hanno fornito occasione per una nuova conversazione, avvenuta oggi stesso, con Litvinov in merito alla Piccola Intesa.

Ho creduto infatti opportuno attirare l'attenzione di Litvinov sul fatto che Benes, non astante la opposizione prevedibile all'interno del suo stesso paese ed allo scopo di rafforzare il contenuto e quindi la coesione del nuovo aggruppamento, possa cercare di servirsene per l'attuazione dei piani di unione eco· nomica che tanto gli sono cari. Un simile programma, col suo immancabile contorno di tariffe preferenziali etc., non può non riuscire ostico all'URSS.

Litvinov ha preso nota di tutto quanto io gli dicevo e si è mostrato sensi · bile all'avvertimento.

La conversazione essendo naturalmente caduta sui rapporti fra la Piccola Intesa e l'URSS, Litvinov, dopo ripetute raccomandazioni perché io tratta;si la informazione come confidenzialissima, mi ha detto che recentemente Be-les aveva fatto, per quanto molto cautamente, delle avances, per sentire quali sarebbero state le intenzioni dell'URSS in fatto di rapporti con la Piccola Intesa. Bisogna premettere che, proprio alla vigilia del patto di Ginevra, Cecoslr vacchia e URSS erano già praticamente prossime ad una piena ripresa di relDzioni diplomatiche. ~armato il nuovo gruppo, le trattative furono interrotte.

Benes le ha ora riprese, proponendo all'URSS, oltre il riconoscimento anche un trattato di non aggressione e non con la sola Cecoslovacchia, ma co .1 tuttl gli Stati dell'aggruppamento (compresa la Jugoslavia). Lasciava Ubertà all'URSS di trattare con la Piccola Intesa i!'l blocco, oppure separatamente con ciascuno dei suoi componenti.

Come contropartita, Benes chiedeva una revisione dell'attitudine sovietica nei riguardi della Rumania. Non avanzava domande concrete riguardo alla Bessa!l"abia, ma lasciava intendere che una qualunque nuova formula, implicante uno sforzo ed una prova di buona volontà da parte dell'URSS, sarebbe stata sufficiente.

Litvinov mi ha dichiarato di aver declinato l'offerta, non avendo nulla da cambiare alla propria attitudine rispetto alla Rumania. Così la questione è per il momento caduta. «We may however put on record», concludeva Litvinov, « that. if we knock a t the door of the Little Entente it will be opened ».

Le informazioni di Litvinov non mancano di interesse. Mostrano come il ;:uovo aggruppamento della Piccola Intesa, forse di accordo con la Francia, non voglia fermarsi sulle posizioni raggiunte, ma sfruttarle a fondo. La cosa merita di essere da noi seguita anche nei rispetti della Bulgaria e dell'Ungheria i cui rapporti con l'URSS non potranno non sentirsi influenzati da tutto questo movimento e che. a mio parere, finiranno pure col convincersi che il riconoscimento diplomatico non significa necessariamente amicizia e tanto meno intimità. D'altra parte è evidente che la Francia arrivando a Mosca con un nuovo Ambasciatore ed un nuovo programma, in un momento di tensione germano sovietica ed eventualmente contornata da una aureola di satelliti, finirebbe con l'acquistarvi una influenza preponderante. Ma, su questo punto, mi riprometto di ritornare.

Oggi mi preme intanto segnalare un altro punto toccato con Litvinov nella nostra conversazione ed è la tendenzr~, sotto l'incubo dell'hitlerismo (identificato, attraverso Rosenberg, con i famosi «Baroni Baltici universalmente odiatD e la spinta della Polonia, alla formazione di un blocco Baltico, in funzione, per il momento, antigermanica, ma poi ricongiungibile, attraverso la Polonia, alla Piccola Intesa. Anche questo punto mi riprometto di sviluppare a miglior agic col prossimo corriere.

253

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. lfl!H/181 R. Parigi, 22 marzo 1933, ore 19,2tJ (per. ore 23,40).

Seguito telegramma precedente (1).

Il mio interlocutore ha osservato che l'Italia non poteva trascurare la situ~zione che mi aveva esposta. Bisog-nava ad ogni costo impedire che l'irritazior.e persistente francofoba e contro l'Italia avesse conseguenze incalcolabili.

Egli crede che Herriot non avrebbe potuto non essere sensibile ad un articolo elogiativo pubblicato in un grande giornale italiano, ad esempio Corriere della Sera. L'affare della Ruhr, la questione dei debiti e le parole di Tolosa potevano fornire gli elementi per dare risalto alle qualità di uomo di stato di Herriot.

L'interlocutore mi ha detto infine occorreva [tener presente] che Herriot e Mac Donald sono legati vincoli amicizia per rendersi conto urgente necessità evitare, con una immediata azione, che ex-presidente consigli assumere atteggiamenti irreparabili. La conversazione finisce qui.

È innegabile che intorno a Herriot si impernia un complesso politico che non va considerato seriamente. Non so se suggerimento della pubblicazione di un articolo su di un grande giornale italiano sia cosa possibile dato recentissimo atteggiamento nostra stampa, né d'altra parte potrei garantire sua efficacia nei riguardi uomo politico francese il cui persistente corruccio è fuori di dubbio.

Mi permetto tuttavia insistere opportunità far qualche cosa per tentare ammansire Herriot. Circostanza di fatto bene assodata, la cui importanza non può sfuggire, mi induce aggiungere che bisogna far presto. È noto infatti che iermattina prima di ricevere ministri inglesi, presidente del consiglio francese si è intrattenuto per più di un'ora con Herriot.

Per quanto non si abbiano ancora particolari del colloquio franco-inglese di ieri si fanno circolare con compiacenza voci che Daladier ha avuto un contegno se non di resistenza, almeno di riserva assai accentuata. Credo che si possa dedurre che egli ha subito influenza di Herriot. È questo uomo che bisogna rabbonire.

Sono persuaso d'altra parte che azione della Polonia e Piccola Intesa, che si esercita già intensamente verso la grande industria e, in genere, sugli ambienti conservatori francesi, agirà fortemente su Herriot per guadagnarlo alla causa dei piccoli Stati. V. E. che con la sua iniziativa ha ridato fiducia all'Europa e al mondo, giudicherà se, nel quadro della situazione che ho esposto, sia il caso tener conto del suggerimento che ho riferito con telegramma presente.

(l) Con t. 1085/179 e 1087/180 R. dello stesso 22 marzo Pignatti aveva riferito la prima parte di un colloquio avut" con «persona che vive a contatto dei circoli governativi e che vi >, ascoltata» (Roche, cfr. n. 257) la quale aveva manifestato la sua preoccupazione perpossibili intemperanze della stampa italiana e ave\'a sottolineato l'opportunità di evitare •.he Herriot si pronuncias~t. contro il patto a quattro.

254

IL MINISTRO A TIRANA, KOCH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1097/57 R. Tirana, 22 marzo 1933, ore 19,30 (per. ore 6,45 del 23). Telegramma di V. E. n. 35

Nota di risposta circa trattativa S.V.E.A. sembra aver seriamente imbarazzato questo Governo. È stato rilevato e apprezzato tono amichevole e conciliante della nota, ma è stato in pari tempo constatato che essa rafforza il principio inoppugnabile dell'imprescindibilità dei diritti del creditore e del mantenimento

degli impegni e dei pegni riconosciuti dalle convenzioni, di modo che le trattative dovrebbero avere per scopo lo studio di «temperamenti parziali e temporanei » per conciliare quei diritti con le eccezionali difficoltà finanziarie in cui si dibatte attualmente il debitore.

La nota è stata rimessa nelle mani del Re Zog nel pomeriggio di domenica. So che il gdorno 20 e seguenti Sua Maestà l'ha attentamente esaminata e studiata. Ci sono stati due consigli di ministri nei quali il contenuto della nota è stato lungamente dibattuto. Ad un certo momento i Ministri riuniti al consiglio desideravano convocarmi per delucidazioni al riguardo, e che si è poi preferito soprassedere.

Ieri sera poi il ministro della Corte è venuto a dirmi che Re Zog mi avrebbe ricevuto stamane ma che non aveva da dirmi nulla circa le trattative S.V.E.A. perché il consiglio dei ministri non se ne era ancora occupato a fondo e mi ha lasciato intendere che se io avessi desiderato vedere il Re col solo scopo di intrattenerlo sulla questione S.V.E.A. avrei potuto forse evitarmi questo disturbo.

Ho tratto da ciò l'impressione che il Re deve essersi reso ben conto dell'impostazione che si intende dare da parte della S.V.E.A. alle trattative, impostazione ben diversa da quella che eg.li si propoN'ebbe, diretta a modificare radicalmente le convenzioni in modo da annullare la garanzia dei pegni.

Questo stato di incertezza e di imbarazzo potrebbe dar luogo a nuove tergiversazioni. Le favorevoli e amichevoli disposizioni dimostrate ora nuovamente dal R. Governo potrebbero essere accolte solamente nell'intento di giungere ad una nuova sospensione dei pagamenti, protraendo così una situazione che manterrebbe la S.V.E.A. in una certa difficoltà morale di valorizzare i prestiti e col trascorrere del tempo, finirebbe col creare una vera e propria prescrizione morale del debito.

Continua col numero di protocollo succesivo (1).

(1).

(l) Cfr. n. 230.

255

IL MINISTRO A TIRANA, KOCH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1098/58 R. Tirana, 22 marzo 1933, ore 20,35 (per. ore 6,45 del 23).

Seguito del numero precedente (2).

Nella breve udienza che ho avuto tuttavia stamane col Re, senza entrare nel fondo della questione, ho cercato pertanto di provocare senz'altro l'inizio delle trattative. Ho ottenuto la formale assicurazione del Re che oggi stesso il ministro delle finanze avrebbe invitato telegraficamente la SVEA ad inviare qui suoi rappresentanti. Sarei d'avviso che si risponda, senz'altro, informando della nomina dei delegati (sulla scelta dei quali questo Governo è assolutamente indifferente) e annunziandone il prossimo arrivo.

Con la risposta data alla nota albanese, questo Governo non può as~ettar&i una impostazione delle trattative diversa da quella chiaramente accennata nella risposta stessa. Vi è da prevedere che se le trattative si manterranno effettivamente nei limiti indicati dalla nota, questo Governo cercherà di tergiversare senza concludere e di tenere un atteggiamento forse ostruzionistico.

Qualunque sbocco dovesse prendere il negoziato, mi sembra tuttavia che esso debba venire immediatamente iniziato.

Anche un suo fallimento porrà la SVEA in una situazione più precisa e le permetterà di riprendere una libertà d'azione divenuta ormai difficile e che non può completamente riacquistare, se attuale scambio di note non è subito seguito dalla trattazione diretta.

(l) -Cfr. n. 255. (2) -Cfr. n. 254.
256

IL MINISTRO A PRAGA, ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1096/53 R. Praga, 22 marzo 1933, ore 20,45 (per. ore 23,40).

Mio telegramma per corriere n. 51 (1).

Commenti sfavorevoli al progetto Mussolini segnalato ieri sono oggi notevolmente diminuiti da parte di questa stampa, che sembra aver avuto direttive mantenere atteggiamento riservato e prudente nell'attesa maggiori dettagli circa progetto e posizione definitiva Francia.

Krofta non mi ha nascosto sua grande preoccupazione e anche disappunto: preoccupazione per possibili progressi revisionismo ungherese con pretese territoriali su intera Slovacchia sotto eventuale egida quattro Potenze; disappunto per esclusione ... (2) fra cui Cecoslovacchia, dalla politica europea alla quale essa poteva finora partecipare su piede eguaglianza Ginevra.

Argomenti fornitimi da V. E. col telegramma n. 451 (3) sono stati accolti con qualche sollievo da Krofta, che ha dichiarato considerare in massima con favore progetto italiano in quanto Cecoslovacchia risentirebbe innegabili benefid da lungo perùodo pace assicmato dalle quattro Grandi Potenze conforme dichiarazioni discorso Benes. Ma Krofta ha tenuto a soggiungere che Stati minori interessati al mantenimento dei trattati hanno grande bisogno di essere garantiti che collaborazione quattro Potenze non si faccia a loro spese.

Per quanto concerne Cecoslovacchia Krofta ha affermato recisamente che se da una parte le questioni coloniali naturalmente non la riguardano, essa non potrebbe invece ammettere alcuna decisione revisionistica presa a suo danno.

È mia impressione che prime notizie da Parigi abbiano prodotto qui delusioni perché si sperava maggiore opposizione francese. Linguaggio. amaro di Krofta rispecchia questo stato d'animo che potrà forse divenire più sereno nella misura in cui allarmi circa revisione potranno essere calmati.

Naturalmente in questo primo scr:w.bio di idee mi sono limitato a fare uso generico degli argomenti chiarificatori di cui al predetto telegramma n. 451, riservandomi azione più persuasiva se e quando sviluppi situazione ne suggeriranno opportunità.

(l) -Cfr. n. 249. (2) -Gruppo lndeclfrato. (3) -Cfr. n. 241.
257

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1117/182 R. Parigi, 22 marzo 1933 (per. il 24).

Le informazioni e le riflessioni riferite nei miei telegrammi odierni 179, 180 e 181 (l) provengono dal direttore del giornale la République. Emile Roche indirizza come è noto col suo giornale l'opinione delle falangi giovani radicali. Egli è in buoni rapporti col presidente del consiglio ed è strettamente legato con Caillaux dal quale riceve indubbiamente la quotidiana ispirazione. Mi sono incontrato con Roche ieri sera in casa di un comune conoscente. Egli ha diradato le sue visite all'ambasciata perché i suoi nemici hanno diffuso la voce che egli si è venduto all'Italia, per due milioni. Il direttore della République mi ha chiesto se avevo difficoltà di vedere Caillaux, in casa sua. Abbiamo fissato l'incontro per il 31 corrente.

Roche mi è parso preoccupato di quello che potesse esservi dietro il patto di intesa e collaborazione. Ho procurato di rassicurarlo con gli argomenti fornitimi dall'E. V. col telegramma n. 95/C del 19 corrente (2). Non mi è sembrato totalmente persuaso. Ho riscontrato anche in lui quella nervosità di cui sono presi ad intervalli i circoli politici parigini.

La Francia credeva di potere contare sull'amicizia inglese. Dopo gli avvenimenti di Roma si sente più che mai isolato e sospetta insidie maggiori. C'è nell'aria del rancore contro gli inglesi e Mac Donald in persona è preso più specialmente di più. Alcuni giornali esponenti della grande industria impiegano a di lui riguardo espressioni ingiuriose.

Non bisogna però farsi illusioni, dopo i primi sfoghi, la Francia si riprenderà e intraprenderà un serio, duplice lavoro inteso a staccarci dall'Inghilterra e a ridurre il patto in briciole. Ho segnalato con mio telegramma di ieri

n. 178, (3), gli accostamenti tentati, in quest'ordine di idee, verso di noi. C'è da prevedere che un lavorio analogo, in senso inverso, sarà fatto a Londra. Quanto al patto, pure non essendo in grado di fornire finora particolari sulle conversazioni di ieri coi ministri inglesi, riferisco un apprezzamento del quale posso garantire l'autenticità. Un collega che ha avuto l'occasione di intrattenersi stàmane, con uno dei funzionari del Quai d'Orsay che ha assistito ai colloqui di ieri, il signor Bargeton, ha raccolto la di lui seguente osservazione: «Non è da prevedere che la Francia entri in discussioni su questioni interessanti altri Stati, all'infuori delle quattro grandi Potenze consociate, senza ammettere alla discussione il paese interessato ~

È più che probabile che l'idea surriferita abbia affiorato nelle conversazioni fmnco-britanniche di ieri. In tal caso, suppongo, se ne avrà conferma da Londra.

Ho presente il telegramma dell'E. V. n. 147 (l) pervenutomi stamane e

m'impiegherò a raccogliere informazioni e impressioni. Avrò domani dei colloqui

dai auali spero qualche risultato.

(l) -Cfr. n. 253 e nota allo stesso. (2) -Cfr. n. 234, nota 2. (3) -Non pubbl!cato.
258

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 6/98/74 R. Bucarest, 22 marzo 1933 (per. ore 21 del 25).

Il signor Titulescu ha fatto una breve apparizione in questa capitale. Egli ha sentito che la sua presenza era necessaria, perché intorno allo statuto della Piccola Intesa andava formandosi un'atmosfem poco propizia. Appena qui giunto, si è affrettato a vedere ad uno ad uno quegli stessi capi-gruppo che io avevo intrattenuto circa i pericoli che lo statuto presentava per la Romania. Insistendo sulla necessità che la Romania dovesse rispondere con un gesto agli ardori della politica revisionista, egli è riuscito ad ottenere il « placet » al gesto ormai compiuto, « placet » che però è stato concesso non senza riserve, ed un loro effetto è, probabilmente, il ritardo frapposto alla ratifica del protocollo di Ginevra, che, sottratto da Titulescu al Parlamento, non ha ancora ricevuto, oggi 22 marzo, la sanzione del Sovrano.

Comunque posso assicurare V. E. che fino a quando lo statuto non sarà diventato <<esecutivo» (ciò che avverrà solo quando le ratifiche saranno state scambiate a Praga), non mancherò di continuare l'opera di svalutazione, che ha avuto finora una portata ben maggiore di quella che io stesso potessi aspettarmi.

Nei tre colloqui avuti col signor Titulescu gli ho nettamente, vorrei anzi dire, brutalmente manifestato il mio pensiero che a Ginevra egli aveva sacrificato i più gelosi interessi del suo paese, pur illudendosi di aver legato gli altri due membri della Piccola Intesa col famoso art. 6, diretto ad impedire il riconoscimento della Russia, e la conclusione di unioni doganali di cui non fosse parte la Romania. Egli aveva in fondo creduto di imbottigliare Benes, ma non si era reso conto che l'art. 6 si ritorceva proprio contro la Romania, che era stata messa nell'impossibilità di intendersi con la Russia, con l'Ungheria e con la Bulgaria; cioè con i 3 paesi con i quali un eventuale accordo politico avrebbe significato, implicitamente, il riconoscimento delle attuali frontiere.

«È vero, ho aggiunto, che la Cecoslovacchia giuoca da 10 anni la carta del riconoscimento della Russia. Ma se anche tale riconoscimento si fosse un giorno verificato, quale danno concreto ne sarebbe derivato alla Romania, le cui alleate, Francia e Polonia, avevano tanto proceduto sul cammino del riavvicinamento con Mosca? Che se poi si illudeva presentandosi alla testa della Piccola Intesa,

23 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XIII

di avere maggiore autorità per trattare con Mosca, sbagliava a partito; perché i Sovieti avrebbero trattato isolatamente con lui, ma non avrebbero mai subito pressioni da parte del « small three ». E, se mai, era la Romania che si sarebbe trovata esposta allo « chantage » della Cecoslovacchia e della Jugoslavia, il giorno in cui un'intesa con Mosca fosse stata per essa utile e possibile.

Dovevo anche aggiungere che, sposando la causa « dell'uomo malato », cioè della Jugoslavia, la Romania rafforzava vincoli politici che fatalmente avrebbero degenerato in obblighi militari, contrari agli interessi militari della Romania stessa che aveva tre fronti da salvaguardare; il russo, il bulgaro, e l'Ungherese».

Titulescu si è difeso con la passione della gallina che vede minacciato il suo pulcino.

Risparmio a V. E. tutte le assurdità giuridiche che il signor Titulescu ha sostenuto per quanto concerne l'interpretazione dell'art. 6, nonché tutte le incongruenze politiche da lui avanzate specialmente nei riguardi dei rapporti romenorussi. Egli ha detto tra l'altro che è sicuro di intendersi con Mosca: «Non negozierò un trattato di non aggressione di cui la Romania, coperta dalla S.d.N. e dal patto Kellogg non ha bisogno: Mi propongo di ottenere ben altro, e cioè l'esplicito riconoscimento dell'annessione della Bessarabia ».

Mi ha dichiarato che egli non aiuta e non aiuterà l'« uomo malato». « Nessuna convenzione militare! Non un soldato romeno combatterà mai contro l'Italia.

Guai però all'Ungheria se, verificandosi un collasso interno della Jugoslavia, si movesse. La Romania marcerebbe immediatamente». E qui Titulescu si è esaltato:

«Ditelo, ditelo a Mussolini; che l'Ungheria, per carità, non si muova! Se l'Ungheria non si muove, noi assisteremo, semplici spettatori, anche al collasso jugoslavo, di cui ci... (1), ma guai, guai se l'Ungheria si muove! ! ! ».

Per quanto concerne i rapporti italo-jugoslavi, ho già riferito a V. E. per telegramma (n. 72 del 18 corr.) (2).

Titulescu è convinto che il nuovo raggruppamento, lungi dal rappresentare un successo per la Jugoslavia, l'ha infrenata. La Romania e la Cecoslovacchia non hanno alcun interesse ad addossarsi il fardello (e qui c'è qualche cosa di vero in quanto Titulescu dice) della tensione itala-jugoslava. Non lascieranno anzi passare occasione per influire su Belgrado perché esamini i suoi rapporti con Roma in una luce più conforme agli interessi della pace generale.

Di qui Titulescu ha sconfinato su quel che si potrebbe fare per conciliare Roma e Belgrado.

Sapendo che sono stato a Tirana, mi ha tempestato di domande sull'influenza che la questione albanese aveva avuto nel determinare il raffreddamento dei rapporti fra le due sponde adriatiche. Gli ho detto che rispondevo solo per sua «istruzione ». E l'ho prevenuto che se lui, o Benes, si fossero lasciati tentare dal grande giuoco dell'intermediario, vi avrebbe lasciato molte penne, data l'incomprensione degli uomini che reggono il timone a Belgrado.

Nel corso dei colloqui, da vari scatti di Titulescu e da altri imponderabili elementi, ho creduto poter desumere:

l") Che deve essere stata conclusa, a Sinaja o a Ginevra, una sorta di accordo che, allargando le convenzioni della vecchia Piccola Intesa, stabilisce una specie di assistenza di famiglia, tra Romania e Jugoslavia, per il caso che torbidi interni mettano in pericolo l'esistenza dei due Stati (movimenti antidinastici, movimento separatista croato, separatismo transilvano ecc.), coll'impegno preciso di marciare sull'Ungheria, se questa accennasse a profittare degli avvenimenti. I vecchi patti della Piccola Intesa non prevedono che il caso di «guerra», e non quello di possibile intervento ungherese nell'eventualità di un collasso interno di uno dei paesi interessati;

2°) -Che il nuovo patto della Piccola Intesa è accompagnato da un documento e dà l'interpLetazione autentica dell'a,rticoJo 6. Credevo che quel documento fosse costituito da uno scambio di lettere (mio rapporto n. 499/179 del 15 corrente) (l) nel quale però amettevo anche la possibilità che vi fosse stato un semplice scambio di idee.

Ora sono portato a credere all'esistenza di un processo verbale interpretativo.

Da tale verbale risulta probabilmente: a) Che i trattati che legano attualmente i tre Stati con altri paesi, possono essere rinnovati senza consenso delle altre due parti contraenti; b) Che l'inciso «tout act unilatéral changeant la situation politique actuelle dans les Etats de la Petite Entente à l'égard d'un Etat tiers» si riferisce al riconoscimento dela Russia; c) che l'inciso << tout accord économique comportant des conséquences politiques importantes » si riferisce soltanto al caso delle unioni doganali.

Titulesco sente vivamente, acutamente, che la più grave debolezza del nuovo Statuto è rappresentata dal fatto che esso può avere alienato alla Romania l'amicizia dell'Italia.

Questa è la critica più grave che gli è stata mossa da vari uomini politici, che, fra l'altro, gli hanno osservato come «egli non possa più far giuocare in contraposizione le due molle Parigi e Roma», e come egli si sia alienato definitivamente l'apoggio di Roma proprio quando Parigi si dimostra sempre meno corriva a concessioni, prestiti e forniture di armi e munizioni. (La Romania è l'unico Stato della Piccola Intesa che ha sempre dovuto pagare le forniture militari, ragione per la quale non ne ha fatte molte, e spesso non ha potuto ottenere che si desse corso a quelle fatte).

Titulescu risponde a tali critiche che in quanto a Roma non dispera di riuscire a rinnovare egualmente il Trattato d'amicizia, e quanto a Parigi che egli è ora meglio in grado dl conseguire uguaglianza di trattamento, cioè parità di prestiti e di forniture con gli altri due alleati...

A me poi risponde, come ha risposto ad Aloisi, che egli ha un solo desiderio: mettere la Piccola Intesa sotto gli auspici dell'Italia.

Purché Roma si metta d'accordo con Parigi!

Questo non lo ha detto né a me né ad Aloisi: ma lo pensa.

(l) Con t. 459/147 del 21 marzo Suvich aveva richiesto informazioni circa i colloqui fra l ministri britannici e francesi.

(l) -Gruppo lndeclfrato. (2) -T. 1028/72 R., non pubblicato.

(l) Non pubblicato.

259

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1140/99/75 R. Bucarest, 22 marzo 1933 (per. il 25).

Con il telegramma per corriere del 15 marzo n. 429 (l), V. E. domanda quanto mi risulta e quale sia il mio pensiero sull'azione politica concertata che i tre componenti della Piccola Intesa, come essa è stata riorganizzata, potrebbero svolgere nel bacino danubiano e nei Balcani.

Rispondo:

l) La piccola Intesa ha già concertato, in linea di massima, la sua politica nel settore danubiano. La direttiva che essa intende seguire è indicata nel mio telegramma del 28 febbraio n. 61 (2) là dove dicevo che una delle prime mosse della Piccola Intesa sarà quella di procurarsi il consenso britannico (quello francese è già acquisito) ad una politica di accerchiamento economico nei confronti dell'Austria e dell'Ungheria.

Benes, Titulescu e Jeftic, (eliminata col nuovo accordo la possibilità che uno solo di essi riuscisse a concludere con l'Austria e con l'Ungheria quegli accordi che sono stati caldeggiati specialmente dal Benes nell'inverno 1931-32) sono ora impegnati a collaborare nel disegno di indurre Austria ed Ungheria alla conclusione di un patto regionale. Escludo possa trattarsi di una unione doganale a cinque. È certo che per una unione doganale il cons~::n:::o inglese sarebbe acquisito (si ricordi il patto inglese deJ marzo 1932) ma essa non conve;rrebbe alla Romania. Si è pensato quindi a qualche cosa che si avvicini al piano Tardieu. Che questo sia il pensie;ro di Titulescu, lo aveva già accennato a

V. E., prima ancora della conclusione del patto di Ginevra, col mio telegramma

n. 27 del 27 gennaio u.s. (3).

2) Escludo che razione comune della Piccola Intesa possa tendere ad accaparrare anche la Bulgaria. Vedo anzi nella politica verso Sofia una inevitabile zona di frizione fra Romania e Jugoslavia. Sta di fatto che la Piccola Intesa si è semp;re opposta durante tutto il 1931 ed il 1932 a che il piano a cinque potesse trasformarsi in piano a sei.

3) È evidente che l'azione economica da svolgersi nei riguardi dell'Austria e dell'Ungheria (punto primo) pur essendo condotta prevalentemente sul terreno economico ho essenziamlente finalità politiche: anzitutto evitare l'Anschluss: e, asservendo economicamente l'Ungheria, di impedire pe;r tale via ogni velleità di azione politica indipendente o contrastante con le direttive dei Tre.

Tracciata così la direttiva maestra del nuovo raggruppamento nella zona danubiano-balcanica tengo subito a dichiarare che non vedo né vicino né possibile il raggiungimento della meta. L'esperienza del 1931 e del 1932 non ha nulla insegnato né a Benes né a Titulescu. Certo le mosse della Piccola Intesa dovranno essere strettamente sorvegliate, ma si può fin d'ora anticipare l'in

successo della sua azione. Richiamo comunque alla memoria di V. E. gli articoli a firma «il Danubiano>> apparsi sulla Tribuna del maggio 1931, e che mi sembrano contenere un'idea che anche oggi, alla luce di quanto sta succedendo, può . essere di attualità.

Ben maggiore importanza, sia pur limitata, ad una fase transitoria, io dò alla politica concertata dalla Piccola Intesa nelle questioni più gravi che sono oggi sul tappeto verde. Dissi fin dal primo momento (mio telegramma n. 51 del 22 febbraio) (l) che io non vedevo nel nuovo patto della Piccola Intesa una preordinata manovra francese. Tale avviso vedo confermato da quanto scrivono i Ministri di Praga ed a Vienna. Ma aggiunsi pure che, a fatto compiuto, il nuovo raggruppamento avrebbe potuto essere manovrato, magistralmente manovrato, dalla Francia.

Non c'è dubbio che in ogni importante questione di politica internazionale europea il Quai d'Orsay, farà scattare la «boite à surprise '> della Piccola Intesa. Proprio oggi, a proposito del progetto Mussolini di organizzazione della pace, si legge in tutti i giornali delle tre capitali un telegramma, certamente forgiato a Parigi, in cui si dice che la Piccola Intesa si opporrà a che si costituisca un direttorio, a Quattro, della Politica europea.

Che l'epicentro della politica internazionale si sposti su Roma o su Londra,

o su Parigi, o si accentri nuovamente a Ginevra, noi vedremo per un pezzo entrare in scena, non richiesta, perturbante e disturbatrice questa quinta pseudogrande Potenza, ed essa entrerà sempre in funzione francese sia che si parlt di disarmo o di revisione dei Trattati o di intese economiche.

Non è quindi sullo scacchiere danubiano-balcanico che io vedo il più serio ingombro della riorganizzata Piccola Intesa. Se mai è proprio su questo scacchiere che si avranno i primi dissapori fra i tre soci, e di qui potrà venlre quella frattura che a me sembra fatale, specialmente ora che i vincoli che legano i tre sono diventati cosi rigidi.

Nel campo invece delle grandi questioni internazionali l'accordo fra essi sarà completo, specialmente se la Francia allargherà di nuovo i cordoni della borsa. Non si dimentichi che la Piccola Intesa è stata ricostituita anche a questo scopo: cioè di poter « trarre » sulla piazza di Parigi con un nuovo libro di chèques dopo che quello precedentemente era stato dichiarato, dai banchieri del Quai d'Orsay, esaurito e fuori corso.

(l) -Recte del 16, cfr. n. 217, nota 3. (2) -T. 767/61 R., non pubblicato. (3) -T. per corriere 374/27 R., in realtà del 28 gennaio, non pubblicato.
260

APPUNTO DI VITTORIO MAZZOTTI

Roma, 22 marzo 1933.

Da un telegramma convenzionale ricevuto da Hassan bey Pristina da Budapest, il famoso incontro fra questi e il croato Ante Pavelic sarebbe avvenuto la scorsa settimana.

A quanto pare i due personaggi sarebbero arrivati in linea di massima ad un accordo sull'azione da svolgere nelle rispettive provincie. Il Pristina è poi partito per Sofia dove attualmente si trova.

(l) T. 672/51 R., non pubbllcato.

261

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

L. 1944. [Roma, ...marzo 1933] (1).

La visita dei Ministri inglesi è avvenuta in condizioni tali, per quanto riguarda la fretta della preparazione e la brevità del loro soggiorno a Roma, che non c'è stata l'opportunità di pregarti di venire qui, come sarebbe stato del nostro desiderio. Desidero perciò, con il consenso del Duce, di metterti al corrente sui fatti e di darti qualche impressione.

Come sai, MacDonald, appena arrivato a Ginevra aveva già fatto presente ad Aloisi il suo desiderio di venire a Roma; si era però in un primo tempo lasciata cadere la cosa. Dopo qualche giorno Graham è stato dal Capo del Governo a insistere per questa visita e il Capo del Governo ha creduto di acconsentire prendendo l'iniziativa di un invito preciso a venire a Roma, tanto per MacDonald che per Simon.

Da qualche tempo il Duce stava orientandosi verso il progetto di un patto a quattro, patto che rappresenta il logico sviluppo del discorso di Torino; durante il suo recente soggiorno in Romagna ha dato a queste sue idee una forma precisa redigendo il Patto che nell'ultima sua edizione ti è stato inviato ieri.

Il Duce ha ritenuto come questo fosse il momento psicologico per chiamare le quattro Potenze occidentali ad una collaborazione nell'intento di assicurare la pace per un lungo periodo.

Data la situazione generale che Tu conosci, è inutile insistere sulla opportunità e tempestività di questa iniziativa. Nei giorni immediatamente precedenti la venuta dei Ministri inglesi abbiamo fatto conoscere il testo predisposto a Graham e de Jouvenel e a Berlino per sentire se in massima i rispettivi Paesi erano decisi a marciare.

Come hai visto dai comunicati, la prima riunione tra Mussolini e i due Ministri inglesi ha avuto luogo sabato a Palazzzo Venezia ed è durata un'ora e mezzo. La conversazione è stata ripresa la domenica nel pomeriggio ed è durata un'altra ora e mezzo. In tali conversazioni, dopo qualche osservazione di carattere generale, si è subito affrontata la discussione del piano, che oggi credo possa chiamarsi Piano Mussolini.

Gli inglesi apparivano molto preoccupati della possibile opposizione fran

cese ed hanno chiesto alcune modificazioni che avrebbero potuto, secondo la

loro idea, rendere il progetto più accettabile per Parigi.

Tali osservazioni in massima sono state accettate. Esse si sono rifer.ite: per quanto riguarda l'articolo 2 alla riaffermazione della intangibilità dei trattati, pur riaffermando il principio della revisione. L'ultima parte di questo articolo, quella relativa all'applicazione pratica del principio della revisione, è riuscita nel testo concordato dagli inglesi forse più efficace di quanto ancora non lo fosse nel testo originale.

Per quanto riguarda l'articolo 3, hanno chiesto e ciò era anche nelle nostre intenzioni -di riaffermare la buona volontà di portare avanti per quanto è possibile la conferenza del disarmo. Si è anche modificata la redazione in modo da dare la possibilità di accedere alle deliberazioni delle quattro Potenze sul disarmo anche agli altri Paesi.

Per quanto riguarda l'articolo 4, hanno chiesto -e noi abbiamo acconsentito -che fosse soppresso l'accenno alle questioni coloniali che in Inghilterra avrebbe sollevato delle fortissime opposizioni. In questo articolo si è messa in evidenza la collaborazione nel campo economico -su domanda sempre dell'Inghilterra -in quanto ciò può facilitare una buona partenza per la conferenza economica a cui MacDonald tiene in modo particolare.

Per ménager l'America, che altrimenti avrebbe potuto essere male impressionata da questa sua esclusione in materia economica, si è voluto parlare in primo luogo di rapporti economici tra le quattro Potenze.

Questo in breve lo spirito delle conversazioni. Per quanto riguarda l'atmosfera in cui le conversazioni si sono svolte, va rilevato che il tono è stato sempre quello della massima cordialità.

Come avrai rilevato dalle dichiarazioni ai giornalisti e dalla relazione sulle visite (esposizione fascista e altre) MacDonald si è molto sbilanciato e non ha risparmiato le espressioni di ammirazione per il Regime e per H Duce.

La reazione nella stampa di tutto il mondo è, per quanto si può giudicare fino ad oggi, favorevole. A Roma gli spiriti sono molto alti per questo avvenimento. Ora si attende la reazione delle altre due Potenze, soprattutto quella francese.

La Germania in massima si è già dichiarata favorevole.

L'Ambasciatore de Jouvenel, messo 21 corrente direttamente dal Duce del progetto, sta spiegando la massima buona volontà per farlo accettare dal suo Paese.

Si ha l'impressione che se il piano va in porto sarà veramente una gran cosa e potrà costituire quel reagente contro la tensione degli ultimi tempi che era generalmente invocato. Può essere veramente che questa iniziativa abbia i più larghi e i più benefici sviluppi.

Una prova indiretta dell'importanza dell'iniziativa ci è venuta oggi dalla proposta inglese di rinviare a dopo Pasqua la discussione sul piano MacDonald, proposta motivata con la considerazione che il piano italiano deve avere la precedenza in quanto potrà chiarire la situazione in favore di una ripresa dei lavori del disarmo in una migliore atmosfera.

Ai due Ministri è stata già dichiarata la nostra impressione favorevole sul piano MacDonald. Avrai a mezzo delle trasmissioni ulteriori dettagli. Ti terrò informato degli ulteriori sviluppi dell'iniziativa del Duce ...

(l) Il documento prtvo di data, si inserisce prima della lettera di Grandi che vi risponde.

262

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH (l)

L. P. Londra, 22 marzo 1933.

Grazie per la tua cortese lettera (2). Le giornate di Roma sono state «splendide » ed ancora oggi non si vede che una parte, ma non ancora come si vedrà domani, del bene che il Duce ha fatto in queste storiche giornate al Paese. Il Duce ha giocato solo come tcn Uomo di genio sa giocare nei grandi momenti della vita di un Paese.

Circa la mia mancata presenza non è il caso di parlare in questo momento in cui si stanno costruendo cose così grosse. In quanto al tempo, ce n'era anche oltre il bisogno: Mercoledì, Giovedì, Venerdì. Il Foreign Office che attendeva io partissi per Roma, e ancora oggi mi domanda «perché l'Ambasciatore d'Italia non c'era», mi [ha] informato subito del telegramma mandato da Graham a Ginevra e mi ha tenuto perfettamente al corrente dei movimenti dei Ministri Inglesi. Ho compreso subito che non mi si voleva, e non sono venuto. La mia posizione di Ambasciatore qui è abbastanza forte, grazie al mio lavoro, per essere tranquillamente in grado di lavorare per l'Italia. Né io te ne avrei mai fatto cenno. Ma giacché tu inizi la tua lettera dicendo che non vi è stata l'opportunità per la fretta della preparazione della visita dei Ministri inglesi, di chiamarmi per l'occasione a Roma (come qualsiasi Ministero degli Esteri al mondo avrebbe fatto per qualsiasi Ambasciatore), debbo replicare, molto lealmente, che questo non è affatto vero. Meglio dire chiaramente le cose come sono, e cioè che il Ministero non ha «voluto» che io fossi a Roma. Ciò contrariamente a tutte le consuetudini ed i «precedenti» in materia da me applicati in passato in simili occasioni per gli Ambasciatori in sede, con profitto, spero, del Fascismo e del Paese. Ma poiché non posso credere che il Duce abbia apposto un «no» alla vostra proposta di chiamata, che era così ovvia e naturale, sino a che io sono (spero, per non molto tempo), rappresentante diplomatico a Londra, così resta solo un fatto: che il Ministero non si è comportato bene verso di me (con solo benefizio di Graham) mentre io non avevo, e tu lo sai, se non un desiderio, quello di collaborare con Palazzo Chigi con lealtà e con piena confidenza.

Ecco tutto, caro Suvich.

263

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. s. 467/93 R. Roma, 23 marzo 1933, ore 2.

V. E. vorrà prospettare codesto Governo opportunità pubblicare nei riguardi del proposto patto di intesa e collaborazione qualche dichiarazione di adesione di massima in corrispondenza a odierno comunicato Parigi (3).

(l) -Da ACS, Carte Grandi, minuta. (2) -Cir. n. 261. (3) -Cerruti comunicò con t. per corriere s. 1139/191 R., pari data, di aver compiuto il passo richiesto e che Hitler aveva fatto una dichiarazione di adesione pienamente soddisfacente nel discorso dello stesso giorno al Reichstag.
264

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1114/144-145 R. Washington, 23 marzo 1933, ore 7,51 (per. ore 5,30 del 24).

In occasione del ricevimento settimanale, ho avuto stamane colloquio con segretario di Stato. Ne riassumo punti più importanti:

l) Segretario di Stato era stato tenuto al corrente dall'ambasciata americana a Roma dei colloqui Mussolini-MacDonald ma non conosceva per ora che linee generali del progetto italiano. Ne apprezzava lo spirito e si augurava che negoziati in corso fra grandi Potenze europee potessero produrre risultati utili per rafforzamento della pace.

2) Segretario di Stato ha insistito sulla necessità che principali Potenze concentrino loro sforzi sulla soluzione del problema economico mondiale. Stato presente delle relazioni economiche internazionali è illogico, artificiale e contrario all'interesse generale.

Egli aveva letto con attenzione articolo pubblicato su giornali americani, a firma Mussolini, e concordava pienamente con Capo del Governo italiano circa urgenza di un « disarmo economico >> generale.

3) Avendo chiesto quale metodo pratico Governo degli Stati Uniti intendeva seguire, segretario di Stato mi ha risposto presidente si proponeva di chiedere al Congresso autorizzazione di negoziare con Governi esteri per conclusione di trattati commerciali basati su concessioni reciproche In materia di tariffe. Se tale autorizzazione sarà concessa (ciò che implicherà sicurezza di ottenere a suo tempo la ratifica del Congresso, Amministrazione inizierà subito negoziati coi principali paesi e potrà così constatare se essi sono in massima disposti ad adottare politica liberale che il Governo degli Stati Uniti intende perseguire).

In caso affermativo potrà essere affrettata convocazione della conferenza economica e monetaria mondiale. Successo della conferenza è strettamente subordinato alla possibilità di preventivo accordo fra principali Potenze sulle linee fondamentali della futura politica economica.

4) Segretario di Stato non ha toccato in modo specifico questione dei debiti di guerra, ma ha lasciato comprendere che egli la considera soltanto come uno degli aspetti (e non il più importante) del problema economico generale.

Da quanto ho riferito circa mia conversazione con Segretario di Stato,

V. E. potrà rilevare come direttive di questo Governo nei riguardi della conferenza economica e del problema dei debiti di guerra non abbiano ancora preso forma concreta.

In realtà presidente deve risolvere anzi tutto questione interna, cioè sapere quale latitudine Congresso vorrà concedergli nei suoi negoziati con Governi stranieri.

Mi sembra comunque poter desumere che il Governo degli S.U.A. si propone di discutere questioni economiche prima di aver sistemato questione debiti.

Ambasciatore d'Inghilterra mi ha detto che egli si è ripetutamente sforzato di dimostrare qui impossibilità per suo paese di assumere impegni in materia economica e monetaria prima sistemazione dei debiti di guerra (1).

Egli si rende conto d'altra parte che Congresso ed opinione pubblica americana continuano ad esse-re nettamente ostili all',idea di una r~duzione dei debiti se non accompagnata da compensi in altri campi.

Collega inglese si mostra molto pessimista e non vede per ora via di uscita.

265

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. 471/95 R. Roma, 23 marzo 1933, ore 15.

MacDonald e Simon a mezzo di questa ambasciata britannica hanno prospettato l'opportunità di un rinvio della discussione del piano inglese che dovrebbe avere inizio giovedì 23. Qualora il piano esaminato a Roma potesse essere accettato assicurando così le possibilità di cooperazione europea, la discussione relativa a proposte concrete di disarmo potrebbe svolgersi evidentemente in un'atmosfera più favorevole. Secondo proposta inglese rinvio potrebbe estendersi fin dopo Pasqua e dovrebbe apparire come idea avanzata da Henderson.

Prego V. E. di informare codesto Governo che ho risposto aderendo alla proposta dei ministri britannici, tenendo presente che il piano discusso a Roma introduce nelle trattative relative al disarmo nuovi elementi che ritengo tali da dissipare le preoccupazioni per cui cadesto Governo ha creduto doversi opporre finora ad ogni proposta di rinvio della conferenza ed anzi a giovare al suo interesse.

266

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1115/146 R. Washington, 23 marzo 1933, ore 20 (per. ore 5,30 del 2 4). Mio telegramma n. 145 (2).

Nel corso del nostro colloquio odierno, Segretario Stato ha accennato alla situazione interna in Germania e mi ha confermato aver dato istruzioni alla sua

« l) che le eventuali consultazloni di Londra non possano apparire costi come costituzione di un fronte anglo-franco-Italiano che potrebbe supporsi avere come base la questione dei debiti;

2) che le consultazioni di Londra non debbano portare ad una convocazione della conferenza economica prima della sistemazione dei debiti».

ambasciata in Berlino di eseguire inchiesta circa atti di violenza contro cittadini americani e contro ebrei. Ha osservato che eccessi nazionalisti stanno alienando simpatie dell'opinione pubblica americana per nuovo [governo].

(l) Il Governo inglese aveva proposto. In materia di debiti, consultazioni anglo-francoItaliane da tenersi a Londra. Ma aveva dato comunicazione a Suvich a Rosso con t.r. 430/116 R. del 16 marzo dicendo, fra l'altro, essere opportuno:

(2) Cfr. n. 264.

267

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 474/101 R. Roma, 23 marzo 1933, ore 20,30.

Tocca il polso a Simon et a MacDonald et informami se temperatura è ancora quella di Roma o se si è abbassata sotto l'azione dei frigoriferi parigini (l).

268

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1109/186 R. Parigi, 23 marzo 1933, ore 23,30 (per. ore 2,30 del 24).

Mio collega inglese mi ha detto che recenti colloqui franco Inglesi di Parigi si sono svolti in una atmosfera di grande cordialità, come da tempo non era avvenuto. Ministri britannici hanno riportato da Roma impressione profonda degli elevati propositi di S. E. Capo del Governo riscontrando analoghi sentimenti nei loro colleghi francesi, già ben predisposti per i riguardi costà usati all'ambasciatore di Francia. Questa impressione mi è stata confermata al Quai d'Orsay dove mi è stata data lettura del telegramma spedito iersera all'ambasciatore di Francia per esprimere proposito Governo francese studiare col maggiore interesse progetto italiano (2).

I ministri francesi non avrebbero, nei colloqui di Parigi, opposto obiezione di massima al riguardo collaborazione delle 4 Potenze di cui all'art. l del patto Mussolini. Per gli altri articoli e specialmente per il 2°, i ministri francesi credono indispensabile che appaia, in modo indubbio, che revisione de'i trattati si svolgerà nel quadro effettivo della Società delle Nazioni.

Ho osservato che questo era appunto il senso dell'articolo.

Il mio collega inglese ha insistito dicendo che si dovrà modificare redazione dell'articolo 2° e anche di altri articoli in modo che sia evidente, senza possibilità di equivoci, che le 4 Potenze potranno bensì raccomandare adozione delle loro decisioni ai terzi Stati, restando però esclusa, nel modo più assoluto, la possibilità di una imposizione.

Bisognerà dunque, ha concluso l'ambasciatore, trovare una formula su queste basi. La Francia sarebbe nell'impossibilità di fare accettare il patto dal parlamento e dall'opinione pubblica, se Piccola Intesa e Polonia mantenessero loro posizione.

Tyrrell mi ha precisato che bisogna preparare a proposito, emendamento, non solo da parte della Francia, ma anche dell'Inghilterra. Sempre secondo il mio collega inglese, la persistente diffidenza francese sarebbe in dipendenza dell'atteggiamento italiano verso la Jugoslavia.

Ho obiettato che noi siamo indignati dei maneggi jugoslavi, i quali sfogano su noi loro difficoltà interne. Tyrrell ha aggiunto che un chiarimento italajugoslavo facilita di molto svolgimento trattative in corso per il patto Mussolini.

Il presente telegramma continua col numero di protocollo successivo (1).

(l) -Minuta autografa d! Mussol!n!. (2) -Cfr. n. 269.
269

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, JOUVENEL

APPUNTO. Roma, 23 marzo 1933.

Il Signor de Jouvenel è stato incaricato dal suo Governo di fare a S. E. il Capo del Governo le seguenti dichiarazioni:

l) il Governo francese ringrazia il Capo del Governo italiano per averlo voluto mettere al corrente, attraverso l'Ambasciatore a Roma, del progetto di collaborazione tra le quattro Potenze occidentali, che ha poi formato oggetto delle discussioni coi Ministri inglesi a Roma.

2) Il Governo francese apprezza in tutta la sua importanza lo spirito di collaborazione e di solidarietà che è messo alla base del progetto del Capo del Governo italiano e di cui si sono fatti interpreti i Ministri inglesi nelle conversazioni di Parigi.

3) Il Governo francese dichiara di essere animato dallo stesso spirito di collaborazione e di solidarietà.

4) Il Governo francese ha messo immediatamente allo studio il progetto di S. E. il Capo del Governo, progetto che per la sua importanza e le sue vaste ripercussioni deve essere esaminato con la massima attenzione e si riserva di fare al più presto possibile ulteriori comunicazioni al Capo del Governo italiano attraverso l'Ambasciatore a Roma.

Il Signor de Jouvenel aveva l'aria molto soddisfatta per quella comunicazione che egli interpreta in senso ottimista. A sua domanda ho confermato che le disposizioni mi parevano buone.

Egli non si meraviglia delle reazioni della Piccola Intesa e della Polonia, reazioni che sono nell'ordine logico delle cose e che non si poteva pensare di evitare.

Fra i rappresentanti delle citate Potenze a Roma, l'unico che egli trova intrattabile è Rakitch. L'Ambasciatore dice che gli jugoslavi da un po' di tempo sono in istato di sovraeccitazione, ma -soggiunge -«hanno torto».

Appena avrà ulteriori notizie da Parigi, il Signor de Jouvenel si riserva di comunicarle a S. E. il Capo del Governo.

(l) T. l 119/187 del 24 marzo, non pubblicato.

270

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DELL'U.R.S.S. A ROMA, POTEMKIN

APPUNTO. Roma, 23 marzo 1933.

Il Signor Potemkin è venuto a trovarmi e a chiedermi se potevo dargli qualche informazione nei riguardi degli ultimi avvenimenti di politica estera e in particolar modo nei riguardi delle conversazioni di Roma. Ha messo in rilievo che questa domanda era fatta nella sua qualità di rappresentante di uno Stato amico dell'Italia.

L'ho informato sommariamente del progetto di S. E. il Capo del Governo.

L'Ambasciatore mi ha chiesto se era vero che si fosse parlato da parte inglese della possibile ammissione dell'U.R.S.S. e degli Stati Uniti, e che da parte italiana si fosse respinta questa proposta dicendo che l'America teneva troppo a distinguere la propria politica da queua europea e che per l'U.R.S.S. non era il caso di pensare per delle ragioni che, nel modo come gli sono state riportate, non sarebbero troppo favorevoli alla Hussia. A questo ultimo proposito mi accenna anche a due articoli del 21 corr. del Corriere della Sera e del Popolo di Roma.

Gli ho risposto che non avevo presenti 1 aue articoli, ma che potevo escludere nel modo più assoluto che fosse stato fatto alcun accenno specifico, durante le conversazioni di Roma, sia alla Hussia che agli Stati Uniti.

L'Ambasciatore mi ha chiesto poi se potevo dargli qualche informazione sul nostro atteggiamento nei riguardi del piano MacDonald per il disarmo. Gli ho detto che non avevamo ancora dato una risposta precisa e definitiva. Il piano MacDonald però come complesso, rappresenta certamente il passo deciso verso il disarmo e, per tale riguardo, noi non potevamo che approvarlo.

L'Ambasciatore mi fa presente che nell'assegnazione degli effettivi il piano gli pare un po' tendenzioso: per esempio con l'assegnare 150.000 uomini alla Rumenia (assegnazione certamente sp!l'opositata al rapporto di forze fra questa e gli altri Paesi) si è voluto tener conto della tendenza rumena a costituire un pode.roso esercito c·ontro ·i sovieti. Ogg1i Ja Rumetlli:a e, in pa.rticolar modo il Signor Titulescu, sono invasati dall'idea di guerra coi sovieti, che è lontana da ogni realtà.

L'Ambasciatore, passando ad altro argomento, accenna ai temperamenti intervenuti nel contegno della stampa italiana verso i sovieti, in cui vedo un intervento del Ministero degli Esteri (ne aveva parlato tempo fa al Barone Alaisi) (l) per cui tiene a ringraziare.

L'Ambasciatore passa a parlare poi dell'argomento dei rapporti tra Russia e Germania. Egli ricorda le assicurazioni avute dall'Ambasciatore di Russia a Berlino -e anche per dichiarazioni fatte al nostro Ambasciatore Cerruti -che la Germania intende continuare i suoi rapporti con la Russia, secondo la lettera e lo spirito del Trattato di Rapallo. Egli deve però osservare che il contegno odierno della Germania è assolutamente in contrasto con queste assicurazioni. Il Cancelliere stesso Hitler, nelle sue dichiarazioni non lascia occasione per attaccare il Governo dei Sovieti.

Il Signor Goering, secondo informazioni ricevute, ha avuto una conversazione con l'Ambasciatore francese François Poncet, nelle quali si è trattato di un possibile accordo franco-tedesco diretto contro i Sovieti. Il signor Rosenberg ha assunto la paternità di un piano che prevede la costituzione a spesa di altri Paesi, ma specialmente dei Sovieti, di uno Stato baltico fra Polonia, Russia e Germania, che sarebbe sotto l'influenza di quest'ultima. Oggi in Germania si assiste ad una vera persecuzione contro cittadini russi. Riporta fra l'altro l'episodio di un medico che abitava in Germania per scopo di studi il quale stava tranquillo nel suo laboratorio a lavorare ed è stato sorpreso dagli hitleriani, portato in un sobborgo di Berlino, bastonato e torturato; ed altri episodi del genere.

Egli fa presente che la Russia accetta tutto ciò con gran calma, e per ora non intende mutare l'indirizzo della sua politica. Fa presente però che questa situazione non può continuare e che il giorno che la Russia fosse costretta a rivedere radicalmente i suoi rapporti con la Germania, ciò potrebbe avere delle vaste conseguenze nel campo politico internazionale.

L'Ambasciatore ritiene che il Governo italiano abbia maggiori possibilità che qualunque altro di fare capire al Governo tedesco la pericolosità di questo suo atteggiamento. Ho risposto che nell'atteggiamento dei tedeschi di fronte ai comunisti conveniva tene!I' ben distinte le lotte di politica interna dai rapporti di politica estera.

Il Governo germanico e il Cancelliere Hitler parlavano piuttosto della politica interna. Ad ogni modo, come l'Ambasciatore sa, noi ci eravamo già preoccupati dei rapporti fra la Germania e la Russia e non c'era nessuna difficoltà di prospettare ancora la convenienza che i rapporti fra questi due Paesi non fossero influenzati da avvenimenti di politica interna germanica.

Da ultimo l'Ambasciatore mi parla degli accordi economici. Dice che tempo fa aveva chiesto di vedere S. E. il Capo del Governo richiamandosi ad una autorizzazione avuta a suo tempo di ricor,re.re a lui quando le trattative fossero arrivate ad un punto di arresto. Ha avuto la risposta che conveniva continuare le trattative, che non si ritenevano esaurite e che lasciavano ancora la speranza di un accordo. Egli ha l'impressione che siamo veramente ad un punto morto. Rifà la storia di tutte le trattative e di tutte le concessioni che la Russia

avrebbe già fatto. Insiste sull'atteggiamento remissivo della Russia, mettendo in rilievo che quando noi abbiamo denunciato la Convenzione doganale -denuncia che il Governo dei Sovieti ha ritenuto del tutto ingiustificata -Litvinov «a avalé cette pilule très amère » dichiarandosi pur disposto a riprendere i negoziati. Litvinov ha manifestato direttamente al Barone Aloisi a Ginevra il suo stato d'animo in tale riguardo.

Oggi l'Ambasciatore ha l'impressione che i negoziatori russi si trovino di fronte ad una intransigenza italiana. Levinson è arrivato ad un punto di esaurimento e si trova in uno stato di grande depressione per la opposizione che incontra.

Deve aver luogo in questi giorni un incontro a Mosca fra il Commissario Rosengoltz per gli affari economici e il nostro Ambasciatore Attolico. Egli spera che da questo colloquio l'Ambasciatore potrà persuadersi che la Russia è arrivata agli estremi delle concessioni. Egli prega vivamente il Ministero degli Esteri di intervenire presso i Ministeri tecnici perché il suo Governo ritiene che una rottura dei negoziati sarebbe oltremodo pregiudizievole alla linea di intesa fra i due Governi, finora seguita.

Ho risposto all'Ambasciatore che è evidente che i Ministeri tecnici nostri, come d'altra parte gli organi tecnici dei sovieti, difendano i loro rispettivi interessi, e non è il caso di parlare di intransigenza. Non ritengo che sia facile superare le difficoltà opposte dai nostri organi tecnici, penso si sia arrivati al massimo delle concessioni. Comunque potevo assicurarlo del nostro interessamento nell'intento di venire ad una intesa che anche noi auspichiamo vivamente, nei rapporti politici fra i due paesi.

(l) Cfr. n. 177.

271

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 23 marzo 1933.

La Delegazione Italiana a Ginevra ha informato che nella seduta di stamane della Commissione Generale del Disarmo è stato deciso di riprendere la discussione sul progetto inglese pel disarmo.

La discussione riprenderà domani.

La cosa è andata quindi diversamente da come l'aveva escogitata Simon, col nostro consenso, allorché egli ci aveva detto di voler far chiedere da Henderson un rinvio per ragioni tecniche e procedurali, in modo da non scoprire lo scopo politico. Henderson invece, parlando incautamente di « negoziati in corso fra Potenze», ha tradito l'intenzione, suscitando naturalmente la reazione degli interessati.

Titulesco, per la Piccola Intesa, ha parlato contro.

Una volta scoperto il giuoco, nemmeno il delegato inglese ha osato intervenire in sostegno della proposta Henderson, la quale è così stata respinta a grande maggioranza.

Con telegramma a parte diretto a S. E. Grandi è stato sottoposto all'E. V. di confermare al Governo inglese -con opportuna motivazione -le assicurazioni date verbalmente a MacDonald e a Simon che il Governo Italiano accetta il progetto inglese pel Disarmo. Analoghe istruzioni potrebbero essere date alla Delegazione Italiana a Ginevra per la discussione che si inizia domani (1). L'accettazione italiana sarebbe naturalmente da subordinare ad analog'l accettazione da parte di tutti gli altri Stati interessati, e tale accettazione unanime potendosi escludere, ne deriverebbe la possibilità in corso di ulteriori discussioni di avanzare quelle proposte di modifiche di miglioramento che i Ministeri militari ritengono necessarie.

272

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. P. Londra, 23 marzo 1933.

Io non te ne n'avrei mai forse parlato, ma poiché tu me n'hai fatto cenno per telefono, debbo dirti che la mancata chiamata a Roma in occasione della visita di MacDonald e Simon, mi è molto dispiaciuta.

Il Foreign Office pensando che -come è la più normale delle consuetudini di tutti i Paesi del mondo -io sarei andato a Roma si è affrettato ad informarmi (e ne ha avuto tutto il tempo) del telegramma di Graham a Macdonald e di tutti i movimenti dei Ministri inglesi, in modo che io potessi comodamente precedere o raggiungere il Primo Ministro inglese a Roma o a Genova.

Io non attendevo, per partire, che un cenno del Ministero. Potevo io venire per conto mio? No. Io non faccio la mosca cocchiera.

E tu, caro Presidente, che mi conosci, lo sai.

A Suvich che n'ha scritto (2) ho Disposto con una lette,ra (3) che presumo egli ti mostrerà.

273

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. P. R. 42. Parigi, 23 marzo 1933.

· La ringrazio della Sua lettera del 22 corrente n. 1940 (4) con la relazione delle dichiarazioni fatteLe da de JouveneL

Come V. E. ha potuto constatare dal mio ultimo telegramma, ho ormai improntato la mia azione riguardo il Quai d'Orsay allo spirito del Patto d'intesa e di collaborazione. Ho riscontrato, da principio, un'accentuata riserva, ma un po' per volta, rotto il ghiaccio, è venuto fuori qualcosa.

Sono convinto che a facilitare il nostro orientamento giovi che le sfere dirigenti francesi mettano fuori tutto quello che hanno in corpo sulla situazione generale politica e espongano sia pure i torti che ci attribuiscono, per potere, nei limiti che ci sono consentiti, dare loro qualche soddisfazione, nell'intento supremo di condurre in porto la grande iniziativa del Duce.

Ho riferito nei miei telegrammi che la lealtà di S. E. il Capo del Governo verso l'Ambasciatore francese, ha prodotto qui un'impressione estremamente favorevole che influisce sullo studio che si sta facendo del Patto. Il Segretario Genemle del Quai d'Orsay non mi ha nascosto però la disillusione provata negli ambienti governativi dal fatto che, con la nuova proposta, vengono necessariamente troncate le trattative iniziatesi in modo promettentissimo con le precise dichiarazioni fatte da S. E. il Capo del Governo al Signor de Jouvenel, una decina di giorni prima della presentazione del Patto (1). Mi è stato detto che nel resoconto di quel colloquio fatto dall'Ambasciatore a Roma al Quai d'Orsay era stata riscontrata una base seria per ulteriori promettenti sviluppi. L€ proposte del Duce erano state messe allo studio, ma con la mutata sUuazione creata dalla presentazione di un piano più generale, non si crede più di essere impegnati a dare risposta a quella prima comunicazione. Mi è parso di capire che il mio interlocutore desse alle sue dichiarazioni il carattere di sondaggio. Non ho potuto essere esplicito nella mia risposta. Ho detto, candidamente, al Signor Leger che non ero al corrente dei fatti che mi esponeva, ma che da quello ch'egli mi riferiva e prendendo norma dai più recenti avvenimenti, mi sembrava di potere dedurre che nel quadro più ampio contemplato dalla più recente iniziativa del Duce, trovasse la sua sede normale, una nuova e definitiva sistemazione dei rapporti itala-francesi.

Col Segretario Generale del Quai d'Orsay ho svolto ampiamente gli argomenti oggetto del telegramma di S. E. il Capo del Governo n. 451/C del 20 corrente (2). Ho molto insistito sullo spirito di larga collaborazione che anima il progetto Mussolini che non è rivolto contro alcuno Stato, né grande, né piccolo, ma mira a fare opera costruttiva di pace. Ho avuto l'impressione netta di chiarire con le mie dichiarazioni un punto tuttora oscuro e oggetto di preoccupazione nell'ambiente del Quai d'Orsay. Ho perciò creduto opportuno d'insistere sulla mia comunicazione anche per provocare confidenze. È fuori di dubbio che il primo rapporto di de Jouvenel, inviando qui il progetto del Patto appena consegnatogli dal Duce, non era improntato a quell'ottimismo che traspare dalla sua ultima conversazione con V. E. L'Ambasciatore ha dato qui l'impressione di avere ricevuto il progetto in modo un po' brusco e che il Patto costituisse l'ultima parola dell'Italia alla Francia e che fosse difficile se non impossibile discuterlo.

Il Collega britannico che ho visto ieri mi ha intrattenuto con insistenza dei nostri rapporti con la Jugoslavia. Nei miei telegrammi di ieri e di stamane (3) ho riassunto la conversazione. Aggiungo che Lord Tyrrell mi ha dichiarato che da quando il Governo italiano ha rinnovato il rifiuto di aderire all'accordo franco-jugoslavo, le diffidenze della Francia verso la nostra politica balcanica si sono accresciute di molto. Ho osservato che il Patto Mussolini costituisce una garanzia che può essere considerata sufficiente anche in questo campo per l'avvenire. Il Collega ha tuttavia insistito nel suo punto di vista. A suo avviso il Patto non basta. Per indurre la Francia ad avviarsi risolutamente nella nuova via occorre rassicurarla previamente. Secondo Tyrrell la difficoltà maggiore da sormontare sarà dal lato centro-balcanico, più che da quello tede

H ·-Doeumeuti diplomatiei -Serie VII -Vol. XIII

sco. La Francia teme che l'Italia sia impegnata, anche rispetto agli Stati suoi amici, allo smembramento jugoslavo per staccarne la Croazia e la Dalmazia. Ho osservato che le preoccupazioni francesi non hanno base perché i conoscitori degli ambienti jugoslavi non ignorano che la compagine jugoslava è saldata da sentimenti di odio contro di noi. I dirigenti dello Stato jugoslavo sanno anche benissimo di avere la possibilità di arrestare in ogni momento lo sgretolamento interno, frutto del resto delle loro male opere, creando l'incidente verso l'Italia.

Parata così la botta, il Collega mi ha parlato di Benes che, a parere suo, costituisce il secondo ostacolo, non meno formidabile del primo, al successo del Piano Mussolini. Lord Tyrrell mi ha chiesto di concedergli di parlarmi a cuore aperto ed io l'ho incoraggiato a farlo. Anche qui come nel caso di Herriot (1), sul quale nulla ho da aggiungere alle mie comunicazioni ufficiali, c'è del risentimento; bisognerebbe ammansire il Ministro cecoslovacco e a questo scopo riuscirebbe decisiva una più benevola considerazione di quell'Uomo politico da parte di S. E. il Capo del Governo. Ho chiesto al mio Collega di consentirmi eguale franchezza. Gli ho detto che, avendo ricoperto per più di due anni il posto di Praga conoscevo la doppia faccia di Benes: societario europeo nelle sue manifestazioni ufficiali, egli era di fatto un freddo esecutore di intrighi maturati nell'ombra. Il Collega ha detto che senza dubbio Masarik è figura più interessante e attraente del suo Ministro degli Esteri, ma che nel presente momento bisognava tenere conto dell'azione di quest'ultimo che si svilupperà in una energica opposizione al Patto, se non la si argina. Lord Tyrrell ha finito testualmente così: «Gli Uomini che reggono le sorti della Francia hanno avuto ormai campo di constatare che l'alleanza con la Piccola intesa non ha dato i risultati sperati. Bisogna aiutare la Francia a staccarsi dalla Piccola Intesa e dalla Polonia per conseguire l'assetto pacifico dell'Europa».

Non mi permetto di da,re suggerimeillti. Non posso tuttav,ia non soffermarmi

sulle ultime dichiarazioni di Lord Tyrrell che rivestono un'importanza capitale. Neutralizzare Benes vuol dire far fare un passo notevole al Patto Musolini. Se il compianto Ambasciatore Bordona1·o fosse ancora in vita sarebbe la persona più indicata per parlare a Benes. Il Ministro cecoslovacco aveva per Lui amicizia e profonda stima. Non sarà difficile però al Ministero, se giudica opportuno un accostamento, di trovare fra i Ministri che si sono succeduti a Praga negli ultimi anni, la persona adatta a servire il Paese in così delicata circostanza. Forse Preziosi potrebbe essere indicato e accetto al Ministro cecoslovacco.

(l) -Cfr. n. 290. (2) -Cfr. n. 261. (3) -Cfr. n. 262. (4) -Cfr. n. 244, nota l.

(l) Cfr. n. 158.

(2) Cfr. n. 241.

(3) Cfr. n. 268.

274

L'ADDETTO STAMPA A VIENNA, MORREALE, AL VICE CAPO GABINETTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, JACOMONI

L. P. XII. Vienna, 23 marzo 1933.

Data la situazione generale dell'Austria e l'atteggiamento del Cancelliere, i capi provinciali della Heimwehren riuniti ieri 22 corrente da Starhemberg sono stati del parere di rinviare la riunione prevista per domenica prossima,

sicché i consigli da me portati a Starhemberg hanno trovato... buon terreno. I capi sono invero del parere !"!he una riunione dovrebbe essere seguita da un atto decisivo, poiché, dicono, gli uomini non possono essere più tenuti assieme colle sole chiacchiere, d'altro canto l'atto decisivo non è possibile per la mancanza l~ei mezzi relativi ed intanto rinviano. Tralasciamo di indagare le ragioni profonde di questo atteggiamento dilatorio che forse coincidono col desiderio intimo di alcuni dei capi di non esporsi soverchiamente ed accettiamolo in quanto corrisponde ai nostri desideri. Ho fatto presente a Starhemberg la necessità di approfittare del respiro che egli stesso ed i capi si concedono per intensificare la propaganda e gli ho dato il consiglio di recarsi domenica ventura in Tirolo per valorizzare colla sua presenza i successi colà perseguiti (l) e trarne argomento di precisazione programmatica. Mi ha promesso di farlo, a meno che lo scioglimento definitivo delle Republikanischer Schutzbund di tutta l'Austria che egli si augura molto prossimo non provochi qualche reazione che lo costringa a tenere pronti i suoi uomini ed in conseguenza a restare a Vienna. Gli ho fatto nota la necessità che egli dica una parola chiara di indipendenza; nel mio colloquio avuto con lui la sera del mio arrivo, il 21 corrente, ha riconosciuto pienamente tale necessità: tra ieri ed oggi ho però notato qualche incertezza che attribuisco ai pareri incontrati durante la suddetta riunione di ieri. Qualcuno dei capi, e precisamente Alberti della Bassa Austria gli deve aver fatto notare che egli non è sicuro se tra i suoi la propaganda annessionista non abbia preso piede: una netta parola nel senso desiderato potrebbe oggi produrre scissioni che sarebbero meno da temere se le Heimwehren come vanno facendo, riuscissero a rafforzarsi attraverso i graduali successi. Ho detto a Starhemberg che posso accettare un rinvio a breve scadenza e per ragioni tattiche, ma che alla parola precisa non si può rinunziare. Gli ho fatto del resto notare che essa deve essere pronunziata nello stesso interesse della causa, poiché ove non vi è chiarezza non vi è seguito. Ne ho avuto oggi precisa assicurazione. Lo ritengo, del resto, sincero.

Allo stato attuale delle cose si provvede dunque a rafforzare la propaganda diretta ed indiretta, tenendo desti gli uomini per quanto riguarda la prima influendo sul Cancelliere per la seconda ed ottenendo soddisfazioni per tutto il gruppo Starhemberg.

Quanto alle relazioni tra Starhembug ed il Cancelliere ho avuto l'impressione che dopo l'atteggiamento imperativo assunto la settimana scorsa per ottenere l'allontanamento del capo della polizia locale esse siano un po' meno buone di prima. Starhemberg mi ha dichiarato che da parecchi giorni non si recava dal Cancelliere: gli ho detto di farlo in settimana.

Circa le relazioni tra Cancelliere e Vice Cancelliere si conferma la voce che i due sono legati da qualche comune pasticcio finanziario che vado precisando in via confidenziale. Ho attirato l'attenzione di Starhemberg su tale circostana, dicendogli che egli deve mettersi in grado di possedere elementi precisi in modo da poter contribuire al salvataggio del Cancelliere ed alla contrizione del Vice Cancelliere.

ll) Circa questl successi Morreale aveva riferito la lettera XI !n parl data.

Circf!, i fucili di Mandl le Heimwehren hanno dovuto rinunziare ad impossessarsene per la strada perché il Cancelliere ha disposto che siano accompagnati da gendarmeria. Per ora sono dell'idea di entrarne in possesso graduale mediante piccolissime operazioni fatte alla località stessa di partenza, operazioni che potrebbero essere coperte da amici del luogo. Ma si tratta ancora di un'idea che, per altro, può non riguardarci.

(l) Cfr. n. 253.

275

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1118/202 R. Londra, 24 marzo 1933, ore 2 (per. ore 10,50).

Dopo i consueti dieci minuti di preghiera recitata dallo speaker e dal cappellano della Camera dei Comuni si è iniziato ore 16 dibattito politica estera.

MacDonald ha parlato per circa % d'ora.

Suo alzarsi è stato salutato applausi calorosi e discorso frequentemente interrotto ed accolto alla fine da uguale significativa manifestazione.

Applausi hanno particolarmente sottolineato passaggio in cui MacDonald ha espresso gratitudine sua e Governo britannico per accoglienza ricevuta a Roma e per grande servizio che Duce ha reso alla causa della pace con sua proposta patto di intesa quattro grandi Potenze. Da rilevare soprattutto esplicita menzione revisione trattati e frase «trattati sono sacri ma non sono eterni», nonché richiamo responsabilità che assumerebbero coloro che eventualmente osteggiassero piano Mussolini, piano che Governo inglese ha salutato con sincera soddisfazione.

Seduta è terminata adesso ore 23 ed è stata dominata interamente da storico incontro di Roma. Quando MacDonald ha detto: «siamo andati a Roma», deputato opposizione ha interrotto gridando « a prendere olio di ricino » ed è stato subito zittito rumorosa protesta assemblea.

Dopo MacDonald ha parlato deputato opposizione laburista Grenfel accusando MacDonald rappresentante paese democratico, essere andato rendere omaggio capo dittatura europea.

Ex ministro liberale Sinclair approvato politica di Governo.

Lord Churchill in seguito pronunciato aggressivo discorso contro MacDonald, sostenendo sua antica tesi che armamenti Francia giovano sicurezza Inghilterra e definendo visita MacDonald a Mussolini ripetizione visita fatta da Imperatore a Gregorio VII a Canossa.

Discorso lord Churchill è stato accolto da disapprovazione della Camera ma esso è significativo perché costituisce riprova tuo grande successo. Questo... (l) queste storiche giornate.

Ho passato intera giornata Camera dei Comuni e mio cuore di italiano e fascista è pieno di soddisfazione e di orgoglio.

(l) Gruppi indecifratl.

276

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GRANDI, E A PARIGI, PIGNATTI

T. 472 R. Roma, 24 marzo 1933, ore 14.

(Per Londra) -Ho telegrafato alla R. ambasciata a Parigi quanto segue: (Per tutti) -Suo telegramma n. 177 (1). In relazione ai chiarimenti da lei forniti circa le conversazioni di Roma tenga presente che caratteristica fondamentale del progetto presentato e suo precipuo scopo sono la creazione di un sistema di intesa fra le quattro grandi Potenze che, escludendo ogni idea di ac::ordi contrapposti, deve portare a considerare i rapporti fra i singoli Stati e anzitutto quelli fra le grandi Potenze e quindi i rapporti fra l'Italia e la Francia in un quadro più generale di collaborazione e cooperazione. Il chiarimento dei rapporti italo-francesi è da considerarsi quindi come elemento e conseguenza di tale intesa. Esso dovrebbe restare facilitato dalla atmosfera di fiducia e di maggiore comprensione che ne sarebbe il risultato naturale.

277

IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE PERMANENTE DEI MANDATI DELLA SOCIETA' DELLE NAZIONI, THEODOLI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. P. Roma, 24 marzo 1933, ore 18.

Riassumo qui dettagliatamente la mia conversazione avuta con de Jouvenel, e che per maggior precisione riporto in francese:

«M. Mussolini s'est montré aujourd'hui très pessimiste avec l'Ambassadeur d'Angleterre. J'ai l'impression, d'après ce qu'il a dit des Ministres français, qu'il fonde son pessimisme sur une communication télégraphique de Monzie à moimème. Ce serait une erreur. Monzie qui est un cerveau rapide voudrait que tout fut réglé tout de suite et s'irrite de l'obstacle ou mème de la lenteur; c'est dans son caractère. Mais il faut bien se rendre compte que si Buffon a déjà défini à son temps le génie "une longue patience ", la patience doit étre particulièrement longue à l'égard des démocraties où il y a beacoup de gens à convaincre. D'ailleurs il n'y a d'oeuvres durables que celles qui se font patiemment.

Du reste si vous veniez de recevoir une volée de coups de poing, quand celui qui vous l'aurait donnée vous dirait: "c'était une manière de vous tendre la main ", vous répondriez: "cela n'empèche pas que ces coups que j'ai reçu sur la téte dans le premier moment, cela ne rend pas très intelligent ». C'est

(lJ Cfr. n. 248.

un peu la position des Ministres français à l'issue de la dernière campagne de presse italienne. Il faut leur laisser le temps de se remettre car si le public français ne lit pas les journaux italiens les Ministres, les Présidents de Commission les lisent.

Il n'existe aucun motif réel de découragement. Tout ce que je demande c'est qu'il n'y ait pas d'à-coups de ce còté-ci, qu'on n'envisage que le but et les meilleurs moyens de l'atteindre. M. Mussolini n'a pas réussi en Italie en huit jours. L'important est d'aboutir. Ce n'est pas une question d'heures. J'étais optimiste à l'égard de l'Italie en plein des polémiques au milieu desquelles je suis tombé ici. J'avais raison. Je suis persuadé n'avoir pas tort quand je suis en ce moment-ci optimiste à l'égard de la France. J'insiste d'ailleurs sur ce point; il est bon que la France ne soit pas précipitée sur la proposition de

M. Mussolini.

Le craintes que les petites Puissances manifestent à l'égard du pacte et qui se sont révélées si vivement hier à Genève ont besoin d'etre apaisées. N'oublions pas qu'il il y a à Genève une assemblée d'Etats, que pour éviter tout bouleversement dans l'état de nervosité où est l'Europe il importe de ménager cette réunion de peuples, après tout armés. C'est à quoi peut et doit servir la France. L'attitude qu'elle a prise, celle d'un intermédiaire loyal entre les grands et les petits Etats, ne peut donc qu'etre utile au dessein de M. Mussolini et à son succès final ~.

Riassumo in poche parole i punti sui quali l'Ambasciatore di Francia mi ha pregato di attirare la sua attenzione, e naturalmente quella di S. E. il Capo del Governo, essendo egli preoccupatissimo di una esplosione di sentimenti francofobi nella nostra stampa.

l) Egli si raccomanda di impedire lo scoppio di una campagna contro la Francia; campagna di cui il Palazzo FDrnese avrebbe già visto qualche segno in questi due ultimi giorni nei nostri giornali che hanno parlato di manovre dilatorie per silurare il Progetto Mussolini.

2) Questo temporeggiamento del Quai d'Orsay a rispondere a MussoUni è spiegabile, secondo Jouvenel, col desiderio del Governo francese di fare opera di persuasione sulle piccole Potenze il cui malumore si è manifestato così aspramente ieri a Ginevra.

Jouvenel ritiene e suggerisce di non tirare delle conseguenze pessimiste dagli articoli di una certa stampa francese, e si raccomanda caldamente di impedire sui nostri giornali qualunque interpretazione precipitata acre od aggressiva; egli domanda qualche giorno di tregua affinché egli da Roma ed i suoi amici in Francia possano portare a compimento la loro opera persuasiva. Del resto, se Jouvenel prima di partire per Parigi desidera essere ricevuto soltanto mercoledì da S. E. il Capo del Governo, è per avere il tempo di vedere gli effetti di questa azione persuasiva.

L'Ambasciatore de Jouvenel mi ha pregato perché questa sua preghiera sia da te trasmessa al più presto a S. E. Mussolini.

278

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, CERRUTI, A LONDRA, GRANDI, A PARIGI, PIGNATTI, E A WASHINGTON, ROSSO

T. 477 R. Roma, 24 marzo 1933, ore 20,30.

(Per Parigi, Londra, Berlino) Ho telegrafato alJa R. ambasciata a Washington quanto segue:

(Per tutti) Questo ambasciatore d'America è stato già messo al corrente del contenuto del patto discusso a Roma. Esso consta di sette articoli di cui le indico sommariamente contenuto:

* l) Conferma solenne dei pll'inCtipi del patto Kellog e del «no fo.rce Pact » nelle relazioni delle quattro Potenze fra di loro e verso i terzi.

2) Riconferma principio possibilità revisione trattati previsto dal patto della Società delle Nazioni: applicazione principio dovrà essere effettuata nel quadro della Società delle Nazioni e t~:::endo presenti interessi parti in causa.

3) Nel caso che conferenza disarmo non arrivi a risultati concreti Germania sarebbe autorizzata a mettere in pratica il principio della parità di diritto gradualmente e a mezzo accordi concordati fra le quattro Potenze.

4) Estende ad Austria, Ungheria e Bulgaria disposto articolo tre.

5) Prevede cooperazione quattro Potenze per soluzione problemi economici europei e mondiali.

6) Prevede ratifica del patto da parte parlamenti Stati interessati e ne fissa durata dieci anni rinnovabili salvo denunzia.

7) Prevede deposito patto alla Segreteria della Società delle Nazioni.

Di quanto precede Ella potrà informare verbalmente e a titolo indicativo e riservato codesto Governo. Nel farlo sarà opportuno mettere particolarmente in rilievo i seguenti punti:

l) Governo italiano si è reso chiaramente conto che processo stonco attualmente in fase di sviluppo lasciato a se stesso porterebbe fatalmente costituzione gruppi contrapposti ritornando così situazione anteriore 1914. Governo italiano è d'avviso che solo modo efficace arrestare tale processo ed assicurare Europa pace durevole è stabilire basi collaborazione e cooperazione quattro Potenze occidentali. Accordo è naturale sviluppo e completamento del Patto di Locarno;

2) Progetto italiano non mira stabilire rigida gerarchia fra Potenze grandi e piccole; a parte circostanza che Potenze come Russia, Stati Uniti e Giappone ne sono al di fuori, esso prende per base situazione che è sempre esistita in Europa, e per cui pace e prosperità Europa non possono essere assicurate che dall'accordo -non dalla divisione -delle quattro grandi Potenze;

3) Solo accettazione patto può salvare conferenza disarmo da completo fallimento creando atmosfera maggiore fiducia e comprensione e trasportando in altro campo soluzione principali questioni politiche il cui intrecciarsi con questione disarmo propriamente detta ha portato conferenza su attuale punto morto;

4) Obiezione che è stata mossa al patto è che esso viene a costituire una specie di direttorio a cui politica europea verrebbe devoluta. Sta in fatto che esula dallo spirito del patto ogni idea di coercizione: mentre nella situazione attuale ogni questione che interessa terzi Paesi risente dello stato dei rapporti fra le quattro Potenze e non potrebbe quindi che essere difficilmente esaminata senza partito preso, risultato del patto sarebbe che a mano a mano che questioni si presentano esse verrebbero considerate con criterio di obiettività e di cooperazione tenendo nel debito conto giusti interessi delle parti in causa;

5) Osservo da ultimo che non è esatto che patto significhi svalutazione Società Nazioni poiché nello spirito e nella forma esso si inquadra nell'organismo di Ginevra. Ella potrà a questo riguardo e nella forma che riterrà più opportuna servirsi delle argomentazioni di cui al punto 4 * (1).

V. E. potrà naturalmente aggiungere quelle altre considerazioni che la sua conoscenza di codesto ambiente e delle questioni le potrà suggerire allo scopo di ottenere piena comprensione codesto Governo ed opinione pubblica patto e concezione politica che lo ha ispirato. Tanto meglio se fosse possibile avere di questa comprensione qualche manifestazione.

(Per Parigi, Londra, Berlino).

Informo V. E. di quanto precede anche per Sua opportuna norma di linguaggio.

279

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1127/24 R. Ankara, 24 marzo 1933, ore 21 (per. ore 24).

Tewfik Ruschdi bey mi ha espresso sua ammirazione per progetto di V. E. e pe'r la protagondstica che il mondo riconosce a V. E. Tuttavia questo Governo, cui manca spesso senso delle cortesie, non può celare solita amarezza già manifestata dopo discorso Torino all'idea che quattro grandi Stati assumano direzione politica europea.

Poiché egli parlava di «alleanza fra quattro» ho chiarito, in base alle direttive di cui al telegramma dl. V. E. n. 451/C (2), che non si tratta affatto di

«La informo particolarmente che in conversazioni di Roma non si è discussa questione corridoio. V. E. può ove presentisi occasione fare uso informazioni e considerazioni che precedono ~.

Il 2 aprile fu trasmesso a Belgrado, Praga, Bucarest, Sofia ed Atene (t. 569 R.), a Rio de Janeiro, Buenos Ayres, Santiago, Bruxelles e Messico (t. 574 R.), e a L'Aja, Stoccolma, Copenaghen, Osio, Helsingfors e Kaunas (t. 575 R.) con l'istruzione di informare in proposito alla prima occasione i varii Governi senza però fare un apposito passo. Edito in DE FEUCE pp. 458-459.

alleanza di Stati, ma di una collaborazione destinata a giovare a tutti gli Stati la quale, nella situazione presente, non poteva essere basata che sull'accordo dei quattro.

Tewfik Ruschdi bey mi ha detto constargli che Francia chiederà che Polonia e Piccola Intesa siano incluse neU'accordo ed abbiano una voce propria nelle future forme di collaborazione. In tal caso, secondo Tewfik Ruschdi bey, sarebbe inevitabile comprendervi la Russia ed in questa ipotesi Governo turco chiede che si tenga conto dell'esistenza del g.-uppo turco-greco a cui dovrebbe essere concessa una voce alla pari col gruppo Piccola Intesa.

Tewfik Ruschdi bey che sente in questo momento sintomi isolamento e teme egemonia Piccola Intesa nei Balcani, mi ha detto che fa appello a V. E. ed alla sua amicizia per la Turchia affinché sia scongiurata una estensione dell'accordo alla Piccola Intesa senza comprendervi gruppo greco-turco.

V. E. giudicherà se far giungere a questo Governo una parola di amichevole apprezzamento che sarebbe qui di grande valore anche per iniziato complicato giuoco della Francia che già si atteggia a protettrice delle medie e piccole Potenze.

(l) Il brano fra asterischi fu trasmesso a Madrid, Mosca, Ankara e Tokio con t. 484 R. del 26 marzo. A Varsavia fu trasmesso con t. 539/32 R. del 31 marzo seguito dalla frase:

(2) Cfr. n. 241.

280

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1128/25 R. Ankara, 24 marzo 1933, ore 21,04 (per. ore 24).

Sono stato messo a parte da questo ministro degli affari esteri della posizione che Governo turco intende assumere di fronte progetto MacDonald.

Questo Governo concorda nella parte prima relativa alla sicurezza, ma fa osservare che nei precedenti patti contro la guerra potenze grandi e piccole figuravano sullo stesso piede di eguaglianza in ogni deliberazione mentre ora si prevede necessaria unanimità grandi Potenze e maggioranza per le altre. Turchia non si oppone ma dichiara che, qualora chiamata a cooperare all'esecuzione di deliberazioni prese a maggioranza, lo farà solo per quelle deliberazioni a cui essa abbia partecipato con voto favorevole.

Riguardo ad effettivi da una parte Governo turco si compiace di non aver limitazioni per le sue forze asiatiche e dall'altra si duole non essere stato enumerato fra gli Stati europei. Esso sostiene opportunità ritornare al concetto che distingueva forze irriducibili da forze riducibili, le prime dovendo essere calcolate in relazione popolazione, superficie, lunghezza frontiere e lunghezze coste.

Girca materiali propugna abolizione completa carri assalto. Chiede che artiglieria tra 105 e 155 m/m le cui ordinazioni siano già perfezionate siano considerate come già esistenti e quindi tollerate sino a consumazione.

Per aviazione chiede formalmente di aver numero aeroplani non inferiore alla Jugoslavia accontentandosi di qualsiasi cifra minima che sia ugualmente imposta a tutti i paesi balcanici.

Sulla parte finale del progetto relativa all'abolizione clausole militari dei trattati di pace Tewfik Ruschdi bey mi ha fatto dichiarzioni di seria portata che formano oggetto successivo telegramma (l).

281

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1131/26 R. Ankara, 24 marzo 1933, ore 21,05 (per. ore 3 del 25).

Governo turco sostiene che abolendo clausole !imitatrici delle forze militari di cui ai trattati pace con Germania, Austria, Ungheria e Bulgaria diviene inevitabile abolire clausole di pari natura del trattato di Losanna. Questo atteggiamento che ha riflessi di minore interesse sopra frontiera della Tracia tocca in pieno regime degli Stretti.

Governo turco non intende scuotere clausole trattato di Losanna che assicurano libertà passaggio ma tendono a liberarsi dalle clausole di demilitarizzazione, le quali diventano assurde giuridicamente dopo l'abolizione dei vincoli altrui. Dal punto di vista militare demilitarizzazione attuale è una pura finzione giacché tutta la schiera delle artiglierie mobili di medio e grosso calibro sono state arretrate di 15 chilometri e possono raggiungere la costa in mezza giornata, ma se queste artiglierie sono condannate allora la Turchia pretende creare impianti fissi di artiglieria costa ammessi da progetto MacDonald per tutte le altre Potenze in piede di eguaglianza.

Governo turco dichiara che il possesso dei mezzi per difendere gli Stretti è la sola garanzia per assicurare la libertà di transito contro ogni velleità di violazione evitando intervento di terzi che farebbe dilagare conflitti eventuali. Esso dice che piano inglese nelle sue applicazioni orientali non è altro che una mossa per dare tutti i Balcani nelle mani della Piccola Intesa e per lasciare gli Stretti in condizioni tali da essere perennemente in balia dell'Inghilterra.

A prescindere dalla possibilità o meno che Governo turco abbia di far prevalere le sue rivendicazioni in sede degli attuali negoziati, sta di fatto che sua tendenza per disporre della chiave degli Stretti si accentua sempre più e sarà uno dei postulati della politica turca incoraggiata forse da Mosca.

Per mio conto non esito a dire che l'Italia debba permanentemente esigere il rispetto della convenzione degli Stretti finché non possa creare una situazione particolare e preminente di riconoscimento dei suoi interessi di vita e di respiro attraverso gli Stretti e puntare sul primo obbiettivo per ottenere il secondo.

Di fronte dichiarazioni di questo ministro degli affari esteri ho dovuto quindi prendere posizione e gli ho chiesto quali garanzie avrebbe potuto egli offrire all'Italia per la sicurezza dei suoi rifornimenti in ogni evenienza. Mi ha risposto che era pronto a stipulare una convenzione particolare con noi per assi

curarci il transito commerciale attraverso gli Stretti anche impegnando le forze della Turchia a tutela della inviolabilità dei nostri rifornimenti durante la navigazione negli Stretti.

Tralasciando, per ora, altre ipotesi da lui fatte per accordi tra Italia, Turchia e Grecia per tutelare insieme libertà accesso Dardanelli attraverso l'Arcipelago, reputo che nostra presa di posizione debba mirare a profittare delle rivendicazioni turche onde raggiungere una particolare situazione dell'Italia nella regolamentazione degli Stretti e poggiare il nostro sistema di amicizie nel Mediterraneo Orientale sul fondamento della difesa di un interesse comune di tanta importanza.

Questa azione dovrebbe sempre avere come linea di partenza la surrogazione del regime di Losanna che potrà anche servire come eventuale linea di ripiego (l).

(l) Cfr. n. 281.

282

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A TIRANA, KOCH

T. 479/40 R. Roma, 24 marzo 1933, ore 24.

Suoi telegrammi nn. 57 e 58 (2). Effettivamente ieri è pervenuto da parte codesto ministro finanze invito alla

S.V.E.A. inviare costì prima della fine corrente mese suoi delegati per trattative su regolamento debito e modalità pagamento.

Concordando con avviso espresso V. S., impartisco istruzioni a dirigenti SVEA di rispondere accettando invito. S.V.E.A. comuniche,rà codesto ministro Hnanze di avere nominato suoi rappresentanti on. Giuseppe Bianchini presidente ,interinale società e avv. Gambino. Gambino, verrà prima della fine del mese a prendere contatto con rappresentanti Governo albanese. Bianchini essendo impegnato a Parigi per ragioni attinenti carica di presidente comitato internazionale controllo Austria lo seguirà al più presto possibile.

Prima che Gambino parta per costì riuscirebbe opportuno che direttive per trattative fossero qui stabilite alla presenza di V. S. Ove pertanto non ostino ragioni di se,rvizio, pr,egoia trovarsi a Roma lunedì pross:imo 27 corr. Gradirò assicurazione telegrafica.

283

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1147/192 R. Berlino, 24 marzo 1933 (per. ore 21 del 25).

Il Presidente del Reichstag e Ministro Goering, che pranzò iersera all'ambasciata, mi pregò d'informare V. E. del suo proposito di venire a Roma, ospite,

come al solito, di S.A.R. il principe Filippo d'Assia, nella prima settimana di aprile.

Scopo principale del suo viaggio è quello di prendere accordi definitivi con

S. E. il ministro dell'aeronautica per lo stabilimento di una linea regolare aerea Berlino-Roma.

Goering mi disse che intende pure porsi in contatto col Vaticano per regolare la posizione di Hitler di fronte alla Chiesa cattolica e alla Santa Sede, anche in previsione del prossimo suo viaggio a Roma e della necessità di una sua visita al Santo Padre.

Circa quest'ultima questione riferirò più ragguagliatamente a V. E. col prossimo corriere.

Goering espresse il desiderio di conoscere se V. E. approva il suo progetto di viaggio che conserverà carattere privato, ancorché egli intenda di renderLe omaggio e di entrare in contatto con altri ministri ed uomini politici italiani.

Prego V. E. di rispondere con telegramma-filo (l).

(l) -Per la risposta cfr. n. 329. (2) -Cfr. nn. 254 e 255.
284

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 24 marzo 1933.

Ho visto ier sera de Jouvenel. Mi ha parlato delle tre questioni che furono ieri da lui fatte comunicare a

S. E. l'On. Suvich e cioè:

l) la possibilità di aprire subito negoziati tra Italia e Francia per facilitare i lavo!ri della Conferenza del Disarmo;

2) idem per intese in vista della prossima Conferenza Economica;

3) idem per un accordo secondario politico tra Italia e Francia.

Ho risposto: al n. l) che noi eravamo sempre stati del parere che i negoziati diretti tra le varie Potenze avrebbero facilitato il lavoro della Conferenza del Disarmo a Ginevra; al n. 2) che anche per preparare la Conferenza Economica mi pareva pure indicato di creare un'atmosfera di fiducia in vista delle prossime discussioni internazionali di Londra. al n. 3) che mi pareva assolutamente da escludersi qualunque tentativo in questo senso prima della firma dell'accordo di intesa e di conciliazione delle quattro Potenze, e ciò per ovvie ragioni di opportunità, che de Jouvenel ha perfettamente compreso.

(ll Suvich rispose con t. 492/100 R. del 26 marzo, ore 23: «Nulla in contrario visita Goering ».

In seguito l'Ambasciatore di Francia mi ha domandato se credevo utile una sua gita a Parigi, fra dieci giorni, per potere con la sua presenza aiutare il suo Governo e sormontare difficoltà nelle quali si trova.

Ho risposto affermativamente.

Ha proseguito descrivendomi la posizione di Gabinetto Daladier-Boncour di fronte ai movimenti dei partiti nei confronti del Patto proposto e mi ha detto che, secondo il suo pensiero, sarebbe utile fare intervenire più attivamente l'America nel dibattito, ciò che avrebbe forte ripercussione in Francia (avevamo già pensato ieri a tale intervento).

Inoltre, per smontare l'opposizione della Piccola Intesa egli giudicherebbe tempestivo un viaggio in Italia del Signor Titulescu. A me sembra questa idea sia felice, in quanto dopo la visita dei Ministri inglesi ciò mostrerebbe in maniera del tutto palese che anche la Piccola Intesa deve venire a Roma per prendervi le direttive.

Infine il signor de Jouvenel inizierà un gran movimento d'opinione pubblica francese mediante grandi organi parigini e di provincia (République, Petit Journal, Dépéche de Toulouse, etc.) ed all'uopo desidererebbe far venire a Roma il signor Roche ed altri giornalisti.

Nella sua gita a Parigi de Jouvenel si propone di fare opera conciliativa presso il Signor Herriot e sarebbe sicuro di riuscire se potesse apportare una opportuna parola del Capo del Governo Italiano.

Dal colloquio ho ritratto la precisa impressione che l'Ambasciatore di Francia ha fatto completamente sua l'opera del Capo del Governo che difenderà ad ogni modo e con tutta l'energia presso il suo Governo.

285

L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, GRAHAM, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

PROMEMORIA 182/28/33. Roma, 24 marzo 1933.

His Majesty's Ambassador has been instructed by the Secretary of State for Foreign Affairs to inform the Head of the Government that he and the Prime Minister, on their way back to London, reported to the French President of the Council and M. Pau! Boncour the nature of the conversations the British Ministers had had in Rome. The British Ministers explained that while they had reached no conclusive agreement, they were most anxious to promote the suggestion that a basis should be established for co-operation in the interests of world peace between the four Western Powers. A copy of Signor Mussolini's originai draft was already in the hands of the French Ministers and they had heard of the amendments to it which the British Ministers had suggested in the course of their conversations in Rome. The nature of these amendments were explained to the French Ministers, who regarded them as improvements. The latter were however, concerned to know how far the new proposals went beyond the provisions of the Covenant of the League of Nations, and in particular Article 19, and they were furthc concerned to consider how far the interests of States other than the four Western Powers would be represented considered and safeguarded. The position reached at the conversations in Paris was, so His Majesty's Ambassador ·is inf01rmed, faithfu1ly described in the official communiqué issued at the close of the meetings in Paris.

On the afternoon of March 23rd, the Prime Minister in a speech in the House of Commons, gave a genera! account of the nature of the discussions between the British and Italian Ministers in Rome.

While, therefore, the British Ministers are not able to report that the French Ministers expressed agreement, they are nevertheless pursuing the matter and the Prime Minister has indicated the hope of His Majesty's Government that they may be able shortly to make a further contribution to elucidate the possibilities of the generai plan proposed.

His Majesty's Ambassador is, at the same time instructed to convey to the Head of the Government the sincere thanks of the Prime Minister and the Secretary of State for Foreign Affairs for the warm welcome and the generous hospitality which the latter enjoyed during their stay in Italy.

His Majesty's Government are confident that the recent meeting in Rome has been of real use, and they will do their utmost, in collaboration with others, to make European co-operation more effective in the task of improving prospects and foundations of peace.

286

IL CONSOLE GENERALE A ZAGABRIA, UMILTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA 1324/182. Zagabria, 24 marzo 1933 (per. il 27).

Mi riferisco al telespresso di V. E. del 18 corrente n. 208304/C (1).

Circa una settimana fa, alcuni di questi signori dell'opposizione croata mi mostrarono la lettera pubb1ica·ta nel Times 1'11 corrente a firma Evens, Seeton Watson e Wickham Steed e mi fecero al riguardo le osservazioni che riferisco:

«Appare ora chiaro che non solo questa lettera ma anche le precedenti pubblicate nei giornali inglesi, dai predetti signori sono state scritte per ispirazione, se non addirittura dietro pagamento o della Jugoslavia o della Piccola Intesa.

Ci risulta che non solo il Macek, il Korosec e gli altri nostri capi attualmente o confinati o carcerati sotto processo sono continuamente oggetto di pressioni da parte di organi del Governo iugoslavo per indurii a recedere dalla loro linea di condotta politica e fare dichiarazioni tali che permettano al Governo stesso di mostrare che tali opposizioni sono di carattere puramente interno e non mirano allo sfacelo o quanto meno a un cambiamento radicale della costituzione dello Stato. Noi stessi quando siamo stati carcerati e anche ora che

(!) Cfr. n. 233.

siamo, per modo di dire, in libertà, abbiamo subito e subiamo le stesse pressioni e le stesse lusinghe per adattarci in qualche modo o alla dittatura attuale

o ad un Governo dittatoriale attenuato o a qualche altro cambiamento nella forma dello Stato che salvi e la Monarchia e la integrità della Iugoslavia.

Noi sapevamo già e ora è anche stato pubblicato il recente libro La Dictature du Roi Alexandre di Pribicevic che egli stesso durante il suo internamento e la sua prigionia fu oggetto delle stesse angherie e degli stessi allettamenti e che dovette la sua liberazione non già ad una sua ritrattazione o a una sua debolezza, ma solo all'intervento dei suoi amici francesi.

È quindi impossibile per noi pensare che ciò che non fece Pribicevic, il quale pure si contenta di fare della Iugoslavia una repubbHca federale, possa essere fatto da Macek, da Korosec e dagli altri ora in carcere e da noi stessi che vogliamo la separazione delle provincie ex austro-ungariche dalla Serbia. Tutti i cambiamenti nella forma di Governo, tutti i patti che si potessero fare tra noi e il Re, tutti i diritti che ci potessero essere garantiti entro la Iugoslavia attuale, niente sarà mantenuto, come la dura esperienza di 14 anni ci insegna, finché i serbi della dittatura o delle opposizioni avranno legami politici con noi: essi vogliono comandare e ci vogliono sfruttare e praticamente noi saremo sempre le vittime della loro violenza e della loro mentalità megalomane. Siamo quindi sicuri che né Macek, né Korosec, né gli altri cederanno alle violenze o alle lusinghe: i croati continueranno ad essere le vittime dei serbi ma continueranno pure a non dare la minima collaborazione alla loro megalomania.

Noi siamo contrari per temperamento e per programma alle insurrezioni violente e allo spargimento di sangue: sappiamo però che ora tutto il mondo civile conosce bene la reale situazione di questo paese e lo sfruttamento di cui siamo vittime e perciò confidiamo sempre fermamente che al momento in cui si verrà in Europa ad una revisione possibilmente pacifica dei Trattati di Pace, la Croazia e le altre regioni ex austriache otterranno, specialmente per l'aiuto dell'Italia, la loro indipendenza.

Ora attraversiamo qui un momento molto grave per noi separatisti, ma sappiamo che non cederemo alle imposizioni di Belgrado e quindi siamo sicuri che anche questo brutto momento passerà come sono passati quelli in cui furono uccisi dai serbi i nostri primi capi».

Per parte mia posso aggiungere che pur avendo constatato da parte di questi croati nel momento attuale qualche disorientamento e qualche avvilimento, non ho mai, neanche adesso, sentito nessuno di questi capi che sia disposto, anche per pressioni che gli potessero venire dalla massa delle popolazioni, a adattarsi a un qualunque accordo col Governo di Belgrado. Tale resistenza passiva è probabilmente la sola forza di cui dispone questo popolo, ma l'adopera con tale intensità che, almeno finora, è stata sufficiente ad impedire a tutti i Governi a Belgrado di consolidare in realtà lo Stato.

Non posso perciò avanzare l'ipotesi che questi discorsi che mi vengono riferiti e il cui tono non cambia mai, mi siano fatti al solo scopo di ingannare me e per conseguenza V. E. a cui li riporto: V. E. vedrà quale conto possa farsi di essi e se al nostro paese convenga anche nel seguito continuare a guardare con simpatia tale movimento croato e ad aiutarlo o se convenga invece augurarsi e lavorare affinché lo Stato iugoslavo riesca a consolidarsi.

287

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. P. Londra, 24 marzo 1933.

Come ho già telegrafato stanotte (1), la seduta di ieri ai Comuni è stata la fotografica conferma del Tuo colossale successo diplomatico in queste storiche giornate di Roma. Il Piano da Te pensato e redatto (il Tuo stile non è imitabile) è, come documento diplomatico, un tale capolavoro di finezza da fare venire la voglia di battere le mani, e Tu hai giocato la carta con tale tempestiva abilità come solo un Genio può fare nei grandi momenti della vita del Paese che Egli possiede nel Suo pugno.

Anche se lo schema del Patto dovesse incontrare difficoltà, subire modificazioni, durante la strada che esso dovrà inevitabilmente percorrere prima della sua formale accettazione, ciò non ha ormai, a mio avviso, se non una modesta importanza. Lo scacco matto Tu già l'hai dato, e lo hai dato, a mio avviso, a tutti in una volta: all'Inghilterra, alla Francia e anche alla Germania. Nessuno potrà cancellare mai lo scatto di entusiasmo che tutto il mondo ha avuto per Te.

La vittoria di Hitler in Germania (5 marzo) stava determinando, attraverso lo sgomento suscitato dall'avvenimento, il blocco delle Potenze governate dalle Democrazie. Nella passata quindicina si parlava in questo Paese dell'Entente franco-inglese come se ne parlava alla vigillia della guerra del 1914, né più, né meno. Il discorso aspro che Churchill ha ieri sera pronunziato ai Comuni è la conferma di questo fatto (2). Tu hai spezzato, con un colpo secco, i piani di alleanza delle democrazie francese e britannica e forse americana. Hai inferto un colpo mortale alla Francia. Hai mostrato alla Germania Hitleriana che la Tua amicizia è basata esclusivamente sul Tuo prestigio e sulla Tua forza, e hai nell'istesso tempo avvertito Berlino, con cortese ma ferma maniera, di non fare, nel campo internazionale, sciocchezze «more teutonico ». Hai portato il Primo ministro democratico di quella Potenza che è ancora, malgrado le sue interne difficoltà, il più grande Impero del mondo, a renderti omaggio nella Sala del Mappamondo. Hai inferto alla Società delle Nazioni il colpo più mortale che le si potesse dare ed hai fatto istantaneamente di Roma il centro politico e diplomatico del mondo.

Questo è già stato, e nessuno ormai può distruggerlo più. Ecco perché le aspre ed amare parole dette ieri sera da Churchill contro MacDonald hanno suonato al mio orecchio molto oltre il loro significato letterale.

«...senza dubbio il viaggio a Roma è stato un assai piacevole spedizione che non può non avere dato al signor Mussolini un effettivo piacere, lo stesso piacere che mille anni fa fu dato al Papa quando un Imperatore andò a visitarlo a Canossa. Deve essere stato certamente un impressionante spettacolo vedere questi due Capi di governo, l'uno semplice dominatore di sentimentali parole, l'altro

il più grande dominatore di azioni rudamente concrete, incontrarsi insieme con tanta amicizia. Diamo il benvenuto al Primo ministro che ritorna. Abbiamo di nuovo il nostro moderno Don Chisciotte a c~sa, col suo Sancio Pancia. Essi portano con sé i dubbi tronfei che essi hannd raccolti tra le risa dell'Europa... ».

Per frustare il povero MacDonald Churchill ha dato con eloquenza brutale, suo malgrado, la cornice allo storico incontro di Roma.

(1) -Cfr. n. 275. (2) -Anche un altro deputato Mr. Wedgewood ha parlato dopo Churchill in favore della Francia dicendo tra l'altro «C'era sino a poco tempo ~a un Inghilterra favorevole alla Germania. Oggi c'è un'Inghilterra favorevole alla Francia. DI questo cambiamento evidente il Primo Ministro non si è accorto... • [Nota del documento 1.
288

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, E AI MINISTRI A BUDAPEST, COLONNA, E A VIENNA, PREZIOSI

T. 480 R. {1). Roma, 25 marzo 1933, ore 12.

(Per Vienna e Budapest) Ho telegrafato alla R. ambasciata in Berlino quanto segue:

(Per tutti) «Signor Kanya mi ha confldenzialmente intrattenuto (2) sulle preoccupazioni che il generale Gombos nutre per la situazione in Austria. L'azione dei nazionalsocialisti, qualora avesse il sopravvento, porterebbe infatti a nuove elezioni, alla caduta del Gabinetto :Oollfuss ed aumenterebbe le probabilità dell'« Anschluss ». Eventualità questa che è interesse dell'Italia e dell'Ungheria di tenere il più possibile lontana. Il presidente del consiglio ungherese esprime quindi l'avviso di dare il mass~mo appoggio a Dollfuss e Starhemberg per consolidare l'attuale Governo e fayorire un'intesa dei partiti d'ordine, evitando che si giunga a nuove elezioni.

Vedute Governo ungherese coincidono çon quelle Governo italiano. Quanto precede per sua informazione enorma in relazione ai precedenti telegrammi in argomento».

289

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1135/191 R. Parigi, 25 marzo 1933, ore 13,20 (per. ore 16,15). Discorso MacDonald e la fredda accoglienza fattagli alla Camera dei

Comuni in contrasto coi consensi tributati a Churchill non ha certamente giovato a spianare il terreno alla comprensione del patto da parte opinione pubblica francese.

Lavorio della stampa ostile trova esca nelle poche chiare dichiarazioni primo ministro inglese riguardo revisione trattati. Corrono due versioni. Secondo la

25 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XIII

prima MacDonald avrebbe detto che il patto non deve avere come fine generale la pace «ma anzitutto e quasi unicamente revisione trattati». Temps ha diffuso ieri sera una versione attenuata: in essa revisione «non sarebbe unico particolare del patto».

Comunque dichiarazioni MacDonald che, nell'ignoranza del patto, sono prese alla lettera e considerate determinanti, facilitano opera svalutazione degli ambienti interessati a fare naufragare Liziativa del Duce.

Diffidenza sfere giornalistiche francesi non è tanto rivolta contro il patto, quanto contro l'interpretazione del primo ministro inglese. ll: da questa parte che si temono sorprese.

(l) -A Vlenna e Budapest 11 telegramma fu Inviato per corriere. (2) -La legazione d'Ungheria a Roma aveva consegnato a Buti 11 20 marzo un promemoriaconfidenziale circa 11 punto di vista del Governo ungherese sulla situazione In Austria.
290

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, E ALLA DELEGAZIONE A GINEVRA

T. 481 R. Roma, 25 marzo 1933, ore 24.

(Per Ginevra) Ho telegrafato alla R. ambasciata in Londra quanto segue:

(Per tutti) A seguito e conferma delle conversazioni avute qui a Roma col primo ministro britannico, prego V. E. di voler comunicare ufficialmente a cotesto Governo che il Governo italiano accetta il piano presentato dal Governo britannico alla conferenza del disarmo. La delegazione italiana a Ginevra è stata autorizzata a dichiarare che il Governo italiano accetta il piano inglese nella sua integrità. È naturale tuttavia che qualora a richiesta di altre potenze si venisse nell'ordine di idee di modificare il piano in tutto o in parte, il Governo italiano non potrebbe non riservarsi il diritto di richiedere anch'esso le modifiche gli apparissero necessarie.

Sarà bene poi che V. E. trovi il modo di precisare il pensiero di cotesto Governo per quanto concerne il tonnellaggio dei sottomarini che sarebbe concesso alla Francia e che è stato lasciato in sospeso, significando che da parte nostra noi lo interpreteremo come una cifra assai prossima alle 52.700 tonnellate fissate per le altre Grandi Potenze, ed in nessun caso superiore alla cifra di 70.000 tonnellate prevista dal piano Davis del dicembre scorso.

V. E. vorrà far presente a cotesto Governo, nel corso della conversazione, che il piano inglese comporta gravi sacrifici per l'Italia. Ciononostante di fronte alla necessità di avviare la conferenza del disarmo verso una soluzione pratica e definitiva e tenendo in debito conto le considerazioni superiori di pace e di ricostruzione europea e mondiale a cui si è ispirato il Governo britannico e che si inquadrano nelle concezioni di politica generale del R. Governo concretata nel nuovo patto d'intesa attualmente in discussione, il Governo italiano è venuto nella decisione di accettarlo (l).

«Allego Il telegramma per Londra, A quanto mi ha detto Il Colonnello Barbasettl, la Guerra mantiene però le sue riserve (in proposito S. E. Gazzera ha Inviato un memoriale al Capo del Governo) •·

(l) Allegato al telegramma è il seguente appunto di Buti per Alolsl del 21 marzo:

291

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 486/105 R. Roma, 25 marzo 1933, ore U.

Secondo notizie giunte a Roma da fonte inglese risulterebbe che discorso MacDonald avrebbe avuto scarso successo mentre assemblea avrebbe accolto con ovazioni discorso Churchill (l).

292

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, E IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI (2)

APPUNTO. Roma, 25 marzo 1933.

Il Ministro Preziosi espone la recente situazione in Austria, caratterizzata dalla propaganda travolgente dei nazionalsocialisti i quali hanno acquistato nuovo slancio dalla vittoria di Hitler in Germania. La propaganda dei « Nazi » è fatta tutta sulla base dell'Anschluss, e in discorsi si accenna pure alla riunione dei Paesi ex-tedeschi, compresi i paesi di Andrea Hofer.

Il Capo del Governo osserva che i nazionalsocialisti hanno un successo in Austria, a parte le evidenti ripercussioni della situazione germanica, anche per il fatto che hanno un programma chiaro e preciso: un popolo, uno Stato. Ora a questo programma la frazione Dollfuss Heimwehren non ha opposto che delle formule equivoche.

Il Ministro Preziosi fa presente che il Cancelliere, in un recente discorso ha parlato in modo preciso -la prima volta -della nazione austriaca.

Il Capo del Governo osserva che ci vuole una formula più chiara. Bisogna parlare dell'indipendenza dell'Austria, riaffermando pure la fratellanza col popolo tedesco.

Si può usare anche la formula: «Un popolo, due Stati». Comunque, questa affermazione dell'indipendenza deve essere esplicita.

Il Ministro Preziosi afferma che la maggioranza degli austriaci è contraria all'Anschluss. È soltanto una specie di pressione morale che si fa su di loro affermando che la tesi del distacco dell'Austria dalla Germania è segno di minore patriottismo.

Oggi, oltre a Dollfuss e le Heimwehren sono contrari all'Anschluss anche i socialisti, per un fatto però contingente che è quello del successo di Hitler in Germania.

Il Capo del Governo rileva che bisogna contare su di un lungo periodo di dominio social-nazionalista in Germania. Si è compiuta una vera e profonda rivoluzione nello spirito tedesco.

Il Ministro Preziosi -su domanda -afferma che, in caso di elezioni, st avrà certamente una forte affermazione nazional-socialista. È probabile che i social-democratici perdano qualche seggio, ma non molti e che i restanti voti siano divisi fra cristiano-sociali e hitleriani. Ci vorrà quindi una coalizione, che sarà probabilmente la rosso nera, ad avere una maggioranza nel Parlamento. Questa, dal punto di vista dell'Anschluss, darebbe una certa tranquillità.

Il Capo del Governo dà le seguenti disposizioni: Continuare ad appoggiare Dollfuss e le Heimwehren, avvertendo però che bisogna prendere una posizione netta nei riguardi della opposizione all'Anschluss, accelerare i tempi e agire con la massima energia. Se questo programma viene accettato dal Cancelliere e dalle Heimwehren, continuerà il nostro appoggio e si potrà vedere di condurre anche Hitler a temperare la foga dei suoi adepti in Austria. Se però si avesse l'impressione che Dollfuss e le Heimwehren non marcino, in quel caso converrà esaminare la possibilità di elezioni, anche perché situazioni artificiali non si possono portare avanti oltre un determinato tempo e perché converrà misurare le effettive forze dei nazionalsocialisti anziché mantenere sempre nell'aria l'impressione di questo pericolo vago che paralizza ogni azione (1).

(l) -Minuta autografa dl MussoHnl. (2) -Al colloquio era presente Suvlch.
293

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA R. 2809/551. Budapest, 25 marzo 1933.

l. Da un mese e mezzo a questa parte, il movimento legittimista ungherese fa mostra di rinnovata attività. Ne ho riferito di volta in volta a V. E. le singole manifestazioni, le voci sorte in proposito ed i commenti di questa stampa (bollettini stampa di questa R. Legazione nn. 42, 44, 54, 57, 61, 73 e 74); ho avuto altresì l'onore di riferirLe quanto dichiaratomi, per svalutarne l'importanza, da questo Presidente del Consiglio (mio teleposta n. 236 del 9 febbraio e mio rapporto n. 482 del 14 corrente) (2).

2. Ieri l'altro -per la prima volta da quando, in seguito alla morte del conte Apponyi, il pretendente Otto ha affidato al conte Giovanni Zichy la direzione del movimento legittimista ungherese, ed al conte Giuseppe Karolyi la rappresentanza dei suoi diritti costituzionali -si è qui nuovamente riunito il Circolo dell'Unione legittimista, presenti tra gli altri i deputati legittimisti dei vari partiti. Nel d~scorso p1;onunciato in tale occasione, H conte Giuseppe Karolyi ha fatto due dichiarazioni programmatiche, importanti per il loro contenuto, per l'incarico di cui egli è investito e per il consenso unanime con il

«Prego V. S. di voler dare confidenziale comunicazione al Presidente Gombos delle istruzioni impartite da S. E. 11 Capo del Governo al R. Ministro a Vienna, valendosi altresi, nel Suo colloquio con S. E. Gbmbos, degli elementi di informazione sulla situazione austriaca contenuti nell'appunto».

quale sono state accolte dagli astanti: la prima, che il movimento legittimista vuole qui rimanere al di fuori dei partiti politici, non intendendo né costituire un partito nuovo, né identificarsi con alcuno dei partiti esistenti (cioè il cristianonazionale); la seconda, che il movimento stesso considera indispensabile un deciso avvicinamento ed una stretta collaborazione tra l'Ungheria e l'Austria, rimettendo « a chi, al momento opportuno, deterrà il potere, la decisione sul carattere definitivo da dare ai rapporti tra i due paesi».

3. Stamane poi, avendo il demoliberale Az Est pubblicato iersera la notizia che questo Governo « era stato previamente informato dell'intenzione dei legittimisti di riprendere più intensamente la loro attività organizzatrice» e che i legittimisti «avevano esposto a S. E. Gombos le loro idee, delle quali il Presidente aveva preso atto», è apparso in tutti i giornali un comunicato che tra l'altro dichiara: «L'Agenzia Telegrafica ungherese è da fonte competente autorizzata a comunicare che il punto di vista del Governo a proposito della questione monarchica non è mutato. La questione ora non è di attualità, ed il Governo, che mantiene invariato il suo punto di vista, considera non gradito il movimento ad essa connesso».

Il governativo Filggetlenség, dopo aver parafrasato ed illustrato il comunicato stesso, osserva in un editoriale che « i tredici Comitati rimasti dopo la mutilazione del Paese non hanno il diritto di incoronare il Sovrano a nome di tutti i quindici milioni di ungheresi» e che soltanto «quando la nazione avrà forzato le catene impostele dal Trianon si potrà pensare ed agire in favore della restaurazione della monarchia ».

4. A quanto mi è dato di giudicare, le organizzazioni legittimiste hanno qui tuttora un seguito limitato né, dopo la scomparsa del conte Apponyi, annoverano tra i loro esponenti alcuna personalità di eccezionale influenza e levatura; altrettanto e più può dirsi del movimento libero-elezionista, che non possiede oggi neppure un rudimento di organizzazione. L'idea monarchica, invece, gode qui sempre ancora, in larghi strati della popolazione, di un prestigio un po' sopito forse, ma niente affatto spento, fondato sul ricordo di un passato felice e sulla speranza di un felice avvenire.

Di tutto ciò gli attuali governanti appaiono esattamente consapevoli: Reggente, gen. Gombos, conte Bethlen, Partito Unico di Governo, continuano a barcamenarsi tra il rispetto dell'idea ed il rinvio della sua realizzazione, tra l'omaggio al principio monarchico e la svalutazione del movimento legittimista. Il comunicato sopra trascritto ne appare la più recente conferma.

In questo stato di cose credo di interpretare rettamente le direttive impartitemi proponendomi -senza sopravalutare l'importanza del movimento legittimista locale e senza destare, sopratutto, in alcuna maniera le preoccupazioni di questo Governo --di tenere con questi ambienti di destra misurati e cauti contatti: sia per neutralizzare l'azione che su di essi sta da tempo alacremente svolgendo questo mio collega di Francia, sia, ancor più, per incoraggiarli a persistere in quella recisa tendenza filo-austriaca, che è stata testè enunciata dal conte Karolyi e che mi sembra assolutamente corrispondere ai

nostri interessi.

(l) Il presente appunto fu trasmesso a Colonna 11 26 marzo con !"aggiunta delle seguenti istruzioni:

(2) Non rinvenuti.

294

IL DELEGATO AGGIUNTO ALLA CONFERENZA DEL DISARMO, SORAGNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 55. Ginevra, 25 marzo 1933.

A parte le informazioni che ho già date telefonicamente, consegno in un breve rapporto le notizie dell'immediato e quasi violento contraccolpo, di cui Ginevra è stata teatro, del gioco politico condotto testè da V. E. a Roma.

Sono giunto qui giovedì mattina, 23 corrente, per assistere a quello che -dopo l'intesa franco-itala-inglese per il rinvio della Conferenza a dopo Pasqua -sembrava dover essere una seduta di pura forma in cui, pur fra segni di non celato malcontento, le Potenze minori avrebbero avallato la decisione dei grandi. Invece, appena uscito dal treno, ho subito notato un rumoreggiare sordo, come di quelli che preannunziano le ribellioni della folla; un agitarsi nervoso di Delegazioni; voci allarmistiche nei corridoi; sorrisi ironici sulle labbra di delegati di medie Potenze; infine, la presenza di certi attori di cartello, come il Titulesco, che non sono soliti mostrarsi sulla scena se non si prepara qualche dramma in cui possano far mostra dell'arte loro.

Con quale dispetto, con quale avversione e quanta paura le Potenze ausiliarie della Francia -Polonia e Piccola Intesa -abbiano assistito al convegno di Roma e, molto peggio, alla possibile compromissione della Francia nei progetti e nei piani politici di V. E., non è d'uopo ripetere; ma posso dire a V. E. che in nessun luogo, come a Ginevra, è stato possibile averne una visione così simultanea e pittoresca come quella che si ebbe nella seduta di giovedì mattina. Il Signor Massigli, spedito da Parigi in gran fretta per rabbonire e rassicurare i vassalli, mi ha fatto capire di averla passata brutta: se pur non è vero, come si dice esagerando, che Titulesco gli abbia dichiarato che, ove la Francia avesse votato la sospensione della Conferenza del Disarmo, Polonia e Piccola Intesa avrebbero denunciato i Trattati.

Causa, o meglio appiglio e scintilla di tanta esplosione è stato il testo,

diramato il 21 marzo 1933, dalla Presidenza della Conferenza, preannunciatore

del rinvio, e che allego. Invero, il « considerando » iniziale è piuttosto compro

mettente: «A la suite du voyage de M. MacDonald à Rome, des discussions

étant en cours entre certaines Puissances afin de réaliser en Europe une meil

leure collaboration ... ». Come il Signor Henderson ha avuto il coraggio di lan

ciare nell'ambiente ginevrino un comunicato di tal fatta, con una motivazione

atta a riunire in fascio contro di sé le ire diverse di tutte le Potenze non anno

verate fra le principali? il Signor Massigli mi ha privatamente assicurato di

sapere di scienza propria Cera a Parigi presente ai colloqui MacDonald-Daladier

Boncour) che il testo della motivazione era stato telefonicamente suggerito

martedì mattina da Sir John Simon al Signor Henderson; e che il Signor

Paul-Boncour aveva immediatamente dichiarato a Sir John Simon che il testo

medesimo avrebbe suscitato in Ginevra ostilità tali da rendere impossibile alla

Francia di partecipare affermativamente al voto di rinvio della Conferenza.

Al che sir John Simon avrebbe risposto non aver egli voluto suggerire un testo,

ma semplicemente comunicare a Henderson le ragioni vere dell'opportunità del

rinvio: Henderson essere troppo pratico dell'ambiente ginevrino, per non essea:e in caso di trovare da sé, e con consiglieri come Drummond, la formula giusta. Del resto, Benes non partecipava anch'egli, come relatore generale, al Comitato di Presidenza, e non era egli la persona più indicata per conoscere ed indicare gli scogli da evitarsi?

Viceversa, e proprio col concorso di Benes, è uscita la formula. Ho chiesto a Massigli come un Ministro della Piccola Intesa aveva potuto lasciar passare una formula che si era poi rivelata atta a mettere in tale imbarazzo la Delegazione francese di fronte a quei tali suoi Stati amici; al che Massigli mi disse opinare che il signor Benes era stato raggirato da Drummond e da... Henderson. Benes raggirato da Henderson! A me pare probabile che il Ministro degli Esteri cecoslovacco abbia manovrato da agente provocatore e scientemente lasciato passare una formula atta ad attirare più facilmente, come una punta, i vari fulmini: il che è avvenuto.

Cominciarono infatti a levarsi a rumore le piccole Potenze e certe Potenze asiatiche, come la Persia, che hanno trovato nella procedura della Conferenza del Disarmo una grande valorizzazione politica del loro scarso valore effettivo. E la levarono con tanto più ardire, in quanto già il malcontento, espresso durante e dopo i colloqui dei cinque nello scorso dicembre (1), era stata una buona prova generale e sembrava aver sortito effetto. A capo di questo gruppo, ma questa volta dietro le quinte, la Spagna, o meglio il rappresentante spagnolo De Madariaga; e, fiancheggiatrice, ma indipendente, perché si ritiene di più alta sfera, la Delegazione turca che, seguendo direttive precise del Ministro Tewfik Riistil bey, va in sospettoso furore ovunque parlasi di intese dei grandi di cui la Turchia non sia direttamente partecipe.

Per la Piccola Intesa e la Polonia (quest'ultima specialmente, eccitatissima) la posta sembrava anche più vitale, ed è superfluo che io stia ad illustrarla. Perciò, il delegato polacco, ed il Signor Titulesco, come portavoce della Piccola Intesa, fecero sapere che non si sarebbero opposti a fondo alla sospensiva, se motivata soltanto dalla procedura, dall'imminenza delle feste e dal bisogno di meglio studiare il piano inglese; ma che ne avrebbero tratto occasione a dichiarazioni molto gravi sulle conseguenze che la «politica delle giornate di Roma» poteva avere nei riguardi della Conferenza, della Società delle Nazioni e dell'Europa. Ma se poi nella motivazione della sospensiva fosse apparso qualcosa di analogo al «considerando » di cui sopra, allora ne sarebbe nato un vero scandalo, e la sospensiva -col concorso del voto delle piccole Potenze sarebbe stata bocciata, con significato nettamente anti-italiano ed anti-inglese e con senso di grave monito alla Francia.

Ognuno comprende l'impossibilità, allo stadio attuale degli affari, sia della Francia di affrontare, sia dell'Inghilterra di provocare una tempesta ginevrina di tale ampiezza. Ond'è che il signor Henderson, anch'egli spaventato, si limitò senza entrare in motivazioni, a pregare la Commissione Generale di pronunziarsi pro o contro il rinvio. Naturalmente nessuno si alzò a proporlo, nemmeno l'inglese, che d'urgenza aveva informato Londra sulla situazione ed aveva ricevuto ordine di non compromettersi. Il signor Titulesco dichiarò allora a gran voce

che il silenzio (veramente impressionante) dell'assemblea doveva interpretarsi come volontà di continuare; messa ai voti tale interpretazione, il signor Cadogan, delegato inglese, fu il primo fra le grandi Potenze, ad alzare favorevolmente il braccio, seguito dal tedesco, poi dal francese e dall'italiano. L'adesione delle quattro Potenze aveva così soffocato, prima di nascere, la minacciata pericolosa manifestazione oratoria, ma a costo del progetto di rinvio.

Pur con qualche variazione nell'insieme, tutti concordano su un punto della versione, data sopra, degli avvenimenti: e cioè sulla parte avuta da Benes nell'intrigo. I più malevoli aggiungono che egli, anche in questo, abbia agito per conto segreto della delegazione francese: per cui, mentre il Governo francese si associava a Parigi alla proposta di rinvio della Conferenza, la delegazione avrebbe fomentato qui una ribellione di vassalli diretta ad impedirlo rumorosamente e col carattere di una grande manifestazione ginevrina contro la politica romana del signor MacDonald.

ALLEGATO

COMUNICATO STAMPA

N. 6285. 21 marzo 1933.

A la suite du voyage de M. MacDonald à Rome, des discussions étant en cours entre certaines Puissances afin de réaliser en Europe une meilleure collaboration, et certaines suggestions ayant été présentées au sujet d'un ajournement possible de la séance de la Commission Générale fixée pour jeudi prochain et qui devait étre consacrée à la discussion générale du Projet de Convention de la Délégation du RoyaumeUni, le Président de la Conférence a décidé de convoquer la Commission jeudi matin 23 mars à 10 h 30 afin de la consulter sur l'opportunité d'un ajournement de ses travaux jusqu'après les vacances de Pàques (1).

(l) Cfr. serle VII, vol. XII, nn. 514. 517, 521, 527, 530, 542.

295

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A TIRANA, KOCH

T. 482/42 R. Roma, 26 marzo 1933, ore 2.

Suo telegramma n. 49 (2).

V. S. è autorizzata a confermare a Re Zog che provvedimenti legislativi contro scuole elementari italiane e per borse di studio italiane nonché quelli minacciati contro scuole professionali sono considerati da Governo fascista come atti non amichevoli.

Governo fascista ha sempre annesso una particolare importanza alla pontica di collaborazione con Governo albanese nel campo culturale ritenendola premessa necessaria a una più intima comprensione tra i due paesi. Gli dorrebbe perciò di dover constatare da parte del Governo albanese proprio in questo campo un non giusto apprezzamento della nostra varia ed operosa attività.

Re Zog non ignora che fu lui stesso a richiedere che noi assumessimo in Albania l'insegnamento professionale; che perciò insegnanti, materiale didattico, macchinari e biblioteche sono stati pagati con denaro esclusivamente italiano fino al 1931; che con la conclusione degli accordi per il prestito rimase inteso che le scuole professionali sarebbero state gestite con fondi prelevati dal prestito stesso ma che situazione amministrativa e didattica sarebbe rimasta immutata.

Se è esatto come afferma Re Zog che in tale occasione non si addivenne ad uno scambio di lettere ciò accadde unicamente perché le sue ampie e solenni assicurazioni verbali furono ritenute sufficienti, anzi preferibili come più consone a quello spirito di lealtà e di fiducia che dovrebbe presiedere alle relazioni italo-albanesi.

Ella vorrà inoltre comunicare a Re Zog che, qualora il programma enunciato da codesto ministro delll'educazione nazionale dovesse permanere inalterato, egli non potrà stupirsi se il Governo fascista dovrà con rammarico all'inizio del prossimo anno finanziario albanese prendere provvedimenti imposti dalle circostanze e cioè:

l) Chiudere la scuola industriale di Scutari. È infatti inammissibile che una scuola prettamente italiana, la quale ha sede in fabbricato italiano ed è tenuta da nostri insegnanti e con fondi di nostra diretta pertinenza, passi ad essere gestita dal Governo albanese. La sua natura ed il suo scopo sarebbero completamente snaturati.

2) Ritirare dalle altre scuole industriali i nostri insegnanti e tutti i macchinari ed il materiale didattico di nostra proprietà, perché l'imposizione di personale e programmi albanesi è inconciliabile con le premesse per cui abbiamo accettato di assumere l'insegnamento professionale in Albania.

3) Interrompere la corresponsione di borse di studio a studenti albanesi, perché è inammissibile che elargizioni italiane siano nominativamente destinate dal Governo albanese.

4) Stralciare dall'apporto italiano una somma corrispondente all'ammontare delle spese sostenute per le scuole professionali e per le borse di studio.

È bene che il Re si renda conto che i SUé'i atti non amichevoli potrebbero avere conseguenze poco simpatiche anche per la collaborazione che i due Governi hanno stabilito in campi diversi dal culturale. D'altra parte egli deve anche comprendere che codesta pubblica opinione finirà col conoscere le vere ragioni per cui 11 Gov,erno fascdsta deve ritinre la sue generose provvidenze e col rendersi conto che tale nostro atteggiamento non è determinato da una sminuita simpatia verso il popolo albanese.

Dall'atto in cui Le perviene il presente telegramma e sino a nuovo ordine la S. V. dovrà sospendere di fatto ogni versamento e a qualsasi titolo al Governo albanese sui fondi del nostro apporto finanziario gratuito. Tale sospensione dovrà almeno per il momento essere giustificata con difficoltà di carattere tecnico.

(l) -Allegato 11 seguente appunto di Mussollni: «Comunicato fatto apposta per eccitare la << skavenrevolte ». (2) -Cfr. n. 209.
296

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1158/193 R. Berlino, 26 marzo 1933, ore 15,23 (per. ore 18,30).

Barone Neurath m'informò con evidente soddisfazione che parte concernente politica estera del discorso del cancelliere era stata da questi accettata nel testo da lui sottopostogli senza mutare neppure una parola.

Egli mi confermò che Hitler gli ha lasciato finora assoluta libertà in materia politica estera con una riserva: quella dell'Austria, ritenendo cancelliere conoscere quel problema meglio di chiunque.

Profittai della occasione per riparlare della situazione in Austria tenuto presente telegramma di V. E. n. 98 (1).

Devo però confermare anzitutto a V. E. mia impressione che non si deve temere Anschluss a breve scadenza. Non solo von Neurath e Bli.low, ma anche Hitler sanno che un simile atto inconsulto solleverebbe contro Germania oltre ad altre ostilità già esistenti anche quella dell'Ungheria e soprattutto dell'Italia sulla cui amicizia e sul cui appoggio si basa oggi politica estera tedesca. Questa confida infatti, nella dannata ipotesi che noto passo non possa essere concluso, in costituzione di un gruppo di interessi comuni itala-inglesi-germanici il quale possa tener testa Francia e alleati. Von Neurath mi confermò che sue idee personali concordano con quelle di V. E., di Gombos di Kanya e Conte Bethlen circa utilità favorire in Austria intesa dei partiti di ordine. Egli non dà eccessiva importanza alle elezioni perché crede che con o senza esse si potrebbe avere un Governo in cui fossero rappresentati tutti quei Partiti.

Hitler propende viceversa per elezioni sollecite desiderando probabilmente ottenere un trionfo per suo partito anche in Austria. Von Neurath concorda con cancelliere nel ritenere Dollfuss figura priva di importanza. EgU mi disse che avrebbe potuto rinforzare sua posizione se avesse assunto nella questione Hirtenberg atteggiamento deciso, respingendo nota franco-inglese ma non lo fece ancorché Germania glielo avesse consigliato. Aggiungo che a questo ministero affari esteri Dollfuss ha fama di mentire sovente e volentieri e che von Neurath mi disse esplicitamente di aver riportato di lui un'impressione molto meschina.

Renzetti mi ha riferito di avere appreso nei circoli partito nazionalsocialista che noi avremmo dato recentemente sette milio:1i a Starhemberg.

Cosa sarebbe oggetto critica.

Persona vicinissima Hitler con cui mi intrattenni a lungo sulle cose di Austria e mi espresse parere auspicando un accordo dei partiti nazionali, mi disse ieri che le cose sembrano prendere piega da me indicata, volgere cioè a un compromesso fra partiti ordine cui sarebbero però seguite elezioni.

(l) Cfr. n. 288, inviato a Berlino con protocollo particolare 98.

297

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1157/194 R. Berlino, 26 marzo 1933, ore 15,15 (per. ore 17,30).

Questo ministro affari esteri ha spedito 24 corrente agli ambasciatori Germania a Roma e Londra lungo dispaccio circa osservazioni tedesche a noto patto.

In esso sono svolti concetti g,ià noti.

Neurath propone pure conseguente modificazione articoli 2° e go.

Circa soppressione accenno settore coloniale, Germania non solleva obiezioni visto che non lo fece Italia.

Neurath, dopo avermi dato lettura documento, insistette in modo particola,re -come se temesse che non riuscisse a rendere intieramente il suo pensiero -sopra osservazione all'articolo go e la modificazione proposta. Egli mi disse che sarebbe stato assolutamente intransigente nel non accettare ulteriori «impacci '> alla libertà della Germania di riarmare come e quanto vuole, trascorsi che siano i prossimi cinque anni.

Mi ha lasciato intendere che una nazione di oltre 60 milioni di abitanti non può accettare oltre 20 anni situazione inferiorità fattale dal trattato di Versailles. Discorso Hitler era stato esplicito al riguardo e aveva avuto entusiastico consenso di tutto n paese.

Pertanto Neurath mi prega di far conoscere a V. E. che, qualora non ricevesse piena soddisfazione su questo punto capitale, Germania non potrebbe firmare patto ancorché essa lo consideri unica via di uscita dalla strada battuta dal 1919 in poi.

Aggiunge di sapere che l'Inghilterra è contraria al riarmamento della Germania, ma ciò non può modificare decisione definitiva Governo tedesco di non tollerare impedimento oltre cinque anni.

Neurath mi ha informato di avere ricevuto notizia da Londra secondo cui conversazioni MacDonald a Parigi non avrebhero sortito successo maggiore della promessa di sottoporre a diligente esame il progetto. Egli non intendeva pertanto parlare del patto con Parigi.

Avendo io detto che V. E. aveva informato telegraficamente Washington e fornite al Governo americano delucidazioni sopra portata del patto (1), Neurath

ha trovato idea ottima e mi ha risposto che avrebbe subito trasmesso anche ad ambasciatore negli Stati Uniti istruzioni inviate a Roma e Londra per norma di linguaggio.

(l) Cfr. n. 278.

298

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. PER CORRIERE 489 R. Roma, 26 marzo 1933.

È necessario che io sia informato sulla effettiva consistenza delle notizie diffuse in tutta la stampa del mondo circa le violenze antisemite commesse in Germania dopo il 5 marzo; e in genere su tutti gli incidenti accaduti.

Ieri l'ambasciatore d'Inghilterra mi diceva che in seguito a tali incidenti l'opinione inglese è unanime contro Hitler (l).

299

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 497/109 R. Roma, 27 marzo 1933, ore 16.

Per dissipare preoccupazioni ingiustificate e timori alimentati da polemiche tendenziose e supposi:!iioni arbitrarie su contenuto e portata patto quattro Potenze riterrei opportuno pubblicare testo progetto quale è stato concordato coi ministri britannici a Roma.

Prego V. E. chiedere al signor MacDonald se d'accordo e telegrafarmi (2).

Analoga richiesta viene rivolta ai Governi francese e tedesco (3).

300

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1168/78 R. Bucarest, 27 marzo 1933, ore 16,30 (per. ore 19,30).

Vengo informato confidenzialmente da fonte molto attendibile che è venuto qui un fiduciario di Hitler che ha avuto lungo colloquio con il Re Carlo al quale avrebbe dichiarato a nome Capo del Governo del Reich:

1° che revisionismo germanico si limita in realtà al corridoio e quindi non concerne le frontiere romene;

2° che i rapporti tra Germania e Russia marceranno verso una inevitabile crisi, e quindi, Germania e Romania potrebbero costituire i due punti fermi della politica antisovietica;

3u che nuovo regime di Germania è favorevole al ritorno degli Hohenzollern, e quindi, anche per motivi dinastici, l'auspicabile riavvicinamento tra Germania e Romania potrebbe conciliarsi con gli interessi casa reale romena.

Richiamo l'attenzione dell'E. V. su queste informazioni che ho ragione di ritenere siano molto serie (1).

(l) -Minuta autografa di Mussolinl. Per la risposta di Cerruti cfr. n. 338 (2) -Cfr. n. 314. (3) -Con t. 496, pari data.
301

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE AD ANKARA, LOJACONO

T. 495/24 R. Roma, 27 marzo 1933, ore 16,45.

Suo telegramma n. 25 (2).

V. E. potrà spiegare a codesto Governo che Governo italiano, sebbene progetto MacDonald disarmo comporti gravi sacrifici per l'Italia, tenendo conto sua impostazione generale rispondente necessità superiori pace e ricostruzione europea ha ritenuto opportuno accettarli tale quale esso è stato presentato.

Governo italiano si rende perfettamente conto delle obiezioni sollevate da codesto Governo. È ev,idente che codesto Governo in sede di discussione generale potrà far valere suo punto di vista; ella potrà in via generica assicurarlo delle benevole disposizioni del Governo italiano in proposito (3).

302

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1171/36 R. Varsavia, 27 marzo 1933, ore 23,20 (per. ore 4,30 del28).

Informo V. E. che questo ministro esteri ha oggi domandato di vedermi e che mi sono recato a casa sua nel tardo pomeriggio. Con ostentata freddezza e visibile turbamento mi ha detto che aveva creduto di usarmi il personale riguardo di darmi comunicazione delle dimissioni del conte Potocki avvenute «in conseguenza degli avvenimenti degli ultimi giorni a Roma per i quali neo ambasciatore non credeva di potere più assolvere suo mandato essendo avvenute certe modificazioni importanti nei rapporti italo-polacchi ».

«Ho fatto a questo Governo comunicazione ufficiale accettazione Italiana progetto disarmo MacDonald. Primo Ministro è molto grato a V. E. par prezioso appoggio e cosi ap~rta manifestazione solidarietà ».

Ho risposto che questo riguardo mi era dovuto e ne prendevo atto, per quanto avvenisse dopo tre giorni dalla pubblicazione della notizia che i giornali avevano commentato in modo che finora ritenevo arbitrario.

Premettendo che parlavo a titolo personale non avendo avuto da Roma nessuna comunicazione, gli ho chiesto quali fossero le modificazioni cui alludeva, al che egli ha risposto molto evasivamente che una «collabora2lione politica 1> non era possibile dopo quello che lo stesso comunicato delle riunioni di Roma faceva comprendere.

Ho risposto che mi meravigliano due cose:

1° che dopo l'incontro di Roma, inspirato dal desiderio di ristabilire una reale collaborazione politica fra le Potenze discordi, nell'interesse della pace e di tutti i paesi grandi e piccoli, qualcuno potesse trovarvi delle ragioni per dirigere in senso inverso la propria azione;

2° che quell'incontro essendo la prima realizzazione concreta di una aspira2lione espressa da lO anni da V. E. e solennemente riconfermata nel suo discorso di Torino non poteva dare l'impressione di un cambiamento della politica italiana, ma di una riprova della fede di V. E. di riuscire ad evitare all'Europa nuovi mali. Aggiungevo che non saranno certo i giornali polacchi con i loro commenti che potranno ridicolizzare il nobile sforzo della E. V. che il mondo intero ha mostrato di sapere apprezzare.

Quando l'ho invitato a comunicarmi quel che a lui risultasse ed a me fosse ignoto delle conversazioni di Roma si è mostrato imbarazzatissimo limitandosi a ripetermi che il conte Potocki non aveva più voluto accettare la carica, il che non corrisponde a verità.

Gli ho fatto allora osservare che in tal caso era opportuno si tagliasse corto alle interpretazioni della stampa polacca e si desse l'impressione a questi ambienti diplomatici che la Polonia non ignora le tradizioni e gli usi della diplomazia lasciando commentare arbitrariamente o tendenziosamente il gesto del conte Potocki.

Il colloquio ha avuto termine per mia iniziativa a questo punto.

(l) -Questo telegramma venne r!trasmesso a Cerrut! con t. 521 R. del 27 marzo. Cerrut! Informò con t. per corriere 1344/230 R. del 3 apr!le di aver parlato in proposito con Neurath 11 quale aveva confermato l'invio di un fiduciario di Hitler a Bucarest ma aveva accennato che le dichiarazioni attribuitegli erano «così assurde, ch'egli doveva averle dette di sua Iniziativa, senza rendersi conto della realtà del fatti». (2) -Cfr. n. 280. (3) -Grandi telegrafò 11 28 marzo (t. 1191/216 R.):
303

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1221/196 R. Berlino, 27 marzo 1933 (per. il 30).

n ministro e presidente del Reichstag Goering mi parlò il 23 corrente, allorché trascorse la serata all'ambasciata, della situazione in cui si trova Hitler di fronte alla Chiesa cattolica, dicendo che era necessario chiarirla al più presto.

Osservai dal mio lato che una chiarificazione era urgente anche in vista del suo viaggio a Roma, non potendo egli astenersi dal recarsi a rendere omaggio al Sommo Pontefice e dall'avere un colloquio con il cardinale segretario di Stato.

Goering ne convenne pienamente e manifestò anzi l'intenzione di parlare -ove ciò fosse necessario -della cosa con la Santa Sede in occasione del suo soggiorno a Roma nei primi giorni di aprile.

A proposito del non intervento di Hitler alla cerimonia religiosa cattolica di Potsdam, dissi a Goering che le dichiarazioni dei vescovi renani, a cui il cancelliere aveva accennato, non costituivano per lui un interdetto di entrare in chiesa ed ascoltare la messa, ma solo di accostarsi ai sacramenti. Goering mi rispose che la cosa doveva essere infatti così -egli era protestante e quindi non conosce bene le norme della chiesa cattolica -ma Hitler aveva creduto assumere il noto atteggiamento a scopo dimostrativo e per provocare una revoca delle disposizioni dei vescovi contro i capi del movimento nazionalsocialista.

Dopo questo colloquio con me, Goering ne ebbe uno molto lungo e cordiale con S. E. monsignor Orsenigo, nunzio apostolico, che era pure fra i miei ospiti all'ambasciata.

Prima di partire, il nunzio apostolico mi disse che era stato molto lieto di aver incontrato Goering, perché gli aveva potuto dare affidamenti che le cose si sarebbero appianate in brevissimo tempo, senza bisogno di provocare l'intervento della Santa Sede.

Anche Goering mi manifestò la sua soddisfazione per la conversazione avuta con monsignor Orsenigo.

Quest'ultimo poi che rividi ieri, mi confermò che aveva ottime notizie sulle disposizioni dei vescovi, cosicché Hitler e gli altri capi nazional-socialisti cattolici potranno esser presto in perfetta regola con la Chiesa.

Il nunzio apostolico aggiunse di essere stato particolarmente bene impressionato dalle dichiarazioni del cancelliere nei riguardi della Santa Sede (c il Governo del Reich che vede nel cristianesimo le salde fondamenta dei costumi e della morale del nostro popolo, annette la maggior importanza a curare ulteriormente e sviluppare le amichevoli relazioni con la Santa Sede)) e dell'intenzione manifestata di non denunciare i concordati stipulati fra vari Stati germanici e la Chiesa, e di essere certo che il Vaticano avrebbe pure accolto con favore il programma di governo di Hitler.

304

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1222/197 R. Berlino, 27 marzo 1933 (per. il 30).

Riassumo la conversazione avuta con Goering -la sera del 23 corr. all'ambasciata.

Egli era felicissimo per il voto di un'ora prima accordante i pieni poteri al Governo nazionale e disse che il centro votò in favore di quella legge di propria iniziativa, senza che fosse intervenuto il menomo accordo con i nazionalsocialisti. Evidentemente, disse Goering, il centro si rese conto che gli conveniva agire in tal modo.

Libero da ogni preoccupazione parlamentare, il Governo avrebbe continuato ora la propria opera di costruzione ed epurazione. A proposito di quest'ultima Goering mi diede parte confidenzialmcate di due provvedimenti decisi pochi minuti prima che venisse all'ambasciata: l'arresto di un membro del Governo, il segretario di Stato al lavoro, Gerecke, accusato di malversazioni per un milione e duecento mila marchi, e la destituzione del comandante dei reparti di assalto (S. A.) di Berlino, conte von Helldorf, che fu poi nominato presidente di polizia a Potsdam. Il primo si era appropriato di tale somma ingente; non si sapeva ancora se a scopo personale o di partito; il secondo non aveva saputo impedire eccessi deplorevoli alla capitale.

Goering mi disse di aver fatto esumare molti articoli di giornali tedeschi ed esteri del '22 e '23 in cui il Fascismo veniva accusato degli stessi delitti che ora si ascrivono al nazionalsocialismo. Il linguaggio era assolutamente lo stesso.

Occorreva peraltro reagire energicamente all'estero. A tale proposito Goering mi lasciò intendere, non senza critiche acerbe, che l'Auswartiges Amt non comprendeva lo spirito dei tempi nuovi, cosa da me già segnalata alla E. V.

Goering parlò poi del patto a quattro proposto da V. E., delle obiezioni della stampa francese in proposito, del linguaggio che tiene qui l'ambasciatore di Francia, accusando la Germania di voler far rinascere lo spirito militarista con fini di vendetta.

Disse di confidare che la Francia, dal diligente esame del patto, riesca a vedere quanto esso contiene di buono, sopratutto perché permetterebbe la formazione di un nuovo spirito basato sulla fiducia reciproca e sulla collaborazione.

Per quanto riguarda l'ambasciatore François-Poncet, Goering disse che egli avrebbe procurato di avere un colloquio con lui uno dei prossimi giorni, perché gli risultava che il mio collega francese aveva criticato aspramente vari suoi atteggiamenti e lo riteneva il principale responsabile degli eccessi compiuti in Germania. Sperava in un colloquio franco di poter mettere le cose nella loro vera luce.

Tutta la conversazione fu inspirata alla maggiore cordialità e mi diede

occasione di ripetere, in via del tutto amichevole, anche a Goering, quei consi

gli di moderazione, sopra tutto nei riguardi degli ebrei, che V. E. mi incaricò di

dare a Hitler.

La reazione che V. E. aveva prevista, sopratutto in America ed Inghilterra,

si è manifestata nei giorni scorsi con violenza estrema, obbligando questo Go

verno a correre ai ripari con la massima energia.

A conferma ed amplificazione di quanto già riferii in fine del mio tele

gramma per corriere n. 189 del 23 corrente (1), informo V. E. che va qui aggra

vandosi il malumore contro l'ambasciata d'Inghilterra. Ne è un sintomo l'arti

coletto del giornale tedesco-nazionale Montag di oggi, segnalato nell'odierno

bollettino Stetani, in cui si dice che in certi circoli diplomatici inglesi si nota

sempre più la tendenza di affermare che la Germania, date le accuse che le

si muovono, oppure in presenza della campagna «che disgraziatamente esiste ~

non può più essere un fattore di trattative di pari grado per le grandi questioni

mondiali che attualmente sono in discussione. In questo articolo vi è evidente

mente dell'esagerazione, ma il malumore esiste senza dubbio.

Nel parlare a Goering, gli dissi dei timori di François-Poncet che gli attac

chi mossi dalla stampa nazionalsocialista a questo ambasciatore di Spagna po

tessero essere estesi a lui ed all'ambasciatore d'Inghilterra aggiungendo che io

non lo potevo credere, ma che glielo dicevo ad ogni buon fine e perché egli

prevenisse qualche disgraziata intenzione in questo senso.

Goering mi assicurò che vigilerebbe, aggiungendo che sarebbe stata una

pazzia pensare ad una cosa simile sopratutto in un momento delicato come

questo.

(l) T. rr. 1145/189 R., non pubblicato.

305

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO DELL'AERONAUTICA, BALBO

L. R. 2060. Roma, 27 marzo 1933.

Per incarico avuto da S. E. il Capo del Governo, ti trasmetto copia di un appunto, con relativa traduzione italiana, che il sottosegretario tedesco per l'Aviazione, Milch, ha consegnato al Maggiore Renzetti (1).

Nel trasmetterlo il Maggiore Renzetti comunica: «Mi sono limitato a fare presente a Milch, come feci già col suo Ministro Goering, la difficoltà dell'invio in Italia di un migliaio di piloti da addestrare. Non sono entrato in merito al progetto stesso per ovvie ragioni di opportunità'>. Ti sarò grato se vorrai farmi conoscere, anche in vista del prossimo arrivo di Goering, il tuo parere sul progetto stesso. All'arrivo di Goering, previsto per i primi di aprile, si riferisce il telegramma qui unito della R. Ambasciata a Berlino (2}, cui, presi gli ordini di S. E. il Capo del Governo, è stato risposto che non vi era nulla in contrario alla visita progettata (3).

306

APPUNTO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

Roma, 27 marzo 1933.

La campagna iniziata sopratutto in Francia, Polonia e nei Paesi della Piccola Intesa, per il Patto, si basa in gran parte su delle informazioni o illazioni errate.

La pubblicazione del Patto potrà mettere molte cose a posto. Comunque fino da ora si possono fare le seguenti affermazioni: si parla di un sistema di grandi Potenze da contrapporre alle piccole Potenze e che sarebbe in opposizione con lo spirito della Società delle Nazioni.

«Rispondo alla tua riservata del 27 scorso: trovo il progetto tedesco molto interessante e di possibile attuazione in ogni sua parte. Se pertanto venisse riconosciuta la convenienza di prenderlo in esame, ti informo che sono pronto a discuterlo e che, almeno per quanto mi riguarda, non vedo alcuna seria difficoltà che possa opporsi ad una sua pronta realizzazione».

26 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XIII

Per quanto riguarda la prima osservazione, cioè la contrapposizione di un sistema di grandi Potenze alle piccole Potenze, l'affermazione è del tutto gratuita. È innegabile che le quattro grandi Potenze occidentali sono quelle a cui risale la responsabilità principale della guerra e della pace in Europa e nel mondo. È la stessa osservazione che ha fatto il Ministro Benes nel suo recente discorso alla Camera cecoslovacca sul Patto della Piccola Intesa. D'altronde le quattro Potenze occidentali sono particolarmente designate ad esaminare fra loro le questioni principali della politica europea e mondiale, sia perché esse sono le Potenze che hanno il seggio permanente alla Società delle Nazioni, sia perché sono le quattro Potenze firmatarie del Patto di Locarno. È assurda la tesi dell'antitesi fra interessi delle grandi Potenze e quelli delle piccole Potenze, pe,rché è appunto uno degli scopi principali del Patto quello di cercare attraverso un accordo fra le Potenze maggiori, di preparare il terreno per l'eliminazione dei dissidi fra Paesi minori nell'interesse di questi e della pace mondiale.

Per quanto riguarda la seconda osservazione, quella cioè che il Patto sarebbe in contrasto coi principi della Società delle Nazioni, si deve rilevare anzitutto che pare molto curioso che tale rimarco possa sorgere dal gruppo delle alleanze che fa capo alla Francia. Delle grandi Potenze, l'unica che ha creato un vero sistema di alleanze, con la coalizione di interessi determinati a favore del pmprno gruppo e contro gli altri Stati, è la Fcrancia. Non ci può essere nessun dubbio che questi interessi rappresentino un punto di vista particolarissimo, in antitesi col principio della solidarietà internazionale, basata sulla collaborazione di tutti i Paesi -messi tutti sullo stesso piede -che è alla base del'organismo della Società delle Nazioni. Il Patto quindi è un evidente e preciso richiamo ai principi della Società delle Nazioni, cercando di instaurare un principio di collaborazione, secondo principi di interesse generale al di sopra di quelli che possono essere interessi particolari dei singoli gruppi. La limitazione alla discussione a quattro, di alcuni problemi, in una determinata fase preparatoria, risponde ad una esigenza di ordine pratico, perché è chiaro che alcuni problemi di carattere particolarmente delicato, non si possono affrontare senza andare incontro a pericoli di incomprensione e di irrigidimento delle relative posizioni in una assemblea su 1larga base. Si tratta quindi di un sistema che appare il più pratico per avviare a soluzione quei problemi che sono nell'interesse generale e ai quali evidentemente tutti quelli che sono interessati saranno, al momento opportuno, chiamati a deliberare.

Detto questo in tesi generale, passiamo ad esaminare l'art. 2 e l'art. 3 che sono quelli contro i quali si sono appuntate le principali critiche in questi giorni, fra le quali va annoverato il comunicato della Piccola Intesa (1).

L'art. 2 è l'articolo che parla del revisionismo. I critici vorrebbero cancellare dal vocabolario la parola «revisione». Ma ciò non è possibile, perché, a parte tutte le altre considerazioni, questo sarebbe in aperta contraddizione con le disposizioni del Covenant.

L'art. 19 è stato inserito nel Covenant perché abbia al momento opportuno il proprio valore, non perché non se ne debba parlare mai. Si può dire che il principio dell'artic·olo 19 deve essecre sollevato a,l momento opportuno e si può discutere se l'attuale sia il momento opportuno. È materia opinabile. Comunque

il Patto, all'art. 2, non introduce altro che alcune disposizioni perché, quando si dovessero sollevare le questioni previste all'art. 19 del Covenant, ciò possa avvenire nella forma più tranquilla e senza quelle frizioni che potrebbero portare a conseguenze pericolose.

Dal punto di vista Società delle Nazioni, l'art. 2 non può dar luogo, a eccezioni, in quanto ogni provvedimento viene messo nel quadro della Società delle Nazioni.

Evidentemente sono tendenziose tutte le interpretazioni che vorrebbero attribuire alle quattro Potenze un potere dispotico di decidere della sorte delle altre, senza neanche sentire gli interessati. È chiaro che in qualunque decisione, -ricordiamo sempre che la cosa si svolge nel Piano della Società delle Nazioni, -non solo bisognerà tener conto degli interessi di tutti gli Stati, ma che tutti gli interessati saranno chiamati a dire l'ultima parola.

In quanto all'art. 3, va rilevato che il primo scopo da raggiungere è quello di fare a;rrivare la Conferenza del Disarmo ad un risultato concreto e positivo. Se i risultati della Conferenza fossero raggiunti in forma integrale, evidentemente non sorgerebbe alcun ulteriore problema. In tal modo si sarebbe corrisposto, con l'uguaglianza degli armamenti, al livello più basso (livello degli Stati disarmati), a quelle che sono state le premesse del Covenant.

Se però tale soluzione integrale non si potesse raggiungere, rimarrebbe uno squilibrio fra l'armamento dei due gruppi di Stati, che per il principio della uguaglianza dei diritti, dovrebbe essere fatto scomparire.

Ora i metodi sono due: o lasciare agli Stati disarmati completa libertà di riarmarsi fino al 'livello degli altri, o mitigare questa libertà sulla base di accordi successivi, che graduino il riarmamento in un determinato periodo di tempo. La prima ipotesi probabilmente porterebbe ad uno stato di allarme e di nervosismo che non sarebbe certamente profittevole per il mantenimento della pace, e che non sarebbe neanche nell'interesse degli Stati attualmente disarmati, che devono preferi·re un Piano organico di armamento ad un armamento accellerato e probabilmente irrazionale (1).

(l) -Cfr. n. 193. (2) -Cfr. n. 283. (3) -Balbo rispose con la seguente l. 3113 del 3 aprile:

(l) Del 25 marzo. Per 11 testo cfr. SALATA, p. 199.

307

L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

PROMEMORIA. [Roma, 27 marzo 1933] (2).

Dalle parole del Cancelliere del Reich risulta chiaro il vivo consenso della Germania all'idea fondamentale della proposta del patto, di metteil"e fine all'attuale tensione politica in Europa nella maniera, che i grandi problemi dalle quattro Potenze vengano affrontati in modo positivo e sottoposti ad una discussione tranquilla e ponderata. Decisivo è, che queste idee fondamentali del patto non vengano toccate; allora non sarà difficile potersi accordare su modificazioni nella redazione del testo definitivo.

Difatti, a questo riguardo vi sono ancora vari punti oscuri, forse causati da inesattezze della traduzione del progetto dall'italiano all'inglese. D'altra parte però tali oscurità riguardano delle questioni così decisive, che da parte della Germania alla loro chiarificazione deve venire attribuito un peso particolare.

P~ima di tutto è necessario, che riceva una chiara espressione la massima della rivedibilità dei trattati come di un vivo fattore della politica europea, nel senso della eccellente parola del Capo di Stato Italiano, citata dal primo Ministro inglese, che «l'articolo 19 del Patto della Società delle Nazioni non debba rimanere lettera dormiente». Dalla modificazione inglese del testo originario dell'articolo II « when conditions arise » si potrebbe concludere che la revisione debba dipendere da condizioni forse da aspettarsi dall'avvenire. Invece, appunto secondo l'idea fondamentale del Patto, sempre sostenuta dal Governo italiano, dovrà venire riconosciuto che i trattati di pace hanno creato uno stato di cose insostenibile e che ha bisogno di revisione, mentre potrà per ora rimanere aperta la questione presentemente non attuale, in quale momento le quattro Potenze praticamente affronteranno il problema della revisione. Bisogna pensare, che qui si tratti di un mutamento involontario del senso da parte della traduzione inglese; e questo tanto più, in quanto altrimenti invece di un'atmosfe.ra di quiete si creerebbe al contrario un incitamento « ad aspettare l'arise >> di tali « conditions ».

Certe oscurità potrebbero anche essere create dal1e parole finali dell'art. II, ove si tratta di « agreements based in the mutuai recognition of the interests of all concerned », e cioè in quanto che se ne potrebbe dedurre, che non, come Io vorrebbe l'idea fondamentale, anzitutto un agreement delle quattro potenze debba aver luogo, ma fin da principio un tale di tutte le minori potenze interessate. Quindi nel testo definitivo di questa frase bisognerebbe, secondo la proposta italiana, inequivocabilmente mettere le quattro Potenze occidentali in prima linea di fronte alle altre. Certamente poi la Società delle Nazioni dovrà prendere parte alla formale esecuzione della iniziativa delle quattro Potenze, ed in tale quadro potranno collaborare naturalmente pure le piccole Potenze, dei di cui interessi bisognerà tenere conto.

In considerazione di queste riflessioni l'articolo II si potrebbe forse formulare:

« Les quatre Puissances réaffirment, selon les clauses du Covenant, le principe de la révision de telles dispositions des Traités de Paix qui pourraient conduire à un conflit entre les Etats. Elles déclarent qu'elles chercheront à réaliser ce principe de révision en tenant compte des intéréts réciproques en question et avec l'aide des organes de la Société des Nations ».

Se fosse necessario, l'idea, veramente naturale, e quindi superflua, del rispetto dei trattati potrebbe esprimersi nel modo, che nella formula precedente dopo le parole iniziali « Les quatre Puissances » fosse inserita una frase come questa:

« tout en reconnaissant que le respect scrupuleux des obligations contractuelles est un élément nécessaire du maintien de la Paix et de la sécurité internationale ».

Di speciale importanza per la Germania è il testo dell'articolo III riguardante la sistemazione del problema del disarmo. È vero che la Germania, come è noto, nel caso probabile del risultato insoddisfacente della Conferenza del disarmo, non vuole insistere sull'immediato e subitaneo uso della parità dei diritti in quella estensione, che risulterebbe giustificata dal manchevole disarmo di Stati come la Francia; ma essa d'altra parte deve annettere la massima importanza a che la limitazione dei propri diritti, alla quale volontariamente consente, venga adattata a-lla durata della prima Convenzdone di disarmo, da fissarsi a circa c,inque anni; con altre parole: 1a nootm posimone giuridica, scaduta la prima Convenzione, non dovrà essere peggiore della posizione di un'altra Potenza. A tale esigenza non risponde l'attuale testo dell'articolo III; esso significherebbe, che la Germania, anche al di là della durata della prima Convenzione di disarmo, per ciò che riguarda il suo armamento, resterebbe legata al consenso delle altre Potenze, e ciò perfino quando per l'una o l'altra ragione non si stipulasse alcuna nuova Convenzione, e quindi le altre Potenze fossero esenti da ogni limitazione contrattuale degli armamenti. Una simile sistemazione non corrisponderebbe all'idea fondamentale del progetto di patto italiano e non può neanche essere d'accordo col senso delle proposte inglesi. Appunto la libertà della Germania, sorta dopo la fine della prima Convenzione, sarebbe internazionalmente la più forte spinta per una seconda convenzione.

Per quanto riguarda la redazione del testo, sembra opportuno, come anche nel progetto italiano era previsto, di fare evidente, che nella sistemazione del problema del disarmo si tratta di accordi successivi tra le quattro Potenze, affinché sia impossibile l'interpretazione, eventualmente nascente dal testo inglese, che anche le altre Potenze firmatarie del Trattato di Versaglia abbiano diritto di prendere parte alle trattative.

Nello stesso articolo III nel passo « must have a practical value » si tratta probabilmente eziandio di una traduzione inesatta del testo italiano « deve avere una portata effettiva>>, il quale in ogni caso dovrebbe venire reintegrato. Si potrebbe quindi formulare l'intero articolo III così:

« L'Italie, la France et l'Angleterre déclarent que dans le cas où la Conférence du Désarmement se termine par des résultats partiels, l'égalité de droits reconnue à l'Allemagne doit avoir une portée effective. L'Allemagne s'engage, pour la durée de la première convention de désarmement, à réaliser cette égalité de droits selon une graduation qui résultera d'un accord à établir sans délai entre les quatre Puissances par la voie diplomatique ordinaire ».

(l) -A margine alcune annotazioni a matita illeggibili a causa del deterioramento del documento. (2) -Il documento è privo di data. Lo s! colloca sotto il 27 marzo !n base al telegrammain proposito spedito in tale data da von Hassell a Berl!no (Akten, I, l, n. 120).
308

IL SEGRETARIO DI LEGAZIONE, P. CORTESE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (l)

APPUNTO RISERVATO. Roma, 27 marzo 1933.

Volendo rappresentare la situazione politica austriaca in termini figurativi, dirò che gli hitleriani sono sull'offensiva, i socialisti sulla difensiva, e il Governo, sostenuto dal movimento delle Heimwehren, sulla controffensiva.

O) Edito ad eccezione del brano fra asterischi, in DE FELICE, pp. 469-470.

I nazional-socialisti hanno fatto enormi progressi e attaccano con uno slancio insolito i:n Austria e che si spiega con l'ispirazione germanica e col trionfo di Hitler nel Reich. La gioventù scolastica, che non ha vissuto in tempi beati della duplice monarchia, è tutta imbevuta di nazismo e di germanesimo. La piccola borghesia che, specie nella Capitale, dipende dagli ebrei, i quali in un modo o in un altro ne controllano quasi tutto il movimento economico, considera il partito nazional-socialista come l'unico capace di liberarla dallo stato di soggezione in cui vive. Nessuno si preoccupa di quello che accadrà dopo, dell'Anschluss. Poco importa, purché finisca la «Judenwirtschaft », che ha devastato Vienna. I cristiano-sociali non sono in grado di farlo, essi sono gli eredi spirituali degli Absburgo, che hanno sempre protetto i capitalisti israeliti. Gli ebrei non si cacciano che con la violenza, i cattolici non vogliono né sanno adoperarla.

Solo per calcolo si auspica quindi da parte del mondo degli impiegati privati il successo del nazismo in Austria. L'antipatia per il Reich e particolarmente per il prussianesimo sussiste come nel passato e si è anzi acuita durante la guerra, ma nelle condizioni attuali, di fronte alla speranza di liberazione dal controllo ebraico, passa in seconda linea.

I socialisti si difendono. Odiano gli hitleriani e si azzuffano spesso con loro. Non parlano più di «Anschluss » ma lo hanno solo rinviato ad epoca migliore. Strepitano contro il Governo ma non troppo, considerando il partito cristiano-sociale, che ne costituisce la piattaforma, come l'alleato di domani contro i nazi.

Il partito cristiano-sociale non si è evoluto. L'educazione cattolica e la mentalità burocratica gli vietano di scendere in piazza. Esso tende per natura al compromesso. Non vi è dubbio che persistendo su questa via, i cristiano-sociali siano destinati ad essere travolti dagli hitleriani.

Chi ancora potrebbe salvarli sono Dolfuss e le Heimwehren. Ma a questo scopo occorre che il primo si serva delle seconde, come di cosa propria, che non si sfrutta, ma si utilizza. Il Cancelliere deve valorizzare le Heimwehren, sl da farle diventare il vivaio del partito cristiano-sociale.

Le Heimwehren a loro volta devono mettersi agli ordini del Governo e intensificare la loro propaganda, prendendo come parola d'ordine la lotta contro l'austro-marxismo. Non sembra prudente aggiungervi quella dell'indipendenza dell'Austria perché tra le stesse Heimwehren vi sono molti annessionisti e poi perché esse, pel momento, sono ancora troppo deboli per provocare i nazionalsocialisti.

A ciò si aggiunge la considerazione che assegnando per ora alle Heimwehren il semplice compito di lotta antimarxista, l'Italia smentirebbe l'accusa di incoerenza che le viene oggi rivolta in quanto osteggia in Austria quello stesso movimento hitleriano che ha sempre favorito in Germania. Si renderebbe così invece evidente essere ciò dovuto non ad incoerenza, ma al vantaggio di utilizzare in Austria un movimento nazionale, uscito dal combattimento, anziché uno di importazione.

Chi potrà e dovrà invece cogliere ogni buona occasione per riaffermare la fede nell'idea statale austriaca, è il Governo della Repubblica.

Riconquistate attraverso la propaganda e con l'aiuto del Cancelliere almeno in parte le vecchie posizioni del 1929 e 1930, partendo dalla magnifica base tirolese, le Heimwehren potranno, al momento dato, in pieno accordo con Dollfuss fare il colpo di mano sul Comune di Vienna, senza il quale non si è padroni dell'Austria. Oggi sarebbe sicuramente prematuro qualsiasi genere di putsch da parte delle Heimwehren. Esse verrebbero sconfessate dallo stesso Dollfuss, ciò che del resto si è già visto in occasione della recente concentrazione di Heimwehren a Vienna. Il Cancelliere è infatti deciso ad agire con energia contro i socialisti e contro i nazi, senza troppo badare alla lettera della costituzione, ma a patto che gli si forniscano i pretesti necessari.

* Ritengo insomma che il Cancelliere abbia la ferma intenzione di sciogliere ad uno ad uno tutti i «Schutzbiinde » della Repubblica, e credo che vi perverrà. I primi scioglimenti sono infatti già avvenuti.

Occorre però non dimenticare che il signor Dollfuss non può fare a meno di tener conto anche del Presidente della Repubblica, il quale sembra disposto ad aiutarlo nella sua azione per il rafforzamento del potere esecutivo, ma solo fintanto, e fino al punto, ch'egli rispetterà lo spirito della Costituzione. Il recente, per quanto tuttora fallito tentativo per indurre i partiti della maggioranza governativa ad accordarsi con l'opposizione su di un ritocco del regolamento della Camera che ne rendesse possibile la riconvocazione, sta a rivelare i sentimenti formalisticamente costituzionali del signor Miklas.

Riepilogando, * unica pratica via da seguire da parte di chi voglia tentare l'estremo salvataggio dell'indipendenza austriaca, sembra chiaramente essere:

lo Sostenere Dollfuss;

2° Sorreggere le Heimwehren nel loro sforzo di riconquista di quel tanto di posizioni perdute, senza di cui è impossibile qualunque loro utilizzazione;

3° Darsi da fare perché si stabilisca una intesa sincera e completa fra il Cancelliere e Starhemberg;

4° Non perdere un sol giorno nello sforzo per l'attuazione dei punti precedenti. Tener sempre presente allo spirito che ogni ora che passa è oggi a vantaggio dei nazi.

309

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA U.R. 1701/594. Belgrado, 27 marzo 1933.

Mi riferisco al telegramma posta in data 24 corrente n. 1326 diretto dal

R. Console Generale in Zagabria a V. E. (1).

Mi sono astenuto fino ad ora dall'esprimere alcun parere circa le insistenze fatte perché la Hrvatska Banka corrisponda alle necessità avanzate dal partito radiciano per la concessione di un prestito di l milione e 300 mila lire.

Anche oggi nel muovere talune osservazioni e mettere in rilievo qualche circostanza sono ben Iungi dal volere intervenire in argomento tanto delicato.

Ma ritengo doverosissimo da parte mia sottomettere a V. E. con sicura coscienza che le possibilità di uno sbocco del movimento radiciano a quei risultati che potrebbero essere ritenuti utili alla nostra politica diminuiscono ogni giorno più, ad ammettere che esse siano esistite in passato, cosa che come è noto a V. E. ho sempre messo in forte dubbio.

Inoltre il R. Console Generale fa noto che a1la Banca Commerciale sarebbe sorto il timore di giustificare da parte delle autorità jugoslave una serie insormontabile di ostilità alla Hrvatska Banka. Era questo il mio primo timore, che ora esprimo pienamente. Mi sia consentito ricordare che su insistenti richieste dalla opposizione croata, fatte presenti dal R. Console Generale in Zagabria, il Corriere della Sera ha pubblicato una serie di notizie che tale opposizione riteneva utile ai suoi fini. Se ne è avuto come conseguenza che il Corriere della Sera è stato proibito, cioè si sono private tutte le varie migliaia di persone che conoscono l'italiano e leggevano con ogni interesse detto giornale, di notizie di diretta fonte italiana che riguardano lo sviluppo magnifico del nostro paese e la forza crescente del Fascismo, nonché la nostra azione estera nel mondo. Io temo che per favorire la domanda di finanziamento della opposizione croata, si comprometta l'esistenza di un organismo finanziario che è riuscito ad avere una posizione di primo ordine in Jugoslavia, che contro ogni manovra disfattista tiene alto il prestigio bancario italiano e testimonia la solidissima situazione delle nostre banche e della lira.

Aggiungo poi che, come ho comunicato con teleposta riservatissimo

n. 1690/587 diretto al Gabinetto in data 25 corrente (l) sembra che queste autorità siano in grado di provare che Macek ha ricevuto sovvenzioni in denaro dall'Italia. L'aiuto che verrebbe dalla H. B. al partito radiciano costituirebbe una nuova indiretta conferma di tali appoggi finanziari.

(l) T. posta rr.u. 1326/183, richiesta della opposizione croata che la Comit autorizzi la Banca Croata. sua !Illazione, a emettere un preBtito a 8UO favore.

310

L'ADDETTO STAMPA A VIENNA, MORREALE, AL VICE CAPO GABINETTO, JACOMONI

L. P. XIII. Vienna, 27 marzo 1933.

Abbandonata l'idea di agire attivamente sul terreno tirolese, il Principe Starhemberg si è recato ad Innsbruck il 26 corrente per prendere contatto con quei capi dell'organizzazione ed esprimere alle Heimwehren la sua gratitudine per l'atteggiamento che ha consentito al governo del «Land » di prendere provvedimenti energici nei confronti delle organizzazioni rosse provinciali.

Mi sono recato anche io ad Innsbruck per rendermi conto direttamente della situazione colà. Non dico che essa sia ideale, ma è tale tuttavia da fare rimpiangere che non si ripeta in altri «Laender >> austriaci. I provvedimenti presi

a carico di quei funzionari delle ferrovie della direzione compartimentale che avevano contribuito a:lla realizzazione dello sciopero del 1° marzo, lo scioglimento dello « Schutzbund » locale, pur se ancora limitato alla forma perché non sono ancora seguite severe repressioni dell'uso delle uniformi delle organizzazioni socialiste o rigide perquisizioni che abbiano consentito di scoprirne le armi, la nomina del capo provinciale delle Heimwehren dott. Steidle alla sovrintendenza delle forze di gendarmeria e di polizia, hanno contribuito a deprimere notevolmente la socialdemocrazia ed a disorientarla. Lo Steidle si ripromette di completare le mezze misure prese precedentemente dal governo provinciale e renderle praticamente efficaci.

Tra i capi di Innsbruck della sua organizzazione il Principe Starhemberg ha trovato pieno consenso in quanto essi hanno riconosciuto il pericolo di un tentativo avventuroso in Tirolo ove non fosse stato accompagnato da un'energica azione a Vienna, tutti però lo hanno energicamente ammonito a diffidare del cancelliere e del partito cristiano sociale in quanto questo potrebbe essere tentato di sfruttare le « Heimwehren » fino al momento in cui queste gli facessero comodo nella lotta contro i « nazi » salvo poi ad indebolirle o distruggerle per timore di avere al giuoco un «partner» poco comodo. Questa attitudine ha fatto sì che il Principe Starhemberg, in una affollata riunione tenuta ieri sera nella sala cittadina di Innsbruck, a dispetto del divieto di adunate e colla protezione anzi della gendarmeria locale, ha posto chiaramente a Dollfuss una specie di ultimatum: o porta avanti la lotta contro la socialdemocrazia, lotta che sola può dare, con la vittoria, la possibilità di porre lo Stato su nuove basi economiche e politiche, o le « Heimwehren » Io abbandonano. Ancor più energico di lui è stato, nel suo discorso di chiusura lo stesso Steidle il quale ha invitato Starhemberg a mettere chiaramente le carte in tavola con Dollfuss, non appena rientrato a Vienna ed evitare quindi che le « Heimwehren » siano poste in avvenire in una situazione difficile dalla quale si passerebbe poi allo sfacelo del movimento. Debbo aggiungere che queste parole di energia di Starhemberg e di Steidle sono state sottolineate dai più vivi applausi di tutti gli adunati.

Starhemberg farà ritorno a Vienna soltanto domattina e non sarà quindi possibile sapere prima di un paio di giorni quale effetto abbia prodotto o stia per produrre su Dollfuss questa pressione. Questa ha, per altro lasciate aperte tutte le possibilità di collaborazione perché accompagnata dalla dichiarazione di una lea'le collaborazione se l'attuale governo intende andare seriamente avanti sulla via della repressione del partito social-democratico.

L'amico che è stato qui di recente deve aver portato giù l'impressione che sia opportuno agire anche da giù su Dollfuss: forse è questo il momento più adatto, poiché se le Heimwehren fossero veramente costrette ad uscire dal gabinetto non vedo quale potrebbe essere una loro azione all'opposizione se non in comune coi «nazi » ai quali dovrebbero cercare essi stessi di avvicinarsi.

Conto di riparlarne domani tranquillamente col Principe ed eventualmente di telegrafare.

Del discorso pronunziato ieri sern da Starhemberg è notevole altresì il tentativo di dire una parola chiara sulla questione dell'annessione: egli ha cominciato coll'esprimere la convinzione che l'Austria si trova ad una svolta storica, poiché è in giuoco l'esistenza stessa del concetto storico di «Austria». Ho avuto però io stesso l'impressione che il pubblico difficilmente lo seguiva su questa via e questa sensazione deve aver spinto lo Starhemberg a ritornare sul vecchio tema: unità del germanesimo con un'Austria che continui a svolgere la sua missione storica e culturale: la solita formula imprecisa, che tredici anni di propaganda annessionista hanno finito col rendere cara anche a quegli austriaci che di annessione non vogliono sentire parlare. Starhemberg ha riscosso ieri sera vivi applausi allorché chiudendo la sua breve escursione in argomento ha affermato che gli austriaci devono sentirsi tedeschi, ma tedeschi d'Austria. Per altro egli, in relazione alla minaccia mossa a Dollfuss, ha tenuto a non rompere i ponti coi nazional-socialisti, dicendo soltanto che non ne comprende l'attitudine attuale nei co:1~ronti della politica interna austriaca, l'autodifesa dall'accusa di fare politica francofila, lo ha portato ad attacchi diretti contro la Francia ed i «suoi vassalli ».

Un discorso pronunziato dal ministro Jakoncig è stato piuttosto moderato, in un altro del deputato heimwehrista salisburghese Hueber è stata notevole, perché fatta ad uditorio tirolese, l'affermazione che la politica delle «Heimwehren » deve calcare le linee segnate dal fascismo il quale ha già superato i confini dell'Italia.

Intanto qua si parla di tentativi di elementi del partito cristiano-sociale per preparare una coalizione coi « nazi » ad elezioni avvenute, ma tutte le incertezze della situazione non potranno essere chiarite se non dall'immediato atteggiamento del Cancelliere. Quelle che destano le maggiori preoccupazioni sono le sue note relazioni di affari con il vicecancelliere Winkler. Riuscirà a superare lo scoglio senza comprometter3i pubblicamente? Convinto il Winkier alle dimissioni per aver mano più libera contro la social-democrazia, resterebbero da vincere le preoccupazioni del presidente Miklas, contrario alla trasformazione dell'attuale gabinetto in un altro che non abbia il crisma dell'appoggio della maggioranza parlamentare: ma quest'altra difficoltà è di minor momento. Per la sostituzione di Winkler quale rappresentante del partito agrario, si va facendo avanti l'ex vice cancelliere Schumy, il cmle però, per opportunità del momento, non mancherebbe di sottolineare la sua tendenza generica alla annessione.

(l) Non pubblicato.

311

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI

T. R. 502/29 R. Roma, 28 marzo 1933, ore 17.

Suo telegramma 36 del 27 corrente (l).

Prego V. E. chiedere Governo polacco preciso chiarimento su motivi dimissioni ambasciatore Potocki, in particolare se ragioni addotte dall'ambasciatore siano condivise codesto Governo e in conseguenza quali sono propositi codesto Governo relativamente alla copertura del posto di ambasciatore a Roma. È evidente che da risposta governo dipenderà nostro atteggiamento.

(l) Cfr. n. 302.

312

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1198/150 R. Washington, 28 marzo 1933, ore 18,59 (per. ore 4 del 29).

Telegramma di V. E. n. 129 (l) è giunto in momento molto opportuno per permettermi di controbattere attiva propaganda che vanno esplicando questi rappresentanti della Polonia e della Piccola Intesa contro patto, proposto da V. E.

Tale propaganda, aiutata da tendenziose corrispondenze stampa da Ginevra e Londra più che da Parigi, si sforza di esagerare pericoli che comporterebbe incoraggiamento offerto alle mire revisionistiche della Germania e dei suoi antichi alleati.

Valendomi degli argomenti indicati da V. E. ho spiegato a questo Dipartimento di Stato linee generali del progetto di V. E. e concezione politica che lo ha ispirato. In modo particolare ho messo in rilievo suo carattere rea:listico e prezioso contributo che amichevole cooperazione fra quattro grandi Potenze occidentali potrebbe fornire non solo per salvaguardia della pace ma anche per soluzione dei già noti problemi economici ai quali Stati Uniti sono direttamente interessati.

Sottosegretario di Stato, col quale mi sono intrattenuto a lungo sull'argomento, ha mostrato grande interesse alla mia esposizione e mi ha pregato di ringraziare V. E. per aver messo Governo degli Stati Uniti al corrente dei progetto. Ha osservato che naturalmente Governo americano non aveva motivo di intervenire nella discussione e di pronunciarsi sul merito del progetto ma che, essendo interessato quanto tutti gli altri Governi al mantenimento della pace in Europa non poteva che apprezzare iniziativa coraggiosa ed intelligente di V.E.

Sottosegretario di Stato mi ha chiesto quali fossero state le reazioni della Francia e della Germania e ha espresso vivo desiderio di essere tenuto al corrente degli ulteriori sviluppi.

Ritengo molto utile corrispondere a tale desiderio e prego V. E. di mettermi in grado di aderirvi nella misura del possibile. Vedrò dopodomani segretario di Stato e mi propongo di tornare con lui sull'argomento.

Mio collega d'Inghilterra, che finora non ha ricevuto informazioni particolareggiate sul progetto discusso a Roma, ha giudicato molto opportuna comunicazione fatta a questo Governo.

Ambasciatore di Francia ha avuto istruzioni di fare al Dipartimento di Stato comunicazione di cui mi ha dato lettura e con la quale Governo francese esprime in termini generici interesse ed apprezzamento della iniziativa di V. E., in pari tempo, necessità di non ledere principio di sovrantà ed interessi vitali degli Stati terzi.

Ambasciatore di Germania non è stato tenuto al corrente dal suo Governo.

Ho ragione di credere che avrà particolare importanza sull'opinione di questo Gove.rno quanto signox Davis riferirà da Londra e Ginevra e mi permetto quindi suggerire che vengano tenuti con lui opportuni contatti.

(l) Cfr. n. 278 inviato a Washington con protocollo particolare 129.

313

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. s.u. 1197/198 R. Berlino, 28 marzo 1933, ore 20,25 (per. ore 23).

Mi riferisco al telegramma di V. E. n. 101 (1). Biilow sollevò seguenti obiezioni contro pubblicazione testo progetto concordato coi ministri britannici:

l) Germania aveva già formulato sue riserve e chiesto modificazioni testo originale di V. E. Testo modificato, dopo colloqui con inglesi, non costituisce progresso per Germania che deve pertanto insistere sopra redazione di un testo che tengl! conto anche sue ulteriori osservazioni;

2) Pubblicazione testo proposto obbligherebbe Governo tedesco rendere note sue osservazioni e riserve e dichiarare che, salvo accettazione testo da essa proposto o di altro analogo il quale menzionasse più esplicitamente che impegno riarmare gradualmente ha durata massima cinque anni. esso non potrebbe firmare patto. Ciò farebbe conoscere esistenza divergenza vedute fra l'Italia e Germania che questo Governo celò finora con massima cura dichiarando che la Germania accetta al cento per cento patto.

Biilow aggiunse che da una comunicazione di Hassell risulta che egli ha visto domenica Aloisi e sperava essere ricevuto oggi da V. E.

Sarebbe stato quindi bene conoscere prima come si siano svolti colloqui e come V. E. abbia accolto modificazioni proposte dalla Germania. Dopo di che si sarebbe potuto riprendere in esame questione eventuale pubblicazione questo

o quel testo (2).

314

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1186/220 R. Londra, 28 marzo 1933, ore 21,06 (per. ore 7 del 29).

Suo 109 (3).

MacDonald concorda pienamente nella necessità dissipare preoccupazioni ingiustificate e timori alimentati da polemiche tendenziose. Egli dirige a proposito lettera personale a V. E. che Graham consegnerà (1).

Suo pensiero è che testo integrale patto debba essere pubblicato solo quando esso avrà carattere definitivo perché egli ritiene che pubblicazione nel corso dei negoziati renderebbe più difficile raggiungimento accordo.

Nella lettera diretta a V. E. MacDonald sottoporrà alcuni suggerimenti con i quali egli spera rendere il testo concordato a Roma meno duro per le piccole Potenze.

Per guadagnare tempo estratto lettera primo ministro sarà telegrafata a Graham perché V. E. ne possa avere subito conoscenza.

In attesa poter pubblicare testo, a troncare polemiche tendenziose MacDonald ritiene che nulla sarebbe in questo momento più efficace che delle dichiarazioni di V. E. nelle quali V. E. mettesse a posto le cose. Tali dichiarazioni potrebbero essere concordate fra V. E. e lui e costituirebbero quindi interpretazione autentica del patto di Roma.

MacDonald ritiene che parole di V. E. eserciterebbero influenza decisiva e troncherebbero ogni manovra.

(l) -Cfr. n. 299, nota 3, il n. 101 è il protocollo particolare per Berlino. (2) -A questo e gli analoghi t•legrammi pari data da Londra e Parigi (cfr. nn. 314 e 315) Mussolini rispose col seguente t. 540 R. del 30 marzo: «Sono d'accordo soprassedere pubbl.icazlone patto>>. (3) -Cfr. n. 299.
315

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1193/198 R. Parigi, 28 marzo 1933, ore 23,03 (per. ore 2 del 29).

A telegramma di V. E. n. 165 (2).

Ho informato questo ministero degli affari esteri delle intenzioni dell'E. V. di pubblicare il progetto di patto e gli ho chiesto se il Governo francese avrebbe nulla in contrario.

Boncour è stato sensibilissimo attenzione di V. E. e mi ha promesso una risposta al più presto dopo consultato presidente del consiglio.

Nel corso della conversazione ho potuto sincerarmi che il Governo francese non conosce testo concordato a Roma coi ministri britannici {3) trasmesso a questa ambasciata con dispaccio 1911 del 20 corrente.

Ministri britannici al loro passaggio da Parigi hanno discusso lungamente i vari punti patto ma non hanno rimesso al Governo francese il nuovo testo ripromettendosi comunicare da Londra alcuni emendamenti ciò che non hanno fatto finora.

Governo francese è dunque in possesso testo patto consegnato da V. E. a codesto ambasciatore di Francia. Suppongo si tratti di quell'oggetto del dispaccio di V. E. 18 corr. n. 1901 (4).

(-2) Cfr. n. 299, nota 3. (-4) Cfr. n. 234.

Non ho creduto perciò nella mia comun1caz1one al ministro degli affari esteri fare cenno del testo concordato coi mtnistri bl1iliannici perché Boncour mi avrebbe chiesto di comunicargiielo. Se V. E. mi autorizza anche per telefono farò immediatamente la comundcazione. Avverto ad ogni buon fine che ho soltanto il testo inglese del patto.

A proposito della eventuale pubblicazione Boncour mi ha espresso come idea sua personale opportunità attendere emendamenti preannunziati dai ministri britannici. È probabile che risposta presidente del consiglio sia in questo senso.

Il fatto però che ministri britannici non hanno ancora comunicato qui patto emendato denoterebbe da parte loro proposito ulteriori ritocchi. Questa supposizione è avvalorata dalle dichiarazioni fattemi dal mio collega britannico sulla necessità modificare redazione alcuni articoli come varianti con telegramma n. 186 (1).

In questa circostanza potrebbe essere necessariamente ritardata pubblicazione patto nel testo concordato con ministri britannici, pubblicazione che considero opportunisstma per tagliare corto numerose speculazioni che si fanno per accreditare versioni contrarie spirito patto.

(1) -Cfr. n. 344. (3) -Cfr. n. 239.
316

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U.RR. 1210/202 R. Berlino, 29 marzo 1933, ore 18,10 (per. ore 23,30).

Proclama contro ebrei pubblicato stamane è un gravissimo errore commesso dai nazional-socialisti.

Hitler era da quattro giorni assente da Berlino ed è tornato oggi.

Proclama viene attribuito Goering e Goebbels.

Esso produce costernazione non solo negli ebrei ma anche in quanti sono sinceramente fautori nuovo Governo perché questi ultimi si rendono conto delle armi potenti poste inconsciamente in mano avversari Hitler.

Francesi, inglesi, belgi dicono già apertamente e purtroppo non senza ragione che i tedeschi sono sempre gli stessi del tempo della guerra. Provvedimento non poteva giungere più intempestivo.

È assurdo considerarlo rappresaglia contro le calunnie sparse all'estero, poiché questa inconsulta offensiva stava diminuendo ovunque. Essa riprenderà con maggiore intensità avendo ora come fondamento non notizie vaghe ma documento pubblico.

Penso che soltanto una severa ancorché amichevole parola monito di V. E. a Hitler potrebbe salvare situazione. Essa sarebbe urgentissima perché disposizioni proclama entreranno in vigore 1° aprile (2).

(l) -Cfr. n. 268. (2) -Per la risposta di Mussollni cfr. n. 327.
317

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1215/199 R. Parigi, 29 marzo 1933, ore 19,35 (per. ore 21,30).

Nella conversazione avuta con lui ieri, Boncour mi ha detto di riconoscere grande importanza che ha patto per pace Europa.

Governo francese fa oggetto di studi disposizioni del patto.

Disposizioni dell'articolo 2° sulla revisione trattati è la più ostica anche perché, ha osservato Boncour, in mancanza della procedura da seguire si resta incerti e perplessi. Boncour non mi ha chiarito maggiormente il suo pensiero e ha evitato di rispondere ai miei cauti assaggi al riguardo.

La sua insistenza nel parlare di procedura a proposito del testo dell'articolo 2, mi ha dato l'impressione che un eventuale emendamento francese in tal senso tenderebbe a modificare, disciplinandola con precise norme, revisione trattati.

Boncour ha osservato pure che si sarebbe arrivati forse più facilmente ad una intesa, prendendo in considerazione in un primo tempo soltanto la collaborazione a 4: i rappresentanti 4 Potenze avrebbero poi potuto parlare fra loro di ogni cosa.

Boncour sa bene che la Germania non si lascerebbe trascinare in una combinazione di questo genere senza speranza concreto risultato.

Non ho perciò risposto suggestioni. Mi sono riferito invece alla mia recente conversazione unicamente per confermargli che esula dallo spirito del patto ogni idea di coercizione.

Ho osservato che le preoccupazioni manifestate al riguardo in alcuni ambienti francesi non erano per nulla giustificate.

Ho detto pure che, giudicando dal linguaggio eccitato di certa stampa francese, avevo l'impressione di un progressivo adattamento dell'opinione pubblica a soluzioni opposte a quelle che informano spirito patto.

Boncour mi ha contraddetto formalmente.

Egli ripone grande fiducia nel lavoro di lenta persuasione che lui e gli altri conducono giornalmente negli ambienti parlamentari, lavoro che da già buoni frutti.

Mi ha paalato di un lungo colloquio che ha avuto al rigua,rdo con Herriot e mi ha detto di aver ottenuto da lui una mae:e:iore considerazione del patto. Ho approfittato dell'occasione oer dire alcune parole cortesi all'indirizzo

di Herriot.

Boncour parlerà oggi comm1sswne esteri della Camera.

Egli dice ripromettersi un soddisfacente risultato da questo suo intervento.

Ho tentato di mettere il discorso sulla Piccola Intesa e sulle esagerate apprensioni dei suoi dirigenti, ma il ministro non è stato indotto a fare delle confidenze.

Boncour ha voluto certamente darmi un'impress•ione ottimistica deUa situazione.

Non potrei dire vi sia riuscito.

Nel gabinetto vi è una corrente favorevole al patto purché emendato in modo riuscire accetto all'opinione pubblica. Il Governo non si sente però abbastanza forte per assumere atteggiamento deciso.

L'energica opposizione della Piccola Intesa e della Polonia, cui fanno riscontro l'agitazione dei centri nazionali all'interno sorretti dall'industria metallurgica e dallo Stato Maggiore, rendono esitanti il Gabinetto Daladier-Boncour.

L'incertezza del Governo in un momento così serio non è buon presagio.

Per questo circola la voce nuovamente di guerra che il presidente del consiglio ha raccolto stamane alla Camera dei deputati per respìngerla però come ingìustìficata.

318

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. s. 1214/115 R. Vienna, 29 marzo 1933, ore 21,10 (per. ore 5 del 30).

Ho avuto lungo colloquio con cancelliere cui ho esposto quanto prescrittomi (1).

Egli ne ha convenuto pienamente. Ha anzi ribadito egli stesso che politica suo Governo dovrà sempre più basarsi su risanamento sociale ed economico della nazione e sulla assoluta indipendenza dello Stato dai socialisti. Entrambi questi concetti saranno da lui svolti in un prossimo discorsoprogramma.

Intanto mio interlocutore provvederà immantinenti allo scioglimento delle organizzazioni militari socialiste in tutta Austria e ad una intensa propaganda.

319

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. s. 1223/116 R. Vienna, 29 marzo 1933, ore 21,30 fper. ore 5 del 30).

Mio telegramma n. 115 (2).

Cancelliere si è poi vivamente lagnato del contegno delle Heimwheren insistendo sul punto che esse debbano ormai mettersi incondizionatamante a sua disposizione.

Ho replicato che dette associazioni, che rappresentano l'ala estrema del suo Governo, non fanno che espletare loro compito attivistico, patriotticamente, dandogli così modo giustificare quelle energiche misure che sono indispensabili per il successo e per la vitalità dell'attuale Governo. Cancelliere ha convenuto sul fondo del mio pensiero ma ha tuttavia insistito sulla sua tesi che mi è sembrato riguardi sopratutto una questione di «forma». Ha infatti specialmente criticato tono del recente discorso di Starhemberg a Innsbruck (1).

Cancelliere ha poi esaminato la posizione del vice-cancelliere Winkler. Ha detto che in principio gli sembrerebbe utile conservare composizione attuale Gabinetto ma che ciò non esclude che possa liberarsi da questo incomodo personaggio essendo ormai deciso a restare al Governo «anche dovesse privarsi del Winkler ed eventualmente delle stesse Heimwehren ».

A giustificare tale stato d'animo cancelliere austriaco ha soggiunto «che suo principale compito è quello di impedire in modo assoluto che l'Austria diventi una provincia della Germania».

(l) -Cfr. n. 292. (2) -Cfr. n. 318.
320

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1212/204 R. Berlino, 29 marzo 1933, ore 21,25 (per. ore 23,30).

Von Neurath mi ha detto che ha ricevuto dal suo ambasciatore a Roma, circa colloquio di ieri a palazzo Venezia, soltanto breve telegramma in cui si comunica che osservazioni tedesche furono trovate fondate da V. E. e che ella affermò intenzione attenersi il più possibile alla primitiva personale redazione del patto (2).

Von Neurath, nel confermare quanto mi disse ieri Bulow, circa pubblicazione testo patto, aggiunse che egli nutre apprensioni ancora maggiori al riguardo cosicché ritiene che sarebbe meglio soprassedere a renderlo noto.

321

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 1211/38 R. Varsavia, 29 marzo 1933, ore 22,30 (per. ore 5 del 30).

Mi riferisco al telegramma di V. E. n. 29 (3). Ritorno adesso dal colloquio che stamane avevo richiesto a questo ministro degli affari esteri per ottenere le precisazioni richiestemi da V. E.

27 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XIII

Il signor Beck mi ha autorizzato a comunicare a V. E.:

1°) Che il conte Potocki, accettando nomina ad ambasciatore si era fatto un programma di lavoro che credeva rispondente ad una determinata situazione, ma che ultimi avvenimenti avevano aggiunto nuovi impreveduti elementi nella situazione internazionale e modificato il carattere della sua missione.

In conseguenza egli non aveva più creduto di essere adatto ricoprire alto posto;

2°) Che Governo polacco, pur riconoscendo essere questo un modo di vedere tutto personale del conte Potocki, non aveva potuto insistere presso di lui sia perché si trattava di personalità politica e non di funzionario di ruolo, sia perché non riteneva utile al servizio obbligare un ambasciatore accettare di malavoglia sua missione;

3°) Che è intenzione di questo Governo procedere al più presto alla copertura del posto di ambasciatore a Roma, cosa che già si presentò difficile alla morte del conte Przezdziecki date la deficienza di personale della carriera polacca e le scarse possibilità di scelta che si offrono al di fuori.

Questo ministro degli affari esteri assicura in ogni modo V. E. che si occuperà colla maggiore cura di tale questione sperando di sottoporLe al più presto il nome del nuovo ambasciatore.

(l) -Cfr. n. 310. (2) -Non si è trovato !l verbale del colloquio Mussolini-Hassell. Il telegramma di quest'ultimo a Neurath è edito in Akten, serle C, Vol. l, tomo I, pp. 225-227. (3) -Cfr. n. 311.
322

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. 516/139 R. Roma, 29 marzo 1933, ore 24.

S. E. Jung, presa visione suo telegramma n. 48 (1), mi prega comunicarLe quanto segue:

« Concordo con V. E. che convenga aspettare che iniziativa per eventuali conversazioni di carattere economico ovvero relative conferenza economica parta da Governo americano. Ho la sensazione che si traversi un periodo di incertezza il che per quanto riguarda l'Inghilterra viene confermato dal fatto che dopo avermi proposto di incontrarmi a Londra 23 marzo, Chamberlain mi fa sapere che incontro potrebbe opportunamente avvenire prima quindicina maggio. Appunto per ciò conviene sorvegliare attentamente codesto settore così importante in materia di debiti e conferenza economica. Non posso tacere mia impressione che conferenza economica convocata prematuramente possa trasformarsi in vaniloquio altrettanto pericoloso nel campo monetario ed economico di quanto è divenuta conferenza disarmo nel suo campo. Mi rendo conto

«Nella conversazione di giovedì scorso con segretario di Stato ho avuto occasione di d!rgl! in via Incidentale che mi tenevo naturalmente a sua disposizione per qualsiasi conversazione che, egl! credesse opportuno d! iniziare con noi. Mi sembra pertanto essere il caso di attendere Iniziativa da parte d! questo Governo ».

tuttavia che incapacità decidersi riguardo ai debiti possa spingere America verso questo pericoloso diversivo. Quanto precede per suo orientamento personale. Prego informarmi se risulta che Norman Davis prenderà contatto con inglesi e francesi in materia di debiti e conferenza economica. Jung ».

Da parte mia concordo considerazioni ministro Jung.

(l) Con t. 1154/148 R. del 25 marzo Rosso aveva comunicato:

323

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1266/39 R. Vienna, 29 marzo 1933 (per. il 1° aprile).

Mio odierno telegramma n. 116 (1).

Per la seconda volta il cancelliere mi ha fatto comprendere il suo vivo desiderio che le Heimwehren siano invitate ad un maggior senso di disciplina, assecondando, «bedingungslos », l'azione del Governo.

Ho fatto presente a Dollfuss le considerazioni già riferite a V. E. con il telegramma su indicato; ma egli ha insistito sul punto che Starhemberg debba ormai uniformare la sua azione ad un senso di disciplina e di subordinazione, e ciò per salvaguardare il prestigio stesso del Governo, nonché quello personale di lui -Dollfuss.

Inoltre, mentre il cancelliere, giorni fa, quando per la prima volta ebbe a parlarmi sullo stesso argomento (mio rapporto n. 591 del 16 marzo dall'oggetto «Crisi del Parlamento in Austria ») (2) si era limitato a dirmi vagamente che occorreva che «le Heimwehren dovessero far capo a lui, e non già egli ad esse», questa volta mi ha precisato di essere rimasto male impressionato dei discorsi pronunciati domenica scorsa a Innsbruck da Starhemberg e da Steidle (rapporto di questa R. legazione n. 674 del 27 corr.) (3). Il cancelliere mi ha anzi aggiunto che se le Heimwehren non lo avessero preteso così clamorosamente, già lo Schutzbund sarebbe stato disciolto, giacché egli non intendeva subire, né mostrare di subire, ultimatum ed imposizioni da parte dei suoi collaboratori.

324

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

RELAZIONE. Roma, 29 marzo 1933.

Da fonte privata degna di fiducia è stato segnalato che la Francia cerca di organizzare nel mondo mussulmano una vasta campagna di propaganda contro l'Italia, risuscitando i risentimenti manifestatisi in occasione dell'occupazione di Cufra e della esecuzione di Ornar el Muktar.

Il) Cfr. n. 319.

(-2) Cfr. n. 224.

Di tali intenzioni francesi il R. Ministero degli Esteri aveva già avuto sentore per confidenze fatte da S. M. il re Faisal al R. Incaricato d'Affari a Bagdad (1).

Tale propaganda anti-italiana costituirebbe la reazione francese all'atteggiamento tenuto dall'Italia al consiglio della S.d.N. nei riguardi delle proposte francesi per la cessazione del Mandato siriano; e si proporrebbe sia scopi politici che finalità economiche, provocando il boicottaggio delle nostre merci, delle nostre linee di navigazione ecc.

Si riterrebbe, in conseguenza, necessario predisporre una accorta ed organizzata contropropaganda nei paesi mussulmani, onde diffondervi la convinzione che l'Italia desidera l'indipendenza politica ed economica non solo degli stati arabi (Hegiaz, Yemen ecc.) che già ne usufruiscono, ma anche quelli sottoposti al regime di Mandato.

Converrebbe quindi agire, nel senso suesposto, sull'opinione pubblica dei paesi mussulmani, sia assicurandoci l'influenza dei maggiori esponenti del nazionalismo islamico, sia opportunamente sussidiando i principali giornali nazionalisti.

In tale ordine di idee si prospetta quanto segue: Risiedeva a Ginevra ll'Emiro Chekib Arslan, membro della Delegazione siropalestinese, noto propagandista del nazionalismo arabo, e Direttore della Rivista Le monde arabe che si pubblica in quella città, il quale, per il centro internazionale in cui agisce e per gli stretti rapporti che mantiene con i principali esponenti del nazionalismo islamico e colla stampa mussulmana di tali paesi, esercita una notevole influenza.

Viene segnalato che i francesi, i quali già in passato avevano cercato di allacciare rapporti con lui, starebbero per attrarlo nella loro orbita: Chekib Arslan è tutt'altro che insensibile al danaro.

Sembrerebbe quindi urgente cercare di prevenire l'azione francese, facendo prendere contatto con lui da persona favorevolmente nota e di fiducia, che gli verrebbe molto autorevolmente presentata; allo scopo dii offdrgli aiutli finanziM'i e di promettergli appoggio nell'azione anti-francese che egli svolge in Siria, legandolo quindi possibilmente a noi.

La persona che viene proposta di inviare a Ginevra a tale scopo è il dottor Carlo Enderle, assistente al Policlinico di Roma amico fraterno di un autorevole personaggio indiano-mussulmano che già avrebbe cominciato a svolgere sull'Emiro Arslan una disinteressata azione a favore dell'Italia.

Il dottor Carlo Enderle dovrebbe compiere i primi sondaggi, appurare le intenzioni e le condizioni dell'Emiro, e riferire quindi per l'ulteriore azione da determinarsi.

Si ha l'onore di pregare V. E. -ove concordi con quanto precede ~ di volere autorizzare l'erogazione di una congrua somma per la missione di cui sopra (2).

(3) -Non s! pubbl!ca, ma cfr. n. 310. (l) -T. r. 781/31 R. del l marzo, non pubblicato. (2) -Sul rapporti col nazionalismo arabo cfr. anche quanto riferiva in data l maggio n segretario di Aloisl, B. Lanza d'Ajeta, in un documento parzialmente edito In DE FELICE, p. 655.
325

L'INCARICATO D'AFFARI A TOKIO, WEILL SCHOTT, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1227/48 R. Tokio, 30 marzo 1933, ore 7,50 (per. ore 16,30).

Telegramma di V. E. n. 8 (1).

In una lunga conversazione avuta iersera con questo vice ministro affari

esteri ho esposto le linee generali del patto discusso a Roma, illustrandole se

condo le direttive impartitemi da V. E.

Il signor Arita mi ha pregato di esprimere a V. E. la viva gratitudine del suo

Governo per la comunicazione che il Giappone formula i voti più sinceri per

il successo di «un cosi nobile e grande tentativo di pacificazione, degno dello

spirito di Roma ».

Nel corso della conversazione il signor Arita mi ha detto che il Governo imperiale considera con massima attenzione ogni proposta tendente a modificare i trattati di pace, dei quali Giappone è uno dei firmatari. Era quindi lieto di constatare che, in una eventuale revisione, gli interessi delle parti in causa sarebbero tenuti presenti. Con speciale insistenza ha congetturato sulla conclusione di accordi fra le quattro Potenze per consentire alla Germania l'attuazione graduale del principio di parità, nel caso (da lui ritenuto probabile) di insuccesso della conferenza del disarmo.

Circa la cooperazione fra le quattro Potenze nella soluzione dei problemi economici europei ed economici mondiali, vice ministro ha osservato che alcuni giornali avevano fatto cenno alla possibilità di un «fronte unico» nella questione dei debiti verso l'America e di una azione «concorde» nell'affrontare il problema delle barriere doganali e della difesa contro la concorrenza commerciale da parte di alcuni paesi produttori. «Ad ogni modo vi posso assicurare -ha soggiunto -che il Governo giapponese, per ciò che lo riguarda, segue lo svolgimento delle discussioni sul patto senza diffidenza o sospetti, persuaso che ogni miglioramento nella situazione attuale europea non potrà che avere ripercussioni benefiche sul resto del mondo. Noi facciamo parte della S.d.N. per altri due anni e durante e dopo tale periodo desideriamo, in quanto ci sarà consentito, collaborare attivamente ad ogni opera di pace».

Ho potuto comprendere, nella parte del colloquio che segui l'esposizione da me fatta delle argomentazioni di cui ai punti 4 e 5 del precitato telegramma di V. E., che questi ambienti governativi (per motivi comprensibili negli attuali rapporti tra Giappone e S.d.N.) tendono a giudicare il patto discusso a Roma, se non come una svalutazione della Società delle Nazioni, come una prova dell'insufficienza del Covenant ad assicurare il mantenimento della pace (2).

«Occorre ricordare che del movimento panasiatico 11 Giappone vuol farsi un'arma di difesa perché si sente attaccato dall'Europa e dall'America; ed occorre infine non dimenticare che questa nazione è persuasa di esser trascinata verso un conflitto nel quale dovrà porre in giuoco la sua stessa esistenza. Ma l'equa valutazione di tutte queste circostanze non puòesimere dalla assoluta necessità di richiamare l'attenzione non solo degli studiosi, ma dell'opinione pubblica, delle altre parti del mondo su un movimento che, comunque originato e comunque giustificato, costituisce fin da ora una m~naccia pel fatto di essere oggi ispirato e guidato da una potenza quale è l'Impero Giapponese ».

(l) -Cfr. n. 278, nota l. A Tokio 11 t. 484 era stato trasmesso con protocollo particolare 8. (2) -Il 10 aprile Weill Schott inviò 11 R. 293/175 relativo al movimento panasiatico in Giappone di cui si pubblica solo il brano seguente:
326

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1226/206 R. Berlino, 30 marzo 1933, ore 13,50 (per. ore 16,10).

Mio telegramma n. 202 (1).

A ricevimento offerto delegato apostolico da Papen questi mi ha pregato insistentemente di parlare a ministro Gobbels della questione boicottaggio agli ebrei e mi ha condotto lui stesso da quest'ultimo. Ebbi così lungo colloquio con Gobbels, a titolo personale, durante il quale gli ho fatto presenti tutte le difficoltà soprattutto di natura internazionale (numerosi consoli onorari esteri in Germania che sono ebrei, consulenti legali di ambasciate e legazione ebrei ecc.) che provvedimento potrebbe suscitare. Insistetti su fatto che campagna calunnie contro Germania stava cessando, che essa era stata promossa non solo da ebrei internazionali, ma anche da tutti gli elementi demoliberali massoni e antifascisti, esasperati per il trionfo delle nuove idee in Germania e che era quindi interesse non solo della Germania che campagna non riprendesse con maggiore acrimonia.

Gobbels mi ha ringraziato e mi ha spiegato che manifesto pubblicato aveva avuto soprattutto scopo intimidazione.

Mi informò che ieri aveva ricevuto più di cento assicurazioni e promesse da parte di associazioni e privati che campagna anti-nazionale sarebbe cessata completamente, così che era possibile che Governo si inducesse a revocare domani ordine di boicottaggio ebreo a partire dal l o aprile.

327

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI (2)

T. P.R PRECEDENZA ASSOLUTA 535/109 R. Roma, 30 marzo 1933, ore 16,30.

Si rechi da Hitler e premettendogli che mio atto è dettato da sentimenti di simpatia e dal desiderio di facilitargli il compito sempre difficile e delicato all'inizio di un nuovo regime gli dica quanto segue:

Ritengo che proclama partito per lotta contro ebraismo mentre non rafforzerà nazismo all'interno più di quanto non sia, aumenterà pressione morale e rappresaglie economiche del giudaismo mondiale. Senza il nuovo alimento fornito dal proclama la campagna sì sarebbe andata attenuando e dopo qualche tempo sarebbe cessata. Il regime fascista ha al suo attivo parecchie di queste campagne e le ha superate adottando o la tattica dell'indifferenza o quella della controffensiva per ristabilire la verità in modo palese. Credo che Governo deve invitare partito a non dare corso praticamente al suo proclama nell'attesa che il Governo valendosi di tutti i mezzi a sua disposizione dalla radio alla stampa

alla diplomazia ristabilisca la verità. Gli stessi ebrei tedeschi devono essere sollecitati a dire la verità ma dopo il proclama è per essi assai difficile farlo. Ogni regime ha non solo il diritto ma il dovere di eliminare dai posti di comando gli elementi non completamente fidati ma per questo non è necessario -anzi può essere dannoso -di portare sul terreno della «razza» -semitismo e arianesimo -quello che è invece una misura di difesa e di sviluppo di una rivoluzione. Voglio credere che Hitler comprenderà la portata esatta del mio intervento e sopratutto lo spirUo dal quale è animato. Questione antisemitismo può coagulare contro Hitler i nemici -anche cristiani -della Germania (1).

(l) -Cfr. n. 316. (2) -Ed. in MussoLrm, Opera omnia, vol. XLII, pp. 36-37.
328

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, E L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, JOUVENEL

APPUNTO. Roma, 30 marzo 1933.

L'Ambasciatore di Francia si propone di partire domani per Parigi ove intende fare «l'Ambasciatore di Mussolini ». Intende parl,are con molta gente fra gli uomini influenti della politica francese, in particolare coi Ministri e con Herriot, al quale vorrebbe dire qualche cosa di gradevole da parte italiana.

Il Capo del Governo afferma che personalmente ha molta stima del Signor Herriot, che lo apprezza anche come scrittore e che se verrà in Italia avrà oneste accoglienze.

L'Ambasciatore si riserva di parlare anche col generale Weygand -sa che noi attribuiamo a questo generale il progetto di fare la guerra all'Italia.

Il Capo del Governo dice che ciò non è esatto: i generali non vogliono mai deliberatamente la guerra, sia perché ne conoscono troppo i pericoli, sia perché essa involve proprio per loro troppo grandi responsabilità. Il pericolo della guerra sorge da molteplici fattori e da uno stato d'animo diffuso, anche di panico, che prende la mano in determinati momenti ai fattori responsabili.

Il Signor de Jouvenel avrà a Roma nelle prossime settimane Roche, Petri ed altri suoi amici. Chiede che il Capo del Governo li riceva. Il Capo del Governo acconsente, a meno che non sia assente in quei giorni.

L'Ambasciatore de Jouvener intende fare alcune dichiarazioni arrivando a Parigi; ne dà conoscenza al Capo del Governo nel testo predisposto. In queste dichiarazioni si mette in rilievo che il Patto a quattro rientra nella cornice della S.d.N. e si chiarisce che non si prenderanno disposizioni re,lative ad altri Stati senza il loro concorso.

Il Capo del Governo le approva, salvo due punti: il primo si riferisce alla conferenza del disarmo; non conviene dare l'impressione che la stessa sia già silurata; il secondo riguarda l'azione da svolgere nello spirito dei trattati: si può riferirsi a Locarno, al Patto KeHogg al «no force pact », non però a Versailles.

<l) Minuta autografa d! Mussollni. Per la risposta di Cerrut! cfr. n. 339.

Il Senatore de Jouvenel chiede se può dire di avere concordato le dichiarazioni col Capo del Governo. Il Capo del Governo non ritiene opportuna questa dichiarazione con riguardo alla qualità di diplomatico del signor de Jouvenel; potrà dire invece che può assicurare che queste dichiarazioni corrispondono alle idee del signor Mussolini.

L'Ambasciatore de Jouvenel parla della possibilità di altri accordi a complemeno del Patto a quattro. Il Capo del Governo rritiene utile uno scambio di idee -fra le quattro Potenze -a riguardo del disarmo; non è troppo otti~ mista sull'esito della Conferenza. In particolare la Francia non ha nessuna voglia di disarmare -lo dimostra anche la recente costituzione dell'armata aerea (sull'esempio di quanto ha fatto ancora anni addietro l'Italia). L'Ambasciatore di Francia è dello stesso avviso.

Il Capo del Governo fa presente però a tale riguardo l'importanza del Patto. Se domani la Conferenza dovesse naufragare, rimarrà il Patto al quale si aggrapperà la speranza dei popoli, che non vogliono la guerra. Senza il Patto, un fallimento della Conferenza vorrebbe dire probabilmente la guerra, che divampe,rà un g,iorno per combustione spontanea in un ambiente già predisposto a questo evento.

Il Senatore de Jouvenel consente; si ripromette dei risultati dal suo viaggio a Parigi; chiede di essere ricevuto al ritorno.

Il Capo del Governo gli fissa udienza per il giorno 10 alle ore 18.

L'Ambasciatore de Jouvenel vedrà certamente a Parigi Titulescu -scende allo stesso Albergo. Forse Titulescu potrebbe venire in Italia. S. E. il Capo del Governo non Io ritiene opportuno per il momento: sarebbe una di quelle visite che non concludono nulla.

329

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 30 marzo 1933.

Il Ministro degli Esteri di Turchia ha creduto di precisare al R. Ambascia~ tore ad Angora il suo punto di vista ed i suoi progetti circa il trattamento che dovrebbe essere assicurato alla Turchia in relazione ai risultati attesi da Ginevra per la riduzione delle limitazioni militari contemplate nei trattati di pace (1).

L'identità di situazioni che Tewfik Ruschdi bey vorrebbe scorgere fra tali limitazioni e le clausole di demilitarizzazione convenute a Losanna per la Tracia e per gli Stretti non sembra, peraltro, facilmente dimostrabile.

La speciale situazione stabilita per la Tracia, e nei confronti non solo della Turchia, ma anche della Grecia e della Bulgaria -che certo non sembrano condividere le aspirazioni di Tewfik Ruschdi -è stata determinata dalla preoccupazione di creare, per quanto possibile, una zona di pace in un terreno pericoloso per i tre confinanti, nell'interesse generale. Le misure di demilitarizza

zione ,fissate per gli Stretti -siano poi esse, sul terreno pratico, pm o meno

mililtarmente efficaci -costituiscono la dimostrazione esteriore di quella libertà

di navigazione attraverso gli Stretti che si è voluta affermare nella Convenzione

di Losanna, col consenso della Turchia -che a Losanna non ha certo trattato

come Paese vinto e che possiede ambedue le sponde di questo essenziale pas

saggio della navigazione mediterranea.

Contro la politica precedentemente adottata nei riguardi degli Stretti chiusura e dominio della flotta russa in Mar Nero -a Losanna gli Stretti sono stati aperti alle Nazioni mercantili e militari da e per il Mar Nero, con alcune limitazioni per queste ultime, allo scopo di non permettere la concentrazione in Mar Nero di una forza superiore a quella dello Stato riv:ierasco più armato.

In questa condizione di cose, a prescindere dall'accoglienza che alle aspirazioni di Tewfik Raschdi bey potrebbe venir fatta dai vari firmatari di Losanna, in particolare dall'Inghilterra, la cui politica marinara mediterranea ha per noi part.ico1al1e impo.rtanza, è da considerare se possa daH'ItaUa esseve presa in seria considerazione la surrogazione di una precisa organizzazione, fissata da una larga Convenzione quale quella di Losanna, con un semplice impegno bilaterale della Turchia, che rimarrebbe padrona delle nostre comunicazioni col Mar Nero, e cioè coi notevoli centri di nostri interessi sul litorale turco di quel Mare, colla Russia, colla Bulgaria, colla Romania. Né il progetto di una intesa itala-turcogreca per la guardia agli Stretti, attraverso anche le isole dell'Arcipelago, per quanto possa presentare elementi di tentazione, può essere considerato realizzabile e rassicurante se si tenga conto che le posizioni marittime greche non possono essere considerate efficienti e valorizzabili per la sola flotta ellenica.

Ciò premesso, è parere dell'Ufficio che sia ottimo il terreno dal quale l'Ambasciatore Lojacono intende partire nelle sue conversazioni in argomento con quel Ministro degli Esteri: salvaguardia piena della Convenzione di Losanna. Che se, per ragioni di opportunità politica, può convenire che il R. Ambasciatore non scoraggi, senz'altro, le elucubrazioni politiche di Tewfik Ruschdi, sarà, ad ogni modo, il .caso che egli si limiti ad ascoltarlo ed a dissertare con lui nelle linee più generali, senza scendere ad alcun esame preciso del progetto, che possa, comunque, impegnarci in una via che, allo stato attuale delle cose, ~on appare conforme agli interessi mediterranei, e presenti e futuri, dell'Italia.

Si allega un progetto di telegramma di risposta al R. Ambasciatore ad Angora (1).

(l) Cfr. n. 281.

330

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. P. R. 1297/589. Berlino, 30 marzo 1933.

Non posso riferire in un telegramma o in un rapporto quanto appresso perché S. E. il Nunzio Apostolico mi ha dato la notizia pregandomi di tenerla riservatissima.

Parlando ieri meco dei grandi timor~ che gli ebrei tedeschi nutrono in questo momento a causa deill'atteggiamento de'l Governo nazionale tedesco a loro riguardo, S. E. Monsignor Orsenigo mi conf[dò che vari ebrei si rivolseJ.'o a lui per informarsi se non fosse possibile di ottenere la cittadinanza della Città del Vaticano (1).

(l) Il telegramma (t. 568/28 R. del 2 aprile, ore 13), rispondendo al n. 281, riassumeva i concetti espressi nel presente appunto.

331

L'ADDETTO STAMPA A VIENNA, MORREALE, AL VICE CAPO GABINETTO, JACOMONI

L. P. XIV. Vienna, 30 marzo 1933.

L'elemento nuovo, sebbene non inaspettato, della situazione è dato dalle tergiversazioni che il Cancelliere frappone all'attuazione di quel programma di governo forte ed antimarxista che egli aveva genericamente annunziato nel suo discorso del 13 corr., affermando che avrebbe fatto quanto sarebbe stato necessario per togliere vento alle vele dei nazionalsocialisti.

Tali tergiversazioni lo hanno portato: allo sciopero dei tipografi di giornali inscenato la sera di venerdì scorso e fallito non per un intervento attivo delle autorità, ma per debolezza di organizzazione e per l'incertezza degli scioperanti sui quali ebbe rapida presa la minaccia di iniziativa privata del redattore capo della Reichspost di considerare licenziati gli operai del giornale che non si fossero presentati poche ore dopo al lavoro; alle dichiarazioni cortesi ma recise del principe Starhemberg, nel discorso di domenica passata ad Innsbruck (2) per avvertire Dollfuss che le «Heimwehren » usciranno dal gabinetto se egli non perseguirà con la necessaria efficacia una chiara linea di restaurazione interna; a nuove dimostrazioni di ostilità in seno al consiglio federale ove i partiti di governo sono in minoranza e che, per altro, non avrebbe ragione di riunirsi dato che il Consiglio Nazionale, del quale è chiamato ad esaminare i provvedimenti legislativi, è chiuso. Quivi il consigliere federale nazional-soc,ialista ha avuto modo di minacciare nella vita i componenti del governo attuale ed il capo militare dello «Schutzbund » di diminuire la portata dell'eventuale scioglimento di questa organizzazione avvertendo che i milliti sarebbero, comunque, rimasti al loro posto e consci del proprio dovere. Poiché i discorsi pronunziati nelle assemblee legislative godono l'immunità anche le minacce trovano posto sui giornali ad edificazione di coloro che avevano creduto nell'efficacia delle restrizioni sulla stampa;

R. -Ambasciatore in Berlino al riguardi delle informazioni assunte da ebrei presso il Nunzio Apostol!co, sull'acquisto della cittadinanza vaticana, non denota naturalmente che caratteri e stati d'animo, poiché, come è noto, la cittadinanza (sui generis) della Città del Vaticano richiede quale condizione sine qua non (trann0 per i Cardinali residenti in Roma) la residenza stabile nella città stessa (v. articolo 9 del Trattato Lateranense e articolo 1° della LeggePontificia sulla cittadinanza e il soggiorno in data 7 giugno 1929).

alle dimostrazioni viennesi di martedì sera durante le quali i nazional-socialisti hanno dato la prova di possede["e una cel"ta teca:JJica della strada tenendo a bada la polizia cui le autonità non avevano saputo dare precise istruzioni per timore di irritare troppo i dimostranti;

alla creazione di uno stato d'animo dubbioso e pavido tra gli stessi partiti borghes,i, i quali, non sapendo se hanno nel gabinetto Dollfuss un gabinetto vitale, fanno ora a gara nell'esprimere i loro sentimenti nazionalisti (discorso del ministro Winkler esponente del partito agrario, pubblicazioni sul giornale cristiano sociale Weltblatt, voci di trattative tra elementi del partito cristiano-sociale ed i Nazi) con manifestazioni che se possono essere interpretate come una manovra tattica per precedere i « nazi » sul terreno delle chiacchiere, si prestano altresì ad ingenerare il sospetto che si cominc~no a creare li trampolini per il salto nel campo avversario o per lo meno gli elementi testimoniali per propiziare la clemenza dei vincitori di domani.

Dollfuss, d'altro canto, giustifj.ca tutto ciò attenendosi ancora alla pura enunciazione e si è limitato da ultimo a piccoli provvedimenti di carattere finanziario che per il grosso del pubblico costituiscono esercizi di matematica pura. Dimostrando di voler governare più colla furberia che con forza cosciente ha continuato fino a ieri a tenersi in buona col vice-cancelliere Winkler, S·i è dimostrato imbronciato con Starhemberg non solo per il suo discorso di Innsbruck ma anche per le pubblicazioni di giornali heimwehristi che hanno attribuito alle pressioni del movimento di destra i successi del governo; ha detto a Fey di non potersi fidare di Starhemberg fino a quando questi lo minaccia con un putsch », ha dimostrato disinteressamento per i progetti di creazione di lavoro ai disoccupati preparati dal ministro Jakoncig, ha sollecitato nuove manifestazioni di fiducia da parte di organizzazioni cristiano sociali.

Deve essersi tuttavia reso conto che solo un netto orientamento a destra coll'appoggio e la valorizzazione delle « Heimwehren », l'abbandono di ogni politica di compromesso coi socialisti (tramite Winkler) può evitare a lui ed ai suoi decreti legge il pericolo di seguire la stessa sorte di Bruening in Germania. Oltre che a diretta osservazione delle conseguenze delle sue incertezze, deve aver contribuito a portarlo, od a riportarlo, in questo conv,incimento un colloquio da lui avuto coll'ex cancelliere germanico Wirth U quale, a quanto mi consta, pur essendo egli stesso orientato piuttosto a sinistra, lo avrebbe ammonito a non ricorrere ai mezzi termini se vuole uscire dagli imbarazzi ed a considerare le « Heimwehren » un elemento propizio poiché, se bene adoperate, potranno dargli modo di saltare la «fase Bruenìng » per passare allo «stadio Hitler». Un discorso fattogli ieri dal R. Ministro d'Italia (l) deve averlo lasciato piuttosto freddo perché è stato da lui interpretato, per lo meno nella interpretazione data a terza persona, come l'espressione del desiderio personale del R. Ministro Preziosi di conoscere i suoi intendimenti e le sue mete, non come l'espressione di un desiderio del Capo del Governo italiano. In ogni modo deve essere stato mosso dagli anzidetti convincimenti ad abboccarsi ieri, 29 corr., col Principe Starhemberg. Questi gli ha ripetuto la sua leale volontà di collaborazione fino al momento in cui il gabinetto Dollfuss non solo enun

zierà, ma anche attuerà un programma di annichilimento del « marxismo » <scioglimento dello « Schutzbund », sostituzione di un commissario di Stato al consiglio comunale di Vienna, scioglimento delle associazioni di liberi pensatori, decreto che affidi alle Heimwehren le funzioni di polizia ausi1iaria) ed ha motivato anche i timori che le attuali tergiversazioni rafforzino il movimento nazional-socialista, suscitino la creazione di un fronte nazionale il quale, assieme alle sinistre, metterebbe il gabinetto in tali difficoltà da determinarne la caduta, e con questa la scomparsa del movimento heimwerista se esso gli si fosse tenuto a fianco per avallarne anche le debolezze. Le parole pronunziate da Dollfuss non hanno lasciato dubbi a Starhemberg circa la coincidenza delle sue idee con quelle del Cancelliere, ma ecco che questi invece di dare affidamenti diretti ha invitato lo Starhemberg a prendere parte ad una riunione alla quale oltre ai due suddetti, hanno partecipato il deputato heimwerista Neustaetter-Sturmer, come consulente politico del movimento, ed appresso anche l'ex Maggiore Fey per la consulenza relativa alla richiesta di fare delle Heimwehren un elemento di polizia ausiliaria, nonché il ministro dell'esercito Vaugoin, il vice cancelliere Winkler, l'altro membro del partito agrario nel gabinetto ministro Bachinger e l'ex vicecancelliere Schumy, anche egli esponente del partito agrario. Caratteristica la presenza di Schumy, perché in relazione alle voci di «dimissioni» di Winkler, corrono anche quelle di una successione di quest'altro elemento del partito agrar,io che i nazionalisti non vedono di mal'occhio per le sue dichiarazioni annessioniste. Si tratta, tuttavia, a mio avviso, di una vecchia volpe del parlamentarismo: una ricerca negli archivi la metterà in possesso di un colloquio ch'io ebbi con lui lo scorso anno.

In seno al suddetto comitatino la discussione si è svolta principalmente tra Starhemberg e Winkler: alla decisione con cui il primo affermava la necessità di sciogliere il municipio di Vienna, corrispondeva la decisione del secondo nel sostenere l'inopportunità di tale provvedimento sia per non fare del male a «tanta brava gente» che vi presta servizio militando nelle file della socialdemocrazia, sia per il timore che il partito social-democratico, messo alle strette, avrebbe reagito e, quanto meno, si sarebbe diviso dando origine ad un forte partito comunista. Le argomentazioni di Starhemberg sulla impossibilità di giungere ad una riforma della costituzione prima di avere indebolito materialmente i rossi, sulla possibilità che un serio rafforzamento del partito comunista faccia il giuoco del governo nella distruzione delle sinistre ecc., non hanno smosso il Winkler dalla sua decisione di non approvare provvedimenti radicali. Favorevoli alle tesi di destra sono stati il Vaugoin e lo Schumy, questi ha manifestato la convinzione che l'opposizione ai movimenti di destra quali si sono manifestati ed affermati in molti Stati di Europa determina la fine dei partiti che si oppongono. Alla presenza di tesi opposte il cancelliere Dollfuss ha fatto ricorso ai buoni consigli della notte: ha invitato i presenti a riflettere su quanto era stato discusso ed a tornare a riunirsi alle 16,30 di oggi. Sull'esito di questa seconda, e speriamo definitiva, discussione non mi sarà possibile, con ogni probabilità, di riferire in serata.

Starhemberg si è recato al convegno deciso a restare fermo sulle proprie posizioni nella speranza di veder Dollfuss «mollare» Winkler e sostituirlo con Schumy. Non è da escludersi che Winkler si decida egli stesso alle dimissioni: pare che egli sia legato ai socialisti da altre combinazioni finanziarie che renderebbero insostenibile la sua posizione in un gabinetto che non dovesse ascoltare più tutti i suoi consigli. Pasticcio su pasticcio, si verrebbe così ad una soluzione.

In ogni modo, non è detta finora alcuna parola più o meno definitiva: le Heimwehren potranno continuarsi a trovare ancora per un po' nell'alternativa di uscire da un governo che potrebbe comprometterne irrevocabilmente l'esistenza. Uscendo dal gabinetto, dovranno pensare a darsi un programma di opposizione. Naturalmente tale passo non sarà compiuto se non dopo avere acquisita la precisa convinzione che il governo Dollfuss per la sua inazione è destinato, mentre è in vita, a compromettere agli occhi delle varie cor,renti dell'opinione pubblica coloro che lo appoggiano.

(l) -Allegato a questa lettera è li seguente appunto di Sandicchi: «La segnalazione del (2) -Cfr. n. 310.

(l) Cfr. nn. 318, 319 e 323.

332

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. 538/142 R. Roma, 31 marzo 1933, ore 1.

Suo n. 150 (1).

Sebbene nelle sue comunicazioni non risulti che nella conversazione da lei avuta con codesto Dipartimento di Stato le sia stato fatto qualche cenno circa la portata dell'articolo quinto del patto, sarà forse utile che V. E. ad ogni buon fine nel corso di ulteriori colloqui trovi modo di far rilevare a codesto Governo che da detto articolo non solo esula qualsiasi idea di blocco europeo di fronte agli Stati Uniti ma che vi è anzi insita l'idea della collaborazione. In tutta la sua economia il patto si ispira, nei riguardi di codesto Governo, al principio che è stato sempre a base della sua politica: collaborare cioè con l'Europa pel mantenimento della pace e per la soluzione delle principali questioni senza assumere però impegni precisi.

Per quanto riguarda reazioni in Germania le indico dichiarazioni fatte da Hitler al Reichstag. Per quanto concerne la Francia recenti dichiarazioni Daladier e Boncour hanno mostrato disposizioni genericamente f,avorevoli del Governo francese. Esso si propone in ogni modo richiedere maggiori chiarimenti ai Governi italiano e britannico. Situazione parlamentare Gabinetto Daladier non gli permetterebbe d'altronde imporre sue decisioni senza prima avere svolto opportuna azione negli ambienti politici. R. Governo confida che

chia.rimenti che Governi Ltaliano e br<itannico fomLrrunno al Governo francese potranno efficacemente fLancheggia,re opera di quanti dentro e fuori del Gabinetto svolgano a:llione diretta a f,are ader:ire Francia Patto di Intesa.

La terrò al corrente de:I.I'ulter:iore svolg[mento trattative f,ra i quattro Governi (l).

(l) Cfr. n. 312.

333

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1240/203 R. Parigi, 31 marzo 1933, ore 13,10 (per. ore 14,20).

Mio telegramma n. 201 (2).

Stamane Le Matin pubblica testo del patto d'intesa. Si tratta della prima edizione del patto pervenutami col dispaccio di V. E. 1901 del 18 corrente (3). Ho segnalato la cosa al Quai d'Orsay e ho nuovamente domandato se Governo francese non vedesse inconvenienti alla pubblicazione del patto consegnato in un secondo tempo a codesta ambasciata di Francia (testo redatto in inglese) (3). Mi è stato rffiposto che il Governo francese non avrebbe difficoltà di accordare il suo benestare per la pubblicazione del secondo progetto. Ma che attendendo il documento da un momento all'altro da Roma gli sembrava preferibile di soprassedere perché non si potesse dire che il testo pubblicato non era conosciuto al Quai d'Orsay. Ho convenuto pregando tuttavia di essere immediatamente informato dell'arrivo del nuovo progetto ritenendo da parte mia che il R. Governo possa considerare urgente la pubblicazione per tagliar corto a possibile speculazione (5).

334

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1241/117 R. Vienna, 31 marzo 1933, ore 13,55 (per. ore 17).

Come mi aveva preannunziato cancelliere austriaco (mi riferisco al mio telegramma 115 (6), stamane sono state sciolte organizzazioni militari socialiste d'ogni distretto dell'Austria.

R. -del l 0 aprile. (-4) Cfr. n. 239.

Si }X"evede che misura kt paJ:ola non raggiungerà completamente il suo principa'le scopo di disarmare organizzazioni socialiste, avendo queste ormai avuto tempo nascondere o spostMe rispettivi depositi Mmi (1).

(l) -Questo telegxamma fu trasmesso a Berlino, Londra, Madrid, Mosca e Parigi con t. 566 (2) -T. 1230/201 R. del 30 marzo, non pubblicato. (3) -Cfr. n. 234. (5) -Mussolini rispose con t .576/183 del 2 apr!le, ore 23: «Sono contrarlo pubblicazione testo riveduto. Considero pubblicazione avvenuta come indiscrezione giornalistica>>. (6) -Cfr. n. 318.
335

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. 542/113 R. (2) Roma, 31 marzo 1933, ore 19.

Faccia sapere codesto Governo che se ritenuto utile nostre rappresentanze estero possono adoperarsi far smentire voci inesatte persecuzioni contro ebrei in Germania ed altre violenze.

336

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 1251/232-233 R. Londra, 31 marzo 1933, ore 19,40 (per. ore 4 del 1° aprile).

Norman Davis e Gibson sono venuti stamane a vedermi. Mi hanno detto che avrebbero avuto nel pomeriggio un colloquio con MacDonald e desideravano prima essere informati dello stato delle cose per quanto riguarda patto da concretare.

Ho dato loro senz'altro comunicazione del testo del patto. Dopo attenta lettura essi mi hanno spontaneamente dichiarato che lo trovavano un documento di grandissima importanza e un capolavoro di buon senso e di realismo politico. Non avevano alcuna osservazione da fare, solo speravano che la Francia si sarebbe accorta del grave errore che commetterebbe non accettandolo.

«La Francia, mi ha detto Davis, ha sempre paura delle cose nuove e comincia sempre col dire di no, per poi consentire quando è troppo tardi. Essa è come un mercante che non vuole comperare ad un certo prezzo e all'ultimo momento è obbligato a comperare ad un prezzo rovinoso».

Davis mi ha quindi posto seguente domanda: «Può dirmi perché il Duce, nel concepire questo patto, ha creduto !imitarlo alle quattro Grandi Potenze europee e non ha richiesto adesione Stati Uniti?».

Gli ho risposto con gli argomenti che potevo trarre dalle istruzione di V. E. al R. ambasciatore Washington comunicatemi con telegramma n. 103 (3).

Pensiero di V. E. era che nuovo patto dovesse svilupparsi e ... (4) Locarno; era quindi naturale che esso fosse stato concepito come un accordo delle quattro

Grandi Potenze di Locamo. Del resto, ho aggiunto, finora Stati Un1ti hanno seguito una politica di marcato distacco dagli affari europei, e Duce ha forse giudicato che essi non avrebbero aderito, anche se invitati a prendere parte ad un accordo europeo.

Norman Davis mi ha allora detto che egli aveva l'impressione che il suo Governo, messo di fronte ad un documento dell'impo,rtanza di quello che io gli presentavo, avrebbe potuto considerare possibilità sua partecipazione all'accordo. «Le opposizioni ad una politica di interessamento negli affari di Europa -egli ha detto -sono sempre venute da Borah e dai suoi seguaci. Il progetto del Duce, ponendo nettamente se pure prudentemente il problema della revisione dei trattati, sarà con ogni probabilità bene accolto da Borah. Il mio Governo disporrà così della forza parlamentare necessaria per fare un passo decisivo verso la collabora~·i:mc con l'Europa. Il Duce ha in mano la situazione, e se egli facesse sapere a Roosevelt (Davis aggiunse «a mio mezzo») che egli non ha difficoltà a un'eventuale adesione degli Stati Uniti al patto delle Grandi Potenze, il suo gesto avrebbe una grande portata.

Anche perché è stato insinuato che il patto era diretto a costituire un blocco europeo contro gli S.U.A. Non ho bisogno di aggiungervi che una dichiarazione da parte americana in favore del patto potrebbe esercitare un'influenza assai notevole sulla Francia e indurla a essere più ragionevole».

Gli ho risposto che niente era più lontano dal pensiero di V. E. che un blocco europeo contro gli Stati Uniti. V. E. aveva sempre condotto una politica di collaborazione con gli Stati Uniti e aveva dato al Governo di Washington le prove più concrete di amicizia accettando nel 1931 la moratoria, nel 1932 il piano Hoover per il disarmo, ed il dicembre scorso prendendo, prima dell'Inghilterra, la decisione di pagare la quota del debito. Ero autorizzato a dichiarargli formalmente che l'Italia era ostile ad ogni idea di fronte unico antiamericano. Norman Davis mi ha risposto: «La vostra politica in materia di debiti di guerra è stata ed è la più abile e la più intelligente e sarà la più fortunata. Io personalmente sono persuaso che il progetto del Duce è un contributo di grandissima importanza alla pace per la maggior parte del mondo e spero che sarà adottato. Lo dirò oggi a MacDonald e lo dirò la prossima settimana a Daladier. Ma Italia rafforzerebbe sua posizione se Duce tagliasse corto, come egli sa fare, ad ogni diceria di blocco antiamericano e se contemporaneamente facesse sapere a Roosevelt che egli non (dico non) è contrario ad un'eventuale partecipazione Stati Uniti al patto » (l).

(l) -Mussolin! telegrafò a Preziosi il l o apr!le (t. 558/66 R., minuta autografa): << Cogliendone opportuna occasione esprima Cancelliere mio compiacimento per ordine scioglimento formazioni armate socialiste ». (2) -Minuta autografa di Suv!ch, ed. !n MussoLINI, Opera omnia, p. 37. (3) -Cfr. n. 278, !l n. 103 è !l protocollo particolare per Londra. (4) -Gruppo indec!frato.
337

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 544/120 R. Roma, 31 marzo 1933, ore 21,30.

Alla prima occasione sarà bene che V. E. accerti opportunamente quale impressione abbiano prodotto costi osservazioni Governo tedesco su Patto Intesa.

(l) Sull'atteggiamento degli Stati Uniti circa il progettato patto a quattro cfr. FRUS, 1933, vol. I, pp. 403-404.

338

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1249/213 R. Berlino, 31 marzo 1933, ore 21,35 (per. ore 23,30).

Telegramma per corriere di V. E. n. 489 (1).

V. E. non ricevette nessuna informazione circa violenze antisemite commesse in Germania dopo cinque marzo perché nessuna violenza degna di nota fu commessa a Berlino e nessun console mi ha segnalato simili azioni nel resto del paese; unica eccezione quella che forma oggetto telegramma n. 153 (2). Campagna violenta condotta all'estero fu certamente basata sopra esagerazioni e invenzioni come lo prova fatto che fu data ampia discussione nella stampa estera notizia che mia moglie fu fermata insultata maltrattata fuori dell'automobile e condotta polizia mentre essa si trovava tranquillamente a casa.

339

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R.U. 1264/214 R. Berlino, 31 marzo 1933, ore 21,40 (per. ore 1,45 del 1° aprile).

Mi riferisco al telegramma di V. E. n. 109 (3).

Hitler mi ricevette a mezzogiorno ritardando appositamente di un quarto d'ora riunione consiglio dei ministri.

Von Neurath e Papen coi quali parlai prima di entrare da Hitler mi scongiurarono convincerlo. Papen mi aveva però già detto iersera che lo stesso Hindenburg, durante colloquio di un'ora svoltosi in sua presenza, non era riuscito persuadere Hitler neanche col menzionare i 12.000 ebrei tedeschi morti in guerra.

Hitler sarebbe stato indotto ad adottare noto provvedimento dai colloqui avuti in Baviera con arrabbiato antisemita Streicher, nominato presidente del comitato centrale, contro campagna calunniosa promossa dagli ebrei. Premesso che mia missione era più confidenziale e amichevole e che mia visita non doveva essere resa nota, mi espressi nei termini telegramma di V. E. Hitler mi ascoltò fino al punto relativo all'attitudine che dovrebbe assumere Governo verso partito e mi interruppe allora dicendo che:

1°) Nessuna rivoluzione si era svolta con ordine maggiore di questa tedesca, dato che i morti ammontavano a due dozzine in tutto il paese, di cui solo 2 o 3 ebrei;

28 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XIII

2°) Nessun eccesso o persecuzione era stato commesso contro ebrei come tali;

3°) Era suo dovere e sua missione sradicare da centro Europa peste bolscevica procedendo senza riguardi;

4°) Non era sua colpa se marxisti tedeschi erano in prevalenza ebrei e se i pensatori e propagandisti marxismo lo erano quasi tutti nel mondo intero;

5°) Si appellava a me dicessi se in Germania non fosse possibile mantenere ordine esemplare (risposi affermativamente) secondo assoluta giustizia;

6°) Ciò nonostante Germania era stata oggetto di una infame campagna diffamatoria sopratutto in America e in Inghilterra, non in Francia sino ad ora; dei piccoli Stati poco gli importava perché vi sarebbe stato modo agire su essi con metodi vari;

7°) Aveva deciso procedere boicottaggio contro gli ebrei in Germania, perché ebrei stranieri istigatori della campagna di calunnia, la cessaSsero;

8°) Egli conosceva psicologia internazionale ebraica il cui fondamento era viltà, menzogna ma anche vigliaccheria;

9°) Atto di forza da lui compiuto avrebbe sortito risultato immediato. Ne era certo e credeva potermi assicurare boicottaggio non avrebbe avuto bisogno essere prolungato oltre tre o quattro giorni perché entro questo tempo campagna calunniosa in America sarebbe cessata come già era cessata quella in Inghilterra.

Ripresi lettura messaggio di V. E. fino alla fine dopo di che Hitler mi disse che Italia era paese fortunato perché vi erano pochi ebrei. Per tale ragione italiani in genere ed anche V. E., nonostante sua chiaroveggenza, per la quale egli confermava sua ammirazione sconfinata, non riuscivano rendersi conto pericolo che costituiva ebraismo intimamente legato al bolscevismo. America avrebbe in breve tempo, secondo esatte notizie da lui possedute, dovuto fronteggiare stesso problema per liberarsi da pericolo marxista e avrebbe dovuto ricorrere a metodi ancora più energici.

Svolsi ancora due argomenti: quello delle relazioni commerciali che avrebbero sofferto perché estero vendeva e comprava in Germania, senza distinguere fra ebrei e cristiani e quello della forza del Governo nazionale. Questa era così grande che revoca provvedimento ordinato non sarebbe stata giudicata come atto debolezza ma di magnanimità. Hitler mi rispose: «Voi che mi siete amici lo interpretereste così, ma non i miei avversari». Quanto alle considerazioni economiche Hitler rispose che boicottaggio durerebbe così poco che esso non potrebbe arrecare danni agli autori.

Nell'accomiatarmi Hitler mi pregò riferire le cose dettemi a V. E. assicurandola che aveva apprezzato i passi ma che riteneva indispensabile perseverare per la via tracciatasi che era frutto diligente studio della situazione e rispondeva necessità assolvere compito impostasi salvare Europa centrale da bolscevismo.

Von Neurath mi aspettava in una sala accanto e fu da me succintamente informato del colloquio.

Egli mi ha pregato vivamente telefonare subito a Roma facendo presente a V. E. opportunità che anche in Italia, come già fu fatto in Inghilterra, si facesse qualche dichiarazione ufficiale che suonasse condanna per campagna propaganda antitedesca.

(l) -Cfr. n. 298. (2) -T. 910/153 R. del 10 marzo, ore 21, non pubblicato: riferiva circa il ferimento di alcuni italiani a Magdeburgo in seguito ad un'incursione fatta da un gruppo di nazionalsociallsti in un ristorante ebraico. (3) -Cfr. n. 327.
340

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE AD ANKARA, LOJACONO, E AL MINISTRO A SOFIA, CORA

T. 546 R. Roma, 31 marzo 1933, ore 24.

(Per Ankara) Ho telegrafato alla R. legazione a Sofia quanto segue: (Per tutti) «Secondo qualche informazione di fonte privata Governi Piccola Intesa starebbero facendo vive pressioni sulla Bulgaria per indurla aderire opposizione Piccola Intesa contro « patto )) da me proposto, falsandone spirito e scopi che sono quelli di creare un mezzo idoneo ed assicurare la convivenza pacifica e la collaborazione politica ed economica fra tutti gli Stati. Dovrei escludere che codesto Governo si presti manovra che si ritorcerebbe contro se stesso. Comunque pregola accertare quello che ci sia di esatto nella notizia segnalata adoperandosi eventualmente in modo efficace perché esso si renda conto della sua convenienza a non prestarsi a simile giuoco e a non sopravalutare azione e possibilità Piccola Intesa)).

341

IL MINISTRO A PRAGA, ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1349/65 R. Praga, 31 marzo 1933 (per. il 6 aprile).

Ho visto Benes ieri ad un pranzo offerto al corpo diplomatico daJ. presidente della repubblica Masaryk, al quale sono intervenuto appunto in vista dell'incontro casuale che avrei avuto col ministro degli Esteri.

Ritornato da Ginevra da due giorni, Benes non dissimulava il suo pessimo umore e pare si sia espresso con insolita veemenza coi ministri di Polonia, di Austria e di Germania in senso contrario al progetto di accordo de:lle quattro Potenze.

Con me egli si è intrattenuto molto più a lungo che con gli altri miei colleghi, tanto che il colloquio è stato assai notato dall'intero corpo diplomatico. Le considerazioni che egli mi ha esposte non sono inattese.

l) Benes ha incominciato col riaffermarsi nettamente contrario alla revisione, che ritiene pericolosa per la pace d'Europa. Egli si è diffuso nella sua consueta distinzione fra teoria e pra.tica del il'evisionismo, che giustifichecrebbe la sua opposizione. Il revisionismo elevato a scopo e programma di una politica. desterebbe rivendicazioni molteplici e senza limiti alle quali si opporranno reazioni e resistenze: il risultato sarebbe -secondo Benes -una situazione oltremodo tesa e pericolosa capace di condurre alla guerra.

Gli ho obiettato che l'impegno di tregua decennale, contenuto -a quanto finora se ne sa -nel progetto Mussolini, previene il pericolo da lui intravisto e mira invece ad eliminare le cause affrontando i problemi donde queste provengono.

2) Benes ha riaffermato le sue opposizioni al progetto di accordo delle quattro Potenze presso a poco nei termini in cui si è espresso il comunicato di Ginevra della Piccola Intesa, negando cioè alle quattro Potenze il diritto di regolare questioni europee in cui sono interessati anche altri Stati. Inoltre, pur riconoscendo l'utilità di una collaborazione di principio fra le quattro Potenze per regolare questioni che le interessano esclusivamente, Benes ha contestato la possibilità, di pratici risultati, poiché -secondo lui -non vi sarebbero questioni fondamentali europee che non involgono direttamente o indirettamente gli interessi degli Stati minori della media Europea. Così, l'Italia e la Francia non potrebbero regolare nessuna questione fra loro senza intendersi dapprima sulla rispettiva politica in confronto degli Stati danubiani e balcanici. Ma tale discussione non potendo aver luogo senza la partecipazione della Polonia e della Piccola Intesa (naturalmente Benes menziona sempre questi Stati cercando di passare sotto silenzio Austria, Ungheria e Bulgaria), ne conseguirebbe l'impossibilità di raggiungere il benché minimo risultato fra le sole quattro Potenze.

Ho obbiettato a Benes che il suo primo rilievo era in contraddizione con la sua non dimenticata dichiarazione essere la pace d'Europa dipendente proprio da quell'accordo fra le quattro Potenze contro il quale egli oggi si eleva così vivacemente. In quanto alla seconda osservazione gli ho fatto notare che il progettato accordo fra le quattro Potenze è Iungi dall'escludere la cooperazione con altri Stati europei sul terreno della Società delle Nazioni.

Al che egli ha replicato che tale cooperazione sembrerebbe prevista per una fase posteriore alla fissazione di programmi; i quali non potrebbero esser presi in conisederazione dai terzi interessati qualora fossero stati elaborati al di fuori di essi.

Ho detto a Benes che nulla autorizzava finora supposizioni circa i dettagli da lui attribuiti al progetto ancora non conosciuto, che mi sembrava in ogni caso cattiva politica la sua, di prender posizione contro un progetto non ancora conosciuto; e che finalmente il suo metodo mi sembrava condurre proprio a dimostrare la necessità di quella esclusione che lui ed i rappresentanti degli altri Stati antirevisionisti paventano e contro la quale si elevano.

3) Nella lunga conversazione Benes ha ripreso più o meno gli argomenti sopra accennati, rigirandoli, secondo i suoi noti metodi di discussione, ma senza portarne altri nuovi. Per cui ho avuto occasione di dirgli ancora che il suo atteggiamento, come quello dei suoi amici ed alleati, rischiava di apparire come dettato piuttosto da cattiva coscienza anziché dalla sicurezza di un buon diritto; e che l'aspirazione da lui sempre riaffermata ad un lungo periodo di pace pel consolidamento dei nuovi Stati sorti o ampliati dai trattati non aveva, a lume di logica, migliore occasione di realizzarsi che attraverso la garanzia decennale e rinnovabile delle quattro Potenze.

Mi sono così conformato alle istruzioni contenute nel telegramma di V. E.

n. 451/C del 20 corr. (l) valendomi delle chiare e rettilinee argomentazioni che mi è stato facile svolgere su quelle direttive. II risultato è stato di vedere Benes deflettere, in una certa misura, dalla sua rigida opposizione frontale per orientarsi, in fine della conversazione, verso deviazioni ed aperture delle quali non è difficile scorgere il fine.

Anche Benes, come già Krofta, aveva marcato con me le critiche a MacDonald e all'Inghilterra, più che le obiezioni all'indirizzo del programma di

V. E. (mio telegramma per corriere n. 58 del 26 corr.) (2). Proseguendo per tale via, egli è venuto a dire che il programma di collaborazione delle quattro Potenze dovrebbe in ogni caso scindere le questioni in cui le medesime possono essere le sole interessate da quelle in cui, invece, solo alcune di esse sono interessate, insieme con altri Stati. «Per esempio» egli ha detto -«le questioni delle regioni danubiane non interessano l'Inghilterra, che del resto non le comprende e interessano invece l'Italia e la Francia, che hanno bisogno di accordarsi su di esse (silenzio sulla Germania). Ecco dunque che in tali questioni una collaborazione proficua si potrebbe avere tra Italia, Francia e gli Stati dell'Europa orientale per la risoluzione dei problemi di questo settore d'Europa». (Su mia domanda di precisare Benes non ha potuto fare a meno di comprendere questa volta fra gli Stati suddetti anche l'Austria, l'Ungheria e la Bulgaria).

Ma quel che importa è la seguente interrogazione con la quale Benes ha concluso il suesposto «giro largo», e che desidero riferire integralmente a V. E.: « Pourquoi, par exemple, n'irais-je pas, moi, à Rome pour parler de ces problèmes à M. Mussolini? Je suis sur que nous nous entendrions sans difficultés ».

Ecco dunque dove voleva arrivare il signor Benes. Essere invitato, o comunque trovare il modo di recarsi anche lui, dopo MacDonald e Simon, a Roma, e, possibilmente, prima di altri uomini politici di altri Stati d'Europa.

Ho tenuto a prospettare a V. E. l'accenno di Benes nei termini esatti in cui esso mi è stato fatto da lui: accenno, cioè, lasciato cadere nella speranza che esso possa essere raccolto, ma abbastanza fugace per poter essere anche negato, all'occorrenza. Naturalmente ·io mi sono guardato dal rilevarlo, in modo da non essere in alcun modo tenuto a ritornare sull'argomento se non nella eventualità che ciò abbia ad apparire opportuno in futuro. _

V. E. giudicherà, nel quadro dell'azione politica che intende seguire, la valutazione da dare all'apertura fattami da Benes, tanto più che, nel rapido susseguirsi delle situazioni politiche, questo vago accenno ad un suo viaggio a

«La mob!litazlone delle resistenze antirevlsloniste non ha convinto gli Stati che l'hanno operata, della saldezza del loro fronte. Per quanto concerne la Cecoslovacchia -ed è questo il punto principale che devo sottoporre all'attenzione di V. E. -la proclamata intransigenza ha in buona parte valore tattico e temporeggiatore. Non voglio dire che la Piccola Intesa non difenderà fino all'estremo le SL'e pregiudiziall contro qualsiasi tendenza revisionistica, ma credo di poter dire che la revisione ha marcato nella coscienza di questo Paese la sensazione di una prossima Ineluttabile scelta tra un cimento mortale e qualche compromesso forse non Indegno di attenzione>>.

Roma vuol certamente essere una deLle innumerevoli porte d'uscita che Bernes ce,rca di prepararsi, srulvo a non fa,rne niente se le c,~rcostooze lo mettono per altre vie.

Per conto mio mi permetto al riguardo le seguenti considerazioni:

a) Quello che cerca Benes è i<! successo personale. Andare a Roma a parlare con V. E. significa, nella situazione attuale, attirare per qualche giorno su di sé l'attenzione mondiale. Questo rafforzerebbe ancora per qualche tempo la sua situazione nel paese che era già scossa ed a cui il convegno di Roma ha dato un colpo considerevole. Anche in confronto del programma che Benes e Titulescu stanno svolgendo per l'affermazione internazionale della Piccola Intesa, un viaggio di Benes a Roma potrebbe essere utilmente sfruttato dal gruppo.

b) Non bisogna illudersi che Benes verrebbe a Roma con intenzioni concilianti. Concilianti sarebbero certamente il metodo e le apparenze, ma la sua politica difficilmente potrebbe cambiare. La possibilità di assicurarsi ulteriori esibizioni sulla grande scena internazionale potrebbe bensì indurre Benes ad offrire l suoi servizi; ma difficilmente la sua attività potrebbe cessare dall'essere pericolosa e sostanzialmente ostile.

c) Tanto maggiore sarebbe per Benes il successo se egli potesse apparire e mostrarsi chiamato a consulto nella fase ancom preliminare in cui si trovano i negoziati diplomatici intorno all'accordo fra le quattro Potenze.

d) A queste chiare ragioni che sconsigliano --a mio avviso -un accogiimento delle aperture di Benes può contrapporsi qualche eventuale vantaggio come il fatto che una visita di Benes a Roma, dopo il chiasso fatto dalla Piccola Intesa, potrebbe apparire come una andata sua e dei suoi alleati a Canossa; inoltre essa avrebbe un notevole significato in confronto del1a Francia che, del resto, difficilmente la permetterebbe, e potrebbe anche determinare qualche preoccupazione e qualche lesione nell'edificio della Piccola Intesa. Ma questi eventuali e secondari vantaggi -se pure meritano qualche attenzione ln un esame obiettivo e completo di tutti gli aspetti della situazione -potranno essere tanto più apprezzabili quanto più tardi avessero ad entrare in gioco.

Sicché in conclusione, se dovessi esprimere un subordinato parere sull'atteggiamento da assumere in confronto del Benes, sarei di avviso di non accogliere pe:t momento, le «avances » per un suo viaggio a Roma, ma neppure di opporre ad esse un esplicito rifiuto. Gli si potrebbe anzi, in forma altrettanto vaga quanto lo sono stati i suoi accenni, lasciare intravedere qualche possibilità di realizzazione di ,un tale progetto. Ma questa dovrebbe essere condizionata ad un più conveniente orientamento di esso Benes e della pubblica opinione ce,coslovacca verso il progetto di V. E., come elemento indispensabile per la creazione di una atmosfera politica adatta ad una sua visita a Roma. Naturalmente le decisioni definitive dipenderebbero dagli sviluppi della situazione.

In attesa di eventuali istruzioni di V. E. ritengo che pel momento la conversazione, che ho avuto con Benes non debba essere seguita da ulteriori incontri di mia iniziativa con lui. È stato annunciato che il ministro degli esteri dovrebbe fare in settimana dichiarazioni alle commissioni parlamentari. Anche dal loro

tono e dal loro contenuto potrà dipendere il nostro ulteriore atteggiamento verso questo paese. Continua col numero successivo O).

(1) -Cfr. n. 241. (2) -T. per corriere 1219/58 R. del quale si pubblica solo il brano seguente:
342

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALLA DELEGAZIONE A GINEVRA

TELESPR. RR. 209794/118. Roma, 31 marzo 1933.

Telespresso di codesta Delegazione n. 42 del 4 marzo c.a. (2).

In merito a quanto codesta Delegazione ha comunicato col teJespresso ci

tato in riferimento, questo R. Ministero ritiene che, nella questione relativa

all'eventuale estensione ai paesi extraeuropei del «no force pact ~. sia consiglia

bile schierare! a favore della tesi, sostenuta anche dalla Delegaz[one britannica,

contraria all'estensione fuori d'Europa di detto patto.

A tale direttiva questo R. Ministero prega quindi codesta Delegazione di volere, come del resto già è stato opportunamente fatto in seno al Comitato di redazione, orientare la propria azione ove e quando l'argomento di cui è oggetto dovesse venire ulteriormente esaminato e discusso.

343

APPUNTO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (3)

[Roma, 31 marzo 1933].

Il Consiglio dei Ministri del Rffich, presa visione del proclama lanciato dal Direttorio del Partito Nazi circa misure da adottarsi contro ebrei viventi in Germania a cominciare dal 1° aprile, ha ordinato al Partito Nazista di non dare corso alle predette misure nell'attesa che il Governo del Reich -attraverso i mezzi di cui dispone -non abbia ristabilito la verità dei fatti e documentato che nessuna repressione è stata attuata contro gli israeliti residenti in Germania (4).

344

IL PRIMO MINISTRO BRITANNICO, MACDONALD, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (5)

L. P. Londra, 31 marzo 1933.

I meant to have written you severa! day ago to thank you for the hospitality you offered me when in Rome and to report how we fared in Paris on our

way home and what has been the result of our own reflections after having heard the observations of others. Let me begin at once by saying that nothing I have since heard has in the Ieast modified the sincere interest I felt when you first unfolded your pian to us in Rome. I aro stili as keen as ever I was that your efforts to stabilize the politics of Europe on the basis you contemplate should be crowned with success. There are difficulties of course, and you, as a realist, no doubt see them clearly. But we have to take the world as we find it and then make the best of it. You and I have had to do this so often that it depresses neither of us to do it again. I need not tell you what a pleasure it was to me to have an opportunity of meeting you personally.

You will of course have seen the French press. If we were to assume that it reflects definite French opinion accurately, we should give up ali hope of being able to create co-operation between the Four Powers. We have reason to believe however, that the press whilst representing the doubts of sections of French people who are naturally criticai and suspicious of ali proposals which seem to throw Europe into the melting pot once more, nevertheless, does not do justice to the French willingness to examine any project which could ensure the certain peace for which they are in search. We found French Ministers unwilling to accept what had not been expiained very fully to them; but when they hesitated on some points, it was not in a spirit of generai hostility but in one of anxiety to make sure before they carne to conciusions. M. Daiadier's courageous and constructive statement in the Chamber on the 28th instant confirms this view. Therefore, in spite of sections of the press I can oniy assure you that the above is the impression conveyed both to Sir John Simon and myself at our interviews on Tuesday Iast week.

We did detect, however, traces of the friction which exists between Paris and Rome, and the very friendiy reiations which our interviews in Rome did so much to promote and your own most refreshing candour, encourage me to make bold to refer to this. The French have the impression that Italy has been hostile in intent and in policy for sometime and they approach this proposal for an agreement somewhat a:·spicious of what in may really mean. Knowing your own views and remembering what help you gave over the Naval negotiations, I aro sure that this feeling can be removed, and it would be a great biessing if it were. If this friction were removed what a change wouid come over European policy. I believe that if you with your great authority and insight would examine the situation anew and in reiation to the great aims of our conversation, much good wouid follow. Were success to follow your efforts, I see an open road to ali our endeavours to bring the soothing influence of confidence and mutuai trust into the mind of Europe.

There are also one or two other very delicate matters raising hostility, which have been actively shown in Geneva circles. You are fully aware of them, and I wonder if you could do anything about them. Poland and the Little Entente are fearfui !est their interests are to be sacrificed to the will of three of four Powers who, treating them as mere conveniences, will put them under the shadow of either perpetuai fear or impossible subordination. Then there in Yugoslavia. I feel that contributions towards inspiring the !esser Governments of Europe with that confidence in the Great Powers which is

essential if we are to make Four-Power co-operation a reality, and a reality for good are required from ali of us. In a word, the ground must be prepared beforehand, no t merely between ourselves, ·i.e. between the Great Powers, but also with the various Governments in Centrai and South-Eastern Europe who at present feel uncertain as to the ~bjective and methods of the Great Powers. I suggest that we should discuss this together immediately through the ordinary channels. Time should not be lost. I hope therefore that you will turn this over in your mind.

The idea of a written agreement providing for Four-Power understanding and co-operation is so good and so promising in results that it is worth making great efforts and even sacrifices to achieve success. For this we must destroy ali these preliminary doubts and suspicions, so as to be able tò get to the purpose of the pian, which is the removal by co-operation of the causes which at present frighten, and thereby threaten to divide the European Powers into opposing blocs, and thus in the end to make war inevitable. I am sure you will agree, since what we both want is co-operation not only on paper but in reality.

I think we can congratulate ourselves that, though we have roused some fears, none of them are of great substance and that we have received heartfelt support from everyone earnestly seeking peace in Europe. Even when hesitation has been expressed there has been an underlying expectation that good will come and of thankfulness that we have been candid in telling Europe where its present condition is dangerously insecure. Every Government has at Ieast a glimmering convinction that it is in their fina! i:nterest to agree to the provision of machinery for making Article 19 of the Covenant operate in cases where it can be justifiably invoked.

We have tried in a redraft of Article II of your draft to meet the difficulties we have encountered as regards Treaty revision, and thus to give the other Powers the assurances that they require and are indeed entitled to. This amendment and other amendments to the draft agreement which we are suggesting will, I hope, reach you shortly through the ordinary diplomatic channel. Meanwhile Sir John Simon was able while at Geneva to talk the matter over with the representatives of the Little Entente, when he tried, and I hope with some success, to destroy the various misunderstandings and misinterpretations which have grown up as the result of the rumours which have been spread by the press.

We have also redrafted Article III of your paper. Our reason for this is that, as at present drafted, your proposal appears to expose itself to the suggestion that it envisages the failure, _or at least only a partial success, of the Disarmament Conference with the consequent rearmament of Germany. Any such suggestion seems to me to be very dangerous and would cause much disquiet. Indeed it is in my view of the first importance that the Disarmament Conference must be rescued from failure. Failure would almost certainly lead to competition in armaments with all the conseguent apprehension and hostility. I was very much touched by the cordial support which your delegate offered to our draft convention at Geneva and at learning from Signor Grandi that you would accept the convention, provided it was not drastically amended by other Powers. I feel sure you will agree with me that when the Conference

369 resumes on Aprii 25th, our two delegatìons should work together wholeheartedly to push this convention through with a minimum of amendment at the earlìest date. I am convinced that this is the fìrst step towards appeasement in Europe.

This is a purely personal letter giving you my own private impression of the situation which we shall have to meet and, at the same time, carrying my very best wishes and regards. As I end the memory of the new Rome -it indeed is the old Rome, reborn though but in its ruins -which I saw during those all too brief hours I spent with you, comes ìnto my mìnd.

P. S. -I am shocked to find that your memorandum communìcated in confidence to the German and French Ambassadors in Rome and to ourselves has been publìshed in Paris (1). This, I fear, is lìkely to increase our difficulties but I have no doubt that we shall overcome them together wìth those mentìoned at the outset of my letter.

(l) -In realtà il seguito di questo telegramma è il t. per corriecre 1350/68 R. pari data, non pubblicato. (2) -Cfr. n. 167. (3) -Originale autografo d! Mussolini. (4) -Annotazione a margine di Suvich: Progetto di S. E. il Capo per una dichiarazione del Governo Germanico. Comunicato per telefono a Cerruti. 31/III/33 XI. (5) -Edito in D B, vol. V, cit., pp. 122-125.
345

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. P. Londra, 31 marzo 1933

* -Ti mando con questa ,lettera il resoconto stenografico del'1a seduta di ieri alla Camera dei Lords, con la discussion~ sul Patto dì Roma* (2). La seduta cui ho assistito dal principio alla fine è stata veramente interessante. * -Vedrai le dichiarazioni di Cecil. Questo dubbio personaggio, che ai tempi di Parigi e di Corfù dava la caccia all'Italia, oggi dichiara alla Camera dei Lords la necessità di una cooperazione italo-inglese come chiave di volta della pace d'Europa. Ma quello che mi ha più interessato è stato il discorso del leader dell'opposizione, Lord Ponsomby, laburLta, che non ha potuto fare a meno dì esprimere la sua incondizionata approvazione per l'incontro dì Roma.

I tedeschi Ti dovrebbero fare dopo l'incontro di Roma, la statua di riconoscenza che hanno fatto a Bismarck. Per la prima volta ieri alla Camera dei Lords si è parlato di revisione dei trattati, come dì una cosa non solo necessaria, fatale, ma nel naturale ordine delle cose. Nelle stesse riserve di Cecil vi è il riconoscimento dì questo fatto. L'unico elemento aperto alla discussione è il «modo », l'opportunità del momento. Non altro. La « ìntangìbìlìtà » è un mito ormai atterrato, dopo l'incontro di Roma. E questo la Germania lo deve soltanto a Te. Perché ieri stesso alla Camera dei Lords mentre veniva affermato il principio revisionista di Roma, si alzavano le voci di protesta contro i maltrattamenti degli Ebrei da parte dei Nazi *.

Senza il Tuo colpo maestro, col quale hai inserito definitivamente la Revisione dei Trattati al primo posto dei problemi della Pace, costringendo la

diplomazia europea a discuterlo con precedenza su tutti gli altri, La Francia avrebbe forse avuto una facile partita perché avrebbe potuto assicurare alla causa della immutabilità dei Trattati tutte le forze di opposizione al nazionalsocialismo tedesco del genere di quello che si è manifestato ,ieri alla Camera dei Lords.

Vale la pena di leggere attentamente l'accluso resoconto stenografico non meno importante di quello della seduta alla Camera dei Comuni.

(l) -Cfr. n. 333. (2) -Questo e il successivo passo fra asterischi sono editi nel «Borghese» del 28 aprile 1966, n. 17.
346

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (l)

APPUNTO. Roma, 1° aprile 1933.

Mi telefona l'Ambasciatore Cerruti che oggi fanno una giornata di prova del boicottaggio contro gli Ebrei; dalle lO dei mattino alle lO di sera; poi sarà sospeso fino a mercoledì per vedere gli effetti.

È probabile che non sia più ripreso, si è dovuto ricorrere a questa misura per non dar l'impressione di una ritirata.

È stato emanato però un Decreto del Ministero della Giustizia che impone a tutti gli ebrei di dare le dimissioni da giudici e limita il numero degli avvocati ebrei in rapporto alla proporzione della popolazione.

Si insiste per qualche dichiarazione di deplorazione della campagna contro la Germania, lo si è chiesto anche a Londra ed a Washington.

347

MODIFIED TEXT OF PROPOSED FOUR POWERS PACT (2)

Roma, 1° aprile 1933.

1

The four Western Powers: France, Germany, Great Britain, Italy: undertake to carry out between themselves an effective policy of co-operation in order to ensure the maintenance of peace in the spirit of the Kellogg Pact and of the «No Resort to Force» pact envisaged by the declaration signed by the above Powers on December 11th, 1932.

11

The Four Powers confirm that, while the provisions of the Covenant of the League of Nations embody a scrupulous respect for all treaty obligations as a

means of achieving tnte,rnational peace and secumty, they also contemplate the possibilty of the ocevision of the Treaties of Peace when conditions ~ise that might lead to a conflict between nations.

In orde[" to facilitate the operation of Article 19 of the Covenant, the Four Powers recommend that if and when a Government raises any particular question involving treaty revision, the situation shall be clarified in the first instance by means of negotiations to be carried on and agreements to be reached on an equal footing between the Fours Powers and the Governments directly concerned: such negotiations and agreements to be based on mutual recognition of the interests of all concerned and within the framework of the League of Nations.

m.

It is agreed that the principle of equality of rights as conceded to Germany under the conditions laid down in the Five Power resolution of December 11th must be given a practical value. The Four Powers recognize that the draft disarmament convention submitted by the United Kingdom delegation to the Disarmament Conference on March 16th not odly gives effect to this principle but provides a satisfactory first stage of generai disarmament, and they accordingly undertake to recomment it to the Disarmament Conference for acceptance. Germany, for ber part, agrees that the principle of equality of rights shall only be put into practice by degrees under agreements to wich each of the Four Powers must be a party.

IV.

The application of such a principle of equality of rights to Austria, Hungary and Bulgaria shall be governed by the same conditions as those expressed in the case of Germany in the preceding article and only under agreements to which each of the Four Powers must be a party.

v.

The Four Powers pledge themselves to co-operate in the work of finding solutions of the economie difficulties which now face their respective nations and the world as a whole.

VI.

The present agreement of understanding and co-operation will, if necessary, be submitted for approvai to the Parliaments of the contracting parties within three months of the date of its signature. Its duration shall be for ten years. If no notice is given before the end of the ninth year by any of the parties of an intention to treat it as terminated at the end of such a ten years, it shall be regarded as renewed for another period of ten years.

VII.

The present agreement shall be registered in accordance with the Covenant of the League of Nations at the Secretariat of the League of Nations.

ALLEGATO

OSSERVAZIONI INGLESI (l)

Article I.

The new omits the last sentence of Article I of the text of March 19th.

Article II.

The second paragraph of Article II of the new text expands the last sentence of Article II of the old text and embodies the idea contained in the sentence now omitted from Article I. The only substantial modification is that the text of this Article now expressly lays down that theaty revision must be discussed « on an equa! footing

between the Four Powers and the Government directly concerned ».

Article III.

Instead of the first sentence of the old text, the new text provides for the acceptance by Germany of the British draft Disarmament Convention as giving effect to the principle of equality of rights and as providing a satisfactory first stage of generai disarmament. The Four Powers accordingly undertake to recommend the British draft Convention to the Disarmament Conference for acceptance.

The latter part of the last sentence of the old text is reproduced in the new text -i.e. it is recognised that the principle of equality of rights shall only be put into practice « by degrees under agreements to which each of the Four Powers must be a party».

Articles IV, V, VI and VII are the same in the new text as they were in the old.

(l) -Originale autografo. (2) -Edito, con data 24 marzo, in SALATA, pp. 195-196; con ùata 24 marzo-l aprlle in GIORDANO, pp. 185-186; e, sotto forma di telegramma trasmesso da S!mon a Graham la sera del 31 marzo, per il 1° aprile in D B, vol. V, n. 64.
348

APPUNTO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH (2)

L'omissione dell'ultima frase dell'art. 1° (quella cioè che prevede un'azione sugli altri Stati europei per adottare la stessa politica di pac,e) è un notevole peggioramento.

Si potrebbe, per venire incontro al Governo inglese, modificare la dizione in modo da togliere l'idea di una possibile pressione. Non appare che questo concetto, omesso nel primo articolo, sia stato ripreso nel secondo paragrafo dell'articolo 2 (come dice la nota inglese) (3).

ART. 2 -Anche queste modificazioni rappresentano un peggioramento sostanziale.

È vero che la redazione antecedente (quella concordata a Roma) lasciava molto nel vago la procedura da seguire in caso di revisione, ma il nuovo testo propone addirittura che le negoziazioni debbano avere luogo direttamente fra le quattro Potenze e gli Stati interessati.

Salvo a trovare una dizione conveniente per urtare il meno possibile i vari interessi, mi pare che il concetto dovrebbe essere quello di far precedere una discussione con gli interessati.

Non possiamo nasconderei che anche in questa forma la cosa è molto delicata nel caso del conidoio polacco, dove uno dei contendenti, sedendo nel consiglio dei quattro, ha maggiore possibiUtà di influ11re per una determinata impostazione del problema.

ART. 3 -Nel nuovo progetto questo articolo è completamente svisato. L'introduzione del progetto MacDonald per il disarmo, non contribuisce né alla chiarezza, né alla organicd.tà del Piano. Il P~ano contiene le grandi Unee di una politica di intesa e deve durare dieci anni; il progetto MacDonald non è che un episodio della discussione del disarmo, che tra qualche mese potrebbe essere completamente superato. L'unico elemento nuovo che può essere considerato con favore in questa ultima redazione, è l'esplicito riconoscimento che il progetto MacDonald è già una applicazione del principio della parità di diritti. -Io ritengo che bisognerebbe ritornare al testo concordato a Roma, allegando se mai al Patto un Protocollo separato contenente l'approvazione, almeno in principio, del progetto MacDonald -(si sa che ci sono opposizioni da parte tedesca e francese).

(l) -Il titolo del documento è «Note on latest Text of propooed Four Powers Pact [del 1° aprile]. as compared with that of March 19th at end of Rome v!sit ». (2) -Il documento reca il seguente titolo: << Modificazioni inglesi al piano delle quattro Potenze». Esso è privo di data; si colloca sotto il 1° aprile, data del documento cui si riferisce. (3) -Cfr. n. 347.
349

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1285/223 R. Berlino, 2 aprile 1933, ore 13 (per. ore 15,45). Telegramma di V. E. n. 113 (1).

Neurath esprime a V. E. vivi ringraziamenti per cortese e utilissima offerta che accetta con gratitudine. Prega quindi di impartire istruzioni nel senso indicato alle nostre rappresentanze estero (2).

350

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AI MINISTRI A BUDAPEST, COLONNA, E A VIENNA, PREZIOSI

T. R. 577 R. Roma, 2 aprile 1933, ore 24.

(Per Vienna) Ho telegrafato Budapest quanto segue:

(Per tutti) Personale per ministro Colonna.

Prego V. S. far sapere a Gombos che Capo del Governo è favorevolmente impressionato da recenti provvedimenti cancelliere Dollfuss che dimostrano

applicazione graduale e cosciente piano preciso diretto liberare Austria da austro-marxismo ed affermarne indipendenza. Converrebbe però spingerlo ad affrettare parte centra;le programma che consiste nello sbancamento del marxismo dal land e città di Vienna. In questo senso agiamo noi e converrebbe agisse anche Ungheria.

(1) -Cfr. n. 335. (2) -Annotazione a margine di suvlch in data 3 aprile: «Dire alle nostre rappresentanzediplomatiche che ci risulta che ci sono delle esagerazioni e delle invenzioni. Facciamo appositamente telegrafare».
351

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 1543/723. Mosca, 2 aprile 1933.

Il telegramma (l) con il quale l'E. V. mi forniva alcune informazioni preliminari sul «contenuto» del patto di Roma, mi giunse soltanto il lunedì 27 marzo. Il martedì essendo giorno di corriere ed il giovedì successivo giorno di riposo per le Amministrazioni sovietiche, non potei vedere Litvinov che venerdì 31 marzo.

Premetto che io non mi attendevo, e non potevo attendermi, che Litvinov vedesse con favore, qualunque ne fosse il suo contenuto, un progetto di «patto a quattro». Basta ricordare:

l) il contegno sovietico in tutta la questione della Paneuropa, quando Litvinov tuonava contro la pretesa che «un groupe d'Etats européens puisse vouloir s'approprier le droit de statuer sur l'admission ou la non admission... d'un pays comme l'Union Soviétique, occupant dans la seule Europe un territoire qui forme près de 45 % de ce continent et dépassant de près du double les superficies additionnées de la France, de la BeJgique, de la Roumanie, de la Yougoslavie, de l'Espagne, des Pays Bas, de la Suède, du Danemark et de la Norvège »;

2) il particolare compiacimento mostrato nel '31 da Litvinov al semplice annuncio giornalistico di un possibile patto a 5 (di cui avrebbe fatto parte l'URSS), inteso a garantire la pace europea (mio telegramma per corriere 21 agosto 1931 n. 172);

3) la reazione sfavorevole di Litvinov all'idea della cooperazione delle Quattro Potenze fin dalla sua prima enunciazione nel discorso di Torino (mio telespresso del 5 dic. '32 n. 2393) (2);

4) la conseguente attitudine, tenuta da Litvinov e in genere dai rappresentanti dell'URSS a Ginevra, di fronte ai convegni delle Cinque Potenze.

Ciò posto io tenni a dare, come del resto mi sembrava essere il desiderio della E. V., alla mia comunicazione un carattere puramente informativo, evitando l'impressione che da parte nostra si ritenesse indispensabile, per il successo del piano, il consenso dell'Unione sovietica.

La mia comunicazione fu fatta nei termini seguenti: «Il processo storico, attualmente in isviluppo, porta fatalmente alla costituzione di gruppi contrapposti, ritornandosi così alla situazione del 1914. Il solo mezzo, per arrestare tale processo ed assicurare una pace all'Europa, sta nello sviluppare e completare il patto di Locarno, stabilendo le basi di una collaborazione delle Quattro Potenze maggiormente in causa. Mentre la pace e la prosperità dell'Europa non possono essere assicurate senza l'accordo delle Quattro Grandi Potenze Occodentali, ogni disaccordo fra queste rende impossibile e paralizza l'accordo degli altri. Nella situazione, infatti, ogni questione che interessi terzi, fatalmente risente dello stato dei rapporti fra le Quattro Potenze considerate e può difficilmente essere esaminata e risoluta senza partito preso. Per quanto più particolarmente si riferisce alla Conferenza del Disarmo, essa non può essere salvata se non creando una atmosfera di maggiore fiducia e comprensione e trasportando in altro campo le principali questioni politiche, il cui intrecciarsi, con la questione del Disarmo propriamente detta, ha portata la Conferenza all'attuale punto morto. Da tutto ciò emerge la necessità di riunire le Grandi Potenze Occidentali attorno ad un comune programma di pace:

l. Conferma solenne del Patto Kellog e del «no force pact »;

2. -Riconferma del principio della revisione dei trattati, ma sempre nel quadro della Società delle Nazioni e tenendo presente l'interesse delle parti in causa; 3. -Autorizzazione alla Germania, ove la Conferenza del Disarmo non arrivi a conclusioni concrete, a valersi della parità dei diritti, ma gradatamente e di accordo con le altre Potenze: analogamente per l'Austria, l'Ungheria e la Bulgaria; 4. -Cooperazione per la soluzione dei problemi economici europei e mondiali».

Litvinov non trovò molti commenti da fare alla mia comunicazione. Osservò che essa in sostanza confermava quanto più o meno gli era stato comunicato in materia dai propri rappresentanti nelle diverse capitali (il servizio informazioni del Narkomindiel è quanto mai completo e rapido). Aggiunse che, naturalmente, l'URSS non poteva vedere con favore il formarsi di un Direttorio europeo, le cui decisioni avrebbero finito con l'imporsi a tutti gli altri paesi. La cosa aveva creato una certa emozione un po' dappertutto: ed egli teneva a segnalarmi sopratutto quella suscitata ad Ankara, ove Tewfik Ruschdi bey si era agitato e continuava ad agitarsi fortemente, non ostante le spiegazioni chieste e ricevute da Roma e anzi l'ottenuta assicurazione (che lo stesso Litvinov metteva in dubbio) che la Turchia avrebbe finito con l'entrare nel Direttorio. L'agitazione da parte turca era tanto più interessante e degna di essere sorvegliata, in quanto suscettibile di ripercussioni sulla politica balcanica (vedi mio telespresso a parte in pari data) (l) della Turchia. (Come V. E. vede, analoga

mente a quanto aveva fatto per il discorso di Torino, Litvinov metteva, anche questa volta, in prima linea la Turchia).

Replicai non essere proprio il caso di parlare di «Direttorio». Nessuno poteva contestare che le quattro grandi Potenze occidentali erano quelle « maggiormente in causa». Senza di esse, nessuna vera pace, e per nessuno, era possibile. Donde, la necessità di riunire quelle Potenze intorno ad un programma comune. Quello che più importava, era il programma che, nelle sue grandi linee, comprese quelle del revisionismo, era inattaccabile. L'avere ottenuto, dopo meno di due mesi dall'avvento di Hitler al potere, che questi rinunciasse ad ogni idea di revisione oltre e fuori l'art. 19 della S.d.N., era una vera vittoria ed un contributo sostanziale alla pace dell'Europa e del Mondo.

Quanto all'attuazione del programma, essa sarebbe certo avvenuta tenendo conto degli interessi di tutti. Anche nel Consiglio della S.d.N. vi sono degli esclusi, ma intanto nessuna questione è decisa senza il concorso, a parità di diritti, di tutti gli interessati. Si aggiunga che, nella specie, per questi quattro paesi, da cui maggiormente dipende la pace propria e degli altri, non si tratterebbe di decidere, bensì di preparare un terreno d'intesa comune, preliminarmente indispensabile alla intesa degli altri.

Cosa accade adesso? Quando questi paesi non trovano modo -vedi Disarmo -di ac,cordarsi fra loro, tutti gli altri rimangono paralizzati, spettatori più

o meno inerti di contese non sempre loro proprie. Se io fossi a Ginevra -osservai -a rappresentare una piccola potenza, io non esiterei un momento a dire alle grandi Potenze: «Il vostro procedimento non è onesto: ci tenete qui da 14 mesi a perder tempo, solo perché non potete o non volete accordarvi. Cominciate a cercare una intesa fra di voi e poi chiamate gli altri... ».

Non posso dire che il mio interlocutore sia rimasto molto impressionato da questi come dagli altri miei argomenti. Litvinov sorrideva, più o meno a denti stretti, osservando sempre che, qualunque siano per essere i temperamenti e i modi di attuazione, ogni accordo pJ:eliminare deltle quattro gmndi Potenze occidentali finisce in pratica col diventare obbligatorio per gli altri. Del resto, mi disse, mi risulterebbe che MacDonald avrebbe proposto un direttorio di sei (4 + URSS e U.S.AJ e che Mussolini avrebbe rifiutato... (1).

Io non ho -risposi -la menoma informazione id proposito, ma escludo a priori che la notizia possa essere esatta. Si tratta di un patto destinato ad essere l'estensione di quello di Locarno che c'entrano gli Stati Uniti? D'altra parte, lo stesso fatto che le Potenze occidentali, tutte legate agli Stati Uniti dalla questione dei debiti, ritengono, ciò non ostante, di non chiamare nel patto anche l'America, dimostra come esuli dal patto stesso ogni idea di direzione e di imposizione. E se non vi sono chiamati gli Stati Uniti, come ammettere che possano esservi chiamati gli altri?

-Dimenticate, obbiettò Litvinov, che noi siamo una Potenza europea, mentre gli Stati Uniti non lo sono. In ogni modo, come potrebbe l'URSS aver fidu

«È superfluo rilevare che nel Patto stesso è insita idea collaborazione con codesto e con altri Governi per soluzioni maggiori problemi, collaborazione senza la quale non sarebbe concepibile politica seriamente costruttiva ».

29 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XIII

eia di un organo tn cui rappresentano tanta parte la Ge,rmania e l'Inghilt&II'a, proprio in un momento in cui le relazioru f.Ta 1 Soviet e questi due paesi sono ,tutt'altro che amichevoli? E non volete mconoscere che l'URSS è interessata nelle questiond dei Corridoio polacco, d1 Memel, di WUno, etc. etc., assai più che non, per esempio, l'Inghilterra?

-Ma che cosa vi autorizza a rite:-:cre -interruppi io a mia volta -che la questione del Corridoio sarebbe risoluta senza di voi?

-Sarà, ma io non ho -disse Litvinov -nessuna prova che non lo sarebbe.

,, 4 Dunque, conclusi scherzosamente, è soltanto e sempre il 4: sospetto » la base di ogni vostro ragionamento. Del resto, aggiunsi, non so comprendere perché in una questione come questa l'URSS, che ha sempre detto di non volersi impegolare nelle querele del mondo capitalista, debba avere interesse a prendere così decisamente «partito » per l'una o per l'altra parte, per l'una o per l'altra tesi, Ho osservato che, già nell'Isvestia di ieri, voi scrivevate di non poter «rimanere indifferenti alle tendenze lottanti sull'arena mondiale e ai tentativi di creare il cosiddetto concerto delle quattro potenze che si appropria il diritto di decidere le sorti dei popoli ».

-Naturalmente -osservò Litvinov -era pur necessario che noi dicessimo finalmente qualche cosa. Da parecchi dei miei Ambasciatori mi era stato telegrafato per domandare qua1e fosse la nostra opinione e come mai tardassimo tanto ad esprimerla.

-Spero tuttavia che voi siate più «uncommittal » della vostra stampa.

Certamente; «after all, the Isvestia is only a newspaper ».

Non spinsi oltre questa mia prima conversazione, tanto più che Litvinov parlava subito dopo l'incidente inglese e anche per evitare, ripeto, l'impressione che noi considerassimo il consenso sovietico come necessario. Per quanto io non ritenga che la posizione di Litvinov e dell'URSS possa cambiare, non mancherò, a momento opportuno, di riprendere la conversazione.

Senonché, sopratutto dinanzi ai temperamenti per le piccole Potenze che la stampa annuncia a gran voce, introdotte nella «edizione inglese » del patto, mi sembra essenziale ormai sia chiarito, in linea generale e specifica, il seguente punto: come, secondo il patto delle quattro Potenze (il cui testo originale è già in possesso di questa Ambasciata tedesca) dovrebbe praticamente effettuarsi la collaborazione delle potenze firmatarie del patto con quelle che ne sono fuori, in tutte le questioni che possano interessare anche queste ultime.

È questo un punto fondamentale, tanto più nei riguardi dell'Unione Sovietica, e ciò in ragione sia della sua qualità di Potenza europea -del resto riconosciutale in occasione della Paneuropea -sia del carattere italo-inglese che il progettato patto sembra voler assumere e che, date le attuali relazioni fra l'URSS e la Gran Bretagna non è fatto a posta per assicurare al progetto stesso, da parte dell'URSS, una accoglienza, non dico favorevole, ma almeno spregiudicata ed obbiettiva.

(l) -Cfr. n. 278, nota l. (2) -Cfr. serie VII, vol. XII, n. 509.

(l) Non pubblicato.

(l) Mussollni con t. 572/46 R. dello stesso 2 aprlle dette istruzioni ad Atto!1co di smentire categoricamente questa voce riferitagli dall'ambasciatore sovietico a Roma e aggiunse:

352

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1295/29 R. Ankara, 30 aprile 1933, ore 11,59 (per. ore 16).

Telegramma per corriere di V. E. n. 427 del 16 marzo giunto 29 marzo (1).

Ho parlato a questo ministro degli affari esteri nel senso voluto da V. E. e poiché istruzioni di V. E. si erano incrociate con le considerazioni da me svolte nel rapporto n. 420/132 del 7 marzo u.s. circa la necessità agire sulla Bulgaria e col piano espostomi da Tewfik Ruschdi bey per una azione in questo senso (mio rapporto n. 507/155 del 20 marzo u.s.) (2) ho svolto mia conversazione sotto forma di una risposta proposte precedenti del Governo turco e come apporto da parte di V. E. alla iniziativa turca per un tentativo di avvicinamento Bulgaria al binomio greco-turco.

Questo ministro affari esteri mi ha pregato di ringraziare V. E. per la unità di vedute che si è venuta a concretare per l'attuazione di questo tentativo di cui Turchia assume compito iniziale. Egli mi ha detto che è sicuro dopo il suo viaggio ad Atene di poter far passare un colpo di spugna sulle divergenze finanziarie greco-bulgare, ciò che sarebbe il primo passo indispensabile per spianare la strada tra i due paesi.

Inoltre egli inizierà sua azione con nuovo ministro di Bulgaria che sarà qui fra due giorni e darà istruzioni ministri turchi Sofia, Atene. Prenderà appuntamento con Musdanoff per un incontro a Ginevra, probabilmente per 27 aprile. Proporrà rinnovazione patto neutralità ed amicizia turco-bulgaro che scade marzo 1934.

Egli ritiene che questo patto potrà essere adottato come tipo per tutto il sistema italo-greco-turco-bulgaro e sostiene necessità estenderlo all'Ungheria. Farà pervenire Mosca suo pensiero circa riflessi politici Piccola Intesa verso Russia attraverso fattore romeno.

Si terrà in contatto con me qui e con Aloisi a Ginevra, sugli sviluppi del suo lavoro di conciliazione greco-bulgaro affinché V. E. possa giudicare opportunità sostenerlo al momento necessario.

353

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 580/128 R. Roma, 3 aprile 1933, ore 17,30.

Suo telegramma n. 232 (3) si è incrociato col telegramma ministeriale con cui ella veniva informata del tenore dei chiarimenti che il R. ambasciatore a

Washington era incaricato di forni,re a quel Gove~rno con particolare ra.guardo al<l'art. quinto del patto di intesa {1).

Che dall'articolo quinto esuli ogni idea di fronte unico europeo contro gli Starti UniU risulta più chiaramente se si tiene conto genesi aiticolo stesso. Come

V. E. sa nella sua redazione originale esso contemplava opportunità azione concordata quattro Governi nel campo politico economico e coloniale. Essa potrà parlarne Norman Davis in via strettamente confidenziale mostrandogli anche testo primitivo, ed assicurarlo che farò prossimamente dichiarazioni per escludere qualunque idea di tale fronte unico.

Per quanto riguarda estensione patto Stati Uniti S. E. il Capo del Governo ha molto apprezzato suggerimenti Norman Davis, ritiene tuttavia questione potrà essere di attualità in un secondo momento dopo che accordo a quattro sarà stato realizzato, data anche opportunità vincere obiezioni che patto sia contrasto Società Nazioni (le quattro Potenze sono attualmente le sole ad avere seggio permanente) e considerando patto sviluppo Locarno che rappresenta primo valido accordo sicurezza fra Potenze europee.

Non attualità estensione patto agli Stati Uniti non esclude però affatto anzi si completa con idea collaborazione con altri Stati e quindi e principalmente Stati Uniti; per cui una pubblica dichiarazione dei Governo americano di adesione anche generica ai principi del patto e alla collaborazione per soluzione pacifica maggiori questioni sarebbe di grandissima importanza, nel corso attuali trattative, salvo rinnovazione al momento firma patto stesso.

Faccia poi sapere se Norman Davis come da alcune notizie intende proseguire anche Roma nel qual caso sarò lieto incontrarmi con lui. Se V. E. non avesse opportunità vedere Norman Davis, prego comunicarmelo urgenza.

(l) -Cfr. n. 217. (2) -Cfr. n. 247. (3) -Cfr. n. 336.
354

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1302/212 R. Parigi, 3 aprile 1933, ore 23,35 (per. ore 2,25 del 4).

Piano Mussolini e gli emendamenti inglesi (2), comunicati sabato al Governo francese da questo ambasciatore d'Inghilterra, sono stati discussi stamane in consiglio di Gabinetto, ossia con la partecipazione dei sottosegretari di Stato, e saranno oggetto deliberazione in un prossimo consiglio dei ministri presieduto dal presidente della repubblica.

Le Temps scrive stasera che con tutta probabilità la Francia risponderà a Roma e a Londra con la presentazione di un memorandum distinto dal patto italiano e dagli emendamenti britannici, ma ispirato piuttosto a questi ultimi.

Ho veduto oggi collega britannico. Mi ha informato di avere avuto stamane lunga visita Titulescu che egli conosce da molto tempo. Ministro romeno ha insistito specialmente su di un argomento che Tyrrell considera serio. Egli ha

detto che la revisione dei trattati inserita nel patto, è inamm~ssibile per la

Piccola Intesa. Non sarebbe infatti possibile ad un ministro di uno dei tre

Stati della Piccola Intesa di discutere con le quattro Potenze di revisione terri

toriale mentre si sappia che egli è invitato a una discussione di questo genere.

Un Governo romeno che vi acconsentisse sarebbe subito rovesciato. Ne conse

gue, ha osservato il mio interlocutore, che la revisione dei trattati sarebbe

praticamente inattuabile nello spirito del patto, ossia di comune accordo, per

assenza dello Stato interessato.

Ambasciatore d'Inghilterra ritiene che Titulescu abbia dato larga diffusione a questo suo argomento principe nei numerosi colloqui che ha avuto in questi giorni con uomini di Governo, e che azione ministro degli affari esteri romeno abbia avuto larga ripercussione.

Circa accoglienza fatta agli emendamenti britannici che V. E. conosce ambasciatore d'Inghilterra non sa far previsioni. Patto ha, negli ambienti parlamentari, opposizione della destra e di alcuni elementi di sinistra che seguono direttive Herriot.

'

Ambasciatore d'Inghilterra crede che nella sua risposta Governo f.rancese chiederà che non si parli della revisiorte ·dei trattati. Se fosse fatta questa concessione patto passerebbe senza perdere altre penne maestre.

Ho obiettato l'atteggiamento della Germania. Ambasciatore d'Inghilterra crede che Reich si piegherebbe davanti concorde pressione itala-inglese.

(l) -Cfr. n. 332, nota l. (2) -Cfr. n. 347.
355

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1342/228 R. Berlino, 3 aprile 1933 (per. il 6).

Faccio seguito al mio telegramma filo odierno n. 227 (l).

Barone von Neurath mi ha chiesto, allorché sono entrato oggi da lui, di spiegargli come si fossero passate le cose a Roma circa la visita del ministro Goering. Gli ho esposto la cronistoria dei fatti come risultava dai suddetti telegrammi di V. E. (2).

Barone von Neurath disse di riconoscere che le preoccupazioni del proprio ambasciatore potessero avere un certo fondamento, soprattutto se le visite dei tre ministri del Reich Goering, von Papen e Goebbels fossero state fatte simultaneamente. Peraltro Goebbels gLi aveva detto che contava recarsi in Italia soltanto dopo Pasqua e von Papen si recava a Roma soprattutto per risolvere col Vaticano la questione dei rapporti fra la Chiesa cattolica, Hitler e il nazional

socialismo. Egli contava fa·r si che neJ dllire la notizia del viaggio di von Papen, la stampa ponesse m •rilievo tale spedale carattere di missdcone presso il Papa, ciò che non av.rebbe natumlmente Impedito al vice-cancelliere da ll.'ende·re omaggio anche a:l Capo del Governo italiano e di entrMe in contatto con altri uomini di Stato fascisti. Dal modo con cui si espresse meco i:l barone von Neurath ebbi l'impressione ch'egli non avesse osato suggerire a Goering di rinviare il suo viaggio. EgU mi informò anm che questi gli aveva detto ieri di doverlo ritardare di due giorni partendo il 10.

Cosicché qua.ndo io proposi di Jascillire le cose così come e•rano state combinate e di telegrafare a Roma nei termini del mio telegramma suddetto, barone von Neurath si dichiarò subito d'accordo.

Egli mi disse che Goering conta stare 10 giorni a Roma ed aver ragione di ritenere che intenda inger,irsi nel noto patto. Questa cosa sembrava preoccupare seriamente ministro degli affari esteri per ragioni facilmente comprensibili.

(l) -Con t. 1301/227 R. delle ore 21,05, non pubbllcato, Cerruti aveva riferito, fra l'altro quanto segue: «Von Neurath mi ha detto che da un'Informazione di Oorlng questi ritarderebbe due glornl la partenza che avverrebbe dieci corrente. Mi riservo indagare e confermare data esatta. Papen invece conta partire otto corrente con treno. Quanto a Oobbels partirà solo dopo Pasqua». (2) -T. 541/112 R. del 31 marzo e t. 567/120 R. del 1° aprile: opinione dell'ambasciatore d! Germania che, In considerazione della situazione internazionale, sia opportuno rinviare d! una quindicina di giorni la visita a Roma d! Oor!ng.
356

IL MINISTRO A PRAGA, ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1346/66 R. Praga, 3 aprile 1933 (per. il 6).

Faccio seguito al mio precedente n. 65 (1).

Nel sostenere che diffi.cilmente la cooperazione fra le quattro Potenze po

trà sortire pratici risultati, Benes ha ancora accennato all'Anschluss come il

primo scoglio al quale le quattro Potenze si urterebbero.

La questione d:ell'Anschluss-egli ha detto-sarà subi!to posta avanti dalla

Germania e dimostrerà l'impossibilità di un accordo fra le quattro Potenze. In

fatti, all'Italia ed alla Francia non resterebbe altra scelta che accettare l'An

schluss oppure rinunziare all'ulteriore collaborazione con la Germania.

Ho risposto a Benes che ritenevo tuttora immutato il punto di vista italiano

in materia (telegramma di V. E. per corriere n. 473 R. del 23 marzo u.s.) (2)

ma che il dilemma da lui posto mi sembrava troppo rigido e pessimista partendo

dal preconcetto di voler negare ogni buona volontà nella collaborazione delle

quattro Potenze. Del resto ho creduto opportuno non insistere sull'argomento.

Benes ha ripetuto che l'Anschluss gli appare ormai fatale e che per parte

sua il problema non lo interessa più, spettando piuttosto all'Italia e alla Francia

il preoccuparsene; che la Cecoslovacchia è preparata e saprà quale atteggia

mento prendere. Gli ho allora domandato se questo atteggiamento significasse

un ricorso alla forza. Egli ha senza altro escluso ogni controazione militare, ma

non si è altrimenti espresso sul programma che tiene a mostrare come precisa

mente tracciato.

Ricordo al riguardo che nel mio primo colloquio (mio telegramma per corriere n. 131 del 1° novembre 1932) (l) Benes ebbe a dirmi che se la Germania faceva l'Anschluss 1a Cecoslovacchia avrebbe immediatamente attuato una unione doganale con la Polonia.

(l) -Cfr. n. 341. (2) -Non pubblicato: comunicava che il Governo italiano non aveva modificato il proprio punto di vista circa la questione dell'Anschluss.
357

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE R. 1347/232 R. Berlino, 3 aprile 1933 (per. il 6).

V. E. è già stata informata della situazione di una sezione affari esteri del partito nazionalsocialista, che sarà diretta dal signor Rosenberg.

Da informazioni assunte presso un membro influente del partito hitleriano risulta che si conta procedere ad uno scambio di notizie fra l'Auswartiges Amt e tale sezione speciale. Nulla è però ancora stato precisato al riguardo.

Dal suo lato, il barone von Neurath mi intrattenne oggi in via del tutto personale e confidenziale della questione, mostrandosene amareggiato e soprattutto inquieto. Egli mi disse che si rendeva esatto conto che una rivoluzione non poteva aver luogo senza innovazioni radicali. Si riferì peraltro al precedente della rivoluzione fascista, ricordando come V. E. avesse personalmente assunto la direzione del ministero degli affari esteri e come avesse dimostrato, agendo in tal modo, in quale gran conto tenesse la politica estera e come considerasse necessaria guidarla con intenti unici a quelli della politica interna. Le trasformazioni radicali dei servizi, i mutamenti ed il ringiovanimento del funzionari erano stati fatti a ragion veduta, con grande energia, ma con calma. Non si era creato accanto al ministero degli affari esteri ufficiale una sezione del partito nazionale fascista; si era messo il partito in condizione di servire anche nei quadri del ministero degli affari esteri per apportarvi uno spirito nuovo, rivoluzionario fascista.

Il barone von Neurath non sa prevedere come andranno le cose qui. Egli pure mi disse che Rosenberg desidera uno scambio di informazioni. Il partito ha in vari Stati dei membri delle S.A. (Sturm-Abteilungen) che dovrebbero fungere da informatori fiduciari. Egli contava stare a vedere prima di esprimere un giudizio al riguardo. Osservo solo che simili fiduciari ricevono di solito le notizie non da fonte diretta, ma di seconda mano, cosicché le notizie che forniscono, se non infondate, non rispondono generalmente ad assolluta verità e sono accompagnate da fronzoli che vi uniscono le varie persone attraverso le quali essi le hanno avute.

In aggiunta a quanto già riferH a V. E., informo che fra il personale dell'Auswartiges Amt non vi era fino ad ora nemmeno un funzionario diplomatico

o consolare che fosse nazionalsocialista, mentre erano numerosi i membri di

trul partito fra gli impiegati d'ordine. I primi ereno in parte sdmpatizzanti per i tedesco-nazionali e P€Q' l'Elmo d'acciaio od in parte Uber-ali socialistoàdi, seguaci del defunto Stresemann.

Il pall'tito na2lionalsocialista .info·rmato dai suoi membri impiegati d'ordine delle idee prevalenti fra i funz,ionari diplomatict consolari, crede suo diritto e suo dovere di sapere come si passino esattamente le cose nella Auswartiges Amt.

L'idea di nominare Rosenberg segretario di Stato al posto di von Btilow non poté essere realizzata. Furono però col 1° aprile messi nell'Auswartiges Amt un altro sdcgnor (Vicco) von Biilow, ex diplomatico e gU fu affidata una nuova seZ<ione (interessi degli stranie.l'li in GermMlla) ed il principe ereditario Josias di Waldeck e Pyrmont, già aiutante di Hitler e capo di un riparto di S.S. (Schutz Staffel) il quale esplica la sua attiv.ità nella direzione generale del personale, in quella cioè, a mezzo della quale dovranno fa·rsi grandi cambiamenti.

I funzionari dell'Auswartiges Amt e presumibilmente anche quelli all'estero, vivono giorni di grande ansietà, perché corre voce che vi siano già pronte liste di prescrizione.

Ad accrescere tale ansietà contribuì la circostanza che il 31 marzo scorso

militi delle S. A. si presentarono al domicilio del console generale Schlesinger,

capo dell'uff,icio economico dell'Europa Orienta;le, ed eseguirono una perquisi

zione. Il signor Schlesinger, che conosco da molti anni, perché veniva frequen

temente a Mosca a trattare con i soviet affari commerciali, è ebreo e professa

idee liberali socialiste. Lo si accuserebbe di essere filo-comunista, imputazione

questa che viene dichiarata insussistente dai suoi colleghi dell'Auwartiges Amt

che, a quanto mi risulta, dovrebbe essere infondata. Per ora egli non è stato

allontanato dal suo ufficio, ma non si nutrono illusioni al riguardo.

La nomina di Rosenberg ha suscitato emozione nei circoli diplomatici po

lacchi, baltici, della Piccola Intesa e naturalmente anche in quelli francesi,

perché egli è nato ed ha trascorso la giovinezza a Riga, essendo un tedesco

baltico.

Poiché gli Stati baltici vengono dai giornali nazionalsocialisti chiamati fre

quentemente «Rauberstaaten » (Stati briganteschi) è comprensibile che essi

temano che Rosenberg possa esercitare la sua influenza nel senso che la Ger

mania faccia un atto di forza in quella direzione. La marina tedesca sarebbe

già oggi in grado dicono essi, di appoggiare uno sbarco di truppe tedesche sulle

coste baltiche, senza incontrare ser.ia opposizione da parte del mare.

Seguirò con attenzione lo svolgimK1to degli avvenimenti all'Auwartiges Amt

e riferirò ulteriormente a V. E.

La situazione del barone von Neurath non è ad ogni modo né facile, né

tranquilla. Lo prova il fatto che corse in questi giorni [a voce che egli avesse

dato le dimissioni, voce che fu peraltro testé smentita da un comunicato uffi

ciale.

Come V. E. ricorderà, il barone von Neurath fu confermato nel suo posto

da Hitler (l) su richiesta del presidente del Reich, ma la posiz.ione del mare

sciano von Hindenburg è andata perdendo sempre più di importanza in questi due ultimi mesi, soprattutto dopo la votazione della legge che accorda al Governo pieni poteri, importanti al punto da attribuire al cancelliere anche la firma di gran parte dei decreti, che entrano così in vigore senza necessità della firma del presidente del Reich.

(l) Non pubblicato.

(l) La notizia era stata comunicata da Cerrutl con t. per corriere 1031/163 R. del 14 marzo, non pubblicato.

358

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1352/94/64 R. Belgrado, 3 aprile 1933 (per. il 6).

Nel suo discorso del 30 marzo 1933 Jeftic ha pronunciato le seguenti parole: c Prossimamente noi sottometteremo alla vostra approvazione un numero considerevole di convenzioni ed accordi internazionali. Altri importanti accordi internazionali sono allo studio o in via di elaborazione e noi speriamo che essi siano realizzati. Non tralasceremo nessuna occasione per abbordare la preparazione o la realizzazione degli accordi. In questo noi pensiamo sempre in primo luogo ai nostri vicini. Siate convinti che la buona volontà non ci farà mai difetto affinché gli accordi sinceramente desiderati per noi siano conclusi e che i migliori rapporti di buon vicinato si sviluppino l>. Avendolo veduto pochi momenti fa per prendere congedo prima della mia pa,rtenza per l'Italia gli ho chiesto se egli alludesse all'Italia con la frase c noi pensiamo in primo luogo ai nostri vicini». Jeftic mi ha risposto che così era infatti. Ed ha continuato: «il momento pare il peggiore possibile, perché le nostre politiche si stanno sempre più allontanando. Ma io credo tuttavia che se non possiamo realizzare l'accordo politico, possiamo però venire ad una conclusione su tutte le altre molte questioni commerciali, economiche, agrarie, ecc. ecc. che o sono già avviate ad una soluzione o la attendono. Sono molto più numerose di quanto credevo, come mi sono accorto in questi giorni che le ho studiate personalmente. Ma io voglio avere la coscienza netta e dirmi di avere fatto tutto quanto sta in me per regolarle. Non ho ancora alcuna proposta precisa. Ma avrò da proporne fra quindici o venti giorni. E ciò in attesa che l'orizzonte politico si rassereni e le quattro Potenze si mettano d'accordo. Il che è quanto oggi desideriamo. Poi verrà forse anche il momento di accordarsi fra noi». Gli ho risposto che sarei stato di ritorno fra una diecina di giorni, ed avrei atteso le sue proposte. È adesso chiaro. che la domanda fattami p.::,r conoscere il nome del rappresentante del ministero degli affari esteri nel comitato economico (v. rapporto

n. 1876/653 odierno) (l) rientra in questo progetto generale del quale mi ha fatto cenno Jeftic.

(l) Non pubblicato.

359

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL

APPUNTO. Roma, 3 aprile 1933.

Ho convocato l'Ambasciatore di Germania e gli ho consegnato il nuovo testo inglese con la relativa nota esplicativa (1). L'Ambasciatore ha rilevato che l'art. 2 sulla revisione è sostanzialmente modificato, in quanto secondo il testo inglese pare che fin dall'inizio debbano essere chiamati a partecipare alla discussione tutti i paesi interessati e quindi viene meno il concetto dell'accordo dei quattro come regime per il mantenimento della pace in Europa.

Ho rilevato l'esattezza di questa osservazione, fatta del resto già da noi, richiamando però l'attenzione dell'Ambasciatore sulla diversità dei casi di cui i quattro potranno essere chiamati a trattare. Evidentemente la situazione è molto diversa nella questione del corridoio polacco dove delle due parti in causa l'una fa parte del gruppo dei quattro, mentre l'altra no, dalla questione dei confini dell'Ungheria dove tutti i contendenti sono fuori del gruppo direttivo.

L'Ambasciatore riconosce l'esattezza di questa osservazione, facendo tuttavia presente che quando allla Germania non fosse riservata questa situazione speciale nella questione del corridoio, non avrebbe interesse all'accordo.

Gli prospetto la possibilità, sempre in via di conversazione, che ci sia prima una consultazione a quattro per poi discutere le questioni coi direttamente interessati. L'Ambasciatore ritiene a titolo puramente personale, che questa forma sarebbe accettata.

Per quanto riguarda l'art. 3, l'Ambasciatore ha l'impressione che il Piano MacDonald non possa essere accettato senz'altro nella sua integrità; ritiene che le stesse difficoltà saranno sollecite anche da parte francese.

Invito l'Ambasciatore ad inviare la proposta inglese a Berlino perché facciano le loro osservazioni; metto bene in chia.ro che questo testo non è da noi accettato, ma lo consideriamo soltanto un elemento per arrivare ad una redazione definitiva; si terrà conto naturalmente allo stesso titolo delle osservazioni tedesche già fatte (2) e di quelle che perverranno in seguito.

Per quanto riguarda il comunicato sulla riunione del Consiglio dei Ministri di ieri a Parigi, l'Ambasciatore esprime l'opinione che la frase relativa alla partecipazione della Polonia alla Piccola Intesa non sia assolutamente accettabile. Gli rispondo a titolo personale che condivido il suo punto di vista ma che ad ogni modo conviene attendere il promemoria per vedere come la cosa è presentata.

Non è da escludere che il comunicato sia stato esagerato in senso favorevole alla Polonia ed alla Piccola Intesa per tutelare la viva opposizione fatta da queste Potenze.

{2) Cfr. n. 30'7.

(l) Cfr. n. 347.

360

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL MINISTRO D'UNGHERIA A ROMA, HORY

APPUNTO. Roma, 3 aprile 1933.

Ho consegnato al Ministro d'Ungheria il progetto inglese e la relativa nota esplicativa. Il Ministro d'Ungheria ritiene che l'art.... (l) nella nuova redazione non risponda allo spirito dell'accordo. Ci prega di trasmettere direttamente a Budapest i documenti non avendo in questi giorni un suo corriere (2).

361

L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, GRAHAM, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. P. Roma, 3 aprile 1933.

Following our conversation this afternoon, I beg to inform you that Mr. MacDonald considers that should you be in agreement with us regarding the revised draft (3) it will be best to issue a statement, in terms agreed upon between your Excellency and him, rather than to publish the draft prematurely.

Mr. MacDonald thinks that perhaps even a generai declaration might be premature unti! we know the views of the French Government regarding the British proposed amendments.

362

IL MINISTRO A SOFIA, CORA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1307/27 R. Sofia, 4 aprile 1933, ore 14 (per. ore 16).

Informazioni di cui al telegramma di V. E. n. 37 (4) sono senza fondamento. Atteggiamento favorevole di questo Governo risulta già dalle dichiarazioni del presidente del consiglio ai giornalisti e dal mio telegramma n. 26 (5). Mi sono adoperato chiarire qualche dubbio che poteva sussistere in certe sfere dirigenti a cagione delle tendenziose prime informazioni stampa francese,

w~~~ ~

qui molto seguite, e continuerò ag1re in tal senso, se necessario, valendomi maggiori noti~e fmmite col telegramma di V. E. n. 39 <l).

Tuttavia ritengo che non v.i possa essere dubb:Lo cLrca atteggiamento Governo bulgaro verso il patto proposto da V. E. e infa>tti oggi stesso s:l.gnor Musc,ianoff mi ha ripetuto trattarsi avvenimento più importante attuale momento aggiungendo che il suo Governo intende assumere un atteggiamento sempre più marcatamente favorevole al «patto».

In quanto alle impressioni e valutazione azione possibilità Piccola Intesa prevalenti in Bulgaria mi riferisco al mio rapporto n. 346 del 1° corrente (2).

(1) -Il numero è lllegglbile a causa del deterioramento del documento. (2) -Con D.rr. 2240 del 5 aprile furono Inviati a Colonna il nuovo testo Inglese con la relativa nota esplicativa (cfr. n. 347) e 11 testo concordato t!urante la visita a Roma d! MacDonald e Slmon (cfr. n. 239) perché ne desse confidenziale comunicazione al Governo ungherese. Colonna rispose con R.rr. 3299/644 dell'8 aprlle di aver dato comunicazione del documenti a Kanya 11 quale aveva espresso la sua gratitudine ma non aven fatto particolari commenti e al era Umltato a dire che bisognava attendere le osservazioni francesi. (4) -Cfr. n. 340; 37 è 11 numero di protocollo particolare per Sofia. (5) -Non pubblicato.
363

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 1310/45 R. Budapest, 4 aprile 1933, ore 19,33 (per. ore 21,45).

A telegramma di V. E. 56 personale (3).

S. E. Gombos mi prega comunicare a V. E. che esso non solo concorda pienamente avviso R. Governo, ma sta anche già attivamente adoperandosi a Vienna nel senso desiderato.

Mi chiede inoltre farle pervenire sua viva preghiera V. E. voglia previamente informarlo della risposta che R. Governo intendesse dare a Parigi circa controproposte piano Mussolini che gli risulterebbero essere state testé concordate colà durante soggiorno signor Titulescu.

Circa altri argomenti colloquio odierno riferisco corriere posdomani con telespresso segreto n. 612 (2).

364

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. s. 582/72 R. Roma, 4 aprile 1933, ore 21.

Suo telegramma 116 (4).

Nell'approvare linguaggio tenuto dalla S. V. con cancelliere rilevo che appunto fatto da Dollfuss alle Heimwehren non manca di un certo fondamento. Ma mentre è giusto ed opportuno che Heimwehren si mettano agli ordini del cancelliere, è anche necessario che egli le valorizzi. Soltanto così si potrà stabilire una proficua collaborazione fra i due uomini e le forze che essi rappresentano. l

Le Heimwehren debbono imperniare loro propaganda sulla lotta contro il marxismo, tralasciando di toccare questione indipendenza dell'Austria, per evitare contrapporsi, nelle attuali condizioni sfavorevoli, al movimento nazionalsocialista. Spetta al Governo di controbattere campagna annessionista riaffermando sicura fede nell'idea statale e nazionale austriaca.

V. S. vorrà adoperarsi in tal senso tanto presso Dollfuss quanto presso Starhembmg, facendo loro ,ri.J.evare che il fatto,re tempo è d.n questo caso di impoirtanza decisiva.

(l) -Cfr. n. 278, nota l. 39 è 11 protocollo particolare per Sofia del t. 569 R. (2) -Non pubbllcato. (3) -Cfr. n. 350 inviato a Budapest con protocollo particolare 56. (l) -Cfr. n. 319.
365

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. 583/73 R. Roma, 4 aprile 1933, ore 21.

Già espresso favorevole impressione ultimi provvedimenti cancelliere (1). Pare opportuno accelerare tempi per liberare land e città Vienna da austromarxismo anche con riflesso saliente episodio relativo tentato scioglimento quelle formazioni heimwehriste. D'accordo non parlare per ora di elezioni che potranno essere indette quando epurazione Stato, enti locali e tutte organizzazioni civili e politiche austro marxismo sarà sufficientemente progredita. Per il caso gliene fosse parlato relazione accenni antecedenti potrà assicurare cancelliere che lo vedrò volentieri dopo superato attuale fase politica austriaca disposto anche spostarmi qualche città Italia settentrionale ad esempio Venezia.

366

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1312/215 R. Parigi, 4 aprile 1933, ore 21 (per. ore 0,30 del 5).

De Jouvenel è venuto a vedermi all'ambasciata. Consiglio di Gabinetto di ieri è stato favorevole al patto delle quattro Potenze. Tutti i ministri che hanno preso la parola si sono espressi in senso favorevole, ad eccezione del ministro della marina Leygues. Ambasciatore crede che dopo consiglio dei ministri di domani sarà fatta comunicazione all'Inghilterra e che, se risulta possibile arrivare ad una intesa, sarà poi discusso patto con l'Italia.

Ho osservato che dalle notizie dei giornali sembra che la Francia non intenda limitarsi a rispondere all'emendamento britannico ma che prepari un

nuovo testo. Ho soggiunto che avendo noi comunicato ambasciatore di Franc1a a Roma primo e secondo progetto patto, supponevo la Francia agirebbe analogamente verso di noi.

Se V. E. me ne darà istruzione mi esprimerò nello stesso modo col Quai d'Orsay. Non è escluso che il Gabinetto di Parigi tenda con trattative dirette francoinglesi a metterei davanti a fatti compiuti.

Ho avuto conferma da de Jouvenel che mentre si è d'avviso generalmente negli ambienti politici che alla revisione dei trattati si deve addivenire, si è egualmente d'accordo che non sia opportuno sollevare in questo momento la delicata questione che darebbe l'impressione di una inopportuna concessione fatta all'agitazione tedesca. D'altra parte secondo de Jouvenel i tedeschi non insistono affrettare revisione preferendo attendere nella lusinga di realizzarla più tardi in condizioni migliori.

Sebbene Ambasciatore di Francia non me lo abbia detto esplicitamente ho avuto impressione, dalla conversazione, che il Governo francese insisterà perché nel patto non si parli di revisione. Altro scoglio è costituito dall'atteggiamento di Herriot. Ambasciatore di Francia conta vederlo in questi giorni. Intorno a Herriot si fa un serio lavoro da più parti, per indurlo modificare suo atteggiamento di opposizione al patto ma egli ha finora resistito.

Ho già esposto il mio pensiero al riguardo col mio telegramma n. 184 e precedenti (1).

Se da parte nostra si facesse presto qualche cosa, si agevolerebbe evoluzione di Herriot il quale, persistendo nella sua opposizione, potrebbe creare difficoltà alla riuscita della nobile iniziativa di S. E. il Capo del Governo.

De Jouvenel conta ripartire per Roma sabato sera.

(l) Cfr. n. 334, nota l, p. 359.

367

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, A TUTTE LE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE

T. 589/c.R. (2). Roma, 4 aprile 1933, ore 24.

(R. Ambasciata Berlino) Ho telegrafato alle rappresentanze all'estero quanto segue:

(Tutti) Risulta che vengono diffuse all'estero notizie notevolmente esagerate quando non addirittura inventate circa atteggiamento circoli dirigenti tedeschi verso collettività ebraiche.

Prego V. E. (V. S.) di volere, presentandosene occasione in conversazioni in cui questione venisse toccata, mettere in guardia, come di sua iniziativa, contro tali eccessi polemici, valendosi argomenti atti indurre a più serena valutazione esigenze e difficoltà attuale situazione germanica.

(l) -Cfr. n. 253 e nota l allo stesso. (2) -A Berllno il telegramma !u lnv~ato per corriere.
368

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE S. 1409/50 R.

Ho riferito a parte (l) le dichiarazioni fattemi da Litvinov a proposito dei rapporti germano-sovietici. La parte più importante di quelle dichiarazioni è peraltro la seguente:

Litvinov considera la situazione internazionale della Germania estremamente debole, non solo nei riguardi della Francia e dell'Inghilterra, ma anche della Piccola intesa, dei Paesi Baltici, Polonia ecc. L'amicizia tedesca quindi non costituisce più, agli occhi dei sovietici, un grande apporto, «and naturally one cannot like to have so weak friends ~.

La dichiarazione era troppo preziosa perché cercassi di attenuarla, comunque sottolineandola o contrastandola. Mi sono contentato di registrarla e prego tenerla assolutamente riservata. Essa è però, ripeto, preziosa perché -a lungo andare -potrebbe -la situazione in Germania rimanendo immutata -spiegare un graduale orientarsi dell'URSS verso la Francia (2).

369

IL VICE CAPO GABINETTO, JACOMONI, ALL'ADDETTO STAMPA A VIENNA, MORREALE

L. P. Roma, 4 aprile 1933.

Manchiamo di Sue notizie da parecchio tempo e speriamo riceverne presto.

Abbiamo seguito con vivo interesse e compiacimento l'azione energica del Cancelliere. Come Ella saprà egli si è lamentato col Ministro Preziosi delle Heimwehren (3).

Il nostro punto di vista è il seguente: Le Heimwehren devono mettersi agli ordini del Governo e intensificare la loro propaganda, prendendo come parola d'ordine la lotta contro l'austro-marxismo. A sua volta il Cancelliere deve servirsi delle Heimwehren come di cosa propria, che non si strutta, ma si valorizza. Le Heimwehren devono diventare il vivaio del partito cristiano-sociale. In questo senso abbiamo oggi telegrafato anche al Ministro Preziosi, incaricandolo di darsi da fare tanto presso Dollfuss quanto presso Starhenberg affinché si stabilisca fra i due una collaborazione sincera e completa (4).

(-4) Cfr. n. 364.

Aggiungiamo qui che per quanto concerne l'opera di persuasione su Starhemberg, contiamo specialmente su di Lei. Gli dica di tener sempre presente allo spirito che ogni ora che passa è oggi a vantaggio dei Nazi.

Per quanto concerne la campagna a favore dell'indipendenza austriaca, è prudente !asciarla fare dal Governo della Repubblica. Le Heimwehren hanno oggi troppi annessionisti nelle proprie file e sono soprattutto troppo deboli per contrapporsi, in una forma così netta, al movimento nazional-socialista.

Al punto in cui stanno le cose giudichiamo opportuno che Ella informi d'ogni Sua azione il Ministro Preziosi, restando inteso che Ella ci riferisce direttamente e ch'Ella riceve ordini da Noi. La Sua azione deve quindi restare indipendente ma diviene collaterale a quella del Ministro ed a lui nota.

Circa la custodia del noto fondo è bene non portare innovazioni, almeno per ora. Ritorneremo sulla questione appena Ella ci avrà fatto conoscere le richieste

o proposte che verosimilmente Le verranno fatte in seguito all'accettazione del programma propagandistico da parte di Starhemberg. Per quanto concerne infine le spese ch'Ella viene a sostenere in relazione allo

speciale servizio, la preghiamo di rivalersene sul fondCl stesso. La presente lettera è da bruciare.

P.S. Ci perviene ora la Sua relazione del 30 marzo u.s. (l) -Grazie. Il suo contenuto conferma l'opportunità delle suesposte istruzioni.

370.

IL MINISTRO A PRAGA, ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 585/379. Praga, 4 aprile 1933.

Data la speciale posizione geografica della Cecoslovacchia con la Boemia profondamente incastrata nel corpo della Germania e circondata da tre parti, entro le sue stesse frontiere, da una zona di compatta popolazione tedesca che costituisce, come ha sempre costituito, un facile ponte di collegamento fra la cultura e l'economia germanica e boema, è chiaro che gli avvenimenti nel Reich debbano avere le loro immediate ripercussioni in questo Stato, dove la politica interna è così intimamente legata alla politica estera.

Come i tesi rapporti con l'Ungheria si rispecchiano all'interno nell'atteggiamento di più o meno larvato irredentismo, sia pure più passivo che attivo, della minoranza magiara di Slovacchia, così i rapporti con la Germania e, in misura più limitata, con l'Austria, hanno il loro riscontro nella condotta dei partiti tedeschi di Cecoslovacchia nei riguardi di Praga.

Fino a che in Austria e in Germania dominarono i regimi cosi detti democratici, la popolazione tedesca di Cecoslovacchia manifestò sempre, nella sua grande maggioranza, sia pure soltanto attraverso il sistema parlamentare, sentimenti di lealtà, espressi nella alternata partecipazione di vari partiti al gover

no, suggerita da interessi culturali e nazionali, ma principalmente da tornaconti di partito. Alla politica così detta positivistica parteciparono infatti, nel passato i cristiano-sociali e gli artigiani, e vi partecipano tuttora i socialdemocratici e gli agrari, mentre vari elementi provenienti dai nazionali non esitarono a sostenere una politica di affiancamento che potevasi considerare come vera e propria collaborazione.

La vittoria del movimento hitleriano in Germania ha sconvolto la situazione nel senso che gli elettori de[ suddetti partiti abbandonano in numero sempre maggiore i:l campo della collaboramone ceco-tedesca, passando a quello deH'opposi:l)ione che, sotto i colori del nazionalsocialismo, comincia ad assume·re tutti gli aspetti dell'i.rredentismo (1).

A prescindere da qualche isola etnografica dell'interno, come ad esempio Praga e Brno, dove l'elemento tedesco è costituito in gran parte da intellettuali internazionali e da ebrei che usano il tedesco per antica abitudine e mandano già i figli alle scuole ceche, la grande maggioranza della popolazione tedesca segue con vivo interesse e non celate simpatie il corso degli avvenimenti germanici, appoggiando con entusiasmo l'azione del partito nazionalsocialista locale che, sostenuto moralmente e, dicesi, anche materialmente dalle organizzazioni hitleriane del Reich, mira a raccogliere sotto le proprie bandiere tutta la minoranza tedesca, sottraendola all'influenza dei partiti costituzionali, onde creare una massa compatta di elettori favorevoli al programma dell'autodecisione.

Questa azione è favorita da un lato dall'inerzia dei vecchi partiti che si sono troppo compromessi con la loro politica governativa, dall'altro dalla grave crisi economica che ha colpito specialmente le regioni industriali della Boemia del nord, rendendo fertile il terreno al radicalismo di destra e di sinistra. Oggi il partito nazionalsocialista può considerarsi come il più forte fra i partiti tedeschi di questo Stato e le elezioni ne darebbero una prova convincente. Non soltanto la borghesia, la classe intellettuale e gli strati della grande industria e del commercio, ma anche gli operai passano in massa al nazionalsocialismo, il quale ha nelle sue mani un'arma potente per combattere l'idea del lealismo e del collaborazionismo: la miseria in cui si è venuta a trovare la regione in parola, dove gran parte di quella già fiorente industria ha dovuto sospendere ogni attività, avendo perduto i suoi mercati esteri ed essendo stata trascurata dal Governo, nella sua azione di risanamento, a favore dell'industria ceca.

La coalizione e quindi il governo si trovano, in tali circostanze, a mal partito essendo venuto loro a mancare l'appoggio della maggioranza degli elettori tedeschi. Le elezioni sarebbero una logica conseguenza di questo mutato stato di cose, ma nessuno, nel campo governativo, si azzarda a chiederle. Non i tedeschi che se ne vedrebbero decimate le file, non i cechi che nella conferma elettorale del radicalismo di questa minoranza temono delle ripercussioni non tanto nella politica interna, quanto nella politica estera che finora aveva affermato di godere del consenso anche della popolazione allogena, costituente un elemento di primaria importanza per la vita di questo paese. Ecco una delle ragioni per cui finora non si è dato ascolto alle insistenze dei nazionalisti cechi perché l'attuale coalizione ceco-tedesca venisse sciolta e sostituita da una nuova coalizione na

30 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XIII

zionale, comprendente soltanto gli elementi slavi, ceco e slovacco. Ma i più conside.ramo questa soluzione come un'arma a doppio taglio, pe.rché se da una parte permetterebbe agli slovacchi di ritornare al potere, con conseguente attenuazione delle loro tendenze autonomistiche, dall'altra favorirebbe ancor più il distacco dei tedeschi da P.raga, sp:ingendoli tutti ve.rso H nuovo irredel[1tismo, particolarmente pericoloso per l'esistenza della repubblica, data la zona in cui esso tende a manifestarsi.

La situazione politica interna appare da tutto ciò oltremodo incerta e complicata. H governo e la coalizione limitano il loro lavoro aUo st.rettamente indispensabile, senza precise direttive, senza programmi pratici che non siano quelli ripetutamente enunciati da ministri e da partiti, rivelanti solt~nto un disorientamento generale.

Nello stesso campo ceco manca unanimità di vedute e concordia di intenti. Anche fra i partiti cechi regna la preoccupazione per l'avvenire, giustificata dal profondo malcontento delle masse che a stento e con mezzi artificiosi sono mantenute nei quadri dei vecchi organismi. Le tendenze estremistiche guadagnano rapidamente terreno, particolarmente nelle campagne, dove comunisti e nazionalisti conquistano di giorno in giorno nuove posizioni: i primi sfruttando la crisi economica e la disoccupazione, i secondi ricorrendo allo spauracchio del pangermanismo. Ne fanno le spese in primo luogo i socialdemocratici che, fra i partiti cechi, sono divenuti, si può dire, i più costituzionali ed i più reazionari e quindi i meno ben visti dalle masse inquiete ed irritate.

(l) -Con R. 1535/715 del 3 aprile, non pubblicato. (2) -Annotazione a margine di suvlch: «Segnalare a Berlino ». (3) -Cfr. n. 323.

(l) Cfr. n. 331.

(l) Il capoverso è sottolineato da Mussollni.

371

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. R. 1542/732 Mosca, 4 aprile 1933 (per. il 10).

Nella mia ultima conversazione con Litvinov (31 marzo) non ho mancato di toccare il punto di cui alle istruzioni della E. V. (telegramma per corriere

n. 426 del 16 marzo) (1), ma molto alla larga e prendendo occasione dal viaggio di Muscianoff a Parigi. Litvinov non ha dato in proposito segni di particolare reazione ed io mi riservo di tornare sul punto stesso a momento opportuno.

Nell'occasione, peraltro, Litvinov mi ha detto che, per quanto sprovvisto di informazioni dirette, egli considera come naturale che la Francia e la Piccola Intesa in questo momento cerchino di attirare nella propria orbita la Bulgaria.

Ha pure aggiunto -ed è questo che mi sembra più importante -che la cosa in sé era pericolosa anche agli effetti della Turchia, la fantasia politica di Tewfik Ruschdi bey (già mediatore sfortunato fra Bulgaria e Grecia ed ideatore di una sua particolare politica balcanica: mio telegramma per corriere 1° dicembre 1931 n. 230) (2) non escludendo la possibilità della accessione della

stessa Turchia ad una combinazione b::.~c:mica, che fosse il frutto della nuova situazione europea.

Il valore dell'ammonimento di Litvinov è ai miei occhi menomato dal suo amore per la « tesi ~ in questo momento a lui cara secondo cui l'hitlerismo da una parte e il Patto a 4 dall'altra stanno portando lo scompiglio un po' dappertutto. Non è la prima volta però che Litvinov ci dà, anche nei riguardi della Turchia qualche amichevole avvertimento.

(l) -Cfr. n. 216. (2) -Non pubblicato.
372

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 594/131 R. Roma, 5 aprile 1933, ore 18.

Ritengo opportuno che V. E. informi MacDonald della richiesta avanzatale da Norman Davis di estendere agli Stati Uniti il patto a quattro e del punto di vista del Governo italiano, in particolar per quanto concerne sia la non attualità della richiesta di Norman Davis sia l'opportunità di ottenere da parte degli Stati Uniti una dichiarazione generica di adesione (1). Resta inteso che tale comunicazione dovrà avere carattere strettamente confidenziale.

Il punto di vista del Governo italiano dovrebbe logicamente coincidere con quello del Governo britannico. Per quanto concerne la possibilità di una pubblica dichiarazione del Governo americano d'adesione generica (mio telegramma

n. 128), qualora codesto Governo concordi circa possibilità e opportunità di simile atto, vedrà V. E. se non sia il caso di concertarsi con MacDonald perché i rappresentanti italiano e britannico a Washington parlino in tal senso con quel Governo.

373

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, CERRUTI, A PARIGI, PIGNATTI, E A WASHINGTON, ROSSO

T. 595 R. (2) Roma, 5 aprile 1933, ore 21.

(Per tutti) Il R. ambasciatore a Londra telegrafa quanto segue: (3)

È stato telegrafato al R. ambasciatore a Londra quanto segue: (4)

(Per Parigi e Berlino) e ne informo V. E. per sua notizia:

(Solo per Washington) L'avverto per sua norma che questo ambasciatore di America è stato sommariamente informato che Norman Davis ha avuto un colloquio con Grandi. All'Ambasciatore non sono però stati forniti particolari sul

(-4) Cfr. n. 353.

suo contenuto. Nel corso della conversazione è stato messo in evidenza a questo ambasciatore d'America che dal patto esula qualsiasi idea di fronte unico e che tutta l'economia del patto si ispira a quella che è stata sempre di,rettiva politica Stati Uniti collaborazione cioè con Potenze occidentali per risoluzione principali questioni europee senza però assumere precisi impegni.

Per quanto riguarda sue conversazioni costi, Ella vedrà se ed in qual forma e misura sia il caso di tener parola a codesto Governo della proposta di Norman Davis di includere gli Stati Uniti nel patto a quattro. Per quanto concerne invece la possibilità di una dichiarazione generica di adesione di questo Governo riterrei conveniente che Ella ne sondi senz'altro intenzioni.

(Per Parigi) Non avendo S. E. Grandi rivisto Norman Davis nel frattempo partito per costà, sarà oportuno che V. E. se ha occasione di vedere la detta personalità, si esprima in conformità alle istruzioni di cui al telegramma surriportato per Londra.

(l) -Cfr. nn. 336 e 353. (2) -A Parigi e Berlino Il telegramma venne inviato per corriere. (3) -Cfr. n. 336.
374

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, E IL MINISTRO A TIRANA, KOCH

APPUNTO. Roma, 5 aprile 1933.

S. E. Il Capo del Governo, nell'udienza che il 2 aprile mi ha fatto l'onore di accordarmi, alla presenza di S. E. l'On. Suvich, mi ha subito detto di essersi reso conto che la nostra politica in Albania deve ormai cambiare sistema. «Occorre stabilire le rispettive posizioni, anzi ristabilirle. L'Albania è andata dimenticando quale sia la situazione dell'Italia nei suoi confronti e sembra non rendersi conto della posizione dell'Italia fascista-che non è quella del HJ20 -·nei riguardi della politica internazionale. La grande impressione che ha fatto a Tirana la recente visita di MacDonald a Roma -secondo quanto ha informato un telegramma della R. Legazione -sta anche a dimostrare che si ha un concetto ben limitato in Albania della situazione dell'Italia d'oggi. Questo può spiegare certi atteggiamenti del Governo albanese nei riguardi dell'Italia che devono anche trovare la loro spiegazione nell'incapacità di quei dirigenti ad avere la giusta comprensione di determinate situazioni. Se no non si capirebbe come mai il delegato albanese a Ginevra si permetta di dare il suo voto in un senso contrario a quello del delegato italiano o di astenersi dal votare ».

S. E. Mussolini mi ha domandato che cosa pensassi di questo atteggiamento dell'Albania nei nostri riguardi e quali ragioni, a mio avviso, potessero ispirare il Re in questa sua linea di condotta. Ho risposto che il Re vuole fo,rse farsi perdonare dal popolo di essere una creatura dell'Italia e ho aggiunto che mi sembra vi sia anche la nostra parte di responsabilità per la situazione creatasi in Albania nei nostri riguardi. Si è, a mio avviso, sopravvalutato troppo que,l paese dando l'impressione al Re ed ai suoi dirigenti che esso sia indispensabile agli interessi dell'Italia. Ho ricordato quanto lo stesso Re, in uno di quei suoi rari momenti di sincerità, che lo rendono quasi simpatico, mi aveva detto circa il valore di un napoleone che egli attribuiva al campicello incolto e infruttifero nel quale intendeva rappresentare l'Albania e la sua sopresa quando si è presentato un amatore che valorizzava quel povero terreno mille napoleoni. Evidentemente il campicello doveva avere un tesoro nascosto di cui egli non si rendeva ben conto ma che gli faceva cambiare completamente le sue idee al riguardo e esaminare con gelosa cura tutte le offerte e trattative che concernevano quella sua proprietà tanto altamente apprezzata. II Re veniva insomma a rimproverare in qualche modo al Governo Fascista di aver troppo largheggiato nei riguardi dell'Albania e di averla male abituata.

Effettivamente -ho detto a S. E. il Capo del Governo -si è data un po' l'impressione all'Albania che l'Italia la consideri indispensabile per la sua politica; data la mentalità dei popoli balcanici, facili a montarsi e a soprastimarsi, ne è derivato un facile spostamento dei termini in cui rispettivamente dovrebbero trovarsi i due paesi nei loro confronti e nei confronti internazionali. D'altra parte, quando si è voluto da parte nostra in determinate circostanze fare la voce grossa contro l'Albania, si è finitJ in definitiva per cedere. Ho ricordato che lo scorso anno i nostri delegati alla Commissione del Prestito sospesero la loro attività e arrestarono pertanto tutto il servizio del Prestito poiché il Governo albanese non voleva ammettere una determinata forma procedurale circa i mandati di pagamento. II Governo albanese non sembrò preoccuparsene e dopo sei mesi i nostri delegati ripresero tranquillamente i loro lavori -senza avere avuto soddisfazione -in condizioni certo di non migliorato prestigio per loro.

S. E. il Capo del Governo ha egli stesso ricordato che un affronto serio al proprio prestigio ebbe a riceverlo già il Generale Pariani quando minacciò di andarsene per il mancato rinnovo del Patto di amicizia e tuttavia rimase malgrado Io scacco avuto per il rifiuto del Re a firmare il Patto.

S. E. Mussolini mi ha domandato notizia sull'attività che spiega il generale Pariani. Ho risposto che egli continua egregiamente la sua opera riorganizzatrice ma che ho dovuto rendermi conto in questi mesi di attento esame della situazione che al punto di vista politico, i risultati di questa sua organizzazione sono assai dubbi e possono anche 1:1iservarci dolorose sorprese. Sarebbe bene pensare a rivedere questo programma e in ogni modo occorrerebbe procedere per quanto possibile -come del resto era stato deciso -alla smobilitazione dell'organizzazione preliminare che è quella che soprattutto forma e sviluppa Io spirito nazionalista.

Qui il Capo del Governo ha detto che questa organizzazione giovanile era stata decisa nell'intento di creare un sano nazionalismo, attraverso il quale il popolo albanese avrebbe dovuto sentirsi maggiormente unito all'italiano. Ho rilevato che purtroppo non è così; che lo spirito nazionalista della gioventù albanese si manifesta in maniera morbosa e pericolosa; il sentimento irredentista è nullo; è sentito invece uno spirito di avversione per lo straniero in generale e per quello, in particolare, che è maggiormente presente e di cui la superiorità è maggiormente sentita, cioè l'italiano.

«Ma se è così -ha soggiunto il Presidente -evidentemente occorre smobilitare. Del resto sono ormai diciotto mesi che sento dire che il Generale Pariani deve partire. Egli avrebbe dovuto partire all'epoca della mancata firma del Patto di Amicizia, poi avrebbe dovuto partire al momento della sua promozione a Genera'le di Divisione. Ormai anche l'organizzazione de.Ue tre divisioni milital'i (di cui la terza solamente nei quadri) dovrebbe essere ultimata~

A domanda di S. E. il Capo del Governo circa quanto mi risultasse delle opere di difesa, ho risposto che esse stanno anche peil' essere ultimate, dovrebbero essere pronte il prossimo mese; che ne ho riportato, nel visitar le, una eccellente impressione e che, essendo tutte impostate in caverne, in direzione verso l'esterno, possiamo essere tranquilli che non avremo sorprese al riguardo in qualsiasi evenienza; dato che... le montagne non si girano.

Venuto il discorso sull'attività politica del generale Pariani, ho dichiarato che reputo egli non intenda di proposito svolgere una attività politica, ma che, data la precedente attività da lui svolta, i contatti continui che ha col Re per la sua posizione di Capo del Dipartimento Militare e la larghezza di mezzi di cui dispone, si trova nella situazione di non poter evitare di svolgere la sua attività anche nel campo politico. Il Re stesso se ne serve cercando anche di provocare un dualismo fra la R. Legazione e il R. ufficio militare e speculando su quello.

Ho qui letto a S. E. Mussolini un brano di lettera giuntami due giorni prima dall'Incaricato d'Affari che mi segnalava di avere avuto conoscenza da terza persona di un lungo colloquio che si era svolto fra l'Addetto Militare e il Re circa l'incidente sorto in materia di scuole professionali.

Il Capo del Governo da parte sua ha rilevato che le notizie sulla situazione

politica in Albania gli giungono da due fonti: la Legazione di Tirana e il Mini

stero della Guerra.

«Prossimamente, nel corso del mese di aprile, ha concluso, riassumendo, il Capo del Governo, dovrà essere definita la situazione internazionale imperniata sulla questione del Patto a auattro. Nel frattempo occorre tergiversare usando tuttavia maggiore fermezza che in passato, ma senza «si'> e senza «no~. Dopo, con dieci anni di tregua, la nostra politica in Albania non ci darà nessuna preoccupazione e perderà d'importanza. Quanto alle Scuole professionali, occorre mantenere il netto atteggiamento già predisposto; l'insegnamento obbligatorio della lingua italiana, di cui sembra che il Governo albanese voglia farci concessione, non può essere materia di scambio, ma dovrebbe essere una necessità per un popolo che, se vuole essere a contatto con l'Europa, deve attraversare il mare e venire in Italia. In Romania nelle scuole secondarie l'italiano è obbligatorio e cosi in molte scuole dell'America del Sud, paesi che non sono legati all'Italia da impegni di riconoscenza come l'Albania~

Anche per le trattative S.V.E.A., che dovranno essere svolte secondo i

principi stabiliti nella recente riunione, il Capo del Governo ha detto di cer

care di dilazionare in questo primo periodo.

Durante il colloquio si è parlato anche della concessione dei petroli del

Devoli (1). Ho rilevato che la pubblicazione dello stanziamento di 200 milioni

da parte della nostra stampa, riportata anche dalla stampa straniera, ha pro

dotto una certa impressione nei circoli dirigenti della capitale albanese in senso

non certo favorevole alla politica che andiamo seguendo di svalutamento della

concessione stessa, anche per ottenere migliori condizioni a favore della nuova concessione domandata ora dalla A.I.P.A. -Anche il risveglio della Società francese «Crédit Général des Pétroles » che si è affrettata in questi giorni a domandare la proroga della sua concessione, finitima a quella italiana, e a visitare i nostri pozzi, sembra provocato dalla pubblicazione in parola.

S. E. il Capo del Governo ha detto che la notizia data dalla stampa può forse essere stata poco opportuna ma che una Potenza come l'Italia non può passare sotto silenzio la pubblicazione del suo bilancio. Ha mostrato di interessarsi alle indicazioni da me fornite circa la distribuzione delle varie concessioni petrolifere rilevate da una carta dell'Albania che avevo appositamente portato con me. Ho risposto ad alcune domande rivoltemi circa la portata d'acqua del Devoli, la distanza della nostra concessione da Valona e da Durazzo e ho fatto presenti alcune considerazioni sulla convenienza che ci potrebbe essere a far sboccare l'oleodotto a Durazzo data l'importanza che ha assunto per noi quel nuovo porto, che sembra presentare sotto ogni punto di vista maggiori possibilità.

(l) Con. R. 218/80 del 21 gennaio, non pubblicato, Koch aveva riferito circa la visita d! Ciano e Sir!anni a! pozzi petroliferi del Devo!!.

375

COLLOQUIO FRA IL CAPO GABINETTO, ALOISI, E L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL

APPUNTO. Roma, 5 aprile 1933.

Mi ha chiesto se avevamo dato g1a dato risposta alle controproposte inglesi (l). Gli ho detto che nostro proposito era di attendere ad aver sott'occhi anche le attese controproposte francesi ed eventuali osservazioni tedesche per poter cosi redigere un'unica risposta che tenesse conto dei vari punti di vista, armonizzandoli. Allora mi ha consegnato il testo delle osservazioni tedesche alle controproposte inglesi, che qui escludo, e che, come V. E. potrà osservare, contengono una decisa opposizione alle alterazioni apportate dagli inglesi al progetto italiano.

ALLEGATO

L'AMBASCIATA DI GERMANIA A ROMA, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

PROMEMORIA 681. Roma, 5 aprile 1933.

Le nuove proposte inglesi contengono infatti sì essenziali cambiamenti della proposta originale italiana, che il suo pensiero fondamentale ne verrebbe non soltanto pregiudicato, ma completamente volto nell'opposto.

l) Che la cancellazione della seconda frase dell'articolo I rende il patto politicamente alquanto meno formale è evidentissimo, avendo questa modificazione senza dubbio lo scopo di venire incontro alla Francia ed ai suoi alleati. In questo articolo, così attenuato, il patto ha, per quanto riguarda la politica generale, appena maggiore importanza che le ripetute dichiarazioni degli ultimi anni sulla collaborazione pacifica, come per esempio ultimamente esse vennero fatte anche dalle Potenze alla Conferenza di Losanna. Questo attenuamento del Patto, potrebbe comunque essere tollerato dal punto di vista tedesco, poiché non lede direttamente interessi specifici tedeschi. Diversa però è la cosa nei punti seguenti:

2) Con il cambiamento proposto dall'articolo II, questo non sarebbe plU un invigorimento ad un ravvisamento dell'idea della revisione, ma un peggioramento dell'attuale stato. La revisione dovrebbe ora essere del tutto ristretta nei limiti del testo dell'articolo 19 dello Statuto della Società delle Nazioni. Non si fa più menzione del fatto che le quattro Potenze riconoscono espressamente la revisione dei trattati di pace e di voler fare elemento della loro politica la messa in pratica di questa revisione. Ma, per di più, il previsto accordo fra le quattro Potenze e gli altri Stati immediatamente interessati, accordo che, come procedimento di prima istanza, dovrebbe precedere il procedimento giusta l'art. 19 null'altro è che una limitazione radicale della libertà d'azione politica della Germania. L'articolo 19 concede alla Germania almeno la pos_ sibilità di portare di propria iniziativa dinanzi alla Società delle Nazioni una domanda di revisione e di ottenere con ciò, a seconda le circostanze, almeno un successo morale. Adesso non si dovrebbe poter appellarsi all'articolo 19, se non previo accordo delle quattro Potenze e con la Potenza toccata dalla revisione, dunque per esempio con la Polonia. È chiaro che, se nel caso concreto un tale accordo tra le Potenze occidentali più la Polonia potesse venire realizzato, con ciò in questo caso la revisione sarebbe regolata definitivamente, di modo che l'applicazione del procedimento della Società delle Nazioni verrebbe ad essere illusoria. Questo contrasto interno della nuova redazione risulta precisamente dal fatto che il testo inglese ha abbandonato l'idea originaria, secondo la quale le quattro potenze, pur appoggiandosi formalmente allo Statuto della Società delle Nazioni ma di fatto indipendentemente da esso, riconoscono in forma positiva la revisione e si impegnano a realizzare questo principio. Invece, ne è rimasto una specie di regolamento esecutivo per l'articolo 19, regolamento che non significa, come le parole introduttive lo affermarono, una facilitazione nell'applicare l'articolo 19, ma lo rende del tutto senza valore. Per eliminare queste apprensioni non è sufficiente ristabilire il principio della decisione preliminare delle sole quattro Potenze. Anzi, forse più importante è che l'intero articolo del Patto, appoggiandosi al testo originario italiano, riceva un'altra struttura nel senso di queste esposizioni.

3) L'articolo III porta nella nuova redazione in primo luogo l'essenziale peggioramento che nella prima frase la parità di diritto della Germania non viene riconosciuta che sotto le condizioni della convenzione del dicembre. Con ciò il « junctio » della questione della parità con quella della sicurezza verrebbe in massima fissata per l'avvenire. In secondo luogo è naturalmente anche secondo il nostro avviso impossibile di accettare in blocco il piano MacDonald. Abbiamo, è vero, designato questo piano a Ginevra come possibile base per ulteriori discussioni, potremmo però riconoscerlo come soluzione finale della Conferenza di Ginevra solamente dopo ampie modificazioni nel suoi particolari, le quali qui non sono da discutersi dettagliatamente. Altrettanto importante è l'apprensione ripetutamente sottolineata, di vincolare la Germania oltre la durata della prima convenzione. In questo senso anche le frasi l e 3 della nuova redazione inglese dell'articolo III dovrebbero essere fondamentalmente mutate.

Le esposizioni che precedono sono le osservazioni che da parte germanica si fanne> per ora di fronte alla nuova redazione inglese, osservazioni fissate in approfondite discussioni del Barone von Neurath con gli altri Ministri interessati ed in primo luogo con il Cancelliere del Reich.

(l) Cfr. n. 347.

376

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

.APPUNTO. Roma, 5 aprile 1933.

Mi ha detto di aver ricevuto un telegramma dalla direzione della Deutsche Allgemeine Zeitung con cui lo si prega di adoperarsi per ottenere da V. E. un articolo sulla situazione tedesca per quel giornale. L'Ambasciatore ha per suo conto appoggiato questa richiesta facendomi notare l'importanza del giornale, i suoi strettissimi legami col regime hitleriano e l'influente personalità del suo direttore, che è Presidente dell'Associazione della stampa di Berlino.

Non ho voluto celare un po' di sorpresa per la delicatezza della cosa e alle sue insistenze ho semplicemente risposto che avrei trasmesso a V. E. la sua richiesta.

377

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A SOFIA, CORA

T. 601/42 R. Roma, 6 aprile 1933, ore 16,15.

Suoi 26 (l) e 27 (2).

V. S. potrà chiarire codesto Governo che nel patto discusso a Roma non è stato parlato revisione trattato di Neuilly come non si è parlato in concreto della revisione di questa o quella delle clausole dei trattati di pace limitandosi impostare nelle sue linee generali problema possibilità revisione trattati e fissare procedura sua realizzazione.

Questo ministro di Bulgaria ha attirato attenzione R. ministero su campagna stampa francese cui accenna V. S. nel suo telegramma 27 secondo la quale Italia si disinteresserebbe aspirazioni bulgare. In proposito sono stati forniti al generale Wolkoff chiarimenti di cui sopra attirando sua attenzione sulla poca serietà simili informazioni che sono in così aperto contrasto con la politica di benevola amicizia che il R. Governo ha sempre seguito e intende seguire nei riguardi della Bulgaria.

378

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI

T. 602/189 R. Roma, 6 aprile 1933, ore 16,16.

Suo 212 (3).

In relazione «seTietà » attribuita da sua collega di InghilteNa ad argomenti addotti dal signor Titulescu faccio presente quanto segue: affermando principio revisione trattati, patto a quattro si limita a confermare nel quadro stesso della S.d.N. principi di cui all'articolo 19 dello statuto della Società. Non si vede quindi come Gove.rno rumeno che è membro della S.d.N. e che dell'Istituto di Ginevra ha sempre dichiarato fare u:ro dei cardini della sua politica possa oggi rifiutarsi di ammettere principio soknnemente affermato dallo statuto della Lega. Quanto signor Titulescu afferma circa possibilità per un Governo rumeno di aderire ad una discussione relativa revisione si applica egual

mente al caso in cui questioni del genere venissero oggi allo stato attuale delle cose solleva-te a GinevJ'a. Quanto precede per sua opportuna norma di linguaggio, senza tuttaV'ia mostJ'are che diamo soverchia ilnpor.tanza azione Titulescu. Ella potrà pure far rilevare che procedura prevista dal patto a quattro tendendo a riportare almeno nella fase istruttoria discussione nell'ambiente più riservato e sereno delle trattative diplomatiche fra cancellerie non solo non complica ma anzi può facilitare considerevolmente situazione interna Governi interessati.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 362. (3) -Cfr. n. 354.
379

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 1361/167 R. Washington, 6 aprile 1933, ore 21,50 (per. ore 7,30 del 7).

Telegramma di V. E. n. 150 Cl).

Mentre mi riservo di riferire in modo più completo dopo conversazione che avrò domani mattina al Dipartimento di Stato, desidero assicurare V. E. che a Washington nessuno ha mai interpretato patto Mussolini come tendente a costituire fronte comune europeo contro Stati Uniti. Qualche insinuazione in tal senso era bensì contenuta in certe corrispondenze stampa da Ginevra, Londra, Parigi, ma non venne rilevata neppure dai giornali meno simpatizzanti.

Nei miei colloqui con segretario e sottosegretario di Stato non ho avuto mai minimo indizio della esistenza di sospetti oppure timori del genere da parte americana.

380

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1404/S.N.R.

A proposito del viaggio a Roma del vice cancelliere von Papen, ho ragione di ritenere che le trattative che egli intende condurre con il Vaticano mirino non tanto a risolvere definitivamente il conflitto fra i vescovi tedeschi ed il nazionalsocialismo, quanto ad indurre la Santa Sede a stipulare un concordato con il Reich.

Come è noto esistono ora concordati con la Prussia, la Baviera e col Baden, cioè concordati con i «Lander ~. Si tratterebbe ora di farne uno con il Reich, avente valore in tutta la Germania. Il Governo nazionale vorrebbe infatti ottenere che la Santa Sede consentisse a sottoporre i vescovi all'autorità del Reich, in modo che essi non potessero più alzare la testa per assumere atteggiamenti di provocazione ed indipendenza.

Un concordato col Reich sarebbe pure un gravissimo colpo inflitto al centro.

Il signor von Papen è personalmente interessato a diminuire l'autorità di questo partito a causa dell'atteggiamento ostile da esso costantemente tenuto verso la sua persona, dato che non gli si perdona di aver abbandonato il Centro.

(l) Cfr. n. 373 che ha come protocollo particolare per Washington 150.

381

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CONSOLE GENERALE A ZAGABRIA, UMILTA (l)

TELESPR. 2248. Roma, 6 aprile 1933.

La questione da Lei nuovamente prospettata con il Suo rapporto 24 marzo

u.s. n. 1326/183 (2), è stata oggetto di anche più approfondito esame da parte di questo Ministero, ma le conclusioni a cui si è pervenuti sono di conferma delle estreme difficoltà con cui si potrebbe venire incontro alle richieste da Lei appoggiate: difficoltà così complesse e gravi da rendere di fatto impossibile la concessione dell'aiuto richiesto.

La preoccupazione infatti dei dirigenti centrali dell'Istituto è che, a parte l'anormalità dell'operazione del genere di immobilizzo evidente per una Banca, essa non potrebbe, anche se fatta indirettamente, non essere nota, e non attirare verso la «Croata'> l'ostilità aperta delle autorità serbe, con conseguenze incalcolabili per la compagine stessa dell'ente.

Ora l'esistenza e l'attività di questa nostra istituzione bancaria, efficacemente e difficoltosamente affermatasi sul mercato jugoslavo, rappresenta ormai un complesso così notevole di interessi materiali e politici per il presente e per il futuro che non pare consigliabile rischiare di comprometterlo per una operazione del genere, la cui utilità, per quanto essa stia a cuore ai noti dirigenti, non è proporzionata alla somma di nostri interessi che vengono messi in pericolo.

In un paese come codesto, ove le tutele e le garanzie legali sono di scarsa efficacia e invece le facoltà, per non dire l'arbitrio delle autorità, praticamente incontrollabili e senza limite, un ente che facesse palese atto di solidarietà e fornirebbe persino aiuto ad un partito antigovernativo e anzi illegale e fuori legge, si metterebbe da sé automaticamente in condizione di essere colpito.

Non possiamo consentire il verificarsi di una tale ipotesi. Riteniamo che ciò sarebbe in ultima analisi dannoso alla stessa causa croata, come dannosa è stata la pubblicazione di certe notizie nel Corriere della Sera il cui risultato è stato l'esclusione di tale foglio da tutta la Jugoslavia.

Ella vedrà come e meglio fare intendere tutte queste ragioni alle note persone, mettendo in evidenza che le nostre decisio:1i non partono in nessun modo da un mutato atteggiamento o valutazione ma esclusivamente da un giudizio necessariamente più pacato ed obiettivo di un interesse assai cospicuo costà nei riguardi della stessa situazione croata.

Comunque gradirei però conoscere in modo più prec1so come l'art. 5 della legge sulla tutela dei contadini da Lei citata nel Suo rapporto del 16 gennaio

u.s. n. 202 (l) potrebbe entrare in gioco nel caso attuale, se l'idea del riscatto per mezzo dei libretti di permanenza sia tecnicamente possibile, e infine se i pericoli che si paventano siano reali e possibili in base alle stipulazioni contrattuali.

Tali quesiti sono fatti a titolo confidenziale e personale e non alterano il punto di vista di massima precedentemente espresso.

(1) -Il telespresso venne Inviato per conoscenza a Galli. (2) -Cfr. n. 309, nota 1.
382

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 604/186. Ankara, 6 aprile 1933 (per. il 12).

Ho l'onore di accusare ricevuta del telegramma di V. E. n. 28 del 2 aprile corrente (2), al cui contenuto mi atterrò strettamente.

Intanto, questo Ministro degli Affari Esteri, di sua iniziativa, mi ha comunicato che dopo la risposta data dal Signor Simon sulla questione delle clausole di demilitarizzazione degli Stretti (risposta che è conforme al pensiero di V. E. che la « parità di diritto >> e la demilitarizzazione di zone sono questioni completamente distinte) il Governo turco non spingerà avanti, per ora, la questione.

Dalla breve schermaglia resta documentata la tendenza turca a liberarsi, prima o poi, dalla demilitarizzazione; tale tendenza se non riuscirà ad imporsi prima, si manifesterà senza fallo nel momento in cui la demilitarizzazione dovrebbe proprio servire cioè appena l'Europa sarà in aperto travaglio.

Resta documentata la tendenza russa ad assecondare la rivendicazione turca: le dichiarazioni del delegato sovietico Dovgalevski alla seduta della Commissione generale del disarmo del 23 marzo u.s. a Ginevra, sono esplicite al riguardo.

Resta infine affermato, di fronte al Governo turco, per la impostazione di principio che V. E. si è compiaciuta di approvare e che rimane come semplice presa di posizione generica, l'interesse vitale dell'Italia a questo problema e l'impossibilità che esso venga affrontato in forma unilaterale.

383

L'ADDETTO STAMPA A VIENNA, MORREALE, AL VICE CAPO GABINETTO, JACOMONI

L. P. XVII. Vienna, 6 aprile 1933.

Il deputato delle Heimwehren Hueber, capo delle Heimwehren di Salisburgo e cognato del ministro del Reich Goering, è tornato l'altro ieri da un

viaggio a Berlino. Vi aveva visto Pabst (il quale pare si sia messo anche egli a svolgere un'azione diretta non solo ad avvicinare le Heimwehren ai «nazi ~. ma anche a staccare le prime dal loro orientamento italofilo) e vi aveva visto Goering. Questi però non ha mostrato troppo interesse alle cose austriache ma gli ha consigliato di rivolgersi ai capi del «nazismo » in Austria: il capo provinciale Prokesch ed il fiduciario prussiano Habicht. E difatti Hueber si è fermato a Linz, prima di raggiungere Vienna, ed ha parlato con Habicht. Dalla conversazione è uscito un progetto di accordo tra «Nazi » ed Heimwehren il quale non poteva essere considerato altro se non una offerta di resa incondizionata della organizzazione di Starhemberg. Tale lo ha considerato lo stesso Starhemberg che ho visto subito dopo il suo colloquio con Hueber: l'ho trovato in uno stato di costernante depressione: da una parte il Governo con le sue mezze misure, che talvolta costituiscono una umiliazione per le Heimwehren, rende impossibile o, quanto meno difficile, la permanenza dei rappresentanti del movimento nel Gabinetto dall'altro i sottocapi, infatuati dei successi in Germania e delusi sull'efficacia dell'atteggiamento del capo, minacciano di disertare le file. L'amico mi ha fatto uscire dai gangheri sicché gli ho detto con una certa asprezza che tanto suo scoramento e tanta arrendevolezza mi meravigliavano: gli ho fatto presente che il suo compito è quello di svolgere con gli scritti suoi e con la parola opera di chiarimento: chiedere ancora al Governo precise assicurazioni, ma far comprendere colla maggior chiarezza possibile, e ai sottocapi e agli uomini ed all'opinione pubblica disposta a collaborare al salvataggio, che quello che i nazisti austriaci chiedono, impreparati come sono e pur puro spirito di imitazione, non può portare altro che al caos. Un nonsenso sarebbero le elezioni in questo momento, così come appare insensato lo sforzo dei nazisti austriaci di conseguire al più presto un'annessione di fatto alla Germania, che non potendo essere seguita dall'annessione di diritto, porterebbe il paese in una artificiosa e contraddittoria situazione dalla quale non potrebbe venirne fuori se non la sua assoluta rovina economica. Il colloquio, molto tempestoso si è chiuso coi ringra;oiamenti dell'amico. Il quale ha chiesto un colloquio al Gerente che ha visto stamattina e che rivedrà con molta maggior calma domani sera per discutere a fondo la situazione attuale nonché qualche provvedimento che potrebbe migliorare la posizione delle Heimwehren. Così la chiamata di questo a periodi di istruzioni presso l'esercito, nonché, con uno strappo all'attuale divieto, la concessione di una adunata di esso a Vienna per una dimostrazione di forza e di propaganda.

Pare che il Cancelliere, per lo meno nei confronti del Principe, si renda conto che la propaganda dei «nazi » minaccia le basi di tutta la burocrazia e la prepara al sabotaggio; i suoi provvedimenti più formali che sostanziali, sono tuttavia di carattere reazionario e tali da rafforzare, in definitiva l'opposizione ed indebolire le forze dei seguaci. Se non si deciderà a prendere quella che, secondo me, è ancora la via possibile e cioè il rafforzamento delle Helmwehren per dare alla sua politica le caratteristiche della restaurazione nuova e profonda il Cancelliere potrà trovarsi in un prossimo avvenire nella condizione di non sapere più chi vorrà obbedire ai suoi ordini e quindi costretto alla ritirata. Questa mia convinzione ho manifestato anche qua a persona che vede il Cancelliere nella speranza che spinga ancor più questi a far sparire quella discrepanza che esiste tra le enunciazioni e le pratiche effettuazioni anti-marxiste e tale persona ha accolto con benevolenza le mie esortazioni tanto più che pare coincidano con quelle che gli arrivano da altrove.

A mio modo di vedere, non vi è ancora motivo di pessimi::,mo eccessivo, soprattutto perché occorre tenere presente che ci troviamo in Austria: la caratteristica tendenza della popolazione a preferire gli svolgimenti lenti e tranquilli potrebbe avere ancora il sopravvento, tanto più se le necessità di Governo consiglieranno anche in Germania un rapido ritorno ad azioni meno brillanti e più normali; un ritorno alla normalità, cioè, che qui a distanza, e contribuendo la propaganda avversa dei socialisti austriaci e degli ambienti massoni.ci ed ebraici, potrebbe essere valutato come un indebolimento e scoraggiaa.-e quindi gli. attuali ardori del nazismo austriaco.

Ne sapremo qualcosa di più la settimana ventura, non solo perché il Cancelliere avrà avuto modo di dare a Starhemberg qualche altra soddisfazione, ma perché avrà luogo anche una riunione della direzione delle Heimwehren, la quale ci dirà se le temute scissioni si effettueranno. Per mio conto, credo ancora di no e lavoro in tal senso.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 329, nota l, p. 353.
384

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 1379/171 R. Washington, 7 aprile 1933, ore 8,31 (per. ore 5 dell'B).

Seguito mio telegramma n. 169 Cl).

Nel comunicarmi invito del presidente Roosevelt a S. E. il Capo del Governo, Sottosegretario di Stato ha fatto seguire parte formale della sua comunicazione coi seguenti commenti:

Presidente desidera lavorare d'accordo con gli altri principali Governi alla soluzione delle presenti difficoltà della vita internazionale. Egli vuole dare al mondo impressione che gli Stati Uniti intendono cooperare attivamente all'opera di ricostruzione economica ed al mantenimento della pace.

Animato da tale sentimento presidente ha ritenuto utile provocare contatti personali e scambio di vedute con rappresentanti delle principali Potenze allo scopo di preparare successo della prossima conferenza economica mondiale 1 cui risultati potranno segnare inizio di una vasta opera di ricostruzione.

Presidente ha pertanto deciso in primo luogo di invitare a Washington primo ministro britannico anche per la sua qualità di presidente della futura conferenza economica.

In pari tempo ha deciso di rivolgere analogo invito ai Governi italiano e francese, come si propone di fare ai Governi tedesco e giapponese e forse qualche altro Governo (sottosegretario di Stato ha accennato a tre paesi dell'America Latina e alla Cina).

Iniziativa del presidente non (dico non) mira alla riunione contemporanea a Washington dei rappresentanti dei diversi paesi bensì a scambi di vedute separati di carattere bilaterale.

Presidente ha vivo interesse di avere contatti personali con S. E. Mussolini e sarebbe particolarmente lieto se capo del Governo italiano potesse fare viaggio a Washington. Ove ciò non fosse possibile presidente gradirà avere scambio di idee con persona autorizzata a parlare a suo nome.

A questo punto ho chiesto a sottosegretario di stato se nella intenzione del presidente questi scambi di vedute sarebbero accompagnati da esame approfondito del lato tecnico dei diversi problemi economici, nel qual caso sarebbe stata necessaria presenza di esperti specializzati.

Mio interlocutore mi ha risposto che presidente non vede opportunità di entrare nei dettagli tecnici delle diverse questioni. Quello che gli importa è di discutere linee generali di una politica di collaborazione per rendersi conto delle possibilità di raggiungere in sede di conferenza intese concrete.

Ho rilevato allora che nel comunicato del presidente relativo alla visita di MacDonald si parla anche di disarmo. Sottosegretario di Stato mi ha confermato essere intenzione di Roosevelt di discutere con primo ministro britannico anche questioni di disarmo e situazione internazionale in generale. (Ciò mi ha dato occasione di portare conversazione sul progetto Mussolini di patto a quattro e a proposito del quale riferisco con telegramma a parte) (1). Ho chiesto infine a titolo confidenziale se nel caso che il Capo del Governo non potesse venire a Washington presidente avrebbe desiderato invio dall'Italia di qualche membro del Governo o altra personalità.

Sottosegretario di Stato mi ha risposto che presidente aveva indirizzato suoi inviti ai diversi Capi di Governo e che naturalmente lasciava ad essi di suggerire eventualmente persone incaricate di parlare a loro nome, ma che avrebbe visto con piacere anche possibilità di scambi di idee pel tramite dei loro rappresentanti diplomatici a Washington.

Il presente telegramma continua col n. di protocollo successivo (2).

(l) T.r. 1372/169 R., pari data, non pubblicato.

385

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. 612/57 R. Roma, 7 aprile 1933, ore 24.

Attiro attenzione V. E. su ultimo capoverso ordine del giorno ultima seduta Gran Consiglio che, riaffermando principio collaborazione internazionale nel campo economico, precisa al riguardo pensiero Governo italiano che non solo esclude ogni idea fronte unico contro gli Stati Uniti ma ne presuppone e ne auspica invece la cooperazione.

(l) -Cfr. n. 387. (2) -Cfr. n. 386.
386

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1381/172 R. Washington, 8 aprile 1933, ore 12 (per. ore 9,15 del 9).

Seguito mio telegramma n. 171 (l).

Iniziativa presa da presidente Roosevelt invitando a Washington Capi dei Governi delle quattro grandi potenze europee è dovuta a mio avviso ai seguenti motivi:

P) -Ragioni di politica interna: -il presidente desidera apparire agli occhi popolo americano come fattore attivo ed importante della vita internazionale. Visita a Washington di autorevoli uomini di Stato europei non può che giovare al suo prestigio e popolarità;

2°) -Stati Uniti hanno bisogno forse più di ogni altro paese d'una pronta ripresa del mercato internazionale e sono quindi vivamente interessati al successo della conferenza. Presidente spera sia possibile fare a Washington utile lavoro preparatorio per successo della conferenza;

3°) -Allo stato attuale delle cose presidente vede impossibilità di modificare attitudine del congresso tuttora ostile a qualsiasi misura di riduzione e cancellazione dei debiti.

Senatori si rendono conto che questione è destinata ad essere quanto prima liquidata ma non hanno coraggio di assumere di fronte agli elettori responsabilità della cancellazione e preferiscono ripudiazione da parte debitori.

Presidente spera invece arrivare ad una liquidazione guadagnando tempo per mezzo successive moratorie. Visite e discussioni di Washington dovrebbero servire a preparare ambiente favorevole alla moratoria del 15 giugno. Ho sensazione che visita di V. E. sia realmente desiderata. Essa avrebbe qui ripercussione enorme. Visita dell'uomo di Stato francese (che presidente vorrebbe fosse Herriot) dovrebbe condurre Francia a pagare quota dello scorso dicembre.

Per la Germania invito è stato rivolto ad Hitler ma forse nella persuasione che nuovo ambasciatore Luther sarà di fatto incaricato di rappresentare cancelliere.

Ho motivo di credere che presidente faccia assegnamento principalmente sulla visita MacDonald perché si rende conto che maggiori problemi economici finanziari e monetari non possano essere risolti senza accordo con Inghilterra.

Ritengo inoltre presidente desideri procedere d'accordo con Inghilterra in materia di disarmo ed in genere nella politica europea, mentre è ovvio interesse americano di ottenere appoggio inglese nei riguardi del Giappone. Sebbene non se ne parli pubblicamente credo che minaccia giapponese sia maggiore preoccupazione americana del momento.

(l) Cfr. n. 384.

387

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 1413/176 R. Washington, 8 aprile 1933, ore 12,33 (per. ore 8,15 del 9).

Telegramma di V. E. n. 150 (l) e mio telegramma n. 167 (2). Nel corso del mio colloquio di ieri al Dipartimento di Stato (mio telegramma

n. 171) (3) ho avuto modo di sondare nuovamente pensiero di questo Governo nei riguardi del progetto Mussolini per patto a quattro.

Dichiarazioni fattemi hanno confermato quanto ho in precedenza riferito sull'argomento. Attitudine di questi organi ufficiali può cosi riassumersi:

1°) -Governo Stati Uniti ha apprezzato importanza dell'iniziativa del Capo del Governo italiano che giudica molto interessante e degna della massima considerazione da parte delle Potenze invitate a partecipare all'accordo;

2°) -Essendo interessato a qualsiasi avvenimento che tocchi problema del mantenimento della pace, Governo Stati Uniti segue con interesse e simpatia negoziati in corso ma non crede di potervi intervenire direttamente, perché non vede almeno per ora possibilità né opportunità per Stati Uniti di partecipare ad un accordo che mira a facilitare soluzione di questioni essenzialmente europee;

3°) -Governo Stati Uniti riconosce che la proposta Mussolini si ispira ad un concetto pratico e realistico di collaborazione europea che non è per nulla in contrasto ma può anzi armonizzarsi con collaborazione mondiale. Esso si rende perfettamente conto che soluzione dei principali problemi internazionali come disarmo e restaurazione economica e finanziaria non può che essere facilitata da soluzione dei problemi politici europei. Ciò significa che non si nutre qui alcun sospetto e timore circa punto 5° del progetto;

4°) -Allo stato attuale dei negoziati, Governo Stati Uniti non crede di poter fare dichiarazioni pubbliche di adesione perché ha impressione esistano tuttora divergenze sostanziali circa modalità di applicazione del patto e teme che manifestazione, sia pure soltanto in favore dei principi generici della proposta Mussolini, possa essere interpretata come tentativo di pressione in negoziati ai quali Governo Stati Uniti rimane per ora estraneo.

Sebbene non mi siano state fatte dichiarazioni esplicite in tal senso ritengo che quattro punti sopra esposti esprimono esattezza pensiero e attitudine del Dipartimento di Stato. Mi chiedo quindi se nella sua conversazione con R. ambasciata a Londra signor Davis abbia espresso modo di vedere personale oppure abbia avuto direttive particolari del presidente Stati Uniti. Qualora se ne presenti una occasione, non mancherò di controllare quest'ultimo punto.

Intanto prego V. E. considerare convenienza di tenermi al corrente delle nostre conversazioni sull'argomento con Governi francese e tedesco.

31 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XIII

(l) -Cfr. n. 373 che ha come protocollo particolare per Wash!ngton 150. (2) -Cfr. n. 379. (3) -C!r. n. 384.
388

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 1396/245 R. Berlino, 8 aprile 1933, ore 15,45 (per. ore 19,15).

Nell'imminente arrivo a Roma von Papen e Goering attiro l'attenzione di

V. E. seguenti punti: posizione von Neurath continua essere scossa. Si parla di una successione von Papen affari esteri. Non si esclude però che von Neurath rimanga e che von Papen riceva per ora incarico rappresentante Reich all'estero in conferenze internazionali.

Altra voce che circola è quella che Rosenberg verirebbe assunto m.i.nistero degli affari esteri, che sarebbe diviso in due grandi branche, la prima per gli affari occidentali e la seconda per quelli orientali. Quest'ultima sarebbe affidata Rosenberg che avrebbe così sotto di sé Polonia, Stati Uniti, U.R.S.S. Cosa susciterebbe certo panico in quegli Stati.

Hitler parte stasera per Baviera dove rimarrà sino dopo Pasqua; von Neurath parte domani per far cura termale 15 giorni in località Germania. Da Papen e Goering, soprattutto da quest'ultimo, V. E. potrà sapere quali

siano realmente intenzioni Hitler. A me mancherà per due settimane principale fonte informazioni perché tutti se ne vanno. A questo ministero affari esteri continuano nutrirsi preoccupazioni circa politica contro gli ebrei.

Ministero è costretto attirare l'attenzione del Governo sopra gravi conseguenze nei rapporti politici ed economici con estero ma sa di riuscire inviso e aggravare posizione Neurath e ministero in genere, accusato di essere filosocialcomunista. Vi è ora parte tendenza, patrocinata fra gli altri dallo stesso presidente della repubblica per discriminazione e transizione riguardo ebrei facendo eccezione per combattenti, figli morti in guerra ecc., ma è combattuta elementi estremisti che sostengono che se si ammette eccezione situazione non muterà. Ascendente grandissimo di V. E. su Goering potrà molto per mostrargli in un ambiente sereno, come quello romano, gravi pericoli ai quali si espone Germania. Papen è fautore moderazione ma non è ascoltato.

389

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1401/247 R. Berlino, 8 aprile 1933, ore 21,10 (per. ore 23,30J.

Neurath mi ha espresso ieri sera suo profondo disgusto per politica dell'Inghilterra nei riguardi noto patto. Mi ha messo al corrente modificazionl proposte da Londra e mi ha detto aver dichiarato a questo ambasciatore d'Inghilterra che la Germania non intendeva ammettere «che si continuasse servirsi della sua pelle per fare corregge».

390

IL MINISTRO A SOFIA, CORA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1424/370 R. Sofia, 8 aprile 1933 (per. il 10).

Telegramma di V. E. n. 42 e mio 27 (1).

Questo ministro di Ungheria mi ha confermato, dopo i colloqui avuti col ministro presidente e col segreta1'1io generale del min1stero degli esteri e secondo le sue informazioni, quanto ho riferito a V. E. col mio telespresso n. 1226/354 del 6 corrente (2) sulla attitudine della Bulgaria verso il patto proposto da

V. E. Specialmente dopo i chiarimenti avuti da me in base al telegramma di

V. E. n. 39 (3) ogni minimo dubbio è svanito ed iLI presidente ha detto al signor de Rudnay che appena saranno sistemate alla meglio le difficoltà finanziarie e partiti i commissari di inchiesta della S.d.N. avrebbe intenzione di fare una pubblica dichiarazione di adesione al patto Mussolini. Il signor Mushanoff si è detto lieto di quanto aveva osservato nel corso della conversazione il ministro ungherese e cioè che suo Governo non aveva mai inteso patrocinare un revisionismo improvviso e violento ma bensì graduale e pacifico; analoghe dichiarazioni aveva fatte il ministro degli esteri Kanya all'incaricato d'affari bulgaro ed esse avevano contribuito a calmare le note apprensioni dei governanti bulgari per le soluzioni violente ed a tranquillizzarli per il futuro del revisionismo che è la causa della Bulgaria.

In base ai miei chiarimenti questo ·ministro degli esteri ha inviato un pro-memoria a S. M. il Re ed una circolare alle legazioni.

391

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. ... (4).

Dal comunicato diramato a Parigi e dalle informazioni in possesso di questo ministero appare evidente che il Governo francese prima di decidersi per accettazione o meno patto di intesa intende chiedere ampi chiarimnti a Londra e Roma.

Situazione parlamentare Gabinetto Daladier non gli permetterebbe d'altronde imporre sua decisione. Indipendentemente dalla opinione personale suoi componenti esso dovrà patteggiare con le varie tendenze manifestatesi nell'ambiente politico francese.

Come è stato già accennato a V. E. col telegramma n. 477 (l) processo storico in fase sviluppo lasciato a sé stesso porterebbe divisione Europa in gruppi contrapposti. Stesso fatto che insinuazioni relative ad un'alleanza fra Italia, Germania ed Ungheria non siano senz'altro cadute nel vuoto è un chiaro sintomo della sensazione generalmente diffusa. Il patto discusso a Roma appare unico modo efficace arrestare in germe tale processo. Esso ha tanto più valore in quanto ne è iniziatrice appunto l'Italia accusata di mirare alla costituzione di un blocco revisionista. Sembra per ciò evidente che, come il patto di Locarno, patto di intesa per la sua stessa natura esclude qualsiasi estensione. Qualora infatti se ne aprissero le porte agli Stati amici di questa o quella delle quattro Potenze invece di arrestare si accelererebbe la formazione di gruppi contrapposti. È solo quindi a mezzo di opportune chiarificazioni e messe a punto nostri reali intendimenti per quanto riguarda sia la portata del patto che il suo funzionamento, che può essere possibile fiancheggiare l'opera di quegli elementi che dentro e fuori del Governo sono in grado di svolgere in Francia azione favorevole all'accettazione del piano. Tale opera di chiarificazione se vuole essere efficace deve però esser svolta di concreto fra i Governi italiano e britannico.

Ella potrà sentire il parere di codesto Governo anche circa opportunità e utilità che simile opeJ:"a di chiarificaz1one sia svolta contemporaneamente presso Piccola Intesa. Mi rendo conto che la Piccola Intesa per cui il dissidio fra le principali Potenze è ragione di vita non potrebbe mai vedere di buon occhio intesa a quattro: un'opera di chiarificazione potrebbe però in ogni modo renderle più difficile presa di posizione nettamente contraria. Né è il caso di sottovalutare opera negativa che Benes e Titulescu per i loro legami e per la loro conoscenza dell'ambiente politico parigino possono svolgervi e che occorre nella misura del possibile neutralizzare.

Analoga opera di chiarimento dovrebbe essere svolta a Washington dove specialmente codesto Governo ha ampia possibilità di azione. Il R. Governo potrebbe, da parte sua, lavorare, in quanto ciò sia possibile, a Mosca. Nei riguardi dei due Stati occorrerebbe sopratutto sviluppare il concetto che essendo a base del patto l'idea non della coercizione ma della collaborazione, se ciò vale per le Potenze minori tanto più si applica a Potenze come l'URSS e gli Stati Uniti senza la cui sincera collaborazione non è concepibile una politica europea o mondiale seriamente costruttiva. È superfluo aggiungere che ciò non significa possibilità che essi entrino a far parte del patto.

Nell'esporre quanto precede a codesto Governo sarà opportuno rilevare r,ipercussione che andamento discussione patto può avere nel senso di peggiorare atmosfera politica generale: in particolare fallimento conferenza del disarmo sarebbe inevitabile. La Germania non avendo celato la sua intenzione di dichiararsi, in simile eventualità, sciolta dagli impegni del trattato di Versailles non è eccessivo temere da parte francese reazioni. Italia ed Inghilterra ambedue firmatarie e garanti del patto di Locarno non potrebbero restare indifferenti di fronte a tali eventualità.

Quanto precede riassume in linea m.olto generale il pensiero del R. Governo in proposito. V. E. potrà naturalmente completarlo con tutte quelle altre considerazioni che riterrà opportune.

Qualora codesto Governo condivida nostro punto di vista, ella vorrà sulla base degli elementi fornitile e di quelli che potranno emergere dalle discussioni concretare con codesto Governo comune norma di linguaggio e linea d'azione allo scopo di impartire le opportune istruzioni ai rappresentanti dei due paesi.

(l) -Cfr. nn. 377 e 362. (2) -Non pubbllcato. (3) -Cfr. n. 278 nota 1; 39 è 11 protocollo pa,rt!colare per Sofia. (4) -Il telegramma, m!nutato 1'8 aprile 1933, non fu spedito.

(l) Cfr. n. 278.

392

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1414/233 R. Parigi, 9 aprile 1933, ore 13,05 (per. ore 14,30).

De Jouvenel è partito iersera per Roma. Al Quai d'Orsay era stato detto che ambasciatore di Francia non sarebbe partito in ogni caso iersera. Appurato d'altra parte che la notizia non era esatta, mi sono recato alla stazione per salutare de Jouvenel.

Boncour mi ha detto ieri che ottenuta dal presidente del consiglio approvazione del memorandum, lo leggerà oggi ai suoi colleghi. Mi è stato detto iersera che il Governo non a v eva ancora deciso circa il modo della consegna del documento a V. E. ma ho l'impressione che il documento possa essere stato affidato de Jouvencl per rimetterlo a V. E. lunedì. Boncour mi ha assicurato che me ne darà copia; se l'avrò prima di domani telegraferò.

Rispondendo a mia domanda, Boncour mi ha detto che il memorandum comprende un progetto completo di patto. In esso sono richiamati gli articoli 10, 16 e 19 del patto ginevrino. Governo francese teme che redazione adicolo 3 patto romano, possa costituire incoraggiamento alla Germania per naufragare conferenza disarmo. Patto francese proporrà perciò affermare impegni 4 Potenze, contribuire riuscita conferenza disarmo.

Boncour ha concluso, forse per non entrare con me in altri particolari, assicurandomi che il memorandum non si discosta troppo dal progeetto di V. E. Infine ministro affari esteri mi ha incaricato assicurare V. E. della sua ferma volontà collaborazione. È la prima volta che Boncour mi ha nominato V. E.

393

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. S.P. 625/143 R. Roma, 9 aprile 1933, ore 20,50.

Suo telegramma n. 193 (1).

Conversazioni avute costì da V. E. su situazione austriaca indicano chiaramente che vedute Governo tedesco in proposito non coincidono con le nostre, onde, anche per non acuire divergenza, sembra conveniente non insistere nel

l'azione diretta ad ottenere cooperazione tedesca in Austria. Nel quadro della politica generale, è poi opportuno evitare anche la sola apparenza di un dissidio fra Italia e Germania.

In considerazione di quanto precede V. E. vorrà curare, nei suoi contatti costi, che la disparità di vedute e di atteggiamenti fra i due Governi affiori il meno possibile.

Mentre mi riservo di tenere informata V. E. degli sviluppi della nostra azione in Austria, trasmetto intanto per sua riservata notizia, con corriere odierno, copia delle istruzioni impartite alle RR. legazioni in Vienna e Budapest, e la risposta da quest'ultima pervenuta (1).

(l) Cfr. n. 296.

394

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. 624/161 R. Roma, 9 aprile 1933, ore 21.

Malgrado indeterminatezza delle dichiarazioni del segretario di Stato e contraddittorietà delle notizie apparse nei giornali anche in rapporto alle dichiarazioni di Norman Davis non sembra verosimile che presidente Roosevelt possa volersi lanciare nell'avventura di farsi sollecitatore e praticamente responsabile agli occhi del mondo di una prematura riunione della conferenza economica mondiale quando manchino i presupposti necessari per discussioni concrete.

Lo stesso ordine che secondo quanto V. E. telegrafa (2) il segretario di Stato avrebbe menzionato in rapporto ai paesi coi quali gli Stati Uniti desiderano discutere e cioè l'Inghilterra, Francia, Italia, Germania, Giappone, starebbe a dimostrare che le discussioni debbono presumibilmente avere per oggetto contempor.aneamente le questioni dei debiti di guenra e le questioni economiche relative ad un riassetto e ad una ripresa mondiale.

Infatti dei paesi europei l'Inghilterra è quello al quale gli Stati Uniti hanno maggiori contropartite da richiedere nel campo monetario ed economico contro eventuali concessioni in materia di debiti di guerra.

Rispetto alla Francia le contropartite sono senza dubbio minori nel campo economico e maggiori nel campo politico. Ma l'avere presidente Roosevelt fatto il nome di Herriot sembra indicare di per sè l'oggetto principale della conversazione, dato che Herriot può figurare, agli occhi dell'uomo della strada americano, come colui che ha sacrificato il potere all'idea che la Francia dovesse comunque pagare il 15 dicembre 1932.

In quanto a noi la nostra situazione rimane quella che è stata prospettata all'E. V. con i telegrammi ... (3). Malgrado gli sviluppi della situazione non sembra che l'Italia debba farsi parte diligente per sollecitare scambi di vedute e mutamenti dell'ordine dei

contatti con i paesi europei indicato dal Segretario di Stato che è appunto

quello che a noi più conviene.

A questo concetto prego l'E. V. di ispirare la sua azione tenendo presente che a noi in questo momento non interessa di esercitare un'azione che nel campo finanziario monetario ed economico ecceda le nostre reali possibilità.

Ogni mossa presuntuosa a riguardo potrebbe nuocere piuttosto che giovare al nostro prestigio che in materia della realistica consapevolezza da noi dimostrata rispetto alla consistenza ed ai limiti delle nostre possibilità e della nostra forza effettiva dei campi ,in cui le facciamo vrulere [Siic].

Riguardo alla conferenza economica, il nostro atteggiamento in fatto di moneta è noto e concorda con le direttive degli Stati Uniti; noi siamo infatti per la moneta stabile e per il ritorno generale al « gold standard ».

Nel campo economico noi abbiamo delle necessità di autonomia alimentare ai fini di eventuali conflagrazioni europee che non è possibile né sacrificare né disconoscere. Tolto ciò, la nostra direttiva è verso una intensificazione degli scambi ed una riduzione di tariffe, purché questa sia effettiva e sincera, e non sia costituita da ipocrite manovre a nostro danno.

Le misure da prendere, in rapporto alla ricostruzione economica del mondo si possono sostanzialmente raggruppare nell'ordine seguente:

l) -Chiarificazione dell'atmosfera politica e creazione di una situazione che permetta alle attività economiche di non vivere alla giornata ma di fare fiduciosamente programmi a scadenza di vari anni.

In ciò solo può consistere il tanto invocato ristabilimento della fiducia e tale fine può essere raggiunto con la realizzazione del patto Mussolini;

2) -sistemazione dei debiti internazionali tra Governi;

3) sistemazione dei debiti privati internazionali in quanto eccedano la capacità effettiva di trasferimento dei paesi che li hanno contratti (Austria, Ungheria, Jugoslavia, Bulgaria, Romania, eventualmente Germania ecc .ecc.).

4) -Liberato così il campo delle questioni preliminari, che incombono sulle forze economiche dei vari paesi e ne stroncano la vitalità, si potrà, attraverso ad un riassetto monetario, e ad una revisione tariffaria, ristabilire il giuoco normale di dette forze ed un equilibrio economico di ciascun paese, che si inquadri in un assetto produttivamente vitale delle forze economiche del mondo.

Non sembra che l'ordine logico sovra esposto possa essere invertito ove si voglia conseguire risultati effettivi, tuttavia le questioni che potrebbero venire eventualmente abbinate sono quelle della sistemazione dei debiti internazionali tra Governi e della sistemazione dei debiti internazionali privati ed, ove ciò si volesse fare, ambedue potrebbero essere discusse in seno alla conferenza economica.

La cosa si prospetta per gli Stati Uniti come segue;

a) ha il vantaggio agli effetti della politica interna di far apparire la sistemazione dei debiti tra Governi come uno degli aspetti particolari della più vasta questione della sistemazione dei debiti internazionali e dei trasferimenti;

b) ha lo svantaggio agli effetti della politica estera degli Stati Uniti di rinunziare alla posizione da loro presa di discutere singolarmente coi propri debitori, posizione dalla quale ragionevolmente si aspettano i maggiori vantaggi.

Comunque non sta a noi, che siamo debitori nel campo dei debiti fra i Governi e scarsamente creditori nel campo dei debiti privati di farci presso gli Stati Uniti promotori di questo abbinamento, tenuto conto che essi sono fortemente creditori in tutti e due questi campi e che la trattativa singola dei debiti di guerra ci conviene di più che non l'eventuale formazione del fronte unico dei debitori contro gli Stati Uniti.

Queste le direttive di massima che ella vorrà avere presenti per suo orientamento. Sarà opportuno che l'azione di V. E. continui ad essere discreta e riservata. Importa infatti non sacrificare alle apparenze i vantaggi sostanziali che possono risultarci della linea di co:adotta sopra indicata. Naturalmente senza esagerare, di guisa che anche l'Italia figuri dinanzi all'opinione pubblica sullo stesso piano delle altre Potenze. Agli effetti pubblicitari anzi il fatto che la chJarif:i.cazione po1itica è preliminare necessità di ogni ripresa economica e che tale chiarificazione si propone il patto Mussolini, dovrà venire sfruttato nell'interesse italiano.

Fino a che non sopravvengano nuovi sviluppi a noi interessa bensì avere con massima diligenza e sollecitudine notizie ed il suo apprezzamento sullo svolgersi dell'azione altrui, ma non ci conviene spingerei avanti per la conferenza economica che non è una nostra iniziativa e che come tutte le conferenze mondiali può eventualmente avere risultati più pirotecnici che pratici e neppure per la questione dei debiti rispetto ai quali valgono le considerazioni già esposte precedentemente.

(l) -Cfr. nn. 350 e 363. (2) -T. 1362/168 R. del 6 aprile, non pubblicato. (3) -Nel registro dei telegrammi in partenza non sono indicati i telegrammi cui si fa riferimento.
395

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1433/268 R. Londra, 10 aprile 1933, ore 21,05 (per. ore 3 dell'11).

Simon mi ha pregato di interessare V. E. perché V. E. (ove lo creda opportuno) voglia richiamare amichevole attenzione di von Papen e di Goering su questione ebraica in Germania.

Egli mi ha detto che non mi parlava come ebreo, ma come ministro degli affari esteri di un paese che aveva fatto una politica assai equa verso la Germania e constatava il danno che misure antisemitiche avevano prodotto alla causa tedesca nel mondo.

Ho preso occasione di quanto Simon mi diceva per esprimermi con lui secondo le istruzioni contenute nel telegramma n. 589/C di V. E. (l).

Informo V. E. ad ogni buon fine che campagna condotta in tutti i giornali contro misure antisemite in Germania si è andata un poco calmando. Vi è stata tuttavia ieri ancora qualche manifestazione popolare. Polizia ha fatto

strappare e distruggere manifesti incitanti boicottaggio merci tedesche. Episodio degno di nota è costituito da dimissioni di Jorrd Reading (il quale come è noto è ebreo) da presidente associazione anglo-tedesca (1).

(l) Cfr. n. 367.

396

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1472/256 R. Berlino, 10 aprile 1933 (per. il 13).

Mio telespresso del 29 dicembre 1932/XI n. 4496/1954 (2).

Gli avvenimenti svoltisi in Germania dal 30 gennaio in poi hanno esercitato sulle relazioni tedesco-sovietiche un'influenza che potrà magari essere -come generalmente si ritiene -soltanto passeggera ma che ad ogni modo ha creato, al momento presente, un'atmosfera di grande freddezza.

Ho riferito a varie riprese all'E. V. la calma con cui non solo il cancelliere Hitler ma lo stesso barone von Neurath considerano la crisi dei rapporti fra la Germania e l'URSS. Entrambi dichiarano di voler mantenere le buone relazioni con i Soviet, ma siccome il nazionalsocialismo è deciso a farla finita con il comunismo in Germania, esso si rende conto della ripercussione che tale suo atteggiamento ha a Mosca e lascia intendere che fra i due mali non esita a scegliere il minore, quello cioè del malumore sovietico, anche se dovesse condurre ad un accordo dell'U.R.S.S. con la Francia.

Ciò premesso devo dal mio lato sottoporre a revisione l'opinione espressa nel mio telegramma sopra citato, sembrarmi cioé né conveniente né opportuno di procedere a Berlino ad un sondaggio per vedere se ci si potesse intendere con la Germania al fine di non farci d'ora in poi una concorrenza spietata nel trattare affari commerciali ed industriali con l'U.R.S.S.

V. E. deve innanzi tutto decidere se, dal punto di vista della nostra politica generale, tale sondaggio sia presentemente opportuno e desiderabile.

Per parte mia sono in grado di assicurare l'E. V. che un eventuale nostro assaggio in questo senso troverebbe oggi rispondenza di proposito da parte tedesca.

Considererei però preferibile che qualsiasi nostro passo fosse fatto non ufficialmente, ma nel corso delle conversazioni che l'onorevole Olivetti ed il prof. Guarneri avranno ulteriormente con i rappresentanti della Confederazione dell'industria tedesca.

Il signor Kastl, come già riferii a V. E., fu costretto a lasciare il suo posto, ma l'ex ministro von Raumer continua ad occuparsi delle relazioni economiche italo-tedesche e presto si saprà chi prenderà il posto lasciato vacante da Kastl.

Sarò grato a V. E. di farmi conoscere per mia opportuna norma quale sia il suo pensiero circa la questione di cui si tratta (3).

(l) -Il presente telegramma fu comunicato da Suvlch a Cerrutl con D. 2535 del 19 aprile, con l'aggiunta della seguente frase: «In via riservata La Informo che nel colloquio che S. E. Il Capo del Governo ha avuto coi Signor von Papen, questi ha riconosciuto che la campagna contro gli ebrei è stata un errore». (2) -Non pubblicato. (3) -Per la risposta di Mussolini cfr. n. 432.
397

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1478/265 R. Berlino, 10 aprile 1933 (per. il 13).

Ambasciatore Nadolny col quale ebbi oggi lunga conversazione mi disse di avere veduto Norman Davis durante il suo soggiorno a Berlino.

Questi aveva espresso opinione che conferenza per il disarmo non avrebbe concluso nulla se si fosse nuovamente riunita il 25 corrente senza previo scambio di vedute fra le grandi Potenze europee per accertare possibilmente sulla base di dati che ciascuno dovrebbe lealmente fornire, fino a qual punto ogni Stato importante fosse disposto a giungere con le proprie concessioni.

Nadolny mi pregò di rendere di ciò edotta l'E. V. affinché i nostri delegati si trovassero a Ginevra con le necessarie istruzioni il 22 corrente.

Von Biilow che ho visto un paio d'ore più tardi mi disse che Norman Davis non gli aveva parlato direttamente della questione del disarmo, avendone intrattenuto Nadolny. Egli era però stato informato da quest'ultimo dell'idea di Norman Davis e la condivideva pur facendo le maggiori riserve che la conoscenza delle intenzioni reali delle grandi Potenze in materia di disarmo potesse condurre ad una conclusione soddisfacente della conferenza.

Norman Davis aveva espresso opinione che un risultato tangibile doveva essere raggiunto entro la prima quindicina di giugno, se si voleva che la conferenza economica mondiale non fosse compromessa irrimediabilmente. Meno di due mesi sembravano a von Biilow un termine troppo breve per giungere ad un risultato, cosicché egli non poteva essere ottimista.

398

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL PRIMO MINISTRO BRITANNICO, MAC DONALD (l)

L. P. Roma, 10 aprile 1S33.

La Sua lettera (2) mi ha fatto gmn piacere per la cortesia che la ispira e per la prova che mi fornisce della continuazione dell'opera di collaborazie;ne che dura, si può dire, ininterrottamente in tutto questo penoso dopoguerra fra i nostri due Governi, e che colla Sua visita a Roma ha ricevuto nuovo impulso in un momento particolarmente delicato ed importante per l'avvenire politico ed economico dell'Europa e del mondo. Desidero anzi e in modo particolare congratularmi vivamente con Lei per il grande e veramente coraggioso discor&o pronunciato alla Camera dei Comuni e che porta nuova luce sulle presenti necessità e sulla urgenza di porvi rimedio.

Concordo pienamente sulla convenienza di fare opera chiarificatrice, di guisa che il Patto, superando le prime inevitabili prevenzioni che ha suscitato

in talune parti dell'opinione pubblica di alcuni Paesi e in taluni uomini responsabili, e apparendo invece a tutti nella sua vera luce e nelle sue finalità, possa diventare strumento attivo e vitale di pace e di ricostruzione e non ridursi a sterile affermazione di propositi e di principi.

Mentre Ella e Sir John Simon hanno parlato a Parigi e a Ginevra affine di rimuovere incertezze e diffidenze, io ho avuto occasione di adoperarmi nello stesso senso in vari colloqui con alcuni rappresentanti esteri qui accreditati, e colle istruzioni impartite agli Agenti diplomatici italiani.

Il deliberato del Gran Consiglio dei giorni scorsi è stato pure concepito e voluto a questo scopo. Come Ella avrà rilevato, esso afferma, senza dogmatica intransigenza, ma in modo esplicito, che il Patto deve restare integro nelle sue linee fondamentali. Se noi cedessimo su questo punto, avremmo forse più facile successo, ma faremmo opera vana. Se, come ritengo indispensabile, il documento che firmeremo deve agire sulla opinione pubblica dei diversi paesi ed operare nel senso che noi vogliamo, è essenziale che non perda niente della sua integrità e della sua chiarezza; che esso resti espressione di un atto politico, non si trasformi attraverso una faticosa elaborazione in un atto meramente giuridico ed inoperante.

L'opera di chiarificazione intrapresa deve evidentemente continuare a svilupparsi. Nella sua lettera, Ella suggerisce che si discuta immediatamente tra noi il miglior modo per preparare il terreno anche presso gli altri Governi. A tal fine si potrebbe intonare ugualmente il linguaggio dei rappresentanti diplomatici britannici e italiani, e quindi l'azione che essi svolgeranno conformemente alla posizione che Inghilterra e Italia occupano nel Patto di Locarno, di cui col nuovo Patto cerchiamo di applicare e vivificare i principi ispiratori. Mi farà piacere di conoscere le osservazioni che Lei crederà di farmi pervenire in proposito. Il Signor Grandi, che Le rimetterà questa lettera, La potrà intanto mettere al corrente dei chiarimenti e delle spiegazioni che sono stati finora forniti agli altri Governi e che ritengo tali da rimuovere le apprensioni sorte e fare meglio comprendere le reali finalità della iniziativa.

Uno dei risultati da conseguire è evidentemente quello di eliminare le ragioni particolari di malinteso o di frizione che esistono fra taluni paesi. Ella accenna a questo proposito alla situazione esistente nei riguardi della Francia, come pure a quella esistente nei riguardi della Jugoslavia. Posso dirLe con tutta franchezza che tali situazioni sono state tra quelle presenti al mio spirito nel proporre il nuovo Patto, coll'intento di esaminarle, come Ella dice, ex-novo e in relazione alle grandi finalità da conseguire. Come avrà certo rilevato, il comunicato del Gran Consiglio esprime in modo preciso il convincimento mio e del Governo Fascista che nella nuova atmosfera politica sarà possibile una piena collaborazione internazionale fra tutti i paesi. Così per quanto riguarda le situazioni particolari da Lei accennate, opportune trattative dirette potranno nel momento voluto rispondere efficacemente allo scopo; mentre per quanto si riferisce alla cooperazione di taluni grandi Stati, primi gli Stati Uniti, io penso che il lm:o appoggio mora.le e politico amebe in questa fase del negoziato potrebbe riuscire utilissimo, e che a tal fine una dichiarazione, sia pure generica, di adesione del governo di Washington gioverebbe certo grandemente. Se Ella concorda, i nostri Ambasciatori in America potrebbero anzi intrattenere utilmente in proposito quel Governo.

Quanto alle osservazioni che Ella fa circa talune modifiche da apportare agli articoli del progetto di Patto, e agli emendamenti che suggerisce, è superfluo che La assicuri che li ho esaminati attentamente, tenendo conto anche delle osservazioni che ha fatto in proposito il governo tedesco e che Lei già conosce; ed è superfluo aggiungere che continuerò tale esame badando con altrettanta cura anche alle osservazioni che perverranno dal governo francese. Devo però dirLe, con tutta franchezza, che vedrei sparire con grande rammarico l'ultimo paragrafo dell'articolo 1°, in quanto mi pare necessario che resti affermato che tutti gli Stati parteciperanno alla politica di cooperazione e di pace, anche sia pure se la forma in cui tale concetto è espresso possa essere opportunamente riveduta.

Circa l'articolo 2°, ho visto riaffermato con piacere nella Sua lettera che Ella pensa al pari di me che tutti i Governi hanno già almeno la sensazione che è nel loro interesse che si stabilisca una procedura atta a rendere operante !"articolo 19 del Covenant nei casi in cui esso possa essere invocato a giusta ragione. Apprezzo la Sua intenzione di migliorare il testo che discutemmo assieme a Roma, ma, a parte altre considerazioni, mi sembra che una eccessiva precisazione in questo senso potrebbe rappresentare uno svantaggio, giacché toglierebbe la necessaria libertà di movimento a seconda dei casi, mentre d'altro canto l'affermazione precisa che la revisione non è possibile altro che mediante accordi fondati sulla mutua comprensione e solidarietà degli interessi reciproci e nell'ambito della Società delle Nazioni, offre ampie garanzie per ognuno.

Circa l'articolo 3° esito molto a ritenere opportuno che in un Patto che deve avere la durata di dieci anni e che mira a fissare le grandi linee di una politica di intesa, possa trovare posto conveniente un progetto determinato, se anche esso abbia i vantaggi che io stesso ho volentieri riconosciuto, dandovi la mia pronta adesione. Esso non può infatti rappresentare che una tappa sulla via del disarmo, e tra qualche tempo, e certo prima dello spirare dei dieci anni, secondo lo stesso spirito che lo anima, se non erro, non potrà non essere superato. Sarà appunto questo superamento la prova del suo successo. Forse si potrebbe pensare a un Protocollo separato che contenesse l'approvazione almeno in principio del progetto stesso, in quanto esso rappresenta una prima efficace applicazione dei criteri che ispirano il Patto e in particolare del principio della parità di diritti. Tuttavia Ella conosce quanto e meglio di me le opposizioni che a tale progetto sono mosse da parte sia tedesca che francese. Per quanto mi riguarda, la Delegazione italiana alla ripresa dei lavori della Conferenza il 25 del mese, continuerà a dare al Progetto e alla Delegazione britannica il suo più cordiale appoggio per la riuscita della sua iniziativa.

Non conosco ancora le osservazioni che il Governo francese sarà per fare al Patto e mi riservo quindi di precisare meglio, se necessario, le varie considerazioni che Le sono andato sopra esponendo.

Anche questa mia lettera, al pari della Sua, è strettamente personale. Essa Le porta insieme con l'espressione della mia soddisfazione per averLa conosciuta personalmente ed essermi intrattenuto così cordialmente ed utilmente con Lei, i miei migliori amichevoli saluti.

(l) -Ed. !n inglese in MussoLINI, Opera omnia, vol. XLII, pp. 39-42 e !n D B, vol. V, pp. 133-136. (2) -Cfr. n. 344.
399

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, E L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, JOUVENEL (l)

APPUNTO. Roma, 10 aprile 1933.

Ore 18. -Ricevuto da J. il quale mi dice che non ha ancora ricevuto il testo del controprogetto francese. Si resta intesi che me lo porterà domattina alle 10. Egli mi dice che è il « mio testo » e che è «fort bien » e che io lo troverò accettabile. De J. ritiene che sarà possibile di firmare il patto anche prima della ripresa della Conferenza del disarmo e che in ogni modo sarebbe augurabile che ciò fosse anche se fosse necessario rinviare la conferenza. I «quattro» dovrebbero intendersi sul disarmo o meglio su quanto si può fare in tale direzione. De J. pensa che sul fattore aviazione si può giungere all'abolizione dell'Aviazione da bombardamento ed io gli ho ricordato che ci sono anche i carri armati pesanti e le artiglierie di grosso calibro. Ho convenuto con lui che si potrebbe accogliere l'idea di un controllo sull"aviazione civile.

De Jouvenel mi ha detto che l'ambiente trovato a Parigi era ostilissimo, perché si teme di me, come discepolo di Machiavelli e che il popolo francese attraversava un periodo di psicosi bellica. L'atmosfera è ora migliorata. Egli ha dovuto lottare contro Titulescu, ma poi, le esagerazioni di costui gli hanno giovato e ripetere a cento persone lo stesso discorso. La posizione di Daladier è migliorata. Herriot ha consigliato a De J. il patto franco-italiano, De J. ha risposto che ciò sarebbe la conseguenza del patto a quattro. La questione navale dev'essere risolta contemporaneamente con quella delle frontiere libiche e dello Statuto degli italiani di Tunisia. Lo Stato Maggiore della Marina, dovrà piegarsi, egli ha detto, alle necessità politiche. Il De J. mi è sembrato sollevato di spirito e ottimista circa il corso futuro degli eventi.

400

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, E IL VICE CANCELLIERE DEL REICH, PAPEN

APPUNTO. Roma, 10 aprile 1933.

Von Papen mi ha accennato ai suoi tentativi di governare con Hitler, naufragati il 13 agosto '32. Hitler ha e avrà dietro di sé forti masse. Ora, nel sottoporre la forza del Partito alle necessità dello Stato, rivelerà le sue capacità di uomo di Stato. Riconosce che la campagna contro gli ebrei è stata un errore. Mi narra l'equivoco determinato dalla frase di Losanna, pronunciata con Herriot. Fallito il patto a quattro, von Papen, dice che bisognerà stabilire delle linee comuni di azione itala-tedesca, nei confronti dell'Austria, dell'Ungheria, della

Piccola Intesa. Aggiunge che nel caso di un fallimento della Conferenza del disarmo, la Germania comincerà a riarmare, tranquillamente, e silenziosamente. Conviene che è necessario non offrire pretesti allo Stato Maggiore francese per una guerra preventiva. La situazione economica della Germania non è molto migliorata. Il von Papen ha proposto a Pacelli un concordato fra la Santa Sede e il Reich, purché contenga l'articolo del Concordato italiano che vieta ai preti ogni attività politica. Avendogli domandato qual'è la situazione del Centro, mi ha risposto «Vorbei ~ (liquidato).

Gli ho detto che un accordo fra Vaticano e Germania sarebbe molto utile al Terzo Reich e avendogli accennato alle probabili opposizioni dei protestanti, il von Papen mi ha ricordato che per quattro anni il Governo ha i pieni poteri.

Il von Papen è personalmente simpatico: non ha gran che, nel suo volto e nelle sue maniere, del pru:;::;iano classico. Si ha l'impressione che la vacanza di von Neurath sarà, domani, coperta da lui.

(l) Autografo d! Mussollnl.

401

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, GRAHAM

APPUNTO. Roma, 10 aprile 1933.

Sir Ronald Graham è venuto a trovarmi per avere qualche informazione sulla nostra reazione alle ultime proposte inglesi (l).

Ha visto oggi nel pomeriggio de Jouvenel e lo ha trovato piuttosto ottimista. De Jouvenel ha detto di avere trovato in Francia uno stato d'animo per lui assolutamente imprevisto. L'avvento di Hitler e di Goering, la campagna antisemita ha messo i francesi in uno stato di preoccupazione frenetica: il fatto è che si parlava di guerra come di un avvenimento inevitabile. Il progetto Mussolini non era stato capito per niente nel suo spirito: era considerato un trabocchetto combinato d'accordo con la Germania per disarmare la Francia, staccarla dai suoi alleati e metterla alla mercé della Germania e dell'Italia (la prima nel frattempo riarmata) che avrebbero potuto poi batterla con facilità.

L'Ambasciatore de Jouvenel ha avuto un compito durissimo: ritiene però di avere vinte le maggiori difficoltà ed è fiducioso che la risposta francese possa essere accettata da noi.

Venendo a parlare delle ultime proposte inglesi informo l'Ambasciatore Graham che il Capo del Governo ha risposto a MacDonald (2) e gli espongo succintamente gli argomenti toccati in questa risposta.

Passando agli articoli dell'ultimo testo inglese gli spiego le ragioni del nostro dissenso. L'Ambasciatore ritiene che arrivati al punto in cui siamo, conviene attendere ancora il memorandum francese per poi riesaminare il Patto sulla base di tutti gli elementi a disposizione. Gli dico che questo è perfettamente il nostro punto di vista ma che noi riteniamo che comunque una nuova

redazione non dovrebbe spostarsi sostanzialmente dal testo concordato qui a Roma con MacDonald e Simon. Gli dò anche notizia, a sua richiesta, sulla risposta tedesca (l) nettamente contraria all'ultimo testo inglese. Si rimane d'accordo che dopo pervenuto il memorandum francese lo rivedrò per informarlo del nostro punto di vista.

(l) -Cfr. n. 347. (2) -Cfr. n. 398.
402

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 10 aprile 1933.

Il Ministro d'Austria è venuto a dirmi di essere stato personalmente incaricato dal Cancelliere Dollfuss di chiedere se la sua venuta a Roma in occasione delle cerimonie religiose della Settimana Santa sarebbe gradita a S. E. il Capo del Governo.

Il viaggio avrebbe carattere privatJ, ma l'occasione sembrerebbe a Dollfuss opportuna per incontrarsi con S. E. il Capo del Governo, realizzando così un desiderio che egli ha da lungo tempo, e che è divenuto ancor più vivo in questi ultimi tempi, per gli sviluppi della situazione in Germania e la loro influenza sulle relazioni fra Germania e Austria.

Ove S. E. il Capo del Governo preferisse incontrare Dollfuss in altra città, il Cancelliere sarebbe ugualmente pronto a recarvisi. Il Ministro d'Austria ha aggiunto che il Cancelliere desidera mettere in evidenza che se il Capo del Governo non ritenesse il viaggio opportuno, egli vi rinunzierebbe senz'altro, le cerimonie della Settimana Santa non essendo che il pretesto per l'incontro che egli desidera.

In caso affermativo, il Cancelliere arriverà in aeroplano il 12 prossimo, per trattenersi a Roma giovedì, venerdì e sabato.

403

L'ADDETTO STAMPA A VIENNA, MORREALE, AL VICE CAPO GABINETTO, JACOMONI

L. P. XVIII. Vienna, 10 aprile 1933.

Chiudevo la mia ultima lettera (2) rifiutandomi di aderire al pessimismo ed alla depressione che verso la metà della settimana scorsa si facevano qua sentire fortemente ed avvertendo che gli stessi avvenimenti politici della Germania avrebbero potuto venirci in aiuto. E di fatti, il decreto pubblicato a Berlino il 7 corrente per la centralizzazione del << Reich », con una prevalenza sulle altre

della provincia prussiana, è venuto a chiarire brutalmente il significato ultimo della parola « annessione ) ed a gettare l'allarme tra la popolazione austriaca. Qui in Austria, dove è ancora radicato il concetto dell'autonomia dei piccoli « laender » austriaci, non sarà facile ora ai nazi svolgere una propaganda per la trasformazione di tutto lo Stato in una provincia del Reich subordinata alla Prussia. Il dubbio potrà cominciare a serpeggiare tra le stesse fila dei pangermanisti che hanno sempre considerato l'annessione come l'unione, nella « grande Germania » di un ente austriaco autonomo; in tutta la popolazione poi, potranno farsi sentire elementi sentimentali, sopiti ma non scomparsi, che hanno la loro più recente origine nella guerra del 1866. Stati d'animo ed incertezze questi che potranno anche essere superati dal tempo: oggi, in ogni modo, il problema dei rapporti tra Austria e Germania passa per una fase di chiarezza che ci consente un respiro di sollievo.

Il 7, dunque, viene pubblicato a Berlino un decreto; la sera dell'8 a Vienna il capo della sezione viennese del partito cristiano-sociale Dott. Krasser, parla alla presenza del Cancelliere e del ministro dell'esercito Vaugoin di « indipendenza» dell'Austria. La parola precisa comincia a essere pronunziata. Si tratta ora di sfruttare per il meglio i vari elementi sentimentali e sostanziali, che possono rafforzare l'avversione istintiva ad una adesione incondizionata alla Germania o le preoccupazioni che detta l'idea di tale adesione.

Le condizioni interne giustificano anche esse una ripresa di ottimismo.

Ho ricevuto la sua lettera del 4 corr. (1) (che ho già distrutta): per confermarLe come le indicazioni in essa fornitemi, e delle quali La ringrazio, coincidono colla mia personale convinzione, mi consenta riferirLe un periodo di un mio articolo comparso sul mio giornale il 18 corr.: «La via che ha intrapreso Dollfuss non ammette ritorni: se, oltre che al salvataggio del partito cristiano-sociale, che si trova oggi nella più difficile delle situazioni, essa tende e sopratutto alla salvezza dell'Austria, il successo può essere conseguito procedendo lungo la linea indicata da un altro uomo di Stato austriaco, da Monsignor Seipel, il quale aveva compreso l'alto valore morale delle Heimwehren come elemento di educazione della gioventù nuova e perciò aveva dato ad esse tutto il suo appoggio ». Cioè a dire: governo cristiano sociale ed Heimwehren l'un:> per l'altro vicendevolmente. Ed in tal senso ho lavorato, presso Starhemberg e presso elementi del partito cristiano sociale; le circostanze, molto più che il mio lavoro, ci mettono ora davanti a risultati che per il momento possiamo considerare soddisfacenti.

La sera del 7 corrente Starhemberg ed il deputato delle Heimwehren Neustaetter-Sturmer hanno avuto un lungo colloquio con Dollfuss e col ministro Schuschnigg (elemento molto attivo del partito cristiano sociale): sono state scambiate reciproche assicurazioni di fiducia e di lealtà e promesse di reciproco appoggio poiché è stata riconosciuta da ambo le parti la necessità di procedere di comune intesa. Dollfuss ha cosi chiarito il suo programma: lotta aperta contro il marxismo e lotta coperta contro il nazismo austriaco; rafforzamento del potere statale senza ricorso al parlamento e con ordinanze di carattere economico fino all'inizio del prossimo autunno: verrebbe quindi intra

presa la discussione e la preparazione di una riforma della costituzione che assicuri maggiori poteri al governo nella speranza che prima di allora i socialisti austriaci siano infrolliti al punto da vincolarsi a concedere il loro appoggio per il conseguimento di un maggioranza di due terzi in parlamento. Eventuale scioglimento ufficiale della Camera e passaggio a nuove elezioni politiche nella primavera ventura, sempre che il successivo sviluppo dell'attuale orientamento assicuri una sufficiente prevalenza ad una lista comune che verrebbe presentata col nome di «fronte patriottico» e della quale farebbero parte i cristiano sociali, le Heimwehren, la parte migliore del partito agrario e quella parte dei pangermanisti che non si sentisse il coraggio di andare coi nazi. La riforma costituzionale scindendo la dieta provinciale di Vienna dal consiglio comunale di Vienna, che sono attualmente un'assemblea sola con due denominazioni, dovrebbe consentire essa stessa e per via assolutamente legale provvedimenti di eccezione contro il Comune socialista della capitale a meno che non si presenti l'occasione di giungere già prima a tale mèta.

L'Appoggio alle Heimwehren, il cancelliere Dollfuss lo ha concretato nelle seguenti promesse: creazione di nuclei di istruzione al servizio militare e di sicurezza presso le forze regolari dell'esercito: a far parte di tali nuclei, con turni di un mese ciascuno, verrebbero chiamati reparti compatti di militi delle Heimwehren coi loro istruttori, nonché elementi di una formazione a carattere militare, per altro molto esigua, del partito cristiano sociale, le « Oesterreichische Sturmscharen » (squadre d'assalto austriache) il cui capo è Schuschnigg, e di un'analoga formazione, ancor più esigua, del partito agrario, le « Bauernwehren »;

proibizione del corteo socialista del l o maggio;

concessione di un permesso di adunata a Vienna ad una ventina di migliaia di Heimwehren per il 14 maggio: l'adunata avrebbe carattere patriottico e precisamente si richiamerebbe alla liberazione di Vienna dai Turchi della quale ricorre quest'anno il festeggiamento ufficiale; in sostanza avrebbe carattere dimostrativo e propagandistico.

Si sta procedendo ora a fissare le modalità per l'effettuazione dell'istruzione militare alle Heimwehren. A tal proposito ho fatto notare a Starhemberg l'opportunità che egli prenda tutte le precauzioni per evitare che sia questo un buon mezzo per privarlo praticamente degli uomini e per evitare altresì che 1 suoi uomini inizino il periodo di istruzione da «Heimwehren » e lo chiudano da « nazi », che cioè soggiacciano alla propaganda nazista che si fa sentire fortemente nell'esercito. Starhemberg annette molta importanza al provvedimento suddetto e spera che gli permetterà anche di superare felicemente i dissidi interni dell'organizzazione (atteggiamento equivoco delle Heimwehren della Bassa Austria) od a sanare la scissione delle Heimwehren stiriane.

Io insisto sempre presso di lui perché della sua intesa col governo egli faccia la base della sua propaganda in modo da prepararsi ad una futura utilizzazione politica del movimento e sopratutto perché faccia di questo il sostenitore di una riorganizzazione a tipo fascista dello Stato. Potrebbe essere questo l'elemento programmatico sul quale differenziare, senza tuttavia giungere a tensioni, gli scopi sociali del partito cristiano-sociale da quelli delle Heimwehren nonché in un futuro elemento di contatto coi nazi d'Austria.

32 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XIII

La polemica che personalmente mi riguardava è per il momento e spero anche definitivamente, chiusa da un comunicato ufficiale della polizia che conferma quanto io stesso avevo già dichiarato. Una polemica giornalistica aperta dal foglio pangermanista Wiener Neueste Nachrichten a proposito di un articolo da me pubblicato (quello già citato), mi pare abbia contribuito a farci comprendere ancora più chiaramente come i pangermanisti, qualunque sia il manto del quale si coprono restano fondamentalmente italofobi.

(l) -Cfr. n. 375, allegato. (2) -Cfr. n. 383.

(l) Cfr. n. 369.

404

IL CONSOLE GENERALE A VIENNA, ROCHIRA, AL VICE CAPO GABINETTO, JACOMONI

T. P. 8 (l) Vtenna, 11 aprile 1933, ore 22,15 (per. ore 12,45 del 12).

Morreale comunica quanto segue: «Per tramite nota persona Starhermberg prega caldamente che si insista costà su Dollfuss per rapida valorizzazione Heimwehren cui ausilio gioverà stabilità Governo e continuità orientamento odierno. Fra risoluzioni più urgenti Starhemberg considera quella atta a togliere social-democratici attuale prevalenza nell'amministrazione di Vienna. Starhemberg ha ricevuto oggi lettera da Gombos che lo incoraggia anche a continuare azione diretta a indebolire locali nazional-socialisti ».

405

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, E L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, JOUVENEL (2)

APPUNTO. Roma, 11 aprile 1933.

De Jouvenel mi legge il Memorandum e il testo francese. Riconosco che la Francia ha fatto un passo innanzi e gli dico che mi riservo di esaminare più dettagliatamente i singoli articoli. Gli faccio notare che quell'accenno del memorandum alla situazione interna della Germania, deve essere tolto. Il De Jouvenel ne conviene. Mi domanda quando gli potrei dare una risposta e gli rispondo che ciò sarà il più presto possibile, anche in questa settimana. Insisto sulla necessità che ad un primo accordo fra i quattro si addivenga prima della riapertura della Conferenza del disarmo, prendendo a base il progetto Mac Donald.

ALLEGATO (l)

MEMORANDUM

Le Gouvernement français a apprécié toute l'importance de la proposition dont le Chef du Gouvernement italien a pris l'initiative le 18 mars. Il mesure la valeur qu'aurait dans l'intérét de la paix la coopération plus étroite des quatre Puissances voisines auxquelles leur qualité permanente de membres permanents du Conseilimpose des responsabilités particulières à l'égard de la Société des Nations et de ses membres et qui ont signé en commun les accords de Locarno. Ayant fait de l'affermissement de la paix européenne le but immuable de sa politique, le Gouvernement de la République est prét à s'associer activement dans un esprit de franche sympathie à tout effort dont il sera légitime d'espérer qu'il concourt efficacement à ce résultat.

Un tel effort doit nécessairement se poursuivre dans le cadre que tracent à la politique des quatre puissances les rapports qu'elles ont contractés: accords de Locarno; pacte de Paris; déclaration de non recours à la force proposée par la déclaration du 11 décembre 1932 et acceptée le 2 rnars par la Commission politique de la Conférence du désarmement; enfin, et à la base de tous ces engagements, pacte de la Société des Nations.

Si la stricte observation du pacte est un devoir pour tous les membres de la Société, elle s'impose avec une rigueur particulière aux puissances qui siègent dans le Conseil à titre permanent; il ne peut donc étre question pour ces puissances de déroger en quoi que ce soit aux disciplines et aux procédures prévues par la charte de la Société.

Celle-ci donne à tous les Etats la garantie qu'aucune décision les concernant ne peut étre prise sans qu'ils s'y soient associés. Il ne saurait étre question pour les quatre puissances d'élaborer des décisions qu'elles chercheraient ensuite à imposer à d'autres. Il ne peut s'agir que d'élaborer des décisions les concernant seules ou de rechercher d'une manière générale pour les soumettre ensuite aux organes réguliers de la Société des Nations des procédures, des améliorations ou des précisions concernant tel ou tel article du pacte.

Il ne peut d'ailleurs étre question d'un choix arbitraire entre ces aiticles. Le lien qui les unit ne saurait étre dissocié. L'article 19 offre le moyen légal, exclusif du recours à la force, d'adapter les traités existants à des situations internationales dont il serait vérifié que le maintien pourrait mettre en péril la paix du monde. Cet article et ses possibilités ne sauraient étre contestés. Mais d'autres principes qui ne lui cèdent en rien en importance sont affirmés par d'autres articles. Par exemple l'article 10 stipule l'obligation de maintenir contre toute agression extérieure l'intégrité territoriale des membres de la Société; l'article 16 prévoit des mesures d'ordre économique et militaire contre les Etats ayant recours à la guerre en violation de leurs engagements. Si l'on devait assigner à la collaboration des puissances des objets précis dans les limites du pacte le souci d'assurer la plerine efficacité de cet article ne devrait pas s'imposer avec moins de force que celui de permettre une mise en oeuvre éventuelle de l'article 19 .

Le Gouvernement de la République ne peut d'ailleurs s'empécher de souligner qu'à insister en termes généraux sur le princ,ipe de la revision, on risque de faire naitre des espoirs qu'il serait impossible ensuite de satisfaire ou de susciter des inquiétudes qui, mème injustifiées, ne manqueraient pas de faire obstacle au rapprochement des peuples. Il ne croit pas en particulier qu'au moment où dans une partie de l'Europe se poursuit une évolution des esprits et des institutions dont il est impossible de discerner le terme il convienne de tenter une telle expérience.

Le Gouvernement de la République à témoigné par ses actes du désir qu'il a de voir assurer le succès de la conférence du désarmement. La coopération des quatre puissances devrait avoir pour premier effet de réduire les oppositions qui s'y sont manifestées entre leurs conceptions respectives. La déclaration du 11 décembre 1932 a

prévu l'octroi à l'Allemagne de l'égalité des droits dans un régime assurant à toutss les nations la sécurité: cette declaration garde toute sa valeur. Le Gouvernement français s'est d'ailleurs felicité de vour rappeler dans la proposition italiene camme dans la proposition britannique que l'égalité des droits ne peut se réaliser que par etapes et conformement aux accords qui devront intervenir à cet effet. Il convient d'y ajouter que ces étapes successives ne peuvent se réaliser que par un désarmement progressi! à l'exclusio de tout réarmement.

En déposant un projet de convention qui reprend une partie des principes inclus dans d'autres propositions notamment dans la proposit-ion frança-ise et sur lesquelles la Commission Générale s'est déjà prononcée la délégation britannique a fourni une base pratique de discussion qui doit permettre à la coference d'aboutir. Le Goruvernement français s'associera de tout son pouvoir aux efforts qui seront faits dans ce sens tout en se réservant ainsi que l'ont fait d'autres Gouvernements et suivant l'invitation méme des représentants britanniques à Genève de proposer tels amendements ou modifications qui lui paraìtraient indispensables.

Une politique de coopération des quatre puissances ne saurait se limiter aux questions dont la Société des Nations est saisie. Elle s'appliquera naturellement à toutes les questions qui leur sont communes; elle doit aussi les conduire à se concerter sur toutes les questions d'intérét commun à l'Eu:·ope, notamment sur celles qui concernent la restauration de son économie et qui sont si pressantes étant entendu qu'une telle coopération ne saurait étre dirigée contre aucun Etat quel qu'il soit, qu'elle ne doit exclure aucune collaboration et qu'il est tout indiqué de la rattacher aux efforts déjà tentés dans ce sens par l'Union européenne.

C'est en s'inspirant des considérations qui précèdent que le Gouvernement de la République sur la base des propositions des Gouvernements italien et britannique soumet a leur examen le projet d'accord dont le texte est annexé au présent mémorandum.

ANNESSO

PROJET DE PACTE D'ENTENTE ET DE COLLABORATION

L'Allemagne, la France, la Grande-Brétagne, l'Italie

conscientes des responsabilités particulières que leur impose leur qualité de membres permanents du Conseil de la Société des Nations à l'égard de la Société elle-méme et de ses membres et de celles qui résultent de leur signature commune des accords de Locarno,

convaincues que l'état de malaise qui règne dans le monde ne peut étre dissipé que par un renforcement de leur solidarité susceptible d'affirmer en Europe la confiance dans la paix;

fidèles aux engagements qu'elles ont pris par le pacte de la Société des Nations, les traités de Locarno et le pacte Briand-Kellogg et se référant à la déclaration de non recours à la force dont le pl1incipe a été adopté le 2 mars dernier par la Commission politique de la Conférence du Désarmement,

soucieuses de donner leur pleine efficacité à toutes les dispositions du pacte et se conformant aux méthodes et procédures qui y sont prévues et auxquelles elles n'entendent pas déroger;

respectueuses des droits de chaque Etat dont il ne saurait étre disposé en dehors de l'in téressé ;

sont convenues des dispositions suivantes:

Art. l

Les hautes parties contractantes se concerteront sur toutes les questions qui leur sont propres et s'efforceront de pratiquer entre elles dans le cadre du Pacte de la Société des Nations une politique effective de collaboration en vue du maintien de la paix.

Art. 2

Les hautes parties contractantes en vue de l'application éventuelle en Europe des articles du pacte et notamment des articles 10, 16 et 19 décident d'examiner entre elles et sous réserve de décisions qui ne peuvent étre prises que par les organes réguliers de la Société des Nations toute proposition tendant à donner leur pleine efficacité aux méthodes et procédures prévues par ces articles.

Art. 3

Renouvelant pour ce qui les concerne leur déclaration commune du 11 décembre 1932, les hautes parties contractantes voient dans le récent projet de convention bri·· tannique une base pratique de discussion qui doit permettre à la conférence du désarmement d'élaborer aussi rapidement que possible une convention assurant une reduction substantielle et une limitation des armements avec des dispositions pour sa revision ultérieure en vue de réductions nouvelles. L'Allemagne pour sa part reconnait que l'égalité des droits dans un régime comportant pour toutes les nations la sécurité ne peut se réaliser que par étapes conformément à l'article 8 du Pacte et en vertu des accords qui interviendront à cet effet.

Art. 4

Les hautes parties contractantes affirment d'une mamere générale leur volonté de se concerter sur toutes questions d'intérét commun en Europe notamment sur toutes questions concernant la restauration de son économie dont le règlement, sans faire l'objet d'une procédure devant la Société des Nations, pourrait étre utilement recherché dans le cadre de la Commission d'Etudes pour l'Union européenne.

Art. 5

Le présent accord est conclu pour une durée de dix années à compter de l'échange des ratifications. Si, avant la fin de la huitième année, aucune des hautes parties contractantes n'a notifié aux autres son intention d'y mettre fin, il sera considéré camme renouvelé et restera en vigueur sans limitation, les parties contractantes conservant alors la faculté d'y mettre fin par une dénonciation avec préavis de deux années.

Art. 6

Le présent accord sera ratifié et les ratifications en seront échangées le plus tòt que faire se pourra. Il sera enregistré au Secrétariat de la Société des Nations conformément aux dispositions du pacte.

(l) -Il telegramma è privo di numero di protocollo generale In quanto non Inserito nella raccolta del telegrammi In arrivo. (2) -Autografo di MussolinJ..

(l) Trasmesso da Parigi a Jouvenel per telegramma alle ore 22,30 del 10 aprlle. Ed. in SALATA, pp. 202-207 e in GIORDANO, pp. 186-189.

406

RIUNIONE ITALO-TEDESCA VERBALE (l) Roma, 11 aprile 1933.

Presenti:

Presenti:

S. E. BALBO

S. E. RICCARDI

s. E. VALLE

T. -Col. SENZADENARI Magg. RENZETTI S. -E. GOERING

S.E. MILCH

Goering: Ringrazia per le cortesi e cordiali accoglienze. Reca il saluto di Hitler e l'invito di visitare Berlino al ritorno dalla crociera, ospiti del Governo tedesco.

Balbo: Dichiara che le accoglienze fatte furono spontanee e veramente sentite, data la stima e il cameratismo che noi professiamo verso l'aviazione tedesca. Accetta l'invito per il ritorno dalla croc;cra, dato che all'andata non si faranno tappe in suolo tedesco per l'urgenza della traversata.

Goering: Sarebbe felice se la visita potesse avvenire facendo tappa, al ritorno, nei laghi presso Berlino.

Balbo: Conosce bene la zona, e accetta senz'altro.

Goering: Dichiara di essere venuto col preciso scopo di controllare Von Papen nei suoi rapporti col Vaticano per i concordati: ma che ha voluto anteporre ad ogni cosa la visita a S. E. Balbo.

Balbo: Apprezza profondamente tutto il significato di tale gesto.

Goering: Propone di dare alla riunione, come plausibile motivo da comunicare alla stampa, il carattere di un accordo per rendere giornaliera anche di inverno la linea Roma-Monaco ciò che da parte dei suoi piloti ritiene possibile.

Balbo: Aderisce in pieno anche per parte nostra, e dichiara che fra un'ora lo schema dell'accordo può essere pronto. In tal senso può Goering fare domattina comunicazioni ai giornalisti intanto Milch e Molfese studieranno i particolari della convenzione che sarà pronta per la firma all'atto della partenza da Roma, nella prossima settimana

Goering: Sta bene. Parla del progetto segreto di accordi per l'aviazione militare: (l) raccomanda la riservatezza, poiché per ora ne è soltanto a conoscenza Hitler.

Balbo: Conferma che da parte nostra verrà conservato il segreto: sinora il progetto è conosciuto solo dal Duce.

Goering: II progetto presuppone una pregiudiziale: un accordo politico fra 1 due Capi di Governo. I nostri accordi non costituiranno quindi che una fase iniziale per gettare le basi di principio.

Tale accordo politico trova la sua necessità principalmente per seguenti tre punti di contatto:

1°) lotta contro l'egemonia francese;

2°) ideali comuni, principale la lotta contro il comunismo;

3°) il bisogno di espansione imposto dalla prolificità delle due razze.

L'Italia ha bisogno di colonie.

La Germania, rinunziando a velleità di riconquista verso ponente, ha necessità di espandersi ad oriente. Riconosce che non si debba più parlare del Tirolo: conferma la necessità dell'accordo più completo.

Dato questo, l'Italia ha il maggiore interesse a rafforzare la Germania, per non avere un amico mutilato, ma potente. La potenza avvenire non si può conquistare senza una poderosa flotta aerea.

Balbo: Abbiamo le stesse identità di vedute.

Le due aviazioni riunite potranno costituire uno sbarramento impossibile a realizzarsi con la Marina o con l'Esercito. È per questo che a Ginevra si tenta di distruggere l'aviazione.

Goering: Dichiara di aver trovato l'esistenza di speciali accordi con la Russia, ma di non essere favorevole dal punto di vista politico.

Balbo: Anche da quello tecnico, data la scarsità quantitativa e qualitativa degli ingegneri inviati in Russia e la qualità scadente delle maestranze.

Goering: Abbiamo trovato, andando al Governo, che esistono solo circa 80 aeroplani: siamo come voi nel '22. La nostra industria ha bisogno di 10 anni per essere pronta: in tale campo non si improvvisa. Abbiamo anche pochi piloti.

Ci occorre perciò superare tale periodo critico, prima di essere armati non solo de jure ma anche di fatto.

È stata presa recentemente dal nostro governo la decisione di anteporre gli interessi politici a quelli economici: perciò malgrado la crisi agricola imperante, abbiamo fatto e faremo concessioni in tale campo, anche malgrado le proteste di Hugemberg.

Passando ai particolari, è necessario conoscere quanti piloti tedeschi già brevettati civili possono essere addestrati in Italia con carattere di riservatezza nelle specialità Caccia e Bombardamento.

Balbo: Se non vi fosse la clausola della riservatezza, il numero sarebbe praticamente illimitato: dovendosi tenere segreta l'istruzione, si può garantire la cifra da 300 a 400, sui campi già attrezzati di Grottaglie per il Bombardamento ed A viano per la Caccia.

Mileh: Tali piloti dovrebbero anche imparare la lingua italiana per funzionare in seguito quali ufficiali di collegamento.

Balbo: Circa la r.ipartizL001e del con1Ji:ngente, consigliere[ una piccola auquota di osservatori, una di futuri comandanti di squadriglie da Caccia ed una più numerosa di piloti da Bombardamento.

Goering: Sta bene. Faremo di conseguenza la nostra scelta.

Desidererei ora conoscere il giudizio di V. E. sulle mie intenzioni circa la ricostruzione della flotta aerea tedesca.

Ne darei una piccola parte all'Esercito, una alla Marina, e la grande massa la riserverei al nostro Ministero, nelle specialità Caccia, Bombardamento e Ricognizione Strategica.

Balbo: Questa è appunto la nostra organizzazione: ma bisogna ben guardarsi dagli appetiti dell'Esercito e dellR Marina. Noi abbiamo creato l'aviazione nel '22, ma la sua organizzazione è stata raggiunta solo nel '31 mediante una legge d'ordinamento che costituisce la migliore e più invidiata legge aviatoria di tutto il mondo: è il punto d'arrivo cui aspirano gli aviatori inglesi e americani.

Goering: Anche in Germania v'è lotta fra i vecchi e i giovani.

Balbo: Noi abbiamo concesso all'Esercito e alla Marina un'aliquota dell'Aviazione, ma soltanto per l'impiego, poiché altrimenti si avrebbe la creazione di tre organismi discordi.

Goering: Molto bene: desidero copia della legge.

Balbo: Senz'altro.

In caso di guerra l'Esercito e la Marina dispongono per l'impiego delle loro aliquote; avendo squadriglie di Corpo d'Armata e imbarcate: ma l'impiego della massa aerea è devoluto al Comandante dell'Armata Aerea, equiparato al Capo dell'Esercito e al Capo della Marina, tutti e tre dipendenti dal Comandante Supremo.

In tal modo, ricevendo un compito, il Comandante l'Armata Aerea può assolverlo concentrando su di uno stesso obiettivo, terrestre o marittimo (Zagabria o Tolone) tutte le forze da bombardamento, sieno esse terrestri o marittime, raddoppiandone così l'efficacia.

Abbiamo così stabilito alcuni principi fondamentali: alle aviazioni per l'Esercito e la Marina, chiamate ausiliarie, spettano i compiti della ricognizione; perciò apparecchi più lenti, che assolvono il loro compito senza scorta da parte della Caccia, ma formidabilmente armati dal punto di vista difensivo. All'Armata Aerea spettano esclusivamente i compiti del bombardamento, sia terrestre che idro, e della difesa del territorio.

Compito precipuo dell'Armata Aerea è distruggere la flotta aerea nemica: rimasti padroni dell'aria, la guerra è virtualmente finita.

Goering: Sono assai grato di tale esposizione.

Chiedo due cose:

0 ) di inviare in Germania un certo numero di apparecchi bellici, opportunamente mascherati, per l'istruzione dei piloti esistenti in Germania;

2°) di tenere in riserva sui campi del Nord una massa di apparecchi che in caso di guerra possa, a cura dei nostri piloti, essere trasportata in Germania ed esplicare subito la loro azione bellica.

Balbo: La questione ha un aspetto politico oltre che tecnico. Noi abbiamo circa 4000 piloti in servizio, e meno che metà di apparecchi, pur avendo l'attrezzatura delle industrie e dei servizi capace di produrre in pochi mesi il fabbisogno completo non appena vi sia odor di polvere.

Quindi la questione può esser solo risolta dal Duce, per quanto riguarda il 2° quesito. In quanto al primo, non vedo difficoltà.

Goering: accorrerebbero a tal fine 20 apparecchi da Bombardamento e 30 da Caccia, completamente armati, a fine di istruire i piloti che verrebbero eventualmente a prendere in consegna gli apparecchi di cui al 2° quesito.

Balbo: In quanto alla Caccia, noi abbiamo in costruzione il miglior apparecchio che esista oggi al mondo, che di recente ha vinto il concorso di zurigo. In quanto al Bombardamento, stiamo attraversando un periodo di sosta, in attesa di ottimi prototipi che presto effettueranno i voli di collaudo.

Goering: Noi abbiamo oggi un esemplare da bombardamento migliore di tutti i tipi esteri e siamo disposti a cedervelo per studio e costruzione in serie. Quanto dico è da tenere riservato. Tale apparecchio ha 260 Km. di velocità massima, e 85 Km. di velocità di atterraggio, riducibili a 65 con le alette a fessura. Ha grande potenza offensiva.

Balbo: La sua velocità massima è scarsa: non vale la pena di costruirlo in serie, perché sarebbe presto superato e obbligherebbe a costose rinnovazioni: meglio attendere per ottenere un tipo che per 5 o 6 anni non possa essere superato.

L'Italia -e vi prego di tenerlo segreto -ha oggi iniziato la costruzione in serie del proprio Caccia, che è il più veloce del mondo. Possiamo cederne il numero di 30 da voi richiesto.

Goering: In quanto all'armamento, che ne pensate di 750 colpi per arma? A me sembrano pochi.

Balbo: Noi abbiamo 1000 colpi per il piccolo calibro, e 750 per quello medio da 12,7.

Goering: Giusto. Un colpo da 12,7 ha maggiore effetto di più colpi di piccolo calibro.

Altro inconveniente è la eccessiva rapidità di tiro, che produce sperpero specie se il pilota è nervoso. Così giudico più utile il tiro attraverso il mozzo e l'albero a gomito piuttosto che a t traverso l'elica.

Balbo: Noi abbiamo celerità di tiro regolabile e ottimi sistemi di sincronizzazione.

433 Goering: Molto bene. Delegheremo una commissione per stabilire parti

colari d'intesa.

Ma potrete fornirci ciò che chiediamo?

Quale è la vostra potenzialità costruttiva?

Balbo: Le nostre fabbriche possono quintuplicare la loro produzione attuale, come abbiamo praticamente constatato nelle manovre del '31: esse possono produrre in tre mesi 500 apparecchi e 1000 motori, con attrezzatura normale spinta al massimo rendimento. In caso di guerra possiamo aumentare ancora la produzione.

Riepilogando, la nostra preparazione attuale ci porta ad avere un apparecchio da caccia capace di difendere le nostre frontiere: perciò non il tipo Interceptor inglese capace di massima velocità ascensionale ma soli 40' di autonomia: ma il tipo Cr.40 con 2 ore e 1/2 di autonomia, con velocità di 370 Km/ora a 4500 metri.

Per la ricognizione abbiamo oggi un tipo Fokker migliorato, costruito da noi: prepariamo un tipo Ca.97 non troppo veloce ma poderosamente difeso, per poter comodamente assolvere i propri compiti di osservazione che sarebbero disturbati da una velocità eccessiva.

Abbiamo poi apparecchi da ricognizione strategica più veloci, come l'A.120 bis che sviluppa 290 Km/ora.

Per la ricognizione marittima, che ha necessità di grande autonomia, abbiamo in distribuzione un tipo con 2500 Km. di autonomia e ottima stazione R.T., con 220 Km. di velocità di crociera, 2 bombe anti-navi e 4 mitragliatrici abbinate. Siamo in tale specialità superiori ai Francesi e agli Inglesi.

Il massimo studio è stato posto nel bombardamento marittimo. Tutte le nostre crociere hanno servito a migliorare tale tipo. Il nostro ultimo S.55 ha 1000 Kg. di bombe con 2500 Km. di autonomia e 235 Km. di velocità di crociera.

Per quanto riguarda il Bombardamento terrestre, da qualche anno ci siamo fermati perché la tecnica odierna non offre ancora nulla che meriti di essere costruito in serie. Potremmo fornire apparecchi con 800 Kg. di bombe e 210 Km. orari.

Goering: Il nostro prototipo ha maggior velocità.

Balbo: Anche i nostri prototipi, ma non è quanto di meglio possiamo pretendere per una costruzione in serie che rappresenti una superiorità garantita per qualche anno.

Noi vogliamo un apparecchio da bombardamento più veloce della Caccia, poiché tale specialità sarà così condannata a sparire, quando abbia a combattere contro un tipo da bombardamento superiore ai 300 Km. e fortemente armato. Abbiamo in istudio un prototipo con 375 Km. di velocità in quota, 500 Kg. di bombe e 2000 Km. di autonomia, ovvero con maggior quantitativo di bombe e minore autonomia.

Spero che tale apparecchio possa volare entro l'anno. Oggi costruire un apparecchio in serie con velocità di poco superiore ai 200 Km. vorrebbe dire rinunziare ad una sicura superiorità del domani.

Goering: Fate differenza fra Bombardamento diurno e notturno?

Balbo: Oggi sì, data la tecnica ormai vecchia. Domani le due specialità si fonderanno.

Se dovessi darvi un consiglio, vi proporrei di cominciare ad armarvi con la Caccia, nel tempo che la tecnica possa offrirvi un ottimo Bombardamento senza obbligarvi a rinnovare il materiale. Tale programma ha anche carattere politico: ne ho parlato al Duce, che l'ha trovato ottimo. La morale è questa: oggi voi avete una parità de jure: se vi armate con la Caccia, potete dire di volervi difendere: se vi armate col Bombardamento i vostri nemici diranno che volete offendere e ricorreranno a Ginevra.

Intanto che vi armate con la Caccia, arriverà la parità di fatto e troverete pronti ottimi prototipi da bombardamento.

Il crearvi subito un reggimento da Caccia è semplice e poco pericoloso: direi quasi che i francesi, che parlano di sicurezza, non avrebbero da obbiettare nulla!

Per il Bombardamento dovete invece attendere la parità «de facto>>.

Goering: Credo anch'io che faremo così.

Balbo: Ho studiato il programma espostovi non soltanto da militare tecnico, ma anche dal punto di vista politico. Bisogna guardarsi dagli errori militari che non tengono conto di tutte le circostanze del momento.

Goering: Noi per parte nostra c1 Impegniamo a farvi conoscere i nostri studi in fatto di strumenti e di armamento, a patto che ne facciate uso soltanto per voi.

Credete che la guerra futura sarà di movimento o di trincea? E come orientate l'aviazione in tali ipotesi?

Balbo: Non è possibile stabilire oggi come sarà la guerra futura. Ad ogni modo ciò non ha importanza per l'aviazione. Facendo l'aviazione da bombardamento molto veloce e con forte autonomia, si potrà paralizzare il nemico nell'interno del territorio.

Se la guerra sarà di movimento e se si avanzerà nel territorio nemico, gli obbiettivi saranno più vicini e si potrà portare maggior carico di bombe. Per la ricognizione, essa potrà spostarsi in avanti sulle nuove basi.

Goering: Dichiaro che se per l'avvenire dovrò trattare con Francia e Inghilterra, non dirò mai loro ciò che abbiamo concluso, e quindi sarò obbligato a mentire: non dovrete perciò impressionarvi, poiché vi metto sull'avviso fin d'ora.

Balbo: Vi aiuterò su questa strada: parlerò tra breve al Sottosegretario Inglese di voi, dicendo che non avete parlato che di aviazione civile.

Goering: Ho avuto notizia d'un rapporto a Parigi dall'Ambasciatore Francese a Berlino, in cui veniva segnalata in modo particolarmente pericoloso la nostra amicizia personale e veniva suggerito di preoccuparsene e di provvedere a turbarla in qualche modo.

Balbo: Lo sapevo. Mi è stato chiesto infatti come mai ero tanto amico di Goering: ho risposto che avevamo amicizie femminili in comune!!!

Goering: Sta bene. Dirò altrettanto!... Nel mentre quindi io tratterò col Duce la parte politica, pregherei la continuazione di accordi tecnici particolari.

Balbo: Bene. S. E. Milch tratterà domani col mio Capo di Stato Maggiore Vi pregherei di sottolineare al Duce la possibilità di pagamenti in carbone.

Goering: Sta bene. Rimane inteso, per la stampa, che io domani comunicherò che il soggetto della nostra conversazione è stata la linea Roma-Monaco.

Balbo: Bene. Quando partirete, daremo alla stampa il testo dell'accordo concretato nel frattempo fra Milch e Molfese.

(l) -Annotazione a margine di Mussolini: «Riservatissimo».

(l) Cfr. la seguente lettera di Suvich a Balbo del lO aprile: «In relazione alla tua lettera del 3 aprile ti Informo che S. E. Il Capo del Governo non ha niente In contrarlo a che Il progetto tedesco [pervenuto] per Il tramite del Maggiore Renzettl venga preso In esame ln vista dl una sua eventuale realizzazione nelle conversazioni che avrai ln questi giorni col Ministro Goring e col sottosegretario Milch ». ~r la lettera del 3 aprile cfr. n. 305, nota 3.

407

IL CONSOLE GENERALE A LIONE, TAMBURINI, A... (l)

L. P. Lione, 11 aprile 1933.

Le invio il mio deferente e grato saluto da Lione dove mi trovo sotto tutti i punti di vista assai meglio che a Tolosa, e dove ho trovato un lavoro interessante e di vera soddisfazione. Ho già visto diverse volte Herriot che mostra di intrattenersi volentieri con me (avrà visto il mio 1° colloquio) e anche l'altro giorno ha desiderato vedermi per esprimermi tutta la sua soddisfazione pel mutato atteggiamento della stampa italiana a suo riguardo e ne è profondamente grato al Duce. Ha tenuto a riconfermarmi quanto ha pubblicato sul Petit Provençal (che Le accludo ad ogni buon fine) e mi ha chiesto che impressione aveva fatto in Italia la sua conferenza sul Fascismo apparsa in Conjerencia.

Ha insistito poi nel suo grande, immutato desiderio di una intesa tra Francia e Italia e vorrebbe esserne da parte francese il realizzatore. « Je suis et je serai toujours l'homme de Toulouse. L'Italie peut compter sur moi. » Ha insistito nuovamente sul fatto che per le materie prime e i territori di cui l'Italia abbisogna per l'eccesso di popolazione, la Francia può e deve soddisfare l'Italia. Ma l'Italia solamente e non altri.

Secondo lui, l'Italia ha già abbastanza da pensare per sé, non comprende quindi perché dobbiamo confondere i nostri interessi con quelli degli altri... «L'Allemagne. Mais l'Allemagne n'a besoin que personne l'aide à demander... Elle sait très bien le faire toute seule... et comment! ... ».

L'Italia, secondo lui, (opinione questa molto diffusa in Francia) ha poco da fidarsi della Germania. I due Fascismi sono troppo diversi e bisogna vedere come in Germania si evolverà. Gli risulta che la Germania in fondo tiene ancora molto all'Alto Adige, e tende inevitabilmente a realizzare l'Anschluss.

E se tale sarà il suo interesse, la Germania non esiterà a sacrificare al momento dato l'Italia... «Nous français nous la connaissons bien la véritable nature des allemands par une longue et douloureuse expérience ».

Italia e Francia, secondo Herriot, dovranno per forza di cose e di eventi, finir per intendersi... questo è il suo Ieit-motiv e sembrava quasi che in previsione di un suo ritorno al potere, desiderasse preparare il terreno per una effettiva intesa sui punti più sopra accennati.

Sul patto a quattro ha dichiarato che la Francia non vi è dopotuttto contraria. Ma deve sostenere il suo punto di vista tradizionale di nazione eminentemente democratica, e non trascurare l'eguaglianza almeno di principio di tutte le nazioni a negoziare e trattare sullo stesso piede ... « Différemment nous trahirions tout notre passé, et ce serait compromettre notre avenir. L'Italie à notre piace ne pourrait pas agir autrement, et ce serait une grave erreur de croire que notre projet en réponse à celui de Mussolini, soit le résultat d'une espèce de parti-pris de contrarier et de contrarier celui italien, parcequ'italien! Nous avons des raisons supérieures que nous ne pouvons ni négliger ni oublier ».

In quel momento ha telefonato Paul-Boncour da Parigi per fissare la data della partenza di Herriot per Washington. Herriot voleva ritardarla a dopo Pasqua e pregava Paul-Boncour di telefonare a Washington in tal senso.

Tra l'altro ha detto a P. B. «Je suis d'accord avec vous sur votre première méthode, cependant je trouve que la deuxième me Iaisserait plus de souplesse dans les pourparlers et plus de personnalité dans les moyens ». Finita la telefonata rivolgendosi a me ha soggiunto: « Oui je vais à Washington après Pàques, mais je regrette d'un còté ne pas pouvoir traiter avec toute l'autorité nécessaire. Je ne serai qu'un porte-voix, tandis qu'il m'aurait fallu pouvoir négocier et décider personnellement et directement ». Poi, alzando le spalle: «Oh, après tout ce ne sera que le commencement de la conférence, il en faudra bien d'autres avant de s'entendre... » mi è sembrato di capire ch'egli sperasse o prevedesse di avere fra non molto tutta l'autorità necessaria che gli manca ora.

Sugli inglesi ha cosi espressa la sua opinione a proposito di un recente articolo di Lloyd George il quale si rallegrava che la Germania non avesse effettivamente posto sul tappeto che la sola questione della parità degli armamenti. «Mais ces anglais ce sont des enfants tout à fait nai:fs. Il faut ne rien voir et rien comprendre pour ne pas se rendre compte que les allemands dès qu'ils auront obtenu cela, ils demanderont autre chose! ».

Naturalmente, come V. E. può comprendere io non ascolto soltanto, ma rispondo e esprimo netto il mio pensiero sui diversi argomenti ch'egli tratta. Non avendo veste ufficiale di funzione diplomatica ho il vantaggio di potergli parlare liberamente, e debbo dire che più di una volta ha dovuto darmi ragione... Ad ogni modo si vede che si intrattie.w volentieri con me (l'altro giorno mi ha tenuto quasi un'ora e c'erano almeno 100 persone fuori, delegazioni, comitati etc. che dovevano essere ricevuti) e mi ha detto che al suo ritorno da Washington desidera rivedermi e anzi ci inviterà a colazione da lui.

Se pertanto questi miei buoni rapporti con Herriot potessero presentare qualche interesse per la nostra azione politica, sarò molto lieto di potermi rendere utile.

Herriot, lo si vede chiaramente, desidera trovar modo che il suo pensiero e le sue intenzioni giungano esatte e non travisate a Roma e soprattutto al Duce, e naturalmente sa che quanto mi dice sarà subito riferito.

Da qui questi colloqui ch'egli stesso provoca, colloqui che per essere egli personalità sempre di primissimo piano e destinato a ritornare al Governo presentano un interesse e un'attrattiva certo non comune. Herriot poi è un

4: causeur » piacevolissimo, di una statura veramente superiore e lo credo nettamente sincero quando esprime il suo profondo ed intenso desiderio di una cordiale e proficua intesa fra i due Paesi.

Quanto al nostro Consolato qui, l'eredità non è delle più liete. Tutto era statico e inefficiente. Limitata l'opera di penetrazione nell'elemento italiano, niente poi per quanto riguarda l'elemento francese. Ma conto fra non molto di poter sistemare le cose in modo da modificare la situazione e metterla quale dev'essere. Ho chiesto anzi all'ufficio Stampa 3000 !tre, non sono molte, per spese stampa propaganda, come già ebbi a Basilea, Francoforte e Tolosa.

<< Naturalmente » la prima risposta è stata negativa, ma se Lei Eccellenza, volesse dire una parola, credo che non potrebbero negarmele e di un fondo anche modesto per propaganda ne ho sempre constatato non solo la necessità ma anche gli ottimi risultati.

E così dovrò chiedere un Vice Console di carriera, che qui occorre. Ma ci vuole un Vice Console in gamba, già pratico dell'estero e preferibilmente della Francia, che abbia una solida cultura e molta voglia di lavorare, quello che avevo a Tolosa al principio, Casertano, sarebbe andato qui benissimo.

Infine, mi consenta, Eccellenza, di accennarLe ad una cosa che mi riguarda. L'indennità del titolare qui a Lione -cosa strana-è inferiore a quella di Tolosa, e non si spiega dato che Lione sotto tutti i punti di vista, sia delle nostre comunità come numero, sia come centro industriale, culturale, sociale e politico è infinitamente superiore a Tolosa. E anche come costo di vita. Oltre che ad un pregiudizio... (l) economico, si tratta anche di una diminuzione morale che andrebbe, mi pare, riparata. Ne ho scritto al Ministero che ha risposto colle solite frasi vaghe, ma sono certo che anche V. E. troverà giusto che mi si ridia se non altro quello che avevo a Tolosa, o aumentando in proporzione l'assegno

o sotto forma di indennità provvisoria, sebbene per evidenti ragioni di logica e di equità, Lione dovrebbe avere lo stesso assegno di Marsiglia.

(l) Il destinatario della lettera non è indicato.

408

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. 646/165 R. Roma, 12 aprile 1933, ore 17,45.

Con telegramma Stefani le invio testo comunicato diramato drca prossima venuta on. Jung (2). Ella provvederà a darvi opportuna pubblicità su codesta stampa. Faccio presente che stampa francese si sforza a dare prossimi scambi vedute di codesto Governo con rappresentanti principali Governi esteri carattere

non di scambi di vedute bilaterali ma piuttosto di una riunione a tre Roosevelt MacDonald Herriot. Ho presente che segretario di stato Hull ha già indicato che si tratta di incontri bilaterali e non ritengo quindi che presentazione fatta da stampa francese risponda vedute reali di codesto Governo. In ogni modo essa non è nell'interesse della riuscita delle conversazioni di cui si tratta. Lascio a lei di segnalare opportunamente la cosa costì. Riuscirebbe evidentemente opportuno che da parte americana si insistesse (dandovi la necessaria pubblicità) sulla assenza di qualsiasi conferenza a tre e sul carattere bilaterale degli imminenti scambi di vedute. I rappresentanti delle maggiori Potenze costì invitati non possono essere messi né apparire su piani diversi.

(l) -Parola illeggibile per il deterioramento del documento. (2) -Con t. 646/166 R., pari data. Mussollni Incaricò Rosso di ringraziare Roosevelt e Hull per l'Invito e di comunicare che, a causa del suoi impegni, anche per l negoziati del patto a quattro, gli era difficile assentarsi da Roma; che aveva quindi deciso di inviare a WashingtonJung come suo rappresentante personale.
409

IL MINISTRO A TIRANA, KOCH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1467/80 R. Tirana, 12 aprile 1933, ore 20,30 (per. ore 9 del 13).

Mio telegramma n. 76 (1).

Decisione presa da questo Governo di chiudere tutte le scuole private e religiose colpisce in modo particolare influenza italiana in questo paese. Il fatto che detto Governo non ha creduto informare precedentemente R. legazione sta a dimostrare che, in considerazione anche dell'atteggiamento preso da questa nei riguardi delle scuole professionali, esso ha preferito farla trovare davanti al fatto compiuto, con gesto ben poco conforme a quello spirito di amicizia da cui dovremmo sempre pretendere di vedere animato il Governo del piccolo paese alleato. Provvedimento, anche se non avrà immediata applicazione, provocherà certo fin da ora V•ivo risentimento fra tutte le popolaz·ioni cattoliche che erano già nettamente ostili al regime, tollerato solo in considerazione dell'appoggio che gli dà l'Italia. Esse, e specialmente il clero, vedranno in questo atteggiamento l'inizio di una campagna di persecuzione e stringeranno le fila per mettersi sotto la protezione del Governo fascista.

Con provvedimento adottato, il Re, poco curandosi delle conseguenze dannose che esso potrà avere per l'istruzione della gioventù se effettivamente applicato, ha inteso evidentemente infliggere intanto serio monito a popolazioll!i. cattoliche che esso sente sempre più lontane da lui e distaccarle dall'influenza italiana nella quale egli vede loro principale forza. Ma con ciò egli non fa che aumentare magg.iormente la distanza che lo separa dal suo popolo e ora si può dire che unica forza che lo sostiene nei riguardi della ... (2) è il nostro appoggio, di cui però non sembra rendersi conto. Occorre tener presente che tanto più l'Italia si presta a facilitare col suo remissivo contegno il giuoco del Re, tanto più essa perde prestigio in questo paese ove il popolo le rimprovera soprattutto il mantenimento di un regime che gli è avverso. Oggi il Re è indubbiamente malvisto

da grande maggioranza popolazione. Occorre, a mio avviso, fargli sentire che se egli non ritorna ad un contegno leale verso il Governo alleato, cui tutto deve, gli potrà venire a mancare il suo appoggio. Il presente telegramma continua (1).

(l) -T. 1449/76 R. dell'H aprile, ore 19,33, non pubbHcato. (2) -Gruppo indeclfrato.
410

IL MINISTRO A TIRANA, KOCH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1468/81 R. Tirana, 12 aprile 1933, ore 21,05 (per. ore 9 del 13).

Seguito del numero precedente (2).

Se V. E. mi autorizza, propongomi di far presente al Re che atteggiamento da lui voluto con la recente disposizione in materia scolastica e religiosa è da noi considerato in contrasto con lo spirito amichevole su cui basasi alleanza fra i due paesi e viene meno a quei principi di collaborazione specialmente nel campo culturale che hanno determinato l'Italia a dare all'Albania il notevole suo appoggio per favorirne lo sviluppo. Che se egli, pertanto dovesse insistere su questo atteggiamento, darebbe motivo di credere che intende rivenire sui termini di questa nostra collaborazione. Solamente con la prospettiva di sospendere il servizio del prestito e di mettere in esecuzione le sanzioni riconosciute alla Svea (le di cui trattative dovranno opportunamente avviarsi alla rottura) si riuscirà a ristabilire quella posizione che il conciliante atteggiamento tenuto fin qui è valso a spostare a tutto danno del nostro prestigio.

Debbo aggiungere risultarmi che provvedimento non (dico non) era voluto dal Parlamento e che il presidente Kotta dopo aver inutilmente domandato che la [proposta] fosse presentata dal Governo, ha avuto dal Re stesso l'imposizione di farla presentare sotto la minaccia delle dimissioni. Circoli parlamentari sono veramente preoccupati.

Il Re che si dichiara ammalato non accorda udienze in questi giorni. Mi riceverà sabato mattina. Prego farmi pervenire tempestivamente istruzioni prima di quella data (3).

411

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, E IL CANCELLIERE FEDERALE E MINISTRO DEGLI ESTERI AUSTRIACO, DOLLFUSS (4)

APPUNTO Roma, 12 aprile 1933.

Dopo i convenevoli d'uso, mi parla della situazione in Austria, del nazismo locale e germanico; dei socialisti che hanno -oggi -terrore dell'Anschluss,

(-3) Per la risposta cfr. n. 418. (-4) Originale autografo di Mussolinl, ed. in DE FELICE, p. 473.

dei cristiano-sociali che in queste ultime settimane hanno consolidato le loro file, di Starhemberg che marcia perfettamente d'accordo con Dollfuss. Il cui programma è semplice e netto: l'Austria ha una sua personalità storica definita, un suo compito nel bacino danubiano e vuole rimanere indipendente, pur mantenendo colla Germania quei rapporti speciali che derivano dalla comunità della razza e della cultura. Io gli dico che approvo pienamente questa posizione di Dollfuss e aggiungo che su questo terreno può contare sull'amicizia mia e sull'appoggio dell'Italia. I rapporti coll'Ungheria sono ottimi. La situazione economica non è peggiore. Dollfuss mi parla anche dei suoi progetti di riforma costituziona:1e che io neU'msieme approvo. È buona ne'i suoi conf~onti ed io gli dico che questa stimmung migliorerà quanto più egU sarà energico e conseguente. Da ultimo, il Dollfuss -pur premettendo che non vuole assolutamente immischiarsi nella nostra politica interna, ma sollec,itato anche da!i. suoi rico,rdi di BoJzano, dove egU av,rebbe trasCO['SO il suo se,rvizio militare -mi prega dd andare incontro ai desideri aust'l'iaci pe,r quanto concerne il privatunterricht nella provincia di Bolza.no. Mi limito a r'ispondergli che mi 'l'icoll:"derò di quanto mi ha detto e che quando io seguo una politica di amicizia verso uno Stato, sono disposto anche a darne le prove.

Il Dollfuss -malgrado la sua minuscola statura -è un uomo d'l.ngegno dotato anche di volontà e nell'insieme produce una buona impressione.

(l) -Cfr. n. 410. (2) -Cfr. n. 409.
412

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI (l)

L. P. Roma, 12 aprile 1933.

Ti mando copia della lettera indirizzatami dal Signor MacDonald e rimessami da Sir Ronald Graham e della risposta da me p,reparata (2). Tu vorrai consegnargliela a mio nome, rinnovando personalmente i miei saluti e l'espressione della mia soddisfazione per il nostro recente incontro. Gli dirai anche che ho molto apprezzato lo spirito di larga comprensione e la determinazione di giungere a risultati concreti.

Come tu vedrai, nella sua lettera MacDonald mostra di preoccuparsi, tra l'altro, di eliminare le diffidenze che negli ambienti ginevrini e in particolare da parte della Polonia e della Piccola Intesa si nutrono verso il Patto. Egli mi chiede anzi di discutere come il terreno potrebbe essere preparato per ispirare ai Governi d'Europa la necessaria fiducia negli scopi che ci siamo proposti. Gli rispondo suggerendo che, oltre quello che è stato già fatto, sia da parte inglese che da parte italiana, i Rappresentanti diplomatici britannici e italiani potrebbero tenere un analogo linguaggio da concordarsi all'uopo tra i due Governi. A tal fine tu potrai comunicargli in forma opportuna e personale i chiarimenti e le precisazioni che sono contenuti nel mio telegramma n. 477 R del 24 marzo

(-2) Cfr. nn. 344 e 398.

33 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XIII

u.s. (1), e discutere con lui, sulla base degli elementi che già conosci, e tenendo conto delle sue osservazioni, le eventuali aggiunte e i complementi da apportare alle spiegazioni già date.

Un altro punto importante della lettera di MacDonald è quello che riguarda ciò che egli chiama tracce dell'attrito esistente tra Parigi e Roma e la situazione nei riguardi della Jugoslavia. Nella mia lettera, e richiamandomi all'uopo anche al recente deliberato del Gran Consiglio, indico come questi attriti non possono eliminarsi che mediante trattative dirette, ad esclusione di intermediari.

Vedrai tu se e come riprendere e chiarire questo concetto al Signor MacDonald in modo che esso appaia nella sua migliore luce e come concetto che rientra nell'ordine naturale delle cose, precisando che lo svolgersi dei fatti può solo stabilire il tempo e il modo migliori per le trattative dirette, e ciò nell'interesse della loro stessa riuscita.

Un altro punto della lettera di MacDonald riguarda la riconvocazione della Conferenza del Disarmo per il 25 aprile. Tu puoi assicurare il Primo Ministro che le istruzioni della Delegazione italiana sono di continuare a dare al progetto e alla delegazione britannica il più cordiale appoggio per la riuscita della sua iniziativa.

Quanto infine agli emendamenti che il Signor MacDonald e Sir John Simon propongono al testo del Patto, è evidente che risentono della visita fatta a Parigi e delle idee espresse dal Governo francese. Ma, a parte ogni altra considerazione è da tenere conto anche delle osservazioni tedesche che io ti ho inviato e che, nonostante l'atteggiamento formale di Berlino di adesione al testo proposto, vanno molto al di là dello stesso testo originario. Sarà bene che il Signor Mac Donald tenga conto anche di questo elemento. Per parte mia, appena avrò ricevuto le osservazioni francesi, esaminerò di nuovo i diversi articoli e preciserò ulteriormente il mio pensiero.

(l) -Ed. [n MUSSOLINI, Opera omnia, vol. XLII, pp. 42-43.
413

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. RR. 793/364. Varsavia, 12 aprile 1933.

L'atteggiamento di queste sfere ufficiali nei nostri confronti, dopo il marcato raffreddamento verificatosi due settimane fa, non ha avuto occasione di manifestarsi in alcun modo e la situazione è rimasta invariata.

Avendo esso coinciso col periodo della fine della Quaresima che è quello in cui anche la mondanità è sospesa, non ho avuto più modo d'incontrare personalità del Governo, ma lo stato d'animo in cui queste si trovano mi risulta essere di risentimento. A quanto mi è stato riferito il Maresciallo Pilsudski ha ha avuto scatti d'ira assai forti ed è ancora alquanto agitato. La piega che hanno preso gli avvenimenti specialmente dopo che la Francia, pur con molte cautele e riserve, ha fatto intendere di essere forzata a non respingere il patto a quattro, non può non aver aumentato qui i risentimenti e le inquietudini,

così che la Polonia per reazione ha peggiorato ancora i suoi rapporti con la Germania ed è più o meno in freddo con le altre Potenze.

I giornali lasciano trasparire questo stato d'animo dalle loro pubblicazioni senza per altro abbandonare quel riserbo che il Governo mantiene circa le direttive che dovrà adottare la politica estera polacca e che per ora non sembrano fissate.

Essendomi mancato ogni mo,tivo per chiedere dd far visita a S. E. Beck, non l'ho più visto e soltanto da terze persone ho potuto sapere che il risentimento nei nostri confronti viene giustificato:

a) con l'abbandono da parte dell'Italia dela sua politica di disinteressamento alla questione del << Corridoio »;

b) con la simpatia apertamente manifestata dall'Italia per il nuovo regime tedesco che è considerato il peggiore nemico della Polonda, la quale simpatia avrebbe avuto un crescendo di manifestazioni nel telegramma di S. E. Mussolini a Goering, nella rottura dei negoziati commerciali italo-polacchi, e sarebbe culminata nel progetto del patto a quattro avente scopi revisionistici favorevoli alla Germania e contrari alla Polonia.

Non ho mancato, seguendo le istru2lioni dell'E. V., di smentire opportunamente le dicerie circa il contenuto del progetto, ed i giudizi troppo unilaterali od interessati che di esso si davano, respingendo ogni manovra obliqua come quella di dare un significato politico all'impossibilità riscontratasi a Roma di condurre a buon fine le conversazioni commerciali.

Ho potuto prendere indiretti contatti con l'ex Ministro degli Esteri Signor Zaleski ed agire anche su di lui utilmente nel senso suddetto. Il Signor Zaleski ha vivacemente disapprovato lo scatto d'ira di cui fu vittima il dimissionato Conte Potocki e mi ha fatto dire di aver molto apprezzato l'attitudine italiana in quella circostanza, aggiungendo che anche quel gesto compiuto così scioccamente e leggermente serviva a spiegare le ragioni per le quali egli Zaleski non aveva più voluto essere Ministro degli Esteri.

È certo che la politica di Beck -che è in fondo né più né meno che la pedissequa ed inevitabile estrinsecazione delle ire frequenti del Maresciallo viene molto criticata da due settimane a questa parte ed essendosi qualche giornale fatto eco di tali critiche, si è subito fatto sapere dall'alto che dopo Pasqua si avranno dei ritocchi nella compagine del Governo.

Mi preme però avvertire che a mio modo di vedere non è da attendersi la liquidazione di Beck, sia perché egli ha fatto il Ministro come Pilsudski ha voluto, sia perché se il Maresciallo non crederà di assumere lui stesso il portafoglio degli Esteri, nessuno più di Beck potrà ciecamente obbedirlo. D'altro canto non è da credere che il rimpasto possa significare l'inizio di una politica di ragionevole arrendevolezza da parte della Polonia perché questo non corrisponderebbe al modo di vedere dei polacchi, convinti più che mai di non cedere dinanzi a nessuno un pollice di territorio e poiché questa è anche l'opinione dei gruppi d'opposizione, non è da escludersi del tutto la possibilità di una concentrazione sulla quale Pilsudski possa elevarsi come l'uomo destinato a liberare ancora una volta la Polonia dai suoi nemici.

Nei nostri confronti l'attitudine polacca potrà forse subire una revisione, ma non prima che si verifichino delle circostanze atte a far comprendere a Varsavia che nel più leale dei revisionisti -oggi considerato come il responsabile del male che incombe sulla Po.lonia -essa potrebbe ancora sperare di trovare qualche considerazione benevola ed un equo appoggio. Per ora la freddezza di questi ambienti ufficiali non accenna a diminuire e mi costringe ad un certo riserbo, tanto più necessario inquantoché questo ministero degli Esteri -secondo quanto è stato affermato dal Ministro del Commercio a questo Addetto Commerciale -avrebbe dato ordine di soprassedere ad ogni benevola disposizione circa un'eventuale assegnazione del noto lavoro dei Cantieri Riuniti dell'Adriatico ed avrebbe avocato a sé tale questione come quella dell'assegnazione di nuovi contilngenti d'importazione ai Paesi colpiti dagli ultimi divieti.

A proposito di questo riferisco con rapporto a parte in data odierna (l).

Sarò grato all'E. V. se vorrà farmi giungere ulteriori disposizioni.

(l) Cfr. n. 278.

414

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1486/184 R. Washington, 13 aprile 1933, ore 12,20 (per. ore 20).

Telegramma di V. E. n. 165 (2).

Dichiarazioni fatte ieri alla stampa tanto da porta-parola della Casa Bianca quanto da segretario di stato (telegramma Stetani-speciale n. 322) hanno insistito su carattere bilaterale degli scambi di vedute dei rappresentanti ester,i col presidente. Esse non hano escluso però possibildtà che due o più rappresentanti si trovino con presidente in una stessa riunione di carattere sociale.

Poiché per un paio di giorni MacDonald ed Herriot si troveranno contemporaneamente a Washington è quasi inevitabile che vengano invitati insieme a qualche colazione o pranzo alla Casa Bianca. Con dichiarazioni sopra accennate si è appunto voluto avvertire in anticipo che ciò non dovrà essere interpretato con significato politico di conferenza a tre.

Malgrado tali dichiarazioni ampiamente riportate dalla stampa mi rendo conto che questione in apparenza formale continuerà a presentare aspetti delicati ed importanti e non mancherò di agire nel senso indicatomi da V. E.

415.

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. 657/61 R. Roma, 13 aprile 1933, ore 24.

Suo 45 (3).

V. -S. può assicurare Gombos che cantinuerò a tenerlo al corrente dello svolgimento dei negoziati relativi al patto a quattro.

Per quanto ,riguarda azione Titulescu a Pa,Digi non abbiamo ancora informazioni precise: dalle informazioni generali si può però ritenere che sia nel vero l'opinione prevalentemente diffusa che egli abbia oltrepassato il segno e che la sua opera non abbia quindi realizzato quel successo che egli si attendeva. Quanto al «memorandum» francese (l) ritengo che fatto che esso sia stato redatto durante soggiorno Titulescu a Parigi non abbia significato molto maggiore di quello di una semplice coincidenza di tempo. È evidente che Piccola Intesa continui svolgere azione contraria patto a quattro con tutti i mezzi a sua disposizione: sono però d'avviso che se non conviene sottovalutare sua influenza a Parigi non è nemmeno il caso di sopravalutare sue possibilità.

Per quanto concerne memorandum francese copia di esso è stata oggi rimessa a questo ministro di Ungheria (2).

(l) -Non rinvenuto. (2) -Cfr. n. 408. (3) -Cfr.n. 363.
416

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, E AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI

TELESPR. RR. 211252/C. Roma, 13 aprile 1933.

Con telegramma in data 22 febbraio c.a. (3) il R. Incaricato d'Affari in Etiopia ha informato che il 15 febbraio ha iniziato in Addis Abeba i suoi lavori la Commissione per l'esame del progetto relativo allo sbarramento del Lago Tzana.

Partecipano a tale Commissione i rappresentanti tecnici del Governo etiopico, dei Governi egiziano e sudanese, nonché ingegneri della White Engeneering Corporation, incaricata del progetto stesso.

La questione relativa allo sbarramento del Lago Tzana e allo sfruttamento delle sue acque è, come noto, di particolare interesse per l'Inghilterra la quale da un più regolare deflusso delle acque stesse (Nilo Azzurro) verso il bassopiano si ripromette di trarre i mezzi idrici necessari ad una più completa messa in valore del Sudan.

Tale questione occupa da trent'anni l'attività politica e dplomatica britannica nei riguardi dell'Etiopia ed è, si può dire, il punto cruciale della politica inglese in Abissinia. Ne sono prove evidenti, e segnano al tempo stesso le tappe successive di tale attività:

l) il trattato anglo-etiopico del 15 maggio 1902 in base al quale l'Imperatore Menelik si era ~mpegnato a non costruire e a non permettere che si

costruissero sul lago Tzana, sul Nilo Azzzurro e sul Sobat, opere che potessero intralciare il loro corso verso il N ilo Bianco (Sudan), senza preventivo accordo col Governo britannico;

2) l'accenno esplicito, relativamente agli interessi idraulici dell'Inghilterra nel bacino del Nilo, contenuto nell'accordo Tripartito itala-francese-inglese del 1906;

3) lo scambio di lettere italo-inglese del 1925 mediante il quale l'Inghilterra intese assicurarsi I'a.ppoggio dell'Italia ·presso tl Governo etiopico al fi:ne di ottenere la concessione per lo sbarramento delle acque provenienti dal Lago Tzana.

Fra il 1925 e il 1930 la politica inglese in Etiopia è venuta sempre più decisamente orientandosi verso il ragg,iungimento del suo scopo principale in quel paese: la realizzazione cioé della concessione per lo sfruttamento dello Tzana.

Lunghe e laboriose furono le trattative svoltesi a tal fine.

È noto come nella questione relativa allo sbarramento del grande lago abissi:n:o sia in seguito inte,rvenuta la Wh~te Engenee['ing Corporation (ame.ricana, ma verosimilmente in mani inglesi), determinando le intese intervenute nel 1930 in Addis Abeba fra quest'ultima, il Governo Etiopico e il Governo inglese. In base a tali intese veniva affidato alla White Engeneering il mandato di compiere, presso il Lago Tzana, a spese del Governo Britannico gli studi necessari alla compilazione di un progetto di sbarramento per regolare il deflusso delle acque del Nilo Azzurro verso il Nilo Bianco.

Tale progetto viene esaminato dalla Commissione che si è riunita in questi giorni in Addis Abeba. La questione presenta per noi particolare interesse dal punto di vista politico oltre che da quello economico.

È infatti da considerarsi che gli accordi del 1906 (Tripartito) e del 1925 (scambio di lettere i taio-inglese), mentre riconoscono gli interessi idraulici della Gran Bretagna per quanto riguarda le acque del Lago Tzana e del Nilo Azzurro, li determinano e li limitano in relazione agli interessi italiani nell'Ovest Etiopico.

Il primo di detti atti infatti, nell'accennare agli interessi della Gran Bretagna e dell'Egitto nel bacino del Nilo e alla regolamentazione del corso di quelle acque, dice esplicitamente che tali interessi dovranno (art. 5) essere salvaguardati « sous réserve des intérèts italiens mentionnés au paragraphe b ~ dello stesso articolo, secondo il quale tali interessi italiani sono da considerarsi « par rapport à l'Erythrée et au Somaliland (y compris le Benadir) et plus spécialement en ce qui concerne l'hinterland de se possessions et l'union territoriale entre elles à l'ouest d'Addis Abeba~.

Il secondo degli atti che è stato redatto nel quadro delle « stipulations of the London Agreement of December 13th 1906 » (lettera di Sir R. Graham del 1° Dicembre 1925), riconosce all'Italia «an exclusive Italian economie influence in the West of Abyssinia and in the whole of the territory to be crossed by the above mentionned railway (quella che dovrebbe congiungere l'Eritrea alla Somalia) ~ e promette che il lavoro per lo sbarramento dello Tzana si effettuerebbe senza che ne risulti alcun danno per le popolazioni locali.

Le stipulazioni sopra riportate da un lato riconoscono in modo esplicito i nostri interessi nella zona in cui i lavori di sbarramento dovrebbero eseguirsi, e dall'altro ci consentono di fondatamente richiedere di intervenire negli studi relativi ai lavori stessi; intervento che varrebbe d'altra parte a confermare l'esistenza di tali nostri interessi e a costituire un non trascurabile nuovo riconoscimento da parte della Gran Bretagna.

Sembra quindi conveniente, nel momento attuale, e cioè prima che le trattative per la concessione di cui si tratta abbiano ad ulteriormente progredire ed eventualmente a concludersi, che codesta Ambasciata richiami l'attenzione del Governo britannico sugli interessi che entrambi gli accordi del 1906 e 1925 a noi riconoscono, interessi che potrebbero essere compromessi ove i progettati lavori idraulici nella zona dello Tzana, lavori che verrebbero integrati da altri ad essi non necessariamente connessi (quali ad es. la costruzione di strade di accesso allo Tzana) avessero attuazione all'infuori di noi, e faccia presente allo stesso Governo Britannico che noi riteniamo, in base a tali interessi e agli accordi italo-i:nglesi che li consacrano, di non dover essere esclusi dal partecipare all'esame ed agli studi relativi allo sbarramento dello Tzana e all'utilizzazione delle sue acque, anche in relazione agli interessi delle popolazioni locali, come ad ogni altro lavoro che fosse progettato nella zona in questione, nella quale la Gran Bretagna ha riconosciuto l'esclusiva influenza economica italiana.

V. E. potrebbe nel contempo fare osservare al Foreign Office come una nostra partecipazione agli studi di cui trattasi ci darebbe anche modo di svolgere praticamente quell'azione di appoggio in favore dei desiderata britannici, che è prevista appunto dall'accordo italo-inglese del 1925.

Nel formulare tale nostra richiesta al Foreign Office, V. E. vorrà tenere presente come, all'epoca delle trattative svoltesi a Addis Abeba nel 1929 il Governo inglese abbia riconosciuto il buon diritto del R. Governo ad essere tenuto al corrente dello svolgimento delle trattative medesime, e come lo stesso Governo Inglese abbia, già allora, richiesto, 'Per la trattazione della questione di cui trattasi, la collaborazione del Governo Italiano. Si vedano a tale proposito il telegramma di questo R. Ministero n. 745 del 21 marzo 1929; il telegramma di questo R. Ministero n. 117 del 6 aprile s.a. e il telegramma per corriere n. 247 in data 9 aprile 1929 di codesta R. Ambasciata; nonché il telegramma di questo R. Ministero del 24 aprile successivo; e infine la Nota Verbale Britannica allegata al telespresso ministeria1e n. 226209 del 23 maggio 1929 (1).

Cotesta Ambasciata potrà far osservare al Foreign Office come il R. Governo si sarebbe atteso che, in conformità con ta1i precedenti, con gli impegni assunti nel 1925 e con lo spirito di amichevole collaborazione che ha sinora regolato la politica delle due Potenze in tale materia ed in genere nelle questioni etiopiche, il Governo britannico, sia direttamente, sia pel tramite del proprio rappresentante in Addis Abeba, gli avesse fornito comunicazioni e notizie in proposito.

Dell'esito dei passi che, conformemente alLe istruzioni qui sopra esposte l'E. V. avrà svolto presso il Foreign Office, questo R. Ministero gradirà di venire appena possibile informato, onde regolare la sua azione in questa importante questione (l).

(l) -Cfr. n. 405. (2) -Con t. 689/62 R. del 18 aprlle Mussolini dettò a Colonna le seguenti istruzioni: « Prevenga Oombas che fra poco ella riceverà un rapporto da comunicargli concernente l'attività politico-diplomatica svoltasi a Roma in questi ultimi giorni >>. (3) -Non pubblicato.

(l) Cfr. serie VII, vol. VII, n. 362. Gll altri documenti citati non sono pubblicati.

417

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. P. Londra, 13 aprile 1933.

Nel corso della conversazione che ho avuto con Simon lunedì scorso gli avevo detto che ero a disposizione di MacDonald per il caso che egli volesse vedermi prima del suo viaggio in Amm,ica. MacDonald mi ha scritto la let.tera che Ti accludo in copia.

Richiamo la Tua attenzione sull'ultimo periodo di tale lettera: «Nel caso che scriviate al Vostro Capo, Vi sarei grato se voleste offrirgli le espressioni del mio più grande rispetto e i miei buoni auguri. Ditegli che vi sono considerevoli influenze che lavorano contro il Patto, ma che io non lo ho in nessun modo abbandOIIlato. Gli avvenimenti tedeschi hanno avuto una assai cattiva influenza su di esso, e hanno indubbiamente sollevato delle difficoltà che non esistevano al momento del mio viaggio a Roma. Noi dobbiamo tuttavia non cedere». La mia impressione è che MacDonald abbia voluto smentire con queste sue parole le voci messe in giro a Parigi secondo le quali il Governo Inglese sarebbe oggi meno ansioso d raggiungere un accordo sul Patto. Ma le parole di MacDonald costituiscono anche una nuova prova del nervosismo inglese di fronte ad alcuni aspetti della politica tedesca. Simon ebbe già a parlarmi nel senso che Ti ho telegrafato (2) degli emendamenti tedeschi al progetto di Patto a Quattro. MacDonald mi scrive ora che gli avvenimenti tedeschi hanno avuto una cattiva influenza sui negoziati per la conclusione del Patto a Quattro. Tutto questo si spiega solo col fatto che le correnti di simpatia per la Germania in Inghilterra si sono andate indebolendo. I due maggiori giornali

Colla risoluzione di essa, vale a dire col definitivo ottenimento da parte inglese, sia pure attraverso la americana White Engeneering, della concessione per lo sbarramento dello Tzana, verrebbe risolto in senso favorevole alla Gran Bretagna Il più importante problema della politica inglese in Etiopia: è quindi da prevedersi che l'interesse britannico sia per l'accordo Tripartito del 1906, sia per Il ccntenuto delle lettere scambiate con noi nel 1925 ne risulterebbe molto diminuito, cio che è evidentemente contrarlo ai nostri scopi».

Allegato alia nota il seguente biglietto di Buti del lO aprile: «Caro Jacomoni, il lago Tzana stagna ancora. Da contatti avuti con questa Amba.sci.ata britannica, l'Inghilterra sembrerebbe ben disposta.

Raccomando la pratica alla tua cortesia. Grazie.

P. S. La richiesta che si fa a Londra colle carte sottoposte alla firma è ortodossa».

osse,rvazioni tedesche.

Ho chiesto a Simon le sue impressioni. Egli mi ha detto che, a suo avv!so, gli emendamenti presentati dal Governo tedesco complicano il negoziato. Governo Britannico aveva compiuti e sta compiendo sforzi per fare accettare progetto accordo alla Francia e proposte tedesche rendono tale lavoro assai più difficile ».

che interpretavano queste correnti -il Manchester Guardian e il Daily Herald -sono ora dei più ostili alla Germania.

Io continuo a lavorare nel senso delle Tue istruzioni. Intanto la campagna contro la politica antisemita della Germania che nella scorsa settimana aveva raggiunto delle forme assai vivaci si è andata calmando. Questo, io spero, contribuirà a ristabilire la situazione nel suo equilibrio.

ALLEGATO

MACDONALD A GRANDI

L.P. Londra, 11 aprile 1933.

Sir John Simon told me a couple of days ago that you would like to see me. Needless to say I would receive nobody with greater pleasure. At the moment, however, I am simply head over ears in work preparatory to my start for America. I have in front of me a record of what the Foreign Secretary said to you when he saw you, and I think it covers oretty much thP. eround that we would have gone over together, so that I should be exceedingly obliged if you would let me off until I return in about three to four weeks.

If you are communicating with your Chief, I should be very grateful if you would convey to him my great respects and :good wishes. Tell him that there are some considerable influences at work agalnst the Pact, but that I have in no way abandoned it. German events have had a most evil influence upon it and have undoubtedly raised troubles which were not in existence when I was in Rome. We must stick to it, however.

This, of course, is a purely private and personal message and in no sense official or to be made public.

(l) Il presente telespresso venne ,redatto sulla base di una relazione di Buti per Mussolini del 7 marzo, di cui si pubblica Il passo seguente: <<La questione presenta per noi particolare interesse sia dal punto di vista politico che da quello economico.

(2) Grandi aveva comunicato il lO aprile con t. 1431/270 R.: « Foreign Office sta esaminando

418

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A TIRANA, KOCH

T. uu. 666/53 R. Roma, 14 aprile 1933, ore 20,15.

Suoi telegrammi nn. 80 e 81 Cl). Autorizzo V. S. a parlare a Re Zog nel senso da lei proposto. Ella dovrà invitare il Re a considerare seriamente:

l) che un provvedimento come quello votato con tanta precipitazione da codesto Parlamento, e che, sotto l'apparenza di una perfetta imparzialità verso i vari culti, colpisce in sostanza soltanto istituti cattolici che tante benemerenze hanno acquistato nel campo culturale e nazionale, venendo a turbare la ormai raggiunta pacificazione degli animi su cui si basa la solidità del regime monarchico, non può non destare seria preoccupazione del Governo fascista.

2) che un tale provvedimento, sia perché colpisce istituti i quali hanno sempre favorito la diffusione della cultura italiana, sia perché segue ad altri provvedimenti particolarmente diretti contro la nostra penetrazione culturale

.~n Albania, deve forza·tamente interpretarsi come un atto poco amichevole nei nostri confronti. Né può il Governo fasoista omette·re di dare peso al fatto che H provvedimento in questione viene a colpire propr.io quegli elementi che esso ha contribuito a !'icondurre a sentimenti di leaità per l'attuale regime, facendosi fra l'altro mallevadore delle buone disposizioni del Sovrano verso le istituzioni cattoliche.

3) che queste spiacevoli constatazioni potrebbero influire sulla nostra linea di condotta proprio nel momento in cui sono in corso trattative per le quali l'Albania ha maggior bisogno del nostro benevolo appoggio.

Ciò premesso Ella vorrà far presente a Re Zog l'opportunità di rifiutare la sua sanzione al provvedimento legislativo di cui trattasi.

V. S. troverà infine modo di far giungere alle personalità più influenti dell'elemento catolico notizia di questo nostro atteggiamento.

È superfluo che io raccomandi a V. S. la necessità di ispirare la sua linea di condotta a quella calma fermezza che più si addice di fronte a procedimenti «ab irato , come quelli di Re Zog.

(l) Cfr. nn. 409 e 410.

419

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 15 aprile 1933.

Colloquio con l'Ambasciatore di Germania.

È venuto a consegnarmi le accluse osservazioni del Governo tedesco sul testo del progetto francese (l) rimessogli da V. E. Ha chiarito che queste osservazioni sono da considerarsi di carattere generico e provvisorio fintantoché il Governo tedesco non avrà avuto la possibilità di fare quelle definitive dopo aver preso conoscenza del memorandum (2) che accompagnava il progetto francese. A questo proposito ma ha detto che V. E. gli aveva promesso di rimettergli copia di tale memorandum dopo che il Governo francese vi avrebbe apportato una correzione richiesta da V. E.

Gli ho detto che il Governo tedesco poteva bene basarsi, per le sue osserva~ zioni, esclusivamente sul progetto, dato che il memorandum non era che un semplice commento delucidativo, che non alterava per nulla le linee del progetto.

È sembrato convinto, ma ha rinnovato le sue insistenze, dicendo di ritenere opportuno che il Governo tedesco fosse a conoscenza anche del memorandum.

Allora gli ho detto che si sarebbe potuto riparlare della cosa martedì prossimo, in occasione della riunione che si è stabilito di tenere su tal soggetto insieme con S. E. Suvich e von Papen, nella quale penso sarebbe forse possibile accontentarli con diffuse delucidazioni, facendo magari a meno di consegnare il testo del memorandum.

Von Hassell ha poi richiamato la mia attenzione su di una corrispondenza della Isvetia che, traendo lo spunto da una frase di un articolo della Tribuna, accennava alla possibilità che la presenza a Roma dei Ministri tedeschi potesse servire a gettare le basi di una intesa italo-germanica contro la Russia. Gli ho fatto notare che il Governo tedesco conosceva perfettamente il pensiero del Capo del Governo sullo stato delle relazioni russo-tedesche dopo l'avvento di Hitler e che quindi ritenevo non fosse il caso di dare soverchia importanza a tali fantasie giornalistiche. Ha accettato le spiegazioni, d1cendomi che telegraferà in tal senso al suo Governo.

ALLEGATO

OSSERVAZIONI TEDESCHE AL PROGETTO FRANCESE

Benché per ora, senza conoscere il contenuto del Memorandum annunziato, non sia possibile una definitiva presa di posizione del Governo Germanico di fronte alla proposta francese a riguardo del Patto, si può, con riserva di proposte definitivamente formulate, fin da oggi prendere la seguente posizione:

L'impressione generale è quella, che la proposta francese nei punti più impor

tanti manifesta gravi deviazioni dall'idea fondamentale dell'originario disegno italiano

e quindi dai nostri desideri.

In particolare si noti:

l) Preambolo.

Già nel primo capoverso del preambolo si fa riferimento, senza plausibile motivo, alle relazioni delle quattro potenze con la Società delle Nazioni. Lo stesso i>ensiero si trova nell'articolo l. Se questi due riferimenti sono da considerarsi superflui, dal punto di vista germanico debbono essere sollevate le più gravi apprensioni contro la formulazione del capoverso 3 del preambolo. Se là si dice che le quattro potenze in nessun punto dello Statuto della Società delle Nazioni debbano allontanarsi dai metodi e dai procedimenti ivi previsti, il patto in tal modo diventa in fondo superfluo. I metodi ed i procedimenti della Società delle Nazioni non sono gli unici applicabili alla trattazione di problemi politici. Il nuovo patto doveva appunto introdurre un metodo nuovo accanto alla Società delle Nazioni senza contraddire alle funzioni di questa. Per questa ragione nel terzo capoverso bisognerebbe cancellare le parole: «en se conformant aux méthodes et procédures, qui y sont prévues et auxquelles elles n'entendent pas déroger ».

2) Nell'art. 2 non è più rimasto nulla del riconos::imento dell'idea della revisione. In primo luogo bisogna obiettare, che l'idea della revisione è menzionata nella sola forma dell'art. 19 dello Statuto della Società delle Nazioni, non però come elemento autonomo della politica delle quattro potenze. Ma sopratutto sorgono le più gravi apprensioni di fronte alla menzione degli art. 10 (integrità territoriale) e 16 (sanzioni) dello Statuto della Società delle Nazioni in connessione coll'art. 19. Questa formulazione potrebbe perfino creare l'apparenza, che una revisione del Trattato nelle questioni territoriali dovrebbe essere del tutto esclusa e che la menzione delle sanzioni debba accentuare ancora più la necessità di conservare lo statu quo territoriale. Inoltre sarebbe creata l'apparenza, che l'attività delle quattro potenze debba riferirsi alla sola preparazione di proposte riguardanti le applicazioni generiche degli art. 10, 16 e 19, cioè le disposiz-ioni supplementari a tali articoli, e non alla loro applicazione in un caso concreto. Volendo giungere ad una giusta soluzione del vero problema, bisogna insistert sull'inserzione d'una disposizione che riconosca il problema della revisione come esistente e che garantisca parimenti la sua soluzione in via pacifica. Forse si potrebbe soddisfare a questa necessità formulando l'art. 2 nel modo di già accennato nel Promemoria trasmesso in data del 27 u.s. (l) (pag. 2: «les quatre Puissances affirment... »).

3) L'art. 3 non contiene affatto una dichiarazione positiva sulla necessità di rendere effettiva la parità dei diritti per la Germania, limitandosi di accennare nell'introduzione l'accordo di Dicembre.

Nell'ultimo capoverso poi l'attuazione della parità dei diritti viene limitata nella medesima maniera inaccettabile come nella proposta inglese. Il riferimento all'art. 8 dello statuto della Società delle Nazioni che ora si aggiunge, potrebbe perfino essere interpretato nel senso, che la parità dei diritti della Germania debba venire realizzata in tappe di dieci anni ognuna. Di fronte a ciò non si può fare a meno di dichiarare nuovamente, che per la Germania è inaccettabile qualsivoglia disposizione che limiti la parità dei diritti per un periodo superiore a circa cinque anni.

4) Nell'art. 4 l'ultima parte, che principia colle parole «dont le réglement », dovrebbe essere soppressa, poiché certamente non vi è alcun motivo di far risuscitare la Commissione Europea di Studi, la quale si è mostrata incapace per un lavoro pratico.

(l) -Cfr. n. 405, annesso all'allegato. (2) -Cfr. n. 405, allegato.

(l) Cfr. n. 307.

420

IL MINISTRO A TIRANA, KOCH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1536/1246/450 R. Tirana, 17 aprile 1933 (per. il 18).

Governo albanese, rendendosi conto che atteggiamento assunto da suoi delegati con presentazione noto progetto di consolidamento del debito rischia di veder rompere senz'altro trattative o di vederle rinviate sine die, ha fatto in questi giorni vive insistenze presso di me in forma diretta o a mezzo dei soliti fiduciari del re per farmi presenti considerazioni su cui basasi punto di vista albanese, che qui appresso riassumo fedelmente:

l. -Prestito S.V.E.A. fu a suo tempo concluso per esecuzione di un programma di lavori aventi carattere particolarmente strategico nel precipuo interesse dell'Italia, sicché apporto finanziario del prestito non ha dato effettivamente nessun diretto beneficio al popolo albanese;

2. --Dichiarazioni dei passati ministri d'Italia lasciarono intendere a suo tempo che Governo albanese non avrebbe dovuto preoccuparsi del debito perché il Governo fascista sarebbe intervenuto presso S.V.E.A. affinché questa non ne richiedesse pagamento; 3. --Che malgrado ciò il Governo albanese desidera far fronte ai suoi impegni nei limiti consentitigli dalle sue mal ridotte finanze; 4. --Che le sue possibilità non gli consentono di soddisfare il suo impegno nè attualmente nè nel prossimo avvenire altro che nelle modeste proporzioni fatte già presenti; 5. --Che limitare le concessioni al passato e al presente senza definire la situazione avvenire -come vorrebbe la S.V.E.A. -«significherebbe accumula.re sempre più il volume del debito e lasciare il debitore in una continua incertezza che potrebbe trasformarsi anche nella minaccia di essere presi per la gola »; 6. --Che il Governo amico ed alleato, che tanta larghezza ha dimostrato verso l'Albania per il suo sviluppo interno nell'intento di rendere sempre più efficiente l'alleanza, deve preoccuparsi di questo stato di cose e se gli stanno sempre a cuore le sorti morali e materiali di questo popolo deve dare all'Albania la possibilità di disporre dei propri scarsi mezzi finanziari per i suoi vitali bisogni e sopratutto ridarle quella serenità che la S.V.E.A. le ha tolto in passato e sembra decisa di toglierle per l'avvenire. 7. --Che se il Governo fascista è sempre animato dagli stessi sentimenti e dalla stessa fiducia nei riguardi del popolo albanese deve adoperarsi perché siano fatte sparire questa pressione e questa minaccia. «Non si possono -ripeto la frase -mettere davanti alla pecora consunta dei buoni cibi ricostituenti perché si ristabilisca e poi !asciarle vedere ad una certa distanza un vorace lupo che la minacci » ; 8. --Che se tuttavia il Governo fascista dovesse insistere nell'appoggiare la S.V.E.A., in queste sue inefficaci offerte, suo atteggiamento finirebbe per essere interpretato dal popolo albanese come una mutata linea di condotta nei suoi riguardi.

Da parte mia è stato per me agevole di ricordare che l'atteggiamento del Governo fascista è stato sempre in tutti i campi il più largo e generoso; che nella questione del prestito S.V.E.A. esso si è manifestato non già, come oggi sento da parte loro, nel dar motivo di supporre che il Governo albanese avrebbe potuto cancellare il debito, ma nell'intervenire presso la S.V.E.A. per mostrarsi conciliante col debitore malgrado che questi non abbia mai mostrato serie e concrete disposizioni di buona volontà; che la presenza dei delegati

S.V.E.A. a Tirana sta nuovamente a provare l'efficace ed amichevole interessamento del R. Governo in questa pendenza finanziaria, interessamento diretto a far accordare al debitore notevoli concessioni per adattare il servizio del prestito alle difficoltà della finanza del paese, venendo incontro cosi a quanto lo stesso Governo albanese in conclusione desidera, e cioè di mantenere l'impegno in conformità delle proprie possibilità; essere pertanto assolutamente fuori posto di parlare di «lupo che minaccia di saltare alla gola». Se il Governo fascista non avrà da dubitare dei leali sentimenti di amicizia del Governo albanese non si capisce perché questi da parte sua abbia da sollevare preoccupazioni del genere.

Non è stato difficile qui di rilevare che questo Governo ha preso, specialmente in questi ultimi tempi, alcuni provvedimenti, che, come la Legazione aveva dovuto segnalare, avevano prodotto una sgradita sorpresa a Roma ove essi erano stati giustamente considerati non conformi a quello spirito di leali disposizioni che il Governo fascista ha ragione di attendersi sempre da parte dell'Albania; ma speravo che tali provvedimenti fossero stati presi senza ponderare suficientemente questa sfavorevole ripercussione e mi auguravo che non sarebbe mancato qui modo di dar prova del desiderio di vedere continuati e consolidati sempre più i sentimenti di sincera collaborazione con noi, ciò che naturalmente avrebbe servito a far sparire ogni loro preoccupazione e dubbio per quanto si riferisce al caldo interessamento che Roma ha sempre dimostrato a,l Governo albanese facilitandogli la soluzione di difficoltà che, come quelLa della S.V.E.A. sono tali da impensie;rire il Govoono amico.

Vi sarà ogg,i una nuova riunione. Ho r,innov!llto ai delegati della S.V.E.A. la raccomandazione di mostrarsi concilianti, nei limiti già discussi e decisi a Roma, tenendo però ,presente che può convenire di non (dico non) venire a conclusione poiché, come ho accennato nei miei precedenti telegrammi, i provvedimenti che va con tanta disinvoltura prendendo questo Governo ai nostri danni consigliano una prudente riserva da parte nostra nel fare quelle concessioni che possono togliere o diminuire l'efficacia delle armi di cui ancora possiamo valerci per richiamare questo Governo ad una più seria valutazione delle sue reali necessità.

421

IL MINISTRO A TIRANA, KOCH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1537/1251/455 R. Tirana, 17 aprile 1933 (per. il 18).

Telegramma di V. E. n. 53 (1). Ho fatto al Re Zog comunicazione di cui al citato telegramma di V. E. e ai miei precedenti nn. 80 e 81 (2).

Egli ha cercato, come al solito, di mostrarsi sorpreso dell'atteggiamento manifestato dal Governo di Roma. I provvedimenti testé emanati rientrano proprio -ha voluto egli dimostrarmi -in quello spirito di collaborazione, desiderato da Roma, diretto a portare questo popolo, la cui differenza di religioni costituisce il principale contrasto, ad una vera unità nazionale. Una efficace azione, in tal senso, ha egli affermato, può svolgersi solamente nelle caserme e nelle scuole; l'organizzazione militare italiana spiega questa proficua opera con la creazione dell'esercito, il Governo albanese intende applicarla nel campo scolastico. Il regime fascista dovrebbe vedere con simpatia lo svolgimento di questo p.rogramma. Eg.H non s.i spiega la sfavorevole impressione formatasi a Roma. Egli riconosce le grandi benemerenze del clero cattolico e intende dimostrargli la sua riconoscenza dandogli ogni aiuto, anche finanziario per lo sviluppo dei suoi istituti, limitati però alla sola istruzione del clero e alla necessità del culto.

Che se l'impressione non buona riportatane a Roma si deve riferire al danno che colà si presume possa derivarne alla penetrazione della lingua e cultura italiana in questo paese, egli poteva assicurarmi che con la statizzazione dell'istruzione il Governo albanese avrebbe dato, al contrario, sicura prova del suo desiderio di vedere intensificata e generalizzata la diffusione della lingua e della cultura italiane.

Ho risposto al Re inspirando mio linguaggio ai vari punti esposti nel telegramma di V. E., e sopratutto rilevando la preoccupazione che giustamente si nutre a Roma per le conseguenze che l'applicazione dei nuovi provvedimenti

può provocare nell'animo del popolo, il quale, da quando ha l'appoggio dell'Italia, sembra aver raggiunto, dopo le convulsioni sofferte continuamente nel passato, la sua pace interna.

Ho ricordato che il provvedimento co:lpisce in modo partico,larissimo la diffusione della lingua e della cultura italiane, così come altre recenti disposizioni erano state giustamente considerate come essenzialmente dirette contro le nostre scuole professionali; ho fatto presente che tali misure venivano emanate mentre è ancora assai discussa la capacità dello Stato ad organizzare la pubblica istruzione ed a portarla allo stesso livello cui l'hanno portata le scuole straniere e gli istituti religiosi e mentre sembra assai dubbia la maturità del popolo a comprendere ed accettare i principi di unione nazionale che il Governo vuole imporgli in questo campo. Quanto alle sue assicurazioni a favore della penetrazione culturale italiana in Albania mi permettevo di ricordare che parecchie buone parole erano state sentite al riguardo dai miei predecessori e da me, ma che nello stesso tempo avevamo purtroppo dovuto constatare che era stata adottata una serie di norme in contrasto con queste simpatiche assicurazioni, tanto che da qualche tempo in qua la collaborazione culturale in Albania era andata svuotandosi di gran parte del suo pratico contenuto. Mi vedevo dunque nella necessità di renderlo edotto del pensiero del Governo fascista in questa materia, in conformità delle precise istruzioni che da Roma avevo ricevuto. Ciò premesso ho aggiunto che il provvedimento essendo dovuto ad iniziativa parlamentare e non governativa, egli avrebbe forse avuto agio di fare invitare la Camera a riflettere maggiormente su questa sua mozione, non dando alla decisione parlamentare la sua reale sanzione. Ho dato a quest'ultima dichiarazione il carattere di una mia suggestione.

Ho fatto la comunicazione di cui sopra con piena calma ma in pari tempo con la dovuta fermezza. Mi è parso che il Re ne sia rimasto scosso e l'ho lasciato sotto questa impressione avendo trovato modo di mettere qui fine alla conversazione. Anche da parte di informatori che sono di solito al corrente di quanto si passa a palazzo, ho saputo che Zog ha creduto necessario di convocare subito il presidente del Parlamento ed altre notabilità politiche per parlare della cosa. Ha fatto anche venire in legazione il padrino Abduraman Mathi e il suo primo aiutante di campo, presentandosi con l'apparente scopo di farmi una visita, ma in realtà per sondare quale affidamento si potesse dare al mio passo. Ho fatto loro le stesse dichiarazioni, con maggiore libertà di linguaggio dato il carattere amichevole del colloquio e dando lettura, con le opportune modifiche ed omissioni, del telegramma di V. E.

Se il Re ha la sensazione che a causa delle diffJ.coltà che egU volutamente frappone alla espansione culturale in questo paese il Governo fascista può essere seriamente intenzionato di riesaminare le basi stesse della collaborazione che esso ha con tanto slancio e tanto concreto vantaggio dato a questo paese, allora potremo sperare che egli rivenga sull'atteggiamento preso nei nostri riguardi, che in questi ultimi tempi ha assunto quasi un carattere di spavalda sfida. Sembra ormai giunto il momento di far ricredere il Re dall'idea che l'Albania sia indispensabile agli interessi italiani; che l'Italia non rallenterà quindi mai il sostegno materiale che dà; e che pertanto egli può permettersi il lusso di fare a poco a poco perdere al Governo alleato tutti i vantaggi che da quel suo sostegno avrebbe diritto di trarre. Ma il Re sa bene quel che fa e anche le decisioni che sembra prendere in modo precipitato non sono effetto di sue impulsività ma rispondono ad un piano da lui ben ponderato e preparato. Le generose liberalità del Governo alleato lo avevano male abituato. Le nostre proteste lo lasciavano indifferente poiché sapeva che non portavano a serie conseguenze. Intanto un passo dopo l'altro egli tirava avanti nella via tracciatasi, sicuro di se stesso. È rimasto pertanto sorpreso della nostra decisione, così rapidamente presa ed effettuata, di togliere tutta l'organizzazione delle scuole professionali. Il mio passo di ieri e le dichiarazioni da me fatte ai suoi fiduciari e a qualche membro del Governo hanno perciò dato tanto più la sensazione che a Roma si possa veramente allentare la borsa e curarsi meno dell'Albania; il mutamento improvviso avvenuto da parte dei delegati albanesi che trattano con la SVEA, i quali tre giorni indietro sembravano irrigiditi nelle loro posizioni e decisi a rompere mentre oggi hanno completamente mutato atteggiamento, è a tal riguardo significativo. Ma non mi faccio l'illusione che Re Zog stia veramente rivenendo a più miti consigli. Sbaglierò; ma ho l'impressione che il suo piano vada piuttosto lontano e che egli miri a rendersi accetto al popolo, dal quale è in generale detestato, speculando ai nostri danni su quello spirito nazionalista, che in definitiva è stato creato e sviluppato sopratutto dalla nostra organizzazione militare e premilitare.

Si verificano ormai troppo spesso incidenti, che, considerati uno ad uno, possono sembrare di lieve entità e spiegarsi come episodi locali, ma presi nel loro insieme stanno a provare che rispondono ad una superiore volontà e ad un piano prestabilito.

Il Re sembra volersi far sgabello dell'Italia per giungere sino al suo popolo. Alle popolazioni cattoliche, che maggiormente gli sono lontane, cerca di dimostrare, debellandole in tutti i modi, che hanno ben poco da sperare dalla protezione della grande Potenza cattolica, mentre dall'Italia stessa riceve egli il principale sostegno contro l'opposizione di quelle popolazioni. Egli fa volentieri dire in questi giorni che il prestito del Governo fascista è unicamente servito per rendere possibili le spese militari interessanti l'Italia; che il prestito SVEA è stato unicamente utilizzato per opere strategiche a tutto vantaggio dell'alleata; e che il popolo ormai queste cose le sa e sa anche che l'alleata gli prepara nuovi sacrifici per il pagamento di quel debito, malgrado il disastroso stato delle finanze, in gran parte dovuto alle restrizioni apportate dall'Italia all'entrata dei principali prodotti albanesi e alla sua resistenza a concludere una nuova convenzione commerciale. Il Re pensa di mettere cosi in una difficile situazione il Governo fascista e di costringerlo forse a nuovi aiuti.

H colonnello Seregg.i, pr,imo a,iutante di campo del Re, mi diceva ieri, con una disinvoltura che sembrava sincera, che se egli avesse potuto recarsi a visitare S. E. Mussolini che già visitò altra volta, ed esporgli le difficoltà del paese, non solo ne avrebbe ottenuto il condono del prestito SVEA ma anche un aumento dell'apporto finanziario gratuito divenuto ormai insufficiente. Tutto questo del resto si spiega riesaminando il passato: la situazione può capovolgersi solo mutando il criterio fin qui adottato. Non vorrei avventare una previsione molto radicale ma mi sembra avvicinarsi il giorno in cui dovremo renderci conto della convenienza di sciogliere tutta questa organizzazione da noi

creata e che pare rivolgersi in definitiva contro la nostra opera di penetra

zione e raccoglierei sulle posizioni rappresentate dai nostri reali interessi, raf

forzando così, in miglior modo, la nostra influenza in Albania che non con

l'attuale onerosa attrezzatura.

E sarà forse bene pensarci prima che il serpente morda il seno che lo sta con tanta cura scaldanr:la.

(1) -Cfr. n. 418. (2) -C!r. nn. 409 e 410.
422

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. RR. 1622/752. Berlino, 17 aprile 1933 (per. il 21).

Riassumo qui appresso una conversazione avuta recentemente con l'Ambasciatore Nadolny circa i rapporti italo-tedeschi.

Il passato di questo diplomatico tedesco è noto a V. E. Ad ogni modo lo traccerò brevemente. Nadolny proviene dal servizio consolare. Fu Console Generale in Russia prima della guerra, credo a Mosca. Fu poi chiamato presso di sé dal primo Presidente del Reich Ebert che gli affidò il collegamento fra la Presidenza e l'Auswartiges Amt, incarico che disimpegnò con piena soddisfazione di entrambi gli Uffici ma per un solo anno, giusta la condizione posta da Nadolny nell'accettare l'incarico. Fu poi Ministro in Svezia ed è da otto anni Ambasciatore ad Ankara. Lo è soltanto più di nome, perché non ritornerà in Turchia. Attualmente è capo della Delegazione tedesca alla Conferenza per il Disarmo.

Nadolny aspirò per molti anni a diventare Ambasciatore nell'U.R.S.S. Non escludo che vi aspiri tuttora, ancorché negli ultlimi tempi gli sia piuttosto stata ascritta l'ambizione di diventare Ministro degli Affari Esteri. La cosa è nota all'Auswartiges Amt dove tanto il Barone von Neurath che il Signor von Biilow non tralasciano pertanto occasione di far intendere a Nadolny ch'egli deve limitare la sua attività alle questioni concernenti il disarmo. Nadolny, che conosco da vari anni, non fa meco mistero di dissentire dai metodi vigenti all'Auswartiges Amt, parla in modo da far comprendere che il Ministro vi conta assai meno del Segretario di Stato e si lagna di essere tenuto all'oscuro delle questioni politiche anche le più importanti con la scusa che esse non rientrano nella sua sfera di attività.

Non scorgo molte probabilità che Nadolny possa prossimamente realizzare l'aspirazione di diventare Ministro degli Affari Esteri, perché ambiscono a quel posto il Signor von Papen ed il Signor Rosenberg. Il passato poi dell'Ambasciatore Nadolny, ancorché onorevolissimo, si è svolto troppo intimamente nella cerchia del liberalismo tedesco per costituire un «atout » nel momento presente.

Nadolny ha evitato di esprimersi meco nei riguardi del nazional-socialismo ed ha solo rilevato -secondo giustizia -che tutti i partiti tedeschi pure attraverso gli errori commessi, diedero prova di vero patriottismo, cosicché questo non può e non deve costituire la prerogativa dei «nazi ».

34 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XIII

Ciò premesso e dato che l'Ambasciatore Nadolny è persona autorevole ed ascoltata, le cose da lui dettemi mi sembrano degne di essere portate a conoscenza dell'E. V.

Dopo una conversazione che si svolse sopra vari altri argomenti Nadolny mi domandò perché non si addivenisse fra la Germania e l'Italia ad un accordo politico.

Gli risposi che si stava discutendo, com'egli sapeva, per la conclusione di un accordo a quattro. Se esso si fosse realizzato Italia e Germania, insieme a Francia ed Inghilterra, avrebbero dunque potuto seguire una via ben tracciata, rispondente ai comuni interessi.

Nadolny disse che egli mi aveva parlato di un accordo a due nell'ipotesi in cui l'accordo a quattro fosse destinato a fallire.

Osservai che in tal caso un accordo a due avrebbe potuto essere poco opportuno e forse anche pericoloso. Non era il caso di pensare ad un accordo segreto, perché esso sarebbe stato contrario allo Statuto della Società delle Nazioni, e del resto il segreto non si riesce a mantenere a lungo.

Nadolny disse ch'egli pensava ad un accordo da comunicarsi alla Società delle Nazioni, che constatasse l'identità di vedute dei due Governi sopra taluni punti e che contenesse l'impegno di collaborare per realizzarli.

Osservai che ciò avrebbe significato poco, perché l'importante era di riuscire a far accedere alle idee nostre l'Inghilterra e la Francia. Se Germania ed Italia avessero dovuto costituire un gruppo antagonistico alle altre Potenze -nel qual caso occorreva tener conto anche dei rispettivi alleati od amici mi pareva che un esame delle forze militari e delle risorse naturali dei due gruppi avrebbe dato risultati superiori di gran lunga agli altri Stati.

Nadolny non potè far a meno di riconoscere giusta la mia osservazione ma insistè sulla necessità, a suo parere, di avere fra Italia e Germania uno scambio di idee confidenziale ed esauriente sopra tutti i problemi politici attuali. Egli si domandava da anni perché ciò non fosse ancora avvenuto.

Credetti dirgli che da noi sino a qualche mese fa non si era convinti che i circoli governativi germanici si fossero reso esatto conto di ciò che era l'Italia creata dal Fascismo. Si riteneva che -ancorché singoli individui apprezzassero e giudicassero al loro giusto valore gli enormi progressi compiuti dall'Italia -la generalità e sopratutto gli uomini appartenenti alle antiche caste aristocratiche e militari considerassero tuttora l'Italia con quegli stessi sentimenti in cui era stata tenuta durante la triplice alleanza: come potenza inferiore. Vi era in più l'aggravante che in questi stessi ambienti non si era compreso il buon diritto dell'Italia di abbandonare i propri alleati e di schierarvisi contro e ci si considera va semplicemente dei traditori.

Nadolny mi interruppe dicendomi che in Italia si aveva avuto perfettamente ragione di pensare in tal modo, perché le cose stavano proprio così. Egli era uno dei pochi tedeschi che avevano sempre reagito contro questo modo di pensare. La Germania aveva commesso il grave errore di non rendersi conto che l'Austria-Ungheria era un organismo in disfacimento potenziale e che l'Italia, ancorché relativamente debole perché giovane come Stato, doveva però essere valutata molto più di quanto non fosse stata.

Aggiunsi che in Italia si era pure ritenuto che certi uomini politici tedeschi

ligi alle tradizioni del passato non potessero rendersi esatto conto del muta

mento sostanziale avvenuto da noi e che quindi non fossero in grado di valutare

al suo giusto valore l'amicizia dell'Italia. Anche in questo Nadolny concordò

pienamente.

Ora però, agg~unsi, la situazione era cambiata e noi confidavamo che i nuovi governanti della Germania fossero in grado di apprezzare il valore morale e materiale dell'Italia fascista, la quale era ben diversa da quella dell'ante guerra. L'esperienza di questi due mesi e mezzo era promettente. Si era infatti già discorso di vari problemi, constatandosi identità di vedute oltre che nelle questioni discusse alla conferenza del disarmo a lui note, anche per quanto riguarda la revisione dei trattati, i rapporti con l'U.R.S.S., l'interesse di indebolire e possibilmente frazionare la Piccola Intesa ed altri.

A Roma si era poi pure proceduto fra S. E. il Capo del Governo e l'Ambasciatore von Hassell ad una conversazione circa una eventuale intesa fra industriali italiani e tedeschi nel senso di suddividersi equamente la sfera d~ attività in determinate regioni, tenendo presenti i vari settori che, per rag~oni geografiche e politiche, rientravano specialmente nel campo di azione dell'Italia e della Germania (1). A vero dire da parte tedesca ci si era da principio adombrati alquanto all'idea che si pensasse in Italia a voler delimitare delle sfere d'influenza, ma un'ulteriore conversazione fra S. E. il Capo del Governo e l'Ambasciatore von Hassell aveva eliminato, così almeno volevo credere, ogni sospetto.

Nadolny si lasciò andare a questo punto ad uno sfogo sopra la cortezza di vedute di molti dei suoi compatrioti in queste materie. Egli mi disse di essere deciso fautore della divisione del mondo in vere e proprie sfere d'influenza, che alla Germania doveva spettare l'Europa nord-orientale ed all'Italia la penisola balcanica ed il Levante. Ciò non avrebbe significato l'eliminazione totale dell'attività altrui, ma un riconoscimento formale di un interesse predominante di un determinato Paese in una certa regione.

Come Ambasciatore in Turchia egli aveva del resto più volte offerto al suo collega italiano di partecipare ad imprese assunte da ditte tedesche. Qualche volta aveva anche creduto sconsigliare una ditta tedesca di assumere un determinato lavoro, ritenendo che esso convenisse meglio ad un'impresa italiana.

Nadolny mi fece qui pure dichiarazioni di grande ammirazione per V. E. ed il Fascismo e ricordò che quando, nel 1927, si erano sparse voci di preparativi militari italiani contro la Turchia, egli prese un piroscafo, sbarcò a Taranto, si fermò un paio di giorni colà, poi a Napoli ed a Roma donde scrissi>' una lettera privata a Stresemann, dichiarando che i preparativi militari di cui si parlava tanto erano fandonie e ch'egli aveva potuto constatare la tranquillità perfetta che regnava in Italia.

Egli si dilungò pure a discorrere meco dell'incomprensione che Stresemann -uomo per tanti altri lati eminente -aveva avuto per il Fascismo, forse perché credeva che fosse necessario mostrarsi ultra liberale per piacere alla Francia ed indurre questo Stato a mostrarsi condiscendente verso la Germania.

A questo punto Nadolny toccò alla questione dell'Anschluss, esprimendosi al riguardo in modo meno chiaro che sulle altre questioni. Egli disse in sostanza di essere convinto che anche questo era un problema sul quale l'Italia e la Germania avrebbero potuto intendersi qualora ne avessero una volta discusso a fondo. Per parte mia credetti opportuno essere molto esplicito con Nadolny, dicendogli senza reticenze che la questione era per noi già risolta, nel senso che l'Austria doveva conservare la propria indipendenza statale perché troppi vitali nostri interessi vi erano connessi.

Concludendo Nadolny espresse la speranza che i nostri due Paesi si comprendessero sempre meglio. Egli considerava la rivoluzione nazional-socialista come un fattore particolarmente importante per una collaborazione intima italo-tedesca. Mi disse che era spiacente di non avere mai avvicinato l'E. V. ed espresse la speranza di recarsi una volta a Roma per poterLe presentare i suoi omaggi.

(l) Il colloquio aveva avuto luogo fra Suvlch e Hassell. Cfr. n. 132.

423

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1544/150 R. Vienna, 18 aprile 1933, ore 22 (per. ore 5,45 del 19).

Cancelliere mi ha parlato con grande calore e con soddisfazione dei suoi colloqui con V. E. Ha insistito sulla perfetta identità vedute, sul completo accordo ed infine sul sentimento assolutamente tranquillo che egU aveva riportato da Roma.

Ha soggiunto che si ripromette tornare ben presto costà per la firma concordato e che avrebbe profittato di tale occasione per rivedere V. E. Ha concluso che la visita a Roma rappresenta non solo indimenticabile ricordo personale, ma anche «avvenimento di primaria [importanza] per l'Austria».

Cancelliere non è entrato in particolari dei colloqui avuti costà. Tuttavia, a mie precise domande, ha risposto:

lo -che egli proibirà tradizionale corteo che socialdemocratici vorrebbero [effettuare] lo maggio malgrado il divieto;

2° -che cercherà differire il più possibile riforma costituzione.

Cancelliere austriaco non mi ha parlato dei contatti con ministri tedeschi.

Segnalo a V. E. che stampa ufficiosa sostiene che sfere politiche italiane hanno rivolta maggiore attenzione al cancelliere austriaco che non ai ministri tedeschi e che dai colloqui romani risulterebbe rafforzata opposizione Governo austriaco attuale alle locali correnti nazionali.

424

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI (l)

T. 687/151 R. Roma, 18 aprile 1933, ore 23.

Comunica a Simon che dopo attento esame del contro-progetto francese recatomi 1'11 scorso da de Jouvenel (2), lo consideriamo capace di utili sviluppi conclusivi, se Francia accetterà alcune nostre modifiche specialmente per c'iò che riguarda articolo 3. Ci teniamo in contatto con Berlino per eliminare obbiezioni da quella parte e accogliere nella misura del possibile punto di vista germanico.

425

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. 688/155 R. Roma, 18 aprile 1933, ore 23,15.

Suo 265 per corriere (3).

Qualora codesto Governo tornasse sull'argomento V. E. potrà assicurare che niente è mutato nel nostro atteggiamento verso di esso anche in materia di disarmo. Per ragioni di indole generale noi abbiamo dato per quanto riguarda questa quistione nostra piena adesione al progetto inglese, ma se codesto Governo ci farà conoscere i suoi desiderata, li terremo naturalmente presenti in corso di discussione, particolarmente nel caso che le trattative fra le principali Potenze interessate relative al piano inglese fossero avviate per via diplomatica.

426

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1576/250 R. Parigi, 18 aprile 1933 (per. il 21).

La discussione avvenuta giovedì scorso alla Camera dei Comuni non ha giovato al patto d'intesa e di collaborazione. Il discorso di Winston Churchill, in risposta a quello del Signor MacDonald, nella discussione avvenuta al Parlamento britannico subito dopo il ritorno dei ministri inglesi da Roma, era stato sapientemente sfruttato dagli oppositori francesi del patto Mussolini. Alcune corrispondenze pervenute al Temps e allo stesso Echo de Paris da Londra avevano, però, valso a mettere in guardia l'opinione pubblica francese

da esageraz,ioni: i corrispondenti londinesi dei giornali pangm1 scrivevano che il tono eccessivo usato da Churchill non aveva giovato alla tesi che si era proposto di difendere e che di fatto l'idea della revisione dei trattati aveva fatto grandi passi in Inghilterra negli ultimi mesi.

L'intervento di lord Chamberlain nella recentissima discussione, i rinnovati attacchi di Churchill e di altri deputati contro la revisione dei trattati ed anche contro l'idea del patto a quattro, l'accoglienza favorevole che sarebbe stata fatta aUe critiche, hanno ridato fiato agli avversari i quali, dopo la presentazione del memorandum, avevano attenuato gli attacchi. Si fa correre la voce, a guisa di parola d'ordine, per rianimare la battaglia, che l'Inghilterra, per la bocca dei suoi principali uomini politici, è d'avviso che non si possa e non si debba parlare di revisione con la Germania hitleriana. Anche il discorso di sir John Simon del quale i principali giornali hanno evitato di riprodurre il testo è stato svisato in modo da lasciare credere che egli sia in parte guadagnato alla tesi degli oppositori, contraria a parlare di revisione con la Germania attuale.

Si lascia infine intendere che anche il signor MacDonald ha messa molta acqua nel suo vino. Egli parla ancora, è vero, di revisionismo, ma non considera più il problema del1a revisione una urgente necessità. Non è azzardato quindi -così pensano gli oppositori -prevedere che il signor Herriot riesca, a Washington, a influire sul primo ministro britannico in modo da ottenere un ulteriore riavvicinamento del punto di vista inglese a quello francese in materia di revisione.

Non è forse inutile osservare che finora è accaduto l'inverso, ossia è stato piuttosto Herriot che ha subito l'influenza dell'uomo politico inglese.

(l) -Minuta autografa di Mussolinl. (2) -Cfr. n. 405, annesso all'allegato. (3) -Cfr. n. 397.
427

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, E IL MAGGIORE RENZETTI (l)

APPUNTO. Roma, 18 aprile 1933.

S. E. il Capo del Governo incarica il Maggiore Renzetti di far sapere ad Hitler che egli è convinto della stabilità del regime nazional-socialista. Ora bisogna marciare verso un regime totalitario staccandosi dai partiti coi quali non c'è affinità ed assorbendo invece quelli affini. Bisogna risolvere la questione del centro sulla base del concordato: un concordato unico per tutto il Reich in luogo dei concordati coi singoli Lander. Ciò costituirà un nuovo elemento dell'unità dell'Impero tedesco. Occorre poi marciare rapidamente verso l'organizzazione economica sociale del Paese sulla base del corporativismo. Vi sono tante pubblicazioni tedesche (fra altre quella di Werner Radarer -Der Stlindestaat -). È l'unico mezzo per inserire le organizzazioni professionali e sindacali nello Stato: non c'è che da seguire il sistema italiano.

La propaganda anti-semita è stata un errore: conviene eliminare l'impres

sione di una lotta di razza che ha sempre un po' un sapore di medio evo. Vi

sono tanti mezzi per ottenere l'epurazione desiderata dai Nazi senza ricorrere

alla forma esterna della persecuzione.

Non bisogna che Hitler si faccia delle illusioni sulla situazione internazionale: fuori dell'Italia tutto il mondo è contro di lui: non bisogna però neanche che si preoccupi di questo. Noi abbiamo fatto anche la nostra esperienza in questo campo ed abbiamo visto che la migliore cosa è quella di andare per la propria strada senza tenere eccessivo conto delle opinioni dei terzi. Va rilevato che l'Italia in questo momento ha assistito francamente ed apertamente il partito nazional-socialista. Bisogna evitare doppioni, come quello di un ufficio per gli affari esteri creato in seno al partito ed affidato a Rosenberg; occorre assolutamente ricordare che il Partito deve agire soltanto nell'interesse dello Stato e comunque bisogna ch1arire i rapporti fra l'uno e l'altro: o deve comandare il Partito come in Russia o deve comandare lo Stato come in Italia.

Per quanto riguarda il Patto a quattro bisogna che Hitler si persuada che la Germania ha tutto l'interesse ad aderirvi;-per la Germania è del massimo interesse e soprattutto nella situaziode di isolamento in cui si trova attualmente entrare in tale patto a parità di diritti con gli altri: i due punti principali del Patto cioè quello relativo alla revisione e quello relativo al disarmo, sono rimasti intatti anche attraverso il successivo annacquamento che il Patto ha subito. Neanche ciò per la Germania può essere indifferente. Ci sono poi le considerazioni di ordine economico che devono anche spingere la Germania ad entrare nell'accordo: é probabile che tale accordo possa dare la spinta ad una ripresa economica mondiale della quale la Germania, anche per ragioni politiche e per la stabilità del regime ha assoluto bisogno. D'altra parte l'accordo dà alla German1a quel respiro che le è necessario per il consolidamento interno, e per l'eventuale riarmamento previsto dal Patto stesso.

Per quanto riguarda l'Anschluss bisogna che Hitler, che ha già riconosciuto l'inattualità della questione, regoli in conformità anche la propria politica; si può lasciare che il Cancelliere Dollfuss svolga la propria opera rafforzandola nelle sue tendenze anti-marxiste. In un secondo tempo ci sarà la possibilità di prendere degU accordi con la Germania per una politica di intesa nel Bacino danubiano, sempre sulla base dell'indipendenza dell'Austria.

(l) Al colloquio era presente Suvlch.

428

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL VICE CANCELLIERE TEDESCO, VON PAPEN

o o o

PROMEMORIA. (1).

Ragioni politiche -Di fronte al fatto che venga al mondo questo nuovo strumento di attività politica europea, il contenuto perde di importanza. La

sua capacità di agire e di dar risultati sarà la sola vera misura della sua importanza. Agendo e riuscendo a improntare dà sé la politica europea nei prossimi anni, sarà facile più in là, con condizioni politiche mutate, di mutare anche il suo contenuto.

Intanto, sin dal primo momento, col patto a quattro la Germania siederà, da pari a pari, nel consesso che di fatto regolerà le sorti dell'Europa. Solo due

o tre anni or sono questo risultato sarebbe apparso alla Germania come un ideale lontanissimo.

Ragioni economiche -Il Patto a quattro fornisce il presupposto necessario e probabilmente sufficiente, alla ripresa economica europea. Non c'è forse nessuna Nazione in Europa che più della Germania --sia per le difficoltà insite negli inizi della trasformazione del ree;iMe e sia per la vastità della sua disoccupazione -maggiormente ha bisogno di una ripresa. Senza ripresa, sono in giuoco regime ed attrezzatura economica.

Ben diversa è la situazione dell'Italia che, per la prevalenza dell'agricoltura, la quale agisce da elemento stabilizzatore, e per la frugalità del suo popolo ha una capacità assai maggiore di resistenza alla crisi.

Ragioni morali -È incontestabile che, salvo un varco verso l'Italia, la Germania è accerchiata dalla ostilità generale.

Ad est la Russia, sotto le apparenze di un'attitudine amichevole, sorveglia gli sviluppi del nuovo regime con occhio diffidente, se non ostile. Gli Stati Baltici, idem. Della Polonia, inutile anche parlare.

Nell'Europa Centrale, il motivo ispiratore di tutta la politica cecoslovacca è quello della difesa contro l'Anschluss. La stessa Austria sente di dover difendere la propria indipendenza contro la Germania.

Ad ovest, oltre la nemica tradizionale, c'è l'Inghilterra che nella seduta del 13 corrente ai Comuni ha chiaramente dimostrato la propria attuale attitudine nei riguardi della Germania. Più giù, nella Spagna francofila, c'è una vera avversione.

In tale isolamento, la prova di arrendevolezza mostrata accettando il Patto a quattro sarebbe un gesto magistrale che rovescerebbe di colpo la situazione.

Ragioni militari -L'entrata della Germania fra i quattro significherebbe praticamente la fine di ogni controllo sui suoi armamenti.

Ma condizione di riuscita è far presto. Daladier può essere rovesciato da un momento all'altro. Forse anche lo spera per potersene uscire dall'« impasse». E se torna Herriot, le probabilità si assottigliano, se addirittura non svaniscono.

Non solo, ma occorre anche precedere Herriot nella sua attività sabotatrice del patto che probabilmente egli si propone di svolgere negli Stati Uniti, facendo apparire il patto come rivolto alla costituzione di un fronte unico antiamericano.

Il Capo del Governo mi ha incaricato di rivolgermi a voi non solo perché sa che ognuno di questi argomenti è destinato ad avere presso di voi tutto il suo peso, ma anche perché, nella vostra veste di Vice Cancelliere del Reich, voi avete l'autorità di far pervenire al Cancelliere la parola decisiva che lo induca ad autorizzarvi a prendere di urgenza una decisione.

(l) Privo di data. Si inserisce immediatamente prima dell'appunto di Aloisi per MussoUni che vi fa riferimento.

429

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 18 aprile 1933.

Nella conversazione che ho avuto con von Papen stamane e nel pomeriggio gli ho prospettato tutte quelle ragioni di ordine politico, militare, commerciale e morale, che impongono la massima urgenza di decisioni sulla base del promemoria che avevo compilato in base alle istruzioni di V. E. (l) Von Papen e von Hassell, che lo ha accompagnato nel pomeriggio, si sono compenetrati della fondamentale necessità di aver di mira unicamente i punti fondamentali della questione, trascurando particolari che potrebbero fuorviare e compromettere l'urgenza e la riuscita del piano. Abbiamo quindi abbordato la questione ben diritto allo scopo.

Ne è venuto fuori un testo che formalmente accetta in pieno il progetto francese, con le sole modificazioni ed aggiunte che servono a mettere bene in evidenza i due soli obiettivi a cui i tedeschi hanno limitato la loro mira: l'affermazione della parità di diritti c della revisione.

Come V. E. potrà osservare, il Signor von Papen, accogliendo i miei suggerimenti intesi a conciliare nel miglior modo possibile le esigenze francesi e quelle tedesche, si limita a proporre le seguenti modifiche al testo francese:

a) Togliere dal preambolo all'alinea 4° le parole: «en se conformant aux méthodes et procédures qui y sont prévues et auxquelles elles n'entendent par déroger », in quanto la Germania non ha alcun motivo di dichiararsi particolarmente soddisfatta di tale procedura.

b) inserire nell'art. 2, all'inizio la prima parte del testo inglese, che più esplicitamente di quello francese riconosce la possibilità di una revisione dei trattati, e successivamente tutto intero il II articolo del progetto francese, aggiungendovi il riassunto degli art. 10, 16, 19 del Covenant. Con che la parola revisione figura due volte nello stesso articolo, e nello stesso tempo v'è l'accettazione del testo francese, con in più la riconferma del Patto della Società delle Nazioni.

c) L'art. 3 è stato anch'esso sostanzialmente ricalcato sul testo francese. Vi è stato solo soppresso l'accenno al progetto inglese di disarmo che, in conformità con le intenzioni di V. E., si è stabilito riportare in uno speciale protocollo addizionale. In più vi si è inserita la parte sostanziale dell'art. 3 del primitivo progetto di V. E., per aderire alla giusta richiesta dei tedeschi, che hanno tenuto a salvare la dichiarazione che «se la conferenza del disarmo non darà che risultati parziali, la Francia, la Gran Bretagna e l'Italia dichiarano che la parità di diritti riconosciuta alla Germania dovrà avere una portata effettiva».

L'ultimo alinea di questo articolo riporta l'impegno della Germania a non riarmare se non per tappe successive in base ad accordi da prendersi ulteriormente.

Il Signor von Papen ha accolto il mio suggerimento che l'articolo terminasse con la dichiarazione dell'impegno, che le quattro potenze si assumono, di concludere accordi analoghi nei riguardi della parità di diritti da riconoscersi anche all'Austria, all'Ungheria, alla Bulgaria, colmando così una lacuna del progetto francese.

d) L'art. 4 resterebbe immutato. La Germania ha però avanzato la proposta, senza peraltro farne conditio sine qua non, di sopprimere l'accenno alla Unione europea.

Il Signor von Papen si propone di portar.e con sé stasera a Berlino l'accluso testo per poterlo discutere nel consiglio dei ministri di giovedì, in modo da poterei far pervenire di urgenza una risposta.

A più .riprese, nel corso della conversazione, anche in presenza di S. E. Suvich, von Papen ha insistito per ottenere un richiamo alla questione delle colonie, riprendendo lo spunto contenuto nel primitivo progetto di V. E.

Alla mia ferma obiezione delle difficoltà che vi si oppongono, von Papen ha limitato la sua richiesta alla proposta da sottoporre a V. E., di un « gentlemen agreement >> da concludersi tra Italia e Germania, per il quale l'Italia si impegni a non discutere questioni •coloni.ali con altre potenze senza darne avviso alla Germania.

ALLEGATO

PREAMBULE

Alinea, l, 2, 3, 4

Alinea 5 -Supprimer la phrase « En se conformant au méthode... pas déroger ».

Art. II

Les quatre Puissances confirment que les obligations du Covenant exigent un respect scrupuleux de toutes les obligations des Traités comme moyen d'assurer la Paix et la Sécurité, et elles reconnaissent aussi la possibilité de la révision des Traités de paix dans des conditions qui pourraient conduire à un conflit entre les Nations. A ce propos en vue de l'application éventuelle en Europe des articles du Pacte et notamment des articles 10 (abrégé du contenu de l'article), 16 (abrégé du contenu de l'article) et 19 (abrégé du contenu de l'article) décident d'examiner entre elles et sous rèserve des décisions, qui ne peuvent étre prises que par les organes réguliers de la Société des Nations, toute proposition tendant à donner leur pleine efficacité aux méthodes et aux procédures prevus par ces articles.

Art. III

Renouvelant pour ce qui les concerne leur déclaration commune du 11 décembre 1932, les Hautes Puissances contractantes s'engagent à collaborer le plus rapidement possible avec les autres Puissances à une Convention assurant une réduction substantielle et une limitation des arméments avec des dispositions pour sa révision ultérieure en vue d'une réduction nouvelle. Dans le cas où la Conférence du Désarmement ne se terminera que par des résultats partiels la France, la Grande Bretagne et l'Italie déclarent que la parité de droits reconnue à l'Allemagne doit avoir une portée effective. L'Allemagne s'engage de sa part à ne réaliser cette parité que selon une graduation et dans un délai qui résultera des accords successifs entre les quatre Puissances. Les quatre Puissances s'engagent à faire des accords pareils pour ce qui regarde la parité pour l'Autriche, l'Hongrie et la Bulgarie.

Art. 4

Si possible biffer la phrase « dont les réglements ... Commission d'Etudes pour l'Union Européenne ».

(l) Cfr. n. 428.

430

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 1749/903. Mosca, 18 aprile 1933 (per. il 241.

Con i telegrammi per corriere nn. 426 e 427 del 16 marzo scorso (1), V. E. ha assegnato alla R. Ambasciata in Angora ed a questa un preciso obiettivo: f,ar sì che il Governo turco .e queUo sovietico ag.iscano in maniera da impedire che la Bulgaria ceda al1e << avances >> deilla Piccola Intesa.

Nelle risposte gia date, accennando fra l'altro anche alla difficoltlà obiettiva che qui a Mosca si oppone al conseguimento dello scopo prefissoci, e cioè al fatto che l'URSS non ha rapporti diplomatici con la Bulgaria, io ho anche, peraltro incidentalmente, prospettato all'E. V. la opportunità di favorire una ripresa di contatti fra Mosca e Sofia.

Una ulteriore e più matura considerazione del problema mi induce a sviluppare questo mio accenno, esaminando se e fino a qual punto la ripresa di contatti da me indicata, oltreché essere un mezzo per l'attuazione del piano politico tracciato dalla E.V. non ne costituisca addirittura un elemento necessario.

A. V. E. è noto che il R. Governo aveva già fra i suoi obiettivi (vedi istruzioni impartitemi dopo il colloquio Grandi-Litvinov di Milano) quello di favorire una ripresa di relaz~oni f,ra l'URSS e la Bulgaria (e perstno l'Ungheria). Mi sembra che, nella situazione attuale, questo antico progetto debba senz'altro essere ripreso.

Comincio col rilevare, a titolo di necessaria premessa, che nel tempo, un riavvicinamento bulgaro-sovietico va considerato come inevitabile. Non credo al perpetuarsi di situazioni contro natura. Contro natura era lo stato di tensione fra i Paesi Baltici e l'URSS. Donde, il graduale e spontaneo attenuarsi di esso fino alla conclusione della nota serie di patti di non aggressione, e quindi l'istituzione di un regime di reciproca tolleranza, se non di amichevole coesistenza, fra vicini. Altrettanto è avvenuto per la Polonia; altrettanto avverrà cursu Temporis per la Bulga·ria, come del .resto per la stessa Rumania. Orbene, si tratta di far si che, ciò che deve accadere, accada, ma in un momento e nell'ordine che meglio giovino alla politica nostra. Ed è da questo punto di vista che io

affermo il problema dei rapporti bulgaro-sovietici avere per noi una importanza pregiudiziale ed attuale.

Le avances di Benes verso i Soviet sono note. Esse non hanno avuto ancora risultato alcuno. Ma, auspice la Francia, potranno da un momento all'altro averlo. In quali condizioni si troverà allora la Bulgaria? Non ne risulterebbe essa pericolosamente isolata? E non servirebbe questo isolamento a rafforzare le correnti bulgare favorevoli alla Piccola Intesa e alla stessa Belgrado? E non ne verrebbe, pro tanto, scemato l'interesse della Russia ad un riavvicinamento con Sofia, in questa maniera sminuendo, ai nostri danni, il valore internazionale della Bulgaria?

A mio parere, è fuori questione che, se un riavvicinamento fra Bulgaria ed URSS deve avvenire, conviene a noi che esso avvenga subito, e cwe prima di un riavvicinamento URSS-Piccola Intesa. Una ripresa di contatti fra Sofia e Mosca significherebbe -oggi -per noi:

l) un rafforzamento della situazione internazionale della Bulgaria, la quale ne trarrebbe una forza di resistenza alle pressioni della Piccola Intesa e di Belgrado;

2) uno scacco della Piccola Intesa, la quale si vedrebbe preceduta al « traguardo russo >> dalla Bulgaria e, in ogni caso, non potrebbe più trarre, dalla ripresa delle relazioni con Mosca, quell'aumento di prestigio di cui è alla ricerca;

3) un contraccolpo, e questo in pieno, sulla Rumania, che, soprattutto nel suo stato attuale di ister·ismo, sarebbe indotta a riflettere sulla capacità della Piccola Intesa e della Francia a garantirle quella sicurezza di cui ha tanto bisogno. E ciò mentre, automaticamente, si rafforzerebbero quelle correnti che a Bucarest guardano all'Italia come alla grande Potenza geograficamente più vicina alla frontiera romena;

4) la Jugoslavia vedrebbe nuovamente frustrati suoi sogni di egemonia balcanica;

5) infine, per quanto riguarda le nostre relazioni con l'URSS, una ripresa delle relazioni con la Bulgaria, da noi favorita, od almeno opportunamente ispirata, ci affermerebbe a Mosca come elemento di influenza nei Balcani. La Russia, mentre non potrebbe non vedere di buon occhio una simile manovra, ne rimarrebbe allo stesso tempo automaticamente allontanata dalla Francia e dal suo sistema di amicizie.

Il momento, per una azione nel senso suindicato, mi sembrerebbe favorevole persino dal punto di vista bulgaro. La situazione economico-politica dell'URSS, nel renderle pressoché impossibile ogni seria propaganda comunista all'estero, dovrebbe contribuire ad attutire, se non a dileguare, i timori di Sofia circa le conseguenze di una ripresa di relazioni con Mosca. Se fossero necessarie a tale riguardo delle riprove, basterebbe la condotta dovuta adottare dal Kremlino nei riguardi della Germania hitleriana. Del resto, una ripresa di relazioni non significherebbe necessariamente amicizia e, tanto meno, intimità.

Ove un'azione nel senso sopraindicato fosse da V. E. riconosciuta utile, potrebbe forse bastare, in un primo momento, far arrivare un opportuno suggerimento ad Angora attirando sulla convenienza di una azione mediatrice fra Bulgruria e URSS l'attenzione di Tewf.ik Ruschdti bey, sempre corrivo ad iniziative che concedano campo alla sua attività diplomatica ed al suo prestigio di statista.

Tale azione potrebbe, del resto, essere più agevole e dare risultati più solleciti di quella che il Ministero degli Esteri turco si propone di svolgere per una intesa greco-bulgara (telespresso di V. E. n. 210334 del 5 corr.) (1). È infatti più che probabile che TewHk Ruschdi bey incontrerà ad Atene degli ostacoli difficili a rimuoversi rapidamente, sia per le difficoltà finanziarie greche che si oppongono ad una esecuzione dei noti accordi Mollov-Cafandaris, sia per i rancori e le diffidenze reciproche. Invece, una ripresa preliminare di relazioni fra Mosca e Sofia, trattenendo la Bulgaria dal cedere alle lusinghe della Piccola Intesa e quest'ultima per contraccolpo trovandosi presumibilmente a dover rallentare per un certo tempo la sua azione a Sofia, finirebbe col dare un maggiore respiro alla stessa opera di Angora per un riavvicinamento greco-bulgaro.

Orientata nel senso indicato l'azione turca, noi potremmo fiancheggiarla a Sofia, e valorizzarla opportunamente a Mosca. Una pedina utile potrebbe anche, eventualmente, essere la Germania.

Solo l'E. V., cui è data la visione d'insieme del quadro della nostra politica, potrà apprezzare al giusto il peso delle considerazioni che ho avuto l'onore di esporre. A questo quadro di insieme, peraltro, non può rimanere estranea la considerazione di quello che potrebbero essere i futuri sviluppi della politica francese nei riguardi dell'URSS. Io non credo 'alla eccessiva serietà delle ultime avances francesi, ma non posso neanche credere che l'URSS debba necessariamente continuare a rimanervi indifferente ove esse, come accennano a fare, persistessero. Anche in questo settore, bisogna che qualche cosa sia fatta per prevenire la Francia. Ho già in altra occasione prospettato all'E. V. i possibili risultati di una nuova attività politica nell'URSS da parte di una Francia, contornata ed assistita da una Polonia ed una Piccola Intesa, cui l'attuale, forse lunga, carenza inglese potrebbe far aggiungere anche qualcuno degli Stati Baltici. Un'azione tempestiva e, quindi, rapida, di prevenzione mi sembra nelle circostanze, più che utile, necessaria (2).

(l) crr. nn. 216 e 217.

431

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1559/40 R. Ankara, 19 aprile 1933, ore 19,15 (per. ore 0,30 del 20).

Questo ministro economia nazionale partirà 25 corrente per Atene per conversazioni economiche.

Sarà accompagnato da sottosegretario di Stato affari esteri Numan bey il quale mi ha detto che, sotto scopo appa.rente di collaborare alle questioni economiche, in realtà egli si reca ad Atene per affrontare decisamente con quel Governo sistemazione delle varie divergenze finan<'liarie e di altra natura tra Grecia e Bulgaria secondo il desiderio di V. E.

Egli giudica che di fronte al grande risultato dell'avvicinamento tra quei due paesi, le questioni pendenti sono una rinunzia ridicola e spera poter riuscire a farvi passare colpo di spugna come fu tra Grecia e Turchia. Questo viaggio dimostra impegno messo da questo Governo alla comune iniziativa verso Bulgaria e diligenza con cui la persegue.

Questo nuovo ministro di Bulgaria mi ha detto aver già avuto varie conversazioni con questo Governo improntate tutte a questo obiettivo che gli sembra fortemente perseguito.

Per incoraggiarlo ad assecondare tali sforzi, gli ho detto aver fondate ragioni per assicurarlo che Governo turco favorirà Bulgaria chiedendo Grecia sacrificare molte pretese ed egli mi ha risposto credere che questo lavoro sia cosa già fatta come del resto mi aveva detto Tewfik Ruschdi bey tornando da Atene.

Mentre seguo e spingo qui azione su larga scala, prego V. S. informare RR. ministri Atene e Sofia dei veri scopi del viaggio Numan bey ad Atene, affinché essi possano svolgere lavoro proficuo, in questa delicata svolta, augurabile nei rapporti greco-bulgari.

(l) -Non rinvenuto. Si tratta probabilmente della ritrasm!ssione del n. 352. (2) -Ritrasmesso ad Ankara, Sofia, Parigi e Atene con telespr. 213642/C. del 5 maggio.
432

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. PER CORRIERE 692 R. Roma, 19 aprile 1933.

Suo telegramma per corriere n. 256 (l).

A V. E. è noto che attuale fase politica germanica è seguita con diffidenza a Mosca. A parte inevitabile risentimento del Governo sovietico per lotta contro partito comunista tedesco su cui la terza internazionale fondava non poche speranze, le recenti dichiarazioni attribuite a Goering ed a Rosenberg, sulla cui autenticità i sovieti non sembrano ammettere dubbi, hanno fatto riaffiorare tutti gli antichi timori sovietici, di fronte unico delle principali Potenze contro l'URSS.

Messe anche in relazione con l'attuale andamento dei rapporti anglo-sovietici, queste apprensioni hanno portato l'URSS ad assumere un atteggiamento della massima riserva di fronte al patto a quattro. Sono state fornite a Mosca ampie spiegazioni ed assicurazioni, senza però riuscire a dissipare le diffidenze sovietiche. Sono però d'avviso che, almeno in questo momento, sia di particolare interesse per la Germania come per l'Italia curare i rapporti con l'URSS. Mi rendo conto che necessità di politica interna da cui non sarebbe possibile rece

dere mettono codesto Governo in una dtuazione oltremodo delicata; è perciò appunto necessario che da parte nostra si eviti anche l'apparenza di voler seguire la Germania nella sua politica contro i sovieti. Ciò è anche evidentemente nell'interesse di codesto Governo a cui non può sfuggire tutta l'utilità di avere un Governo amico, il quale, superato il momento attuale, potrebbe eventualmente anche interporre i suoi buoni uffici per dissipare i malintesi sorti fra i due Governi.

Un nostro accordo impegnativo con la Germania in materia di rapporti economici coll'URSS che, per forza di cose, non potrebbe a lungo restare segreto, non potrebbe non essere mal visto e male interpretato a Mosca. Ritengo quindi sia piuttosto il caso di attendere eventuali sondaggi da parti di codesti organi e !imitarci in tal caso a qualche conversazione generica sull'argomento per non lasciar cadere un filo che, in una situazione politica mutata, potrebbe convenirci di raccogliere.

(l) Cfr. n. 396.

433

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. 695/89 R. Roma, 19 aprile 1933, ore 20.

Riferiscomi informazioni su congresso socialista tenuto a Vienna con intervento membri stranieri Seconda Internazionale. Sebbene tono detto congresso sia stato oltremodo dimesso tuttavia non pare che politica anti-marxista proclamata da Dollfuss armonizzi con tolleranza tale manifestazione. Pregola chiarire discretamente la cosa e informarmi (1).

434

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. 696/175 R. Roma, 19 aprile 1933, ore 24.

Suo 184 (2).

Credo opportuno fornire a V. E. per suo norma qualche maggiore chiarimento circa atteggiamento Herriot nei nostri riguardi.

Come è noto a V. E. nel novembre scorso Herriot pronunciò al congresso di Tolosa parole simpatiche nei nostri riguardi riconoscendo fra l'altro i torti

che erano stati fatti all'Italia. L'iniziativa di Herriot rimase senza risposta da parte nostra soprattutto perchè non preceduta da una sufficiente preparazione diplomatica e non seguita da proposte concrete.

In seguito a ciò Herriot ha espresso apertamente il suo malumore. Recentemente però avendo egli ripetuto in un articolo del giornale Vu le sue dichiarazioni di Tolosa il Corriere della Sera ha rilevato la cosa con parole amichevoli per Herriot e rHevando come in una certa misura patto a quattro è replica italiana discorso Tolosa. Herriot da parte sua ha risposto in forma simpatica.

D'altra parte il signor Herriot ha però mostrato scarsa comprensione dello spirito e delle finalità del patto a quattro sostenendo l'opportunità di estenderlo anche a Stati Uniti ed URSS, il che per le ragioni che ella conosce equivarrebbe a metterlo interamente fuori della sua strada.

Attiro inoltre l'attenzione di V. E. sul recente articolo del Temps che tende a riaffermare tesi accordo tre democrazie e a contrapporre conversazioni a tre di Washington a progetto patto a quattro.

Sono convinto che ciò esula completamente dal pensiero di Washington. Sarà però opportuno che V. E. attiri l'attenzione di codesto Governo sulla delicatezza dell'argomento e come sia necessario, durante i colloqui che avranno luogo costì, di tenere nel maggior conto anche quelle speranze che siano suscettibili di essere interpretate in favore della tesi della politica comune delle «tre democrazie ».

A codesto Governo non sfuggirà certamente l'opportunità di evitare, particolarmente in questo momento in cui tutti gli sforzi delle persone di buona volontà sono diretti a rischiarare l'orizzonte politico europeo, quanto possa turbare

o comunque mettere su falsa strada l'opinione pubblica dei vari Stati d'Europa.

(l) -Preziosi rispose con t. per corriere 1658/58 R. del 24 aprile richiamandosi al telesprcsso 881 del 20 aprile e al rapporto rr. 893 del 23 aprile. Quest'ultimo non è stato rinvenuto. Col telespresso 1634/881 egli aveva riferito circa la riunione straordinaria del fiduciari del partito socialdemocratico austriaco svoltasl a Vlenna il 15 e 16 aprile con la partecipazione di delegati francesi, inglesi e belgi e aveva comunicato che la risoluzione finale aveva un tono moderato e conteneva l'offerta di collaborare col Governo per la preparazione della riforma della costituzione. (2) -Cfr. n. 414.
435

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 697/153 R. Roma, 19 aprile 1933, ore 24.

Atteggiamento assunto da Chamberlain con suo recente discorso Camera Comuni non ha mancato di sorprendermi soprattutto in quanto ritenevo potere attendermi dal signor Chamberlain una maggiore comprensione delle finalità della politica italiana in considerazione dell'amichevole collaborazione che ho sempre avuto con lui durante sua permanenza Foreign Office. Ciò è tanto meno spiegabile in quanto patto a quattro è naturale conseguenza patto di Locarno che è stato uno dei maggiori successi della politica di Chamberlain.

Lascio a V. E. giudicare della opportunità di prendere contatto col signor Chamberlain per eventualmente fornirgli maggiori chiarimenti circa portata e finalità patto a quattro avvertendone preventivamente, se del caso, codesto Governo.

436

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1590/130/88 R. Bucarest, 19 aprile 1933 (per. il 22.)

Mio telegramma per filo n. 87 del 18 corr. (1).

Ho creduto dover richiamare l'attenzione di V. E. sul telegramma che l'agenzia Sud-Est ha diffuso in data 17 aprile da Parigi cJJrca la rdnnovazione del patto di amicizia italo-romeno, e circa i nostri rapporti con la Romania.

Sono convinto che ta·le ,telegmmma è di pugno di Titulescu, che si trova a Cannes, e che è notoriamente in intimi rapporti con detta agenzia di informazioni; ma non posso dare per ora conferma positiva del carattere ufficioso della summenzionata comunicazione, sia per l'assenza di Titulescu, che giungerà qui soltanto il 22 corrente per trattenersi fino 26, sia perchè sono ancora in vacanza i funzionari più responsabili del Ministero degli esteri (2).

È comunque mia opinione che il signor Titulescu abbia voluto, attraverso l'agenzia Sud-Est, dare una risposta al recente articolo di S. E. il Capo del Governo.

Dal telegramma della Sud-Est rilevo i seguenti spunti pr·incipa.li:

l) la netta posizione assunta dal Capo del Governo italiano nel campo della revisione delle frontiere soprattutto per quanto concerne le mutilazioni sofferte dall'Ungheria trasforma la questione dei rapporti politici italo-romeni in una questione che concerne tutta la Piccola Intesa. Quindi la rinnovazione del patto di amicizia italo-romeno che poteva essere effettuato «senza il consenso dei tre » va ora sottomesso all'esame della Piccola Intesa;

2) nel prossimo incontro di Belgrado fra Re Alessandro e Re Carol saranno gettate le basi del programma economico della Piccola Intesa, programma che nell'articolo di Mussolini è considerato nato-morto.

3) il telegramma accenna ad un riftiuto deUa Romania a concludere con noi un patto « con clausola di neutralità » e colorisce tale rifiuto come prova della lealtà della Romania verso l'alleata Jugoslavia.

La comunicazione dell'agenzia Sud-Est è un riflesso dell'eccitazione che regna da qualche settimana in tutti gli ambienti politici della Capitale, e sta a dimostrare che la Romania non vuole essere seconda a nessuna delle sue due alleate nel reagire alla politica revisionistica. Essa, da oggi in poi, non misurerà nè gesti nè parole.

Dal prossimo convegno di Belgrado, cui parteciperanno militari e uomini politici, è da aspettarsi un nuovo rafforzamento dei vincoli, anche nel campo militare, che legano Belgrado e Bucarest con una punta anti-italiana sempre più accentuata. Gli attuali accordi militari, per quanto è dato sapere, hanno nei riguardi dell'Italia un carattere che può essere chiamato negativo: non è

35 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XIII

impossibile che a Belgrado vengano, se non conclusi, per lo meno messi alacremente allo studio, accordi con carattere attivo. Nel passato noi abbiamo tutto concesso alla Romania (prestiti, riconoscimento Bessarabia, promesse di assistenza in ogni campo) senza nulla ottenere.

lo non consiglio oggi nessun gesto appariscente che possa, in questo momento di grave turbamento della opinione pubblica romena, apparire o essere qui presentato come una nostra definitiva presa di posizione antiromena; tanto più che sono convinto che la Romania finirà, un giorno forse non lontano, per sentirsi a disagio nella nuova e troppo rigida armatura che la Piccola Intesa si è data. Ma anche in previsione di tale momento, sembrami indispensabile che l'Italia si precostituisca un terreno di manovra, prendendo cioè lentamente e silenziosamente posizione.

In tale linea di condotta pregherei V. E. esaminare le seguenti mie proposte:

a) Prevenire immediatamente, confidenzialmente questo Governo che l'Italia non ritiene opportuno riprendere le conversazioni per l'eventuale proroga del patto di amicizia, essendo nostra intenzione !asciarlo tacitamente decadere il 18 luglio.

b) Impostare le prossime trattative per il trattato di commercio, in scadenza il 31 luglio prossimo, su un rigido criterio di scambi bilanciati, secondo la proposta già da me avanzata e nella quale il nostro ministero delle finanze sembra concordare, e abbinare le trattative commerciali col regolamento della questione del « clearing ~ e dei contingentamenti.

c) Impartire immediatamente ordine segreto alla commissione che qui travasi per l'acquisto di 200 mila tonnellate di granturco romeno di procedere con estrema lentezza nelle compere, anche per trovarci con un'arma in mano nella eventualità, non improbabile, che il Governo romeno non faccia onore alla scadenza (1° luglio) del rateo d'interessi e ammortamento per il cosiddetto prestito « AGIP ~

Penso sarebbe opportuno che un sereno obiettivo articolo di uno dei nostri più importanti giornali (suggerirei il Popolo d'Italia, o anche il Corriere della Sera) esponesse la situazione dei rapporti politici ed economici tra l'Italia e la Romania, e della Romania nella Piccola Intesa, col fine di illuminare non tanto il pubblico italiano quanto il pubblico romeno che dalla campagna di stampa antirevisionista è completamente traviato.

Nei miei telegrammi circa la Piccola Intesa vi sono taluni spunti che potrebbero essere utilizzati ed altri potrei fornirne, se richiesto.

(l) -T. 3697/87 P.R. del 18 aprile, non pubblicato. (2) -Sola comunicò con t. 1632/94 R. del 24 aprile che Titulescu aveva smentito di aver redatto il comunicato il cui autore «doveva, forse, esser rintracciato più in alto» ed aveva aggiunto: «Se avete occasione di vedere Re Caro! ditegli che il comunicato ha fatto in Italia cattiva impressione: mi renderete un servizio ».
437

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, E IL CONSIGLIERE FEDERALE SVIZZERO, MOTTA

APPUNTO. Roma, 19 aprile 1933.

Il Capo del Governo ha detto al Consigliere Federale Motta che per dare una prova di amicizia alla Svizzera gli dichiara sin d'ora che alla scadenz&.

del Trattato di amicizia nel 1934 è disposto a prorogarlo di altri 10 anni senza modifiche.

Il Capo del Governo ha anche dichiarato all'on. Motta che in Italia non esiste una questione irredentista per il Canton Ticino. È necessario però che il Canton Ticino mantenga il proprio carattere italiano; se dovesse cambiare tale carattere per lo stabilimento di popolazione di altra razza, sia pure se cittadini federali, sorgerebbe allora per l'Italia la questione della difesa della propria frontiera al Gottardo.

Il Consigliere Federale Motta ha aderito a questo punto di vista del Capo del Governo italiano.

438

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. R. 841/393. Varsavia, 19 aprile 1933 (per. il 24).

A risollevare il depresso morale polacco sono giunti i resoconti della discussione avvenuta al Parl<amernto inglese la settimana scoil"sa. I discorsi di Chamberlain e di Churchill sono stati qui accolti con la più viva soddisfazione, tanto viva da far credere che non sia del tutto da escludersi qualche lavorio esercitato da parte polacca sui due capi conservatori e su qualche altro parlamentare inglese. Anche nelle dichiarazioni di Simon questi giornali hanno voluto ravvisare oltre che una certa titubanza nel difendere il progetto di Roma, una riserva grave quasi come una condanna nei confronti del nuovo regime del Reich.

Da ciò, come dalle dichiarazioni che Herriot avrebbe fatto alla riunione parigina dei deputati polacchi e francesi questa stampa si crede autorizzata a dedurre «il definitivo seppellimento» del primitivo progetto di Roma ed a constatare l'isolamento della Germania anche dinanzi all'Italia. La visita di Dolfuss a Roma e le dichiarazioni di questi vengono interpretate come una riconferma delle vedute italiane contrarie all'« Anschluss », ma allora -si chiedono questi giornali -a spese di quale altra Nazione dovrebbe realizzarsi quell'accordo fra Italia e Germania che anche le dichiarazioni di Papen e di Goering danno per esistente?

L'ombra del «corridoio» non cessa dunque dall'apparire nello schermo nemmeno nell'ipotesi, che qui si dà senz'altro come dimostrata, del « seppellimento» del progetto di un patto a quattro a scopi revisionistici.

È interessante constatare come al progettato patto fra le Grandi Potenze siansi qui date successivamente interpretazioni diverse. Dalle più arbitrarie e preconcette dei primi giorni, si è venuti a quelle complicate che ho segnalato due settimane fa, per giungere adesso ad attribuirgli un significato assai più ristretto e, dire~. meno grave, per quanto sempre considerato pericoloso, di un puro e semplice tentativo che il Duce avrebbe voluto fare di spostare ad oriente il centro di gravità della Germania e indirizzare verso l'est la spinta tedesca che volta verso il sud si annuncia come un pericolo per l'Italia, pericolo grave sopratutto perché la realizzazione dell'« Anschluss », punto essenziale del programma hitleriano, sarebbe anche, alla stregua dei fatti, il meno difficile ed il più prossimo a realizzarsi. Roma in sostanza avrebbe voluto reagire alla minaccia cercando per Hitler altre soddisfazioni od altri successi, ma l'idea di Mussolini di fare un corridoio tedesco nel corridoio polacco essendo stata respinta a Berlino, il Duce con la visita di Dollfuss avrebbe voluto far capire che 1'« Anschluss » non si farà mai, così come col suo articolo per la stampa dell'Universai Service egli ha inteso di sottolineare che la revisione dei trattati alla quale non cessa di lavorare, dovrebbe essere a beneficio dell'Italia e dell'Ungheria. L'edificio dell'amicizia italo-tedesca mostra già la prima fessura, resta ora a vedere come ed a spese di chi si vorrà chiuderla!

Queste le osservazioni che i giornali polacchi hanno ammannito durante le quarantottore di silenzio delle vacanze pasquali e che anche per vie traverse si fanno giungere al mio orecchio come ad esprimere il desiderio che Roma si decida a parlare a Varsavia, fornendo essa stessa alla Polonia un motivo qualunque per far uscire dalla situazione attuale i rapporti italo-polacchi.

Tuttavia dalle nebbie artificiali che questa stampa continua a generare, una cosa si riesce ad intravedere che merita qualche attenzione ed è un nuovo atteggiamento polacco.

È certo che se la Polonia non pensa a modificare la sua intransigenza dinanzi alle possibilità revisioniste che possono interessarla direttamente e si prepara ad opporsi anche con le armi a qualunque modificazione delle sue frontiere, essa non ha più insistito nell'atteggiamento dei primi giorni di paladina dell'antirevisionismo per tutti. Constatando che ormai il problema di ritoccare i trattati è stato posto sul tappeto in maniera ufficiale e che si tratta solo di trovare -come ha affermato Simon -il mezzo più idoneo per far funzionare l'art. 19 del patto, l'attitudine polacca si è mutata in un sacro egoismo che la trattiene dal compiere passi avventati a beneficio di altri. Quello che mi era sembrato logico avvenisse e che nel mio rapporto n. 310 del 28 marzo u.s. (l) segnalavo come un elemento da attendersi in conseguenza della diversità d'interessi che anche nel revisionismo sussiste tra la Polonia e la Piccola Intesa, si sta ora verificando e ne ho riprova in una interessante conversazione che questo corrispondente della Stejani, ha avuto ieri col Dire,ttoil'e dell'ufficiosa Gazeta Polska, su diversi argomenti e della quale riferisco i punti principali:

l) A proposito del mancato viaggio di Beck a Praga ed a Belgrado il signotr Matuszewski ha assicurato che Masaryk, Benes e Jeftic con lettere personali indirizzate a questo Ministro degli Esteri qualche giorno dopo la visita di MacDonald a Roma lo hanno invitato a visitare le due capitali, ma che a quelle lettere è stato risposto in modo dilatorio. Il Signor Matuszewski ha soggiunto che dipenderà « da Roma e non da Parigi » l'accettazione o meno degli inviti.

Il Direttore della Gazeta Polska amico personale di Beck, è certo il meglio informato dei giornalisti locali e può essere considerato persona seria. Quanto

egli ha detto al Dott. Suster dà maggiore rilievo all'imbarazzo di questo Ministro degli Esteri durante e dopo il colloquio che io ebbi con lui nel quale gli chiesi su quali elementi positivi si basava l'attitudine polacca nei confronti dell'Italia. Risulta inoltre dalle sue parole che qui si crede come l'Italia attribuisca sempre un grande valore ad un più stretto ravvicinamento tra la Polonia e la Piccola Intesa e ciò forse esageratamente, ma quel che mi pare meriti di essere rilevato è l'appello a Roma contenuto in quelle parole.

Inoltre, conosciuto il dettaglio degl'inviti con lettere personali, non si può non rimarcare che a questa amabilità concertata di Praga e di Belgrado, Bucarest non abbia ritenuto di associarsi con una manifestazione qualunque nè come alleata e confederata degli invitanti, nè come alleata dell'invitato.

Evidentemente in Rumania i passi polacchi verso Mosca facilitati dalla cordialità che il patto di non aggressione aveva consacrato, dovrebbero avere suscitato sospetti fin dal primo momento e consigliato freddezza dinanzi ai calorosi inviti dei due associati.

2) A proposito dei rapporti russo-polacchi, il signor Matuszewski ha esplicitamente dichiarato a Suster che la Polonia si è già assicurata la benevola neutralità dell'U.R.S.S. in caso di conflitto con la Germania.

Questa rivelazione è stata poi dallo stesso completata con la dichiarazione assai importante che in momenti come questi ognuno deve pensare ai casi suoi, fatta in risposta a Suster che gli aveva chiesto quanto questa benevola neutralità potesse influire sul trattato di alleanza polacco-rumeno.

I sospetti rumeni erano dunque ben fondati e tali da giustificare un'attitudine riservata dinanzi agli entusiastici inviti di Praga e di Belgrado al Ministro Beck, la cui politica sembra fatalmente portata a dare dispiaceri a Bucarest.

È da chiedersi se questa benevola neutralità sia stata pagata dalla Rumania e se Mosca si sia contentata della duplice soddisfazione di sferrare un pugno a Berlino e di premere fortemente su Bucarest per deciderla a concludere il famoso patto di non aggressione. Il successo di Varsavia è certo considerevole, anche se per ora non si trattasse che di una assicurazione verbale, ma se si considera che i Soviet non hanno posto molto tempo in mezzo fra le avances pilsudskiane ed il loro accoglimento, è da ritenere che anch'essi sperino di ritrarne un vantaggio non inferiore a breve scadenza.

Quanto riferii col mio telespresso n. 317 del 29 u.s. (l) dopo il mio colloquio con questo Ministro dell'U.R.S.S. nella parte in cui si riferisce alla situazione fra Soviets, Rumania e Piccola Intesa, può forse avere qualche rapporto con questa mossa sovietica.

3) Circa la visita di Dollfuss al Duce, Matuszewski ha detto che quando si tenga conto dei suoi interessi economici, la Polonia non ha alcun preconcetto contro qualunque sistemazione danubiana che Roma desidemsse.

Ho voluto dare particolare rilievo a queste dichiarazioni del Direttore della Gazeta Polska anche perché di lui si continua a parlare come del futuro Ambasciatore di Polonia a Roma, la cui nomina avverrebbe non appena Beck

fosse riuscito ad ottenere il consenso del Maresciallo Pilsudski che non ha per il Matuszewski una particolare simpatia.

Le sue affermazioni sono assai importanti e chiaramente definiscono l'attuale atteggiamento della Polonia, alquanto diverso da quello che ciascuno per suo conto e tutti insieme i tre membri della Piccola Intesa potessero sperare. Questo terzo punto sembra in modo particolare condurre la Polonia non solo sulle vecchie posizioni nei confronti dell'Italia, ma a fare delle concessioni al revisionismo itala-danubiano e quindi ad ammettere la possibilità di rivedere certi trattati.

Soltanto V. E. potrà giudicare come e quanto nel complesso quadro dei nostri interessi possa aver valore la situazione che si è venuta creando in questo scacchiere (l) .

(l) Non pubblicato.

(l) Non pubblicato.

439

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA S. 3628/695. Budapest, 19 aprile 1933 (per. il 25).

l. S. E. Gombos, al quale ho fatto stamattina le comunicazioni prescrittemi da V. E. con i telegrammi nn. 61 e 62 (2), mi ha pregato di far pervenire ancora una volta all'E. V. l'espressione della sua viva gratitudine per il costante interessamento di cui Ella si compiace dargli prova.

Mi ha detto inoltre di aver già telegrafato a Roma il suo pensiero circa il memorandum francese, il giorno stesso in cui gli era pervenuta la copia di tale memorandum, con tanta amichevole sollecitudine fatta rimettere da V. E. per lui a codesto Ministro di Ungheria; e di non aver per il momento nulla da aggiungere alle comunicazioni dirette all'E. V. in tale occasione, all'infuori dell'informazione, completata stamattina, che qui di seguito mi onoro riferire.

2. Da fonte «strettamente confidenziale ma sicura » è pervenuta l'altro giorno a S. E. Gombos la notizia che il Segretario di Stato americano avrebbe, per il tramite del Ministro di Romania a Washington, fatto informare il signor Titulescu che al Presidente Roosevelt sarebbe riuscita gradita la partecipazione del signor Titulescu stesso «alla prossima conferenza economica mondiale », nella quale si sarebbero probabilmente discusse questioni relative al disarmo ed alla revisione, e politiche in genere.

S. E. GombOs aveva fatto allora presente a Washington sembrargli che in tal caso anche l'Ungheria avrebbe dovuto essere rappresentata a detta conferenza. La conseguenza di tale démarche era stata quella che l'invito già diretto al signor Titulescu era stato cortesemente annullato, e che era pertanto silurata la partecipazione di quest'ultimo alla conferenza di cui si tratta.

(l) -Ritrasmesso a Berlino, Pa'l'igi, Londra, Mosca, Praga, Bucarest, Budapest, Belgrado e Vienna con telespr. 213245/C. del 2 maggio, con l'aggiunta solo per Berlino della seguente istruzione: «Prego V. E. voler segnalare a codesto Ministero degli Affari Esteri l'impegno che il Governo sovietico avrebbe assunto di mantenere la neutralità nell'eventualità di un conflitto polacco-tedesco». Cerruti rispose con telespr. 1892/872 del 10 maggio di aver segnalato la cosa a Neurath il quale ave,va risposto che l'URSS spontaneamente e pubblicamente aveva smentito l'esistenza di tale impegno e che tale smentita aveva soddisfatto il Governo tedesco. (2) -Cfr. n. 415 e nota 2, p. 445.
440

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1565/286 R. Berlino, 20 aprile 1933, ore 14,06 (per. ore 16,30).

Rispondo al telegramma di V. E. n. 155 (1). BUlow mi ha detto che avrebbe chiamato probabilmente domani Nadolny per impartirgli istruzioni prima che ripartisse per Ginevra.

Parlando dell'idea di quest'ultimo che fosse necessario scambio di vedute fra le grandi Potenze, nei giorni immediatamente precedenti ripresa conferenza, per sapere fin dove ciascuno fosse disposto giungere con le proprie concessioni, Btilow osservò meco che Nadolny teme sopratutto trovarsi di fronte piano lavori predisposto da segretariato generale, corrispondente agli interessi di certe Potenze ma non a quelli tedeschi.

Biilow approva scambio di vedute patrocinato da Nadolny ma ritiene che esso sarebbe tanto più utile quanto più riguardasse questione tattica omettendo invece di discutere linea politica generale progetto britannico per la quale vi sarebbe tempo più tardi.

Ho dato Biilow assicurazioni di cui al telegramma di V. E. predetto. Egli me ne ha ringraziato, ne ha preso nota e mi ha assicurato che le avrebbe comunicate von Neurath da cui sarebbero state certamente molto apprezzate.

441

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL MINISTRO A TIRANA, KOCH

T. UU. 702/56 R. Roma, 20 aprile 1933, ore 15,45.

Suo telegramma per corriere n. 450 (2).

Confermo a V. S. opportunità che atteggiamento dilatorio sia ancora continuato, senza tuttavia dare al Governo albanese impressione di una nostra titubanza ora che esso si mostra più propenso a conclusione positiva del negoziato. Questo dovrà essere suddiviso in due fasi strettamente condizionate l'una all'altra. La fase per la definizione dei pagamenti in denaro dovrà precedere, e in tale sede non bisognerà deflettere dalla cifra minima di 3 milioni di franchi oro. Delegati S.V.E.A. insisteranno per avere iscrizione di tale somma nel bilancio in corso preparazione.

Ottenuta questa iscrizione potrà iniziarsi seconda fase per definizione pagamenti in natura, restando inteso che anche risultati trattative per pagamenti in denaro non possono essere considerati come definitivi se prima non si sarà raggiunto accordo su pagamenti in natura.

È superfluo indicare a V. S. quali ampie possibilità dilatorie offra questa seconda fase trattative, che dovrà definire singole concessioni che S.V.E.A. è disposta ad assumersi e valutazione corrispondente. Ricordo infine che occorre porre come conditio sine qua non diritto prelazione su qualsiasi genere di concessione.

Ritengo che adottando la suaccennata linea di condotta non potrà sfuggire alla nostra iniziativa la scelta del momento più favorevole per conclusione accordo.

Per tutto quanto si riferisce ad agevolazioni finanziarie che dovrebbero essere fatte o consentite dal Governo italiano per facilitare accordo S.V.E.A., quali assunzione interessi di mora e trasferimento su apporto finanziario gratuito di spese del bilancio ordinario, V. S. è autorizzata a dichiarare, ove ne fosse richiesta, che effettivamente istruzioni datele erano favorevoli, ma che situazione creatasi a seguito provvedimento contro scuole cattoliche le rendeva necessario chiedere nuove istruzioni, avendo motivo di ritenere che disposizioni del Governo fascista in merito non siano ancora ugualmente benevole e che tali rimarranno fino a quando Re Zog non avrà definito, a termine articolo 228 dello statuto, suo atteggiamento nei confronti di modifica avanzata dal Parlamento.

(1) -Cfr. n. 425. (2) -Cfr. n. 420.
442

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AGLI AMBASCIATORI AD ANKARA, LOJACONO, A BERLINO, CERRUTI, A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, A MADRID, GUARIGLIA, A MOSCA, ATTOLICO, A PARIGI, PIGNATTI, A VARSAVIA, BASTIANINI, A WASHINGTON, ROSSO, E AI MINISTRI AD ATENE, DE ROSSI, A BELGRADO, GALLI, A BUCAREST, SOLA, A BUDAPEST, COLONNA, A PRAGA, ROCCO, A SOFIA, CORA, E A VIENNA, PREZIOSI

T. 708/c. R. Roma, 20 aprile 1933, ore 20.

(Per tutti) Per sua eventuale notizia e norma eventuale di linguaggio

(Solo per Budapest, Vienna e RR. ambasciate, meno Bruxelles e Ankara):

A complemento dispaccio odierno

(Per tutti): informola sommariamente su attività diplomatica svoltasi ultimi giorni a Roma.

Goering von Papen e Dollfuss sono giunti a Roma a titolo privato per feste pasquali. Ricevuti separatamente a palazzo Venezia e a palazzo Chigi si è avuta occasione di parlare di questioni politiche, specialmente patto a quattro e questione austriaca. Su quest'ultima Goering è stato esplicito nel senso di considerare come fatale e indispensabile avvento nazi al potere con partecipazione fin d'ora al Governo e convocazione comizi elettorali. Dollfuss considera situazione con tranquillità. Suo programma è lotta anti-marxista all'interno e conservazione all'estero della personalità storicamente definita dell'Austria con funzione e compito specifici nel bacino danubiano. È e vuole restare indipendente pur mantenendo co1la Germania quei rapporti speciali che derivano dalla comunità della razza e della cultura.

Questa posizione è stata da noi approvata. Si è cercato di fare intendere a Goering e a von Papen che più cautamente patrocina in materia le stesse idee come la propaganda nazista per le elezioni non potrebbe prescindere dal tema dell'Anschluss sollevando ostilità anche in Italia. D'altra parte la campagna elettorale darebbe respiro ai so'Cialisti oggi immobilizzati tra l'azione di Dollfuss e il timore dei nazi.

A nostro avviso il problema dell'Anschluss è nella più favorevole delle ipotesi inattuale, inopportuno. È non solo contro i nostri, ma anche contro gli stessi interessi tedeschi risollevarlo. Aggraverebbe le incognite della situazione generale. Il Reich ha più urgenti problemi interni ed esteri da risolvere con il nostro franco e cordiale appoggio. Va rilevato che Goering ha dichiarato in modo esplicito e definitivo che questione del sud Tirol è liquidata senza possibilità di ritorni.

Inutile aggiungere che voci di speciali accordi fra Italia e Germania o Italia e Austria sono destituite di ogni fondamento.

Qualsiasi interpretazione tendenziosa in stampa e opinione di Governo su contenuto colloqui romani potranno essere da lei opportunamentP rettificate su base precisa informazioni precedenti.

443

L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

PROMEMORIA. Roma, 20 aprile 1933.

Il Governo del Reich, desideroso, al pari del R. Governo italiano, a concludere al più presto possibile il Patto a quattro sulle idee fondamentali del Signor Capo del Governo italiano ed in perfetta armonia con il R. Governo italiano, è disposto a desistere dalle numerose sue gravi apprensioni contro il testo proposto dalla Francia, purché vi vengano apportate poche ma assolutamente necessarie modincazioni. Queste modificazioni sono di già contenute, nelle loro parti più essenziali, nell'appunto elaborato la sera del 18 corr. assieme ai Signori Suvich e Barone Aloisi (l). Pertanto è da farsi una osservazione di importanza decisiva in merito all'art. III: Come già ripetutamente venne rilevato, il Governo germanico non può in nessun caso accettare la limitazione della sua libertà sul campo degli armamenti per un periodo più lungo della durata della prima convenzione sul disarmo da stipularsi prossimamente, e cioè non oltre cinque anni, in ogni caso.

Inoltre esso deve annettere valore decisivo acché nell'art. II non vengano sottolineati gli articoli dello statuto e la procedura, bensì i principi che ven

gono espressi negli articoli dello statuto e che sono l'unica cosa che conta. Altrimenti la auspicata collaborazione delle quattro Potenze si riferirebbe non già alle grandi questioni politiche in se stesse, ma soltanto ai modi di procedura dello statuto.

Infine il Governo germanico desidera di omettere, in qualunque modo fosse possibile, la frase al principio dell'articolo III « Renouvelant etc. », perché non desidera di sottolineare ancora una volta il connesso della «sécurité » con il «désarmement '-'·

È da osservare inoltre che nell'articolo V non deve evidentemente leggersi «sans limitation >>, che non avrebbe senso, ma «sans limite de durée ». Dopo tutto ciò per il testo risulta quanto segue: Preambolo: da cancellare il periodo «en se conformant » fino a «déroger ».

Art. II.

(Il primo periodo, rispondente alla redazione inglese, così come venne redatto con i Signori Suvich e Barone Aloisi, non è più altro che un pallido riflesso della frase originale sulla revisione coniata nello schema del Signor Capo del Governo Italiano, e può solo con rincrescimento essere accettato dal Governo Germanico).

Periodo secondo:

<< en vue de l'application éventuelle en Europe des principes enoncés aux articles 10 (abrégé du contenu de l'article), 16 (abrégé du contenu de l'article) et 19 (abrégé du contenu de l'article) du pacte, elles décident d'examiner entre elles et sous réserve de décisions, qui ne peuvent etre prises que par les organes réguliers de la Société des Nations, toute proposition tendant à donner leur pleine efficacité à ces principes ».

Art. III.

Periodo primo ( «Renouvelant etc. »), si prega di cancellare questo periodo. Il periodo susseguente non contiene più niente che sia di importanza materiale. Il periodo che segue di poi sulla «portée effective » per la Germania naturalmente è di importanza decisiva.

L'ultimo periodo, come già detto, non può, nella forma del sopra citato appunto, essere accettato dalla Germania e dovrebbe press'a poco suonare come segue:

«L'Allemagne de sa part s'engage, pour la durée de la première conven~ tion de désarmement (5 ans au maximum) à ne réaliser cette égalité des droits que par étapes et en vertu d'un accord qui interviendra à cet effet » (1).

Seguono disposizioni analoghe per quanto concerne l'Austria, l'Ungheria e la Bulgaria.

Art. IV.

Da cancellare se possibile il periodo sulla «Commission d'Etudes pour l'Union Européenne ».

(l) Cfr. n. 429, allegato.

(l) Annotazione a margine: «entre qui?».

444

L'ADDETTO STAMPA A VIENNA, MORREALE, AL VICE CAPO GABINETTO, JACOMONI

L. P. XXI. Vienna, 20 aprile 1933.

Il viaggio di Dollfuss a Roma, le dichiarazioni da questi fatte alla stampa, gli articoli ispirati dalla cancelleria federale, hanno dato qui la precisa sensazione di un chiarimento della situazione interna ed estera dell'Austria. L'azione intrapresa dai « nazi » locali per sfruttare la vittoria dei compagni di partito in Germania e creare rapidamente e con decisione tutte le premesse di una politica atta a condurre all'annessione « di fatto » al Reich, è stata sventata. Rafforzata, di conseguenza, agli occhi dei partiti di governo e della socialdemocrazia -i quali hanno tutti compreso che l'annessione non è cosa né di oggi né di domani -la posizione del gabinetto Dollfuss, questo può avere davanti a sé, sol che sappia manovrare, alcuni mesi di tranquillità, quelli che intercorrono da oggi al prossimo autunno e durante i quali si svolgono i lavori campestri ed il movimento dei forestieri che nessuno vuoi vedere disturbati. Di tale periodo il governo potrà efficacemente approfittare se il cancelliere intenderà la necessità di effettuare colle Heimwehren, e cioè opponendo movimento di destra austriaco e movimento germanico, quel rinnovamento politico che i « nazi » richiedono: abbandono della politica di compromessi col marxismo, abbandono della politica egoistica dei cristiano-sociali, riforme sociali profonde e non. reazion.ar&e. In questa collaborazione le « Heimwehren. » dovrebbero sviluppare le proprie forze, in modo da assecondare, ed occorrendo da imporre le proprie richieste al Governo e consentire a Dollfuss di giustificare la propria azione anche agli occhi dei cristiano-sociali più renitenti alle innovazioni radicali. Questi ultimi potranno approfittare della nuova fase per porgere la mano alle tendenze moderate dei social-democratici e trovare con essi una soluzione della crisi, tanto più che la recente riunione dei fiduciari del partito socialista ha saputo evitare ogni scissione di tendenze e si è mostrata proclive -pur se con grosse parole di ribellione -ai compromessi sulla discussione di una nuova riforma della costituzione. Se queste tendenze dovessero prevalere -esse sono condivise, e quanto pare, dal presidente della repubblica Miklas -si tornerebbe alla situazione Schober del 1929, allorché questi, iniziata la riforma costituzionale con grandi premesse antimarxiste, la chiuse, dopo numerose conversazioni coi socialisti -e per questi con Danneberg -in modo pietoso. Ma si presume che Dollfuss sia stato preparato alla resistenza. Della prevista fase di tranquillità dovrebbero soffrire i nazional-socialisti i cui capi, dopo l'atteggiamento attribuito all'Italia nella questione dell'annessione e degli eventuali aiuti dalla Germania, passano attraverso un periodo di disorientamento. Gli avvenimenti in Germania potranno aumentarlo, se non saranno corrispondenti alle loro aspettative, o diminuirlo in caso contrario.

Questo il quadro generale; i particolari mancano perché Starhemberg recatosi in vacanza, non si è ancora abboccato con il cancelliere che ha chiesto di vederlo. Sarebbe, in ogni modo, giustificato l'ottimismo se ancora i provvedimenti presi da Dollfuss prima del suo viaggio in Italia, o maturati durante tale

v,taggio, come quello che fa delle Heimwehren una polizia ausiLiaria, non siano stati accompagnati da tanti ritardi e tergiversazioni da non acquietare i malumori tra quei sottocapi e militi delle Heimwehren che sotto la pressione della propaganda « nazista » sarebbero piuttosto proclivi al passaggio tra le file degli hitleriani. Ed è proprio mentre scrivo che mi sto occupando di una piccola congiura tra sottocapi ai danni di Starhemberg. Steidle, vicecapo, si dice malcontento del trattamento del capo affermando che questi lo lascia all'oscuro di quanto avviene: egli mira a far saltare St. per mettersi al suo posto. Uguale è la tedenza di Hueber, capo delle Hw. del salisburghese, e di Alberti, capo di quelle della Bassa Austria, ma mentre il primo è ancora abbastanza sincero allorché afferma di voler salvare il movimento dalle incertezze in cui lo porta Starhemberg, questi altri due sono di quelli che a buoni patti dei nazional-socialisti farebbero buon viso. Data l'organizzazione, purtroppo federalistica, delle Heimwehren, che al capo federale subordina capi provinciali che godono di una certa autonomia, Starhemberg ha avuto effettivamente il torto di non essersi preoccupato o di centralizzare il movimento o di non essers!i preoccupato di più dei capi provinciali. S.teidle ha indetto egli stesso per domattina a Vienna una riunione dei capi provinciali, cosa che nell'assenza del capo gli è teoricamente concessa, e giungerà stasera. Si sta lavorando proprio in questo momento per riportare un po' di tranquillità e convincere i « congiurati » che la loro azione non porterebbe a nulla di buono. Purtroppo, devo rinviare alla mia prossima lettera le notizie in argomento.

445

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1620/258 R. Parigi, 21 aprile 1933 (per. il 24).

Le conversazioni di Roma coi ministri tedeschi e col cancelliere austriaco, sono state seguite in Francia con la più grande attenzione. Alla perplessità mista a preoccupazione che ha caratterizzato, in un primo tempo, il sentimento do· minante, ha seguito un esame più ponderato della situazione che ha condotto a considerare con favore l'atteggiamento che, per credenza ormai unanime, si suppone abbia tenuto l'Italia di fronte alle mire tedesche nei riguardi dell'Austria. La frase augurale «per l'avvenire dell'Austria» pronunciata dall'E. V. al pranzo offerto al cancelliere austriaco, ha dato lo spunto alle prime impressioni affermatesi successivamente nel senso suddetto. Oggi nessuno s'inganna in Francia e altrove sul reale significato delle conversazioni romane. Ho scritto di proposito altrove perchè proprio stasera il Temps pubblica una corrispondenza da Budapest nella quale si afferma che l'Ungheria ha accolto con favore l'annuncio del consolidamento dell'indipendenza austriaca, dopo il viaggio del cancelliere Dollfuss a Roma. Ed anche gli ambienti politici cecoslovacchi -sempre secondo il Temps -si felicitano delle conversazioni di Roma.

La Francia è oggi così convinta della fermezza dell'opposizione dell'Italia all'Anschluss, da permettersi di considerare da parte sua quel problema con nn certo disinteresse. Si tratta, ne sono convinto, di una manovra, che deve essere però contrastata, a mio avviso, con una apposita manovra che non consenta alla Francia di far passare l'Anschluss come un problema d'interesse esclusivamente italiano. Non mi riferisco a supposizioni, ma a fatti o per meglio dire atteggiamenti di uomini politici i quali dovrebbero far credere che la Francia non abbia ~ran che da temerre daU'Anschluss. A chi mi ha partato in tal senso ho replicato facendo osservare che l'Anschluss rappresenterebbe un primo passo che sarebbe seguito immancabilmente da una forte azione della Germania per conseguire il vagheggiato sbocco nel Mediterraneo. L'Anschluss costituirebbe, non lo si nega, una diretta minaccia a Trieste. Ma l'affacciarsi della Germania nel Mediterraneo a Trieste o altrove, inferirebbe alla Francia come all'Italia un colpo egualmente grave.

Ringrazio l'E. V. delle istruzioni oggetto del telegramma 708 C. del 21 cor,r. (1). Terrò presenti le direttive impartitemi e mi esprimerò nel senso ordinatomi, in relazione anche alla speciale situazione che ho avuto l'onore di esporre.

Debbo aggiungere, per completare il mio esposto, che non ho riscontrato finora nella stampa francese alcun cenno a una svalutazione dell'opposizione all'Anschluss nel senso suindicato. Questo particolare conferma la mia supposizione ossia che il problema dell'Anschluss, pure essendo oggi in Francia più che mai vivo e sentito, è sfruttato in alcuni ambienti in funzione di manovra tattica nei riguardi dell'Italia.

446

L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. Roma, 21 aprile 1933.

Facendo seguito al nostro colloquio di ieri, ho l'onore di comunicare all'E. V. che il signor Cancelliere del Reich ha acconsentito al punto di vista come è stato fissato nell'appunto consegnatoLe ieri (2), ad eccezione di una modificazione da lui desiderata nel penultimo periodo dell'articolo III dove invece di «en vertu d'un accord qui interviendra à cet effet » dovrebbe essere detto «en relation avec les mesures de désarmement des autres puissances ».

Per maggiore chiarezza mi permetto, come da des,iderio di V. E., di allegare un testo della proposta francese, come verrebbe ad essere in base ai colloqui con i signori Sottosegretario di Stato Suvich e Barone Aloisi e tenuto conto delle modificazioni ritenute necessarie dal Governo del Reich.

ALLEGATO (3)

L'Allemagne, la France, la Grande-Bretagne, l'Italie:

conscientes des responsabilités particulières que leur impose leur qualité de membres permanents du Conseil de la Société des Nations à l'égard de la Société elle-mème et de ses membres et de celles qui résultent de leur signature commune des accords de Locarno;

convaincues que l'état de malaise qui règne dans le monde ne peut etre dissipé que par renforcement de leur solidarité susceptible d'affirmer en Europe la confiance dans la paix;

fidèles aux engagements qu'elles ont pris par le pacte de la Société des Nations, !es traités de Locarno et le pacte Briand-Kellogg et se référant à la déclaration de non recours à la force dont le principe a été adopté le 2 mars dernier par la Commission politique de la Conférence du Désarmement;

soucieuses de donner leur pleine efficacité à toutes !es dispositions du pacte; respectueuses des droits de chaque Etat dont il ne saurait etre disposé en dehors de l'intéressé; sont convenues des dispositions suivantes:

Art. l.

Les hautes parties contractantes se concerteront sur toutes les questions qui leur sont propres et s'efforceront de pratiquer entre elles dans le cadre du Pacte de la Société des Nations une politique effective de collaboration en vue du maintien de la paix.

Art. 2.

Les quatre Puissances confirment que !es obligations du Covenant exigent un respect scrupuleux de toutes les obligations des Traités comme moyen d'assurer la paix et le sécurité et elles reconnaissent aussi la possibilité de la révision des traités de paix dans des conditions qui pourraient conduire à un conflit entre !es nations. A ce propos en vue de l'application éventuelle en Europe des principes énoncés aux articles 10 (abrégé du contenu de l'article), 16 (abrégé du contenu de l'article) et 19 (abrégé du contenu de l'artcile) du pacte, elles décident d'examiner entre elles et sous réserve de décisions, qui ne peuvent etre prises que par !es organes réguliers de la Société des Nations, toute proposition tendant à donner leur pleine efficacité à ces principes.

Art. 3.

Les hautes parties contractantes voient Les hautes parties contractantes s'engadans les récent projet de convention brigent à collaborer le plus rapidement possitannique une base pratique de discussion ble avec !es autres Puissances à une conqui doit permettre à la Conférence du vention assurant une réduction substandésarmement d'élaborer aussi rapidement tielle et une limitation des armements, que possible une convention assurant une avec des dispositions pour sa révision ultéréduction substantielle et une limitation rieure en vue d'une réduction nouvelle. des armements avec des dispositions pour sa révision ultérieure en vue de réductions nouvelles.

Dans le cas où la Conférence du Désarmement ne se terminera que par des résultates partiels la France la Grande-Bretagne et l'Italie déclarent que l'égalité de droit reconnue à l'Allemagne doit avoir une portée ejjective. L'Allemagne de sa part, s'engage, pour la durée de la première convention de désarmement (5 ans au maximum) à ne réaliser cette égalité de droits que par étapes et (l) en relation avec les mesures de désarmement des autres puissances.

Les quatre puissances s'engagent à faire des accords pareils pour ce qui regarde la parité pour l'Autriche, l'Hongrie et la Bulgarle.

Art. 4.

Les hautes parties contractantes affirment d'une manière générale leur volonté de se concerter sur toutes questions d'intérét commun en Europe notamment sur toutes questions concernant la restauration de son économie.

Art. 5.

Le présent accord est conclu pour une durée de dix années à compter de l'échange des ratifications. Si, avant la fin de la huitième année, aucune des hautes parties contractantes n'a notifié aux autres son intention d'y mettre fin, il sera considéré comme renouvelé et restera en vigueur sans limite de durée, les parties contractantes conservant alors la faculté d'y mettre fin par une dénonciation avec préavis de deux années.

Art. 6.

Le présent accord sera ratifié et les ratifications en seront échangées le plus tòt que faire se pourra. Il sera enregistré au Secrétariat de la Société des Nations conformément aux dispositions du pacte.

(l) -Cfr. n. 442. (2) -Cfr. n. 443. (3) -Ed. In SALATA, pp. 207-209 e In GIORDANO, pp. 189-191.

(l) Con lettera del 22 aprile il primo segretario dell'ambasciata tedesca, BU!ow, comunicò a Jacomoni: «Confermando la mia telefonata d'un momento fa, mi pregio di far notare che la fine dell'alinea l della lettera di ieri dell'Ambasciatore von Hassell a S. E. Il Signor Capo del Governo deve leggersi come segue: " ... ad eccezione di una modificazione da lui desiderata nel penultimo periodo dell'articolo III dove dovrebbe essere detto 'en vertu d'un accord qui interviendra à cet effet en relation avec !es mesures de désarmement des autres puissMlces' " ».

447

APPUNTO (l)

PATTO POLITICO DI INTESA E DI COLLABORAZIONE FRA LE QUATTRO POTENZE OCCIDENTALI

ARTICOLO PRIMO

TESTO ORIGINALE

Le quattro Potenze occidentali: Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia si impegnano a realizzare fra di esse una effettiva politica di collaborazione in vista del mantenimento della pace secondo lo spirito del Patto Kellogg e del « no force Pact » e si impegnano nell'ambito europeo ad un'azione che faccia adottare anche ai terzi, ove sia necessario, tale politica di pace.

TESTO CONCORDATO CON MACDONALD E SIMON

The four Western Powers: France, Germany, Great Britain, Italy, undertake to carry out between themselves an effective policy of co-operation in order to ensure the maintenance of peace in the spirit of the Kellogg Pact and of the «No resort to force» Pact envisaged by the declaration signed by the above Powers on 11th December, 1932. They undertake furthermore to follow such course of action as to induce, if necessary, third parties, so far as Europe is concerned, to adopt the same policy of peace.

TESTO INGLESE

The four Western Powers: France, Germany, Great Britain, Italy: undertake to carry out between themselves an effective policy of co-operation in order to ensure the maintenance of peace in the spirit of the Kellogg Pact and of the «No resort to force» Pact envisaged by the declaration signed by the above Powers on December 11th, 1932.

Osservazioni inglesi

The new text omits the last sentence of Article I of the text of March 19th.

Osservazioni tedesche

Che la cancellazione della seconda frase dell'articolo l rende il Patto politicamente alquanto meno formale è evidentissimo, avendo questa modificazione senza dubbio lo scopo di venire incontro alla Francia ed ai suoi alleati. In questo articolo, così attenuato, il Patto ha, per quanto riguarda la politica generale, appena maggiore importanza che le ripetute dichiarazioni degli ultimi anni sulla collaborazione pacifica, come per esempio ultimamente esse vennero fatte anche dalle Potenze alla Conferenza di Losanna. Questo attenuamento del Patto, potrebbe comunque essere tollerato dal punto di vista tedesco, poiché non lede direttamente interessi specifici tedeschi.

TESTO FRANCESE

L'Allemagne, la France, la Grande-Bretagne, l'Italie conscientes des responsabilités particulières que leur impose leur qualité de membres permanents du Conseil de la Société des Nations à l'égard de la Société elle-méme et de ses membres et de celles qui résultent de leur signature commune des accords de Locarno,

convancues que l'état de malaise qui règne dans le monde ne peut étre dissipé que par un renforcement de leur solidarité susceptible d'affirmer en Europe la confiance dans la paix,

fidèles aux engagements qu'elles ont pris par le Pacte de la Société des Nations, les traités de Locarno et le Pacte Briand-Kellogg et se référant à la déclaration de non recours à la force dont le principe a été adopté le 2 mars dernier par la Commission politique de la Conferénce du Désarmement,

souc1euses de donner leur pleine efficacité à toutes les disposLtions du Pacte et se conformant aux méthodes et procédures qui y sont p.révues e.t auxquelles n'entendent pas déroger,

respectueuses des droits de chaque Etat dont il ne saurait étre disposé en dehors de l'intéressé, sont convenues des dispositions suivantes:

ART. 1.

Les Hautes Parties contractantes se concerteront sur toutes les questions qui leur sont propres et s'efforceront de pratiquer entre elles dans le cadre du Pacte de la Société des Nations une politique effective de collaboration en vue du maintien de la paix.

Osservazioni tedesche

Già nel primo capoverso del preambolo si fa riferimento, senza plausibile motivo, alle relazioni delle quattro Potenze con la Società delle Nazioni. Lo stesso pensiero si trova nell'articolo l. Se questi due riferimenti sono da considerarsi superflui, dal punto di vista germanico debbono essere sollevate le più gravi apprensioni contro la formulazione del capoverso 3 del preambolo. Se là si dice che le quattro Potenze in nessun punto dello Statuto della Società delle Nazioni debbano allontanarsi dai metodi e dai procedimenti ivi previsti, il Patto in tal modo diventa in fondo superfluo. I metodi ed i procedimenti della Società delle Nazioni non sono gli unici applicabili alla trattazione di problemi politici. Il nuovo patto doveva appunto introdurre un metodo nuovo accanto alla Società delle Nazioni senza contraddire alle funzioni di questa. Per questa ragione nel terzo capoverso bisognerebbe cancellare le parole: « en se conformant aux méthodes et procédures, qui y sont prévues et auxquelles elles n'entendent pas déroger ».

TESTO PROPOSTO DALLA GERMANIA (21 aprile 1933)

L'Allemagne, La France, La Grande-Bretagne, l'Italie,

conscientes des responsabilités particulières que leur impose leur qualité de membres permanents du Conseil de la Société des Nations à l'égard de la Société elle-mème et de ses membres et de celles qui résultent de leur signature commune des acconrds de Locarno.

convaincues que l'état de malaise qui règne dans le monde ne peut ètre dissipé que par un renforcement de leur solidarité susceptible d'affirmer en Europe la confiance dans la paix,

fidèles aux engagements qu'elles ont pris par le pacte de la Société des Nations, les traités de Locarno et le Pacte Briand-Kellogg et se référant à la déclaration de non recuors à la force dont le principe a été adopté le 2 mars dernier par la Commission politique de la Conférence du Désarmement,

soucieuses de donner leur pleine efficacité à toutes les dispositions du pacte, respectueueses des droits de chaque Etat dont il ne saurait ètre disposé en dehors de l'intéressé, sont convenues des dispositions suivantes:

Art. l.

Les Hautes Parties contractantes se concerteront sur toutes les questions que leur sont propres et s'efforceront de pratiquer entre-elles dans le cadre du Pacte de la Société des Nations une politique effective de collaboration en vue du maintien de la paix.

ARTICOLO SECONDO

TESTO ORIGINALE

Le quattro Potenze riconfermano, secondo le clausole del Patto della Società delle Nazioni, il principio della revisione dei Trattati di pace, in quelle condizioni che potrebbero condurre ad un conflitto tra gli Stati, ma dichia

36 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XIII

rano che tale princ1p10 di revisione non può essere applicato che nell'ambito della Società delle Nazioni ed attraverso la mutua comprensione e solidarietà degli interessi reciproci.

TESTO CONCORDATO CON MACDONALD E SIMON

The four Powers confirm that, while the provisions of the Covenant of the League of Nations embody a scrupulous respect for all treaty obligations as a means of achieving international peace and security, they also contemplate the possibility of the revision of the Treaties of Peace when conditions arise that might lead to a conflict between nations. In order to regulate and define the application of this principle of revision, the four Powers declare that such application should take through agreements based on the mutuai recognition of the interest of all concerned and within the framework of the League of Nations.

TESTO INGLESE

The four Powers confirm that, while the provJ.sions of the Covenant of the League of Nations embody a scrupulous respect for ali treaty obligations as a means of achieving international peace and security, they also contemplate the possibility of the revision of the Treaties of Peace when conditions arise that might lead to a conflict between nations.

In order to facilitate the operation of Article 19 of the Covenant, the Four Powers recommend that if and when a Government raises any particular question involving treaty revision, the situation shall be clarified in the first instance by means of negotiations to be carried on and agreements to be reached on a equal footing between the Four Powers and the Governments directly concerned: such negotiations and agreements to be based on mutuai recognition of the interests of ali concerned and within the framework of the League of Nations.

Osservazioni inglesi

The second paragraph of Article II of the new text expands the last sentence of Article II of the old text and embodies the idea contained in the sentence now omitted from Article I. The only substantial modification is that the text of this Article now expressely lays down that treaty revision must be discussed « on a equal footing between the Four Powers and the Governments directly concerned ».

Osservazioni tedesche

Con il cambiamento proposto dall'articolo II questo non sarebbe più un invigorìmento ad un ravvisamento dell'idea della revisione, ma un peggioramento dell'attuale stato. La revisione dovrebbe ora essere del tutto ristretta nei limiti del testo dell'articolo 19 dello Statuto della Società delle Nazioni. Non si fa più menzione del fatto che le quattro Potenze riconoscono espressamente la revisione dei trattati di pace e di voler fare elemento della loro politica la messa in pratica di questa revisione. Ma, per di più il previsto accordo fra le quattro Potenze e gli altri Stati immediatamente interessati, accordo che, come procedimento di prima istanza, dovrebbe precedere il procedimento giusta l'art. 19 null'altro è che una limitazione radicale della libertà

d'azione politica della Germania. L'articolo 19 concede alla Germania almeno la possibilità di portare di propria iniziativa dinanzi alla Società delle Nazioni una domanda di revisione e di ottenere con ciò, a seconda le circostanze, almeno un successo morale. Adesso non si dovrebbe poter appellarsi all'articolo 19, se non previo accordo delle quattro Potenze e con la Potenza toccata dalla revisione, dunque per esempio con la Polonia. È chiaro che, se nel caso concreto un tale accordo fra le Potenze occidentali più la Polonia potesse venire realizzato, con ciò in questo caso la revisione sarebbe regolata definitivamente, di modo che l'applicazione del procedimento della Società delle Nazioni verrebbe ad essere illusoria. Questo contrasto interno della nuova redazione risulta precisamente dal fatto che il testo inglese ha abbandonato l'idea originaria, secondo la quale le quattro Potenze, pur appoggiandosi formalmente allo Statuto della Società delle Nazioni ma di fatto indipendentemente da esso, riconoscono in forma positiva la revisione e si impegnano a realizzare questo principio. Invece, ne è rimasto una specie di regolamento esecutivo per l'articolo 19, regolamento che non significa, come le parole introduttive lo affermarono, una facilitazione nell'applicare l'articolo 19, ma lo rende del tutto senza valore. Per eliminare queste apprensioni non è sufficiente ristabilire il principio della decisione preliminare delle sole quattro Potenze, anzi, forse più importante è che l'intero articolo del Patto, appoggiandosi al testo originario italiano riceva un'altra struttura nel senso di queste esposizioni.

TESTO FRANCESE

Les Hautes Parties contractantes en vue de l'application éventuelle en Europe des articles du Pacte et notamment des articles 10, 16 et 19 décident d'examiner entre elles et sous réserve de décisions qui ne peuvent etre prises que par les organes réguliers de la Société des Nations toute proposition tendant à donner leur pleine efficacité aux méthodes et procédures prévus par ces articles.

Osservazioni tedesche

Nell'art. 2 non è più rimasto nulla del riconoscimento dell'idea della reVIswne. In primo luogo bisogna obiettare che l'idea della revisione è menzionata nella sola forma dell'art. 19 dello Statuto della Società delle Nazioni, non però come elemento autonomo della politica delle quattro Potenze. Ma sopratutto sorgono le più gravi apprensioni di fronte alla menzione degli art. 10 (integrità territoriale) e 16 (sanzioni) dello Statuto della Società delle Nazioni in connessione coll'art. 19. Questa formulazione potrebbe perfino creare l'apparenza, che una revisione del Trattato nelle questioni territoriali dovrebbe essere del tutto esclusa e che la menzione delle sanzioni debba accentuare ancora più la necessità di conservare lo statu quo territoriale. Inoltre sarebbe creata l'apparenza, che l'attività delle quattro Potenze debba riferirsi alla nota preparazione di proposte riguardanti le applicazioni generiche degli art. 10, 16 e 19, cioè le disposizioni supplementari a tali articoli, e non alla loro applicazione in un caso concreto. Volendo giungere ad una giusta soluzione del vero problema, bisogna insistere sull'inserzione d'una disposizione che riconosca il problema della revisione come esistente e che garantisca parimenti la sua soluzione in via pacifica. Forse si potrebbe soddisfare a questa necessità formulando l'art. 2 nel modo già accennato nel Promemoria trasmesso in data del 27 u.s. (pag. 2: « les quatre Puissances affirment »).

TESTO PROPOSTO DALLA GERMANIA (21 aprile 1933)

Les quatre Puissances confirment que les obligations du Covenant exigent un respect scrupuleux de toutes les obligations des Traités comme moyen d'assurer la paix et la sécurité et elles reconnaissent aussi la possibilité de la révision des traités de paix dans des conditions qui pourraient conduire à un conHit entre Ies nations. A ce propos en vue de J'application éventuelle en Europe des principes énoncés aux a,rtic1es 10 (abrégé du contenu de l'article) du pacte, elles décidént d'examiner entre elles et sous réserve de décisions, qui ne peuvent étre prises que par les organes réguliers de la Société des Nations, toute proposition tendant à donner leur pleine efficacité à ces principes.

ARTICOLO TERZO

TESTO ORIGINALE

La Francia, la Gran Bretagna e l'Italia dichiarano che, ove la Conferenza del disarmo non conduca che a risultati parziali, la parità di diritti, riconosciuta alla Germania, deve avere una portata effettiva, e la Germania si impegna a realizzare tale parità di diritti con una graduazione che risulterà da accordi successivi da prendersi fra le quattro Potenze, per la normale via diplomatica.

Uguali accordi le quattro Potenze si impegnano a prendere per quanto riguarda la «parità» per l'Austria, l'Ungheria, la Bulgaria.

TESTO CONCORDATO CON MACDONALD E SIMON

The four Powe,rs re,Lterate their resolve to co-opera.te in the Disarmament Conference with the other States there represented in seeking to work out a Convention which shall effect a substantial reduction and a limitation of armaments with provisions for future revision with a view to further reduction. But, should the Disarmament Conference lead to only partial results, France, Great Britain and Italy declare that the principe of equality of right, must have a practical value, and Germany agrees that such principle of equality of rights shall only be put into practice by degrees under agreements to which each of the four Powers must be a party.

TESTO INGLESE MODIFICATO

It is agreed that the principle of equality of rights as conceded to Germany under the conditions laid down in the Five Power resolution of December 11th must be given practical value. The Four Powewrs recognize that the draft disarmament convention submitted by the United Kingdom delegation to the Disarmament Conference on March 16th not only gives effect to this principle but provides a satisfactory first stage of genera! disarmament, and they accordingly undertake to recommend it to the Disarmament Conference for acceptance. Germany, for her part agrees that the principle of equality of rights shall only be put into practice by deg,rees under agreements to wich each of the Four Powers must be a party.

Osservazioni inglesi

Instead of the first sentence of the old text, the new text provides for the acceptance by Germany of the British draft Disarmament Convention as giving effect to the principle of equality of rights and as providing a satisfactory first stage of general disarmament The Four Powers accordingly undertake to recommend the British draft Convention to the Disarmament Conference for acceptance.

The latter part of the last sentence of the old text is reproduced in the new text -i.e. it is recognised that the principle of equality of rights shall only be put into practice « by degrees under agreements to which each of the Four Powers must be a party».

Osservazioni tedesche

L'articolo 3 porta nella nuova redazione in primo luogo l'essenziale peggioramento che nella prima frase la parità di diritto della Germania non viene riconosciuta che sotto le condizioni della convenzione del dicembre. Con ciò il «junctio » della questione della parità con quella della sicurezza verrebbe in massima fissato per l'avvenire. In secondo luogo è naturalmente anche secondo il nostro avviso impossibile di accettare in blocco il piano MacDonald. Abbiamo, è vero, designato questo piano a Ginevra come possibile base per ulteriori discussioni, potremmo però riconoscerlo come soluzione finale della Conferenza di Ginevra solamente dopo ampie modificazioni nei suoi particolari, le quali qui non sono da discutersi dettagliatamente. Altrettanto importante è l'apprensione ripetutamente sottolineata, di vincolare la Germania oltre la durata della prima convenzione. In questo senso anche le frasi l e 3 della nuova redazione inglese dell'articolo III dovrebbero essere fondamentalmente mutate.

TESTO FRANCESE

Renouvelant pour ce qui les concerne leur déclaration commune du 11 décembre 1932, les Hautes Parties contractantes voient dans le récent project de convention britannique une base pratique de discussion qui peut permettre à la conférence du désarmement d'élaborer aussi rapidement que possible une convention assurant une réduction substantielle et une limitation des armements avec des dispositions pour sa revision ultérieure en vue de réductions nouvelles. L'Allemagne pour sa part reconnait que l'égalité des droits dans un régime comportant pour toutes les nations la sécurité ne peut se réaliser que par étapes conformément à l'article 8 du Pacte et en vertu des accords qui interviendront à cet effet.

Osservazioni tedesche

L'art. 3 non contiene affatto una dichiarazione positiva sulla necessità di rendere effettiva la parità dei diritti per la Germania, limitandosi di accennare nell'introduzione l'accordo di dicembre.

Nell'ultimo capoverso poi l'attuazione della parità dei diritti viene limitata nella medesima maniera inaccettabile come nella proposta inglese. Il riferimento all'art. 8 dello statuto della Società delle Nazioni che ora si aggiunge, potrebbe perfino essere interpretato nel senso, che la parità dei diritti della Germania debba venire realizzata in tappe di dieci anni ognuna. Di fronte a ciò non si può fare a meno di dichiarare nuovamente, che per la Germania è inaccettabile qualsivoglia disposizione che limiti la parità dei diritti per un periodo superiore a circa cinque anni.

TESTO PROPOSTO DALLA GERMANIA (21 aprile 1933)

Les Hautes Parties contractantes vision ultérieure en vue de réductlons

voient dans le .récent projet de convennouvelles. Les Hautes partles contractantes

tion britannique une base pxatique de s'engagent à col.laborer le plus rapi

discussion qui doit pe.rmettre à la Condement possible avec les autres Puis

férence du Désarmement d'élaborer sances à une convention assurant une

aussi xapidement que posstble une con

réduction substantielle et une J.imitavention assurant une réduction subs

tion des armements, avec des dispotantielle et une limitation des arme

sitions pour sa revision ultérieure en ments avec des dispositions pour sa re-vue d'une reduction nouvelle.

Dans le cas où la Conférence du Désarmement ne se terminera que par des résultats partiels la France, la Grande Bretagne et l'Italie déclarent que l'égalité de droit reconnue à l'Allemagne doit avoir une portée ettective. L'Allemagne de sa part, s'engage, pour la durée de la première convention du désarmement (5 ans au maximum) à ne réaliser cette égalité de droits que par étapes et en relation avec les mesures de désarmement des autres puissances.

Les quatre Puissances s'engagent à faire des accords pareils pour ce qui regarde la parité pour l'Autriche, l'Hongrie et la Bulgarie.

ARTICOLO QUARTO

TESTO ORIGINALE

In tutte le questioni politiche e non politiche europee ed extra-europee le quattro Potenze si impegnano ad adottare, nella misura del possibile, una linea di condotta comune anche per quanto riguarda il settore coloniale.

TESTO CONCORDATO CON MACDONALD E SIMON

The application of such principle of equality of rights to Austria, Hungary and Bulgaria shall be governed by the same conditions as those expressed in the case of Germany in the preceding article and only agreements tho which each of the four Powers must be a party.

TESTO INGLESE MODIFICATO (Identico al testo concordato)

TESTO FRANCESE (manca nel progetto francese un articolo di contenuto analogo)

TESTO PROPOSTO DALLA GERMANIA (21 aprile 1933)

(Il testo tedesco contempla la « parità di diritto » per l'Austria, l'Ungheria e la Bulgaria nell'articolo precedente)

ARTICOLO QUINTO

TESTO CONCORDATO CON MACDONALD E SIMON

The four Powers pledge themselves to co-operate in the work of flnding solutions for the economie difficulties which now face their respective nations and the world as a whole.

TESTO INGLESE MODIFICATO (Identico al testo concordato)

TESTO FRANCESE -(art. 4)

Les Hautes Parties contractantes affirment d'une manière générale leur volonté de se concerter sur torutes questions d'mtérèt commune etn Europe notamment sur toutes questions concernant la restauration de son économie dont le règlement, sans faire l'objet d'une procédure devant la Société des Nations pourrait etre utilement recherché dans le cadre de la Commission d'Etudes pour l'Union européenne.

Osservazioni tedesche -(Art. 4)

Nell'articolo 4 l'ultima parte, che principia colle parole «dont le réglement », dovrebbe essere soppressa, poichè certamente non vi è alcun motivo di far risuscitare la Commissione Europea di Studi, la quale si è mostrata incapace per un lavoro pratico.

TESTO PROPOSTO DALLA GERMANIA (21 aprile 1933) (art. 4)

Les Hautes Parties contractantes affirment d'une manière générale leur volonté de se conce,rter sui!." toutes questlons d'irntérèt commune en Europe notamment sur toutes questions concernant la restauration de son économie.

ARTICOLO SESTO

TESTO ITALIANO (art. 5)

Questo accordo politico di intesa e di collaborazione, che sarà presentato, ove occorra, entro tre mesi all'approvazione dei Parlamenti, avrà la durata di dieci anni e si considererà tacitamente rinnovato per lo stesso periodo di tempo se un anno prima della sua scadenza non sarà stato denunciato da una delle Parti.

TESTO CONCORDATO CON MACDONALD E SIMON

The present agreement of understanding and co-operation will, if necessary, be submitted for the approvai of the Parlaments of the Contracting Powers within three months of the date of its signature. Its duration shall be for ten years. If no notice is given before the end of the ninth year by any of the parties of an intention to treat it as terminated at the end of such ten years, it o;hall be regarded as renewed for another period of ten years.

TESTO INGLESE MODIFICATO (Identico al testo concordato)

TESTO FRANCESE (art. 5)

Le prèsent accord est conclu pour une durée de dix années à compter de l'échange des ratifications. Si, avant la fin de la huitième année, aucune des Hautes Parties contractantes n'a notifié aux autres son intention d'y mettre fin, il sera considéxé comme renouvelé e.t restera en vigueur sans limitation, les parties contractantes conservant alors la faculté d'y mettre fin par une dénonciation avec préavis de deux années.

TESTO PROPOSTO DALLA GERMANIA <21 aprile 1933 -art. 5)

Le présent accord est conclu pour une durée de dix années à compter de l'échange des ratifications. Si, avant la fin de la huitième année, aucune des Hautes Parties contractantes n'a notifié aux autres son intention d'y mettre fin, il sera considéré comme renouvelé et restera en vigueur sans limite de durée, les parties contractantes colllservant alors la faculté d'y mettre fi:n pa·r une dénonciation avec préavis de duex années.

ARTICOLO SETTIMO

TESTO ITALIANO (art. 6)

Il presente Patto sarà registrato al Segretariato della Società delle Nazioni.

TESTO CONCORDATO CON MACDONALD E SIMON The present agreement shall be registered, in accordance with the Covenant of the League of Nations, at the Secretariat of the League of Nations.

TESTO INGLESE MODIFICATO (Identico al testo concordato)

TESTO FRANCESE (art. 6)

Le présent accord sera ratifié et les ratifications en seront échangées le plus tòt que faire se pourra. Il sera enregistré au Sécrétariat de la Société des Nations conformément aux dispositions du Pacte.

TESTO PROPOSTO DALLA GERMANIA (21 aprile 1933 -art. 6)

Le présent accord sera ratifié et les ratifications en seront échangées le plus tòt que faire se pourra. Il sera enregistré au Secrétariat de la Société des Nations conformément aux dispositions du Pacte.

(l) Anonimo e privo di data. Si colloca sotto il 21 aprile, data dell'ultimo progetto preso in esame. Per un'altra tavola sinottica comprensiva di testi successivi. fino a quello parafato il 7 giugno, cfr. JARAUSCH, pp. 230-231. Vedi anche DE FELICE, pp. 850-853 che confronta il testo 4 marzo e quello 7 giugno.

448

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. P. Londra, 21 aprile 1933.

La seduta di giovedì scorso ai Comuni ha segnato la conclusione di quattro settimane di polemica anti-tedesca, quattro settimane durante le quali si sono andate accentuando e precisando quelle tendenze delle quali il mese scorso ebbi a scriverTi, ve·rso una minore simpatia inglese per la Ge'rmania, e una maggioxe preoccupazione pecr: gli atteggiamenti del governo tedesco (1). Il ne·r

vosismo di questi giorni è stato molto: nervosismo dei conservatori di fronte all'ipotesi di una rapida ricostruzione della potenza economica, politica e militare della Germania; dei liberali e dei laburisti, di fronte ai primi atti di forza del regime nazionalsocialista; della City di fronte a una reazione sfavorevole dell'opinione pubblica alla politica tedesca; degli ebrei, qui molti e potenti, di fronte alle notizie di rigide misure anti-semite da parte del governo tedesco.

Vi è stato in queste quattro settimane un continuo martellare di motivi anti-tedeschi: gli ebrei hanno tirato fuori il problema della libertà religiosa, i conservatori lo spettro di una restituzione delle Colonie africane alla Germania, i laburisti quello del militarismo prussiano. La nuova Germania è stata rappresentata come una più vigorosa reincarnazione della Germania imperiale, ugualmente minacciosa alla pace e alla tranquillità dell'Europa che alla sopravvivenza delle istituzioni democratiche, la cui decadenza è ormai tema ordinario di discussione in ogni partito e in ogni gruppo politico d'Inghilterra. Nella seduta di giovedì ai Comuni tutti questi motivi sono venuti alla luce. Chamberlain li ha riassunti, nel suo discorso, in questa tesi fondamentale: il regime Hitleriano mira alla ricostruzione della potenza tedesca, questa potenza è stata una minaccia all'Europa e si prepara ad esserlo ancora. L'Inghilterra deve fin da ora opporsi al suo ristabilimento, tanto nel campo politico, opponendosi alla revisione dei trattati, quanto nel campo militare opponendosi al riarmamento della Germania.

Chamberlain non si è spinto fino al punto al quale Churchill era giunto nel suo discorso del 23 marzo, fino cioè alla difesa degli armamenti francesi e fino all'idea di una lega franco-inglese per la conservazione dello statu quo. Più cauto e più abile, egli ha sentito che quella conclusione aveva rovinato l'effetto del discorso di Churchill. Ma il fondo del suo pensiero è stato lo stesso: dover arrestare la rinascita del nazionalismo tedesco. In questo egli ha avuto larghi consensi in seno ai Comuni, ma niente che possa giustificare gli entusiasmi della stampa francese. Il suo discorso è stato un episodio che non va naturalmente sottovalutato, un indice e un sintomo di certe tendenze, ma un episodio che bisogna inquadrare in una visione più generale della situazione.

Intanto passata la prima impressione, una valutazione più calma e più equilibrata del problema tedesco ha già cominciato a farsi strada. Il Governo che si era trovato alla Camera dei Comuni impreparato davanti a un attacco inatteso, ha fatto riprendere dal Times la difesa della sua politica. La grande stampa domenicale -che di tutte è forse quella che ha più autorità -ha fatto eco. Il problema è stato rimesso nei suoi termini: la politica interna tedesca da una parte, la politica estera dall'altra; il revisionismo è stato riaffermato come una necessità storica, anche se è stato riconosciuto che nella applicazione concreta di misure di revisione bisogna tener conto di circostanze che in questo momento rendono difficile una revisione immediata; si è messo in rilievo che la politica estera tedesca non è diretta contro l'Inghilterra e l'Inghilterra non deve commettere l'errore di spingerla essa in questa direzione. I conservatori più combattivi, quelli del Daily Express, sono venuti finalmente a dire: il regime hitleriano può commettere degli errori, come quello di perseguitare gli Ebrei, ma non bisogna chiudere gli occhi alla sua funzione storica: esso compie l'unità tedesca e sopprime il pericolo comunista in Germania. Così si è chiuso l'episodio Chamberlain.

Per farsi un'idea di quelli che possono essere i futuri atteggiamenti dell'opinione pubblica inglese di fronte al problema tedesco, io credo che bisogna guardare indietro a queste ultime settimane di polemiche con una certa calma, per discernere quelli che sono elementi provvisori e passeggeri di malumori da quelli che possono essere elementi di essenziale contenuto politico.

Vi è una questione a mio avviso che bisogna mettere anzitutto nei suoi veri termini e questa è la questione degli ebrei. Di tutti gli avvenimenti interni della Germania non ve n'è stato nessuno che si sia prestato più ampdamente di questo ad attaccare il regime nazional-socialista. Gli ebrei, con alla testa Lord Reading, hanno voluto mostrare in questa occasione quale sia la loro forza. I cattolici, come minoranza religiosa, hanno colto l'occasione per riaffermare i principii della libertà di culto. I protestanti, a rivendicare contro i cattolici la loro larghezza di vedute, si sono schierati anch'essi in difesa degli ebrei. Alla Camera dei Lords, nella seduta del 30 marzo, dopo Lord Cecil parlarono sulla questione ebraica in Germania Lord Reading, come membro della comunità israelitica d'Inghilterra, Lord Iddesleigh come cattolico e l'Arcivescovo di Canterbury, come dignitario e rappresentante della Chiesa Anglicana. I laburisti videro subito che questo era il lato sul quale essi potevano attaccare con più successo n nazional-socialismo e portarono la campagna su questo terreno, organizzando dimostrazioni popolari, sollecitando il boicottaggio delle merci tedesche, facendo appello a ogni genere di sentimenti popolari e finanche -ironia del destino -essi, i pacifisti di professione, ai ricordi della guerra e al simbolo prussiano dell'elmo chiodato. Come curiosità di questo tipo di propaganda ti mando qui accluso un opuscolo pubblicato a cura del Daily Herald. Non ti racconto episodi. Ma ve n'è uno tipico di isterismo che mi ha colpito: una donna politicante tornata dalla Germania ha tenuto una conferenza e ha raccontato di aver visto dei bambini ebrei frustati a sangue, e nel raccontare questo è svenuta. Naturalmente un gran numero di circoli, di associazioni e di leghe liberali e laburiste hanno approvato ordini del giorno di protesta contro l'anti-semitismo. Lord Reading si è dimesso da Presidente dell'Associazione Anglo-tedesca. Una grande riunione, presieduta dal Sindaco, è stata tenuta a Manchester per protestare contro l'anti-semitismo. Un gruppo di deputati ha chiesto che la Palestina fosse aperta agli Ebrei fuggiaschi dalla Germania. La pressione esercitata sul Governo è stata tale che il Ministro dell'Interno ha dovuto invocare l'ordine della polizia per distruggere i manifesti incitanti al boicottaggio delle merci tedesche.

Questa campagna ora si è andata calmando. Essa lascerà naturalmente delle tracce, ma, guardata a una certa distanza, e in una certa prospettiva, credo che essa perda molto della sua importanza. Come in Germania gli ebrei troveranno la maniera di adattarsi alle circostanze, cosi in Inghilterra a poco a poco la gente si scorderà di questa ondata di reazione all'anti-semitismo. Nel calcolo finale -e voglio dire nel quadro nel quale verranno a f1ssarsi le relazioni anglo-tedesche -conterà poco. E già, come Ti ho accennato, la gente più seria si domanda fino a quale punto una questione di libertà religiosa e di uguaglianza civile in un paese straniero possa interessare l'Inghilterra.

Messa la questione ebraica da parte, come io credo che si debba mettere, e

messo anche da parte il senso di avversione a ogni novità che è connaturato agli Inglesi, e non è stato elemento secondario a determinare il nervosismo di questi giorni, quali sono gli elementi che costituiscono oggi il fondo dei rapporti anglo-tedeschi?

Nella politica interna inglese i rapporti con la Germania sono stati sempre oggetto di dissenso tra i conservatori da una parte, i laburisti e i liberali dall'altra. Quelli non hanno mai nascosto la loro avversione, oltre certi limiti, ai postulati fondamentali della politica tedesca, questi sono stati gli assertori e i difensori in Inghilterra di tutto il blocco delle rivendicazioni della Germania: annullamento delle riparazioni, parità di diritto negli armamenti, revisione del trattato di Versailles. Il triangolo Daily Herald-Manchester Guardian-New Chronicle ha costituito il piano della politica revisionistica in Inghilterra, quando questa politica sembrava lontanissima. In un certo senso anzi il revisionismo ~n Inghilterra è stato sempre legato al movimento che gli Inglesi chiamano «radical », ha fatto sempre parte di un gruppo di direttive comuni a questi movimenti: liberismo economico, disarmo, Lega delle Naziorn, collaborazione anglo-americana, politica d'equilibrio in Europa, politica anti-giapponese nell'Estremo Oriente. Nei quadri della politica conservatrice il problema tedesco ha avuto sempre meno posto. I conservatori hanno sempre pensato che l'Inghilterra doveva a poco a poco disinteressarsi delle controversie del continente europeo, per occuparsi sempre più del suo Impero: e ha perciò guardato sempre con impazienza e con sospetto tutti i movimenti che potevano scuotere lo statu quo, e obbligare l'Inghilterra ad assumersi delle responsabilità dirette nella politica continentale. Vi è tra essi chi ha sempre piegato verso un accordo con la Francia, a garanzia dello statu quo e della conservazione; e la teoria di Churchill di un potente esercito francese che imponga la pace nel continente e di una potente flotta inglese che la imponga negli Oceani, rappresenta ogg,i la estrema forma e la estrema conseguenza di un atteggiamento che, in limiti assai ragionevoli, è tuttavia stato sempre l'atteggiamento sostanziale di una parte non trascurabile del gruppo conservatore.

In questi anni la politica del Foreign Office si è sempre bilanciata fra questi due estremi -·-il revisionismo radicale dei laburisti da una parte e il rigido conservatorismo imperiale dei die hards dall'altra.

Nessun governo laburista -né il primo né il secondo Gabinetto MacDonald -sono stati abbastanza forti da imporre al Parlamento una politica di revisione, nessun governo conservatore è stato tanto forte da potersi sottrarre all'influenza di quelle correnti di opinione pubblica che chiedevano un intervento dell'Inghilterra a limitare in Europa la potenza francese e a favorire il risollevamento della Germania. Su queste correnti si è sempre fondata la politica di quegli uomini di stato inglesi -da Lloyd George a MacDonald che hanno fatto o tentato del revisionismo, e da queste correnti essi hanno attinto la forza necessaria per resistere alla pressione dei conservatori imperialisti.

Ora il fatto è che questa forza è venuta meno. L'equilibrio si è rotto:-n passaggio dei laburisti e dei liberali da una politica di favore a una politica di ostilità alla Germania, ha aperto la via alla reazione di quei conservatori anti-revisionisti che, in questi giorni, si sono gettati all'attacco di MacDonald.

Questo spiega la frase di MacDonald nella lettera che egli ebbe a dirigermi prima della sua partenza per gli Stati Uniti: « ...vi sono considerevoli influenze che lavorano contro il Patto ma io non l'ho in nessun modo abbandonato. Gli avvenimenti tedeschi hanno avuto una assai cattiva influenza su di esso e hanno indubbiamente sollevato delle difficoltà che non esistevano al momento del mio viaggio a Roma. Tuttavia noi non dobbiamo cedere» (1).

Dal 15 marzo al 15 aprile quello che è successo è semplicemente questo: MacDonald si è trovato improvvisamente privo di quell'appoggio che gli veniva indirettamente dal revisionismo di sinistra. Un mese fa egli era tornato da Roma portando con sé un Patto di pace, nel quale i conservatori vedevano rinnovata e confermata la politica di Losanna, i labur,isti vedevano impostato il problema della revisione dei Trattati. Un patto che il popolo inglese giudicava rispondere alle giuste domande della Germania. Nel Parlamento egli trovò la solidarietà che cercava. Questa cominciò a indebolirsi quando cominciarono a manifestarsi i segni di una reazione popolare antitedesca. Di fronte a questa reazione MacDonald ha evidentemente pensato che era opportuno rallentare i negoziati, guadagnando tempo, lasciare che l'ondata anti-germanica passasse. La sua tattica, nella questione tedesca, è stata una tattica dilatoria. Tanto lui che Simon ai Comuni hanno in pratica evitato la discussione che giovedì sarebbe avvenuta in condizioni sfavorevoli. Chiusa la Camera è cominciato un lavoro giornalistico, destinato a rettificare e rimettere in luce il problema della pacificazione dell'Europa per distinguere tra la politica interna e la politica estera tedesca, tra gli atti di Hitler e gli atti di alcuni elementi irresponsabili del nazional-socialismo, per riproporre il problema della revisione dei Trattati come elemento fondamentale della pace nuova.

Questo è il lavoro che si sta concludendo ora. Un lavoro di ripresa dei veri elementi del problema dei rapporti anglo-tedeschi. È nello stesso interesse di coloro che conducono la politica estera inglese di farlo. Quelli stessi che piegano verso una politica di simpatie francesi, non vogliono svolgere questa polittca sotto la pressione di una opinione pubblica anti-germanica. Né l'Inghilterra vuole spingere la Germania a fare blocco con altre Potenze europee. Essa sopratutto non vuole perdere l'Italia. L'idea di un brusco allontanamento dell'Italia dalla collaborazione con l'Inghilterra è quello che un mese fa spaventò MacDonald e Simon. Essi si precipitarono a Roma a ristabilire un contatto italo-inglese che essi giudicavano essere in pericolo. Questo contatto in Inghilterra nessuno lo vuol perdere. Nel piano generale dei rapporti anglo-tedeschi anche questo entra: entra cioè il concetto che una politica anti-tedesca potrebbe avere delle ripercussioni nei rapporti con l'Italia, mentre nella scarsa fiducia che gli Inglesi nutrono nelle qualità politiche del popolo tedesco, l'Italia è considerata il solo paese che possa esercitare su BerHno un'azione intelligente e efficace per impedire che la Germania commetta degli errori.

Queste, caro Presidente, sono delle rapide notazioni sulla situazione del momento. Le vacanze pasquali e il viaggio di MacDonald in America, segnano oggi una pausa nell'attività della politica estera inglese in Europa. Vedrò Simon martedì e anche Chamberlain e Ti telegraferò (2).

(l) Cfr. n. 205.

(l) -Cfr. n. 417, allegato. (2) -Questa lettera fu !nviata a Suvich con preghiera di consegnarla a Mussolinl. Suvich rispose comunicando che Mussolini l'aveva letta con molto interesse e ringraziava.
449

IL CAPO DELL'UFFICIO ITALIA DEL MINISTERO DEGLI ESTERI JUGOSLAVO, AVAKUMOVIÉ, AL REGGENTE L'UFFICIO II DELLA DIREZIONE GENERALE AFFARI POLITICI, COSMELLI

L. P. Belgrado, 21 aprile 1933.

La belle vue sur la plaine d'Assisi m·a rappelé non seulement ce paysage unique que j'ai eu l'occasion d'admirer et d'apprendre à aimer, mais aussi maintes autres choses se rapportant à l'Italie et dont nous avons souvent parlé. Ces entretiens, qui se sont, vous vous rappelez bien, prolongés des fois méme après l'heure de fermeture des bureaux, m'ont laissé un souvenir auquel je reste toujours très sensible et fidèle.

Il est vrai que je m'attendais pas, malgré notre bonne volonté, à ce que nos entretiens ayent une influence décisive sur le cours des événements. Cependant, ils me procuraient un plaisir incontestable car ils portaient l'empreinte de cordialité et loyauté qui rend agréable, de fois méme pleine de promesses, toute conversation semblable.

M'en voudrez vous, mon cher ami, de revenir à ces temps pour reprendre la conversation que votre départ à interrompu?

Il me semble qu'aujourd'hui elle est toute indiquée. Des événements de nature à provoquer des conséquences indésirables me poussent à vous poser cette question en toute franchise. Je m'abstiendrai d'évoquer certains faits dont le caractère déplorable ne vous a certainement pas échappé.

Ce sont surtout les conséquences de ces faits -vous en savez plus que moi -qui doivent attirer toute notre attention puisqu'elles ne répondent nullement aux désirs de ceux auxquels les bons rapports entre les deux peuples tiennent au coeur. Je ne mentionnerai que l'attitude de la presse de la péninsule qui n'a que trop souvent rendu vains les efforts de mes compatriotes qui désirent rendre meilleurs les rapports entre la Yougoslavie et l'Italie. C'est avec regret que nous constatons cette campagne qui croit de son devoir de précher la fin de la Yougoslavie et de dénigrer tout ce qui est yougoslave. Je suis convaincu que vous étes le premier à désapprouver cette attitude. Gràce à votre séjour à Belgrade et gràce au poste que vous occupez actuellement, vous étes le plus quaHfié pour constater combien cette apprèciation de la situation intérieure de ma patrie est erronée et peu conforme à la réalité. Il me parait que c'est dans cette manière de concevoir les affaires intérieures yougoslaves qu'il faut voir la source des malentendus actuels. Et si par hasard (et par hypothèse) les prétentions de votre presse avaient quelque fondement, votre sens politique aigu et les soins que vous apportez aux intéréts de votre patrie, non pas ceux d'aujourd'hui, mais bien ceux de l'avenir, peut-ètre à ceux de demain, vous dicteraient une attitude tout à fait opposée de celle que votre presse, pour ne parler que de la presse, a pris en ce moment.

Vous ne me demanderez point de prèciser mon idée. Il suffit de vous rappeler notre conversation sur l'identité fondamentale et impérissable des intérets non seulement économiques mais surtout politiques italo-yougoslaves qui se

sont si heureusement manifestées devant le péril commun durant la deuxième décade de ce siècle. Il se peut qu'aujourd'hui nous soyons à la veme de temps semblables, où cette identité d'intérèts aura à subir une nouvelle épreuve. Pour ne pas faire le jeu des autres ne jetons pas l'oubli sur cette vérité évidente.

Je ne crois pas qu'il soit nécessaire de vous assurer, cher ami, que c'est avec plaisir que j'attends vos nouvelles, votre lettre et en mème temps des indications pratiquement réa1isables sur la façon de nous approcher du but commun dont nous avons souvent parlé.

Vos fonctions actuelles vous donnent heureusement la possibilité de m'en parler en pleine connaissance de cause ce qui donnera autant plus de poids à vos paroles.

450

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE AD ANKARA, LOJACONO

T. PER CORRIERE 5008 P.G. Roma, 22 aprile 1933, ore 12.

Riservato alla persona e da distruggere a ricevimento

Ci consta in modo sicuro e certo che Titulescu ha in questi ultimi giorni comunicato costà sua intenzione visitare Ankara. Governo turco ha accettato con molta soddisfazione facendo sapere al Governo romeno [che se non è] contro la revisione è tuttavia ostile al metodo previsto dal patto a quattro e che si sente solidale con la Piccola Intesa e la Polonia. Secondo Tewfik Ruschdi bey la situazione creata dal patto sarà presto assai favorevole in complesso ad un riavvicinamento fra Piccola Intesa e Russia e servirà poi in modo particolare a rendere normali le relazioni fra Romania e Russia.

Inutile richiamare l'attenzione di V. E. sull'interesse di tale informazione che ripeto è sicura e certa. Sarà gradito che ella con tutta la cautela del caso segua l'azione di codesto Governo, tenendo appunto presenti i propositi e gli apprezzamenti da questo manifestati.

Mi riservo ulteriori comunicazioni.

451

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1619/229 R. Addis Abeba, 22 aprile 1933, ore 17 (per. ore 19,30 del 23).

Sono stato ricevuto dall'Imperatore che mi ha intrattenuto oltre un'ora. Invio per corriere (l) dettagli !imitandomi telegrafare breve riassunto argomenti trattati.

Nel colloquio ho tenuto discorso generale sulle relazioni fra due paesi e sulla mia opera ,intralciata ora da ripetuti incidenti ed ho domandato e risposto secondo le direttive dell'E. V.:

1°) Incidenti Harrar (l): mi ha assicurato sarà trovata soluzione soddisfacente;

2°) Incidenti sul Belesa ed in Ogaden: ho parlato specialmente della preoccupante situazione di anarchia ai confini della Somalia e dell'atteggiamento del fitaurari Mezlechià. Mi ha detto che deplorava egli stesso incidente, dovuto sopratutto, secondo Imperatore, alla natura infida ed irrequieta delle popolazioni somale. Ripetutogli comunicazione di cui ai telegrammi di V. E. 108 e 109 (2), già fatta al ministro affari esteri (miei telegrammi 204 e 205) (3) mi ha dato assicurazione che anche da parte suo Governo saranno prese misure atte a pacificare animi. Ha fra l'altro dichiarato che per evitare ripetersi incidente, sarebbe utile accordarsi per reciproca consegna fuorusciti pericolosi.

Mi ha a lungo parlato della razzia di Olol Dinle e delle gravi perdite che abissini vi hanno subite. Ha aggiunto, insistendovi parecchie volte, che mezzo migliore per porre stabile rimedio all'attuale stato di cose, sarebbe quello di venire alla delimitazione dei [confini] e rinnovava al Governo italiano proposta già fatta in passato. Non ho risposto direttamente, !imitandomi a dire, in generale riportandomi a tutte le varie questioni trattate, che avrei riferito al mio Governo la conversazione e le buone disposizioni mostrate da Sua Maestà.

Il presente telegramma continua col numero successivo.

(l) R. 395/140, pari data, non pubblicato.

452

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1625/230 R. Addis Abeba, 22 aprile 1933, ore 17 (per. ore 21,30 del 2 3). Seguito precedente telegramma (4).

3°) Parlandogli della necessità di dare un contenuto concreto al trattato di amicizia e di intensificare per conseguenza i rapporti economici col migliorare e moltiplicare le comunicazioni fra l'Etiopia e la nostra colonia, ho colto l'occasione per rettificare ancora una volta sue affermazioni circa Assab Dessiè esprimendomi nel senso del telegramma di V. E. 103 (5), e gli ho confermato nostro punto di vista circa strade di accesso al lago Tzana (telegramma di

V. E. n. 114) (6).

(t. 849/114 R. del 4 aprile).

Mi ha risposto essere anche nelle intenzioni del Governo etiopico di intensificare relazioni commerciali con tutti i paesi finitimi ma segnatamente con l'Italia a cui l'Etiopia è legata dal trattato di amicizia ed è profondamente grata per averle concesso speciali facilitazioni nel porto di Assab; ha evitato rispondere per la strada Setit, mentre per l'Assab Dessiè mi ha detto essere pronto a riprendere, quando il R. Governo vorrà, conversazioni per la costruzione della strada, e mi metterà pertanto in contatto col ministro dei lavori pubblici.

Mi ha citato gli sforzi del suo Governo per migliorare rete stradale: anche nell'Ogaden e quindi verso la Somalia. Egli, che tanto si interessò al viaggio del compianto duca degli Abruzzi, ha già fatto costruire una strada che può portare in tre giorni da Harrar allo Uebi Scebeli.

Mi ha a più riprese espresso la sua soddisfazione per le disposizioni amichevoli del R. Governo assicurandomi della intenzione del Governo etiopico adoperarsi smentire le voci allarmistiche sparse, e segnalate ora imparzialmente ad ... (l) dal Governo della Somalia, mi ha detto che le malignità non avevano attecchito: hanno durato il tempo che meritavano e nessuno pensa più nemmeno lontanamente a tali fandonie.

Comunicato anche a governatore dell'Eritrea e governatore della Somalia.

Il presente telegramma continua (2).

(l) Si trattava di violenze delle autorità di polizia di Harrar contro somall sudditi italiani

(2) -T. 623/108 R. e t. 621/109 R. dell'8 aprile, non pubbllcati. (3) -T. 1462/204 R. e t. 1459/205 R. dell'11 aprile, non pubblicati. (4) -Cfr. n. 451. (5) -T. 3330/103 P.R. del 4 aprile, non pubbilcato. (6) -T. 3685/114 P.R. del 12 aprile, non pubblicato, col quale Suvich informava VInci del passo fatto a Londra (cfr. n. 416).
453

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1688/290 R. Berlino, 22 aprile 1933 (per. il 27).

Ambasciatore Nadolny è venuto stamane ·all'ambasciata per accomiatarsi da me perché parte questa sera per Ginevra. Mi disse di avere appreso che domani vi giungerà pure il marchese Soragna mentre S. E. il barone Aloisi vi si recherà più tardi.

Formulai i migliori voti perché il lavoro delle delegazioni italiana e tedesca proseguisse come sinora in perfetta ed efficace collaborazione.

Nadolny non è certo ottimista. Egli vede scuro per vari motivi: in primo luogo per la sorda opposizione della Francia e dell'Inghilterra a che la Germania riarmi; in secondo luogo perché teme che i vari colloqui politico-economici di Washington e la stessa conferenza economica di Londra possano accrescere anziché diminuire le divergenze di vedute fra i vari Stati.

Si è mostrato pure preoccupato per i continui incidenti a cui sono esposti i tedeschi in Polonia.

Non mi celò infine che la situazione estera della Germania si è aggravata sensibHmente ·in quest'ultimo tempo a causa dell'infausta politica anti-semita fatta dal Governo nazionalista. Egli era certo che a Ginevra vi sarebbe stata una ripercussione del malumore esistente nel mondo contro il Governo tedesco.

Nadolny mi parlò poi del patto a quattro, dicendo che, a suo avviso, la revisione dei trattati non ne costituiva il punto più interessante giacché questa non poteva essere di attuazione imminente. Sarebbe bastato che il principio fosse ammesso magari convenendosi tacitamente di non parlarne per vari anni. Il punto più interessante era invece quello del disarmo o, per essere pm esatto, del diritto della Germania di riarmare qualora gli altri non disarmassero.

A questo proposito Nadolny espresse il timore che anche il progettato patto a quattro avesse potuto esercitare un'influenza non favorevole sulle discussioni del progetto britannico.

Osservai che non ne scorgevo la ragione. Il progetto di patto a quattro elaborato da V. E. prima che fosse presentato il progetto britannico di disarmo menzionava esplicitamente la linea di condotta che le 4 Potenze dovrebbero impegnarsi ad adottare in materia di disarmo nel caso in cui a Ginevra non si raggiunsero che risultati parziali. Da tale testo appariva bensì la scarsa fiducia che si nutriva in un risultato completo della conferenza del disarmo, ma non si poteva davvero sostenere che il patto proposto fosse di natura da ostacolare e tanto meno compromettere i lavori della conferenza suddetta. Esso mirava anzi -ed in ciò rendeva un segnalato servizio alla Germania -a garantire l'applicazione pratica del principio della parità di diritto qualunque fosse il risultato della conferenza del disarmo.

Nadolny dichiarò di essere perfettamente convinto che anche in materia di armamenti ci si potrà eventualmente intendere soltanto il giorno in cui ci si deciderà a discorrere dei vari problemi unicamente fra le quattro Grandi Potenze, senza l'intrusione degli Stati minori i quali, a Ginevra, servono alla Francia per esporre idee che non considera opportuno di avanzare essa stessa.

Dopo di che l'ambasciatore Nadolny, riprendendo uno dei temi già toccati meco tempo fa (vedasi mio rapporto n. 1622/752 del 17 corrente) (l) criticò la politica dell'Auswartiges Amt che aveva condotto al quasi completo isolamento della Germania. L'unico legame che esiste soggiunse il mio interlocutore è quello con Roma. Nessuno lo apprezzava più di lui, ma egli prendeva ad esempio l'Italia stessa la quale non si accontentava certo di mantenere buoni rapporti con la Germania e procurava invece di coltivarne con molti altri Paesi. Da quanto compresi, Nadolny deplorava soprattutto che la Germania non procurasse di essere in migliori termini con l'Inghilterra. Osservai pertanto che purtroppo, la Gran Bretagna nonostante un segno di resipiscenza, sembrava essere ricaduta sotto l'influenza della Francia, nel che Nadolny convenne.

Egli mi disse ancora che prima di venire da me era stato ad una riunione di giornalisti indetta per parlare della questione del disarmo ed aveva esposto le sue idee. Trasmetto a parte il resoconto datone dai giornali del pomeriggio

37 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XIII

di oggi. Alla fine della seduta un giornalista gli aveva chiesto: «E se non si otterrà nulla o ben poco a Ginevra che cosa intende fare la Germania: proclamare la propria libertà d'azione; uscire dalla Società delle Nazioni? » Egli se l'era cavata chiedendo al giornalista imprudente che cosa credeva che avrebbe risposto egli stesso se fosse stato al suo posto. Questi si era seduto fra l'ilarità di tutti i presenti.

Nadolny aveva voluto narrarmi l'episodio per dimostrarmi, da un lato, quanto fosse nervosa l'opinione pubblica tedesca in questa materia del disarmo e per indicare, dall'altro, i pericoli ai quali si può essere esposti dalla cosiddetta diplomazia pubblica.

Il mio interlocutore accennò quindi ai troppi focolari d'infezione esistenti nel mondo. Osservai dal mio lato che i metodi noti come « balcanici » prima della guerra erano ormai in uso più o meno in tutta l'Europa orientale dall'Egeo al mare del Nord, cosicché i pericoli erano andati aumentando a dismisura.

Nadolny dichiarò di essere convinto che due soli Stati potevano mettere ordine nell'Europa orientale: l'Italia e la Germania, agendo di comune accordo ed in perfetta intesa. Me lo aveva già detto e me lo ripeteva, ma non aveva fiducia negli uomini che dirigevano attualmente la politica estera tedesca e riteneva che essi non fossero all'altezza del loro compito.

Nell'accomiatarsi Nadolny mi ripetè che avrebbe vivo desiderio di recarsi a Roma sperando di poter essere ricevuto da V. E. Ne aveva parlato a von Biilow che si era riservato d'intrattenerne il barone von Neurath. Questi aveva risposto che vi si erano recati or ora von Papen e Goering e che era proprio superfluo che ci andasse pure lui. Egli pensava però che la cosa poteva essere fattibile fra qualche mese, Contava infatti che la conferenza del disarmo si sarebbe prolungata per altri due o tre mesi almeno.

(l) -Gruppo lndecifrato. (2) -Cfr. n. 460.

(l) Cfr. n. 422.

454

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

TELESPR. R. 212002/70. Roma, 22 aprile 1933.

Suo telegramma posta n. 2809/551 del 25 marzo u. s. (1).

Concordo con la S.V. nel considerare la tendenza filo-austriaca, enunciata nelle dichiarazioni programmatiche fatte a Budapest dal conte Giuseppe Karolyi il 23 marzo scorso, come rispondente ai nostri interessi e ritengo utile che il movimento legittimista costi sia seguito con attenzione in questa fase di rinnovata attività. Considerato poi che il punto di vista del Governo ungherese e di codesti circoli politici influenti non ha subito alcuna modificazione in proposito, condivido l'opinone espressa dalla S. V. che contatti cui Ella accenna siano mantenuti con molta cautela e cioè attraverso interposta persona -che non abbia alcuna carica o posizione ufficiale -per non urtare minimamente possibili suscettibilità di codesto Governo.

(l) Cfr. n. 293.

455

PATTO POLITICO DI INTESA E DI COLLABORAZIONE FRA LE QUATTRO POTENZE OCCIDENTALI (l)

Roma, 22 aprtle 1933.

L'Allemagne, la France, la Grande-Bretagne, l'Italie, conscientes des responsabilités particulières que leur impose leur qualité de membres permanents du Conseil de la Société des Nations à l'égard de ,la Société elle meme et de ses membres et de celles qui résultent de leur signature commune des accords de Locarno,

convaincues que l'état de malaise qui règne dans le monde ne peut etre dissipé que par un renforcement de leur solidarité susceptible d'affirmer en Europe la confiance dans la paix,

fidèles aux engagements qu'elles ont pris par le pacte de la S.d.N., les traités de Locarno et le pacte Briand-Kellogg, se référant à la déclaration de non recours à la force dont le principe a été adopté le 2 mars dernier par la Commission politique de la Conférence du désarmement,

soucieuses de donner leur pleine efficacité à toutes les dispositions du pacte de la Société des Nations, respectueuses des droìts de chaque Etat dont il ne saurait etre disposé en dehors de l'ìntéressé, sont convenues des dispositions suivantes:

Art. l.

Les Hautes Parties contractantes se concerteront sur toutes Ies questions intéressant le maintien de la paix et s'engagent de pratiquer entre elles et vis-à-vis des tierces puissances, dans le cadre et d'après les principes du pacte de la S.d.N., une politique effective de collaboration.

Art. 2.

Les quatres Puissances confirment que les obligations du Covenant exigent un respect scrupuleux de toutes les obligations des Traités comme moyen d'assurer la paix et la sécurité et elles reconnaissent aussi la possibilité de la révision des Traités de paix dans des conditions qui pourraient conduire à un conflit entre les Nations. En vue de l'application éventuelle en Europe des articles 10, 16 et 19 du Pacte, elles décident d'examiner entre elles et sous réserve de décisions qui ne peuvent etre prises que par les organes réguliers de la S.d.N., toute proposition tendant à donner leur pleine efficacité aux articles sus-mentionnés.

Art. 3.

Les Hautes Parties contractantes s'engagent à collaborer entre elles ainsi qu'avec les autres puissances pour parvenir, le plus rapidement possible, à une

Convention assurant une réduction substantielle et une limitation des armements, avec des dispositions pour sa révision ultérieure en vue d'une réduction nouvelle.

L'Allemagne de sa part s'engage à ne réaliser l'égalité de droits que par étapes et dans un délai qui résultera par des accords successifs. Les hautes Parties contractantes reconnaissent que les mèmes principes doivent s'appliquer pour ce qui concerne l'Autriche, la Hongrie, la Bulgarie.

Art. 4.

Les Hautes Parties contractantes affirment leur volonté de se concerter sur toutes questions d'intérèt commun en Europe notamment sur toutes questions concernant la restauration de son économie.

Art. 5.

Le présent accord est conclu pour une durée de 10 années à compter de l'échange des ratifications. Si, avant la fin de la huitième année, aucune des hautes Parties contractantes n'a notifié aux autres son intention d'y mettre fin, il sera considéré comme rénouvelé et restera en vigueur sans limitations, les Parties contractantes conservant alors la faculté d'y mettre fin par une dénonciation avec préavis de deux années.

Art. 6.

Le présent accord sera ratifié et les ratifications en seront échangées le plus tòt que faire se pourra. Il sera enregistré au Secrétariat de la Société des Nations, conformément aux dispositions du Pacte.

(l) Testo redatto da Aloisi e Buti sulla base di quello francese [cfr. n. 405, annesso dell'allegato] e delle osservazioni tedesche [cfr. n. 446]. Cfr. ALorsr, p. 113.

456

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA S. 3762/718. Budapest, 22 aprile 1933 (per. il 2 maggio).

Telespresso personale di V. E. n. 2562 del 20 corrente (1).

Mi onoro qui di seguito riassumere a V. E. la conversazione che, due ore dopo l'arrivo del corriere, ho avuto stasera in Legazione con questo Presidente del Consiglio e della quale ho già comunicato la conclusione con il mio telegramma n. 54 (2).

Mentre gli veniva letta la parte del telespresso in riferimento a ciò destinata, e prima che gliela illustrassi, come fatto poi, nel modo prescrittomi, S. E. Gombos ha osservato quanto segue:

«La tattica di Goering è chiara -parla della convenienza che i Nazi d'Austria andando al Governo, siano appogggiati da un gruppo parlamentare,

perchè si ripromette un loro rafforzamento dalle elezioni, che della costituzione del gruppo stesso sono il presupposto. Trovo molto opportuno l'argomento appostagli, che le elezioni farebbero risorgere la propaganda social-democratica.

Quanto Dollfuss dice della attuale Stimmung a Vienna è vero; però, a mio avviso, nel senso che tale Stimmung è favorevole alla sua persona, ma non al partito sul quale, a torto, quasi esclusivamente egli si apoggia -i cristianosociali sono morituri.

Se i tedeschi ritengono veramente, come Dollfuss ha detto, che la questione dell' Anschluss rappresenti il punto di minore resistenza per un loro successo di politica estera, si sbagliano di grosso.

Mi pare del resto che la loro politica estera in genere la sappiano fare oggi meno che mai. A differenza di Dolllfuss e Starhemberg, ed anche dei cristianosociali austriaci che sono venuti a visitarmi quest"oggi -i quali tutti ritengono che Hitler non rimarrà al governo più di sei mesi -io sono del parere che egli assai probabilmente durerà, e molto; ciò non toglie che io consideri errato quanto i tedeschi stanno attualmente facendo e che tende praticamente a inimicare loro tutto il mondo».

A lettura ultimata S. E. Gombos mi ha dichiarato -come ho già avuto l'onore di telegrafare -che concordava pienamente con il pensiero dell'E. V., e che Le era vivamente grato per il Suo fiducioso e costante interessamento, di cui aveva avuto oggi nuova prova.

Avendogli io .infine chiesto se gli erano giunte le ulteriori notizie promessemi circa quanto aveva formato oggetto della conversazione Nelky-Preziosi (mio teleposta n. 686 del 19 aprile (1), incrociatosi con il telespresso di V. E. n. 2562 di avantLer,i, e quale era oggi la sua opinione sulla situazione in genere a Vienna, il generale mi ha risposto: «Ho parlato ieri con Nelky; ritengo sia stato in parte frainteso da Preziosi; concordo tuttavia assolutamente con lui nel giudicare la situazione in Austria grave ed il pericolo nazista molto serio per il fatto che né Dollfuss né le Heimwehren, spiegano ancora sufficiente attività.

Non sono pessimista; considero però assolutamente necessario siano colà seguite e messe a effetto subito le direttive segnate dal Duce».

(l) -Non rinvenuto. (2) -Con t. 1602/54 R. del 23 aprile, ore 2,50, non pubblicato, Colonna aveva riferito avergli dichiarato Gombos di concordare pienamente con il pensiero di Mussolin!.
457

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. RR. 1678/895. Vienna, 22 aprile 1933.

Telespresso riservato personale di V. E. n. 2553 del 20 corrente (2).

Le dichiarazioni che il Cancelliere Dollfuss ha fatto personalmente a V. E. ed a S. E. l'On. Suvich, circa il suo programma politico e l'attuale situazione interna austriaca, corrispondono esattamente, e quasi con le stesse parole, a quelle che egli è andato facendomi negli ultimi due mesi.

(l} Non rinvt:nuto.

Tale circostanza comprova dunque la coerenza e la determinazione di principio del signor Dollfuss; e dico «di principio» giacché nella sua politica pe.rmangono sempre quelle manchevo.lezze d'applicazione che ho g.ià da tempo e replicatamente segnalate a V. E. come pericolose debolezze dell'attuale situazione.

La maggiore di queste debolezze .resta quella della «relatività» c001 la quale il Governo federale applica ed attua, nei rispetti della socialdemocrazia, le sue pur numerose e rigide ordinanze.

Tutti gli avvertimenti dati al signor Dollfuss in questo campo sono rimasti finora sterili. Essi sono valsi, tutt'al più, a provocare nuove drastiche «Notverordnungem; ma il criterio usato nell'applicazione di esse è rimasto del tutto invariato, tanto che mi è possibile oggi, a due mesi di distanza, riassumere a V. E. l'attuale situazione con le stesse parole adoperate nel mio rapporto n. 576 del 14 marzo scorso (l}.

Le ordinanze di Dollfuss, considerandole alla lettera e nel loro drastico tenore, trovano corrispondenze con le dichiarate intenzioni. Ma vi è sempre nell'applicazione un'evidente intenzione transattiva. Sono queste debolezze «di fatto » che cominciano ad inficiare le recise asserzioni «di principio», dando all'insieme delle cose un senso di «relatività» che potrebbe riuscire assai più dannosa di uno stesso tacito o palese compromesso del Governo con questo o quell'oppositore.

Ne é una riprova quanto accade per la socialdemocrazia austriaca. Questa è ormai in un vicolo cieco, ed anzi in uno stato tale che le si potrebbe inferire, senza timori di gravi ripercussioni, mortali colpi. Tuttavia si direbbe che questo stato di cose, anziché incoraggiare il Cancelliere, lo determini piuttosto a «dosare » la sua azione, in guisa da evitare, od almeno da solo procrastinare, il disfacimento della socialdemocrazia e la conseguente sua dislocazione in altri organismi politici.

A quale concetto può obbedire il Cancelliere con questa sua tattica, che è poi esiziale per la vita e per lo sviluppo delle Heimwehren, che pur gli danno il loro appoggio? Vuole egli non disturbare troppo la Francia, la Jugoslavia, la Cecoslovacchia, che sempre si basano sul socialismo austriaco; o vuoi egli invece serbare nel paese un'entità socialdemocratica al recondito scopo di usarne -per ogni eventualità del domani -contro il nazismo, e ciò anche nella tema che ogni voto sottratto oggi ai socialisti andrebbe a rafforzare l'ostile nazismo?

Quale che delle due ipotesi fosse per essere la preponderante, resta sempre il fatto che, nei rispetti di entrambe, le « Notverordungen » sarebbero destinate più a prevenire analoghe iniziative da parte dei nazi, e quindi a svalutare tempestivamente il contenuto del programma politico di questi ultimi, che a far prova di una decisa volontà di trasformare l'organizzazione politica del paese.

E poiché è da escludere che ad un uomo così avveduto ed intelligente quale Dollfuss possa sfuggire il problematico e sempre insignificante valore elettorale dell'espediente, dovrebbe piuttosto pensarsi che il Cancelliere si proponga forse battersi in oggi, come da una prima trincea, per limitare il più possibile le fortune elettorali dei nazisti, salvo a lasciare ad altri uomini del suo partito, in caso d'insuccesso, la possibilità di battersi da una seconda trincea, contro

lo stesso nemico, ma con l'assistenza di forze socialdemocratiche risparmiate «nel

fatto» dal suo primo tentativo politico.

Intanto, di fronte alla su descritta situazione, anche il provvedimento col

quale il Governo federale ha ieri dichiarato illegali gli scioperi politici, e quelli

economici che potrebbero ripercuotersi sui servizi di pubblica utilità, ha per me

un'importanza relativa. Analogamente interpreto il divieto del corteo socialista

del 1° maggio, divieto che sempre suppongo aperto a taciti compromessi, e che

ad ogni modo ha avuto già per contrappeso la permessa riunione dell'ultimo

congresso socialista.

Come già l'ho detto altra volta a V. E., il fatto solo che questa R. legazione prospetti assiduamente le osservazioni di cui è parola, vuoi fornire all'E. V. una prova della sua vigilanza e del suo impegno nel tentare di correggere le manchevolezze del signor Dollfuss nello svolgimento di quella politica che, nella concezione e nei termini in cui viene da lui posta, appare pur sempre teoricamente come la più logica e irreprensibile.

(2) Con tale telespresso erano stati inviati a Preziosi i riassunti dei colloqui avuti cla Dollfuss a Roma. Cfr. n. 411; non si sono rinvenuti altri verbali di colloqui.

(l) Cfr. n. 204.

458

IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE PERMANENTE DEI MANDATI DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI, THEODOLI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH (1)

L. P. Roma, 22 aprile 1933.

Come ti ho detto a voce, ieri è venuto a trovarmi l'Ambasciatore di Francia il quale mi ha espresso il desiderio di vederti: scopo della sua visita è quello di raccomandare a S. E. il Capo che sia invitato il nostro ministro Jung a prendere accordi con Herriot per intendersi sulla linea comune degli interessi francoitaliani a Washington.

De Jouvenel desidera che Jung fraternizzi con Herriot onde, in ogni modo, trovi la via di addomesticare l'ex Presidente del Consigllio. Jouvenel mi ha spiegato tutte le ragioni e mi ha detto che non domanda a Palazzo Chigi di dirgli tutta la verità, ma desidera prendere contatti in modo tale da poter rimettere l'opinione pubblica francese sulla via utile agli scopi desiderati. Come tu sai, molti giornali francesi -non tanto per antipatia o odio per l'Italia, quanto per ragioni di politica interna, o di gelosia personale verso di lui lanciano delle notizie che possono influenzare le nostre relazioni e l'opinione pubblica francese.

Egli mi ha accennato allo scambio di idee avuto sia con Aloisi, sia con te circa la Conferenza del Disarmo. Egli ritiene indispensabile arrivare a una conclusione qualsiasi prima di giungere alla firma del « Patto a Quattro ». Quali modifiche vi apporteranno i tedeschi? Egli ha ammirazione per la pazienza di Mussolini che, novella Penelope, deve stare sempre a rimettere insieme quelle fila che tedeschi o inglesi disfano quando i francesi non strappano. Per Jouvenel l'ideale sarebbe fare incontrare Hitler con Daladier a Roma «en jetant sur le Tibre le pont que reliera Paris à Berlin. Le moment est favorable, camme vous aviez raison de vous méfier de la perfide Albion. Comment prévoir que Simon aurait pu mentir camme il a fait à la Chambre des Communes? ».

Jouvenel si preoccupa molto della visita di Daladier a Mussolini non perchè non la creda possibile, anzi la ritiene certa: ma, data la posizione eminente nella massoneria francese dell'attuale Capo del suo Governo, ritiene una visita al Pontefice irta di difficoltà e, d'altra parte, non si concepirebbe una venuta del Capo del Governo francese a Roma senza che egli metta piede in Vaticano. Io gli ho ricordato che, pur non essendo io massone, so che il ministro Paganon, oggi a Firenze, ha una tale situazione e una tale influenza sulle Logge Francesi che Jouvenel potrebbe servirsene per appianare questa difficoltà.

Facendo seguito a quanto mi ha detto Jouvenel della lealtà del Governo inglese posso divertirti, caro Suvich, riferendoti la conversazione avuta a casa mia martedì scorso con Sir Ronald Graham il quale, avendo notato una certa freddezza od indifferenza di Aloisi verso di lui, mi prese da parte per cercare di spiegarmi il disagio nel quale egli sì trova dopo le dichiarazioni di giovedì 13 fatte dal suo Ministro alla Camera dei Comuni.

Sir Ronald si dilungò per spiegarmi il cambiamento avvenuto nell'opinione pubblica inglese dopo gli errori commessi dal Governo tedesco in fatto di politica interna che hanno culminato nella persecuzione degli ebrei. Graham mi ha accennato alla difficoltà di far digerire ai suoi compatrioti in questo momento anche la sola idea di una possibilità dì revisione dei Trattati a beneficio di un popolo che nulla ha imparato dalla guerra e che, se in queste condizioni di inferiorità economica, finanziaria e militare osa fare quello che sta facendo il Governo di Hitler, figurarsi cosa preparerà, o sarà capace di fare, il giorno che si sentirà più forte internazionalmente.

Data la mia vecchia amicizia con Graham mi sono permesso di dirgli che capivo l'indignazione di certi ambienti finanziari della City, mi rendevo conto della manovra dell'opposizione o di quei deputati che pur facendo parte della maggioranza di MacDonald sono ipercritici della politica di Simon; ma non potevo perdonare ad un successore di Salisbury, o di Grey, di asserire spudoratamente fatti contrari a quanto mi risultava essere la verità; e lo pregavo di perdonare la mia brutale sincerità, sicuro però che egli mi scuserebbe dato che l'attuale Ministro non è un inglese ma ;;n ebreo.

Graham è scivolato da quel soggetto spinoso per cercare di sapere da me quanto si era concretato a Roma con Dollfuss. Pur essendo io al corrente di molte cose interessanti l'Anschluss, mi sono limitato a dirgli che loro, come la Francia, potevano essere riconoscenti a Mussolini. Dollfuss aveva fatto buona impressione per la sua intelligenza, cultura, energia e decisione, e che il Duce aveva manifestato il suo punto di vista nel brindisi all'Excelsior sull'avvenire della Repubblica austriaca.

Sarà interessante per il Duce sapere che alla colazione Franz von Papen parlava di politica interna austriaca preoccupandosi della rigida mentalità del Presidente della Repubblica austriaca e del pericolo di resistenza dei socialisti. La sera stessa, al pranzo dell'Ambasciata di Germania presso la Santa Sede, rimasi mezz'ora da solo col vice Cancelliere ed il sostituto della Segreteria di Stato.

Alle Capannelle von Papen mi ha spiegato la necessità per il «Centro Cattolico» di riorganizzarsi in Germania e di mantenergli quella funzione vitale che aveva avuto da Bismarck in poi. La sera, con monsignor Giuseppe Pizzardo fummo d'accordo nel constatare che Hitler ed il suo Governo, lottando contro il comunismo, rendevano politicamente un servizio non solo all'Europa, e che il partito di Hitler era formato da malcontenti dall'estrema destra all'estrema sinistra. Papen e i suoi amici dovrebbero ricostituire e rafforzare quel partito medio, con larga base cattolica, che dovrebbe esercitare una funzione moderatrice.

Mentre scrivo questi appunti, l'Ambasciatore di Francia ti dirà quello che mi aveva incaricato ieri di farti presente: egli ha saputo da Aloisi che la risposta italiana al memorandum francese sarà, se non è, già pronta. Siccome egli si preoccupa che questa sia ben accetta al Quai d'Orsay, mi ha detto di permettersi di domandarti se non credi di far leggere il progetto di risposta a de Jouvenel prima di consegnarla all'Ambasciatore di Francia, perchè, dice de Jouvenel, «come io riuscii a modificare la salsa che fece riavvicinare il memorandum francese alle idee di Roma, potrei così forse aiutare Palazzo Chigi a preparare la risposta che dovrò poi difendere al Quai d'Orsay ».

Non mi voglio dilungare qui su tutto quello che mi ha detto de Jouvenel sugli uomini politici francesi ed esteri che affluiscono in questo momento a Roma, i quali tutti si mostrano preoccupati dei grandi problemi economici che possono aggravarsi da un momento all'altro se si acuisse la lotta tra il dollaro e la sterlina. Egli è molto soddisfatto del modo come si trattano gli affari a Roma e specialmente della benevolenza del Duce; si augura che, prima della fine della sua missione, riesca a mettere le trattative italo-francesi su di un binario tale che il suo successore, a Roma, e lui, a Parigi, possano portarle in porto. Gli ho domandato se egli prevede chi sarà il suo successore. Egli francamente mi ha dichiarato che l'uomo politicamente più adatto sarebbe de Chambrun. Dice Jouvenel: "è amico mio, siamo in ottime relazioni, egli seguirà a Roma le direttive che io gli faciliterò da Parigi".

De Jouvenel mi ha confermato la sua speranza di riuscire ad attutire, prima, ed eliminare, poi, i punti di frizione esistenti sulle Alpi. Gli è di grande incoraggiamento il fatto di conoscere oggi le idee e H modo di lavomre del Duce, e resta ottimista circa la riuscita dell'iniziativa di Mussolini nel quadro della quale -come del resto lui stesso gli ha accennato -dovranno trovare una soluzione tutti quei problemi che sono anche più specificatamente italo-francesi.

Caro Suvich, siccome mi consta che il Duce non vuole mercanteggiare il Patto a quattro, mi sono sempre sottratto a entrare nei dettagli delle questioni italo-francesi non solo con Jouvenel, ma anche con il conte Ljautey che è venuto a Roma con una lettera dello zio.

Mi dirai tu se e quando sia il caso per me di cambiare.

(l) Ed. in SUVICH, pp. 300-303.

459

IL MINISTRO A TIRANA, KOCH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1607/89-90 R. Tirana, 23 aprile 1933, ore 1,45 (per. ore 5,30).

Il Re ha sanzionato oggi talune note modifiche apportate allo Statuto del Regno con le quali si dichiarano soppresse le scuole private e quelle religiose.

Egli ha contemporaneamente sanzionato la legge che fa divieto agli albanesi di frequentare scuole straniere. Con ciò vengono tuttavia mantenute le scuole straniere ma solo per uso degli stranieri.

Zog dunque ha tenuto a confermare atteggiamento preso, pur sapendo che esso era stato considerato da Roma come poco amichevole e sebbene io avessi tentato di !asciargli comprendere la convenienza di soprassedere alla sanzione.

È anche vero che essendo stato egli stesso a imporre alla Camera la presentazione della nota mozione, gli sarebbe stato difficile poi di respingerla senza dare prova di una vera capitolazione.

Converrà con tutta calma a questa legazione dimostrare che non si deflette da fermo atteggiamento assunto.

Sarà forse utile che delegati S.V.E.A. che non vanno seguendo trattative in conformità del programma tracciato da ultimo col telegramma n. 56 (l) e non sono ancora riusciti a fare approvare l'iscrizione in bilancio dell'annualità in corso, sospendano negoziati per un certo tempo (forse un mese) per lasciare ai delegati albanesi possibilità di rivenire sul loro atteggiamento mentre potremo fare intanto comprendere a questo Governo che esso non potrà sperare su conciliante interessamento di Roma se non darà assicurazione che applicazione delle disposizioni emanate per istituti religiosi verrà rinviata sine die e cioè senza implicare naturalmente per noi impegno alcuno circa risultato delle trattative stesse ove fossero riprese. Si potrà anche far presente che il mutato atteggiamento di questo Governo in materia di collaborazione culturale è di natura da fare riesaminare le quote del prestito per quanto riguarda la parte che nel bilancio preventivo, di prossima discussione dovrà essere assegnata alla pubblica istruzione.

Giudichi poi V. E. se non sia giunto il momento di decidere il richiamo del generale Pariani e di ridurre la nostra organizzazione militare ciò che dovrebbe attirare la seria attenzione di questo Sovrano che ci tiene in modo particolarissimo.

Occorrerà agire tempestivamente perché Re Zog cercherà di addivenire rapidamente al fatto compiuto passando senz'altro a decretare la chiusura delle scuole religiose anche nell'idea di mettere fine più facilmente all'effervescenza che va aumentando a Scutari.

Il ministro dell'Istruzione si è recato personalmente in quella città per esaminare le condizioni in cui si trova quel corpo insegnante di Stato e la possibilità di quelle scuole pubbliche. Dopo di lui è partito per Scutari il Ministro dell'Interno per rendersi personalmente conto della situazione e ha disposto per l'invio colà di un reparto di gendarmeria.

Resta anche da esaminare quale linea di condotta converrà prendere nei riguardi delle popolazioni cattoliche che fanno vivo affidamento su nostro appoggio e presso cui dovrà mantenersi intatto quel privilegio di cui Governo Fascista ha sempre goduto.

Mi sarà gradito anche conoscere il pensiero di V. E.

(l) Cfr. n. 441.

460

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1639/231 R. Addis Abeba, 23 aprile 1933, ore 15 (per. ore 17, 15 del 24).

Il presente telegramma fa seguito al precedente (1).

Alla fine della lunga conversazione Imperatore si è espresso in termini di caldissima ammirazione per opera chiaroveggente e politica di pace dell'E. V. Mi ha quindi domandato informazioni e dettagli sul piano dell'E. V.: attenendomi alle direttive del telegramma di V. E. 451/C (2), ho lumeggiato concetti informatori della politica fascista, ascoltato col maggiore interesse dall'Imperatore che non mancava di ripetere suo entusiasmo per V. E. esprimendomi poi desiderio di avere ancora con me conversazioni sull'argomento.

Visto interesse vivissimo mostrato dall'Imperatore non solo alla politica estera dell'Italia ma anche alla persona della E. V., sarebbe mia intenzione, ove V. E. non avesse nulla in contrario, di fare io dono all'Imperatore di uno

o più volumi in francese (lingua più accessibile al Sovrano) sulla politica estera dall'E. V., possibilmente una raccolta degli ultimi discorsi o qualunque altro libro V. E. vorrà ritenere più adatto; sarò .grato nel caso, se R. Ministexo vorrà spedirmeli opportunamente rilegati e ornati, data nota pomposità di questo popolo.

461

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1685/291 R. Berlino, 23 aprile 1933 (per. il 27).

Le voci a più riprese segnalate all'E. V. secondo le quali Hitler penserebbe a mutM"e la direzione della politica estera ,tedesca, sembrano essere confermate da recenti notizie fornitemi da buona fonte.

Le probabilità che il barone von Neurath lasci la direzione dell'Auswartiges Amt sono aumentate. A Berlino se ne parla come di cosa da verificarsi a scadenza più o meno lunga. Sembra che ormai si tratti soltanto di trovare il modo di allontanarlo con ogni riguardo e con soddisfazione personale. Oltre che ad un suo ritorno a Londra si sarebbe pensato per lui al posto di luogotenente nel Wurttemberg, suo paese di origine ed al quale l'attuale ministro degli affari esteri è molto affezionato. Un comunicato ufficioso odierno smentisce non la notizia dell'allontanamento del barone von Neurath dalla Wilhelmstrasse, ma quella della sua nomina a capo del Governo di Stoccarda.

Da persona intima del ministro degli affari esteri mi è stato detto ch'egli ha resistito sinora ed intende resistere finché potrà per rimanere al suo posto, considerando che un mutamento all'Auswartiges Amt potrebbe essere pericoloso in un momento delicato come questo. Egli si domanda però fino a quando potrà persistere in tale linea di condotta.

Per la sua successione oltre al nome di von Papen si fa ora anche quello dello stesso Hitler, il quale dimostrerebbe così di voler seguire in tutto l'esempio di V. E.

Non vi ha dubbio che questa soluzione sarebbe la migliore per quanto ci riguarda. La possibilità infatti di avere contatti frequenti col cancelliere, assai più frequenti di quelli che si possono avere quando, come accade attualmente, ogni domanda di udienza dev'essere inoltrata a mezzo dell'Auswartiges Amt con l'indicazione ancorché sommaria del soggetto della conversazione mi permetterebbe di rendere ancora più stretti i rapporti già felicemente esistenti fra noi.

Mi risulta che negli stessi circoli nazional-socialisti moderati le riforme da apportarsi all'Auswartiges Amt sono considerate con attenzione non disgiunta da una certa apprensione.

Si teme infatti che Hitler, qualora decidesse di assumere egli stesso quel Dicastero, non sappia opporsi all'ambizione di Rosenberg di diventare Segretario di Stato e si ritiene che ciò possa costituire un pericolo.

Rosenberg non nutrirebbe soverchie simpatie nel partito, che conta moltissimi adepti degli stati del sud, a causa del suo atteggiamento sprezzante verso molti camerati e delle sue idee anti-religiose, ed ultra nordiche. Egli giunge infatti in materia religiosa sino al punto di respingere Cristo, a cui rinfaccia la discendenza ebraica e di esaltare invece Odino, il dio germanico.

In politica estera è nota il suo atteggiamento costantemente ostile al trattato di Rapallo ed alla politica di amicizia fra la Germania e l'URSS. Né maggiori simpatie nutrirebbe nel fondo del suo animo per i popoli latini, da lui considerati fiacchi. Egli è un germanico nordico (è un trdesco baltico di Riga) convinto della superiorità della razza teutonica alta forte e bionda e guarda con ammirazione ai fratelli norvegesi e svedesi, veri depositari a suo giudizio delle virtù avite.

Con tali preconcetti e dato che non è oggidi certo possibile per la Germania di fare una buona politica appoggiandosi agli Stati scandinavi i quali hanno problemi di politica estera propri, limitati, e non desiderano essere coinvolti nelle gravi controversie del resto d'Europa, Rosenberg a lato di Hitler all'Auswartiges Amt, sarebbe lungi dal costituire un aiuto. Gli mancherebbe infatti anche la conoscenza tecnica dei problemi internazionali tanto più necessaria per il collaboratore di un uomo come Hitler che non è mai uscito dalla Germania e dall'Austria, che ebbe sinora ben pochi contatti con stranieri, che non conosce alcuna lingua estera e non poté quindi comprendere gli altri popoli nemmeno attraverso la loro letteratura originale.

D'altra parte nessuno degli attuali dirigenti del ministero degli affari esteri ha oggi il coraggio di chiamare a collaborarvi taluni buoni elementi nazionalsocialisti. E questi non fanno mistero di nutrire scarsa fiduca negli uomini che dirigono la politica estera tedesca.

Cosicché alla Wilhelmstrasse si è creato un ambiente di diffidenza e di sfiducia. Tutti sono convinti che si stanno maturando mutamenti forse radicali; ognuno spera però che i provvedimenti previsti non tocchino la propria persona e si sforza di lavorare in modo da allontanare da sé ogni responsabilità.

Il solo funzionario sinora revocato fu il console Schwarz, a Nuova York, aggregato a quel consolato generale di Germania, che, a quanto mi fu detto, è ebreo e nutriva idee filo-comuniste. Al console generale Schlesinger, capo dell'ufficio economico che trattava con l'URSS, la Polonia e gli Stati Baltici fu fatta una perquisizione infruttuosa in casa. Sua moglie, una signora ebreopolacca, fu arrestata per qualche ora ma poi rilasciata.

Il console generale Schlesinger presentò dopo ciò le sue dimissioni che saranno accolte. Lo conoscevo molto bene sino dai tempi in cui ero a Mosca, giacché ci veniva sovente e godeva della particolare personale fiducia dell'ambasciatore conte von Brockdorff-Rantzau che lo spinse avanti.

Mi è stato ora detto che furono soprattutto le origini del console generale Schlesinger le quali suscitarono sospetti contro di lui. Egli fu infatti membro di un «consiglio di soldati » alla fine della guerra; se ne ritrasse a tempo avendo subodorato il poco avvenire che simili organizzazioni bolsceviche avrebbero avuto in Germania, ma rimase un social-democratico convinto. Sarebbe già stata sufficiente l'appartenenza a questo partito politico per decidere la sua eliminazione. Si aggiunga a ciò che egli è anche ebreo e si comprenderà facilmente come abbia compreso di doversene andare via dall'Auswartiges Amt (1).

(l) -Cfr. n. 452. (2) -Cfr. n. 241.
462

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA S. 3770/719. Budapest, 23 aprile 1933 (per. il 2 maggio).

Mio telegramma di ieri n. 55 (2).

A seguito e completamento del telegramma citato, di cui ad ogni buon fine allego copia, mi onoro qui di seguito riferire all'E.V. quanto, circa l'argomento in oggetto, mi è risultato da una conversazione che ho avuto ieri con questo Presidente del Consiglio e dalle informazioni fatte opportunamente assumere in proposito in questo Ministero Affari Esteri ed altrove.

Il signor Jakoncig -che, come ho già riferito (mio Stefani n. 3740 del 22 corrente), è venuto in Ungheria in seguito ad invito del signor Fabinyi, Ministro del Commercio e delle Comunicazioni, per visitare gli impianti ed i

lavori qui fatti in materia di elettrificazione ferroviaria -sembra aver sopratutto approfittato dell'occasione per effettuare un confidenziale scambio di idee con S. E. Gombos e una manifestazione di amicizia austro-ungherese; la visita privata degli ex-ministri austriaci, capitanati dal signor Buresch, diretta ufficialmente ad incrementare il turismo ed il commercio tra due Paesi, appare aver avuto pure, in primo luogo, uno scopo analogo di dimostrazione filomagiara, ma in senso più apertamente anti-anschlussista e -attraverso la pubblicità data ai contatti presi con il similare partito cristiano ungherese, che è legittimista -anche vagamente favorevole ad un imprecisato ripristino dei secolari legami già esistenti tra i due Stati.

Nel confermare da parte mia -per quanto mi è dato di giudicare e di mia competenza -l'opinione espressa in proposito da S. E. GombOs e già telegrafata iersera all'E. V., mi preme però aggiungere subito una considerazione: quella che la visita in parola, sia o non sia vero che abbia avuto luogo senza previa intesa con il Governo ungherese, mi sembra giunta assolutamente a proposito per agevolare il gioco che questo da qualche giorno appare aver iniziato: di battere, cioè, un po' freddo a Berlino, sia per calmarne gli ardori annessionisti, sia, sopratutto, per ottenere una modifica o una eccezione alle misure, adottate colà in materia di importazione agraria e che sembrano portare un danno realmente grave all'economia dell'Ungheria e, per conseguenza, un pregiudizio abbastanza sensibile alla popolarità di questo Governo in paese.

Circa i colloqui, avuti dalle varie personalità austriache summenzionate con questo Presidente del Consiglio, mi risulta finora quanto segue:

Il signor Jakoncig avrebbe detto iersera a S. E. Gombos che a suo parere Dollfuss sta commettendo l'errore di tendere a rinforzare ad ogni costo il partito cristiano-sociale a detrimento delle Heimwehren; che molti gregari di queste accusano Starhemberg di non essersi reso conto di tale manovra ed essersi fatto giocare da Dollfuss; che anch'egli, Jakoncig, è per questo scontento di Starhemberg.

S. E. Gombos avrebbe da parte sua ripetuto al signor Jakoncig che a suo avviso occorreva assolutamente fosse iniziata subito in Austria una attività più intensa e decisa; che l'annacquamento -disposto da Vaugoin -con troppi elementi cristiano-sociali, della « Hilfspolizei », la quale doveva essere invece costituita esclusivamente dalle Heimwehren, appariva particolarmente pernicioso.

Ai cauti e vaghi accenni fattigli, pure ieri, in materia di cooperazione tra i due Paesi e circa una qualche eventuale, possibile restaurazione, dagli exministri austriaci, S. E. Gombos avrebbe risposto invece che teneva molto a rafforzare e sviluppare i rapporti di collaborazione e amicizia esistenti tra l'Austria e l'Ungheria; che non considerava l'ora affatto opportuna per sollevare la questione monarchica; e che un sovrano di ventun anni, quale il pretendente Otto, gli sembrava poco adatto a salire sul trono in questi momenti ed in questi paesi.

Per quanto concerneva la situazione interna in Austria, aveva ripetuto, infine, occorrere a suo parere che fossero colà riunite in un solo fascio ed in un unico partito tutte le forze nazionali.

(l) -Con t. per corriere 1813/319 R. del 1° maggio Cerruti riferì altre informazioni circa glisviluppi della politica Interna tedesca. In particolare comunicò, tra l'altro, che Neurath intendeva restare al suo posto per evitare scosse nella politica estera tedesca, che una delle persone più vicine a Hitler lo aveva implorato di intervenire per cercare di impedire la nomina di Rosenberg a ministro degli Esteri, e infine che si riteneva certa l'eliminazione, fra i funzionari dell'AuswUrtiges Amt, di Koepke e Meyer e probabile quella di Ritter. (2) -T. 1601/55 R. del 23 aprile, ore 0,25, non pubblicato: riferiva circa il viaggio a Budapest di Buresch, Heinl ed altre personalità austriache.
463

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A TIRANA, KOCH

T. RR.UU. 733/57 R. Roma, 24 aprile 1933, ore 20,30.

Comunichi al generale Pariani di prendere congedo dal Re Zog e di rientrare in Italia.

464

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO AD ATENE, DE ROSSI

T. 734/67 R. Roma, 24 aprile 1933, ore 24.

Pregherei riferire per norma questo ministero quale sia stato attuale questioni greco-bulgare anche in relazione a sua segnalazione del 29 marzo telegramma 98 (l) su ripresa trattative con Bulgaria. Sarebbe anche utile per nostro orientamento conoscere come e in quali forme nel pensiero di taluni circoli ellenici, giusta sua segnalazione, potrebbe realizzarsi tendenza ad un maggiore avvicinamento a Piccola Intesa.

I punti costanti ed essenziali della politica che ha condotto al patto con noi e, tramite nostro, con Turchia, sono stati timori e preoccupazioni complicazioni balcaniche e minaccia jugoslava, e a cui del resto si è anche richiamato codesto ministro esteri in conversazione di cui a suo telegramma 98. Tali timori e preoccupazioni dovrebbero tuttora sussistere (2).

465

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1657/57 R. Vienna, 24 aprile 1933 (per. il 26).

Il cancelliere ha parlato con grande compiacimento dei risultati del suo viaggio a Roma sia in una riunione del partito cristiano-sociale, che nel consiglio dei ministri avantieri.

Egli ne ha parlato anche in un suo discorso elettorale, tenuto ieri a Innsbruck, esprimendosi in termini analoghi a quelli già usati nelle dichiarazioni fatte in pubblico subito dopo il suo ritorno da Roma. Tuttavia, in questa occasione, si è diffuso sul concetto dell'indipendenza dell'Austria, dichiarando:

«Noi austriaci abbiamo avuto per secoli, nei riguardi di altri popoli, la missione di essere gli esponenti di civiltà, né mai abbiamo perduto le nostre caratteristiche nazionali.

Per più di 500 anni Vienna è stata il simbolo di tutto l'impero tedesco. Non dobbiamo essere impari ai nostri padri ed alla loro opera, dimenticando o diminuendo il nostro germanesimo. Io chiamo la nostra popolazione cristianotedesca, giovani e vecchi, sul fronte patriottico austriaco. Fedeli all'eredità dei nostri antenati ed alle loro bandiere, adempiremo anche nel'epoca attuale il nostro compito e speriamo di preparare in tale guisa ai nostri figli un'Austria migliore».

In tali ripetute e pubbliche dichiarazioni si ritrova, a mio avviso, il punto capitale dell'attuale momento politico austriaco. Difatti è questa la prima volta che personalità autorevoli di questo paese si sono nettamente pronunziate, -e financo in un comizio elettorale in Tirolo -per la conservazione dello Stato austriaco e della sua indipendenza.

(l) -T. via aerea 1283/98 R., non pubblicato. (2) -Per la risposta d! de Rossi cfr. n. 510.
466

COLLOQUIO TRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL PROFESSOR KRONER

APPUNTO. Roma, 24 aprile 1933.

È venuto da me il professar Kroner indirizzatomi dal dott. Kempner, membro tedesco del Comitato finanziario della Società delle Nazioni.

Il prof. Kroner, premesso che è di origine «non ariana», mi ha parlato della situazione disperata degli ebrei in Germania. Egli ritiene che il « boykott » sia definitivamente finito e crede anche che le banche giudaiche non abbiano nulla a temere perché i Nazi ne hanno bisogno. Questo lo dice anche con riguardo al dot. Kempner che ha per moglie una Mendelssohn Bartholdy, e che è comproprietario della stessa banca Mendelssohn.

Quello invece che è grave, secondo il dott Kroner, è la persecuzione contro le singole persone di origine non ariana.

I veri ebrei sono in Germania non più di 500.000. Sono molto numerosi però quelli di origine mista, fra cui anche molti della nobiltà germanica che sono imparentati con ricche famiglie giudaiche (anche un Principe Biilow). La persecuzione è fatta contro tutti quelli che abbiano anche uno degli ascendenti (fino al grado di nonno) di origine giudaica, e contro quelli che si siano ammogliati con persone di origine giudaica. Circa il 60% dei professori tedeschi sono in queste condizioni e quindi dovranno abbandonare l'insegnamento.

Il Kroner ritiene che si salverà essendo stato combattente. Sua figlia però non potendo esercitare la sua professione di maestra, deve abbandonare la Germania.

Uno dei motivi più gravi per cui le persone di origine non ariana sono costrette ad abbandonare è quello che i loro figli non possono frequentare le scuole. (Sono ammessi i ragazzi di origine non ariana in una piccola proporzione).

Il prof. Kroner ritiene che questa forma di persecuzione sia una pazzia che egli d'altronde spiega per tutte le disgrazie che hanno colpito la Germania dalla guerra in poi. Egli pensa che ì Nazi non abbiano né la preparazione né

le qualità intrinseche per poter giovare in questo momento alla Germania e che ne stanno anche peggiorando le sorti. Devono però, per giustificare di fronte al popolo la prevalenza che stanno acquistando in tutti i campi, ricorrere o a delle manifestazioni di pura esteriorità o a delLe ideologie e a dei miti come questo della purezza della razza.

Egli ritiene che l'ideatore di questa campagna sia Hitler stesso che ne parla da molti anni. Oggi egli forse sente la responsabilità politica di quanto succede, ma non può più tirarsi indietro perché è prigioniero delle proprie idee e dei propri «hanger ». Crede che chi spinga di più per l'intransigenza di questa campagna sia Goebbels.

Egli sa che S. E. Mussolini è intervenuto per raccomandare un temperamento in queste forme acute di antisemitismo. Spera che gli riuscirà.

Gli osservo che la campagna era già attenuata con la cessazione del boicottaggio e che d'altronde era da attendersi che in seguito la situazione fosse considerata con maggior calma. È stato un primo sfogo determinato dalla prevalenza che i non ariani, pur rappresentando una piccolissima proporzione nel complesso della popolazione, avevano assunto in molti campi della attività economica e culturale.

467

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. P. Londra, 24 aprile 1933.

*Ieri è venuto a trovarmi all'Ambasciata Sir Austen Chamberlain, * (l) tornato ieri a Londra dopo le vacanze pasquali, che costituiscono una specie di 20 giorni di assoluto letargo nella vita della capitale britannica.

Chamberlain era partito la sera stessa del suo discorso ai Comuni, e nello scambio consueto degli auguri pasquali, io gli avevo fatto cenno del mio desiderio di incontrarlo al suo ritorno a Londra. Ieri stesso è venuto a vedermi, ed abbiamo avuto una lunga pacata conversazione.

Gli ho detto con franchezza del senso di sorpresa provocato dalla sua improvvisa ed inspiegabile requisitoria pronunciata ai Comuni la sera del 13 aprile, sorpresa tanto più sgradita in quanto da nessuno meglio che da lui noi avremmo potuto attenderci una esatta comprensione delle finalità della politica italiana, e ciò in considerazione dell'amichevole collaborazione che il Duce ha sempre avuto con lui durante la di lui permanenza al Foreign Office. Questo suo atteggiamento è tanto meno spiegabile in quanto che il Patto a Quattro è la naturale conseguenza del Patto di Locarno che è stato il maggior successo della vita politica di Chamberlain (2).

Chamberlain ha risposto cominciando col dirmi che egli stesso, rileggendo il testo stenografico delle parole che egli aveva pronunciato senza l'aiuto di note scritte, aveva constatato di essere stato forse un po' eccessivo in alcuni

38 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XIII

giudizi, e si rammaricava di aver omesso soprattutto un preciso riferimento a quella che è sua convinzione di antica data e cioè essere la stretta collaborazione itala-britannica la chiave di volta della pace d'Europa. Sotto questo riguardo Chamberlain ha aggiunto che da circa sei mesi egli aveva spinto Simon a recarsi a Roma per conferire personalmente col Duce, sicuro che questa visita avrebbe iniziato una nuova era nei rapporti Itala-Britannici. «Senonché », ha continuato Chamberlain, «MacDonald si è recato a Roma portando con sé una valigia, ed è ritornato da Roma con un'altra valigia diversa da quella che egli aveva portato con sé. Nel suo discorso ai Comuni MacDonald è stato tortuoso, impreciso, ed ha posto davanti ai Comuni il problema della revisione dei trattati, così inaspettatamente ed in forma così maldestra da destare preoccupazioni e fondati timori su quella che potrà essere, attraverso MacDonald, la prossima attitudine del Governo Britannico nei problemi della pace d'Europa. Le mie parole sono state forse troppo dure. Né io vorrei essere frainteso. Io approvo incondizionatamente la visita di MacDonald a Mussolini, approvo anche l'idea di un Patto a quattro di intesa e di collaborazione tra le quattro Grandi Potenze europee. Il problema delle piccole Potenze non mi preoccupa, ma finché MacDonald non mi dirà in che cosa questo Patto consiste effettivamente, e finché MacDonald si limita a fare sulla base di questo Patto soltanto l'apologia generica della revisione dei trattati, io non posso fare a meno di essere perplesso e inquieto. Aggiungasi l'attuale situazione in Germania. Come voi avete potuto constatare vi è stata in queste ultime settimane in Inghilterra una vera rivolta dello spirito pubblico contro i recenti avvenimenti tedeschi. MacDonald e Simon mostrano di non tener conto di questo. Nei cinque anni di mia permanenza al Foreign Office io ho dato più che sufficienti prove di voler aiutare la Germania a risollevarsi da una condizione difficile. Ma facendo questo ho domandato ed ho ottenuto in cambio dalla Germania un'attitudine di tranquillità e di comprensione dei limiti in cui essa doveva agire per non turbare la pace d'Europa. Io non credo assolutamente, malgrado alcune apparenze, che lo spirito che anima Hitler sia lo spirito che anima Mussolini. C'è un fatto di cui ho avuto per lunghi anni l'esperienza, e cioè nulla è più difficile per un Uomo di Stato europeo, il quale vuole aiutare i tedeschi, che ottenere che questi ultimi facilitino o rendano meno difficile il suo lavoro a questo scopo. Ma, a parte tutto ciò, MacDonald e Simon debbono persuadersi una volta per sempre che bisogna trattare in altra maniera i problemi della politica estera britannica».

Ho risposto a Chamberlain che io non volevo naturalmente entrare in quelli che sono i suoi rapporti personali col Primo Ministro e coi Segretari di Stato Britannici. Questo non è affare per l'Ambasciatore d'Italia a Londra. Ma anche volendomi collocare per un solo momento nella posizione in cui può collocarsi il più rigido, ristretto conservatore nazionalista inglese, posizione che naturalmente non può essere quella di uno statista illuminato come lui, Chamberlain, è fuori dubbio che MacDonald è tornato da Roma portando con sé due cose preziose per l'Inghilterra: l. l'adesione leale del Duce al piano del disarmo britannico; 2. la riconferma di una stretta collaborazione itala-britannica che negli ultimi tempi aveva cessato di esistere come operante nel quadro della politica generale. «Uno statista illuminato come Austen Chamberlain »,

ho continuato, 4: non può evidentemente basare sopra questo ristretto piano di gretto mercantilismo nazionalista l'interpretazione di un avvenimento la cui proporzione ed importanza va commisurata all'interesse generale dell'Europa e del mondo. Noi siamo rimasti penosamente sorpresi del vostro discorso ai Comuni in quanto che pensavamo che se vi era un Uomo di Stato in Europa il quale avrebbe dovuto applaudire incondizionatamente i risultati dell'incontro di Roma, questi dovevate essere proprio voi. Voi avete detto più volte in questi ultimi tempi che le condizioni d'Europa sono andate peggiorando perché, sia da parte britannica come da parte francese, tedesca ed italiana si era andati man mano dimenticando il Trattato di Locarno. È perfettamente vero che i Ministri Britannici di questi ultimi anni non hanno mai amato riferirsi troppo nella loro azione dì pacificazione dell'Europa al Trattato di Locarno (Chamberlain mi ha interrotto vivacemente esclamando: «Lo hanno fatto per gelosia di me!»). Ebbene, chi ha sollevato ad un tratto con un gesto generoso e geniale audacia il Trattato di Locarno da uno stato di agonia pericolante? Mussolini. Il Duce ottenendo da MacDonald l'adesione al Patto d'intesa e di collaborazione delle Quattro Grandi Potenze, si è specificatamente riferito alla politica dì Locarno, perfezionando e sviluppando in base alle nuove esigenze dello spirito internazionale quello che è stato precisamente il capolavoro della vita politica di voi, Chamberlain. Attaccando ai Comuni MacDonald voi avete quindi finito per attaccare voi stesso». Ho quindi continuato spiegando a Chamberlain il contenuto del Patto a Quattro, lo spirito e gli scopi di esso. Non gli ho naturalmente dato in visione alcun documento, ma ho fatto del Piano Mussolini quell"opportuno commento megiw adatto per la comprensione del mio ìnterlocutore, insistendo particolarmente sul concetto Mussoliniano della revisione dei trattati e sulla necessità di esaminare la situazione interna della Germania con spirito equilibrato e sereno e al di fuori di quello che rappresenta un aspetto provvisorio della situazione interna germanica quanto mai complicata e difficile, e pertanto meritevole di un giudizio non precipitato e soprattutto non influenzato da elementi soggettivi o da interessi estranei.

La nostra conversazione si è protratta a lungo, ed è superfluo ne riproduca i dettagli. Alla fine di essa Chamberlain ha finito col dirmi che egli aveva tanto più ragione di essere irritato contro MacDonald in quanto che se MacDonald lo avesse messo in grado di conoscere, o almeno di indovinare, il vero carattere e la portata del Piano Mussolini, sul quale egli soltanto oggi dopo la mia conversazione poteva farsi un'idea sicura, egli avrebbe tenuto un'attitudine diversa ai Comuni.

«Se il Patto risponde nel suo spirito e nella sua redazione formale a quello che voi mi avete spiegato, la mia opinione su di esso non può a meno di mutare radicalmente. E tanto più sono oggi convinto essere utile, a togliere l'attuale stato generale d'incertezza, sia affrettata la pubblicazione dei documenti relativi al progetto e ai punti di vista espressi dai vari Governi».

Ho creduto di replicare che da parte del Duce non vi era mai stata alcuna obiezione a ciò, anzi, precisamente il contrario. Ma che tuttavia si doveva tener conto della delicatezza di un negoziato così importante, e che era nell'interesse di tutti, aventi o no responsabilità di Governo, di non intralciare, bensì di favorire per affrettarne la conclusione.

*La conversazione cominciata su un tono abbastanza polemico è finita nei termini migliori. Chamberlain mi ha confermato ripetutamente la sua incondizionata ammirazione e «personal affection 1> per il Duce, la cui «grandezza va ogni giorno crescendo davanti al mondo 1>. Ha tenuto a ricordare come egli non ha tralasciato in questi ultimi tempi occasione in pubbliche manifestazioni per d1re tutta la sua incondizionata ammirazione, non solo per il Duce, ma anche per la dottrina fascista, pur facendo delle riserve sulla possibilità dell'integrale trapianto di essa in suolo britannico. Ha insistito pregandomi di rappresentare al Duce, nella sua esatta luce, le ragioni del suo atteggiamento ai Comuni, atteggiamento che non voleva essere altro se non di critica ai metodi diplomatici e parlamentari di MacDonald e non al Piano Mussolini; e che egli del resto attende la pubblicazione del Libro Bianco britannico, promessa da Simon, per una eventuale rettifica di alcuni dei suoi giudizi che possono aver creato, in seno agli stessi Comuni, dei malintesi e qualche interpretazione inesatta *.

A questo scopo egli si proponeva di risollecitare il Governo in seno ai Comuni, e oggi, come ho telegrafato, lo ha fatto. Si tratta ora di vedere sin dove le parole dettemi da Chamberlain troveranno conferma nella realtà.

Prima di congedarsi Chamberlain mi ha pregato di rimanere in contatto con lui, cosa che farò naturalmente, ma con un certo riguardo, dato le relazioni personali tutt'altro che amichevoli esistenti tra lui e gli attuali Ministri britannici.

La conversazione con Chamberlain mi ha confermato quella che era stata la mia prima impressione immediatamente dopo il suo discorso ai Comuni. Egli merita in pieno il nomignolo con cui egli è spesso chiamato negli ambienti politici londinesi: « Dear old woman 1>, che corrisponde precisamente al nostro «vecchia suocera». Sino a che MacDonald si occupava di disarmo, riparazioni, rapporti coll'America ecc., Chamberlain ha conservato un'attitudine di nume appartato e silenzioso; oggi che MacDonald, dopo l'incontro di Roma, ha affermato la sua volontà di negoziare e concludere un nuovo Statuto europeo che, pur essendo storicamente Io sviluppo del Trattato di Locarno, finirebbe, come finirà, a collocare quest'ultimo tra le cose trapassate, e con esso anche il suo autore principale, Chamberlain, Sir Austen non ha più potuto resistere, ed è scoppiato in una bizza senile. Vanità, antiche e nuove gelosie, e anche un calcolo di vecchio astuto parlamentare che intende sfruttare un momento psicologico favorevole, si sono mescolati tutti insieme.

L'incontro di Roma ha costituito un indubbio successo per MacDonald, sia davanti ai Comuni sia davanti al Paese. Chamberlain non osò parlare a rincalzo di Churchill in quell'occasione contro il Primo Ministro. Ha atteso a fare ciò dopo 15 giorni in un momento piuttosto critico per MacDonald, e cioè dopo che alcuni importanti elementi sono sopravvenuti nel frattempo ad indebolire la posizione del Primo Ministro. Non vanno infatti dimenticati la pessima accoglienza della maggioranza governativa al progetto di legge sulla federazione indiana, l'insuccesso dell'azione diplomatica del Foreign Office nei riguardi della Russia Sovietica, le ripercussioni nell'opinione pubblica inglese della politica antisemita in Germania, e infine Io stato d'incertezza circa la politica americana nella questione dei debiti, incertezza addebitata all'imprevidente ottimismo di MacDonald. Chamberlain ha approfittato di questo momento per vendicarsi contro MacDonald che lo ha «mollato» due anni or sono al momento della ricostruzione del Gabinetto.

Simon, che ho visto stamane, mi ha ripetuto che né il Primo Ministro né lui danno soverchia importanza all'atteggiamento di Chamberlain, il quale finirà, così pensa Simon, coll'essere più ragionevole di quello che non sia apparso. Resta ad ogni modo abbastanza strano il fatto di questa attuale situazione parlamentare, con una opposizione che praticamente non esiste e con una maggioranza governativa nella quale si vedono i tre indubbiamente più autorevoli parlamentari: Churchill, Austen Chamberlain e Sir Robert Horne, i quali dai banchi dei conservatori dove siedono i sostenitori del Governo non tralasciano occasione per fare alla politica interna e internazionale di esso le critiche più aspre e spesso meno giustificate.

Dai risultati del viaggio in America di MacDonald e dall'esito dei complessi negoziati anglo-americani dipendono in gran parte, a mio avviso, le fortune e la stabilità dell'attuale Gabinetto di Unione Nazionale.

(2) -Questo e il successivo brano tra aster1schi sono editi nel Borghese, 28 aprile 1966, n. 17. (2) -Cfr. n. 435.
468

L'ADDETTO STAMPA A VIENNA, MORREALE, AL VICE CAPO GABINETTO, JACOMONI

L. P. XXII. Vienna, 24 aprile 1933.

Accludo alcune note da me preparate per altra sede locale (l) e delle quali Ella troverà forse riprodotti alcuni brani in altro documento. Rileverà da esse come il pericolo di un « ammutinamento » di alcuni capi provinciali delle Heimwehren, al quale avevo fatto accenno alla fine della mia ultima lettera (2), è stato scongiurato. A tale risultato ho contribuito per la mia parte, dicendo direttamente allo Steidle, subito dopo il suo arrivo a Vienna che in caso di rottura ogni nostra «simpatia» per lui sarebbe finita. Si è mostrato piuttosto indifferente per questa prospettiva, affermandomi che doveva egli stesso ammetterla come una necessità ineluttabile; gli ho fatto allora indirettamente giungere la minaccia di peggio: e cioè che mi sarei anche preoccupato di ritornare sul passato. Purtroppo, alla «congiuretta >> aveva anche partecipato il Ministro Jakoncig: quando tutto era già stato sorpassato, lo Steidle, recandosi da Starhemberg a giustificargli il suo atteggiamento ha affermato che era stato lo Jakoncig che aveva messo il campo a rumore ad Innsbruck, spargendo la voce che le Heimwehren erano state vendute dal loro capo ai cristiano-sociali ed agli agrari. Ma a parte questo, la prova della partecipazione di Jakoncig all'organizzazione del tentativo di gettar giù il capo l'ho avuta direttamente, perché ho avuto occasione di parlare con lui. L'incidente, per altro, è una manifestazione di uno stato di fatto: tra il capo delle Heimwehren e gli uomini, ci sono i capi dei laender, i quali, distanti come sono dal governo sono più suscettibili alle influenze esterne e tanto più lo sono, quanto più il governo, spinto forse da considerazioni di politica estera od interna toglie alle proprie enuncia

zioni la vigoria dell'attuazione. DollfuJs può essere preoccupato dall'atteggiamento della Francia nella concessione dei cento milioni del più recente prestito,

o dalle pregiudiziali costituzionalistiche del Presidente della Repubblica o dal desiderio di trovare ancora nella socialdemocrazia austriaca la riserva ultima contro i «nazi », e però se egli non dovesse profittare della tregua che il viaggio a Roma gli ha indubbiamente concesso, potrebbe finire col restare solo ed inflazionare con ogni nuova ordinanza la fiducia della popolazione che crede in lui. Serviranno i risultati delle elezioni di Innsbruck a determinarlo ad altro e più sicuro atteggiamento? Ne sapremo qualcosa col primo maggio, poiché il modo delle repressioni delle manifestazioni dei socialisti ci potrà dare la misura della sincerità delle sue intenzioni.

I socialisti continuano a sollecitarlo alla coalizione, ma i «nazi » compiono lo stesso tentativo coi cristiano-sociali cercando di spingerli ad abbandonare l-'alleanza colle Heimwehren nella speranza che minacciate di isolamento queste finiscano coll'arrendersi, come hanno fatto i capi dissidenti della Stiria, al «nazismo ». Starhemberg è stato ottimo nella seduta di venerdì scorso per difendersi dagli attacchi di Steidle, di Alberti e di Hueber, avrebbe cacciato via questi due ultimi se non gli avessero giurato sul loro onore che erano false le notizie a lui giunte di un'aperta tresca coi «nazi »; egli è però convinto del contrario ed è ora alla ricerca delle prove. A Steidle che gli chiedeva una dichiarazione annessionista, ha risposto che allo stato attuale delle cose egli ritiene un delitto d'alto tradimento parlare di annessione alla Germania; non ha avuto soverchi riguardi di linguaggio e l'ha spuntata. Sol che egli prosegua, come ha promesso, e Dollfuss intraprenda la via delle efficaci decisioni, ed il periodo estivo diventerà un buon alleato. Tocca a Dollfuss dimostrare che le minacce della socialdemocrazia sono puri e semplici verbalismi dei quali la censura non ha ragione di preoccuparsi soverchiamente.

Probabilmente Dollfuss si rivolgerà a Roma per ottenere che i trenta milioni italiani del prestito giungano in Austria netti di tutte le previste ritenute. Ma tal denaro, eventualmente, servirebbe proprio a lui, od a preparare una più facile situazione ai «Nazi »?

Nel suo colloquio con Starhemberg, Dollfuss è stato esplicito nel fargli comprendere che a Roma si nutre simpatia per il capo delle Heimwehren austriache e nel promettergli collaborazione ed appoggio; Starhemberg corrisponde lealmente, ma si tiene anche sul chi vive.

(l) -Non si pubblicano. (2) -Cfr. n. 444.
469

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1649/310 R. Londra, 25 aprile 1933, ore 19,30 (per. ore 23).

Ho comunicato stamane a Simon, giusta istruzioni di V. E., contenuto del telegramma n. 151 (1).

Simon è stato particolarmente soddisfatto nell'apprendere che contro-progetto francese (l) è giudicato da v. E. capace utili sviluppi conclusivi. Egli spera che Governo francese vorrà accettare modifiche che V. E. intende proporre a Parigi e così pure confida che mercè autorevole azione spiegata da V. E. saranno superate difficoltà da parte Berlino. Egli mi ha detto volere ancora meglio studiare emendamenti francesi in vista dell'azione che Governo inglese potrebbe svolgere a Parigi in armonia con quella di V. E. Simon mi ha confermato ferma intenzione di MacDonald e sua di superare ostacoli, e sua fiducia nel raggiungere accordo.

(l) Cfr. n. 424.

470

IL MINISTRO A TIRANA, KOCH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1660/94 R. Tirana, 25 aprile 1933, ore 23,35 (per. ore 3,30 del 26).

Mio telegramma n. 93 (2).

Richiamo del generale Pariani (3) ha vivamente impressionato Re Zog, che a quanto mi ha detto lo stesso generale, si è mostrato visibilmente turbato apprendendo la notizia e ha domandato se effettivamente trattavasi di partenza definitiva. Se ne è vivamente rammaricato con lui dicendogli che non (dico non) gli avrebbe dato successori nella carica di capo del suo gabinetto militare. Anche con me, in udienza avuta oggi, il Re si è espresso nello stesso senso lamentandosi che il Governo amico gli abbia tolto persona che gode sua più alta fiducia, aggiungendo che egli non intende sostituirlo e che per ciò le relazioni che egli avrà con organizzazione militare italiana dovranno d'ora in poi passare attraverso capo della Difesa Nazionale. Si è dispiaciuto che Governo fascista abbia preso tale provvedimento senza domandare precedentemente suo consenso trattandosi in definitiva di suo primo aiutante di campo (sic!).

Gli ho risposto che non potevo che compiacermi delle sue parole gentili nei riguardi del generale Pariani per tutto il bene che effettivamente egli aveva fatto all'Albania, ma che il R. Governo pur avendo a cuore gli interessi albanesi, non poteva più a lungo rinunziare alla collaborazione di questo suo alto ufficiale e che se aveva tardato tanto a prendere il provvedimento, da vario tempo deciso, ciò dovrebbe essere da lui apprezzato. Ho aggiunto che decisione presa mi sembrava escludere ogni possibilità di ritornare su questione.

Mi ha dato l'impressione misura così decisamente presa lo abbia preoccupato soprattutto perché vi ha visto un mutato atteggiamento di Roma nei suoi riguardi.

(l) -Cfr. n. 405, annesso dell'allegato. (2) -T. r. 1655/93 R. del 25 aprile, ore 20,45, non pubblicato. (3) -Cfr. n. 463.
471

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AGLI AMBASCIATORI AD ANKARA, LOJACONO, A BERLINO, CERRUTI, A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, A LONDRA, GRANDI, A MADRID, GUARIGLIA, A MOSCA, ATTOLICO, A VARSAVIA, BASTIANINI, E AI MINISTRI A BUDAPEST, COLONNA, A PRAGA, ROCCO, E A VIENNA, PREZIOSI

T. 740/c. R. Roma, 25 aprile 1933, ore 24.

Per sua norma di linguaggio e di intonazione generale preciso che ministro finanze on. Jung si reca a Washington non a capo di una delegazione ma a titolo di mio rappresentante personale per scambio di idee con Roosevelt per un primo orientamento reciproco dei due Governi sulle grandi questioni economiche all'ordine del giorno. Nessuna decisione verrà presa.

Scambio di idee avrà carattere prevalentemente tecnico ma non è escluso che occasionalmente venga toccato anche qualche problema politico.

472

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA JOUVENEL

APPUNTO. Rnma, 25 aprile 1933.

È venuto ieri al Ministero l'Ambasciatore de Jouvenel ad avvertirmi che il Governo germanico aveva consegnato a Parigi un nuovo testo per il Patto a quattro.

Mi ha chiesto che cosa fosse questo nuovo testo e quale rapporto ci fosse fra lo stesso e le osservazioni tedesche di cui si era parlato giorni addietro. Gli ho risposto che non si trattava effettivamente di un nuovo testo. Si trattava di alcune osservazioni al progetto francese, che per facilità di evidenza erano state. su richiesta del Capo del Governo, riportate nel testo stesso (l).

Ho dato lettura all'Ambasciatore de Jouvenel del testo così modificato.

Dalla discussione che ne è seguita si è rilevato ancora una volta che la vera

difficoltà è quella dell'art. 3, data la divergenza dei punti di vista tedesco e fran

cese e la questione relativa agli altri paesi disarmati (oltre la Germania) che

l'Ambasciatore de Jouvenel pensa possano essere compresi in una disposizione

generica senza essere menzionati particolarmente.

Per quanto riguarda l'art. 3 ho ripetuto all'Ambasciatore, che mi è parso

approvare, che la soluzione era quella di tornare alla forma originale ed alla

idea primitiva del Capo del Governo: quella cioè che dovesse avere una prece

denza la Conferenza del Disarmo per vedere fino a che punto potessero disar

mare gli Stati ora armati; stabilito ciò dare portata effettiva alla Gleichberechti

gung concedendo un riarmamento graduale della Germania con accordi successivi e sotto controllo.

Tutti i dettagli si sarebbero discussi nelle riunioni dei quattro e avrebbero poi potuto ricevere la consacrazione attraverso gli organi della Conferenza del Disarmo e della Società delle Nazioni.

(l) Cfr. n. 446.

473

IL VICE CAPO GABINETTO, JACOMONI, ALL'ADDETTO STAMPA A VIENNA, MORREALE (l)

L. P. Roma, 25 aprile 1933.

È pervenuta la sua lettera n. 21 (2).

Le notizie per quanto riguarda le Heinwehren non sono confortanti. È deplorevole che, in un momento come questo, che può essere decisivo per le sorti dell'Austria, coloro che comprendono i suoi veri interessi e se ne sono costituiti a difensori, non abbiano ancora sentito la necessità di serrare le file di fronte al pericolo e rinunziare ai personalismi ed alle congiure intestine che fanno il giuoco degli avversari.

A che punto è l'attuazione del programma di Starhemberg per il rafforzamento delle Heimwehren e la propaganda dell'idea nazionale austriaca (spese di propaganda, acquisto Cii giornali ecc.)?

Sarebbe urgente avere notizie in proposito.

474

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI MUSSOLINI

TELESPR. 757/263. Bucarest, 25 aprile 1933 (per. il 2 maggio).

Sequestrato dal Signor Titulescu in un salotto durante una festa nuziale in casa di famiglia amica, e mentre ascoltavo la piena delle confidenze del Ministro degli Affari Esteri, reduce dal suo viaggio trionfale -dice lui -a Parigi e Londra (vedi mio telespresso odierno n. 260) (3) si è avvicinato a noi il Presidente del Consiglio Signor Vaida Voevod, e, insistentemente pregato da Titulescu, si è seduto al nostro fianco. Nella generica conversazione che ne è seguita alla quale il Signor Vaida assisteva senza parteciparvi, Titulescu ha fatto cenno con ogni riguardo, anzi con ammirata simpatia, alla persona del Capo del Governo.

Il Signor Vaida Voevod che seguiva il discorso accigliato, ha all'improvviso scattato con le seguenti parole:

Il) Minuta autografa. r2) Cfr. n. 444.

« È ora di finirla. È ora che S. E. Mussolini sappia che la Romania non si lascerà portar via un pollice del suo territorio. Mussolini vedrà che cosa noi saremo capaci di organizzare (si stanno qui preparando dimostrazioni antirevisionistiche). Perché egli si immischia delle cose nostre? Egli non sa nulla, non conosce nulla, né della Romania, né dei sentimenti dei romeni. Che cosa è questo Direttorio a quattro? Noi non lasceremo nessuno interferire nelle cose nostre». Così dicendo si accalorava sempre di più. Egli parla male e sconnesso. È un povero uomo di modesta levatura mentale e dall'apparenza e dal far contadinesco.

Mi sono allora rivolto al Signor Titulescu che seguiva imbarazzatissimo il discorso presidenziale e gli ho detto:

« Ecco i frutti della campagna di stampa che, sulla falsariga di Agenzie straniere e della stampa parigina, è riuscita a traviare la vostra opinione pubblica; e con successo, poiché perfino il Presidente del Consiglio parla come un uomo che sa soltanto quello che stampano i vostri giornali».

Valda Voevod raccogliendo appena la mia interruzione ha però insistito nel suo crescendo:

« Si, Mussolini è un completo ignorante delle nostre cose. Ve lo dico io e vi prego di dirglielo: egli è un ignorante delle nostre cose, perché solo un ignorante... ».

La sala era piena di deputati, senatori, diplomatici, che si erano accorti dell'eccitazione del Presidente. Ho avuto netta la sensazione che, se non avessi reagito crudamente, il Signor Valda Voevod si sarebbe vantato subito dopo di avermi detto il fatto mio.

L'ho interrotto quindi in maniera fredda e tagliente:

« Signor Presidente del Consiglio, vi prego di non continuare a dire sciocchezze». (Je vous prie de ne pas continuer à dire des betises).

Vaida Voevod ha ricevuto il colpo in testa e mi ha guardato inebetito. Poi ha fatto per riprendere la parola, ma allora Titulescu lo ha investito in lingua romena facendogli capire quale errore egli aveva commesso nell'usare un linguaggio così irrispettoso verso il Uapo del Governo. Valda si è quindi alzato per allontanarsi.

Io ero rimasto seduto e perfettamente freddo. Titulescu mi ha allora preso entrambe le mani e mi ha detto ripetutamente: «Mon Ministre je vous prie d'accepter mes excuses ».

Avendo egli ripetuto tre o quattro volte la parola «excuses » gli ho risposto che per mio conto ritenevo chiuso l'incidente.

Valda che aveva fatto appena due passi per allontanarsi, pentito, è subito ritornato a sedersi al suo posto. In tono umile ha ricominciato a parlar., dicendo che egli si era con me espresso da diplomatico solo tre mesi or sono, quando mi aveva ricevuto ufficialmente per la prima volta. Ora aveva parlato come un privato qualsiasi, come un cittadino romeno che vede con dolore l'unità della sua Patria in pericolo.

In seguito a tali sue parole ed anche per mettere fine al penoso incidente ho creduto di spiegargli che cosa era la politica italiana in fatto di revisione, e quanto essa fosse differente da quello «che i giornali romeni stampavano».

Valda si è quindi profuso in elogi dell'opera del Duce, e mi ha illustrato la romanità della Transilvania. Ma il colloquio ha avuto un curioso epilogo. Titulescu per riportare il discorso su un terreno piacevole aveva cominciato a dire:

«Sapete caro V aida; io ho molta esperienza delle relazioni che devono correre fra Ministro degli Esteri e Presidente del Consiglio. Non per nulla ho avuto sei Presidenti del Consiglio!!! ».

« Già, ha interrotto Vaida, voi cambiate di Presidente come cambiate di camicia!!! ». Titulescu ha mostrato di prendere la «boutade» in ischerzo.

«Effettivamente io sono stato Ministro degli Esteri di Take Jonescu, di Jean Bratianu, poi di Vintila Bratianu: e poi ancora di Averescu e di Jorga. Oggi sono il vostro Ministro degli Esteri!!! ».

« E domani sarete quello di Maniu, poi quello di Duca o di Giorgio Bratianu, e poi il Ministro degli Esteri di quello che verrà».

Titulescu è diventato verde ma ha mostrato ancora di prendere la cosa in ischerzo. Poi Vaida è partito, e Titulescu mi ha di nuovo pregato di « scusare » quanto era occorso.

A distanza di tre giorni non ho sentito ancora, in questa città pettegola all'eccesso, parlare del duplice incidente. È probabile che ciascuno dei due miei interlocutori abbia giudicato convenisse tacerlo.

Ne riferisco comunque a codesto Dicastero per dovere di cronaca, e ad ogni buon fine.

(3) Telespr. 754/260, pari data, non pubblicato.

475

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1675/300 R. Berlino, 26 aprile 1933, ore 18,15 (per. ore 19,30).

Mio telegramma 294 (1).

Ministro degli affari esteri mi ha confermato che visita cancelliere austriaco a Berlino era stata concordata a Roma con Papen. Appena ne ebbe notizia pregò il vice cancelliere scrivere Dollfuss che rimettesse viaggio epoca ulteriore. Sarebbe stato infatti non soltanto inutile ma dannoso che cancelliere austriaco fosse venuto presentemente a Berlino. Neurath si è dopo ciò espresso meco a titolo del tutto riservato personale, nel senso Germania non aveva proprio bisogno, dato situazione critica in cui si trova, alienarsi anche simpatie dell'Italia.

(l) Con t. 1647/294 R. del 25 aprile, ore 18,35, Cerruti aveva riferito risultargl! che «Papen si sarebbe messo d'accordo a Roma con Dollfuss per un viaggio di quest'ultimo a Berlino nella prima metà di maggio ».

476

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1743/301 R. Berlino, 26 aprile 1933 (per. il 30).

Barone von Neurath mi ha informato di avere fatto rimettere a V. E. dall'ambasciatore von Hassell le nuove osservazioni del Governo tedesco al patto a quattro, tenendo conto delle modificazioni francesi (l).

Egli ha aggiunto di essersi sforzato di attenersi ai consigli di V. E., e che aveva pertanto procurato di accogliere, fino al limite del possibile, i suggerimenti francesi. Era però evidente che la Francia intendeva impedire che i massimi problemi europei fossero discussi fra le quattro grandi Potenze, e questa ideologia era precisamente quella che la Germania e l'Ital~a combattevano.

Secondo una notizia pervenutagli da Roma -soggiunse il barone von Neurath -V. S. si proponeva di comunicare oggi le nuove osservazioni tedesche all'ambasciatore de Jouvenel.

477

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1732/302 R. Berlino, 26 aprile 1933 (per. il 30).

Miei telegrammi n. 277 e n. 281 (2). Barone von Neurath mi ha detto che il cancelliere gli aveva riferito circa il colloquio avuto con l'ambasciatore di Francia il 9 aprile.

Hitler gU aveva detto che F,rançnis Poncet gli aveva parlato di un «Patto di garanzia e reciproco appoggio » (Garantie-und Untersttitzungspakt) e che egli aveva risposto che la Germania si sentiva garantita all'ovest dall'accordo di Locarno in modo da non scorgere l'utilità di ulteriori patti. Viceversa essa non era affatto garantita ad est dove era continuamente esposta al pericolo di attacchi. Giungevano al Governo tedesco continue notizie intenzioni aggressive della Polonia, contro le quali la Germania disarmata non avrebbe evidententemente potuto fare che poco o nulla. Perciò le occorreva di possedere un esercito sufficiente per difendere il proprio territorio.

Hitler aveva pure ripetuto all'ambasciatore di Francia le dichiarazioni pacifiche fatte dinanzi al parlamento, assicurandolo che egli non intendeva fare una politica estera di avventura.

Il ministro degli affari esteri aggiunse che questo era quanto egli sapeva. Gli domandai se non si fosse anche parlato di scambi di vedute fra i gene rali francesi e tedeschi. Il barone von Neurath mi risposte con una negazione

recisa, ma poi disse che gli sembrava ricordarsi che Hitler aveva menzionato con lui la proposta fatta da François Poncet di scambiare idee tra la Francia e la Germania riguardo alla questione degli armamenti, e che egli aveva risposto che non vi avrebbe scorto inconvenienti, senza però dare rilievo alla cosa.

Il ministro degli affari esteri aggiunse, come osservazione propria, che la Germania non avrebbe certamente avuto nulla in contrario ad esaminare con la Francia tale questione, tanto è vero che lo scorso anno aveva fatto proposte in proposito le quali erano però state lasciate cadere a Parigi.

Ritengo che il Barone von Neurath volesse accennare alle note proposte fatte da von Papen a Herriot.

(l) -Cfr. nn. 443 e 446. (2) -Con i telegrammi 1517/277 R. e 1593/281 R. de.! 15 e 19 aprile, non pubblicati, Cerruti aveva riferito circa il colloquio tra Hitler e François Poncet sulla base di informazioni ricevute da Kopke e von Btilow. Quest'ultimi si erano soffermatl in particolare sulla proposta dell'ambasciatore di Francia di tentare nuovamente di organizzare un incontro fra l generali francesi e tedeschi.
478

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1731/303 R. Berlino, 26 aprile 1933 (per. il 30).

Questo incaricato d'affari di Ungheria mi ha detto di avere avuto recentemente un colloquio con Ktipke durante il quale quegli gli confidò che Goering -recatosi a Roma col preciso e solo mandato di conferire con S. E. Balbo circa problemi aeronautici interessanti Germania e Italia -aveva invece pure creduto, di sua iniziativa, intrattenere V. E. del problema dell'Austria e parlare dell'« Anschluss ». La conversazione, secondo Ktipke, avrebbe, come era del resto da prevedersi, fatto risaltare la assoluta divergenza di vedute esistente fra V. E. ed i nazional-socialisti. L'iniziativa di Goering era pertanto stata giudicata all'Auswartiges Amt quanto mai inopportuna ed intempestiva.

Quanto alla visita di Dollfuss a Roma, lo stesso Ktipke avrebbe detto che da informazioni pervenute all'Auswartiges Amt uno dei suoi scopi sarebbe stato quello di batter cassa perché i fondi che il Governo italiano aveva fornito al principe Starhemberg erano ormai esauriti.

Ktipke parlò pure a de Wettstein del progettato viaggio di Dollfuss a Berlino dicendo che, se questi voleva venire, non lo si sarebbe certamente respinto; ma che, data la scarsa opinione che qui si ha di lui e dato che il nazional-socialismo è contrario alla politica di cui egli è l'esponente, Dollfuss non poteva certo attendere di ricevere a Berlino un'accoglienza molto calorosa.

479

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, E IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI (l)

APPUNTO. Roma, 26 aprile 1933.

Il Ministro Galli, a domanda, espone che la situazione jugoslava odierna non è gran che mutata da quella sempre riferita.

Il Governo jugoslavo continua nella sua direttiva che mira alla decentralizzazione ed alle autonomie, ha annunciato le elezioni comunali per l'estate prossima e la legge per le autonomie della Banovina che dovrebbe preludere alle elezioni generali politiche.

Esso favorisce anche la formazione di un partito socialista indipendente che dovrebbe accettare la situazione creata dal colpo di Stato del 6 gennaio 1929, e sulla base della nuova legge elettorale partecipare alle elezioni sì da riuscire a formare nella nuova Scupcina una vera e propria opposizione costituzionale, nella quale non troverebbero posto i rappresentanti dei vecchi partiti irrigiditi nella formula del non-riconoscimento dello stato di diritto e di fatto creato dal Governo dittatoriale.

La disciplina e la solidità dell'esercito accompagnato da una polizia e gendarmeria senza scrupoli e senza ritegno è immutata e ad essa si è appoggiato Re e Governo.

I partiti della opposizione extra-parlamentare continuano nella loro attitudine, ma non hanno più contatto con le masse se anche ne godano le generiche simpatie. Quale sia quindi la loro effettiva forza nel paese è difficile affermare, salvo che per Koroscez e Macek e Spaho che hanno effettive organizzazioni dietro di loro.

Questi capi-partito non hanno per altro alcuna forza dinamica, ed in genere si tratta di uomini vecchi con idee vecchie incapaci di costruire alcun che.

Il nuovo non potrebbe venire che da un assetto federale, tendenza manifesta della opinione pubblica jugoslava ed alla quale il Governo si oppone recisamente impedendo qualsiasi decisa evoluzione verso tale assetto, anche perché la situazione internazionale degli ultimi sei mesi facendo credere ad una minaccia di attacco contro la Jugoslavia, lo ha irrigidito nelle sue posizioni che gli sembrano le più efficaci alla difesa della integrità jugoslava.

Nei riguardi dell'Italia la proposta del Patto a quattro e più ancora l'ingresso definitivo dell'idea revisionista nel campo internazionale sono stati considerati unicamente e specificatamente diretti contro la Jugoslavia. Tuttavia malgrado ciò non sono mancati con me accenni di possibilità di accordo estensibile a tutta la Piccola Intesa dopo il Patto segnato a Ginevra dalle tre Potenze il 14 febbraio u.s. e proprio alla vigilia della mia partenza per Roma, Jeftic mi ha annunciato prossime proposte per il componimento delle questioni economico-giuridiche etc etc. che non avevano trovato ancora la loro soluzione, in attesa di un migliore momento per il regolamento delle maggiori questioni politiche (1). Inoltre durante la mia assenza è venuta al Cav. Cosmelli la nota lettera di Avakumovic (2), lettera certamente autorizzata. È da ritenere quindi che malgrado la nuova situazione diplomatica in cui la Jugoslavia si trova attualmente (rinnovo del Patto di amicizia con la Francia e nuovo Patto della Piccola Intesa) la possibilità di trattare definitivamente con noi per un accordo definitivo sarebbe accolta con gioia.

Il pensiero espresso da S. E. il Capo del Governo si raggruppa intorno a questi argomenti: Patto a quattro; Anschluss e parità degli armamenti, Jugoslavia, ed i capisaldi della esposizione di S. E. sono i seguenti:

Patto a Quattro.

Esso è imposto dalla necessità di giungere ad una effettiva pacificazione e semplificazione di problemi che discussi fra 53 Potenze alla S.d.N. non possono trovare una chiara decisione fattiva. Occorre uscire dalla generalità e scendere al concreto, come occorre impedire che l'Europa si divida definitivamente in due tronchi che fatalmente giungerebbero ad un conflitto armato, il quale nelle presenti condizioni europee potrebbe determinare anche un termine della civiltà nostra.

Accordi separati a due potranno e forse dovranno certamente seguire il Patto a Quattro, non precederlo. Senza questo Patto un accordo italo-germanico spingerebbe forse la Francia immediatamente alla guerra, uno franco-germanico non sarebbe né ammissibile né accettabile da noi che ci troveremmo in immediata posizione di inferiorità ed indifendibilità; uno franco-italiano insospettirebbe la Germania acutizzando la sua esasperazione. Tali accordi a due seguendo 1nvece il Patto a quattro possono essere conclusi senza sospetto degli altri due contraenti, le quattro grandi Potenze essendo in comune legate ad esaminare e risolvere le questioni di interesse europeo ed a non ricorrere alla guerra.

La stessa questione del disarmo che nella assemblea di 53 Stati non arriverà mai a nessuna possibile conclusione, o perde di importanza se esiste il Patto a quattro, o finisce col trovare con esso il suo assetto definitivo.

È errato credere che il Patto a quattro voglia essere una specie di direttorio che impone le sue decisioni. Esso vuole anzitutto decidere fra le quattro Potenze e poi liberamente associare alle sue decisioni le Potenze minori, ma senza coercizioni. Si dimentica del resto che già il Covenant ha stabilito una graduatoria ed una gerarchia fra le Potenze, poiché soltanto le grandi hanno un seggio permanente alla S.d.N. È quindi una situazione già esistente che si vuole formalmente riaffermare e rafforzare per assicurare la pace.

Il patto a quattro conferma la necessità della revisione, ma nell'ambito e con la procedura della S.d.N., procedura cauta, lentissima e circondata da ogni possibile garanzia, quindi anche dalla presenza e dal consenso della Potenza toccata dal revisionismo, non mai contro di essa ed all'infuori di essa. Ed il revisionismo non vuole capovolgere la situazione e rimediare ad una ingiustizia creandone una nuova, ma solo nei limiti dell'umano, rimediare a qualche ingiustizia per togliere il massimo possibile dei punti dolenti che possono fatalmente condurre alla guerra, quindi eliminare questi punti permanenti in vista della economia di una guerra. Se una guerra possa essere evitata togliendo una delle cause costanti che possono condurvi, non è dubbio che ogni sforzo deve essere fatto volenterosamente e con mutua comprensione delle circostanze.

In concreto due soli problemi sono stati posti: quello del Corridoio Polacco e quello dell'Ungheria. È assurdo dividere in due una Naz.ione, uno Stato. Vi deve essere unità territoriale fra le due parti della Germania. Quanto all'accesso al mare questo è assicurato dalle ferrovie e dai porti, non è detto che uno Stato debba possedere una striscia di territorio per giungere al mare. Allora la Svizzera dovrebbe possedere territorio francese quando si vale di Marsiglia, ed italiano quando di Genova.

Rispetto all'Ungheria non è giusto che in eterno più milioni di ungheresi siano avulsi dalla loro patria. Questa è una causa permanente di conflitto ed un costante pericolo di guerra, occorre eliminarla. Non è agevole né facile né semplice specie nei riguardi rumeni. Tuttavia tale necessità deve essere esaminata dalle due parti con mutua comprensione. Convengo che la revisione di frontiere potrebbe essere accompagnata dallo scambio di popolazioni.

(Si è infatti, a questo proposito, accennato nella conversazione allo scambio di popolazioni turco-greche, greco-bulgare e ricordato che Re Alessandro era disposto ad accogliere in Jugoslavia le popolazioni allogene che si trovano nella Venezia Giulia).

Anschluss -Parità degli armamenti.

L'Anschluss è un pericolo al quale occorre opporsi; Von Papen e Goering sono venuti per un incontro. Ma anche per uno scontro. Non possiamo ammettere l' Anschluss ai nostri confini. Quindi difendere e sostenere l'Austria. Abbiamo poi una seconda linea di difesa, e cioè un accordo Roma-Belgrado-Budapest. Un'ulteriore difesa può prospettarsi in un secondo tempo nella quadruplice mediterranea Italia-Grecia-Bulgaria-Turchia. L'intesa con la Jugoslavia è essenziale agli effetti della minaccia che può venirci dall'Anschluss.

Quanto al disarmo occorre scegliere fra una Germania che riarma tacitamente ed a suo libito, ed una Germania che riarma per un accordo ed un controllo. Il Patto a Quattro garantisce più di ogni altra disposizione la Francia che il riarmo germanico sarà sotto suo controllo.

La parità degli armamenti estesa alle altre Potenze vinte dalla guerra non modifica sostanzialmente il problema strategico jugoslavo, rumeno, cecoslovacco, e poiché non potrebbe avvenire che in un minimo di dieci anni (gradualità, garanzie, controlli, ecc.) non ha motivo di inquietare oggi la Piccola Intesa.

Jugoslavia.

Come al Patto a Quattro può far seguito un Patto italo-francese che regoli le questioni pendenti tra Italia e Francia, così esso può trovare il suo completamento in un accordo itala-jugoslavo. Perciò la possibilità di tale accordo non deve essere esclusa, anzi sempre prospettata. Io ho detto che i nostri attuali rapporti con la Jugoslavia sono di indifferenza. Non è mia intenzione di andare indietro e renderli più difficili. Quindi delle tre ipotesi, esclusa questa, non resta che la continuazione dello stato attuale e poi l'avvicinamento. Per il quale io non abbisogno di passare da Parigi, perché, quando lo voglia, non ho che intendermi direttamente con Re Alessandro.

Nei riguardi del revisionismo l'Italia non avanza alcuna rivendicazione in confronto della Jugoslavia. Lo farebbe solo se tutta la carta d'Europa dovesse cambiarsi. Ma oggi io non ho nulla da domandare.

Il revisionismo tocca la Jugoslavia soltanto nei suoi rapporti con l'Ungheria, ma per una parte trascurabile ed insignificante. Io ho le richieste precise e scritte di Gombos. Toccano una minima parte della Jugoslavia, quella dove si trovano popolazioni ungheresi compatte.

L'utilità per la Jugoslavia di esaminare con spirito comprensivo tali modeste domande ungheresi, permetterebbe lo stabilirsi di un pieno accordo con l'Ungheria, quindi con l'Italia, agli scopi suindicati, anti-Anschluss. Ma un accordo con noi esige anche un chiarimento della situazione interna jugoslava e specialmente la eliminazione della questione croata. Questa questione o deve arrivare al suo sviluppo (poiché è nostro interesse avere al nostro confine una polvere di Stati, piuttosto che uno Stato forte e solido) o deve essere eliminata col modificarsi della situazione interna jugoslava. Questa eliminazione permetterà la ripresa di trattative e la conclusione di un accordo.

(l) Al colloquio era presente Suvich.

(l) -Cfr. n. 358. (2) -Cfr. n. 449.
480

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, E CHAIM WEIZMANN

APPUNTO. Roma, 26 aprile 1933.

Il signor Weizmann parla al Capo del Governo delle persecuzioni a cui sono sottoposti gli ebrei in Germania. Egli pensa di fare emigrare 50.000 giovani ebrei della Germania in Palestina e intende discutere col Governo tedesco la possibilità di creare un ufficio di liquidazione dei beni in Germana degli emigrati ebrei in modo da compiere questo movimento con il minor turbamento possibile anche per l'economia tedesca. Sta studiando un progetto concreto che si riserva di comunicare al Capo del Governo.

481

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BUCAREST, SOLA

T. P. 766/74 R. Roma, 27 aprile 1933, ore 2.

Echo de Paris del 25 corrente ed altri giornali riportano notizie Havas circa presunte proposte che ministro Italia Bucarest nel marzo scorso avrebbe fatto a Titulescu offrendo garanzia della integrità territoriale romena e con liquidazione della questione della revisione condizione della entrata della Romania in un blocco comprendente Ungheria, Bulgaria e Polonia.

Si aggiungono dettagli su ripartizione vari territori jugoslavi.

Prego telegrafarmi se e quali elementi possano aver dato appiglio a notizia del genere. Aggiungo ad ogni buon fine che segnalazione nello stesso senso è giunta a questo ministero anche da altra fonte (l).

39 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XIII

(l) Sola rispose con t. 1707/101 R. del 28 aprile che il Governo rumeno aveva dato ordine alla sua legazione di Parigi di smentire ufficialmente le notizie dell'Havas. Suvich inviò il 27 aprllead Ankara, Berlino, Londra, Madrid, Mosca, Parigi, Varsavia, Atene, Belgrado, Budapest, Sofia e Vienna 11 t. 767/C. che dichiarava tali notizie tendenziose e prive d! ogni fondamento.

482

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A TIRANA, KOCH

T. 772/58 R. Roma, 27 aprile 1933, ore 21.

Suoi telegrammi nn. 93 e 94 (1).

Dichiarazioni Re Zog che egli non intende sostituire generale Pariani e che sue relazioni con organizzaz·ione militare italiana dovranno d'ora in poi passare attraverso capo difesa nazionale vanno prontamente ribattute. Dagli accordi militari del 1928, che sono stati conclusi in applicazione del trattato di alleanza del quale sono parte essenziale, risulta come la presenza in Albania di un alto ufficiale italiano quale consigliere militare del Capo dello Stato è strettamente connessa col funzionamento degli accordi stessi in tempo di pace e in caso di guerra. Del resto non è mancato un esplicito riconoscimento in tal senso da parte dello stesso Re Zog, il quale quando fu creata la carica di capo del Dipartimento militare dichiarò che la posizione fatta al generale Pariani non era ad personam ma avrebbe dovuto essere fatta a qualsiasi altro alto ufficiale che fosse stato inviato in Albania per sostituirlo. Per quanto concerne nostri ufficiali di Stato Maggiore precise disposizioni degli accordi stabiliscono che essi sono alla diretta dipendenza del Capo dello Stato.

V. S. vorrà pertanto, evitando se possibile discussioni singoli articoli, far presente a Re Zog che sue dichiarazioni sono in contrasto con accordi militari.

Nulla osta che generale Pariani venga a Roma appena preso ufficialmente congedo, ma è opportuno che egli faccia subito ritorno costì per preparativi partenza definitiva, onde evitare prolungarsi di situazione ambigua e oramai deleteria per il nostro prestigio.

483

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GRANDI, A PARIGI, PIGNATTI, A VARSAVIA, BASTIANINI, E A WASHINGTON, ROSSO, E AI MINISTRI A BELGRADO, GALLI, A BUCAREST, SOLA, E A PRAGA, ROCCO

T. 775 R. Roma, 27 aprile 1933, ore 18.

(Per Washington e Londra) Ho telegrafato alle RR. rappresentanze competenti quanto segue:

(Per tutti) «Stampa americana (New York Times) e stampa inglese (Daily Herald) pubblicano corrispondenze da Varsavia secondo cui Francia, Polonia e Piccola Intesa, avrebbero firmato un accordo o quanto meno stabilito un fronte comune per impedire revisione trattati e conferenza quattro Potenze proposta da Italia.

Prego V. E. (V. S.) farmi conoscere quanto le risulti in proposito (2).

(l) -Cfr. n. 470, e nota 2 allo stesso. (2) -Per le risposte cfr. nn. 486, 487, 496, 497 e 312.
484

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1694/3 R. Ginevra, 27 aprile 1933, ore 23,20 (per. ore 0,45 del 28).

In una conversazione avuta oggi da un segretario di questa delegazione con il signor Herbert, corrispondente del Volkischer Beobachter, tornato due giorni fa da Berlino, questi ha dichiarato in maniera recisa che l'Anschluss ormai è questione di mesi e forse di settimane. Egli ha specificato anzi cinque

o sei settimane. Ha aggiunto che la propaganda iniziata da parte tedesca in Austria, e diretta personalmente da Goebbels, farà sì che gli hitieriani saranno tra breve i padroni dell'Austria.

È vero che Hitler ebbe a dichiarare che l'Anschluss non era di attualità, però in seguito allo sviluppo che ha preso il nazionalsocialismo in Austria, esso è atteso come una cosa inevitabile in Germania.

L'Herbert ha continuato dicendo che in Germania aveva molto sorpreso il fatto che il vice cancelliere von Papen e il ministro Goering avessero trovato così aperta ostilità a Roma nei riguardi dell'Anschluss. L'opinione pubblica tedesca non capisce come l'Italia, amica della Germania, non si renda conto della ineluttabilità dell'avvenimento e quindi della necessità di accordarsi preventivamente per una eventuale spartizione di settori economici nei Balcani.

485

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUCAREST, SOLA

T. PER CORRIERE 778 R. Roma, 27 aprile 1933.

Suoi telegrammi 88, 90 e 94 (1).

Convengo che possa essere utile apportare a mezzo nostra stampa una qualche chiarificazione a rapporti itala-romeni nei limiti per altro ristretti entro cui ciò è realmente possibile.

Per questione patto mi riservo di telegrafarle anche in relazione con ulteriore svolgimento situazione internazionale.

Circa punto b) e c) di cui a suo telegramma 88, intese anche amministrazioni tecniche competenti, non sembra conveniente ritardare o sospendere acquisti granone. Vi è noto impegno ed è nostro intendimento nei limiti del possibile darvi piena esecuzione. Né vi è per ora alcun indizio su una volontà romena di non onorare scadenza prestito A.G.I.P. Il dare imp;ressione di volerei in qualche modo sottrarre a nostre obbligazioni potrebbe essere invece un utile spunto o

pretesto per inadempienza che conviene evitare. Per sua personale notizia sono anzi in corso studio provvedimenti che permettano meglio assorbimento previsti quantitativi granone rallentato in ultimi tempi per ragioni di equilibrio nostro mercato. Anche per questo è opportuno che persone costì delegate acquisto e con carattere puramente privato si attengano esclusivamente istruzioni nota federazione per cui conto lavorano.

Circa criterio scambi bilanciati cui ella accenna esso non potrebbe essere troppo rigidamente inteso. Occorre infatti tener presente che nella bilancia italo-romena entrano anche elementi invisibili in conto prestiti.

Comunque tale questione come altre relative clearing saranno oggetto di esame in occasione prossimi negoziati per revisione trattato commercio.

(l) Cfr. n. 436 e nota 2 allo stesso e ll t. per corriere 1592/132/90 R. del 19 aprile. non pubblicato.

486

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1719/100 R. Bucarest, 28 aprile 1933, ore 16 (per. ore 20,30). Telegramma di V. E. n. 75

Non ho elementi «positivi l> per affermare o negare che tra Francia, Polonia e Piccola Intesa [sia] firmato un accordo per impedire trattati e conferenza a quattro proposte dall'Italia.

Devo però dire che da tono minore con cui Titulescu mi ha parlato nei giorni scorsi della sua missione in Francia devesi desumere che un accordo scritto « a cinque l) non esiste e che non si è nemmeno stabilito almeno finora, un fronte comune fra dette Potenze.

Sta di fatto però che fra la Piccola Intesa e Polonia vi sono stati nei giorni scorsi e vi sono tuttora attivi scambi d'idee diretti, a mio avviso, a concertare nei confronti della situazione generale, una politica comune specialmente per far pressione sulla Francia affinché questa tenga conto dell'opinione concorde dei quattro clienti orientali nettamente avversi alle proposte italiane.

(l).
487

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1715/51 R. Varsavia, 28 aprile 1933, ore 18,56 (per. ore 23,40).

Telegramma di V. E. n. 46 (2). Notizia segnalatami dall'E. V. non trova qui finora conferma. È certo che se Francia si dichiarasse decisamente e integralmente anti-revisionista un ac

cordo simile potrebbe essere possibile tanto più che, senza obbligare Polonia a legarsi alla Piccola Intesa, le assicurerebbe tutto quanto questa potrebbe darle e ridarebbe sua alleanza con Francia tutto il valore che negli ultimi tempi aveva perduto.

Per cercare impedire revisione trattati Piccola Intesa e Polonia saranno sempre concordi, confermo tuttavia mio ,rapporto 393 de.l 19 conente (l) ed importanza che Polonia darebbe ad una assicurazione dell'Italia di non favorire od appoggiare rivendicazioni tedesche Pomerania.

(l) -Cfr. n. 483 che aveva 75 come protocollo particolare per Bucarest. (2) -Cfr. n. 483 che aveva 46 come protocollo particolare per Varsavia.
488

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1720/4 R. Ginevra, 28 aprile 1933 (per. il 29).

Circa situazione conferenza disarmo, mi riferisco a telegramma Soragna n. 2 (2).

Convocazione del bureau di presidenza era stata generalmente interpretata come un prodromo del rinvio della conferenza fino a che le trattative diplomatiche in corso a Washington, Roma, Parigi, Londra e Berlino avessero chiarito l'orizzonte. Ma le pressioni del presidente Henderson e le direttive che egli ha anche stamane impresse all'andamento del dibattito in seno al bureau non hanno dato campo a tali tendenze di estrinsecarsi e di imporsi. Inoltre, la delegazione inglese ha creduto di doversi attenere, quasi punto di onore, al principio della continuazione dell'esame del piano britannico ad ogni costo.

Il presidente ha quindi finito per far decidere che pur soprassedendosi per ora all'esame della parte I (sicurezza) si passasse tuttavia a quello della parte II (disarmo).

La delegazione francese ha fatto le proprie riserve sulla possibilità di assumere la responsabilità di decisioni in materia, pendente l'incognita del capitolo sicurezza e l'incognita circa la porzione dei corpi armati di certi Stati su cui va computata la limitazione (s'intende la Germania per le formazioni di polizia, i schupo, che costituiscono una forza rilevantissima e i tedeschi cercano tuttora sottrarre al computo degli effettivi), ma ha finito per associarsi alla continuazione.

Da parte nostra Soragna ha fatto rilevare che noi non potevamo avere alcuna difficoltà di discutere il disarmo vero e prop'l'io anche prima del capitolo sicurezza, perché abbiamo sempre sostenuto che scopo vero della conferenza è di realizzare il disarmo innanzi tutto il resto. Esso ha però dichiarato che la delegazione italiana aveva accettato il piano inglese impegnandosi a non presentare emendamenti anche in punti che interessavano profondamente gli interessi italiani, se tale esempio di sacrificio fosse stato seguito dalle altre

C2) T. 1679/2 R. del 27, non pubblicato.

delegazioni. Ora, nei primi due giorni di discussione della parte I del piano britannico si erano già viste piovere le richieste di emendamenti e di modifiche, fra cui alcune che lo alterano radicalmente. Ora, data la sospensione di ogni decisione in merito, mentre gli emendamenti anche i più gravi e meno accettabili per noi venivano mantenuti e ribaditi energicamente dalle rispettive delegazioni, non le era naturalmente più possibile continuare strettamente nel proprio atteggiamento di semplice approvazione, ma era suo dovere, procedendosi all'esame della parte II, di fare le proprie riserve sui punti che ci erano troppo sfavorevoli (cifre degli effettivi, materiale, marina), salvo a defletterne lealmente, se anche gli altri avessero finito per fare lo stesso, pei punti che loro interessavano, e il piano britannico avesse riacquistato o mantenuto in definitiva la forma e la sostanza che gli aveva valsa la nostra incondizionata adesione.

In conclusione si è deciso, fra il dubbio e lo scetticismo generale, di rimettere di nuovo e subito in marcia il macchinario della conferenza, comprese commissioni e sotto-commissioni tecniche e di farlo lavorare ad ogni costo a tutto vapore.

S'intende che si aspetta da tutti, pur con differenti stati d'animo, qualche notizia dal di fuori che venga a chiarire la situazione, perché a tutti è palese che questo lavoro, anche se formalmente effettivo, non può dare alcun vero costrutto fuorché registrare sempre più marcati divarii di programmi di idee e di gruppi.

(l) Cfr. n. 438.

489

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1716/7 R. Ginevra, 28 aprile 1933, ore 20,40 (per. ore 23,40).

Tewfik Ruschdi bey venuto visitarmi ieri e oggi.

Deciso dissipare qualunque ombra malcontento turco, gli ho esposto vero volto patto Roma mostrandogli presentare esso unica possibilità risolvere pacificamente due questioni vitali avvenire Europa: revisione e parità.

Dati nostri rapporti personali, spiegazione assunto tono amichevole rimprovero. Tewfik Ruschdi bey ringraziato vivamente chiarimento che ponevagli innanzi occhi tutta reale importanza ini?;iativa. Mi ha confessato che tanto lui quanto Ismet pascià esaminando piano, avevano effettivamente rilevato che esso non presentava nulla che si discostasse dalle linee della nostra politica con Turchia; quindi loro malumore non derivava da sostanza patto, ma da nostra eccessiva riservatezza mantenuta verso di loro in questa circostanza, tanto più che dopo visita Roma primavera scorsa, Ismet pascià riportato convinzione intimità nostri rapporti esser giunta tale punto da dare pieno affidamento scambievole consultazione nel senso di qualunque importante passo politico interessante i due paesi. Dalle parole Tewfik Ruschdi bey ho chiaramente compreso Turchia traversa momento di grande incertezza e di amarezza per ferito amor proprio. Essa teme che come è avvenuto per patto Roma, anche per altre eventuali de

cisioni che tocchino suoi interessi vitali, Italia possa nel futuro proceaere a sua

insaputa. Dato che proprio in questo momento Turchia è in trattative con Fran

cia per patto neutralità e dato che Piccola Intesa profitta occasione per rinno

vare suoi tentativi rivolti staccare Turchia orbita italiana, magnificando po

tenza, stabilità, appoggio francese, mi appare pericoloso abbandonare Turchia

lusinghe francesi e Piccola Intesa. Credo quindi impongasi necessità fare qualche

cosa che ristabilisca presso Turchia fiducia appoggio italiano.

Ritenendo tale veduta rientri nel quadro delle direttive di V. E. credo op

portuno chiedere a V. E. autorizzarmi secondare intenzione adombrata parole

Tewfik Ruschdi bey proporre gentlemen's agreement italo-turco che contenga

impegno consultazione problemi direttamente interessanti una delle due parti,

ciò che rassicurerebbe Turchia su azione che Italia può svolgere in seno a 4 Po

tenze nei riguardi problemi concernenti Balcani e Mediterraneo orientale e an

che nella eventualità che patto Roma non venisse firmato permetterebbe di te

nere legata a noi Turchia in avvenire non meno saldamente di come Francia

tiene legata a sé Piccola Intesa (1).

490

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, E AL CONSOLE A INNSBRUCK, RICCIARDI

T. 791 R. Roma, 28 aprile 1933, ore 22.

Viene segnalato che in discorso tenuto costà 23 corr. Dollfuss abbia accennato a visita Roma solo in relazione a presunti vantaggi ottenuti « per fratelli oltre frontiera).

Pregola telegrafare che cosa le consti nonché sue impressioni su recente vittoria nazista e rapporti con Heimwehren (2).

491

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1713/322 R. Londra, 28 aprile 1933, ore 22,59 (per. ore 3,20 del 30).

Ieri sera ho veduto nuovamente Simon il quale mi ha messo al corrente delle ultime conversazioni con l'ambasciatore di Germania circa patto a quattro.

«Suo telegramma n. 7. Mi rendo conto dell'interesse che rappresenta per noi non solo dissipare apprensioni Tur

chia riguardo patto a quattro ma anche di averne adesione simpatica e sincera.

V. E. ha chiarito Tewfik Ruschdi bey che concetto patto a quattro non è imposizione ma collaborazione con altri Stati. (In questo senso va inteso il secondo paragrafo primo articolo progetto originario). Sotto questo punto di vista impegno di reciproca consultazione con Turchia per problemi interessanti direttamente due paesi potrebbe anche essere considerato come utile corollario al patto. Naturalmente come tale, gentlemen's agreement non potrà concludersi che posteriormente patto a quattro e ti'arrà anzi da questa circostanza maggior significato. Ciò non esclude tuttavia che V. E. possa intrattenerne Tewfik Ruschdi bey purché sia mantenuto completo segreto per evitare nell'interesse delle due parti arbitrarie interpretazioni».

Governo tedesco tnslste ottenere assicurazioni su questo punto specifico e cioè che una volta spirato termine convenzione disarmo che sarà più o meno di cinque anni Germania avrà diritto procedere riarmo senza limitazione di sorta. Simon ritiene che clausola di tale genere sarebbe assai difficilmente accettata e sta facendo del suo meglio per convincere Governo tedesco accontentarsi formula più elastica ad esempio che allo spirare 5 anni potenze si riservano libertà discutere nuova convenzione. Questa, secondo Simon, copre tutte le eventualità in favore stessa Germania.

Simon ha aggiunto che sarebbe desideroso conoscere modifiche proposte da V. E. al controprogetto francese nonché possibilmente esito passi a Berlino e a Parigi preannunziati nel telegramma 151 (l) il contenuto del quale, secondo le istruzioni ricevute, ebbi a comunicare a Simon nella conversazione di giovedì scorso (2).

(l) In risposta era stato preparato Il seguente telegramma che non fu poi inviato:

(2) Per la risposta di Ricciardi cfr. n. 493.

492

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 736/233. Ankara, 28 aprile 1933 (per. il 16 maggio).

Vi sono dei punti oscuri nell'attuale momento della politica estera turca, che possono contenere il seme di novità pericolose. Essi trovano la loro origine nella insofferenza di questo Governo ad ogni concetto di preminenza altrui e quindi nella reazione di esso di fronte all'eventualità di un accordo delle quattro grandi Potenze europee.

Lo stato d'animo di questo popolo è antieuropeo per istinto. Dieci secoli di guerra vissuta spesso con le armi alla mano e sempre in ispirito, non si cancellano per decreto presidenziale. Le radici della razza ne sono imbevute. Del resto il Presidente della nuova Turchia non ha voluto occidentalizzare questo popolo per avvicinarlo all'Europa, bensì per farne una entità più robusta contro l'Europa. Però, nel travaglio trasformativo della Turchia molti elementi di forza sono andati perduti: basti dire del sentimento religioso che, attraverso il fanatismo delle masse e la comunità di vincoli con i popoli orientali, dava nelle mani dei governanti un potere espansivo notevole ed una molla per suscitare lo spirito collettivo.

Il Gazi ha dovuto sostituire questo elemento con altri di natura civile, ed ha escogitato la infatuazione della razza turca, la più antica del mondo, la madre delle genti, la culla di ogni civiltà. Il tempio di Augusto ad Ankara non a caso si trova ingorgato di frammenti ittiti, freddi e repulsivi sulla calda

spiritualità romana, ivi raccolti per meditata contrapposizione di civiltà incon

ciliabili.

Il popolo crede o finge di credere a questa propria superiorità; ma intanto

sopraggiunge la gioventù educata alle nuove idee; e di fronte ad essa, meno

che mai, il Governo turco potrebbe ammettere di essere sconfessato da avve··

nimenti esterni che consacrino la superiorità di altre storie e di altre capacità

di pensiero, di lavoro e di potenza.

La stessa personalità del Gazi è costretta a non inchinarsi ad astri superiori. Egli avrebbe dovuto fermare il corso del tempo allo istante violento e trionfale della spinta dei Greci in mare, e cioè alla sua clamorosa vittoria contro l'Europa divisa e stanca. Da allora, malgrado altri innegabili sforzi compiuti nel campo costruttivo moderno, gli strati di nuove vicende incalzanti nel mondo ed i torti di una vita non del tutto dedicata al lavoro né esente da eccessi, vanno relegando 'in secondo piano la figura di Mustafa Kemal, al cui senso di rivalità riesce poi insostenibile la luce che viene da Roma e dal Duce.

La prima :reazione contro un accordo delle quattro grandi Potenze si manifestò qui all'indomani del discorso di Torino e se ne ebbero palesi prove nel fa.moso banchetto presidenziale del 29 Ottobre scorso. Il passaggio nel campo pratico della idea di collaborazione fra le quattro Potenze ha poi messo questo Governo in uno stato di preoccupazione proporzionato all'interesse interno ed esterno che esso ha di non lasciar proclamare una realtà gerarchica diversa dallo stato di eguaglianza formale e giuridica di cui medie e piccole potenze godono nel loro paradiso ginevrino.

Stando in questo atteggiamento, e guardandosi attorno, la Turchia ha trovato la Piccola Intesa in atteggiamento eguale: primo sintomo di un parallelismo, sia pure teorico.

Ha visto i Sovieti e la Francia soffiar nel fuoco dei malcontenti; e poiché i Sovieti sono stati qui sempre ascoltati, l'incoraggiamento proveniente da Mosca per una presa di posizione contro le potenze occidentali ha trovato e trova ad Ankara facile esca. Ogni atteggiamento russo deve essere considerato come capace di ampie ripercussioni sopra il Governo turco, dato che la Russia è l'unica Potenza che tenga veramente la Turchia entro il raggio della propria azione militare, e che sia capace di fare ciò da sola, e cioè con rigidità di obbiettivi e senza necessità di intese con altri. Ora, anche la Russia Sovietica è antieuropea; quindi è sua funzione quella di mettere in moto, riunire ed organizzare tutti gli elementi che possono neutralizzare o contrastare una concordia europea all'ombra delle quattro Potenze. Grandemente inacerbiti dal nuovo assetto germanico che preclude loro la via di contagio del comunismo in Europa, i Sovieti sono ridotti ad aspettare la realizzazione dei loro piani di espansione mercé l'aggravamento dei mali del mondo e piazzano nella instabilità politica e nell'eccitazione dei malcontenti le _loro migliori speranze.

In questo stato di cose, la Francia --alla cui sicurezza non basta il più potente esercito del mondo, l'oro accumulato nelle sue casse, l'impero coloniale, il sistema di alleanze, le clientele economiche o le soggezioni che le proprie ricchezze e l'altrui miseria le procurano -ha intravisto un varco aperto per allargare la propria cerchia, porgendo la mano ai vari governi che vedono o

credono di vedere una loro menomazione nel progetto di collaborazione delle quattro grandi Potenze e che non hanno da attendere daJl'avvento del revisionismo nessun vantaggio speciale. Dopo il reparto agitati della Piccola Intesa, il reparto dei suscettibili; a capo degli uni e degli altri, la più agitata e la più suscettibile di tutte le Potenze, la Francia. La quale, sapendo di essere destinata a rimanere fra i quattro, in sistematica minoranza nella opposizione evidente che essa si prepara a svolgere contro ogni possibilità revisionistica, pensa di presentarsi con procura in bianco da parte del maggior numero possibile di Stati europei e giuocare la parte dell'altruista che nulla vuole per sé ma che non può decampare dalla difesa dei suoi amministrati.

Queste condizioni generiche che sono venuto esponendo non significano che la Turchia e la Grecia stiano già evolvendo verso la Francia; ma vogliono dire che spira un vento adatto a far .loro orienta~e le vele eventualmente ve·rso quella direzione.

È ovvio che il lavorio franco-jugoslavo verso la Grecia sia notevole in questo momento gravido di oscillazior~i; quelle due Potenze del resto, volendo utilmente cercare un punto di sfaldamento, ben si accorgono che esso esiste ad Atene, sia per la naturale tendenza greca verso la Francia -come riconosceva tempo fa lo stesso Tewfik Rustu -e sia per le ragioni che vietano alla Grecia di fare una politica di appoggio al revisionismo.

In quanto alla Turchia, ho già detto che essa non è revisionista, tuttavia la sua fedeltà all'Italia deve considerarsi sicura, rebus sic stantibus. Ma, in circostanze nuove, e precisamente: a) di fronte alla realizzazione del piano di collaborazione delle quattro Potenze; b) ovvero dinanzi ad una defezione greca; c) ovvero dinanzi alla impossibilità di trascinare dalla propria parte la Bulgaria, non è prevedibile l'immutabilità del suo orientamento, anzi sarebbe imprudente farvi assegnamento.

Certo, realizzandosi la collaborazione delle quattro Potenze, il soJlievo generale dell'umanità, l'allontanamento del temporale guerresco e la posizione che l'Italia verrebbe ad assumere in un cielo di serenità e di prestigio, toglierebbero valore al giuoco delle costellazioni secondarie, a cominciare dalla Piccola Intesa. È perfettamente comprensibile perciò che la nostra politica debba procedere diritta verso quel fine, anche a costo di sminuire il calore di alcune amicizie. Ma siccome non cesserà in alcun caso, sia pure in un'atmosfera di pace, la politica delle influenze e l'accapar.ramento delle clientele internazionali, è possibile che domani, in un'eventuale nuova situazione europea derivante dall'accordo delle quattro Potenze, abbia a riuscirei ingrata la constatazione di un orientamento francese della Turchia e della Grecia e la necessità di ricomlinciare su altre basi il lavoro di avvicinamento con questi due Paesi; ma sarà una necessità che affronteremo con la coscienza di avere nel frattempo realizzato, con l'alto gesto di V. E., un risultato più grande e più utile in un campo enonnemente più vasto.

Se però questi sforzi che l'Italia persegue nell'attuale momento dovessero essere contrastati dalla incorreggibile mentalità e malavoglia di altre Potenze, il pericolo sta nell'eventualità che le medie potenze, prendendo posizione troppo presto, non rimangano legate e compromesse in un sistema a noi non favorevole.

È per questo che mi sono permesso dl pregare V. E. affinché disponga che l'attività di Tewfik Rustu a Ginevra venga amichevolmente guidata ed anche vigilata, dato che nell'ambiente di Ginevra e con la facilità di contatti e di allettamenti continui che là possono svolgersi e che non sarebbero possibili con l'antico sistema di visite di uomini politici da capitale a capitale, il carattere impressionabile ed un po' fantasioso del Ministro degli Esteri turco potrebbe essere preda di qualche abile tentativo.

Come si concilia con queste mie subordinate raccomandazioni di vigilanza il fatto che la Turchia sta compiendo lealmente verso la Grecia e la Bulgaria uno sforzo che è del tutto inquadrato nelle direttive di V. E.? La realizzazione di un blocco turco-greco-bulgaro verso cui tendono i nostri sforzi sarà indubbiamente un elemento di successo per ciascuno di questi tre paesi e per noi, e quasi tutte le probabilità portano a pensare che il nuovo blocco, se si forma, sia pure in forma passiva e cioè con semplice scopo di neutralità, adempirà alle sue funzioni essenziali di equilibrio, svalorizzando il peso della Piccola Intesa.

Ma qualche voce pessimista che fa capo a questo Ministro di Ungheria arriva a pensare che lo sforzo turco per avvicinare la Grecia e la Bulgaria potrebbe anche sfociare in un orientamento collettivo dei tre membri del nuovo blocco verso la Francia. Il Ministro di Ungheria dice che il neo-collega bulgaro, Signor Antonoff, di cui sono noti i precedenti jugoslavofili, avrebbe detto in un cerchio familiare non essere escluso che ,tutto il lavoro di avvicinamento a tre sia destinato a servire più integralmente ai fini francesi. Ancora il Ministro d'Ungheria aggiunge che l'infatuazione turca per l'amicizia greca abbia accecato questi uomini poHtici che si lasciano condurre da Atene verso falsi scopi.

Sono voci allarmistiche che bisogna vagliare con la massima prudenza, senza credervi troppo ma anche senza essere troppo sordi. Da una parte io mi chiedo che ragioni avrebbe la Turchia di lavorare verso Sofia (e le recenti premure con cui questo Governo ha smorzato grincidenti turco-bulgari sono prova del grande interesse che esso pone a tale lavoro) se la Grecia e la Turchia meditassero di passare, armi e bagaglio, dall'altra parte. Basterebbe che attuassero tale gesto per determinare un accerchiamento della Bulgaria e farla cadere come una pera matura, senza neppure darsi la pena di volgerle uno sguardo.

Ma, d'altra parte, non posso essere de'l tutto insenstbLle all'atteggiamento generico di resistenza della Turchia al progetto di collaborazione occidentale, ed allo stato d'animo di esitazione che ne è risultato, tendente a trovare una via di efficace tutela del prestigio turco.

Sono questi gli elementi oscuri di cui ho accennato nell'ini21iare questo rapporto. Io credo che mentre qui, ad Atene ed a Sofia occorre seguire con sempre maggiore attenzione la situazione, sarebbe anche utile che una parola di considerazione e di apprezzamento pervenisse forse da parte di V. E. al Ministro degli Esteri turco durante la permanenza a Ginevra per accattivarlo con una qualche manifestazione morale; ciò di cui, in sostanza, egli ha sopratutto bisogno nella crisi di supposta trascuratezza in cui egli si trova.

(l) -Cfr. n. 424. (2) -Cfr. n. 469.
493

IL CONSOLE A INNSBRUCK, RICCIARDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1740/2758/3 R. lnnsbruck, 29 aprile 1933, ore 19,30 (per. ore 0,30 del 30). Telegramma di V.E. n. 11 (1).

Dollfuss disse effettivamente soltanto che « seconc·· i suoi col!oqui di Roma l'amicizia con l'Italia eserciterà una benefica [influenza] sui fratelli di origine del Tirolo del Sud~.

Ciò ho già riferito col mio rapporto n. 261 del 23 corrente comunicato anche a Vienna (2). Evidentemente egli ha voluto valorizzare il suo viaggio romano lusingando i tirolesi sempre morbosamente sensibili alla questione alto-atesina. Anche sul successo elettorale di questi social-nazionali ho riferito col telespresso n. 262 del 24 corrente (2).

A meno che il Governo di Hitler non venga a subire (ciò ,che sembra poco probabile) un grande scacco o rovescio politico che abbia una grande, sfavorevole ripercussione anche fuori della Germania, il partito nazionalsocialista austriaco è destinato, secondo tutte le previsioni, a rafforzare e ad allargare i suoi successi. Fatto coincide coi nostri interessi che devono tendere ad arginare la sua espa-nsione.

I suoi rapporti con la Heimw'ehr sono lungi essere chiarifieati. Una corrente numerosa della stessa vorrebbe un accordo cogli hitleriani senza però sacrificare la propria autonomia. Essa è stata piuttosto de.lusa dal recente passaggio a,l partito nazionalsocialista senza alcuna speciale riserva di indipendenza, ma quasi armi e bagaglio della Heimwehr in Stirf.a e degli Elmi di Acciaio in Germania coi quali correvano vecchi rapporti di cameratismo e fiducia.

Continua col numero successivo (3).

494

IL CONSOLE A INNSBRUCK, RICCIARDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1748/2759/4 R. lnnsbruck, 29 aprile 1933, ore 20,40 (per. ore 1,45 del '30).

Seguito mio n. precedente (4). Questa delusione può essere utilmente sfruttata per ammonire la Heimwehr contro i pericoli che per la sua stessa esistenza si nascondono in quegli even

(-4) Cfr. n. 493.

tuali accordi segreti i quali si risolverebbero fatalmente nel suo assorbimento da parte partito di Hitler. Un'altra corrente fatta di social-cristiani e di legittimisti è avversa al partito nazionalsocialista, se pure non osa apertamente prendere posizione per riguardo interessi economici che legano l'Austria alla Germania e per la difficoltà di avversare a visiera alzata H pensiero nazionale pangermamico. Comunque sia la Heimwehr è indebolita e disunita ed ha perduto gran parte dell'anti,ca ,influenza sulle masse popolari. Vivo è fra di esse per note ragioni vecchie e recenti H malcontento contro Starhemberg e il desiderio disfarsene. Se ciò è stato possibile finora evitare per non suscitare una crisi di dissoluzione definitiva temo non potrà essere evitato a lungo. In quel caso estremo la soluzione migliore per salvare quello che ancora resta della Heimwehr mi sembrerebbe quella di ottenere che Starhemberg ne lasciasse volontariamente la direzione senza provocare scissioni ma rimanendo nelle file a collaborare.

(l) -Cfr. n. 490, Inviato a Innsbruck con protocollo particolare 11. (2J Non pubblicato. (3) -Cfr. n. 494.
495

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A TIRANA, KOCH

T. 797/61 R. Roma, 29 aprile 1933, ore 24.

Suoi telegrammi n. 95 e 96 (1).

Ne'l caso che Re Zog o membri codesto Governo manifestino anche a V. S. intenzione rivolgersi Governo italiano perché intervenga presso S.V.E.A. pe1 revisione fondamentale debito albanese, V. S. dovrà cercare dissuaderli da un tale passo, facendo osservare a titolo persona,le che Governo fascista ha già precisato nella sua risposta alla nota albanese del 17 febbraio lil suo punto di vista circa limiti nei quali avrebbero dovuto essere contenute trattative S.V.E.A. e che il Governo albanese invitando a Tirana i delegati della S.V.E.A. a seguito nostra risposta mostrava di avere accettato tale impostazione. Aggiungerà inoltre che una nuova nota albanese, venendo dopo una serie di atti poco amichevoli, !ungi dal sortire effetto desiderato, potrebbe produrre cattiva impressione.

Governo albanese dovrebbe invece approfittare del mese di sospensione delle trattative per approfondire esame cospicui vantaggi che delegati S.V.E.A. hanno offerto per sistemazione pagamenti arretrati e quelli anno in corso e per meritarsi dal Governo fascista note agevolazioni finanziarie connesse con trattative S.V.E.A., agevolazioni che in armonia con istruzioni impartitele con telegramma 56 (2), non potrebbero certo essere concesse in questo momento.

(l) -T. 1681/95 R. del 26 aprile e t. 1684/96 R. del 27 aprile, non pubblicati. (2) -Cfr. n. 441.
496

L'INCARICATO D'AFFARI A BELGRADO, CORTINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1760/112/75 R. Belgrado, [29 aprile 1933] (per. il 1° maggio)

Telegramma di V. E. n. 58 (l).

Da informazioni raccolte in que:;ti ambienti diplomatici e politici non risulterebbe che, almeno finora, .Francia Polonia Piccola Intesa avrebbero firmato accordo o quanto meno stabilito fronte comune per impedire revisione trattati e conferenza 4 Potenze proposta Italia.

Soltanto questo ministro Turchia ha ricevuto da suo collega in Bucarest comunicazione che Francia agirebbe su Benes per avvicinare quanto possibile Cecoslovacchia e Polonia. Stesso ministro avrebbe riferito che mentre si incontrerebbero difficoltà per un concreto riavvicinamento politico tra Polonia e Piccola Intesa, Polonia sembrerebbe disposta aderire ad eventuale intesa militare con Piccola Intesa.

497

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1762/288 R. Parigi, 29 aprile 1933 (per. il 1° maggio).

A telegramma 229 (2).

La notizia venuta da varsavia, e raccolta dalla stampa inglese e americana, della firma cioè di un accordo fra la Francia, la Polonia e la Piccola Intesa per impedire la revisione dei trattati e la conferenza delle 4 Potenze proposta dall'Italia, non mi sembra, a prima vista, fondata. Gli armeggi di Titulescu a Parigi e a Londra, seguiti dalla nota intervista di Benes a un giornale polacco, poi smentita, mi sembra consentano di ritenere sufficientemente accertato che gli Stati centro-balcanici non siano riusciti a indurre la Francia a firmare un accordo del genere di quello di cui è questione. V'è da tenere presente inoltre che la Francia nelle sue controproposte ha dato un'adesione di massima alla conferenza a 4, e non si potrebbe attribuirle, senza almeno un principio di prova, propositi sostanzialmente contrastanti con l'impegno che è disposta ad

assumere.

Per quel che riguarda «il fronte comune » mi pare che esso, sotto un certo aspetto, esista già, da qualche tempo. Può infatti considerarsi ormai accertato che gli accordi che legano la Francia agli alleati centro-balcanici contemplano il reciproco impegno di consultarsi nelle questioni di comune interesse. Ed è

proprio questo «fronte comune ~ che ha limitato la libertà di movimento della Francia di fronte al patto Mussolini. La redazione del progetto francese, incardinato, come ho osservato in una mia precedente comunicazione, sul patto ginevrino e limitato rigorosamente alle questioni interessanti le 4 Potenze contraenti, rivela, invero, più che l'ispirazione, la pressione degli Stati centro balcanici.

Mi riservo ad ogni modo di controllare l'informazione e di riferire all'E. V. le notizie che riuscissi a raccogliere in proposito.

(l) -Cfr. n. 483 che aveva 58 come protocollo particolare per Belgrado. (2) -Cfr. n. 483 che aveva 229 come protocollo particolare per Parlg.l.
498

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI

TELESPR. 213040/144. Roma, 29 aprile 1933.

Ho letto con interesse quanto V. E. mi riferisce con telegramma del 21 corrente n. 1620 (l) e che corrisponde, come Ella vedrà, anche a quanto il Signor Benes ha detto al R. Ministro a Praga, e che Le comunico a parte.

È evidente che il volere considemre la questione dell'Anschluss come un interesse se non esclusivamente, prevalentemente italiano, non corrisponde affatto alla realtà della situazione e non può essere che un più o meno abile mezzo tattico per mettere in evidenza sul terreno dell'Anschluss un presunto motivo di contrasto grave ed li.nsanabile fra Italia e Germania. Serve allo scopo anche l'accenno delle recenti conversazioni romane dei Ministri del Reich in cui il tema austriaco è stato toccato senza esserne stato né il principale né tanto meno l'unli.co argomento, come con arbitraria interpretazione si è voluto far credere. Anche se l'annessione o assorbimento dell'Austria nel maggior corpo del Reich germanico non può !asciarci completamente indifferenti in quanto che viene ad esercitare riflessi di carattere politico e militare in diretto rapporto con la nostra frontiera nord, sta però di fatto che il problema della Anschluss è e resta ciò non di meno un problema europeo, importante per i rapporti franco-germanici per i gravi riflessi su tutto il sistema politico-militare creato dalla Francia in Europa centrale ed orientale in contrappeso alla Germania.

L'aumento di potenza effettiva economica e militare e di prestigio politico che ne deriverebbe per la Germania, sarebbe una minaccia potenziale diretta alla Francia, un aumento del peso che questa dovrebbe fronteggiare sul Reno, e conseguentemente ed in pari rapporto, una minaccia per la Cecoslovacchia e la Polonia.

È appunto lo spostamento di equilibrio che ne deriverebbe in tutto il sistema europeo che fa dell'Anschluss una questione europea, a cui l'Italia si interessa in primo luogo come grande Potenza partecipante a quell'equilibrio. Evidentemente l'Italia non ha nessuna preoccupazione per la frontiera del Brennero che è una frontiera geograficamente e politicamente definita: il suo

raggiungimento da parte italiana chiude un processo storico, soddisfa ad una

nostra aspirazione secolare, ed è una delle pochissime frontiere fissate a Ver

saglia che possa considerarsi come definitiva.

Può essere anzi storicamente interessante rammentare che anche nel '25

in occasione della preparazione di Locarno vi furono da qualche parte tenta

tivi per fare apparire la questione dell'Anschluss da un lato come un interesse

prevalentemente italiano, dall'altro come una questione quasi locale e non

europe,a. Anche allora dovemmo reagire contro questi apprezzamenti che peral

tro sembrano doversi giudicare più come mezzi tattici che come indicazioni

del pensiero reale e intimo dei Governi dei Paesi interessati.

Come se ne presenti necessità e opportuna occasione, V. E. potrà utilmente

valersi delle considerazioni ed elementi che precedono nei suoi contatti con

persone di Governo e di codesti ambienti diplomatici e di stampa.

Per Sua norma ho dato comunicazione del presente dispaccio alle principali

R. Rappresentanze all'Estero per intonazione generale di linguaggio.

(l) Cfr. n. 445.

499

APPUNTO (l)

Roma, 29 aprile 1933.

Si unisce il testo richiesto peT telefono da S. E. Aloisi al Comm. Jacomoni.

È redatto sulla base delle ultime proposte tedesche (21 aprile) (2) e delle osservazioni fatte in successivi colloqui con gli Ambasciatori di Francia (3) e Gran Bretagna.

Non è stato ancora sottoposto a S. E. il Capo del Governo.

È in preparazione un progetto di risposta al memorandum francese.

ALLEGATO (4)

L'Allemagne, la France, la Grande-Bretagne, l'Italie:

conscientes des responsabilités particulières que leur impose leur qualité de memhres permanents du Conseil de la Société des Nations à l'égard de la Société elle-meme et de ses membres et de celles qui résultent de leur signature commune des accords de Locarno,

convaincues que l'état de malaise qui règne dans le monde ne peut ètre dissipé que par renforcement de leur solidarité susceptible d'affirmer en Europe la confiance dans la paix,

fidèles aux engagements qu'elles ont pris par le Pacte de la Société des Nations, les traités de Locarno et le Pacte Briand-Kellogg et se référant à la déclaration de nonrecours à la force dont le principe a été adopté le 2 mars dernier par la Commission politique de la Conférence du Désarmement,

soucieuses de donner leur pleine efficacité à toutes les dispositions du pacte.

(-4) Ed. In GIORDANO, pp. 191-102.

respectueuses des droits de chaque Etat dont il ne saurait etre disposé en dehors de l'intéréssé, sont convenues des dispositions suivantes:

Art. l.

Les Hautes Parties contractantes se concerteront sur toutes les questions intéressant le maintien de la paix et s'engagent de pratiquer entre elles et avec les tierces Puissances une politique effective de collaborations dans le cadre de la Société des Nations.

Art. 2.

Les hautes Parties contractantes, en vue de l'application éventuelle en Europe des principes concernant l'intégrité territoriale, les sanctions et la révision des Traités, enoncés aux articles 10, 16 et 19 du Pacte de la Société des Nations, décident d'examiner entre elles et sous réserve de décisions, qui ne peuvent etre prises que par les organes réguliers de la Société des Nations, toute proposition tendant à donner leur pleine efficacité aux principes susmentionnés.

Art. 3.

Elles déclarent que l'égalité de droits reconnue à l'Allemagne doit avoir une portée effective. L'Allemagne de sa part s'engage à ne réaliser cette égalité de droits que par étapes et dans un délai qui résultera par des accords successifs.

Les Hautes Parties contractantes réconnaissent que les memes principes s'appliquent aussi à l'Autriche à la Hongrie et à la Bulgarie.

Art. 4.

Les Hautes Parties contractantes affirment leur volonté de se concerter sur toutes questions d'intérét commun en Europe notamment sur toutes questions concernant la restauration de son économie.

Art. 5.

Le présent accord est conclu pour une durée de dix années à compter de l'échange des ratifications. Si, avant la fin de la huitième année, aucune des Hautes Parties contractantes n'a notifié aux autres son intention d'y mettre fin, il sera considéré comme renouvelé et restera en vigueur sans limite de durée les Parties contractantes conservant alors la faculté d'y mettre fin par une dénonciation avec préavis de deux années.

Art. 6.

Le présent Accord sera ratifié et les ratifications en seront échangées le plus tòt que faire se pourra. Il sera enregistré au Secrétariat de la Société des Nations conformément aux dispositions du Pacte.

(l) -L'appunto è anonimo. (2) -Cfr. n. 446. (3) -Cfr. n. 472.
500

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GABINETTO, ALOISI, E IL CAPO DELLA DELEGAZIONE TEDESCA ALLA CONFERENZA DEL DISARMO, NADOLNY

APPUNTO. Ginevra, 29 aprile 1933.

Venuto a parlarmi del disarmo, mi ha accennato al suo alterco di ieri con Massigli, su cui ho riferito stamane per telegramma (1). Io non ho creduto di

Signor Massigli ne ha colto occasione per una vivace e forse eccessiva replica di carattere completamente polemico. Nadolny ha risposto con un vibrato ma ben misurato ed efflcace discorso servendosi per la prima volta della lingua tedesca ».

40 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XIII

dovergli dare nessun consiglio di moderazione perché le difficoltà presenti e quelle inevitabHi future non potranno condurre ad altro che ad affievolire le già scarse speranze nella conclusione di un accordo basato sul progetto inglese, (che in fondo non è per noi l'ideale) e conseguentemente non potranno che maggiormente rafforzare nell'opinione pubblica la convinzione dell'opportunità del patto a quattro.

Secondo lui, per superare gli scogli della Conferenza non vi è altra via che quella di raccoglierei intorno a un tavolo lui, il delegato francese e io per cercare insieme una via di uscita. Anzi, siccome comprende benissimo che la Francia non potrebbe accettare una riunione in cui fosse sicura di trovarsi in minoranza, egli sarebbe disposto a dar prova della sua buona intenzione ammettendo alla riunione anche il delegato polacco. Gli unici che non potrebbe ammettere sarebbero i delegati della Piccola Intesa.

A questa strana proposta, che m'è sembrata sua personale, ho r[sposto facendogli notare che il patto a quattro, a lui ben noto, prevede appunto, come sua prima applicazione, la convocazione di conversazioni del genere in tema di disarmo.

Passato a parlare della situazione in Germania, si è espresso in termini di fosco pessimismo, criticando nel modo più aspro gli ultimi sviluppi della politica estera tedesca e lamentandosi del completo disinteresse di Berlino nei riguardi della questione del disarmo.

Accennando al prossimo cambiamento del Ministro degli Esteri, mi ha detto di sperare che la politica tedesca si orienti sempre più verso una stretta amicizia itala-germanica che, a suo modo di vedere, costituisce il fulcro degli sviluppi futuri della politica europea. A questo proposito egli teneva a dirmi tutta la soddisfazione per il costante aiuto fornitogli dal Governo italiano durante tutto il corso delle discussioni sul disarmo. Queste sue tendenze hanno per lo meno il pregio della sincerità perché mi son note da tempo, sin da quando eravamo insieme in Turchia.

(l) Con t. 1711/8 del 28 aprile, ore 23,40 Aloisi aveva riferito: «Nadolny nella sua diffusa presentazione e difesa degli emendamenti ha toccato qualche argomento polemico quale ad esempio inadempienza degli stati vincitori ad assolv8re dopo 14 anni impegno disarmo risultante dal Patto Società Nazioni.

501

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1750/292 R. Parigi, 30 aprile 1933, ore 12,40 (per. ore 14,30).

Il [discorso] di lord Grey che ha fatto seguito alla discussione ai Comuni del 13 apr.ile è largamente commentato dalla stampa come indice di un mutamento dell'opinione pubblica inglese in senso ostile alla Germania hitleriana.

Si scrive pure e specialmente si fa correre la voce negli ambienti politici, che Mac Donald ha assai modificato attenuandole le sue idee in materia di revisione di trattati.

Non mi rendo conto se il linguaggio di Chamberlain Churchill e lord Grey corrisponda a un reale cambiamento della situazione in Inghilterra nei riguardi della Germania e del patto Mussolini.

È fuori di dubbio che gli interventi degli uomini politici britannici di opposizione e le conversazioni di Washington ampiamente sf·ruttate come un successo

politico della Francia hanno prodotto un sensibile raffreddamento nel considerare patto delle 4 Potenze. La Francia che da qualche tempo è in preda a una particolare psicosi, ci ha abituato a crisi di questo genere.

502

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1757/314 R. Berlino, 30 aprile 1933, ore 15,12 (per. ore 18,15).

Ministro economia che pranzò alla R. ambasciata iersera mi aveva fatto avvertire che desiderava espormi un suo progetto.

Hugenberg mi disse in sostanza che di fronte accordo di Ottawa, politica americana e sistema economico sovietico, egli crede opportuno costituire in Europa un blocco il cui primo nucleo dovrebbe essere formato da Germania e Italia al quale potrebbero accedere anche gli altri Stati continentali europei e la Turchia con esclusione dell'U.R.S.S., senza che egli tenesse particolarmente all'accessione della Francia e degli Stati iberici. In tale blocco rimarrebbero in vigore dazi attualmente esistenti, salvo modificarne alcuni, ed essere introdotto un sopra dazio da riscuotersi ad una cintura estera del blocco, equamente ripartita, per servire al pagamento dei debiti, soprattutto all'America.

A suo avviso, anche, riuscendo iniziativa costituirebbe utile arma prossima conferenza mondiale dimostrando Inghilterra che sua politica preferenziale imperiale potrebbe essere attuata anche dai paesi europei fra loro.

Ho chiesto a Hugenberg se suo progetto avesse avuto approvazione Governo tedesco, egli mi rispose negativamente spiegando trattarsi idea sua personale che aveva desiderato esporre in primo luogo a me per conoscere avviso dell'Italia, ritenendo per parte sua che un blocco iniziale itala-tedesco, data importanza due economie e posizione geografica due paesi avrebbe avuto grande forza attrazione su altri Stati.

Mi ha promesso redigere e rimettermi memoriale esponendo per esteso sue idee. NeH'assicurare Hugenberg che avrei informato V. E. attirai sua attenzione sopra due punti che mi sembravano poco conformi politica dell'Italia e della Germania: creazione fronte unico contro gli Stati Uniti e ostracismo all'U.R.S.S., senza contare che non avevamo alcun interesse suscitare in questo momento ostilità della Francia e degli Stati iberici.

Trasmetterò memoriale appena mi sarà pervenuto.

Intanto informo V. E. che liquidazione Hugenberg può ormai considerarsi certa a scadenza non tanto lunga. Sua intransigenza nel non volere accedere partito nazionale socialista lo pone situazione impossibile dopo che Seldte con la sua potente organizzazione degli Elmi d'Acciaio aderirono movimento e riconobbero Hitler come loro capo supremo. Goering è del resto già partito in guerra contro Hugenberg rifiutando affidargli direzione economia Prussia.

Prego V. E. informare eventualmente S. E. Jung. (l).

(l) Per la risposta di Mussollni cfr. n. 548.

503

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI

T. 807/134 R. Roma, 30 aprile 1933, ore 22,30.

Suoi telegrammi 229, 230 e 231 (1).

Approvo suo atteggiamento tenuto nel colloquio con Imperatore. Provvedo per inviare volumi discorsi di S. E. il Capo del Governo, di cui V. S. potrà far dono a Sua Maestà.

504

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE RR. 1820/316 R. Berlino, 30 aprile 1933 (per. il 4 maggio).

Nel conversare iersera col ministro Goebbels, il discorso cadde anche sull'eventualità della visita a Roma del cancelliere Hitler. Goebbels mi disse che la visita stessa avrebbe -com'era logico -certamente luogo, ma che Hitler riteneva opportuno inviare per ora in Italia delle «staffette » evitando così i molti commenti che avrebbero accompagnato un suo viaggio in un momento particolarmente delicato com'è l'attuale.

505

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. ... (2).

Conferenza del disarmo -Ginevra, aprile 1933.

Dal mio arrivo ho avuto varie conversazioni con le personalità più spiccate delle varie delegazioni e della Società delle Nazioni, che attualmente sono presenti a Ginevra, per cercare di diffondere l'esatta cognizione dello spirito animatore del patto a quattro e svolgere così un'azione che controminasse quella svolta in senso opposto dalla Piccola Intesa.

Ho quindi visto successivamente Norman Davis, Eden, Maximos, Politis, Drummond, Avenol, Massigli, Pflugl, e altri ancora mi propongo di vedere, man mano che verranno, e specialmente gli scandinavi.

Dato che la Piccola Intesa mira a servirsi di questa campagna contro il patto come di una bandiera intorno a cui raccogliere un codazzo di stati minori che riconosca in lei la protettrice degli interessi dei piccoli, ho cercato di isolarla facendo opera di persuasione in difesa del patto presso questa stessa clientela di piccole potenze. Mi pare che effettivamente questa opera di persuasione abbia raggiunto qualche buon risultato. Anche il francofilo Politis mi ha detto di riconoscere l'opportunità della iniziativa di V. E. ai fini del mantenimento della pace in Europa.

Da quasi tutti mi è stata poi segnalata l'opportunità di un mio incontro con Benes. Ho risposto naturalmente di non avere, per parte mia, nulla in contrario.

Notevole, che da tutti sia stata biasimata l'azione svolta da Titulescu contro il patto, e specialmente i metodi balcanici da lui adottati. Oltre, infatti, ad essersi fastidiosamente intrufolato nella stessa vita politica francese con inopportune interviste accordate agli oppositori del Governo, egli ha ecceduto i limiti della prudenza esprimendo quasi nella forma di un ricatto l'idea che se per avventura la Francia avesse mancato di sostenere il punto di vista della Piccola Intesa nei riguardi del patto a quattro, la Piccola Intesa si sarebbe rivolta alla Germania.

Pur usando la massima leggerezza di tocco, io naturalmente non ho mancato di avvantaggiarmi delle incaute goffaggini del ministro rumeno.

(l) -Cfr. nn. 451, 452 e 460. (2) -Il documento è privo dl data.
506

COLLOQUI FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E GLI AMBASCIATORI A ROMA DI FRANCIA, JOUVENEL, DI GERMANIA, HASSELL, E DI GRAN BRETAGNA, GRAHAM

APPUNTO R. Roma, 1° maggio 1933.

Ho avuto ieri un colloquio con gli Ambasciatori de Jouvenel e Graham. Quest'ultimo ha presentato una nuova redazione dell'articolo 3 che con qualche modificazione è stata inclusa nel progetto di testo annesso.

L'ambasciatore de Jouvenel ha ritenuto personalmente di pote'r appoggiare il progetto che trasmetterebbe con parere favorevole questa sera a Parigi.

Ho avuto poi un colloquio con l'Ambasciatore von Hassell al quale ho dato relazione delle trattative avute questi giorni con gli Ambasciatori di Francia e d'Inghilterra. Gli ho consegnato il progetto di testo allegato dandogli le seguenti indicazioni:

La proposta tedesca relativa all'omissione della frase nell'alinea 5°: «et se conformant aux méthodes et procédures qui y sont prévues et auxquelles elles n'entendent pas déroger » è accolta.

Sull'articolo lo le proposte francese e tedesca collimano. Noi invece abbiamo insistito per includere una frase che indichi una estensione della politica delle quattro Potenze anche agli altri Stati in via di collaborazione.

Nell'articolo 2° si saTebbe arrivati ad una transazione fra il punto di vista tedesco e quello francese aggiungendo agli articoli richiamati dal Patto 10, 16 19, l'indicazione del loro contenuto. Sempre riguardo tale articolo si sarebbe proposto di parlare di articoli e non di «metodi e procedura » come vuole la Francia, né di principi come vuole la Germania.

L'articolo 3° avrebbe subito una sostanziale modificazione da quella proposta dal Governo tedesco, avvicinandosi invece al testo originale, a cui sarebbero premesse alcune considerazioni sui limiti del disarmo e il migliore metodo per raggiungerlo. La proposta che ha subito qualche modificazione, è stata presentata all'Ambasciatore Graham. Si è voluto per insistenza nostra mettere anche una frase relativa all'applicazione degli stessi principi agli altri Paesi disarmati dai Trattati.

Nell'articolo 4° si sarebbe accettata la proposta tedesca di escludere il richiamo all'unione Paneuropea.

L'Ambasciatore mi dà lettura di un telegramma ricevuto da Berlino nel quale si riferisce un colloquio avuto dall'Ambasciatore tedesco von Hoesch con Sir John Simon in cui si sono passate in rivista le proposte tedesche. Simon avrebbe riconosciuto la fondatezza del punto di vista tedesco per la modifica al 5° alinea del preambolo; riguardo l'articolo 2 Simon si sarebbe reso conto delle ragioni tedesche che vorrebbero ammettere la citazione dell'articolo 16. A questo riguardo l'Ambasciatore von Hassell mi dichiara di dover rettificare le sue precedenti dichiarazioni. Egli aveva ritenuto che l'omissione dell'articolo 16 nelle comunicazioni fattegli da Berlino fosse una pura dimenticanza, invece ha saputo poi che la cosa era fatta espressamente il che è giustificato dalle riserve che la Germania ha fatto sempre nei riguardi di tale articolo.

Faccio presente all'Ambasciatore che mi pare al punto in cui siamo difficile ottenere questa modifica; von Hassell mi risponde che comunque la proposta è stata fatta oltre che a Londra anche a Parigi e quindi si può attendere di sentire la reazione dei francesi. Gli osservo che il testo che stasera l'Ambasciatore de Jouvenel telefonerà a Parigi contiene però anche l'articolo 16. Questo punto quindi rimane riservato.

Sull'articolo 3° Sir John Simon ha detto a von Hoesch che il progetto tedesco non gli pareva assolutamente accettabile e che riteneva che neanche in Italia si sarebbe potuto accogliere; soprattutto per la questione dei cinque anni. Simon invece approva la proposta tedesca relativa all'articolo 4 di non richiamarsi alla Commissione Paneuropea. Tutto sommato quindi il punto di vista di Sir John Simon corrisponde a quello che ha informato il progetto allegato.

L'Ambasciatore von Hassell mi è parso persuaso della accettabilità di tale ultimo progetto: egli mi ha detto che lo avrebbe trasmesso a Berlino con parere favorevole e che farebbe del suo meglio per farlo accettare. Gli metto in rilievo l'opportunità per la Germania di uscire, attraverso questo Patto, dall'isolamento nel quale si trova attualmente di fronte all'estero e insisto sulla convenienza, dal punto di vista tedesco, dell'articolo 3 nella nuova redazione.

Io mi sono molto meravigliato che l'Ambasciatore de Jouvenel lo abbia accettato e temo forte che il Governo francese faccia delle difficoltà.

ALLEGATO I

PROJET DE PACTE D'ENTENTE ET DE COLLABORATION

to maggio 1933 (1).

L'Allemagne, la France, la Grande Bretagne, l'Italie conscientes des responsabilités particulières que leur impose leur qualité de membres permanents du Conseil de la Société des Nations à l'égard de la Société elle-méme et de ses membres et de celles qui résultent de leur signature commune des accords de Locarno,

convaincues que l'état de malaise qui règne dans le monde ne peut étre dissipé que par un renforcement de leur solidarité susceptible d'affirmer en Europe la confiance dans la paix,

fidèles aux engagements qu'elles ont pris par le pacte de la Société des Nations, les traités de Locarno et le pacte Briand-Kellogg et se référant à la déclaration de nonrecours à la force dont le principe a ét6 adopté le 2 mars dernier par la Commission politique de la Conférence du Désarmement,

soucieuses de donner leur pleine efficacité à toutes les dispositions du pacte, respectueuses des droits de chaque Etat dont il ne saurait étre disposé en dehors de l'intéressé, sont convenues des dispositions suivantes:

Art. 1.

Les Hautes Parties contractantes se concerteront sur toutes les questions qui leur sont propres et s'engagent à pratiquer entre elles aussi qu'avec les Tierces Puissances dans le cadre du Pacte de la Société des Nations une politique effective de collaboration en vue du maintien de la Paix.

Art. 2.

Les Hautes Parties contractantes en vue de l'application éventuelle en Europe des article 10, 16 et 19 concernant l'intégrité territoriale, les sanctions et tout nouvel exarnen des Traités, décident d'examiner entre elles et sous réserve de décisions qui ne peuvent étre prises que par les organes réguliers de la Société des Nations toute proposition tendant à donner leur pleine efficacité aux articles susmentionnés.

Art. 3.

Les Hautes Parties contractantes reconnaissent que le maintien de la paix exige la réduction des armements nationaux au minimum compatible avec la sécurité nationaie et que le succès de la conférence du Désarmement serait le meilleur moyen de réaliser cette fin. Elles renouvellent leur désir de coopérer avec les autres Puissances y représentées dans l'effort d'élaborer aussi rapidement que possible une convention assurant une réduction substantielle et une limitation des armements avec des dispositions pour sa révision ultérieure en vue de réductions nouvelles. La France, la Grande Bretagne et l'Italie de leur còté déclarent que le principe de l'égalité des droits doit avoir une valeur pratique pour l'Allemagne et les autres Etats désarmés par traité et l'Allemagne en ce qui la concerne recconnait qu'effet ne devra étre donné à ce principe de l'égalité des droits que par étapes et en vertu des accords à réaliser et auxquels chacune des quatre Puissances sera partie.

Art. 4.

Les Hautes Parties contractantes affirment leur volonté de se concerter sur toutes questions d'intéret commun en Europe particulièrement sur toutes questions concernant la restauration de son économie.

Art. 5.

Le présent Accord est conclu pour une durée de dix années à compter de l'échange des ratifications. Si, avant la fin de la huitième année, aucune des Hautes Parties contractantes n'a notifié aux autres son intention d'y mettre fin, il sera considéré comme renouvelé et restera en vigueur sans limitation, les parties contractantes conservant alors la faculté d'y mettre fin par une dénonciation avec préavis de deux années.

Art. 6.

Le présent Accord sera ratifié et les ratifications en seront échangées le plus tòt que faire se pourra. Il sera enregistré au Secrétariat de la Société des Nations conformément aux dispositions du Pacte.

ALLEGATO II

TESTO DELL'ART. 3 PROPOSTO DALL'AMBASCIATORE D'INGHILTERRA

1• maggio 1933.

Les Hautes Parties contractantes reconnaissent que le maintien de la paix exige la réduction des armements nationaux au minimum compatible avec la sécurité nationaie, et que le succès de la Conférence du Désarmement serait le meilleur moyen de réaliser cette fin. Elle renouvellent leur désir de coopérer avec les autres Puissances y représentées dans l'effort d'élaborer aussi rapidement que possible une convention assurant une réduction substantielle et une limitation des armements avec des dispositions pour sa révision ultérieure en vue de réductions nouvelles. La France, la Grande Bretagne et l'Italie de leur còté déclarent que le principe de l'égalité des droits doit avoir une valeur pratique pour l'Allemagne et l'Allemagne reconnait qu'effet ne devra ètre donné à ce principe de l'égalité des droits que par étapes et en vertu des accords à réaliser et auxquels chacune des quatre Puissances sera partie.

Les Quatre Puissances reconnaissent rp-1e ces mèmes principes s'appliquent aux autres Etats désarmés par traité.

(l) Ed. in SALATA, pp. 182-1S4 e in GIORDANO, pp. 192-193.

507

COLLOQUIO FRA IL CAPO GABINETTO, ALOISI, E IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI BULGARO, MUSCHANOFF

APPUNTO. Ginevra, 1° maggio 1933.

Ho incontrato Muschanoff che si trova a Ginevra principalmente per i lavori del Comitato Finanziario della S.d.N. Anche a lui ho dato esaurienti chiarimenti sullo spirito informatore del Patto a quattro ed egli mi ha assicurato di esserne convinto fautore. Io gli ho aggiunto però che, dato che il Patto era il presupposto di una politica essenzialmente favorevole alla Bulgaria, noi ci aspettavamo che la politica bulgara rimanesse costantemente orientata verso gli

iniziatori di questa tendenza e si sottraesse ad influenze estranee in senso contrario esercitate su di lei. Egli ha compreso l'allusione alla Piccola Intesa e ha riconosciuto che effettivamente pressioni erano state esercitate a Sofia dai Ministri di Cecoslovacchia e di Romania, senza peraltro ottenere alcun successo. Ultimamente è stato pregato di recarsi a Bucarest, ma egli ha lasciato cader l'invito. Mi ha detto che, fra l'altro, uno dei mezzi di cui si sono serviti i rappresentanti della Piccola Intesa è stato quello della pubblicazione di comunicati tendenziosi, fra cui l'ultimo comunicato Avala, che faceva apparire la Bulgaria come decisa ad aderire alla Piccola Intesa. Assai opportunamente tale comunicato era stato pubblicato subito dopo il suo incontro con Jeftic, allo scopo di meglio avvalorarne la credibilità. Comunque, mi ha di nuovo assicurato che la Bulgaria non si lascerà sviare dalla linea di condotta fin qui tenuta.

Anche a lui da tempo erano giunte le voci di un tentativo italiano rivolto alla costituzione di una intesa balcanica da contrapporsi alla Piccola Intesa, ed aveva già fatto del suo meglio per smentirle in questi ambienti di stampa ginevrini. Gli ho detto che anch'io mi sarei ancora sforzato di dissipare tali voci.

Mi ha parlato poi del suo viaggio a Parigi e a Londra, soffermandosi sulle impressioni più importanti che ne aveva riportato.

Mi ha confermato la cattiva impressione lasciata da Titulescu nei circoli politici francesi. Ha accennato alla situazione jugoslava dicendomi di aver la ferma convinzione, malgrado la differente opinione dell'addetto militare bulgaro a Belgrado, che egli sa esser molto legato al collega italiano, che il baluardo dell'esercito e la forza della dittatura saranno più che sufficienti a impedire qualunque disgregazione. Nei riguardi della Francia mi ha detto di aver l'impressione che il dissidio Daladier-Boncour vada divenendo più grave di quanto possa apparire, sicché egli prevede che Paul Boncour prossimamente esca dal gabinetto, lasciando il portafoglio degli Esteri a Daladier. Aggiungo che stamane corrono qui le voci delle dimissioni di Boncour. Circa gli umori dei circoli politici, mi ha detto di aver riscontrato negli ambienti radicali socialisti un certo raffreddamento verso la Piccola Intesa, e soprattutto verso Re Alessandro.

Qui, a Ginevra, si è incontrato con Maximos, ricevendone ottima impressione e costatando con soddisfazione che l'attuale governo greco nutre verso la Bulgaria disposizioni assai migliori di quelle dei precedenti governi. Maximos e lui hanno stabilito di incontrarsi con Tsaldaris alla conferenza di Londra allo scopo di discutere a fondo le cause del dissidio greco-bulgaro e possibilmente apportarvi rimedio.

Con la Turchia i rapporti sono eccellenti ed è attesa per settembre la visita di Ismet Pascià a Sofia, in restituzione della visita fatta or è qualche tempo da Muschanoff ad Ankara.

In ultimo siamo venuti a parlare delle relazioni itala-bulgare. Mi ha detto di essersi incontrato oggi con l'On. Tumedei e di averlo messo al co·rrente della situazione finanziaria bulgara. Mi ha vivamente raccomandato di pregare Tumede! di mostrarsi condiscendente verso il suo paese. Sia a causa di questa situazione e sia per non prestare il fianco a critiche degli avversari politici in questo momento in cui si discute del disarmo e in cui gli avversari politici accusano l'Italia di voler legare la Bulgaria al suo carro, egli avverte che le previste ordinazioni all'Ansaldo saranno alquanto limitate.

Quanto alle relazioni politiche, mi ha detto di avere costantemente nel ricordo l'intervista avuta a Roma con V. E., ma di essere nella impossibilità assoluta di manifestare troppo apertamente i propri principi e sentimenti. In occasione del viaggio a Parigi e a Londra, egli avrebbe voluto passare per Roma, ma se ne era dovuto astenere per la presenza dei Ministri inglesi. Mi pregava quindi di rendermi interprete dei suoi sentimenti presso il Capo del Governo. L'ho ringraziato, dicendo che l'Italia si rendeva perfettamente conto della difficoltà della posizione della Bulgaria e che non chiedeva quindi manifestazioni compromettenti, ma che semplicemente si attendeva che la Bulgaria non si allontanasse in nessuna occasione dalle fondamentali direttive di politica filoitaliana. Mi ha assicurato che tanto il Re, quanto il governo, quanto la nazione bulgara riconoscevano appieno il valore del costante aiuto italiano ed erano decisi a mantenersi nell'orbita della nostra politica (l).

508

L'ADDETTO STAMPA A VIENNA, MORREALE, AL VICE CAPO GABINETTO, JACOMONI

L. P. XXIII. Vienna, 1° maggio 1933.

Nelle lettere che io Le invio per darLe un sommario resoconto degli avvenimenti di qui (nella supposizione che i particolari Le siano comunicati da altra sede) Ella avrà riscontrata una linea di ottimismo della quale credo di doverLe chiarire la ragione. Premetto che, a mio avviso, gli scopi ai quali dobbiamo mirare sono :

2°) evitare che alla soluzione del problema austriaco possano direttamente contribuire i socialisti, sia perché una soluzione di tal genere rafforzerebbe l'opposizione nazional-socialista e non ci porterebbe quindi che ad una fase transitoria dalla quale si passerebbe alla soluzione nazista, sia perché essa porterebbe l'Austria nella sfera di influenza cecoslovacca, e perciò anche francese, temporaneamente od a lungo qualora la prima ipotesi non dovesse verificarsi;

3°) influire perché la soluzione sia italofila e fascista.

Ora io non credo che una popolazione possa di sua spontanea volontà rinunziare alla propria sovranità statale per adattarsi a diventare provincia e per giunta provincia subordinata ad un'altra per la quale non ha alcuna simpatia (la Prussia). A tale passo potrebbe essere spinta da una propaganda che trovasse in motivi contingenti, o nella miseria economica, i suoi appigli. Nel

caso specifico, fu un motivo contingente la vittoria dei << nazi » in Germania ed effettivamente si corse durante il mese di marzo il rischio di vedere Dollfuss cedere alle pressioni del momento per dar posto ad un gabinetto destinato ad indire le elezioni proprio in un momento in cui queste avrebbero avuto quale motivo elettorale il « nazismo ». Tale pericolo è stato superato, soprattutto da quando Dollfuss, sentendo l'appoggio dell'Italia si è sentito riconfortato nel suo antiannessionismo.

La situazione si è anzi chiarita, poiché al radicalismo dei « nazi » in fatto di annessione, o meglio di fusione col Reich, si è incominciato ad opporre un radicalismo austriaco sicché ora i partiti di gove·rno non si peritano più di parlare di indipendenza dell'Austria e di svolgere in nome del patriottismo austriaco la loro propaganda. È fuor di dubbio che le manifestazioni pubbliche in tal senso si moltiplicano ed hanno la loro influenza sullo stato d'animo generale: dall'uscita della social democrazia austriaca dalla «comunità di lavoro austro germanica per la propaganda dell'annessionismo», dal discorso di puro tono austriaco pronunziato dal presidente della repubblica Miklas alla inaugurazione della esposizione del Principe Eugenio di Savoia, dai discorsi affermanti l'idea dell'indipendenza di Dollfuss e di Vaugoin, si passa al riconoscimento di Dollfuss per i principi sempre sostenuti dalle Heimwehren in un discorso da lui pronunziato venerdi 28 aprile, ad una riunione di capi heimwehristi per l'ammissione nel movimento del Principe Schomburg, capo dell'associazione austriaca dei combattenti, si giunge infine alla pubblica affermazione dell'arcivescovo castrense austriaco che la propaganda per l'annessione, allo stato attuale delle cose, confina coll'alto tradimento. A tale concetto si è ispirato da ultimo Starhemberg nei suoi colloqui con i sotto capi. Ed è notevole che i nazional-socialisti, sentendo forse quanto sia pericolosa questa reazione hanno negli ultimi giorni messa molta acqua nel loro annessionismo: i loro giornali non insistono sull'argomento, ed oggi stesso il capo viennese Frauenfeld, nel dis·corso tenuto al comizio dei nazionalsocialisti per festeggiare la «festa del lavoro nazionale», ha detto che i nazi non pensano all'annessione, ma una volta conquistato il potere andranno da Hitler a presentargli un'Austria, come la Germania, nazional-socialista.

Il risorgere dell'idea patriottica austriaca, suscettibile, in mille forme, di consolidamento giustifica anche la presunzione che il tempo lavori contro i «nazi », tanto più che non bisogna dimenticare che l'austriaco è pur sempre un « austriaco», anche se sedotto dal nazismo, e quindi contrario a soluzioni radicali

o che, comunque, siano tali da scuotere con troppa violenza la sua tranquillità di spirito e di vita.

Motivo di ottimismo, passando al secondo punto della premessa, può essere la constatazione che il partito social-democratico si è ridotto alla convinzione che solo restando sul terreno costituzionale può sperare dal governo un ritorno alle garanzie parlamentari della costituzione. Può essere interpretata in tale senso la rinunzia successiva ad ogni affermazione di forza, fino al più che tranquillo svolgimento della passeggiata, più che pacifica ed a gruppi isolati, fatta oggi dagli iscritti al partito davanti ai cavalli di Frisia ed alle mitragliatrici schierate dall'esercito a difesa del Ring, arena tradizionale del corteo rosso. L'atteggiamento sempre più favorevole preso da Dollfuss in questi ultimi giorni per le Heimwehren, dovrebbe pure dimostrare che egli intende lasciare i socialisti fuori da ogni combinazione di governo o tornare al parlamentarismo.

Circa il terzo punto si può osservare che da quanti ammettono ineluttabile l'abbandono delle antiche formule democratiche si crede ad un orientamento che comunque, sia direttamente, sia attraverso il nazismo, attinga al fascismo e sia quindi italofilo.

Ma bisogna fare i conti anche colla situazione economica del Paese e colla propaganda dei « nazi ~ che è senza dubbio svolta con molto tecnicismo e quindi efficiente. Ne sono un segno i risultati delle elezioni di Innsbruck, della settimana scorsa e quelle svoltesi ieri in altri cinque comuni. I «nazi ~ riescono a ravvivare l'atmosfera elettorale ed a trascinare alle urne una percentuale di elettori più alta del consueto: .guadagnano tutti o quasi tutti i voti dei pangermanisti e, presumibilmente quelli delle nuove reclute della scheda elettorale. Denaro in giro ce ne deve esser ora parecchio: non è senza significato il fatto che il padrino del passaggio delle Heimwehren dissidenti della Stiria al nazionalsocialismo è stato l'ing. Neubacher, presidente dell'associazione per la propaganda dell'annessione in Austria (il Deutsch-Oesterreichisches Volksbund) e che io ritengo finanziatore di tutto il movimento annessionista. <Incidentalmente noto il Neubacher è anche presidente dell'associazione «Werkbund ~ che essendo la maggiore istituzione per lo sviluppo delle arti applicate all'industria, ha organizzato la partecipazione austriaca alla Triennale di Milano; non è quindi da escludersi che egli si rechi colà per l'inaugurazione). Ma quel che più importa è l'appoggio che il Reich dà al nazional-socialismo austriaco. Alla agitazione elettorale di Innsbruck parteciparono automobili cariche di nazi provenienti dalla Baviera; il Ministro dell'istruzione bavarese tenne ad Innsbruck un discorso contro il governo Dollfuss né, sebbene annunziato dalla stampa è seguito alcun passo diplomatico da parte del governo austriaco. Sulle cantonate di Vienna è apparso da ieri l'altro manifesto artistico: una daga circondata da due fiamme stilizzate: sotto due croci uncinate, una delle quali reca al centro uno stemma dai colori austriaci, rosso bianco e rosso, laltra lo stemma dai colori germanici, rosso bianco e nero e l'aquila germanica: sul manifesto anche la scritta: << Ein Volk Ein Reich ». E questo per parlare di quanto è visibile e notorio e per trascurare le missioni che si recano in Germania (una missione ufficiale di deputati comunali nazional-socialisti alla cerimonia dell'inaugurazione del Reichstag a Berlino, una missione di operai nazi alla festa del lavoro nazionale); molta altra partecipazione sfugge, ma è per esempio a mia conoscenza che si promette agli impiegati statali sollecitati ad entrare nelle file dei nazi di tenere segreta la loro iscrizione la quale potrà essere effettuata direttamente a Berlino. Si aggiungano le forme di terrorismo usate per convincere i pencolanti alla adesione: la minaccia più o meno esplicita di cacciarli dall'impiego dopo l'avvento del nazismo al potere etc. Tutto ciò ha il suo valore, ma non ha un suo fondamento nelle idee che ancor oggi appaiono importate dall'estero, pur se questo estero si chiama Germania: mi fa quindi sperare che davanti a decisioni definitive il cittadino austriaco possa dimostrarsi più preoccupato della sorte del proprio paese che degli opportunismi personali.

Né la remissività del socialisti è senza pericoli poiché potrebbe sedurre l'ala sinistra del partito cristiano sociale e caldeggiare la causa dei rossi, con evidente indebolimento della volontà di Dollfuss. È stato a Vienna il ministro dell'agricoltura cecoslovacco Hodza: deve avere armeggiato con il vicecancelliere Winkler, agrario, che circa un mese e mezzo fa era stato in visita a Praga, con Strafella, membro ancora influente del partito cristiano sociale, ed in qual senso abbia potuto lavorare è facilmente arguibile, dato l'interesse della Cecoslovacchia a sollevare la sorte dei social-democratici austriaci.

Si potrebbe dedurre da tutto ciò l'opportunità di aiutare anche sul terreno economico il governo Dollfuss e vien fatto di chiedersi se non sia possibile, da parte nostra, effettuare con azione rapida, ma a carattere temporaneo, spostamenti di importazione facendo giungere dal mercato austriaco generi che noi già importiamo da altri mercati. Dico questo perché mi è passata per le mani la richiesta in tal senso di un industriale austriaco, produttore di accciai speciali che noi attualmente importeremmo per la maggior parte dalla Cecoslovacchia, richiesta che io ho trasmesso privatamente a S. E. Rossoni perché veda se non sia il caso di affidarla contemporaneamente allo studio del ministero degli esteri e delle corporazioni. Lo stesso forse potrebbe farsi per altri articoli come il legname.

Perdoni, egregio amico, se entro così in materia che non mi riguarda direttamente, ma è il desiderio di vedere avviate per il meglio le cose che mi spinge a tali considerazioni.

Chè, la posta in giuoco è forte e forti ì mezzi di cui dispone la Germania: da parte nostra si è fatto finora tutto il possibile, ma la battaglia è ancora in pieno svolgimento.

l 0 ) evitare una soluzione «nazista » del problema austriaco, nel senso che l'Austria non deve, di fatto, se non di diritto, essere assorbita dalla Germania;

(l) n presente documento reca il visto di Mussolini. Fu trasme&so a Parigi, Londra, Ankara, Mosca. Atene, Belgrado, Sofia con telespr. 214058/C del 9 maggio.

509

L'ADDETTO STAMPA A VIENNA, MORREALE, AL VICE CAPO GABINETTO, JACOMONI

L. P. XXIV. Vienna, to maggio 1933.

Rispondo alla sua del 25 aprile (l).

Certo è tutt'altro che confortante che tra i capi delle Heimwehren siano ancora da lamentare lotte intestine. E però le sarà giunta notizia che Starhemberg è riuscito vittorioso dalla piccola congiura ordita ai suoi danni e che è stata una conseguenza non solo delle discordie di cui il movimento aveva sofferto in passato, ma anche delle pressioni esercitate dai «nazi » per sconquassare il movimento. Questo, giusta le assicurazioni datemi oggi stesso da Starhemberg in un colloquio del quale riferirò particolareggiatamente appresso, poiché me ne manca ora il tempo materiale, migliora e si rafforza. Starhemberg è convinto della necessità di fare «repulisti » dei capi infidi, ma vuoi prima rafforzare i contatti diretti cogli uomini. Conta molto sull'adunata di ventiventicinque mila Heimwehristi che sta organizzando per il 14 corr. a Vienna.

Circa la propaganda, è fuor di dubbio che le Heimwehren delle quali due mesi fa si parlava appena, sono tornate all'ordine del giorno. Le invio copia degli affissi ed altro materiale di propaganda diffuso in Austria in questi due mesi, nonché un esemplare di ciascuno dei loro giornali.

Col prossimo corriere seguirà un resoconto dettagliato (1).

(l) Cfr. n. 473.

510

IL MINISTRO AD ATENE, DE ROSSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1788/150 R. Atene, 2 maggio 1933, ore 19,05 (per. ore 22,45).

Telegramma di V. E. n. 67 (2).

Da informazioni raccolte risulterebbemi che fra Governi greco e bulgaro si sta cercando, anche con concorso ministri Turchia ad Atene, formula in base alla quale, pur rimettendo a tempo più propizio risoluzione nota difficoltà, oggetto precedente accordo Molloff -Cafandaris, fosse possibile ristabilire cordiali rapporti fra Grecia e Bulgaria, addivenendo anzitutto ad accordi commerciali e possibilmente poi ad accordi più intimi e più vasti.

Mi •risulta altresì che ministro degli affari esteri g.reco collaborerebbe a Ginevra con Muscianoff per facilitare tale intesa.

Da parte confidenziale risulta anche che egli avrebbe telegrafato ieri suo Governo mostrandosi soddisfatto risultato conseguito. Numan bey mi ha iersera assicurato che per quanto lo concerne ha fatto e fa possibile affinché favorevoli intenzioni bulgaro-greche possano al più presto dare favorevoli risultati.

P.er quanto rigua.rdami ho fatto il possibile presso parti in causa affinché si dileguassero malintesi rinnovatisi anche in questi ultimi giorni per dichiarazioni Metropolita Sofia circa Tracia.

Ma se si vuole raggiungere qualche risultato concreto è desiderabile che Governo bulgaro faccia possibile per frenare ogni atto imprudente e inconsulto nazionalisti Tracia e Macedonia e azione illegale comitagi su emigrati greci. Basterebbe infatti un fatto imprudente per distruggere opera paziente intesa normalizzare relazioni greco-bulgare e per compromettere eventuali futuri più larghi accordi con Bulgaria.

Vi sono infatti vigili e attenti nemici che sono pronti profittare ogni minima occasione per mettere Governo greco, già scarso di forze e di decisioni, in condizioni non poter più continuare trattative in corso e alcuni uomini politici Grecia che per ragioni ideologiche o anche per soli antagonismi partitari non ammettono accordi con Bulgaria se non nel quadro di una più vasta intesa panbalcanica, i quali sono pronti sabotare complesso buone intenzioni che preparano adesso accordo fra Grecia e Bulgaria.

Riservomi inviare più complete informazioni in merito allorché sarà tornato in residenza ministro degli affari esteri e allorché abbia avuto nuovi colloqui con Numan bey avanti sua partenza Grecia.

(l) -Gfr. n. 516. (2) -Cfr. n. 464.
511

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI

T. 848/47 R. Roma, 2 maggio 1933, ore 23.

Con mio telegramma 539/32 del 31 marzo scorso (l) V. E. era stata autorizzata a fornire spiegazioni su patto a quattro e a comunicare a codesto Governo che nella conversazione di Roma non si era parlato della questione del corridoio.

V. E. potrà quindi fare a codesto Governo precisazioni in tal senso. Ella potrà aggiungere che sia nelle conversazioni di Roma che in quelle successive e tuttora in corso il Governo italiano non ha mai fatto accenno ad alcuna particolare questione. Esso ha voluto soltanto fissare una procedura che permetta eventuale applicazione pacifica articolo 19 patto Società Nazioni.

512

IL MINISTRO A PRAGA, ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1817/93 R. Praga, 2 maggio 1933 (per. il 4).

Mi riferisco ai telegrammi di V. E. n. 54 del 27 aprile (2), e nn. 57 e 58 del 2 maggio (3).

Dalle indagini che ho compiuto anche presso i colleghi interessati non mi risultano confermate le notizie ~gnalatemi circa la presunta prossima conclusione di un trattato di amicizia e di collaborazione tra la Polonia e la Cecoslovacchia.

È tuttavia da ritenersi probabile che tra la Cecoslovacchia e la Polonia sia in gestazione, se non un vero e proprio patto d'amicizia, per lo meno qualche comune manifestazione di solidarietà di fronte alla politica revisionista. Del resto Benes, come è noto, nel suo grande discorso ha annunciato l'intenzione di « convenire con la Polonia dei principi di un'amicizia perpetua e permanente». È quindi verosimile -e su ciò sono d'accordo anche con i miei colleghi predetti -che Benes cel'chi di ottenere al riguardo qualche concreto risultato prima della riunione della conferenza della Piccola Intesa -indetta per la fine di maggio -che ne riuscirebbe valorizzata e rafforzata.

Continuerò a seguire la cosa con ogni attenzione riservandomi di riferire quanto potrà risultarmi.

Quanto alle notizie pubblicate sulla stampa americana e inglese circa un accordo tra Francia, Polonia e Piccola Intesa in materia di revisione dei trattati e di patto a quattro, neppure mi è stato possibile averne conferma.

In questi circoli diplomatici non sembra probabile che la Francia si induca ad assumere impegni formali verso i paesi in questione, sulla cui solidarietà, specialmente in materia di revisione dei trattati, essa sa benissimo di poter sicuramente contare senza bisogno degli impegni suddetti. Comunque, anche a questo riguardo mi riservo di indagare ulteriormente e di riferire.

(l) -Non pubblicato: riassumeva il contenuto degli articoli del patto a quattro. (2) -Cfr. n. 483 inviato a Praga con protocollo particolare 54. (3) -T. 818/57 R. e 819/58 R., non pubblicati.
513

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1891/329 R. Berlino, 2 maggio 1933 (per. il 7).

Miei telegrammi 277, 281 e 302 (1).

Von Btilow mi disse in occasione di una recente mia visita ch'egli mi era ancora debitore di un'informazione relativamente al colloquio del 9 aprile fra il cancelliere Hitler e questo ambasciatore di Francia.

Egli mi confermò quanto mi aveva detto barone von Neurath, che cioè François-Poncet aveva parlato al cancelliere di un «patto di garanzia e reciproco appoggio». Hitler non avrebbe risposto, ma viceversa il ministro della Reichswehr, generale von Blomberg, presente, avrebbe preso la parola dicendo che della cosa i francesi avevano già discorso a Ginevra, senza peraltro che i tedeschi l'avessero trovata di loro gradimento. Dopo di ciò Hitler si sarebbe espresso nel senso indicatomi dal barone von Neurath, che la Germania non scorgeva utilità di ulteriori patti di questa natura.

Von Biilow aggiunse che mentre da quanto gli risultava l'atteggiamento di Hitler sarebbe stato cortesemente negativo, François-Poncet avrebbe avuto l'impressione e riferito a Parigi che il cancelliere si era mostrato interessato alla sua proposta.

Von Biilow si domandava se François-Poncet non avesse voluto illudersi ed illudere il proprio Governo al riguardo.

514

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

L. 9838. Roma, 2 maggio 1933.

Ho trasmesso al Capo il tuo ultimo rapporto (2) sulla conversazione con Austen Chamberlain.

Il Duce mi ha detto espressamente di farti sapere che lo ha trovato molto interessante.

Occorrerebbe ora che MacDonald e Simon influissero sul Governo francese per far accettare l'ultimo progetto di patto a quattro che ti viene trasmesso separatamente.

Tanto de Jouvenel, che Graham, che von Hassell hanno dichiarato che avrebbero appoggiato il detto progetto presso i loro rispettivi Governi.

Ti unisco copia di un recente colloquio coi 3 Ambasciatori sopraddetti (l) che ti metterà al corrente anche delle dichiarazioni fatte da Simon a von Hoesch.

La cosa sarebbe urgente anche per le notizie che giungono da Parigi di una possibile vicina crisi ministeriale.

(l) -Cfr. n. 477 e nota 2 allo stesso. (2) -Cfr. n. 467.
515

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. RR. 1809/842. Berlino, 2 maggio 1933.

S. E. il Presidente del Consiglio prussiano e Ministro dell'Aeronautica del Reich Goering trovò, al suo ritorno a Berlino dal viaggio in Italia, una quantità ingente di lavoro che attendeva di essere sbrigato. Non volendolo importunare con una mia visita in quei primi giorni gli feci dire dal Segretario di Stato Koerner che mi facesse sapere lui quando mi poteva ricevere.

Egli mi convocò in ora pomeridiana odierna al nuovo Ministero dell'Aeronautica.

Mi congratulai con lui per la sua nomina a Presidente del Consiglio di Prussia e per la perfetta organizzazione della Festa del 1° maggio che riuscì veramente imponente ed ordinatissima. S. E. Goering era raggiante e mi disse che dai calcoli fatti erano intervenuti a Tempelhof circa un milione e mezzo di persone. Il servizio d'ordine era stato efficiente perché la cerimonia terminò alle ore 22 ed alle 24 egli ricevette l'annuncio che il campo di Tempelhof era completamente evacuato.

Dopo di ciò Goering mi parlò del suo viaggio in Italia, dicendo che non poteva dirmi sufficientemente quanto egli era grato a V. E., al Ministro dell'Aeronautica, al Segretario del Partito N.F., ai Ministri della Guerra e della Marina per l'accoglienza veramente calorosa e cordiale fattagli e per le numerose cortesie usategli.

L'unico punto nero erano stati i suoi colloqui con S. E. Suvich. Il Ministero degli Affari Esteri non gli si era mostrato amico ed aveva dimostrato di non aver fiducia nelle sue promesse.

L'arrivo improvviso a Roma di quel dannato (verfluchte) Dollfuss aveva complicato ancora di più le cose. Egli non riusciva a capire che cosa si volesse in Italia. Gli si era parlato di divergenze di vedute italo-tedesche per la questione dell'Austria mentre egli

41 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XIII

escludeva che ci fosse tale diversità di vedute. Scorgeva solo l'esistenza di un problema politico che poteva e doveva essere risolto fra Mussolini e Hitler e che a suo parere lo era anzi già, visto che V. E. gli aveva dichiarato chiaramente che l'Italia non avrebbe potuto ammettere, nel momento presente, l'Anschluss dell'Austria alla Germania e ch'egli le aveva risposto dandole ogni affidamento in proposito, assicurandola cioè che sarebbe stato impartito l'ordine ai nazional-socialisti, tanto in Germania che in Austria, di non parlare dell'Anschluss per ora e sino a che l'Italia vi si opponesse, ed aggiungendo che della questione dell'Alto Adige non si sarebbe parlato mai più.

Invece S. E. Suvich era sempre ritornato sull'argomento del pericolo che i nazional-socialisti austriaci, qualora avessero voce in capitolo a Vienna, sventolassero la bandiera dell'Anschluss ed a nulla erano valse le ripetute sue assicurazioni in proposito.

Egli si domandava se il Ministero degli Affari Esteri in Italia avesse esatta conoscenza di ciò ch'egli rappresenta in questo momento in Germania. Egli era stato fatto segno da parte del Cancelliere delle maggiori prove di fiducia. A dire il vero, per parte sua, il Duce lo aveva subito compreso ed aveva valutato in tutto il suo valore il telegramma di Hitler, pervenutogli a Roma, che gli annunziava la nomina a Presidente del Consiglio di Prussia. Al suo ritorno qui egli aveva avuto ancora estesi i suoi poteri con la facoltà di nominare tutti i Ministri prussiani e di nominare e revocare tutti i funzionari statali. Inoltre aveva avuto la nomina a Ministro dell'Aeronautica e, non aprpena la Germania potrà possedere una flotta aerea militare, sarà nominato pure Comandante Generale dell'Aeronautica. Ma tutto ciò non bastava. Egli non invano aveva combattuto per tanti anni i governi socialisti e quelli del centro criticando la loro politica estera perché non era basata sopra una stretta amicizia coll'Italia. Andati al potere i nazional-socialisti egli aveva detto a Hitler che dell'Italia si sarebbe occupato lui. Il Ministero degli Affari Esteri funzionava come corpo tecnico esecutivo di direttive politiche che, per quanto concernevano i problemi esteri interessanti in qualunque modo l'Italia erano impartite da lui personalmente. Non tollerava discussioni al riguardo e Hitler era perfettamente d'accordo con lui.

Dato quanto precede io dovevo comprendere com'egli fosse rimasto male impressionato riscontrando da parte del R. Ministero degli Affari Esteri un senso di sfiducia nei suoi riguardi.

Del resto le informazioni che il Governo italiano aveva circa gli avvenimenti in Austria erano errate. Egli non vedeva perché noi insistessimo a voler appoggiare Dollfuss. Poteva assicurarmi che fra tre o quattro mesi di Dollfuss non si sarebbe più nemmeno ricordato il nome, perché le elezioni avrebbero dato una votazione imponente ai nazional-socialisti e questi sarebbero andati al Governo a Vienna, così come ci erano andati a Berlino, e avrebbero anche in Austria fatto piazza pulita del marxismo.

Avendo ascoltato in silenzio sino a questo punto lo sfogo molto accalorato di Goering, gli domandai se egli credesse proprio necessario di addivenire a delle elezioni in Austria, visto che l'azione politica che Dollfuss sta attualmente svolgendo mira precisamente a combattere il marxismo ed a ristabilire il principio di autorità.

Goering riprese il suo dire ricordando innanzi tutto che S. E. Suvich sembrava temere che le elezioni dessero ai socialisti austriaci il modo di rialzare la testa e di far propaganda. Egli non scorgeva tale pericolo perché l'Austria avrebbe dovuto seguire l'esempio della Germania, dove, durante la campagna elettorale, non era stata consentita l'uscita di alcun giornale comunista e socialista.

Le elezioni si dovevano fare e si faranno. Senza elezioni i nazional-socialisti non possono avere rappresentanti al Parlamento austriaco e l'averne un numero ragguardevole, se non il possedere la maggioranza, era una premessa indispensabile per afferrare poi tutto il potere. Lo si era visto in Germania e lo si vedrebbe presto anche in Austria.

A tutto ciò che lo aveva amareggiato assai si era poi unito un fatto ch'egli non si sarebbe mai aspettato e che -me lo poteva e doveva dire -aveva prodotto un'impressione assai penosa anche a Berlino. Intendeva parlare del conferimento di un'alta onorificenza italiana a Dollfuss, tanto più inattesa in quanto che questi aveva dichiarato di recarsi a Roma essenzialmente per visitare il Papa in occasione dell'Anno Santo e concludere il concordato.

Egli sapeva che i rapporti di Dollfuss con V. E. si erano limitati ad un solo colloquio al Palazzo Venezia (l) e ad un pranzo offertogli.

Ma il conferimento della decorazione era stato sfruttato da Dollfuss come una sua vittoria sopra di lui, Goering, ed al suo ritorno a Vienna Dollfuss, oltre a pubblicare il noto comunicato circa l'appoggio ottenuto dall'Italia aveva fatto spargere fra i nazional-socialisti a scopo di intrigo contro di lui e per farlo ritenere un traditore del germanesimo, la voce che V. E. gli avrebbe detto che lui, Goering, le aveva offerto di spartire l'Austria in due parti, fra l'Italia e la Germania. Si trattava di una falsità. V. E. aveva probabilmente accennato con Dollfuss alla proposta fattale da lui, Goering, di ripartire fra Italia e Germania l'aiuto economico di cui l'Austria aveva bisogno e che sarebbe stato necessario darle per toglierla dall'orbita politica della Francia. Ma quando mai aveva egli, Goering, parlato di una spartizione territoriale dell'Austria tedesca?

Gli intrighi di Dollfuss dovevano essere controbattuti ed egli aveva già impartiti gli ordini necessari al riguardo.

A Vienna un paio di giornali scandalistici, rispondendo sempre allo stesso ordine di intrighi, avevano pure scritto che V. E. aveva voluto imporre a lui, Goering, un'umiliazione facendolo accogliere e invitare a colazione dal Ministro Balbo che era un ebreo e gli aveva dato da mangiare cibi rituali.

Egli Goering aveva già dato istruzioni ai suoi amici in Austria di prendere nota di questi giornali e mi poteva assicurare che il giorno in cui i nazionalsocialisti avrebbero avuto il potere a Vienna, quei giornali avrebbero cessato la loro pubblicazione.

Tornai a parlare io per osservare ch'egli mi aveva detto una cosa che mi sembrava molto giusta, quella cioè che il problema austriaco avrebbe probabilmente trovato una soluzione soddisfacente attraverso un colloquio MussoliniHitler. Dovevo ritenere che presto o tardi l'incontro fra il Duce ed il Ftihrer avrebbe avuto luogo e mi sembrava opportuno lasciare intanto che le cose si svolgessero normalmente, senza provocare scosse violente.

Goering mi rispose, essendosi calmata la sua agitazione anteriore, che la sua impressione era quella che V. E. personalmente non fosse del tutto convinto che Dollfuss fosse l'uomo provvidenziale per l'Austria. Gli sembrava che

V. E. credesse piuttosto che bisognasse attendere lo svolgimento degli avvenimenti per poi trarre le conseguenze.

Domandai a Goering che cosa gli risultasse dell'intenzione di Dollfuss di venire a Berlino, e lo feci per controllare le altre notizie avute e già riferite a V. E.

Goering rispose ch'egli non sapeva nulla di quel progetto e che Dollfuss avrebbe fatto bene ad astenersi dal venire in Germania. E, come perseguendo un'idea fissa, tornò a parlarmi dell'onorificenza italiana concessa a Dollfuss dicendomi che se questa gli fosse stata conferita un mese o due dopo il suo viaggio a Roma egli non avrebbe trovato nulla a ridire, ma che datagli com'era stata a Roma gli aveva permesso di sfruttarla ai danni suoi, di Goering.

La mia impressione fu che in tutto quanto mi disse Goering e che fedelmente riferii a V. E., parola per parola, vi fosse un fondo di dispiacere per non aver ricevuto un'onorificenza italiana lui pure. Egli parlò infatti con troppa insistenza della decorazione data a Dollfuss. I tedeschi sono tutti avidi di decorazioni ora che, per le nuove disposizioni, possono nuovamente riceverne dagli Stati esteri.

Per togliere la conversazione dall'argomento scabroso dell'Austria di cui devo, giusta le istruzioni impartitemi, astenermi per quanto possibile di parlare, chiesi a Goering se fosse esatto che contasse di ritornare in Italia entro questo mese. Egli mi rispose che pensava farlo compiendo un raid aereo con un apparecchio potente Berlino-Tripoli, senza scalo fermandosi al ritorno in Italia, ma che non poteva precisare sin d'ora se e quando ciò avrebbe avuto luogo.

Goe11ing mi parlò dell'invito da lui rivolto a S. E. Balbo di venire a Berlino, come prima tappa continentale europea, tornando dal raid transatlantico nordamericano, e disse che in seguito alla sua accettazione, avrebbe preparato al Ministro dell'Aeronautica ed ai suoi compagni atlantici un ricevimento molto solenne. Era sua intenzione invitare a Berlino le maggiori notabilità del mondo politico italiano perché salutassero qui S. E. Balbo al suo ritorno sul vecchio continente. Stava già dando disposizioni perché fosse arredato il « BellevuePalais » antica residenza del Kronprinz per alloggiarvi S. E. Balbo ed altri eminenti uomini di Stato. Gli altri e la maggior parte degli aviatori saranno alloggiati all'Albergo Kaiserhof. Tutti saranno ospiti del Governo del Reich e riceveranno accoglienze solenni. Vi sarà una serata di gala all'Opera e probabilmente una gita a Bayreuth per assistere colà agli spettacoli wagneriani.

Goering, ormai del tutto calmato, accennò a questo punto della straordinaria cordialità colla quale egli era stato, in ogni suo incontro, trattato da V. E. e del consiglio da lei datogli mesi or sono di mettersi bene con i francesi. Egli lo aveva seguito ed aveva detto a François-Poncet prima di partire per Roma che contava recarsi in volo anche a Parigi per trattare pure colà i vari problemi connessi con le linee aeree fra la Francia e la Germania. Non voleva però essere accolto a fischi e quindi lasciava all'ambasciatore di Francia di determinare l'epoca opportuna e di ind1cargliela. Egli intanto si sarebbe recato in Italia per discutere gli stessi problemi aerei interessanti i due paesi ed anche per trascorrervi la Pasqua, giusta un suo bisogno sentimentale che gli faceva ripensare alle molte Pasque trascorse a Roma nella sua giovinezza.

All'Ambasciatore François-Poncet aveva parlato pure della necessità per la Germania di potersi difendere e quindi di possedere anche i necessari mezzi aviatori.

Era notorio che i soli apparecchi di bombardamento erano armi offensive. A queste egli rinunciava ma non poteva rinunciare agli apparecchi da caccia, che per avere un'autonomia limitata a poche ore di volo, non potevano servire che a scopi difensivi.

Egli confidava che si sarebbe potuto raggiungere qualcosa al riguardo a Ginevra.

Goering aggiunse di aver promesso a V. E., così come prometteva a me, che noi saremmo sempre stati informati per filo e per segno delle sue conversazioni con i francesi.

Egli accennò poi al patto a quattro dicendo di avere esercitato una forte pressione -che ad un dato momento divenne proprio molto energica -sull'Ambasciatore von Hassell per indurre lui e l'Auswartiges Amt a non insistere sulle primitive osservazioni fatte circa la questione degli armamenti. Alla Germania in fondo interessava soprattutto di poter avere avanti a sé quattro anni di pace per poter lavorare tranquillamente. Bisognava quindi agevolare e non ostacolare la conclusione del patto a quattro.

A questo punto Goering mi domandò se fosse vero che il Barone von Neurath avesse avuto una posizione eccezionalmente buona a Roma. Gli risposi affermativamente e dissi che l'attuale Ministro degli Affari Esteri aveva avuto indubbiamente il merito di informare esattamente i governi socialisti e del centro tedeschi dello sviluppo del Fascismo, talché cessate varie ragioni di freddezza che era meglio non rievocare, aveva potuto crearsi un'atmosfera molto serena la quale era stata il preludio di quella di intima cordialità attuale.

Gli domandai poi, a mia volta, perché mi avesse fatto questa domanda e se essa fosse in relazione con un eventuale ritorno del Barone von Neurath a Roma.

Goering rispose che, a suo giudizio, il Barone von Neurath lascerà presto l'Auswartiges Amt, cedendolo probabilmente al signor von Papen. Si domandava però se il Barone von Neurath avrebbe avuto ancora un posto diplomatico.

Accennai alle notizie giuntemi secondo le quali lo stesso Cancelliere potesse prendere la direzione dell'Auswartiges Amt. Goering mi domandò che cosa ne pensassi. Risposi che il provvedimento mi sarebbe sembrato molto logico perché la politica estera è intimamente connessa con la politica generale di un paese com'è la Germania. Goering osservò dal suo lato che la cosa potrebbe farsi, ma che occorrerebbe porre a lato di Hitler una persona molto esperta e di assoluta fiducia del Partito Nazional-socialista.

Gli domandai allora se fosse vero che si pensasse a Rosenberg per il posto di Segretario di Stato agli Affari Esteri. Goering rispose che una tale scelta gli sarebbe sembrata infeLice. Rosenberg poteva andare al massimo come Ambasciatore a Mosca. Espressi qualche dubbio che i Soviet gli accordassero il gradimento per essere Rosenberg un Iettane e quindi un ex-suddito dello Czar e perché egli è continuamente attaccato dai giornali sovietici che lo consi

derano nemico acerrimo dell'U.R.S.S. Goering scoppio m una sonora risata e mi disse che il pensiero che Rosenberg non potesse riuscire gradito «nemmeno» ai bolscevichi lo divertiva molto. Gli dissi che avevo piuttosto sentito parlare di sue aspirazioni per il posto di Roma. Goering rispose che ad evitare una tale iattura avrebbe pensato lui perché Rosenberg sarebbe stato l'uomo meno adatto per rappresentare la Germania in Italia. Egli aveva un candidato proprio per Roma. Chiesi se si pensasse a togliere il signor von Hassell e mi fu risposto ,che probabilmente se ne avrebbe bisogno altrove. Premettendo che mi parlava a titolo del tutto privato e confidenziale, Goering mi disse ch'egli pensava di far destinare a Roma come Ambasciatore il signor Fritz Thyssen, il grande industriale della Ruhr. A Roma occorreva un Ambasciatore ricco, che sapesse far buona figura, che godesse della fiducia assoluta di Hitler e sua, di Goering, e che avesse comprensione per i problemi economici oltre che per quelli politici. Thyssen possedeva tutti questi requisiti ed aveva per di più una ammirazione sconfinata per V. E. e per il fascismo.

Visto che eravamo sul terreno delle confidenze domandai a Goering quale fosse la posizione del Ministro Hugenberg nel Gabinetto del Reich.

Goering scoppiò in un'altra risata e mi disse che avevo visto come lo trattava lui: non gli aveva affidato i dicasteri economici prussiani e lo aveva pertanto messo nella condi:>Jione di non muoversi, perché mancandogli la possibilità di occuparsi degli affari prussiani che costituivano più del 60 per cento di tutti gli affari tedeschi, era un Ministro del Reich impotente.

Potevo calcolare che fra tre mesi Hugenberg non sarebbe più stato Ministro. Però nessuno lo avrebbe mandato via. Hitler era d'accordo con lui di lasciare che gli industriali e gli agricoltori insorgessero contro Hugenberg e lo costringessero ad andarsene dal Governo.

Dissi a Goering che gli avevo parlato di Hugenberg perché a me interessava sapere quale fosse la sua posizione, dato che egli mi aveva intrattenuto di un suo progetto di blocco europeo, pregandomi di sottoporlo al R. Governo. Avevo potuto appurare che si trattava di un'idea personale sua che non aveva ancora l'approvazione del Governo del Reich. Ma essa aveva suscitato in me varie apprensioni che credevo sarebbero state condivise dal Governo fascista, dato che il blocco di cui si tratta avrebbe dovuto essere costituito senza l'U.R.S.S., contro l'America e l'Inghilterra e possibilmente senza l'adesione della Francia e degli Stati iberici.

Goering saltò su dalla propria sedia, lasciò andare un pugno formidabile sul tavolo, diede vari epiteti poco parlamentar,! a Hugenbetrg e mi domandò di giudicare io stesso se fosse possibile andare avanti con un Ministro dell'Economia che ogni giorno usciva fuori con delle idee che erano una più bislacca dell'altra.

Quando ero andato da lui avevo incontrato sulla soglia l'Ambasciatore dell'U.R.S.S. Io potevo pensare quale sforzo avesse dovuto fare lui, Goering, per riceverlo e conversare amabilmente. Analoga cosa aveva fatto quattro giorni fa Hitler, perché ad est della Germania c'era la Polonia ed occorreva stare in buoni termini con l'U.R.S.S. quali che fossero le sue idee politiche. Ma mentre Hitler e lui facevano degli sforzi per far ritornare normali le relazioni con i soviet, saltava fuori Hugenberg con delle idee come quelle a me esposte.

Dissi a Goering che tenesse la cosa per sé, così come essa sarebbe stata tenuta riservatissima dal Governo Fascista. Poiché del resto essa era destinata a non avere seguito, il male sarebbe stato poco.

Ma Goering osservò giustamente che non tutti gli Ambasciatori erano animati dal desiderio di non creare imbarazzi alla Germania e che Hugenberg, con la sua ambizione ed incoscienza sarebbe stato capacissimo di andare domani ad esporre qualche nuova sua trovata ad un altro Ambasciatore che si sarebbe subito affrettato a sfruttarla a danno della Germania.

La lunga conversazione terminò con l'intesa che Goering mi chiamerà ogni qual volta vorrà parlare meco e che io chiederò di vederlo quando avrò qualcosa di interessante da comunicargli o _da chiedergli.

Da questo colloquio ho tratto l'impressione che devono esistere serie divergenze di vedute fra Goering e l'Auswartiges Amt, che certamente non vorrà riconoscergli il diritto di ingerirsi in questioni che ritiene di sua esclusiva competenza. Ricordo in proposito quanto disse Koepke a questo Incaricato d'Affari d'Ungheria (mio telegramma per corriere n. 303 del 26 aprile scorso) (l). Questo stato di cose a'ccellererà un mutamento di uomini all'Auswartiges Amt, senza che si possa peraltro dire per il momento chi sostituirà g1i attuali dirigenti della politica estera tedesca. Fu interessante la constatazione che lo stesso Goering è avverso a Rosenberg e che sperava potesse andare come Ambasciatore a Mosca, evidentemente perché vi si rompesse le gambe.

Il signor Fritz Thyssen è uno deg1i industriali più noti della Germania e sovvenzionò finanziariamente in modo molto largo il movimento nazional-socialista. Ebbi occasione di conoscerlo e ne ritrassi la migliore impressione cosicché se le intenzioni di Goering dovessero realizzarsi e se egli dovesse rappresentare la Germania a Roma, credo che dovremmo compiacercene.

L'attitudine di Goering nei riguardi di Hugenberg conferma le mie precedenti informazioni che la posizione di quest'ultimo nel Governo è quanto mai precaria.

(l) Cfr. n. 506.

(l) Cfr. n. 411.

516

L'ADDETTO STAMPA A VIENNA, MORREALE, AL VICE CAPO GABINETTO, JACOMONI

L. xxv. Vienna, 2 maggio 1933

Ho intrattenuto a lungo ieri Starhemberg sulla situazione politica generale e su quella del movimento delle Heimwehren. Mi è sembrato assolutamente sicuro del fatto suo e convinto che finirà coll'aver ragione.

Situazione interna. Gli ho fatto notare l'errore di governo nel consentire che le elezioni comunali diano successivamente modo ai «nazi » di svolgere una più intensa propaganda e gli ho espresso il parere che sarebbe opportuno, nel caso che non fosse possibile evitare il ripetersi di elezioni comunali, di presentare ovunque candidature esplicitamente heimwehriste se ciò, come è avvenuto a Stockerau il 30 corr., può servire ad attirare una parte dell'elemento giovanile

evitando che resti preda della propaganda nazista. Mi ha risposto che probabilmente fino all'autunno venturo di elezioni comunali non ve ne saranno, che in ogni modo egli è già d'accordo col Cancelliere Dollfuss che saranno fatti tutti i preparativi perché alle varie liste dei partiti governativi se ne costituisca una sola intitolata «fronte patriottico» in modo da andare sostituendo alla idea dei partiti quella di un blocco che vuole il rinnovamento dello Stato sulla base di una costituzione e di un ordine nuovo.

Gli ho detto che mi par difficile che gli egoismi elettorali vengano così rapidamente messi da parte; ma egli ha insistito nel dirmi che i suoi sforzi presso Dollfuss consistono nel convincerlo che non vi è altra salvezza se non in un ordinamento fascista e, intanto, nell'isolamento dei social-democratici e dei nazional-socialisti in modo che su di essi pesi, agli occhi dell'opinione pubblica la responsabilità della continuazione della politica partigiana. Secondo lui l'elemento determinante in Austria è il contadino: la rivoluzione tentata nel 1918 dai socialisti non mise radici nel paese perché i contadini erano contrari; fallì per lo stesso motivo il tentativo rivoluzionario del 1927, fallirà la propaganda del nazi. Nel caos attuale la classe degli agricoltori attribuisce al parlamentarisma tutte le colpe della crisi e poiché bisogna dare ad essa idee semplici non vi è di meglio che aiutarla in questa avversione crescente per i partiti. Dollfuss, personalmente, si andrebbe convincendo che anche il partito cristiano-sociale ha fatto il suo tempo: meritate od immeritate che siano, gli sono state addossate molte colpe, quindi se vuol salvare le idee fondamentali del proprio programma ed i suoi uomini non può far di meglio che cambiar facciata. Il fatto che Dollfuss, accogliendo un'idea che egli nutriva da tempo, si sia deciso ad annunziare, nel suo proclama sui cinquanta giorni di attività di governo, la costituzione di «un fronte patriottico» dimostra che si mette su questa strada. Del resto, egli è del parere che la sirena germanica non potrà continuare a lungo ad esercitare le sue seduzioni: gli orientamenti del nazional-socialismo cominciano a destare in Austria la preoccupazione che la Germania, per dar forma concreta al socialismo nazionale, vada incontro al bolscevismo: le statistiche dell'esportazione germanica dall'avvento di Hitler in poi, faranno aprire gli occhi a molti.

Circa lo sviluppo della propria propaganda, Starhemberg ha intenzione di proclamarsi prossimamente, nei comizi e per mezzo dei suoi giornali, il primo pangermanista; in questo senso: che egli difendendo l'indipendenza dell'Austria rivendica i meriti che questa ha avuto nella diffusione del germanesimo verso l'oriente e le aggiudica tale funzione anche per il futuro; i nazional-socialisti invece sono i traditori del germanesimo perché dal pangermanismo son passati al panprussianesimo: e per l'Europa sarà una disgrazia se tutte le terre che ospitano stirpi di razza germanica si prussianizzeranno.

Gli ho risposto che regoli come meglio crede la sua tattica purché gli scopi non cambino e lo Starhemberg mi ha confermato che egli mira: 1° all'indipendenza dell'Austria; 2° ad un'organizzazione sociale del paese che ripeta le norme del fascismo.

Poiché molte delle idee esposte da Starhemberg le ho ritrovate stamane in un discorso pronunziato due giorni fa da Dollfuss ma pubblicato soltanto oggi dai giornali, arguisco che i suddetti orientamenti tattici siano stati concordati tra Dollfuss e Starhemberg.

Questi lamenta ancora che nel gabinetto vi sia della zavorra che ·impedisce a Dollfuss di procedere con maggiore energia e rapidità ed io insisto nel consigliargli di preparare gradualmente Dollfuss ad un brusco cambiamento verso destra delle attuali condizioni di governo, poiché sono convinto che verrà il momento in cui Dollfuss dovrà accelerare i tempi e far cadere gli impacci se non vorrà andare a finire con tutti i suoi amici in qualche «campo di concentrazione » de,i nazionalsocialisti austriaci.

Condizioni interne del movimento. Starhemberg mi assicura che non ha affatto ragione di lamentarsene: i capi provinciali, qualcuno escluso, sono degli arrivisti e dei profittatori, ma gli uomini sono buoni e fedeli: se di ciò non fosse convinto egli abbandonerebbe la direzione del movimento. Una centralizzazione di esso non è facile; ma spera che il contatto diretto coi sotto capi e cogli uomini porterà gradualmente all'esautorazione dei capi provinciali. Gli atteggiamenti assunti da taluno di questi in occasione dell'ultima piccola congiura gli hanno per altro insegnato ad essere più diffidente e a non distribuire sussidi se non assicurandosi una contropartita. Alberti, capo provinciale della Bassa Austria, è tornato alla ragione, lo stesso afferma di Steidle per il quale hanno fatto buon giuoco le minacce di mettere in pubblico qualche ricevuta da lui firmata. In Istiria si sta tentando per mezzo di emissari di allontanare gli uomini rimasti fedeli ai capi dissidenti passati al nazional-socialismo; da altre provincie gli vengono segnalate nuove e numerose iscrizioni; i parroci si sono riconciliati, davanti al pericolo nazista, coll'heimwerhismo e se ne fanno i sostenitori, non nutre insomma nessuna preoccupazione. L'annunzio che le Heimwehren saranno arruolate come forze di polizia ausiliaria comincia a produrre il suo effetto propagandistico; ma più e meglio si ripromette dalla adunata delle Heimwehren a Vienna indetta per il 14 maggio. Spera di riunire nel parco di Schonbrunn da venti a venticinquemila uomini che farà sfilare in città. La notizia dell'adunata è stata accolta in parecchie provincie con grande entusiasmo ed egli ha bisogno non solo di mettere in movimento i militi, ma di far constatare ai viennesi la falsità dell'affermazione nazista che le Heimwehren non esistono più. Il cancelliere Dollfuss gli ha promesso il suo intervento alla riunione di Schonbrunn. Mi chiede se l'aiuteremo, ma io non approfondisco la cosa, in attesa di parlare con persona di fiducia che sta vicino a lui per sapere se effettivamente ne ha bisogno.

Politica ungherese. Informo Starhemberg che negli ultimi giorni mi son dovuto convincere che qualche elemento della locale legazione di Ungheria crede realizzabile il seguente piano: l'Ungheria appoggerebbe i Nazi, in cambio dovrebbe ottenere da questi l'assicurazione che, giunti al governo, si adopererebbero a stringere ,i vincoli politici tra l'Austria e l'Ungheria. In tali condizioni l'Italia potrebbe ritenersi garantita: poiché da un canto i nazi dimostrerebbero che essi stessi non ritengono l'annessione attuale, d'altro canto l'annessione stessa sarebbe resa praticamente più difficile; potrebbe quindi anche essa appoggiare il nazional-socialismo austriac3. Prego quindi Starhemberg di fornirmi elementi, se ne raccoglierà, su un simile progetto dal quale trasparirebbe l'intenzione di alcuni circoli ungheresi, che non sl preoccupano affatto dell'annessione, di trovare una giustificazione al loro nazismo. Il mio interlocutore mi informa intanto che egli per suo conto è convinto, anche giudicando da certe manovre dell'arciduca Albrecht, di cui Ella deve essere già a conoscenza, che i legittimisti ungheresi non vedrebbero affatto di mal occhio i nazi al governo d'Austria poiché l'annessione, di fatto o di diritto, costringerebbe l'Ungheria a pensare ai casi propri ed a risolvere la questione monarchica in senso legittimista. Sarebbero vinte anche le tergiversazioni di Ottone di Asburgo il quale spera ancora di potere realizzare una completa restaurazione a cominciare dall'Austria, dato che egli sarebbe prima imperatore d'Austria e poi re d'Ungheria.

(l) Cfr. n. 478.

517

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 1808/173 R. Vienna, 3 maggio 1933, ore 14,45 (per. ore 17,45).

Da buona fonte sono informato che Benes metterebbe in ogni rilievo il fatto che sarebbe stato invitato da V. E. a recarsi a Roma durante il corrente mese. Da parte sua questo ministro di Cecoslovacchia avrebbe dichiarato ad un diplomatico austriaco che Benes lo avrebbe interrogato circa opportunità accettare invito di V. E. Detto ministro avrebbe espresso parere che accettazione avrebbe dovuto essere subordinata alla previa conoscenza preciso oggetto conversazioni (l).

518

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1805/106 R. Bucarest, 3 maggio 1933, ore 18,18 (per. ore 18,30).

Il signor Titulescu mi ha detto che il mese passato a Ginevra .in seguito ad un intervento dell'ambasciatore de Jouvenel egli aveva appreso che V. E. sarebbe stato disposto a riceverlo mese passato ma che il Ghika gli aveva trasmesso il consenso di V. E. alla visita a Roma in termini cosi oscuri da scoraggiarlo anziché incoraggiarlo. Intanto fra ieri e oggi alcune personalità intime di Titulescu, e per evidente suo mandato, sono venute a mustrarmi gli effetti chiarificatori che nei rapporti fra Italia e Romania potrebbe avere un incontro fra V. E. e ministro degli affari esteri romeno e a darmi la loro assicurazione che Titulescu è ansioso di recarsi a Roma e che al minimo cenno

da parte di V. E. che detto incontro sarebbe gradito, egli prenderebbe il treno per Roma (l).

Ho risposto che delle ·intenzioni del signor Titulescu, così come mi erano manifestate non ero in grado di informare V. E. Esse, se mai, dovevano essermi manifestate da fonte diretta.

(l) Annotazione a margine di suvich: «Nessuno lo ha mai invitato. Far sapere a Aloisi. 4-5-33 XI». Suvich rispose poi a Preziosi con t. 885/110 R. del 5 maggio, ore 18,30 quanto segue: « Notizia non ha nessun fondamento. Quanto precede per sua opportuna norma di linguaggio. Per sua informazione aggiungo che In conversazioni con R. ministro Praga vi è stato qualche accenno di un desiderio di Bene§ ad essere invitato a Roma. Accenno è stato lasciato cadere».

519

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GRANDI, E A PARIGI, PIGNATTI

T. PER CORRIERE 856 R. Roma, 3 maggio 1933.

(Per Parigi) Riservato. Ho telegrafato alla R. ambasciata a Londra quanto segue:

(Per tutti) Telegramma di V. E. n. 310 (2).

Ringrazi Simon proposito continuare collaborare Parigi e Berlino per superare difficoltà che sussistono definizione testo patto. Gli dica anzi che tenuto anche conto telegramma di V. E. n. 310 ho disposto che ministero avesse scambi di vedute personali con questi ambasciatori Francia, Inghilterra, Germania. Ne è risultato un progetto di patto che pur non impegnando nessuno, intenderebbe far possibilmente avanzare trattative (3). Ne allego testo che ambasciatore Inghilterra trasmette pure per conto suo; e resto in attesa di conoscere osservazioni di codesto Governo come dei Governi tedesco e francese ai quali è stato contemporaneamente comunicato dai rispettivi ambasciatori.

Coll'occasione richiamo sua attenzione su telegramma n. 857 R. (4) col quale le invio per informazione il telegramma diretto a Berlino in argomento. Ella giudicherà fino a quel punto intrattenerne confidenzialmente Simon nell'interesse dell'azione da svolgere per agevolare ed affrettare conclusione patto, dalla cui adozione dovrebbero avvantaggiarsi anche lavori disarmo a Ginevra nonché quelli della prossima conferenza economica mondiale.

520

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, CERRUTI, A LONDRA, GRANDI, E A PARIGI, PIGNATTI

T. PER CORRIERE 857 R. Roma, 3 maggio 1933.

(Per Parigi e Londra) Riservato. Ho telegrafato alla R. ambasciata a Berlino quanto segue:

(2l Cfr. n. 469. 13l Cfr. n. 506, allegato

( 4) Cfr. n. 520.

(Per tutti) Mi riferisco suo telegramma per corriere n. 301 (l) e alle osservazioni da Hassell (2) comunicatemi ultimamente circa nuovo progetto francese per patto a quattro.

È necessario che codesto Governo si renda conto mutato atteggiamento opinione pubblica mondiale suoi riguardi. Sono convinto che presto o tardi opinione pubblica modificherà suo atteggiamento: oggi però occorre che Governo germanico ne tenga conto e regoli in conseguenza sua politica. Mi rendo conto difficoltà dinanzi opinione pubblica interna; ma è certo che questo è il miglior mezzo di influire su opinione pubblica mondiale.

Ella potrà opportunamente attrare attenzione codesto Governo su discorsi sulla Germania pronunciati 28 aprile da Grey e Lloyd George, nonché atteggiamento opinione pubblica inglese quale risulta da articoli Manchester Guardian Observer ed altri. Anche editoriale pubblicato da Times in risposta a Grey sebbene più conciliante nella forma ripete sostanzialmente stesse preoccupazioni e conferma attuale tendenza opinione pubblica britannica. Intonazione è ben diversa da precedenti articoli.

Notizie da Washington rilevano parimenti stessa evoluzione poco simpatica per la Germania. Vengo informato che in occasione visita Herriot Roosevelt si sarebbe espresso in senso nettamente contrario riarmamento Germania.

È evidente che dal giorno della presentazione del patto a quattro situazione internazionale si è mutata e non poco contro la Germania: di questo fatto bisogna evidentemente tenere debito conto nei negoziati relativi. È inoltre noto a codesto Governo quante difficoltà incontrino in una parte assai autorevole dell'opinione pubblica francese quanti svolgono opera favorevole all'accettazione del patto a quattro: di qui la necessità di evitare ogni passo falso che, sfruttato in appoggio alle tesi ostili, possa tra l'altro far ricadere sulla Germania eventuale fallimento trattative.

Analoghe considerazioni valgono per atteggiamento delegazione tedesca alla conferenza del disarmo specie in quest'ultima fase. Tesi più adatta ad acquistare simpatia specialmente opinione pubblica anglosassone resta sempre quella di servirsi parità di diritti per portare Francia a sostanziale riduzione armamenti. Germania sembra mostrare troppo chiaramente che per parità di diritti intende invece suo diritto a riarmare.

Maggiore ostacolo è rappresentato oggi da richiesta tedesca realizzare completa parità di diritti entro cinque anni. Limite di tempo in cui Germania raggiungerà parità assoluta di diritti dipenderà dalla misura del disarmo e dalle circostanze che lo accompagneranno, nonché dai suoi ulteriori sviluppi e non può quindi fissarsi a priori.

Con firma patto a quattro Germania rientra in pieno concerto Potenze europee ed assume non solo di fatto ma anche di diritto posizione conforme sua importanza quale fattore determinante politica generale. Nel quadro del patto a quattro, data naturale evoluzione della politica europea e con una linea di condotta abile Germania può contare su continui favorevoli sviluppi questioni che maggiormente la interessano.

Patto a quattro contiene sostanzialmente affermazione due principi basilari politica tedesca: revisione e parità concreta.

Risultati che così si otterrebbero sembrano di tanta importanza da valere sacrifici anche apparentemente gravi, quale può apparire rinuncia limite cinque anni.

In questi giorni ambasciatori Francia, Inghilterra, Germania, hanno avuto scambi personali di idee con Ministero e ne è risultato un progetto di patto che tiene conto considerazioni sopraesposte (1). Progetto non impegna nessuno e intende soltanto fare possibilmente avanzare trattative. Ne allego testo che ambasciatore Germania trasmette pure per conto suo; e resto in attesa di conoscere osservazioni di codesto Governo come dei Governi britannico e francese, ai quali è stato contemporaneamente comunicato dai rispettivi ambasciatori.

(l) Annotazione a margine di Mussolini: «No>>. (l) -Cfr. n. 476. (2) -Cfr. n. 446.

521

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, CERRUTI, A LONDRA, GRANDI, E A PARIGI, PIGNATTI

T. PER CORRIERE 858 R. Roma, 3 maggio 1933.

Testo progetto inviatole con telegramma n.

(per Berlino) 857 R.

(per Londra) 856 R.

(per Parigi) 855 R. (2)

non fa riferimento né a progetto inglese disarmo né a richiesta tedesca per il conseguimento parità assoluta entro cinque anni né a dichiarazione 11 dicembre 1932 (3). In proposito ritengo utile indicarle ragioni che hanno indotto a questa non inclusione.

Il patto a quattro mira a fissare le linee di una politica di intesa per un lungo periodo di anni. Il Governo italiano dubita quindi molto che in esso possano trovare posto conveniente atti o proposte che -per essere collegate ad una singola fase di una questione specifica, sia pure essa cosi importante come quella del disarmo --non possono non essere di natura contingente. II Governo italiano riferisce questo ragionamento sia a determinati progetti di disarmo a cui il patto a quattro dovesse riferirsi, sia a proposte di fissare nel patto un limite di tempo entro il quale la parità dei diritti possa trovare piena e completa realizzazione.

Un progetto di disarmo, per buono che sia, non può rappresentare nelle circostanze attuali che una tappa sulla via della riduzione degli armamenti, e fra qualche tempo dovrebbe essere superato. Sarà anzi questo superamento la prova del suo successo.

Analogamente l'indicazione di un numero di anni in cui la parità sarà piena e completa, dipende dalla misura del disarmo e dalle circostanze che lo accompagneranno, e non può essere stabilita se non in relazione ad esse. La questione del disarmo è tuttavia tale che il Governo italiano è indotto a considerarla come la prima questione da risolversi nello spirito e secondo i criteri che ispirano il patto a quattro e gli altri patti e atti complementari del Covenant ai quali esso si ricollega. In questo ordine di idee esso vedrebbe quindi con favore che il progetto inglese, al quale ha dato la propria adesione, formasse oggetto di un protocollo separato che ne contenesse l'approvazione in principio

o che almeno affermasse la volontà delle quattro Potenze di considerarlo come utile base di discussione.

Di quanto precede ella potrà opportunamente e confidenzialmente intrattenere codesto Governo in relazione alle conversazioni personali che hanno avuto luogo a questo Ministero con i tre ambasciatori di Inghilterra, di Francia e di Germania (l).

(l) -Cfr. n. 506, allegato. (2) -Cfr. nn. 519 e 520. Con t. 855 Plgnattl veniva avvertito che l t. 856 e 857 R. gLi venivano inviati per informazione personale ed orientamento. (3) -Cfr. serie VII, vol. XII, n. 530.
522

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1877/165/109 R. Bucarest, 3 maggio 1933 (per. il 6).

Sono stato pregato dal signor Titulescu di passare da lui: e per quanto io abbia capito perfettamente quanto mi ha detto, e che qui sotto ripeterò, devo candidamente aggiungere che non ho potuto afferrare con esattezza a che cosa egli veramente mirasse con la sua conversazione.

Ha cominciato col dirmi che la crisi in seno al partito nazional-tzaranista gli dava qualche preoccupazione. Maniu insisteva col voler lasciare la direzione del partito. La successione poteva essere presa da Vaida Voevod: ma ad essa aspirava anche Mihalache. Queste rivalità avrebbero comunque indebolito i nazional-tzaranisti. Quale sarebbe stata l'azione di Maniu dopo aver lasciato la « leadership :. ?

Dopo aver continuato ad illustrare per un pezzo la situazione interna, è passato con salto brusco a parlarmi della politica estera. Non condivideva il pensiero di Benes su certa parte del suo discorso del 25 aprile; specialmente là dove Benes accennava a prendere una posizione di minore intransigenza rispetto alla questione dell'Anschluss. Che significavano queste parole? «La Piccola Intesa considera il problema dell'Austria come uno di quelli che una futura collaborazione pacifica delle 4 Grandi Potenze potrebbe veramente risolvere nell'interesse della pace dell'Europa. La Piccola Intesa accetterà volentieri la decisione finale che fosse proposta su questo punto d'accordo con le Grandi Potenze e con l'adesione dell'Austria. L'Anschluss non è una questione che interessa unicamente la Cecoslovacchia: ma concerne anzitutto l'Austria, e poi tutta l'Europa. Non esistono dunque notevoli dissidi fra la Germania e la

Piccola Intesa né ci sono, e noi speriamo che non ci saranno neanche nel futuro, notevoli divergenze fra la Cecoslovacchia e la Germania ».

Queste parole avevano per Titulescu un senso oscuro. La Piccola Intesa, come l'intendeva lui, poteva anche collaborare con la Germania, ma la Romania non avrebbe mai ammesso l'Anschluss, che significava l'assoggettamento alla Germania di tutta l'Europa sud-orientale. Su questo punto Benes non aveva espresso l'opinione concorde della Piccola Intesa.

Non mi è parso che Titulescu parlasse con tono di seria preoccupazione: egli aveva piuttosto l'aria di chi volesse svegliare soltanto la mia attenzione, e sentire la mia opinione. Mi sono limitato a rispondergli che dovevo rilevare come in una così importante questione internazionale la politica cosidetta comune dei tre Stati della Piccola Intesa mostrava già una prima incrinatura.

Titulescu, visto che le sue allusioni non facevano presa, si è attaccato al suo solito ritornello:

«L'Italia non deve respingere le offerte della Piccola Intesa. Ho offerto al barone Aloisi di mettere la Piccola Intesa sotto la protezione dell'Italia. L'ho offerto a voi. Ve l'offrirò ancora fra sei mesi, e fra un anno, perché qualsiasi "fin de non recevoir" non mi offende. In Italia (Tevere e Impero) dicono che io sono un avvocatuccio e che ho la faccia da cinese. Ma sotto questa faccia da cinese c'è un cuore che è affezionato all'Italia.

La Francia è territorialmente lontana ed ha troppi problemi suoi.

Potrà anche venire il giorno in cui la Francia si estranierà alla Piccola Intesa. Quel giorno a noi non resta che battere alla porta di Roma o di Berlino. Io opto per Roma, ma se Roma ci respingerà, ebbene ci rassegneremo ad andare a Berlino. Asserviremo alla Germania tutta l'economia, e tutta la politica di questa zona sud-orientale dell'Europa, ma che farci, se voi non ci volete? capisco che oggi esistono divergenze fra voi e la Jugoslavia: vi ho detto che mi sarei sforzato di appianarle "et Vous m'avez envoyé me promener ".

A me Roma interessa più che Parigi; perché a Parigi io sarò sempre il terzo dopo Benes e dopo Jeftic; mentre a Roma io sarò sempre H primo e gli altri verranno dopo di me».....

Risparmio a V. E. tutti gli altri argomenti addotti da Titulescu per dimostrare l'interesse della Romania a spingere la Piccola Intesa a ravvicinarsi a noi.

La verità è questa: la Piccola Intesa è una associazione per lo sfruttamento intensivo delle Grandi Potenze. Essa oggi è tutta protesa contro la politica italiana ma solo perché noi abbiamo messo sul tappeto verde la questione della revisione. Sorpassata questa fase, la Piccola Intesa presenterà il conto a Parigi, e se non sarà saldato, busserà a Roma e busserà a Berlino. Il discorso pubblico di Benes, e quello a porte chiuse di Titulescu, possono non essere contraddittori ma intonati alla stessa direttiva.

Ho avuto però l'impressione che Titulescu, nel dirmi tutto questo, cercasse di sentire dalle mie labbra una parola da lui attesa. Mi ha illustrato tutto il nuovo giro delle capitali che inizierà fra pochi giorni (1). In fondo egli sperava

di cogliere dalle mie parole un'allusione qualsiasi che gli facesse sperare la possibilità di un invito da parte di V. E. a recarsi a Roma. Sono stato muto.

Ma fra ieri e oggi, come ho telegrafato per filo, persone di sua fiducia sono venute a confidarmi che Titulescu è ansioso di percorrere anche lui, come MacDonald, Simon, Dollfuss, Goering, e von Papen, la via dell'Impero.

(l) Cfr. n. 506.

(l) Con t. 1809/105 lt. ae!lo stesso 3 maggio Sola comunicò che Titulescu era in partenza per Ginevra, Londra, Parigi, Praga, Varsavia e Ankara e aggiunse: «A mio avviso, tanto il viaggio ad Angora, quanto quello a Varsavia, sono stati messi in programma menzionato quale punto per una ripresa di conversazioni con Mosca».

523

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 2021/1000. Roma, 3 maggio 1933 (per. l'B).

Litvinov mi ha riferito (e von Dirksen me lo ha confermato) che questo Ambasciatore di Germania lo ha, d·ordine del suo Governo, intrattenuto del preoccupante atteggiamento attuale della Polonia nei confronti della Germania.

A Berlino si avrebbe notizia che il Governo di Varsavia persiste nel considerare il momento presente come opportuno per un'azione preventiva da parte polacca. L'isolamento della Germania permetterebbe, secondo i circoli militari polacchi, un'azione vittoriosa della Polonia nella Prussia orientale, intesa a regolare una volta per sempre ed in maniera totalitaria la questione del Corridoio, tanto più la Polonia ritenendo di poter contare, in una siffatta contingenza, sulla neutralità della Russia.

Secondo quanto mi ha fatto capire von Dirksen, un analogo passo dovrebbe essere stato compiuto da tutti gli Ambasciatori tedeschi nelle rispettive capitali.

Immagino tuttavia che il passo compiuto da von Dirksen presso Litvinov si proponesse, oltre agli scopi comuni a quelli compiuti altrove, anche quello specifico di ottenere dall'URSS, come è infatti avvenuto, una smentita ai pretesi accordi russo polacchi circa il corridoio, nonché a porre una remora alla crescente, almeno in apparenza, « intimità » russo polacca.

524

IL CONSOLE GENERALE A VIENNA, ROCHIRA, AL VICE CAPO GABINETTO, JACOMONI

T. 9804/2236/9 P.G. Vienna, 4 maggio 1933, ore 13,15 (per. ore 15).

Comune amico pregami telegrafare quanto segue: «Per riunione Heimwehren a Vienna di cui lettera n. 24 1° corrente (l) Starhemberg chiede aiuti finanziari facendo notare importanza che avrà riunione stessa in un momento in cui occorre fornire prova proprie disponibilità.

Tale riunione era stanziata nei piani da lui costà presentati. Aggiunse preparativi già avanzati e Dollfuss impegnatosi intervenire. Chiedo autoriz~ zazione telegrafica » (l).

(l) Cfr. n. 509.

525

IL MINISTRO A TIRANA, KOCH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1834/102 R. Tirana, 4 maggio 1933, ore 14,20 (per. ore 23 ).

Re Zog va persistendo nella sua linea di condotta contraria alla nostra

politica di collaborazione in Albania, certo sperando di poter così riuscire a

preoccupare Governo di Roma e a farlo desistere da suo atteggiamento.

Come al solito, in tali circostanze, egli va intensamente trafficando con legazione di Jugoslavia per il tramite del noto Memet bey Konitza che è divenuto in questi giorni il suo uomo di fiducia.

Ha richiamato da Belgrado il ministro Rauf Fitzo, e non è escluso porti sua manovra fino a procedere a un rimpasto con tendenza jugoslavofila. Nel paese lascia diffondersi un certo fermento con lievito nazionale e si comincia a spargere la voce che gli italiani lasceranno il paese. A tale uopo fa seguire attentamente la stampa specialmente per quanto riguarda le voci che Turchia Bulgaria e Grecia vadano distaccandosi dall'orbita italiana per avvicinarsi al gruppo di Potenze della Piccola Intesa, questione che il Re segue con molta attenzione. Fa anche sondare presso tutti finanzieri europei specialmente a Londra, preoccupato della situazione catastrofica nella quale verrebbe a trovarsi Albania se venisse a mancarle aiuto dell'Italia, ma non può farsi egli stesso nessuna illusione al riguardo almeno fino a quando egli resterà vincolato dal prestito S.V.E.A.

Questo suo atteggiamento nei riguardi dell'alleata è seguito con viva attenzione dal paese, che sa di qual peso sia per la nominata l'appoggio dell'Italia. Sua posizione all'interno già scossa da provvedimenti presi nei riguardi degli istituti religiosi va diventando sempre più delicata.

Mantengo atteggiamento di massimo riserbo e di serena impassibilità.

Mi l'iservo però; nel colloquio che avrò sabato prossimo con il Re, di attirare sua seria attenzione sulla responsabilità che va assumendo col creare situazioni e accreditando voci non in armonia con i principi dell'alleanza.

526

IL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, DE ANGELIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 768/156. Gerusalemme, 4 maggio 1933.

Ho avuto ieri l'altro un lungo colloquio col Mufti di Gerusalemme.

t. -4462/9 P.R. del 5 maggio, ore :.!0.4:1.

42 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XIII

L'ho incontrato in casa di un notabile musulmano, parente di lui e mio buon amico, il quale, da una nostra conversazione e dai miei apprezzamenti sugli atteggiamenti antitaliani di lui, aveva, naturalmente non richiesto, pensato a preparare l'incontro.

Dopo un preambolo di « ricognizione » del mio interlocutore, entrai subito nel vivo dell'argomento che mi interessava. Gli dissi che nello studio delle questioni e dei paesi arabi forse una sola cosa non ero ancora riuscito a spiegarmi: le sue manifestazioni persistentemente antitaliane. Non vedevo quale vantaggio potesse venire all'arabismo, in genere, e quale interesse potesse trovare il Mufti personalmente nel suo insistere in una linea di condotta che non trovava alcuna base nella realtà. Il mio interlocutore, dopo alcune premesse di carattere pseudo-storico sui diritti delle 'POpolazioni arabe della Libia, e dopo alcune considerazioni pseudo-politiche sulla essenza degli ordinamenti statali di quella regione prima dell'occupazione italiana, mi sciorinò, con mia vera sorpresa, quella vecchia serie di luoghi comuni sulle pretese oppressioni ed atrocità italiane in Libia, che io credevo ormai rimasta solo nell'armamentario polemico di gazzettieri di ultimo rango. E, infatti, non potei nascondere il mio stupore quando, per es., il Mufti parlava, con aria di convinzione, del getto di indigeni musulmani da aeroplani italiani! Cercai di dimostrargli la stupidità di questa insinuazione, e, sulla base delle informazioni e delle argomentazioni che avevo lette negli archivi di questo R. Ufficio, cercai anche di sfatare le interessate leggende (che vedevo facevano ancora presa sull'animo di lui) messe in giro al tempo dell'occupazione di Cufra e della esecuzione di Ornar el Muktar. Gli parlai pure del generale benessere di cui godono le popolazioni indigene della Tripolitania e della Cirenaica, e cercai di fargli capire la stranezza e quasi la comicità del fatto che voci di rivendicazione per quella gente partissero proprio da questa regione (Palestina e Transgiordania) dove i quattro quinti dell'elemento arabo versano notoriamente .in condizioni sotto ogni aspetto miserrime. Se egli lo avesse desiderato, avrei potuto documentargli tutto quanto gli avevo detto.

Qui il Mufti rivelò non tanto, penso, la malafede quanto l'ignoranza del vero stato delle cose e la sua leggerezza di condotta; perché, quasi sorpreso della forza persuasiva delle mie argomentazioni, finì col confessarmi che egli conosceva la situazione soltanto nelle linee generali. L'« esperto» delle questioni di Tripolitania e Cirenaica era un suo amico, ora assente da Gerusalemme, col quale, volendolo, mi avrebbe fatto parlare!

Del resto, aggiunsi, la Libia è un paese aperto a tutti, ed ogni visitatore di buona fede può liberamente recarvisi e rendersi conto della realtà delle cose.

Il Mufti ebbe l'aria di cogliere a volo questa mia dichiarazione, e mi domandò se avessi potuto fornire commendatizie, o comunque facilitare un viaggio in Libia, a giornalisti musulmani che vi si sarebbero recati per ragioni di studio. Risposi che chiunque si recasse in Libia senza atteggiamenti o scopi inquisitoriali (che non sarebbero né ammissibili né ammessi) poteva liberamente circolare nel paese senza bisogno di speciali raccomandazioni o protezioni; che io, poi, preferivo persino ignorare l'eventuale viaggio di quel o di quei giornalisti, anche per evitare che essi potessero finire col dubitare che le loro soddisfacenti costatazioni fossero frutto di una sapiente preparazione delle autorità italiane.

Ho capito che, in sostanza, l'atteggiamento del Mufti è ispirato da ragioni

o preoccupazioni non tanto di solidarietà panaraba quanto di solidarietà panislamica. Egli lavora per farsi un piedistallo da santone dell'Islam, e trova che gli conviene approfittare di ogni circostanza suscettibile di essere rivolta ai suoi fini. Ho l'impressione che egli delle cose di Libia fosse effettivamente male informato, o tendenziosamente informato. Forse può esserci attorno a lui chi abbia interesse a mantenerlo in uno stato di eccitazione o solo di diffidenza antitaliana; mi pare, comunque, che nessuno si sia mai data la pena di cercar di aprirgli gli occhi.

Per quanto ho potuto capire da una conversazione che è durata circa tre ore, il Mufti dev'essere di intelligenza mediocre e tarda, ma di carattere tenace, messo al servizio di un forte senso di ambizione. Egli realizza giorno per giorno il suo programma di costituirsi una base nel mondo islamico, perciò nelle proprie azioni e manifestazioni, egli ostenta di ignorare le frontiere e di concepire la gente islamica come un popolo solo. Secondo quanto egli mi diceva, quel popolo è unificato dalla grande forza della solidarietà religiosa, mentre di armi materiali non ne possiede ancora che una sola, ma terribile: il boicottaggio commerciale. Di questa concezione egli si è fatto apostolo abilissimo. E racconella pratica di una politica verso i paesi mussulmani.

Il Mufti di Gerusalemme è, quindi, persona con la quale conviene contare glie seguito e credito crescenti negU ambienti musulmani.

Questa mia prima conversazione con lui, per quanto molto lunga, non ha potuto avere altro carattere che di primo contatto, dopo la manifesta ed ormai antica rottura di rapporti tra questo R. Ufficio e lui. Senza, naturalmente, soprovalutarlo, e, sopratutto, senza dare a lui stesso la sensazione di una valutazione eccessiva, converrà seguirlo da presso e fargli discretamente sentire il peso della nostra azione politica. Ho avuta l'impressione, anche al di fuori delle sue stesse dichiarazioni, che egli si renda conto della nuova forza che l'Italia rappresenta nel mondo, e che l'ammiri. Mi propongo, quindi, di non lasciar cadere i rapporti ora riallacciati. È stato sempre mio pensiero che, nel riprendere le relazioni col Mufti, non avrebbe mai dovuto essere, in nessun caso, il Console d'Italia a recarsi per primo da lui; e così, mi pare, dovrà essere, dopo questo incontro su terreno neutro, giacché il Mufti, che dopo due giorni dal nostro colloquio è partito pel suo giro in India, mi ha fatto spontaneamente dire che, subito dopo il suo ritorno, verrà a farmi visita. Egli rimarrà assente per circa un mese e mezzo.

(l) -Annotazione a margine di suvich: << Morreale è informato e, se non ha opposizione. può disporre. (5.5.1933) >>. L'autorizzazione rlchJesta da Morreale fu inviata da Suvlch con
527

L'ADDETTO STAMPA A VIENNA, MORREALE, AL VICE CAPO GABINETTO, JACOMONI

L. P. u..XXVII. Vienna, 4 maggio 1933.

Le ho fatto spedire oggi un telegramma (l) che può esserle riuscito sibillino o, comunque incompleto: si tratta di questo: Starhemberg (2) è ormai al

fondo di quanto finora ha ricevuto. Mi fornirà in settimana la giustificazione di tutto; ma intanto ha bisogno di trecento mila scellini per la preparazione della nota riunione. Entro la settimana dovrà dare un forte anticipo alle ferrovie per il trasporto degli uomini. Mi ha scongiurato ieri sera di non piantarlo in asso facendomi notare che un rinvio od una rinunzia lo esautorerebbe nei confronti degli avversari e dei propri uomini. Di tale forma di propaganda egli ritiene di avere assoluto bisogno ed è perciò che la riunione suddetta fu da lui inclusa nei progetti costà presentati ed approvati.

Io ho più o meno seguite le spese fatte finora: alcune di esse non hanno fruttato niente perché fatte in previsione di altre azioni, ma potranno fruttare in seguito: cosi l'acquisto di aeroplani i quali serviranno per la propaganda in campagna con foglietti volanti. Dell'onestà di Starhemberg non dubito e sono sicuro che mi darà conto di tutto il passato; forse è un po' troppo signore e non è abituato a vedere fruttare il denaro giusta il suo valore: è quindi stato troppo largo nel calcolare le spese dei capi provinciali che in passato lo hanno mal ricambiato. D'altro canto, non ritengo che si possano sospendere i versamenti perché i suoi avversari lavorano con mezzi larghissimi, e tanto meno che gli si debbano negare quelli che gli occorrono per la riunione. Questa, d'altro canto, rientra nel quadro generale: non se ne devono attendere miracoli, ma potrà avere effetto per rafforzare il movimento, che costituisce ormai un elemento della politica di Dollfuss.

Qualora non lo avesse già fatto, la prego di farmi conoscere telegraficamente le sue decisioni (e cioè se mi autorizza o meno al versamento) che Starhemberg scongiura siena favorevoli (1).

(l) -Cfr. n. 5Z4. (2) -Starhemberg era cifrato con « Milller »
528

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1846/16 R. Ginevra, 5 maggio 1933, ore 13,15 (per. ore 14,40).

Massigli che ha ricevuto oggi dal suo ministro affari esteri l'ultimo progetto patto a quattro di cui è questione nel promemoria di S. E. Suvich in data 1° maggio (2), è venuto a farmi parte dei suoi dubbi sul significato dell'ultimo paragrafo dell'art. 3. Egli vorrebbe che in quel punto venisse riaffermata dichiarazione del dicembre delle 5 Potenze (3). Ho cercato dissuaderlo ma ne informo V. E. perché probabilmente una controproposta tedesca potrà essere avanzata nei riguardi di quel punto.

(l) -Cfr. n. 524, nota l, p. 585. (2) -Cfr. n. 506. (3) -Cfr. serle VII, vol. XII, n. 530.
529

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUCAREST, SOLA

T. 880/82 R. Roma, 5 maggio 1933, ore 18,45.

Suo 106 (1). Non ritengo opportuna visita Titulescu a Roma particolarmente in questo momento mentre sono tuttora in corso negoziati patto a quattro. Essa sarebbe certamente sfruttata da Titulescu a fini suoi particolari e come valutazione dell'importanza della Piccola Intesa nella politica generale. Non è inoltre da prevedere allo stato delle cose che la visita in questione possa portare a risultati comunque interessanti.

Sarà quindi bene lasciar cadere la cosa come del resto ella mostra di avere già fatto.

530

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI (2)

T. 883/145 R. Roma, 5 maggio 1933, ore 20,45.

Seguito telegramma n. 141 (3).

Governo Somalia telegrafa in data 2 corrente avere fitaurari Mezlechià scritto lettera a maggiore Ritelli nella quale, protestando che Olol Dinle si sia rifugiato nel nostro territorio, avverte aver dato ordini ai suoi armati di penetrare entro linea nostri posti frontiera, ovunque credano poter trovare Olol Dinle e bestiame razziato.

Governo Somalia ha già provveduto far rispondere che se armati abissini tenteranno oltrepassare nostri posti frontiera verranno respinti con la forza.

Prego V. S. attirare su quanto precede la più seria attenzione di codesto Governo, interessandolo far pervenire opportune istruzioni al fitaurari Mezlechià, onde eviti nuovi incidenti che contrasterebbero con nostri intendimenti di pacificazione, che confidiamo siano condivisi da Governo etiopico.

531

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO GABINETTO, ALOISI, A GINEVRA

T. PER CORRIERE S. 887 R. Roma, 5 maggio 1933, ore 20,45.

A conferma istruzioni impartite V. E. sarà bene continuare ad appoggiare, in forma più apparente che reale, piano MacDonald. Se nostro atteggiamento

('2) Il telegramma venne inviato, per conoscenza, anche al Ministro delle Co~onle.

dovrà così evitare impegnarci troppo a fondo per riuscita progetto britannico, dovrà tuttavia tener conto della opportunità di non creare impressione nostra indifferenza, come è stato recentemente insinuato da una parte della stampa estera. Sarà inoltre da tener presente che se difficoltà discussioni piano inglese possono far risaltare vieppiù utilità patto a quattro anche come mezzo di agevolare lavori conferenza e come via di uscita da una situazione di crescente disagio, una eccessiva tensione atmosfera Ginevra non potrebbe non ripercuotersi sui rapporti politici tra Potenze e quindi irrigidire atteggiamento Francia ed Inghilterra di fronte punti del patto che sono tuttora in discussione.

(l) -Cfr. n. 518. (3) -T. 862/141 R. del 4 maggio, non pubblicato.
532

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1855/303 R. Parigi, 5 maggio 1933, ore 20,45 (per. ore 23).

Discussione di ieri al Senato del bilancio degli esteri ha dato luogo a un dibattito di politica estera. Senatore Bérenger ha pronunciato notevole discorso chiedendo delucidazioni, che il ministro degli affari esteri ha fornite.

Ho spedito stamane per posta il testo stenografico della seduta.

Bérenger, parlando delle relazioni franco-italiane, si è riferito agli articoli da lui pubblicati dopo le sue conversazioni romane dai quali appariva chiaramente l'idea dell'E. V. di una collaborazione delle quattro Potenze occidentali, idea formulata la prima volta in faccia al mondo nel discorso di Torino.

Circa il patto Mussollni il senatore Bérenger si è associato alla tesi sostenuta dal Governo francese di un'intesa delle quattro Potenze per risolvere problemi di comune interesse. Le quattro Potenze non hanno però diritto di regolare le sorti dell'Europa col procedimento detto revisionistico, sia che si tratti di questioni di frontiera od anche solo di zone d'influenza.

D'altra parte, ha osservato il presidente commissione degli esteri del Senato, la Piccola Intesa ha pensato essa stessa ai casi suoi creando un proprio direttorio di difesa.

Il senatore ha fatto a questo punto l'elogio di Benes domandando al Senato di riflettere sulla dichiarazione del ministro cecoslovacco secondo la quale la Piccola Intesa non esiterebbe a mettere mano alle armi per difendere la propria integrità territoriale.

Nella sua risposta il ministro degli affari esteri si è tenuto sulle generali. Ha fatto un breve accenno al discorso di Benes ma non ha avuto parole di un calore speciale per la Piccola Intesa che ha nominata solo in relazione al patto Musso lini.

Boncour si è associato all'omaggio reso all'E. V. dal presidente del consiglio alla Camera dei Deputati. Ha detto che nulla di fondamentale separa la Francia dall'Italia. Il ministro è persuaso che nel momento presente bisogna mettere in opera tutto per evitare che l'Europa si divida in due blocchi rivali, e mantenere la Francia unita all'Inghilterra, all'Italia, all'America.

Circa patto Mussolini ha riaffermato proposito del Governo francese di mantenersi nell'ambito della S.d.N., di rispettare !'[autonomia] di tutte le Nazioni, indipendentemente dalla loro importanza e infine di restare fedele alle firme date e alle amicizie contratte.

Noi stimiamo, ha soggiunto il ministro, che posando oggi la questione della revisione dei trattati, equivarrebbe a scatenare delle possibilità di guerra e che in senso opposto sarebbe assurdo pretendere che le cose debbano restare per sempre come sono ora.

A proposito dello stato delle trattative in corso per il patto Mussolini, il ministro, riferendosi al tenore delle controproposte francesi, ha osservato «che la posizione francese, differente incontestabilmente dalla proposta iniziale italiana, ma che ritiene della proposta iniziale qualche cosa che potrebbe essere estremamente fecondo, non sembra aver sollevato obiezioni da parte del Governo italiano'>.

Il discorso di Bérenger segna indubbiamente un passo indietro della tendenza già delineatasi in alcuni ambienti francesi non totalmente ostili a un limitato revisionismo.

Come ho riferito precedentemente, hanno favorito il mutamento ultimo inglesi ostili alla Germania e probabilmente anche le recenti conversazioni francoamericane di Washington.

533

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1865/177 R. Vienna, 5 maggio 1933, ore 22 (per. ore 5 del 6).

Dichiarazioni Paul Boncour hanno qui fatto pessima impressione. Confermano quanto ho detto (mio telegramma per corriere 64) (l) circa invadenza partito francese nella politica interna di questo Paese.

Ad ogni modo cancelliere austriaco, costretto a partire per Salisburgo, ha dato incarico a Peter di chiamare oggi questo ministro francese e notificargli che:

1°) Governo federale ha ricevuto sgraditissima impressione dalle predette dichiarazioni;

2°) desidera ricevere al più presto preciso testo delle stesse;

3°) col protocollo di Losanna esso ha inteso prendere un unico impegno di natura politica: cioè quello di salvaguardare indipendenza Austria;

4°) che perciò Governo federale desidera conoscere a quali condizioni di ordine politico signor Paul Boncour abbia voluto fare allusione nel suo discorso.

Segretario generale ha fervidamente fatto comprendere al mio collega di Francia che cancelliere, messo a conoscenza di detto particolare, avrebbe scelto la sua via, non potendo assolutamente ammettere intromissioni politiche d'ordine interno. Peter gli ha fatto intendere che data la diffusa opposizione contro il protocollo di Losanna una rinunzia al prestito avrebbe più giovato che nuociuto all'attuale Governo. Mi consta anzi che Peter a quest'ultimo riguardo avrebbe esplicitamente detto al mio collega francese che era ormai da chiedersi se Quai d'Orsay, agendo come agisce, «non si proponesse di portare il più forte appoggio alle tendenze favorevoli all'Anschluss ».

(l) T. per corriere 1881/64 R. del 2 maggio, non pubblicato: riferiva circa la vivace campagna promossa dal partito socialista francese contro il prestito all'Austria.

534

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1868/178 R. Vienna, 5 maggio 1933, ore 22 (per. ore 5 del 6).

Mi è stato riferito che noto deputato tedesco Habicht avrebbe ieri mattina dichiarato al cancelliere che i nazi austriaci sarebbero disposti e pronti ad unirsi ai cristiani sociali, ed a sottostare ad un cancelliere proveniente dal predetto partito, purché fossero indette le elezioni ed immediatamente allontanati dall'attuale gabinetto i rappresentanti delle Heimwehren e della Landbund, che anzi dovrebbero essere nettamente ripudiati dall'eventuale nuova combinazione.

Colloquio sarebbe stato assai agitato e si sarebbe chiuso con un netto rifiuto del cancelliere.

Questi anzi, a marcare meglio la sua opposizione avrebbe affrettato la promulgazione dell'ordinanza che vieta l'uso di uniforme di partito Cmio telegramma n. 176) (1).

Poiché cancelliere è partito stamane per Salisburgo, ho chiesto testè a Peter quali informazioni potesse darmi al riguardo. Mi ha risposto che non poteva né confermarmi né smentirmi il colloquio, cancelliere non avendogli detto alcunché sulla faccenda. Malgrado ciò ho ragione di ritenere esatta la notizia e il rifiuto del cancelliere.

535

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 1866/179 R. Vienna, 5 maggio 1933, ore 22 (per. ore 3,15 del 6).

Mio telegramma n. 177 (2).

Mi risulta che stamane, subito dopo giunta notizia dichiarazioni fatte da Paul Boncour, il direttore della Banca Nazionale (comunico ad ogni buon fine che è francofilo) ha chiesto a Peter se di fronte inammissibile atteggiamento Quai d'Orsay non fosse il caso rivolgersi all'Italia per ottenere un prestito autonomo, cioè al di fuori di quelli contemplati nel protocollo di Losanna.

Peter ha risposto che ciò gli pareva difficile giacché Governo italiano non avrebbe potuto prescindere da gravi considerazioni politiche. Infatti concedendo prestito dopo il rifiuto francese, Italia verrebbe a porsi direttamente contro Parigi, mettendo in pericolo la così importante [conclusione] patto a quattro.

Al che direttore Banca Nazionale ha obbiettato che il prestito avrebbe potuto apparire o di fatto essere concesso dalle banche italiane.

A mio avviso su riferita informazione merita attento esame, a prescindere dalla misura e dalle condizioni economiche e politiche cui potrebbero essere subordinati eventualmente prestiti italiani.

Certo momento attuale offre possibilità che richiedono maggiore nostra considerazione.

(l) -T. 4248/176 P.R. del 4 maggio, ore 22,30, non pubblicato. (2) -Cfr. n. 533.
536

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. s. N. Roma, 5 maggio 1933.

In relazione a suo telegramma concernente dichiarazioni Boncour (1), ritengo che sia opportuno suggerire a Dollfuss, rinuncia alla partecipazione francese nel prestito. Ciò fortificherebbe sua posizione politica, soprattutto nei confronti dei nazi, locali e germanici, che accusano il Dollfuss, di essere agli ordini della Francia. Potrebbe anche V. S. affacciare possibilità che Italia si assuma aliquota Francia, con modalità e contropartite da esaminare (2).

537

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 789/254. Ankara, 5 maggio 1933 (per. il 16).

V. E. avrà presente l'articolo apparso sul Temps del 27 aprile, dal titolo «La Turchia inquieta», nel quale si parla del ribasso dell'amicizia itala-turca come conseguenza del rialzo di quella franco-turca.

Questo articolo ha sollevato qui delle proteste: una, sul giornale Akcham, da parte del direttore di detto giornale che si trova a Ginevra con Tewfik Rustu, ed un'altra sul giornale République a firma di Yunus Nadi. Allego gli estratti di tali articoli (3), il primo dei quali è evidentemente ispirato dal Ministro degli

Esteri. Essi non negano che le relazioni con la Francia siano migliorate ma negano la contrapposizione dell'amicizia franco-turca a quella italiana, e il raffreddamento di quest'ultima.

La verità è che questo raffreddamento esiste non per un fatto bilaterale preciso fra Italia e Turchia quanto per il giuoco della situazione generale europea. Questo Governo, nella sua avversione all'accordo delle quattro Potenze occidentali e nella pretesa di promuovere una lega europea delle medie Potenze contro le grandi, sa di urtare contro una iniziativa personale di V. E. e contro un caposaldo della politica italiana e sente già una posizione di distacco.

Il miglioramento delle relazioni con la Francia esisteva, in termini che non potevano dispiacere ad alcuno, per il solo fatto della eliminazione di alcune divergenze. Fatto negativo. Da qualche settimana la portata del miglioramento va acquistando un carattere positivo per l'ascendente che la Francia sembra esercitare nell'organizzazione di un fronte di resistenza contro la supremazia dei quattro, e per le speranze che qui si pongono su quella Potenza per la non realizzazione dell'iniziativa di V. E.

Che se poi le quattro Potenze si mettono d'accordo fra di loro, il pensiero del Governo turco sembra orientarsi verso una propria libertà di azione per mettersi d'accordo con chi esso voglia, allo stesso modo con cui le grandi potenze e precisamente Italia e Francia avranno creduto di esercitare la loro libertà di intendersi all'infuori dei loro precedenti amici rispettivi.

Già comincia a farsi strada attraverso i negoziati greco-turchi di Atene (che sarebbero seguiti da una visita di Tewfik Rustu in quella capitale e da un viaggio di Tsaldaris e Maximos ad Ankara) l'idea di una trasformazione dell'attuale patto di amicizia greco-turco in un patto difensivo. Per difendersi da chi? Non escludo che nella mente dei turchi si tratti proprio di difendersi da una aggressione italiana giacché il pensiero recondito di questo Governo nell'opporsi all'accordo delle quattro Potenze è che nel quadro di questo accordo possa prodursi una intesa franco-italiana per una mano libera dell'Italia in Anatolia. Per quanto il mio pensiero sia assolutamente agli antipodi con questa eventualità, pure debbo tener calcolo della mentalità turca alla quale l'eventualità stessa non appare che troppo facile.

È questa una ragione sostanziale di cui questo Governo subisce, sia pure infondatamente, l'assillo accanto a quella formale della gerarchia delle Potenze. Una terza influenza fa giuoco: e cioè l'idea che, assopita la rivalità acuta franco-italiana e franco-tedesca ed allontanate in Europa le minacce di conflagrazioni, il campo d'azione turco decada di attualità e di attenzione e la Turchia resti in angolo morto rispetto a tutte quelle imprese che italiani, francesi e tedeschi si contendono a suon di milioni e di cui la Turcha beneficia senza alcuno sforzo né merito. È una considerazione che chiamerei di «stile albanese » e che è comune a tutti quei paesi che traggono guadagno puntellandosi ora a destra ed ora a sinistra col calcolo della contrapposizione delle forze. All'Albania il vanto di intestare del proprio nome questo giuoco.

Tornando all'idea del patto difensivo turco-greco, dirò che--questo Minfsfro di Grecia, che mi è molto amico e che mi sembra sincero, mi ha escluso assolutamente che il Governo turco gliene abbia fatto mai parola. Può essere; ma

che cl sia qualche cosa di nuovo dalla parte di Atene, in seguito ai negoziati greco-turchi lvi in corso, mi sembra probabile. Se la cosa resta limitata al binomio greco-turco, il male non è grande. Siccome non avranno da difendersi contro alcuno, il loro fronte difensivo non sparerà mai; e quando questo complesso periodo europeo sarà delineato, allora ritengo che un paziente lavoro di chiarificazione possa farci riprendere le nostre posizioni favorevoli presso questo Governo.

Ma i giornali di qui dicono che un eventuale patto difensivo greco turco rimarrebbe aperto all'accessione delle altre potenze balcaniche; è un eufemismo per presentare sotto il mito balcanico un orientamento politico che vedrebbe a Parigi ed a Praga, e non nei Balcani, la propria stella polare, ed è su questo punto che rivolgo naturalmente il massimo di attenzione in questo momento.

(l) -Cfr. n. 533. (2) -Originale autografo di Mussolini. (3) -Non si pubblicano.
538

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. RR. 1872/993. Vienna, 5 maggio 1933.

Esauriti ormai gli incidenti che si sono ultimamente qui prodotti, sia a causa dei dissidi Interni che travagliano assiduamente le Heimwehren, e sia a causa delle minacce d'una incursione in Tirolo da parte dei nazi bavaresi, credo mio dovere riassumere a V. E. la situazione dell'Austria, nei suoi riflessi interni ed esteri. Tale esposizione mi sembra tanto più necessaria, in quanto credo sia giunta l'ora di efficacemente provvedere, con ulteriori iniziative, alla soluzione della questione austriaca.

Situazione interna. Non vi è dubbio ch'essa è divenuta, in oggi, abbastanza favorevole per il Governo di Dollfuss. Accenno ai principali avvenimenti.

l) La dimostrazione di forza da esso data pel 1° maggio ha provato in qualche modo la fedeltà dell'esercito e della stessa polizia, ed è valsa allo stesso tempo, nei riguardi dell'opinione pubblica, come « un avvertimento » circa la decisione del Cancelliere di condurre a termine i postulati della sua politica.

2) Il divieto d'indossare uniformi, che non siano quelle delle forze chiamate a far parte della «polizia ausiliaria», ha accentuato la posizione privile· giata delle Heimwehren, mettendole nettamente di fronte alle organizzazionj militarizzate naziste e socialiste.

3) L'intervento personale del cancelliere nelle lotte interne delle Heimwehren e la conseguente sovrapposizione della sua persona a quella del Principe Starhemberg, non solo ha evitato una nuova scissione in detto movimento, ma può anche avere conseguenze preziose per la compagine e per lo sviluppo di esso.

4) Il netto rifiuto dato dal Cancelliere alle reiterate proposte naziste per un eventuale Ministero di concentrazione bruno-nero (mio telegramma numero 179) (1), ha chiarito ormai quell'atteggiamento che, non tanto per colpa del Dollfuss, ma quanto di altre personalità del partito cristiano-sociale, lasciava talvolta adito a dubbi e sospetti.

5) Il Cancelliere mi ha infine, anche di recente, così formalmente assicurato di tendere ad una profonda riforma costituzionale; di voler provvedere a tante pur necessarie misure (divieto delle elezioni comunali; giuramento di fedeltà da parte degli impiegati statali; ecc.); di desiderare la più sollecita conclusione del Concordato, all'ovvio scopo di dare all'Austria un accentuato carattere confessionale, in guisa da renderla il più ostile possibile a governi tendenti all'asservimento della Chiesa allo Stato; -che è ormai fuori dubbio che ci si trovi di fronte ad un miglioramento della situazione.

Senonché, contro tali favorevoli avvenimenti, stanno:

1) l'esitazione che il Cancelliere dimostra tuttora nella questione relativa allo scioglimento dell'amministrazione municipale di Vienna, un provvedimento che pare ormai destinato ad essere subordinato al previo ottenimento del noto prestito di Losanna, od alla definitiva rinunzia del Governo federale di conseguirlo dalla Francia;

2) i continui intrighi dei socialisti austriaci presso i governi di Parigi, di Praga, ed anche di Belgrado, affinché un assiduo intervento dei tre governi presso la Cancelleria federale la dissuada da azioni troppo violente e tali da distruggere «effettivamente» la social-democrazia viennese;

3) il grandissimo sviluppo delle forze naziste, che fanno un gran cammino non solo nel Tirolo, ma anche nella Stiria ed in tutti i centri urbani dell'Austria;

4) infine, la crescente impressione che gli elementi che lavorano per la formazione di un fronte nazionale austriaco potrebbero offrire -stante la legge di morte che sovrasta ormai a tutti i vecchi partiti politici, e stante la limitata attrazione morale di cui, per tante cause, soffrono le Heimweren -una ben scarsa resistenza all'irrompere del nazismo, reso eventualmente audace da uno scoraggiamento o da uno smarrimento del dott. Dollfuss; ovvero da un cambiamento di casacca da parte di personalità politiche (Jakoncig? Rintelen? il Landbund?); ovvero da un improvviso parziale successo elettorale o di piazza (il caso di Innsbruck insegni); o da insperate fortune della già rigogliosa propaganda elettorale nazista; od infine da un atto di forza del nazismo bavarese

-o dello stesso Reich.

A tal riguardo, desidero attirare in modo speciale l'attenzione di V. E. sul fatto che, in definitiva, si è venuta qui a creare una situazione che investe direttamente il Reich: cioè nel senso che, alle spalle del nazismo austriaco, ormai è a tutti palese esservi l'azione diretta e costante, nonché i mezzi, dello stesso Reich. II che aggrava la situazione generale, oltrepassando completamente le contingenze della politica interna austriaca.

Situazione estera. L'improvviso viaggio del signor Dollfuss a Roma (ed altrettanto potrà accadere da quello che egli si ripromette di fare costà in occasione della firma del Concordato) è valso a diffondere dappertutto l'impressione d'un inequivocabile atteggiamento anti-anschlussista da parte dell'Italia. Questa circostanza ha prodotto due conseguenze. La prima, che altri Stati interessati al mantenimento dell'indipendenza dell'Austria sembrano, almeno a quantO' m'è dato da qui scorgere, proclivi a mettersi il più possibile nell'ombra, non solo perché desiderosi di lasciar ad altri l'onere ed il rischio dell'azione, ma anche perché convinti dell'opportunità di lasciare la parte principale proprio all'Italia, e ciò sia per rendere più profonda e sempre più evidente la nostra opposizione, che per accentuare il supposto e desiderato dissidio fra Roma e Berlino, nella questione stessa. La seconda, che gli stessi suindicati Stati profittino, nel caso che l'esperimento Dollfuss fallisca, della circostanza che l'Italia si trovi maggiormente esposta al diretto risentimento del nazismo, onde tentare con esso adattamenti e combinazioni, sulla base d'una loro pretesa maggiore c comprensione » delle necessità del Reich, per quanto concerne la sistemazione centro-europea.

Ora, coteste considerazioni potrebbero, a mio remissivo parere, contribuire a consigliarci, circa la questione austriaca, il tentativo di un'azione diplomatica, intesa a cercare sul terreno internazionale quella sicurezza di successo che il misurato temperamento del signor Dollfuss, e le scarse forze politiche di cui dispone, non sembrano poterei offrire da sole, se non sotto forma di grande precarietà.

Che detta azione per assidere l'indipendenza dell'Austria su forze che non siano esclusivamente quelle interne del paese, derivanti dall'organizzantesi fronte nazionale, debba prodursi per iniziativa della Società delle Nazioni; o pel fatto delle Potenze firmatarie del protocollo di Ginevra del 1922; o per diretto scambio di vedute ed accordi con la Francia, o con i paesi danubiani, o col Reich; sono problemi che investono la politica generale del Paese.

Ciò che per me è doveroso segnalare, è che, qualunque avviamento V. E. volesse dare alla questione, esso troverebbe, nel momento attuale, non solo la condizione della sua necessità (la grande fortuna dei nazisti lasciando sempre il timore d'un rovesciamento della situazione in Austria, nonché di gravi complicazioni internazionali), e tempestività (nel momento attuale, e quale ne sia la reale forza, havvi pur sempre a Vienna un governo con noi simpatizzante e che, ad ogni modo, serve a dimostrare che la Germania non può vantare, nei rispetti dell'Anschluss, il consenso della maggioranza della popolazione austriaca e che, d'altra parte, l'azione dell'Italia è stata di gran peso nell'attuale momento), ma anche quella di speciali favorevoli concomitanze (fra cui segnalo la presumibile disposizione della Francia e degli Stati danubiani a transigere sulle esigenze italiane nel centro europeo pur che sia scongiurato l'asservimento di esso al Reich).

(l) -Cfr. n. 535.
539

IL MINISTRO DELLE FINANZE, JUNG, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1887/221 R. Washington, 6 maggio 1933, ore 13,48 (per. ore 3 del 7).

Mio secondo incontro con Roosevelt (l) ha avuto luogo alla Casa Bianca nel pomeriggio di giovedì con presenza del segretario di Stato e dell'ambasciatore Rosso. Colloquio durato quasi due ore si è svolto sui problemi del disarmo e della sicurezza nel quadro di un esame generale della situazione politica europea e mondiale. Riservandomi di riferire ulteriormente in modo più dettagliato, riassumo, qui appresso i punti salienti del colloquio:

l. -Circa disarmo, presidente mi ha ripetuto che, pur non considerando piano britannico come soluzione ideale, Governo americano ha deciso di appoggiarlo a Ginevra a condizione che esso venga considerato come una tappa iniziale verso una riduzione più sostanziale degli armamenti. Presidente intende indirizzare politica americana verso una partecipazione più diretta alla azione internazionale per il mantenimento della pace. Non mi ha precisato forma che potrebbe assumere tale partecipazione, ma sembra avere in mente di proporre sostituzione alla prima parte del progetto inglese di un patto della durata di 10 anni che garantisca collaborazione americana contro eventuali aggressioni.

2. --Presidente mi ha informato della posizione presa da Herriot il quale avrebbe dichiarato che Governo francese sarebbe pronto a ridurre propri armamenti al livello degli armamenti tedeschi per tappe nello spazio di dieci anni alla condizione che Germania non riarmi e non venga autorizzata a costruire neppure dei modelli delle armi attualmente vietate dal trattato di Versailles e che infine venga regolata in modo soddisfacente questione del controllo attribuendo alla commissione permanente non solo il diritto ma l'esplicito dovere di eseguire delle inchieste per constatare applicazione della convenzione. Circa quest'ultimo argomento ho fatto presente che l'Italia aveva già accettato principio del controllo e che problema consisteva nello stabilire modalità della sua applicazione. Al riguardo ho sviluppato i noti argomenti già sostenuti dalla nostra delegazione a Ginevra facendo presente necessità di evitare che controllo assumesse forma inutilmente vessatoria e non servisse di pretesto per esercitare azione di spionaggio. Poiché presidente non sembrava al corrente dei termini precisi del problema discusso a Ginevra, nostra discussione si è mantenuta nella sfera dei principi generali. 3. --Parlando della Germania, presidente ha mostrato di considerare giustificate le apprensioni della Francia, della Polonia e della Piccola Intesa di fronte

allo spirito di rivincita dominante nel Reich. Questo mi ha dato occasione di esporre nostro punto di vista sulla situazione tedesca che deve essere giudicata con equanimità tenendo conto delle difficoltà interne della Germania che non può in un primo momento inquadrare in una composta disciplina le forze di cui si è servita per la rivoluzione e deve considerare come preminente il problema della rinascita spirituale del suo popolo.

Ho parlato dell'azione moderatrice esercitata dall'Italia a Berlino e della necessità che le Potenze che, come Italia e Stati Uniti, sono guidate dal solo interesse della pace e della giustizia, di lavorare d'accordo per aiutare la Germania a superare attuali difficoltà. Ho aggiunto che appunto la misura di queste difficoltà interne era garanzia maggiore che la Germania non intendeva provocare guerra.

4. -Argomento tedesco mi ha portato a trattare della questione della revisione e del piano Mussolini di cui ho spiegato concezione e finalità. Ho detto che Italia non persegue un revisionismo generale ma che sarebbe pericoloso per il momento volere ignorare esistenza di questioni specifiche e precisamente di quelle del corridoio polacco e dell'Ungheria che costituiscono un pericolo permanente per stabilità della pace europea e che perciò devono essere esaminate con spirito realistico. Ho fatto rilevare che piano Mussolini mira sostanzialmente a creare un ambiente calmo e con spirito di cooperazione.

Presidente ne ha convenuto pur mantenendo qualche dubbio sulla opportunità di sollevare oggi tali questioni la cui semplice menzione poteva provocare reazioni pericolose specialmente da parte della Polonia. Presidente ha tuttavia riconosciuto che accesso al territorio della Prussia orientale rappresentava per la Germania questione vitale cui occorreva trovare una soluzione. Ha accennato in proposito alla possibilità di fornire polacchi accesso mediante costruzione di un tunnel sotto il corridoio. Conversazione su questo argomento mi ha mostrato presidente tuttora sotto impressione degli argomenti che deve avergli prospettati signor Herriot. Ritengo tuttavia che mie argomentazioni sulla situazione in Germania che ho trattato in tutti i suoi aspetti e in materia di revisione abbiano avuto su di lui un certo effetto.

Infatti egli ha concluso sua conversazione su questo punto dicendo che Stati Uniti ed Italia sono forse le due sole nazioni che si trovano in grado di esercitare in Europa una azione veramente pacificatrice precisando la nostra situazione come quella di un paese amico di entrambe le parti in contrasto cioè Francia e Germania.

5. -Alla fine del colloquio e ritornando sull'argomento del disarmo, presidente ha accennato alla eventualità che Giappone rifiuti di accettare progetto britannico. In tal caso egli ha suggerito che tutti gli altri paesi accettassero ugualmente progetto di disarmo in modo da isolare Giappone di fronte al gruppo compatto delle nazioni di razza bianca. Questa parte della conversazione mi ha mostrato tutta la preoccupazione che si nutre in questo momento negli S.U. per pericolo potenziale rappresentato dalla minaccia giapponese. Poiché presidente aveva mostrato desiderio di continuare nostre conversazioni ho deciso di ritardare fino a sabato sera mia partenza da Washington che avevo fissato in linea di massima per venerdì sera. Ieri nel pomeriggio ho avuto un colloquio di due ore nel quale è stata trattata principalmente questione debiti e su cui riferirò con telegramma a parte (l).

(l) Non si pubblica il resoconto del primo colloquio di Jung con Roosevelt (t. 1804/174 R. del 3 maggio) dedicato prevalentemente a questioni finanziarle e monetarie.

540

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL CAPO GABINETTO ALOISI, A GINEVRA

T. 902/41 R. Roma, 6 maggio 1933, ore 18,25.

Prima della sua partenza da Ginevra anche in relazione a conversazioni riferite da V. E. con telegramma n. 7 (2) converrà che ella dia precisa assicurazione Tewfik Ruschdi bey che politica di amicizia dell'Italia verso la Turchia non è per nulla mutata.

In tale occasione V. E. potrà egualmente dare assicurazione che terremo il Governo turco al corrente delle nostre iniziative politiche.

Faccia però ben comprendere al signor Tewfik Ruschdi bey che il Governo italiano si attende da parte del Governo turco atteggiamento egualmente leale nei nostri riguardi. Manifestazioni malumore non possono che fare il giuoco di quanti hanno interessi contrari a quel paese e a noi. Se si possa ritenere da parte Governo turco che esista motivo di doglianza l'unica via conforme ai reciproci interessi è quella di parlare direttamente e liberamente con noi.

Quanto negoziato in corso per prestito assicuri migliori disposizioni, mentre siamo in attesa di una risposta conclusiva da parte turca.

541

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI

T. 907/51 R. Roma, 6 maggio 1933, ore 23,15.

Il R. ambasciatore a Berlino telegrafa quanto segue (3): «Stefani speciale ha trasmesso comunicato circa visita questo ministro Polonia a Hitler. In via indiretta e da buona fonte apprendo che, avendo Hitler detto a Wysocki non aver Germania alcuna intenzione aggressiva verso Polonia, che intendeva rispettare i trattati e non pensava quindi risolvere questione del corridoio con la forza. Ministro di Polonia propose cancelliere redigere seduta stante comunicato da dare stampa che servirebbe calmare spirito pubblico entrambi paesi e creare atmosfera più serena. Hitler accettò senz'altro. Mi riservo controllare e riferire ulteriormente».

Prego V. E. farmi conoscere quanto le consta circa effettiva portata colloquio e reazioni codesto Governo.

Qualora effetto chiarificatore colloquio risulti tale quale esso è riportato dalla stampa sarà opportuno V. E. si giovi del momento favorevole per agire su codesto Governo nel senso di diminuire sue prevenzioni nei riguardi patto a quattro (1).

(l) -Cfr. n. 547. (2) -Cfr. n. 489. (3) -T. 1835/427 R. del 4 maggio.
542

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 6 maggio 1933.

L'Ambasciatore von Hassell è venuto a parlarmi della situazione creatasi in Ginevra alla Commissione del Disarmo. Mi ha fatto vedere un telegramma da Berlino che dice presso a poco quanto segue: «sono in questo momento a Ginevra in moto delle forze molto importanti per far naufragare la Conferenza del Disarmo. Il motivo dovrebbe essere offerto dalla intransigenza della Germania nel non accettare la trasformazione della Reichweihr in un esercito a breve ferma. La manovra per mettere la Germania in una situazione senza uscita e farle assumere la responsabilità del fallimento della Conferenza, consisterebbe nel chiedere la seconda lettura della parte del progetto inglese che tratta della questione degli effettivi, e nella quale, in prima lettura si sono manifestate appunto le divergenze fra il punto di vista tedesco e quello delle altre Delegazioni. Viceversa la Germania ritiene che si debba continuare nella prima lettura di tutto il progetto, -passando quindi ora alla parte materiale -prima di procedere alla seconda lettura di una singola parte. Ciò pare logico e naturale perché il progetto inglese va considerato come un tutto e non è possibile dare una risposta definitiva su una parte senza conoscere almeno in via approssimativa quale è l'atteggiamento delle altre Potenze sulle rimanenti parti del progetto. La Germania quindi non intende lasciarsi imporre una situazione che la obblighi a dare una risposta definitiva nella questione della Reichwehr prendendo su di sé la responsabillità della rottura delle trattative. Chiede in ciò l'appoggio dell'Italia. Il telegramma termina dicendo che le stesse istruzioni sono date a Londra e Washington.

L'Ambasciatore von Hassell mi soggiunge poi che superato questo punto relativo alla prosecuzione della prima lettura per gli altri capitoli del progetto inglese, la Germania stessa desidera che si proseguano le conversazioni à còté della discussione ufficiale in conferenza per trovare una soluzione alla questione della Reichwehr. Chiede anche per questo l'appoggio dell'Italia.

Rispondo all'Ambasciatore von Hassell che il nostro punto di vista è identico a quello tedesco nel richiedere la continuazione della prima lettura (V. odierno

43 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XIII

telegramma di Aloisi) (1). Si daranno anche istruzioni Ginevra (2) perché sia appoggiata la richiesta tedesca per trovare una soluzione della questione della Reichwehr con trattative collaterali alle trattative ufficiali (3).

(l) Per la risposta di Bastlanlni cfr. n. 556.

543

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. RR. 966/452. Varsavia, 6 maggio 1933.

Telegrammi di V. E. n. 47 (4) e n. 48 (5) in data 2 e 4 corrente.

Ho riferito con altro rapporto (6) in data odierna come le istruzioni di V. E. costituenti la chiusa del Telegramma n. 32 del 31 marzo u.s. (7) fossero state completamente omesse nel testo a me pervenuto e come pertanto di esse potei venire a conoscenza soltanto col telegramma n. 47 del 2 corrente e col telegramma n. 48 del giorno 4. Senza perdere tempo chiesi udienza a questo Ministro degli Esteri col quale il giorno 4 stesso ebbi una lunga conversazione.

Siccome dopo i due colloqui del marzo scorso era la prima volta che m'intrattenevo con lui sul patto a quattro, gli dissi che avevo ritenuto necessario domandargli quel colloquio dopo aver letto il testo integrale del discorso Benes inviato a me come a tutti i miei colleghi da questo Ministro di Cecoslovacchia il giorno precedente.

Avendo notato come il Ministro degli Esteri cecoslovacco avesse fatto proprie e riaffermate dinanzi alla Camera del suo Paese talune inesattezze pubblicate da noti giornali circa i propositi italiani nei confronti della Polonia, ritenevo mio dovere precisare una volta per sempre che il tentativo di mettere la Polonia contro l'Italia, ripetendo essersi a Roma fra Mussolini e MacDonald parlato del corridoio polacco, ed affermando che il patto a quattro mirerebbe a privare la Polonia di qualche provincia, era una manovra odiosa basata su una invenzione.

Ciò premesso, dopo avergli fatto rimarcare come -a mio avviso -la reazione polacca al convegno di Roma avesse mostrato di risentire troppo l'effetto di simili asserzioni arbitrarie, gli ho esposto gli scopi e le basi del progetto romano riferendomi particolarmente alle critiche, alle prevenzioni ed alle deduzioni espresse dalla stampa polacca al riguardo durante il mese scorso, per talune delle quali era più che sicura l'ispirazione del mio interlocutore.

È stata mia cura sottolineare come il progetto non mirasse ad alcuna particolare questione, né riducesse il suo alto valore in un mascherato proposito egoi

sta, rilevando che a quanto mi constava i principi a cui s'informa avevano trovato accoglimento favorevole anche in ambienti politici stranieri che assai spesso avevano mostrato preconcetti sfavorevoli alla politica estera fascista.

La mia esposizione, accompagnata da larghi commenti, specie per quanto si riferisce alle parte del progetto che ha attinenza con i trattati di pace e con il patto della Società delle Nazioni, è durata circa tre quarti d'ora, seguita con la più viva attenzione dal Ministro Beck nel cui viso riscontravo talvolta una certa soddisfazione.

Il Ministro mi ha espresso anzitutto i più sentiti ringraziamenti, pregandomi di ringraziare l'E. V. per le comunicazioni da me fattegli; ha poi affermato che le informazioni ricevute intorno ai colloqui di Roma erano venute da tonte per lui responsabile e che pertanto ad esse non aveva potuto non dar credito (mi pare evidente l'accenno all'Incaricato d'Affari a Roma che da più parti mi viene definito persona infida e che mi risulta essere scarso di simpatie per il nostro Paese) aggiungendo inoltre che se nell'opinione pubblica si era manifestata quella reazione di cui gli avevo parlato, ciò era dovuto al fatto che in Polonia dal popolo si era sempre considerata l'amicizia italo-polacca come una certezza che fra i due Paesi non avrebbe mai potuto manifestarsi nemmeno una differenza di vedute.

Chi ha responsabillità di governo -ha soggiunto -non vede le cose in modo così assoluto e comprende benissimo che in qualche momento si possano manifestare divergenze nei modi di vedere.

L'Italia -ha continuato il Ministro -non ha con la Polonia nessun accordo che imponga ai due Paesi una certa limitazione di libertà, essa è dunque libera nella sua azione, ma è certo che il Governo polacco considera contraria agli interessi vitali della Polonia quella organizzazione dell'Europa a cui il patto a quattro darebbe luogo.

Ho riportato, credo esattamente, le parole di Beck perché l'insinuazione della libertà di azione dell'Italia, fatta allo scopo evidente di sottolineare l'uguale diritto polacco, mi sembra degna di rilievo.

L'ho ribattuta insinuando a mia volta che l'Italia non ha mai voluto creare alleanze o patti essendo convinta che l'amicizia vera non è quella che si offre perpetua o no quando c'è qualche pericolo in vista, e che quella dell'Italia si era manifestata quando la Polonia ne aveva avuto bisogno senza che vi fosse nessun accordo che ve l'obbligasse e proprio nel momento in cui nessuno mostrava alla Polonia una particolare sollecitudine. L'Italia -gli ho detto -è l'amica dei momenti difficili.

In quanto alla organizzazione dell'Europa gli facevo osservare che quella attuale racchiudeva gravi pericoli scongiurati finora dalla nostra decisa volontà a non creare blocchi contrapposti, e che essa in ogni modo non aveva impedito un peggioramento della situazione sia dal punto di vista politico, sia da quello economico.

Dopo qualche frase evasiva, Beck mi ha ripetuto essere la Polonia contraria, come già fu detto a Ginevra in occasione della concessione della parità alla Germania, ad accordi presi fra le grandi potenze su questioni che interessano tutti gli altri Paesi.

Gli ho risposto che il patto a quattro mira a stabilire una collaborazione fra le quattro grandi potenze e non a fare un accordo a danno di altri, aggiungendo che la Polonia in particolare che ha sempre augurato un accordo francoitaliano, dovrebbe vedere con simpatia un progetto col quale si mira a stabilire un'atmosfera di generale cordialità perché esso rappresenta oltre tutto l'unico sistema per ricondurre le pretese o le rivendicazioni ad una più serena valutazione dei fatti e per inquadrare i propositi nella realtà.

Il signor Beck mi ha risposto di non mettere in dubbio che queste siano le reali intenzioni italiane, ma che egli persisteva a credere che ciò fosse contrario agli interessi vitali della Polonia.

Essendo stato annunciato l'Ambasciatore di Francia, ho dovuto a questo punto interrompere la conversazione pregando tuttavia il Ministro di volermi fissare un successivo colloquio per spiegarmi le ragioni di questo suo punto di vista che non riuscivo a condividere.

Mentre prendevo congedo, S. E. Beck mi ha di nuovo ringraziato ed ha tenuto a dirmi che constatava con piacere come in questi giorni l'orizzonte si fosse molto schiarito in Europa e una certa calma si fosse fortunatamente ristabilita negli animi dopo il nervosismo delle settimane scorse. Egli si riferiva evidentemente al colloquio Wysocki-Hitler del quale non essendo io ancora a conoscenza non avevo potuto chiedergli informazioni.

Durante il corso della conversazione il Ministro degli Esteri aveva voluto trovare il modo di esprimermi il suo rammarico per non essere ancora riuscito a coprire il posto di Ambasciatore a Roma il quale richiede, a suo avviso, persona intelligente, serena ed in possesso di requisiti che non sarebbero comuni nella carriera diplomatica polacca. Non ho in alcun modo rilevato l'argomento, ma a questo proposito mi pare opportuno accennare ad un certo lavorio che l'attuale Sottosegretario Conte Szembeck pare sia andato svolgendo per assicurarsi quella nomina evitando in ogni modo che la scelta si facesse prima di quel rimpasto ministeriale che dovrebbe seguire l'elezione del Presidente della Repubblica e nel quale farebbe di tutto per lasciare il Governo e farsi destinare a Roma.

Poiché domani avrà luogo l'elezione del Presidente della Repubblica ed il Governo sarà prima impegnato in riunioni e formalità e subito dopo riformato nella sua compagine, non so ancora quando potrò avere da Beck il nuovo colloquio che gli ho richiesto. Mi riservo di riferire appena esso avrà avuto luogo (1).

(l) -T. 1861/17 R. del 5 maggio, non pubblicato. (2) -Le istruzioni furono date con t. 927/42 R. dell'8 maggio, non pubblicato. (3) -Del contenuto di questo appunto furono informati con t. per corriere 948/C R. dell'H maggio l Ministeri della Guerra, della Marina e dell'Aeronautica, le ambasciate a Berlino, Londra, Parigi, Mosca, Varsavia, Bruxelles, Madrid, Ankara e Washlngton e le legazioni a Praga.Belgrado, Bucarest e Atene. (4) -Cfr. n. 511. (5) -Il t. 5699/48 P.G. ripeteva integralmente il t. 539/32 R. (6) -Con R. 974/454 del 6 maggio, Bastianini aveva riferito che erano state omesse nella cifratura del t. 539/32 R. le seguenti quattro righe contenenti queste esplicite istruzioni perVarsavia: «La informo particolarmente che in conversazioni di Roma non si è discussa questlon"corridoio. V. E. può ove presentisi occasione fare uso informazioni e considerazioni che precedono». (7) -Cfr. n. 511, nota l.
544

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Ginevra 27 aprile-6 maggio 1933.

Disarmo. Il piano inglese di disarmo è stato portato in discussione nell'intervallo fra le mie due ultime gite a Ginevra. Sin dal primo momento la

Delegazione italiana, in conformità con le istruzioni di V. E., ha dichiarato la sua piena adesione, riservandosi di modificare il suo atteggiamento solo nel caso che al piano fossero stati apportati emendamenti o modifiche. Nessun'altra delegazione ha osato spingersi altrettanto.

Il corso della discussione ha ben presto fatto tramontare qualunque speranza di accordo. Già durante la discussione sulla prima parte (sicurezza) sono sorti tali e tanti ostacoli che è parso miglior partito troncarla a mezzo per attaccare la discussione sulla seconda parte (effettivi) nella speranza che essa si rivelasse di più facile trattazione della prima.

Naturalmente, invece, anche su questo argomento, come su qualsiasi altro in tema di disarmo, la discussione si è rivelata fomite di complicazioni e disaccordo.

Il primo ostacolo è stato sollevato dalla Russia che ha preteso che il sistema della coscrizione obbligatoria a ferma breve, da servire da comune denominatore per la valutazione degli effettivi, fosse esteso a tutti indistintamente, e quindi anche all'Inghilterra e agli Stati Uniti, i quali naturalmente non possono ammettere di essere costretti ad abbandonare il sistema della libera coscrizione.

Ma la Russia è un po' considerata come l'outsider della Conferenza e non sono quindi gli ostacoli che essa solleva quelli che destano maggiore preoccupazione. Anche in questo caso sono stati gli ostacoli sollevati dalla Germania qeUi che hanno sbarrato il cammino. La Germania ha preteso ad ogni costo di conservare la Reichswehr, il suo esercito di mestiere consentitole dal Trattato di Versailles, accanto ed oltre le nuove concessioni di effettivi a ferma breve e a coscrizione obbligatoria che dovrebbe consentirle questa Conferenza. Ossia Versailles, più la cancelllazione di Versailles.

Poiché non vi è alcuno che si senta di sostenere la pretesa tedesca, anche la discussione sulla seconda parte del piano inglese minaccia di giungere, come quella sulla prima parte, ad un punto morto.

Pel momento si ha l'impressione che la Francia, tenacissima nelle sue immutabili direttive e che finora non s'è ancora scoperta, preferendo di nicchiare in silenzio finché la opposizione la fanno gli altri, voglia manovrare in modo da far proporre un riesame della questione in seconda lettura con lo specioso pretesto di voler ridare a tutti l'opportunità di riesaminare le proprie posizioni. Di fatto, invece, essendo ben convinta che la Germania non potrà pel momento recedere dalle sue pretese, essa mira a far pubblicamente constatare e riconfermare l'isolamento tedesco.

Per evitare questo inutile nuovo inasprimento della situazione, io ho dato istruzioni di proporre invece la stessa procedura seguita in passato e cioè, nel caso che la discussione sulla seconda parte debba anch'essa interrompersi, di passare alla discussione sulla terza (materiali).

Finora i tedeschi hanno difeso male la loro cattiva causa. Mi par chiaro che tanto Nadolny a Ginevra quanto Neurath a Berlino si siano irrigiditi sulle loro false posizioni unicamente per il timore di poter essere accusati quali rinunciatari al loro cancelliere.

Secondo le ultime notizie, questo loro atteggiamento, dopo aver avuto il biasimo dell'America, ha suscitato le ire anche dell'Inghilterra che pare vada affiancandosi alla Francia nel proposito di fare ben risaltare, nel prosieguo della discussione, l'isolamento tedesco. In tale situazione c'è da rimpiangere che la proposta di un rinvio dei lavori che, come V. E. ricorderà, feci a Roma prima di partire, non sia stata accolta. Approvata da Jouvenel e da Hassell, fu proprio l'adesione inglese che allora venne a mancargli.

Di questo generale disorientamento appesantito da pessimismo ho approfittato, prima di partire, per far discretamente circolare, facendola partire da vari punti, la considerazione che non passa giorno senza che tutti debbano constatare la incapacità del vecchio sistema della consultazione generale di condurre ad un qualsiasi risultato. Dal che scaturisce naturalmente la conseguenza che se non ci si risolve a tentare ancora in tempo l'unica altra alternativa della consultazione fra i quattro maggiori, ci sono in vista grossi pericoli per tutti.

(l) Cfr. n. 601.

545

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Ginevra, 6 maggio 1933.

Tewfik è venuto ieri a tenermi una conversazione lunghissima e piuttosto arruffata che dapprima si è aggirata intorno all'argomento del Patto e successivamente intorno a sue macchinazioni di politica balcanica. Ne districo le linee principali.

Patto a Quattro. -Mi ha detto di aver immediatamente trasmesso a Ismet Pascià le spiegazioni sullo spirito ispiratore del Patto, che io gli avevo fornito or son pochi giorni, e mi ha assicurato che Ismet ne era rimasto convinto e soddisfatto.

Come V. E. avrà rilevato, sono infatti stati successivamente pubblicati sull'Akscham e sull'ufficioso Djummoriet due articoli di netta smentita alle insinuazioni del Temps circa un preteso raffreddamento delle relazioni italo-turche. Mi consta che questi articoli li ha fatti scrivere lo stesso Tewfik qui, a Ginevra.

Pel momento mi pare dunque che si sia riusciti a rimettere la Turchia sulla nostra carreggiata, in conformità con le istruzioni di V. E.

Tewfik mi ha detto poi di aver avuto un gran parlare, in questi giorni, con i colleghi delle piccole potenze, intorno alle spiegazioni che sullo spirito del Patto io avevo fornito a lui e ad altri, e di potermi affermare il suo convincimento che la comprensione delle vere finalità del Patto e del suo intimo significato era oramai divenuta generale.

Politica balcanica. -In questi suoi numerosi contatti di questi giorni, fra i quali frequenti anche quelli con la delegazione francese, Tewfik mi ha detto di aver formalmente dichiarato a tutti che nelle mie conversazioni con lui e con i ministri degli esteri bulgaro e greco non era mai stato fatto il minimo accenno ad una azione che io avrei avuto in animo di intraprendere per opporre una nuova piccola intesa balcanica alla piccola intesa già esistente.

A questo proposito desidero chiarire a V. E. che la violenta campagna di stampa che sin dai primi giorni si è manifestata su buona parte della stampa estera per svalutare l'azione di convincimento sui fini del Patto a quattro che io andavo svolgendo, mi è apparsa subito quale sintomo evidente che era stato toccato il punctum dolens degli avversari e mi ha quindi senz'altro convinto a perseverare. Difatti oggi nessuno crede più alla Piccola Intesa balcanica e la cosa è già dimenticata.

È degno di nota, su questo argomento, che mentre Sofia ed Atene si sono affrettate a scagionarsi facendo immediatamente pubblicare nei loro giornali delle smentite ufficiose, la sola Ankara se ne è astenuta. Dal che deduco che Ankara sta per rientrare nella nostra scia mentre Atene e Sofia restano tuttora perplesse.

Anche Tewfik mi ha detto di aver constatato nel corso delle sue conversazioni con Mouchanoff che Sofia resta sempre dominata dalla maggiore incertezza e non sa risolversi a prendere un deciso orientamento. Il che lo preoccupa. E ha cominciato a spiegarmi un suo macchinoso piano, già sottoposto a Ismet, col quale egli si proporrebbe di sottrarre la Bulgaria alla sua incertezza e forzarla a orientare la sua politica verso il concerto italo-turco-greco. A tal fine egli vorrebbe negoziare due patti: uno di neutralità con la Jugoslavia e uno per la intangibilità delle attuali frontiere greco-bulgare, turco-bulgare e grecoturche con la Grecia. Questo secondo patto sarebbe lasciato aperto alla adesione della Bulgaria in un secondo tempo.

Ben conoscendo la mentalità del Ministro degli Esteri turco, ho subito compreso a che cosa egli mirava e ho intravisto la probabilità che egli abbia già ingaggiato negoziati con Belgrado per un trattato di neutralità. Senza scendere a discuterne i particolari, mi sono quindi limitato a dirgli che queste sue elucubrazioni erano per lo meno inattuali e che pel momento mi pareva non vi fosse né tempo né opportunità da pensare ad altro che alla conclusione del patto a quattro.

Ho creduto opportuno portare i piani di Tewfik a conoscenza di V. E. perché Ella possa, qualora lo ritenga opportuno, informarne il R. Ambasciatore ad Ankara e il R. Ministro a Belgrado al fine di seguire gli eventuali svolgimenti della azione turca presso quelle capitali.

546

IL DIRETTORE DELLA SEZIONE ECONOMICA DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI, STOPPANI, AL CAPO GABINETTO, ALOISI (l)

APPUNTO CONFIDENZIALE. Ginevra, 6 maggio 1933.

Dal 29 aprile al 4 maggio ero a Londra per il Comitato d'Organizzazione della Conferenza Economica. Durante questi giorni ho avuto delle lunghe con

versazioni quotidiane col Signor Norman Davis col quale sono in rapporti di amicizia.

Ben presto la conversazione scivolò dagli argomenti economici su quelli politici, concentrandosi soprattutto sulla iniziativa presa dal Capo del Governo italiano per assicurare il mantenimento della pace in Europa almeno per un lungo periodo per mezzo di un Patto fra le Grandi Potenze.

Premetto che Norman Davis, durante la sua recente visita a Berlino, ha avuto l'impressione che Hitler personalmente rappresenta l'elemento col quale si può meglio sperare di arrivare a delle intese ragionevoli. Più ancora che i suoi luogotenenti e altri zelatori de.l nuovo ~egime, gli sembrano !'efrattari completamente i vecchi circoli nazionalisti e conservatori, e in particolare Hugenberg. Costoro sembrano aderire ostinatamente a vecchie idee e incapaci di concepire le cose in un altro modo.

Ciò premesso sono stato colpito dalla viva simpatia e dal grande interesse che Norman Davis consacra all'iniziativa del Patto a quattro. Non posso naturalmente dire se e in quale misura questi sentimenti di Norman Davis siano puramente personali o riflettano delle tendenze della nuova amministrazione americana. Personalmente Norman Davis condivide completamente l'idea che in Europa le Grandi Potenze sono le sole capaci -e nello stesso tempo responsabili -di garantire la tranquillità o per lo meno di impedire che incidenti eventuali possano degenerare in veri conflitti. Senza farsi illusioni sulle difficoltà che qualunque atto di revisione può comportare, egli ritiene che quello che importa sopratutto è che quelle modificazioni, che saranno necessarie, si facciano sulla base di una tale collaborazione delle Grandi Potenze, che ne garantisca lo svolgimento pacifico. Norman Davis sembra dare una tale importanza alla conclusione di un accordo di questo genere che non esita ad affermare che esso è la cosa più urgente e la più importante del momento. Egli ritiene che sarebbe necessario che i capi responsabili dei quattro Governi si riuniscano personalmente al più presto possibile e certo prima della Conferenza Economica. Egli ritiene pure che non è escluso che Hitler possa essere indotto a firmare qualche cosa di ragionevole, che potrà probabilmente fare accettare al suo popolo, data la sua popolarità attuale. Ritiene che i vecchi conservatori nazionalisti, che non capiscono niente, non rappresentano un grande ostacolo, perché saranno rapidamente eliminati. Il suo pensiero va però ancora più lontano: i casi sono due:

o Hitler si impegna a una politica ragionevole o non accetta e rimane intransigente. Secondo Norman Davis in ambedue i casi la causa della pace avrà fatto un progresso: progresso o con la Germania o senza la Germania; giacchè il Patto avrà servito a riavvicinare e a stringere tra loro le tre Grandi Potenze colle loro rispettive clientele. Bisogna secondo lui, in questo momento dove la Germania fa di tutto per isolarsi, metterla rapidamente davanti a un dilemma. Bisogna inoltre assicurarsi dell'appoggio dell'Italia, rendendo omaggio alla sua giusta iniziativa.

Ma ciò che mi parve più interessante nella sua conversazione è che Norman Davis sembra ritenere come possibile, anzi come probabile, che gli Stati Uniti possano, in modo diretto o indiretto, appoggiare della loro collaborazione la pace stabilita sulla base del Patto a quattro. «Io non dispero che a questa riunione dei quattro Capi di Governi, che vorrei vedere prodursi immediatamente,

io potrei forse prendere parte o nella stessa camera o almeno in una camera vicina. Non credo impossibile che il nostro nuovo Presidente capisce tutta la enorme importanza di questa azione e sia disposto a sostenerla. Se così fosse, con o senza la Germania, il risultato potrebbe essere importantissimo. La Conferma del disarmo in questo momento non ha senso. Lo potrebbe avere ben presto, se un accordo tra le quattro Grandi Potenze con l'appoggio degli Stati Uniti fosse intervenuto. Lo stesso vale in gran parte per la Conferenza economica. Il vantaggio di riunirla in una atmosfera di fiducia e di tranquillità, basata su degli elementi solidi, sarebbe evidente:~>.

Nel riferire quanto sopra, tengo a far notare che Norman Davis parla con me come con un vecchio amico, vale a dire con tutta sincerità e che d'altra parte sa benissimo che io non ho nessuna veste in queste materie. È quindi molto difficile giudicare se le idee da lui esposte circa un'eventuale simpatia e collaborazione degli Stati Uniti per la conclusione del Patto in questione riflettano solamente dei desideri e dei sentimenti personali o se siano in armonia con quello che è -o che egli crede che sia -l'indirizzo probabile del suo Presidente.

(l) Il documento venne trasmesso da Aloisi a Mussolini che annotò: «Comunicare testo conversazioni Davis a Londra, Parigi, Berlino».

547

IL MINISTRO DELLE FINANZE, JUNG, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. P. 1890/231 R. Washington, 7 maggio 1933, ore 1.'1,15 (per ore 22,35)

Da bordo «Vulcania :~> conto riferire ulteriormente per radio all'E. V. su quanto ha fatto oggetto mie conversazioni di questi giorni.

Desidero frattanto assicurare V. E. che attitudine del presidente e circoli governativi è improntata a sincera e viva cordialità nei confronti del nostro paese di cui si ammira assetto che opera di V. E. ha saputo dare.

Malgrado gli avvertimenti dell'ambiente inquinato dal peggiore politicantismo si fanno strada anche qui alcune delle idee fondamentali della concezione fascista e ad esse sono state improntate due delle tre direttive che il presidente ha esposte ad industriali e banchieri nel banchetto della « unione :~> delle Camere di Comercio americane di giovedì scorso.

Sulla questione dei debiti mi sono intrattenuto a lungo col presidente e col segretario di Stato. Ho esposto secondo le linee già note all'E. V. la nostra situazione di fatto. Ho mostrato in pari tempo di conoscere e apprezzare le difficoltà della situazione politica di questo paese.

La questione è qui ancora allo stato fluido. II presidente e il segretario di Stato mostrano rendersi conto della situazione reale ed auspicano una soluzione radicale ma non sanno come realizzarla dato il groviglio creato dalle dichiarazioni e riflessi (l) a riguardo in passato da ambo i partiti. Nessuna proposta concreta è stata avanzata da parte americana e nessuna proposta ho creduto di fare da parte mia.

Ho affermato esplicitamente al presidente e al Segretario di Stato che il pagamento della rata extra giugno non è praticamente possibile da parte nostra. Riferirò ulteriormente dal «Vulcania '>.

Ambienti qui mi sono sembrati molto preoccupati dall'andamento conferenza disarmo e dalle richieste germaniche in fatto di armamenti, richieste a cui sono fondamentalmente contrarli.

Schacht è venuto di sua iniziativa a vedermi all'ambasciata. Ho avuto con lui conversazione di mezz'ora. Gli ho esposto a titolo strettamente personale oltre alle mie impressioni sugli avvenimenti monetari di questo paese anche la sensazione dell'ondata di ostilità che momentaneamente prevale qui nei riguardi Germania. Ho accentuato intenzione del presidente di ottenere disarmo attraverso riduzione degli armamenti senza consentire ad alcuno di r1armarsi.

Al termine della mia missione desidero ringraziare vivamente V. E. della fiducia dimostratami.

(l) Il gruppo pot1·ebbe anche essere «impegni presi». [Nota del documento].

548

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. 909/[178] R Roma, 7 maggio 1933, ore 13,25.

Suo 314 (1}. Approvo quanto ella ha risposto ad Hugenberg circa nostro interesse non suscitare in questo momento ostilità Francia e Stati iberici.

Non è la prima volta che, sia pure in forma differente, da parte germanica ci pervengono offerte di più stretta collaborazione economica che, dai dicasteri interessati, vengono considerate non scevre di incognite per i nostri interessi.

In attesa memoriale che le è stato promesso, gradirei intanto conoscere fino a che punto progetto in questione le risulti essere idea personale di Hugenberg o concordato con Hitler o comunque rispondente ad opinione diffusa in codesto Governo o nei circoli economici e finanziari.

Qualora da parte di codesto Governo si tornasse sull'argomento, sarà bene che V. E. insista sul concetto che pendenti i negoziati sul patto a quattro iniziativa italo-germanica del genere sarebbe inopportuna. Al più ella potrà aggiungere che da parte nostra ci riserviamo di far studiare la questione dagli organi competenti.

549

IL CAPO GABINETTO, ALOISI AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO Ginevra, 7 maggio 1933

Prima di partire da Ginevra sono andato da Tewfik per parlagli di quanto

V. E. mi comunicava con telegramma n. 41 in data 6 maggiO. i.l)

È stato visibilmente felice dell'assicurazione che V. E. gli dava che l'amicizia dell'Italia per la Turchia era immutata e che egli sarà in avvenire tenuto al corrente di qualunque nostra iniziativa che possa interessare la Turchia. Egli telegrafava immediatamente il contenuto della mia comumcaz10ne ad Ismet Pascià.

In fondo questa assicurazione che gli ho data non è altro che quella stessa già data da V. E. il maggio scorso nel discorso fatto al pranzo offerto ad Ismet Pascià in occasione della sua visita a Roma.

Io gli ho però subito fatto comprendere che tanta felicità si pagava con lealtà e con costante astensione da gesti pubblici di malumore. Non solo, ma gli ho chiesto ancora: l) -che al suo arrivo ad Ankara faccia una qualsiasi manifestazione di conferma degli immutati sentimenti di amicizia della Turchia verso l'Italia; 2) -che dia istruzioni al Ministro turco in Albania di far ben comprendere a Zog l'avvenuto rinsaldamento dell'amicizia italo-turca al fine di togliergli la fastidiosa illusione di avere un «atout» su cui imbastire un qualche suo giuochetto. Egli mi ha promesso di fare l'uno e l'altro.

La Turchia è tornata all'ovile.

(l) -Cfr. n. 502. (2) -Cfr. n. 540.
550

IL MINISTRO A TIRANA, KOCH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1915/108-109 R. Tirana, 8 maggio 1933, ore 13,40 (per ore 22).

Ho avuto lungo colloquio con Re Zog. Riferisco particolareggiatamente per corriere. Mi preme fissare intanto punti essenziali: Re Zog constata raffreddamento nei rapporti fra i due paesi; cerca di gettarne responsabilità su R. Governo, rilevando che fonte di tutti i malanni del paese è da rlcercarsl nella difficoltà di carattere finanziario ed economico creata dall'alleata. Egli impernia tutta la situazione dei rapporti fra i due paesi sulla questione S.V.E.A. mi ha dichiarato esplicitamente che col concludere il patto dl alleanza egli ha inteso liberarsi dal debito S.V.E.A., poiché fra i doveri che implicava l'alleanza vi era per l'Italia quello di accollarsi l'ammontare del debito, dato che il Governo di Tirana doveva destinarlo a spese che avevano lo scopo precipuo di salvaguardare interessi del suo paese. Tutte le altre questioni, (come quelle della politica scolastica e confessionale adottate da questo Governo, ha risolutamente tenuto a rilevare di esserne solo giudice trattandosi di faccende esclusivamente interne) sono di carattere secondario e, superate le difficoltà che si manifestano in questo periodo di loro applicazione, il Governo albanese avrà modo di dimostrare in quale considerazione esso tiene la cultura e la lingua italiana, in modo dare ogni soddisfazione al Governo di Roma. In conclusione Re Zog, che tempo fa ricordando che ogni Stato che si rispetta deve far fronte ai suoi impegni finanziari e che il Governo albanese intendeva pagare il suo debito sperando però che il Governo alleato avrebbe indotto la S.V.E.A. ad adattare i pagamenti alle difficili condizioni finanziarie in cui si dibatte il paese, e che in precedenti colloqui mi disse che in definitiva l'impegno del Governo albanese era soltanto di 20 milioni perché gli altri 30 erano stati spesi

per lavori fatti ad esclusivo vantaggio strategico dell'Italia, ora ha dichiarato esplicitamente di nulla dovere e ha rinfacciato addirittura al Governo di Roma di venire meno al patto di alleanza perchè lascia che la S.V.E.A. ne reclami il rimborso. Si è fatto forte di questo suo punto di vista ricorrendo a pretese assicurazioni avute al riguardo dai miei predecessori e da S. E. Grandi in occasione della sua visita a Tirana.

Ho rimbeccato vivacemente, attirando la seria attenzione del Re sulla cattiva strada sulla quale egli si sta mettendo, sulle conseguenze che ne potranno derivare, di cui doveva prendere tutta la responsabilità. Ho rifatto il bilancio di tutta la politica di alleanza mettendo in luce tutto l'attivo della nostra collaborazione e tutto il passivo che termina nella triste constatazione che malgrado tanti anni di nostra benefica presenza in Albania non si sia formata una atmosfera di naturale calda amicizia nei rigurdi nostri e gli ho citato gli innumerevoli incidenti che stanno a dimostrare come le autorità lascino volentieri diffondere, se non addirittura lo creino, questo spirito ostilità nei riguardi nostri. Ho ricordato l'atteggiamento preso volutamente dal Governo in modo non amichevole con gli ultimi provvedimenti nel campo scolastico e confessionale e ho concluso che in tali condizioni egli non deve meravigliarsi se Governo di Roma entra in un periodo di « attenta osservazione >> per giungere ad un migliore adattamento della sua collaborazione a questo stato di cose di cui esso non ha certo responsabilità alcuna. Stabilito bene ciò, la questione

S.V.E.A. non doveva essere considerata che in linea secondaria e di dettaglio. Non ho mancato mostrarmi fiducioso che egli avrebbe saputo dimostrare di apprezzare moltissimo la collaborazione del Governo di Roma e tenevo da parte mia ad assicurarlo che in tal caso avrebbe trovato in me le più favorevoli disposizioni.

551

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH ALLE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE ALL'ESTERO (l)

T PER CORRIERE 911/C R. Roma, 8 maggio 1933.

A V. E. V. S. sono state già comunicate grandi linee patto quattro. Da parte opinione e stampa altre maggiori e minori Potenze europee vi sono state reazioni diverse che nel caso della Polonia ,e Pic,cola Intesa hanno raggiunto forme nette di opposizione. Ella conosce certamente manifestazioni più appariscenti contro progetto di Patto partite da Benes e Titulescu. Quest'ultimo ha svolto sia pure senza grande successo azione negativa personale e diretta recandosi allo scopo Parigi e Londra.

Tutto questo scomposto agitarsi tende accreditare impressione che sussista e debba sussistere necessità difesa da parte Potenze minori contro le quattro maggiori e che Piccola Intesa possa arrogarsi legittimamente funzione raggrup

pare intorno a se e interpretare diritti tutti i minori in un'azione di solidarietà. Campagna si basa su interpretazioni e illazioni fallaci e tendenziose come già risulta a V. S. dalle delucidazioni fornitele.

Confermo che Patto prevede in modo assoluto rispetto diritto dei terzi e che per qualunque disposizione che li riguardi è necessario concorso interessati. Patto rientra poi completamente nel quadro del Covenant della Società delle Nazioni e si richiama espressamente ai fini appunto di una politica generale di collaborazione per mantenimento pace.

Per quanto concerne disarmo primo scopo da raggiungere è quello di fare arrivare conferenza disarmo a risultati concreti e positivi facilitando compito conferenza con la creazione di un quadro politico su cui innestare discussione relativa al disarmo. Per quanto concerne parità di diritto è evidente che se conferenza arriverà a risultati decisivi problema sarebbe risolto con riduzione od almeno, come prima tappa, con considerevole riavvicinamento armamenti al livello degli Stati disarmati. Qualora però non fosse possibile arrivare a riduzioni radicali è necessario dare contenuto effettivo a uguaglianza di diritto per la via di un riarmo degli Stati disarmati da effettuarsi gradualmente e a mezzo di accordi fra le Potenze interessate. Ciò particolarmente allo scopo di evitare soluzioni unilaterali le cui ripercussioni potrebbero compromettere situazione generale europea.

Per quanto concerne revisione ella può assicurare che non è stata presa in esame alcuna questione concreta limitandosi a fissare procedura per eventuale ratifica applicazione art. 19 del Covenant.

Formulazione generale del Patto è tale che quando esso sarà noto nel suo testo definitivo, ogni prevenzione dovrà cadere di fronte chiara finalità politica ispimtrice che supera le stesse particolarità tecniche e giuridiche di dettaglio. La sola presentazione del Patto ha già rasserenato una situazione addivenuta negli ultimi mesi progressivamente inquieta e turbata. Iniziativa italiana rammenta dovere solidarietà e responsabilità europea delle Grandi Potenze fra di loro e nei rispetti di tutti gli altri Stati.

Tanto le comunico per Sua ulteriore informazione e norma linguaggio.

(l) Il telegramma fu Inviato anche al consolati generali a Ottawa, Monaco d! Baviera, Tangeri e Dublino. Non fu invece inviato all'ambasciata presso la Santa Sede né alle legazioni extraeuropee, ad eccezione del Cairo, e nemmeno a quella a Tirana.

552

L'AMBASCIATORE A BERLINO CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1960/335 R. Berlino, 8 maggio 1933 (per l'11).

Telegrammi di V. E. per corriere nn. 857 R. e 858 R. del 3 maggio 1933-XI. (l)

Ho conferito stamane col barone von Neurath circa il patto a quattro. Egli mi ha detto di avere trasmesso fino dal 5 corrente le sue istruzioni all'ambasciatore von Hassell e me ne ha dato conoscenza.

All'art. I egli domanda che siano cancellate le parole « ainsi qu'avec les tierces Puissances » osservando che tale frase gli sembra poco logica e non

pratica perchè l'obbligo delle 4 Potenze di collaborare per il mantenimento della pace implica che esse sentano anche l'avviso di altri Stati quando siano in gioco i loro interessi, visto che la loro politica si deve svolgere nel quadro della S.d.N.

Barone von Neurath osservò che le parole che egli desidera siano omesse non figurano del resto nel testo nè della controproposta francese nè di quella inglese.

All'art. II il barone von Neurath ritiene si debba omettere la parola «éventuelle » che segue la parola «application » e ciò perchè gli sembra che si è già concesso tanto agli avversari della revisione dei trattati, che non è il caso di porre ancora in forse la posibilità di applicare l'art. 19. Egli crede inoltre inutile citare l'art. 16, le cui disposizioni non hanno ragione di essere citate più di quanto non ne abbiano quelle dell'art. 11 del Covenant, il quale non è invece indicato.

Quanto all'art. III la discussione si è protratta a lungo. Il barone von Neurath mi ha detto ch'egH non poteva accettare che l'uguaglianza di diritti dovesse avere applicazione pratica «par étapes », per le ragioni già anteriormente espostemi. La Germania desiderava però cedere sino al limite massimo e quindi aveva tenuto conto delle insistenze di V.E. perchè non si parlasse più di un accordo di disarmo per 5 anni. Ma essa non intendeva ammettere che la propria libertà d'azione fosse limitata all'infinito; consentiva a concludere un accordo senza indicarne la durata, ma uno solo. Allo scopo poi di evitare che firmato il patto a quattro, di questo accordo non si parlasse più o che se ne parlasse solo fra qualche anno, barone von Neurath mi disse dovere essere inteso che accordo dovesse concludersi entro tre mesi dalla firma del patto senza di che la Germania non lo avrebbe ratificato. Per questa ragione egli aveva chiesto che l'art. 6 fosse modificato tornandosi al testo del primitivo progetto di V. E. che menzionava la ratifica del patto da eseguirsi « dans un délai de trois mois ».

Il barone von Neurath ha aggiunto che a suo avviso doveva essere menzionata nell'art. 3° l'adesione di principio delle quattro Potenze al progetto britannico di convenzione per il disarmo.

Ho detto al barone von Neurath che le sue obiezioni mi sembravano di natura da compromettere seriamente il patto a quattro. La pretesa della Germania di concludere un solo accordo in materia di disarmo con gli altri 3 firmatari avrebbe accresciuto negli Stati che non vogliono il riarmamento della Germania l'impressione che quest'ultima desidera liberarsi al più presto di ogni intralcio per potersi armare a sua volontà.

Inoltre vi era il pericolo che, anche dopo firmato il patto, la Germania sollevasse tali obbiezioni per la conclusione dell'accordo di disarmo, il quale doveva essere anteriore alle ratifiche ed al loro scambio, che la ratifica diventava assai problematica.

In terzo luogo gli avevo spiegato poco prima, giusta le istruzioni ricevute, per quali ragioni V. E. non aveva creduto riferirsi nel testo del nuovo progetto nè al progetto inglese di disarmo nè alla richiesta tedesca per il conseguimento della parità assoluta entro cinque anni.

Credevo dunque opportuno togliere dal contro-progetto tedesco l'accenno al progetto inglese.

Barone von Neurath da principio rifiutò di alterare anche una sola parola del nuovo testo tedesco dell'art. 3°. Lo pregai però di vagliare attentamente le considerazioni che gli ripetei, prima fra tutte quella che V. E. vedeva con favore la firma di un protocollo separato in cui le 4 potenze dessero la propria adesione al progetto inglese di disarmo, approvandolo in pr[ncipio o affermando almeno la volontà di considerarlo come utile base di discussione. Egli si fece molto pregare, ma finì per dirmi che consentiva a togliere l'accenno al progetto di disarmo inglese, sostituendovi le parole «sans délai ~. così che la seconda parte dell'art. 3° dovrebbe suonare, secondo il Ministro degli Esteri, così:

«La France, la Grande Bretagne et l'Italie de leur còté déclarent que le principe de l'égalité des droits doit avoir une valeur pratique pour l'Allemagne, et l'Allemagne, en ce qui la concerne, s'engage à ne réaliser ce principe de l'égalité des droits qu'en vertu d'un accord à conclure sans délai, auquel chacune des quatre Puissances sera partie.

Les quatre Puissances reconnaissent que ces mèmes principes s'appliquent aux autres Etats désarmés par traité >>. Barone von Neurath si dichiarò in pari tempo disposto alla conclusione del protocollo separato di cui sopra.

Ho dopo di ciò tornato ad intraprendere l'opera di convincimento del barone von Neurath relativamente alla necessità per la Germania di accettare l'applicazione della parità di diritto «par étapes ~. Ma mi scontrai contro una muraglia, pel momento, incrollabile. Il Ministro degli affari esteri mi disse che per niente al mondo egli poteva legare la Germania al volere delle altre Potenze per tempo indeterminato. L'accettare un accordo, senza il termine di cinque anni (siccome aveva creduto chiedere da principio) era il massimo delle concessioni a cui lui poteva giungere.

Gli domandai di dirmi che cosa sarebbe successo al termine dell'accordo stesso, se la Germania si sarebbe considerata liberata da ogni impegno e come mai egli potesse sperare che Francia ed Inghilterra a·ccettassero il suo testo. Barone von Neurath mi rispose che l'accordo poteva essere concluso per 5 anni, per meno o per più. Terminato che esso fosse la Germania, sino al termine del patto a quattro, sarebbe rimasta fedele agli impegni assunti. Nulla impediva alla Germania di concludere nuovi accordi, sia a Ginevra, sia colle altre 3 Potenze, ma liberamente, mentre essa non voleva nè poteva accettare il principio degli accordi successivi oppure a tappe che avrebbero sanzionato il suo stato d'inferiorità.

Egli non si doveva curare troppo di quanto si pensasse a Parigi e a Londra, trattandosi di un interesse vitale per la Germania che era suo dovere di tutelare e ch'egli avrebbe difeso fino in fondo.

Del resto, se dal patto a quattro la Germania non avesse ottenuto nemmeno il vantaggio di essere in avvenire legata formalmente da un solo accordo per la questione degli armamenti, il patto non avrebbe più avuto nessun valore per essa. S. E. Suvich aveva molto insistito con l'ambasciatore von Hassell sul

l'importanza per la Germania di firmare il patto. Ora io gli avevo comunicato anche gil argomenti di V. E. in proposito. Ma egli mi ripeteva che la Germania dal patto a quattro, così com'era, non

ha gran che da guadagnare.

Il Governo tedesco nulla ha da mutare agli articoli 4 e 5.

Dal linguaggio del barone von Neurath e da una non celata amarezza delle sue conversazioni meco sopra altri argomenti, ho tratto l'impressione che riferisco a V. E. per quello ch'essa può valere -che all'atteggiamento reciso da lui assunto possa essere estranea la considerazione di avere un modo dignitoso per abbandonare la direzione del ministero degli affari esteri.

La posizione del barone von Neurath diviene infatti ogni giorno più difficile per le ragioni che sono note all'E. V.

(l) Cfr. nn. 520 e 521.

553

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1961/337 R. Berlino, 8 maggio 1933 (per. l'11)

Miei telegrammi per corriere n. 304 del 27 aprile u.s. e n. 333 del 6 maggio corrente. (l)

Barone von Neurath mi ha detto essere certo che il ritorno alla normalità fra la Germania e l'U.R.S.S. sarà stato salutato con soddisfazione del Governo fascista, giacché esso rispondeva alle vedute ripetutamente manifestate al Governo tedesco e da questo tenute in gran conto.

Ministro degli Affari Esteri aggiunse che il colloquio tra il Cancelliere Hitler e l'ambasciatore Chintschuk trascorso secondo le note direttive, essendosi da parte di Hitler confermate le intenzioni del Governo nazional-socialista di mantenere inalterate le relazioni di amicizia con l'U.R.S.S.

Ho chiesto al barone von Neurath come si svolgessero le trattative per la DEROP ed egli mi rispose che la richiesta sovietica di limitare l'azione del commissario governativo alla parte ispettiva del personale era stata accolta dalla Germania. Per le altre questioni erano in corso negoziati che, trattandosi di russi, procedevano con qualche intoppo, ma vi era la migliore intenzione di mettersi d'accordo.

Al mio accenno ad un acquisto della DEROP da parte del Governo tedesco, barone von Neurath rispose che esso non avrebbe corrisposto all'interesse della Germania. Questa aveva ragione di desiderare che la DEROP rimanesse in parte sovietica, che prosperasse e che fosse assai redditizia.

Barone von Neurath mi parlò poi dell'azione di «détente » da lui patrocinata presso Hitler nei riguardi della Polonia che aveva avuto una pubblica manifestazione attraverso i noti due Comunicati di Berlino e Varsavia, dicendosi

convinto che anche tale attitudine pacifica della Germania avrebbe avuto l'approvazione dell'Italia. Gli risposi che egli si era reso perfettamente conto di quelli che erano i sentimenti del Governo fascista al riguardo.

(l) Non pubblicati.

554

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 1962/339 R. Berlino, 8 maggio 1933 (per. 1'11).

Telegramma di V. E. n. 178. {l)

Da quanto riferii a V. E. col rapporto riservatissimo del 2 corrente,' n. 842 (conversazione con S. E. Goering) (2) risulta come il progetto espostomi dal ministro dell'economia Hugenberg non sia stato concordato col Governo tedesco, ma sia una idea sua personale.

Sino ad oggi Hugenberg non si è fatto più vivo meco. Questi, del resto, nei giorni scorsi ebbe a dibattersi in difficoltà di politica di partito così gravi che probabilmente non ebbe tempo di pensare ulteriormente al progetto.

Se il memoriale promesso mi sarà inviato da Hugenberg mi esprimerò con lui e col Governo tedesco nel senso delle istruzioni da V. E. impartitemi. Ad ogni modo non solleciterò, da parte mia, l'invio del memoriale di cui si tratta.

555

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH E L'INCARICATO D'AFFARI D'ALBANIA A ROMA, SHTYLLA

APPUNTO. Roma, 18 maggio 1933.

Il signor Shtylla è venuto a trovarmi per avvertirmi che andava per qualche giorno a Tirana ove avrebbe parlato col Re e con i membri del Governo.

Entrando direttamente nella discussione della presente situazione, mi ha detto che egli riteneva che l'Albania dovesse cambiare atteggiamento nei riguardi dell'Italia e che in tal senso intendeva parlare.

Gli ho detto che effettivamente le cose così non vanno. Gli ultimi provvedimenti presi dal Re erano e sono stati interpretati come una manifestazione di ostilità verso il nostro Paese. Ora ciò nei rapporti esistenti fra i nostri due Paesi e in vista dei sacrifici che l'Italia compie per l'Albania, non è assolutamente ammissibile. È chiaro che ad un determinato momento l'Italia doveva mettere la parola «basta ». È inutile citare tutta la serie di episodi che a lui sarano noti altrettanto quanto a me. Certo è che gli italiani in Albania hanno l'impressione di essere trattati da nemici. Bisogna quindi riformare radica!

44 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XIII

mente l'intero atteggiamento tanto dei circoli governativi quanto in genere dell'opinione pubblica albanese.

Il signor Shtylla mi ha risposto che, pur riconoscendo i torti di metodo da parte dell'Albania, bisogna tuttavia tener presente che il popolo, fondamentalmente, non è contrario all'Italia. Anche il più rozzo contadino sa che l'Albania esiste in quanto l'Italia la difende. Da parte sua poi il Re, che ha molti nemici e che è accusato di essere uno strumento in mano dell'Italia, deve difendersi con qualche provvedimento che dimostri la propria indipendenza. Il Re con ciò non ritiene di agire contro l'Italia. Egli sa che l'Italia l'ha messo sul trono e che se l'Italia lo abbandonasse la sua posizione sarebbe molto difficile.

Replico che gli atti da noi lamentati non possono confondersi con manifezioni fatte per 1la platea. Non c'è dubbio -e questa è stata l'interpretazione generale anche in Albania -che i lamentati provvedimenti sono animati da uno spirito di ostilità contro l'Italia. Ciò è tanto più ingiustificato in quanto, come riconosce il signor Shtylla stesso, l'Italia è l'unica sa~vaguardia dell'esistenza dell'Albania. La diffidenza contro l'Italia è assurda. È chiaro che l'Italia non può avere nessuna mira né territoriale, né annessionista sull'Albania. Tutta l'opera spiegata dall'Italia è in puro vantaggio dell'Albania stessa. Avendo l'Italia la missione di organizzare e sviluppare lo Stato albanese, evidentemente deve seguire e aiutare sul posto le fasi di questo sviluppo.

Anche qui le suscettibilità albanesi sono fuori di posto. Lo stesso contratto della SVEA contro cui si appuntano gli sforzi del Governo albanese, è un provvedimento nell'interesse dell'Albania, perché le clausole di detto contratto sono una salvaguardia contro la manomissione da parte di altri sull'Albania. Perciò n Governo italiano non farà nulla perché le clausole fondamentali del contratto siano mutate. Se l'Italia deve continuare nella sua opera tendente al progresso dell'Albania, con investimenti da cui esuli qualunque spirito speculativo anche lontano, bisogna che in Albania si crei un clima di amicizia verso l'Italia. Non è ammissibile che prevalga la mentalità attuale di certi circoli albanesi secondo la quale l'Italia è obbligata a fare in Albania delle spese e degli investimenti, e quindi bisogna sfruttare al massimo questa situazione.

Il signor Shtylla si dice personalmente persuaso di queste ragioni e si propone di parlare molto chiaramente sia al Sovrano che ai Ministri albanesi.

(l) -Cfr. n. 548. (2) -Cfr. n. 515.
556

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. RR. 976/456. Varsavia, 8 maggio 1933.

Riferendomi al telegramma di V. E. n. 51 (l) informo che con telespresso a parte (2) trasmetto oggi i commenti della stampa polacca alle dichiarazioni che n cancelliere del Reich ha fatto al Ministro di Polonia a Berlino.

È mia impressione, condivisa del resto dai colleghi che ho incontrato in questi giorni, che effettivamente dopo il colloquio Hitler-Wysocki l'atmosfera siasi alquanto rasserenata. Come ho riferito con altro rapporto, lo stesso Beck mi aveva spontaneamente accennato il giorno successivo a detto colloquio alla calma che si era ristabilita ed all'orizzonte che si era schiarito. A sottolineare il significato di soddisfacente détente che in Polonia si attribuiva al coHoquio di Berlino, si è messa in vista nella stampa una converrsazione avvenuta qui il giorno dopo di quella di Berlino, fra questo Ministro di Germania e Beck, e si era voluto rilevare che questi aveva tenuto a ripetere le identiche parole pronunciate da Hitler circa i trattati, le quali dall'ufficiosa « Gazeta Polska » sono state definite «più coraggiose di quelle dei suoi predecessori» e quindi in sostanza accolte con soddisfazione.

Attribuisco al fatto una importanza non trascurabile perché infatti, anche se l'atmosfera in Polonia non ,era da guerra preventiva come a Berlino si temeva, non si può non riconoscere che fosse già da qualche tempo di allarme e che avrebbe anche potuto peggiorare. Ad una possibilità di guerra preventiva non ho mai creduto perché quello che constatavo qui non era un desiderio aggressivo, ma un serio timore che da parte tedesca si potesse vertificare un attacco -magari di camicie brune -a qualche località del corridoio polacco. È curioso e significativo il fatto che a Berlino ed a Varsavia si temesse Ili essere attaccati! È certo, in ogni modo, che una tale preoccupazione è svanita da una parte e dall'altra dopo le dichiarazioni del cancelliere, e questo è un risultato dmportante.

Quale sarà il seguito che ad esso si vorrà o si potrà dare dalla Polonia, non mi è possibile per ora prevedere sembrandomi azzardato pensare che qui, anche se si metterà la sordina alla campagna antitedesca, si porrà fine immediatamente a quel boicottaggio delle merci che -a quanto mi diceva questCJ Ministro di Germania -danneggia fortemente l'esportazione germanica e si considererà con benevolenza la non ratifica di Berlino dell'accordo commerciale con la Polonia o l'azione hitleriana a Danzica.

Diminuita la tensione persistono le cause che possono riprodurla e fra queste mi preme di citare per prima la situazione di Danzica. Accantonato per il momento di comune accordo il problema centrale, quello cioè che non può essere nominato senza che la parola guerra esca da ogni bocca polacca, restano le diffidenze reciproche, le volontà uguali e contrarie delle due parti e talune questioni in sospeso non facili ad essere risolte. Non si può essere troppo ottimisti sugli sviluppi che avrà questa distensione di nervi se i due contendenti dovranno provvedere da soli a tale bisogna, perché ambedue per troppo tempo hanno dato libero corso ai sentimenti di avversione che li animano lasciando cadere Ie occasioni favorevoli allo stabilirsi di una migliore atmosfera.

Tuttavia, non escluderei affatto che esista la possibilità per un terzo che fosse bene accetto alle due parti e che soprattutto disponesse a Berlino di un adeguato prestigio, di riuscire a stabilire fra Polonia e Germania dapprima un contatto meno astioso e poi una base relativamente più sicura alla convivenza dei due avversari.

Questa min ~mpressione si appoggia su un ragionamento e su alcuni dati di fatto.

Il ragionamento è il seguente: la Polonia ha avuto i giorni scorsi quel che desiderava da molto tempo e cioè l'occasione di proclamare al mondo di non ammettere nessuna discussione sulle sue attuali frontiere e di essere decisa a fare la guerra piuttosto che cedere un pollice di territorio. Con tale dichiarazione essa ha ottenuto d'impressionare abbastanza fortemente non solo tutti quelli che temono nel momento attuale lo scoppio di una guerra qualunque, ma anche i tedeschi i quali -a giudicare dal timore che hanno dimostrato di una guerra preventiva -non sarebbero preparati a sostenere l'urto di un esercito regolare bene armato ed equipaggiato. La soddisfazione di sentire pronunciare da Hitler parole di pace e di rispetto dei trattati è tutto quanto la Polonia potesse desiderare dal giorno in cui cominciò ad inquietarsi deHa campagna tedesca ai suoi danni. Che più potrebbe domandare ancora, e soprattutto cosa ancora le potrebbero concedere il neutro e l'avversar~o che non le sia stato accordato i giorni scorsi al Parlamento inglese e ieri da Hitler? La partita -che del resto la Polonia anche se spavaldamente sarebbe disposta a giudicare, in effetti teme -è rinviata per un tempo almeno così lungo quanto sarà quello che occorrerà alla Germania per entrare ,in possesso di tutto quanto le manca a scopi di guerra. Da oggi fino a quel momento è possibile mantenere un'atmosfera di guerra o di allarme in tutto il paese, mentre la crisi imperversa e le condizioni del popolo peggiorano ed il bisogno di denaro come quello di esportare aumenta senza speranze?

La Polonia non potrà fare la guerra in tempo di pace ed avrà tutto l'interesse a non rinunciare ai benefici morali e materiali che una tregua più o meno lunga non mancherebbe di apportarle.

Gli stati di fatto sono i seguenti:

a) la Germania non si sente la forza di fare una guerra e mentre persiste questa sua inferiorità -contro la quale si batte legalmente -il suo interesse è di dar prova di pacifiche intenzioni;

b) la Germania non può rinunziare completamente al mercato polacco che anche adesso in momenti di grave crisi era assai importante per i prodotti della sua industria;

c) la Germania che non può sostene,re una guerra deve ricordare che una complicazione qualunque a Danzica condurrebbe -ai sensi del trattato di Versailles -le forze polacche ad occupare quella città e quindi sarebbe la causa

o di quella guerra preventiva che Berlino depreca o di uno sca,ceo tedesco assai nocivo al prestigio del nuovo regime;

d) Hitler senza compiere nessuna rinuncia potrebbe ristabilendo con la Polonia rapporti di normale -anche se non proprio cordiale -vicinato, distruggere talune prevenzioni che sulla sua bellicosità e sul suo spirito di conquista esistono all'estero e che gli rendono difficile la sua azione sul fronte internazionale.

Vi sarebbero dunque, a mio modo di vedere, elementi sufftcienti per condurre i due paesi a concludere una tregua senza obbligarli a farsi concessioni su quel terreno dove, per ora almeno, sarebbe impresa sovrumana tentare di farli incontrare disarmati. La Francia che già fece una volta un simile tentativo con i regimi tedeschi più vicini al suo, non ebbe fortuna e non si attenterebbe più oggi a ricadere nell'insuccesso. L'Italia potrebbe invece esaminare un simile progetto, le possibilità di riuscita che esso presenta e quali vantaggi potrebbe essa ricavarne in questa zona e fuori di qui nel più largo campo della politica europea. Poiché già una volta nel 1930 (l) da parte del Conte MartinFranklin era stata prospettata al superiore Ministero la possibilità futura per il nostro Paese di assumersi un compito del genere, mi è sembrato di ravvisare nel momento attuale quello che offrirebbe un certo numero di circostanze favorevoli ed ho ritenuto opportuno sottoporre all'alto giudizio dell'E. V. questa mia impressione, per quel conto che Ella crederà di paterne fare nel quadro generale degli interessi del nostro Paese.

(l) -Cfr. r•. 541. (2) -Non sl pubblica.
557

IL DELEGATO AGGIUNTO ALLA CONFERENZA DEL DISARMO, SORAGNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1922/22 R. Ginevra, 9 maggio 1933, ore 0,30 (per. ore 6).

Mio telegramma n. 21 in data odierna (2).

Torno ora da lunga conferenza privata dei cinque firmatari dichiarazione 11 dicembre (3) tenutasi presso Henderson. Ambiente più intimo mi ha permesso sviluppare con ogni libertà, durante animata discussione, il nostro parere che ho dimostrato basarsi su semplice buon senso opportunità e preoccupazioni del peggio. Presidente Henderson ha fatto completamente sue le nostre idee e le ha caldamente difese e sviluppate.

Signor Nadolny da parte sua si è più chiaramente espresso circa sue speranze ottenere qualche soddisfazione nel campo navale e aviazione tale da soddisfare amor proprio tedesco riguardo parità ma non tali da costituire effettiva offesa al principio del non riarmo: nel qual caso si sarebbe potuto riprendere alla seconda lettura questione Reichswehr con ben maggiore probabilità di successo. Ma per realizzare tali speranze essere necessario continuare esame di tutto il piano inglese, facendo capire non essergli possibile gettare subito gratuitamente le sue carte.

Mentre delegato americano mi è parso incline verso il nostro punto di vista ho avuto netta impressione che attitudine inglese sia specialmente dovuta a preoccupazioni più generali circa attitudine Germania fra cui notizie confidenziali giunte a Londra sull'organizzazione militare e lo spirito combattivo che vi si manifesterebbe in modo che sembra pericoloso.

Mi è parso che si tenda o a costringere Germania ad immediata capitolazione sulla questione effettivi inferendo così un colpo al prestigio del nuovo

Governo oppure a condurre la conferenza al punto della rottura rigettandone la responsabilità sull'attitudine delegazione tedesca.

Massigli dimostrò ancora maggiore intransigenza e non nascose che Governo ed opinione pubblica francese non nutrivano che scarsa fiducia sulla possibilità di un'intesa.

Accennò pur chiaramente a notizie precise sulla organizzazione militare in corso in Germania.

Alla fine Eden ha chiesto tempo per consultare di nuovo suo Governo.

È stato quindi deciso riunirei domattina presso signor Henderson e rimandare commissione generale a mercoledì.

(l) -Cfr. serie VII, vol. IX. n. 468. (2) -T. 1921/21 R. dell'8 maggio, ore 23,18, non pubblicato. (3) -Cfr. serle VII, vol. XII, n. 530.
558

IL DELEGATO AGGIUNTO ALLA CONFERENZA DEL DISARMO, SORAGNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 1937/24 R. Ginevra, 9 maggio 1933, ore 22 (per. ore 24).

Mio telegramma n. 22 (1).

Stamane Nadolny si è mostrato disposto impegnarsi più a fondo nel senso che la Reichswehr può essere oggetto di negoziati contro concessioni nel campo del materiale, e ciò in armonia note importanti dichiarazioni del ministro Blomberg a Berlino.

Da parte sua Governo inglese ha evidentemente compreso non essere possibile mantenersi in una linea intransigenza senza le responsabilità delle possibili conseguenze finissero per cadere su di lui anziché sulla Germania.

È stato pertanto deciso nella riunione presso Henderson di lasciare a Nadolny il tempo necessario per convincere il signor Eden che il proseguire nell'esame del piano inglese è giustificato dalle possibilità anche tenUi che si offrono di accordi sull'insieme.

Eden informerà regolarmente noi, i francesi e gli americani de~ risultato.

In seguito a tale intesa Henderson ha proposto al bureau nella riunione pomeridiana di aggiornarsi per attendere i risultati delle conversazioni e nessuno ha mosso obbiezioni.

Eden mi ha detto confidenzialmente stasera che prima conversazione con Nadolny è stata assai poco incoraggiante e mi ha fatto intendere che avrebbe gradito una nostra immediata pressione sui tedeschi. Ho creduto meglio non farne nulla ed attendere senza entrare in merito finché non se ne maturi l'opportunità.

Quale che sia risultato finale, è lecito constatare che quanto sopra costituisce già un chiaro successo delle direttive di V. E. e che intm-vento conciliativo che soli fra tutti abbiamo esperito, mentre è stato decisivo per superare momento critico della conferenza, ha giovato a trarre la delegazione tedesca da un passo particolarmente difficile.

(l) Cfr. n. 557.

559

L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 9 maggio 1933 (1).

In merito alle modificazioni del testo del Patto a Quattro recentemente proposte, modificazioni che da parte del Governo Germanico sono state esaminate con ogni attenzione, si osserva quanto segue:

I. -Dai rapporti sui colloqui svoltisi a Roma, il Governo germanico ha avuto l'impressione che la importantissima richiesta germanica, cioè, di limitare il vincolo nella questione degli armamenti (art. 3) alla dlllt"ata di cinque anni (rispettivamente la durata della prima canvenzione), incontra la più viva resistenza. Il Governo germanico crede di agire negli intenti di queHo Italiano, se esso malgrado .le più serie apprensioni si è deciso a tener conto di questa resistenza. Per non lasciare, dunque, intentato nessun mezzo per giungere, nononstante tutte le difficoltà, ancora ad un risultato pratico nelle trattative e di pilotare il piano geniale del sig. Capo del Governo italiano al porto, il Governo germanico, che deve respingere a tutti i costi l'attuale redazione dell'art. 3, potrebbe, nel caso più estremo, accontentarsi della seguente redazione della parte seconda dell'art. 3:

«La France, la Grande Bretagne et l'Italie de leur còté déclarent que le principe de l'égalilté des droits doit avoir une valeur pratique pour l'Allemagne et I'Allemagne, en ce qui la concerne, s'engage à ne réaliser ce principe de l'égalité des droits qu'en vertu d'un accord à conclure sur la base générale du récent projet de convention britannique et auquel chacune des quatre puissances fera partie. Les quatre puissances reconnaissent que ces memes principes s'appliquent aux autres Etats désarmés par Traité ».

La Germania con ciò rinuncierebbe alla esplicita limitazione del vincolo per la Germania, si obbligherebbe però, invece nei vari accordi originariamente previsti (en vertu des accords à réaliser), a soltanto un accordo. Il Governo germanico dovrebbe però, è vero, nel caso di accettazione di questa proposta, riservarsi di ratificare il Patto soltanto, se prima sarà avvenuto l'accordo in maniera che soddisfi il Governo germanico anche in merito alla limitazione di tempo. A tale uopo dovrebbe 1nserirsi nell'art. 6 un termine di tre mesi per la ratifica, come del resto è stato previsto anche nell'originario progetto italiano. L'articolo 6 dovrebbe quindi essere del seguente tenore:

«Le présent accord sera ratifié et les ratifications seront échangées dans un délai de trois mois. Il sera enregistré, etc ... ».

Accettando questa proposta si eliminerebbe una delle difficoltà principali per la realizzazione del Patto. Tanto più il Governo germanico crede di poter aspettarsi, che, in apprezzamento del suo contegno misurato e concdliante in que

(ll Il documento reca questa data ma fu comunicato a Mussol!ni Il 10 maggio.

sto punto principale, si vorrà tener conto dei suoi desideri di modificazione di fronte a disposizioni meno decisive del progetto. Per quanto concerne l'art. 3, sarebbe, per la redazione sopra proposta, soltanto ancora da osservare quanto segue:

Se nella proposta germanica per l'art. 3 venne ancora aggiunto che la convenzione del disarmo dovrà essere conclusa sulla base generale del piano MacDonald, ne è stata determinante la considerazione che l'art. 3 altrimenti costituirebbe un mero obbligo in bianco in danno della Germania. Sembra opportuno di prevedere per la convenzione del disarmo delle basi almeno genericamente reali, senza che con ciò naturalmente le quattro potenze sarebbero impegnate a qualsivoglia dettaglio del piano MacDonald. La proposta germanica non ha in fondo altra mira che quanto le quattro potenze hanno di già dichiarato a Ginevra, di accettare cioè il piano MacDonald, come base per le discussioni. A questo si potrebbe, sì, ribattere, che la discussione sul piano MacDonald a Ginevra sarebbe di già in pieno sviluppo e che non avrebbe senso farne riferimento nel Patto. Questa obiezione, che risulta dal parallelismo delle -trattative sul patto e della Conferenza del disarmo, potrebbe però essere sollevata contro ogni altra redazione dell'intero art. 3. Se si addiviene a Ginevra ad un accordo prima della conclusione del Patto, allora l'articolo è addirittura superfluo. Potrà però acquistare grande importanza politica per quel caso in cui a Ginevra non si riesca a !l'aggiungere un accordo.

Le parole inserite nell'art. l «ainsi qu'avec les tierces puissances » significano di fronte a tutte le redazioni finora avute, e cioè anche di fronte al progetto francese, una assoluta innovazione, la quale sembra altrettanto non logica quanto non giustificata. Essa costituirebbe un obbligo per le quattro Potenze di fronte a terzi Stati, senza che a questi venga imposto un corrispondente contro-obbligo. Questo è un controsenso tanto più che l'obbligo si riferisce ad una collaborazione che per la sua stessa natura non può essere del resto stipulata senza partecipazione dell'altra parte collaborante. Naturalmente la Germania è disposta a collaborare anche con terze potenze: ma nel presente Patto questa idea non c'entra. Gli interessi di terzi Stati sono, guardando anche dal punto di vista francese, sufficientemente considerati pel fatto che l'art. l della prima parte della frase parla soltanto di «questions qui leur sont propres » e che nella seconda parte contiene l'aggiunta «dans le cadre du pacte de la Société des Nations ». Deve perciò significarsi come assolutamente desiderabile che le parole «ainsi qu'avec les tierces Puissances » vengano di nuovo cancellate.

III. -Nell'art. 2 significa senza dubbio un miglioramento che l'esplicita menzione dei metodi e procedure alla fine sia omessa. Per quanto sia gradito che l'art. 19 e la possibilità della sua attivazione in un accordo solenne viene menzionato, è pur d'altra parte da pensare che di fronte gli sta il contropeso dell'art. 10. Contro la menzione di quest'ultimo, da parte germanica non si vuole sollevare obiezione, perché si potrebbe dire che i due articoli 10 e 19 sono per modo di dire complementari. Gravi apprensioni devonsi invece manifestare dal punto di vista germanico contro l'inserzione dell'art. 16, che nulla ha da fare con tutto il complesso delle questioni di cui qui si tratta. Con la stessa ragione si potrebbe anche menzionare altri articoli dello Statuto della Società delle Nazioni, per esempio l'art. 11. La menzione dell'art. 16 dovrebbe perciò, a parere della Germania, essere cancellata.

Concludendo si osserva che il Governo germanico, anche per il caso che le suesposte sue proposte trovino accoglienza, non può più promettersi un progresso reale nei due grandi problemi della revisione e del disarmo, come esso era nell'intento della originaria iniziativa del signor Capo del Governo italiano. Le proposte perciò sono state fatte in prima linea perché il Governo germanico si promette dalla conclusione del Patto come tale, nonostante il relativamente esiguo contenuto concreto delle sue disposizioni, un miglioramento dell'atmosfera politica generale. Tanto più esso crede di poter aspettarrsi che da parte delle altre potenze interessate si rinunzierà a fissare a nostro sfavore nel patto dei vincoli impossibili come sono previsti specialmente nell'attuane redazione dell'art. 3 che è per la Germania inaccettabile. La responsabilità per il naufragio del Patto ricadrebbe su coloro che avanzano tali pretese, nonostante che il Governo germanico abbia dimostrato con la sua suriferita proposta una estrema accondiscendenza.

560

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL MINISTRO D'AUSTRIA A ROMA, EGGER

APPUNTO. Roma, 10 maggio 1933.

Il Ministro d'Austria è venuto ad informarmi per incarico del suo Governo della progettata visita dei Ministri e degli alti funzionari germanici a Vienna il giorno 13. Il Governo austriaco considera la visita come una manifestazione anti-governativa fatta da Ministri di uno Stato estero; tuttavia pure dando espressione a questo suo sentimento intende garantire l'ordine per evitare dei gravi incidenti. Il Ministro Egger aggiunge che la pressione Nazi in Austria diventa sempre più forte e che Berlino provvede ad un larghissimo finanziamento. Secondo il detto Ministro non ci può essere dubbio che l'intenzione del Governo nazionalsocialista è quella di arrivare con ogni mezzo ad una annessione dell'Austria. Il Governo austriaco si difende energicamente, ma evidentemente la sproporzione di forze è notevole. I nazionalsocialisti germanici (i quali non fanno un passo senza istruzioni del loro Governo) sono talmente imbaldanziti che domani si può attendersi anche qualche azione di violenza con serie conseguenze. Il Ministro conclude che se non ci fosse la pressione dell'esterno i nazionalsocialisti austriaci non darebbero alcuna preoccupazione perché potrebbero essere messi a posto con facilità.

Osservo al Ministro che arrivati a questo punto non c'è che da adoperare i mezzi più energici. Bisogna che le Heimwehren facciano anche per conto loro una grande agitazione non rifuggendo anche se necessario da qualche conflitto, altrimenti la gioventù scapperà e passerà tutta con i Nazi.

Il Ministro mi chiede se il Governo italiano è sempre disposto ad aiutare l'Austria nella difesa della sua indipendenza. Gli rispondo che non è intervenuto nulla che abbia fatto mutare atteggiamento al Governo italiano.

561

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 947/184 R. Roma, 11 maggio 1933, ore 1.

Risulta da informazioni confidenziali (l) che Norman Davis si sarebbe espresso modo molto favorevole patto a quattro che considera provvedimento basilare per ricondurre atmosfera di pace e reciproca intesa Europa. Sarebbe molto opportuno che V. E. potesse sentire modo preciso opinione Norman Davis su argomento e se quanto sopra confermasi indurlo a fare quaLche amichevole premura Londra eventualmente Parigi per sollecita accettazione accordo cui ultimo testo concordato Roma fra Ministero e tre ambasciatori (2).

562

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

T. 1946/364 R. Londra, 11 maggio 1933, ore 2,24 (per. ore 6).

Riferimento comunicazioni contenute tua lettera 2 corrente (3).

Ho ancora nuovamente insistito perché questo Governo faccia opportuni passi Parigi per ottenere GoveTno francese accetti ultimo testo progetto patto 4 concordato Roma (4) e sul quale Graham ha informato Foreign Office settimana scorsa.

Simon soltanto ieri ha ripreso regolare lavoro ufficio dopo una settimana malattia e si prevede dovrà presto assentarsi di nuovo per cattive condizioni salute. Egli mi ha promesso che dedicherà giornata di oggi e domani esame rapporto Graham. Simon e suoi colleghi Gabinetto sono contrariati per attitudine recentemente assunta delegazione tedesca Ginevra nei riguardi piano inglese disarmo. Tale attitudine, secondo Simon, è destinata complicare negoziati patto 4 e rischia creare nuove difficoltà a Parigi.

Ho fatto presente a Simon che difficoltà sollevate da parte tedesca Ginevra costituiscono nuovo motivo per insistere perché Governo francese accetti testo concordato Roma in quanto che accettazione da parte italiana, francese ed inglese avrebbe certamente utile effetto su Berlino.

(l) -Cfr. n. 546. (2) -Cfr. n. 506. (3) -Cfr. n. 514. (4) -Cfr. n. 506, allegato.
563

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1970/65 R. Budapest, 11 maggio 1933, ore 14,50 (per. ore 17,30).

In vista del sopraggiunto dissidio esser costretto parlare pomeriggio domani alla Camera circa questione dinastica, S. E. Gombos mi prega in questo momento anticipare per filo a V. E. parte resoconto nostra conversazione avantieri, inoltrato telegramma per posta n. 806 (l) corriere stamane.

8 corrente «uno dei capi movimento legittimista » avrebbe cercato convincere questo presidente del consiglio opportunità sollevare e risolvere ora in favore pretendente Ottone questione stessa, adducendo risultargli da contatti con «alte personalità italiane» che «R. Governo considererebbe con viva simpatia eventualità restaurazione unione peTsonale Ungheria Austria». Presidente Gombos avrebbe risposto non aver alcuna ragione di pensare tali fossero intendimenti E. V. e ritenere tuttora questione inattuale, inopportuna.

Nel riferirmi quanto precede generale ha tenuto dirmi che, dato i rapporti che V. E. si compiace intrattenere con lui, egli era certo ella non avrebbe voluto prendere, senza avvertirlo, decisioni tanto gravi nei riguardi Ungheria; che tuttavia mi pregava portare quanto precede a conoscenza della E. V., fiducioso come era poter essere pienamente rassicurato da lei.

S. E. GombOs mi ha aggiunto proporsi quanto prima:

l) -rispondere pubblicamente ai legittimisti « che egli non vedeva alcun logico nesso tra avvenimenti internazionali attuali e questione dinastica ungherese»;

2) -varare riforma costituzione destinata a rafforzare poteri reggente Horty e presidente del consiglio (2).

564

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. (1). Roma, 11 maggio 1933.

Con telegramma n. . . . In data odierna le sono stati trasmessi due telegrammi della delegazione italiana a Ginevra.

Prego V. E. di voler comunicare codesto Governo che delegazione italiana Ginevra nel dichiararsi favorevole a rinvio seconda lettura parte con<:ernente

-

effettivi progetto inglese fin dopo esame parte relativa materiale, ha avuto in animo soprattutto evitare eccessivo irrigidimento posizioni che potrebbe portare atmosfera conferenza tale stato di tensione da rendere poi impossibile qualsiasi opera di conciliazione del genere di quella così opportunamente svolta da delegazione inglese per questione effettivi polizia.

Come risulta a V. E. dal mio telegramma per corriere n. 857 (l) Governo italiano sta svolgendo a Berlino opera di moderazione.

Mi rendo conto apprensioni opinione pubblica britannica nei riguardi della Germania: non ritengo però sia migliore politica quella voler mettere pubblicamente Germania con le spalle al muro. Se ciò può servire a far cadere sulla Germania ,responsabilità fallimento Conferenza disarmo ciò non può però evitare conseguenze che su situazione politica europea avrebbe fatalmente fallimento conferenza e ad evitare le quali sono appunto diretti tutti gli sforzi dei Governi italiano e britannico.

Governo italiano ritiene invece che opportuna opera di conciliazione svolta dai rappresentanti di quei paesi a Ginevra, specie in sede di scambi privati di vedute, accompagnata da analoga azione svolta direttamente presso i Governi più particolarmente interessati sia mezzo più opportuno per portare conferenza verso risultati concreti il che è appunto ferma intenzione del Governo italiano.

Non occorre ripetere che Governo italiano è sempre pronto a collaborare in questo senso con codesto Governo.

(l) -T. posta 4316/806 del 9 maggio. non pubblicato. (2) -Mussolini rispose con t. 964/74 R. del 12 maggio, ore 17,30 quanto segue: «V. S. può confermare Presidente Goemboes che mio punto di vista relativo in attualità questione dinastica non è mutato e che notizie di cui suo telegramma 65 sono completamente Infondate. (3) -Il telegramma non fu spedito; reca infatti l'annotazione a margine di Mus•nllnl: «Annullato. M.».
565

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2021/68 R. Vienna, 11 maggio 1933 (per. il 13).

Mio telegrama n. 177 ( 2).

Peter mi ha detto che il signor Paul-Boncour ha dichiarato all'mcaricato di affari d'Austria a Parigi che le dichiarazioni da lui fatte la settimana scorsa al Parlamento, circa il prestito austriaco, dovevano essere interpretate sovrattutto alla luce delle «necessità parlamentari». Le sue dichiarazioni si erano, infatti, inspirate principalmente ana cura di evitare un dibattito sulla questione, nonché a quella di lasciar le cose in guisa da permettergli, come infatti egli si riprometterebbe, di ritornare ben presto sulla questione, ed ottenere l'emissione della quota francese del detto prestito.

A titolo riservato, il signor Peter mi ha aggiunto che n signor Paul-Boncour aveva anche accennato al predetto diplomatico l'opportunità che il Governo austriaco evitasse di battere sodo sulla socialdemocrazia locale, e ciò per non maggiormente acuire la già cattiva disposizione dei partiti socialisti francesi verso l'attuale Governo anti-marxista austriaco. Il che conferma quanto ho

avuto a riferire a V. E. nella mia corrispondenza se,greta, circa la reale condizione cui, a mio avviso, il cancelliere subordina, in cuor suo, lo scioglimento dell'amministrazione socialista di Vienna e la conseguente nomina di un commissario speciale: ossia al previo ottenimento della quota francese de'l prestito.

Ad ogni modo mi risulta che questo Ministro di Francia, signor Puaux, è fermamente deciso a far tutto il possibile per convincere il suo Gove~rno dei motivi politici (cioè l'opportunità di dar forza al Governo Dollfuss, quale antagonista dell'annessionista nazismo austriaco) che renderebbe urgente ed indispensabile l'emissione di detta quota. Mi consta pure che il signor Puaux partirà al più presto per Parigi allo scopo su indicato.

(l) -Cfr. n. 520. (2) -Cfr. n. 533.
566

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E GLI AMBASCIATORI A ROMA DI FRANCIA, JOUVENEL, E DI GRAN BRETAGNA, GRAHAM

APPUNTO. Roma, 11 maggio 1933.

Il Governo francese ha proposto che il terzultimo paragrafo del preambolo (l) sia mantenuto nella redazione originariamente da esso proposta e che quindi dica

« en se contormant aux méthodes et procédures qui y sont prévues et auxquelles elles n'entendent pas déroger ».

All'art. l o il Governo francese propone di togliere, sia il riferimento alle terze Potenze, sia la parola «s'engagent ». Invece di «s'engagent » dovrebbe dire << s'efforceront ».

In via di compromesso si potrebbe redigere l'articolo in modo da togliere la parola «s'engagent » mantenendo il riferimento alle te.rze Potenze. Presso a poco l'articolo potrebbe essere così redatto: «Les Hautes Parties contractantes se concerteront sur toutes les questions intéressant le maintien de la paix dans le but de pratiquer entre elles, ainsi qu'avec les tierces Puissances, dans le cadre du Pacte de la Société des Nations, une politique ettective de collaboration ».

Il Governo francese chiede che l'art. 2 invece di dire: «en vue de l'application éventuelle en Europe des articles 10, 16 et 19 » dica: « en vue de l'application éventuelle en Europe des arti:eles du Covenant, notamment des articles lO, 16 et 19 ».

Il Governo francese insiste particolarmente perché non si ometta la menzione dell'articolo 16.

Il Governo francese chiede che la fine dell'articolo sia quella da esso originariamente proposta, e cioè: «toutes propositions tendant à donner leur pleine efficacité aux méthodes et procédures prévues par ces articles ». In via di compromesso si potrebbe dire: «aux principes, méthodes et procédures prévues par ces articles ». Così modificato l'art. 2, il terzultimo paragrafo del pream

bolo potrebbe restare quale appare nella redazione del 1° maggio, e cioè: «soucieuses de donner leur pleine efficacité à toutes les dispositions du Pacte ~.

Articolo 3°. Il Governo francese ritiene necessario che si parli di sicurezza ed inoltre che l'articolo termini presso a poco cosi: « ...en vertu des accords à réaliser, accords qui ne seront pas conclus par elle (Allemagne) sans la participation des autres Puissances ». Questa redazione ha lo scopo di precisare che gli Accordi debbono intervenire tra la Francia da un lato e le altre tre potenze partecipi al Patto dall'altro.

È stato chiarito che il riferimento in questo articolo alla quistione della sicurezza o alla deliberazione dell'll dicembre 1932 non appare né opportuno né necessarJo. La Francia è in ogni caso salvaguardata dal fatto che l'uguaglianza di diritti non può essere ottenuta che mediante accordi di cui le quattro Potenze debbono essere parti.

(l) L'appunto si riferisce al testo del F maggio (cfr. n. 506, allegato).

567

IL DELEGATO AGGIUNTO ALLA CONFERENZA DEL DISARMO, SORAGNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. 1974/29 R. Ginevra, 12 maggio 1933, ore 2,10 (per. ore 4,45).

Riunione dei cinque, mio telegramma 25 (1), sotto la presidenza Henderson, cui si è aggiunto Drummond, è durata dalle 17 alle 23, con interruzione per pranzo.

Alla fine della serata era venuta concretandosi una proposizione di Drummond per cui Ge·rmania avrebbe accettato il principio della trasformazione della Reichswehr, limitandosi a coprirsi con la riserva generica di soddisfacente accordo sugli ulteriori punti del piano britannico di suo interesse speciale.

Ho creduto opportuno di dare tutto il mio appoggio a questa via di uscita alla quale aderivano americani e benché nolente anche Eden. Ma Nadolny ha insistito per coprirsi con riserve precise relative ai singoli articoli che comportano il riarmo il che non è parso accettabile agli inglesi.

Conversazioni sono state quindi dichiarate fallite e se non interviene domani mattina qualche fatto nuovo, domani nel pomeriggio Eden propol'rà al bureau di non procedere all'esame delle parti ulteriori del piano britannico, ma di riprendere in seconda lettura la sezione effettivi, votando articolo per articolo.

Cercherò di agire ancora domani mattina per persuadere Nadolny ad accettare la soluzione proposta mostrandogli anche quanto la situazione morale e politica attuale della Germania richieda prudenza e tatto.

Mi permetterò prospettare domani mattina V. E. per telefono opportunità che nostro atteggiamento possa venire modificato nel senso di astenerci dalla votazione onde evitare di trova·rci isolati colla Germania su una questione procedurale che mediante il ripiegamento tattico consigliato da Drummond poteva ancora essere evitata senza che ne fosse pregiudicata essenzialmente posizione reale tedesca alla conferenza.

(l) Con t. n. 1942/25 R. del 10 maggio Soragna aveva riferito di trattative in corso tro Nadolny e Eden e della convocazione per 1'11 del Comitato del cinque.

568

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 1993/325 R. Parigi, 12 maggio 1933, ore 13,30 (per. ore 16).

Mio telegramma n. 318 (1).

Il testo del patto elaborato a Roma col concorso dei tre ambasciatori (2) e le istruzioni relative di V. E. mi sono pervenute, come ho telegrafato, il giorno 8. Il Quai d'Orsay deve aver ricevuto il testo suddetto un giorno prima. Il 9 partivano da qui gli emendamenti proposti dal Governo francese dei quali V. E. a quest'ora avrà avuto comunicazione da codesto ambasciatore di Francia (3).

Boncour mi ha detto che egli desidera vivamente la riuscita delle trattative in corso per la favorevole ripercussione che esse avrebbero nei riguardi delle relazioni itala-francesi. Ha precisato, insistendo che queste specialmente gli premono.

Non crede che la Germania nutra il leale proposito di collaborazione. Egli ha voluto evidentemente !asciarmi intendere che sarebbe stato meglio !asciarla da parte. È questo il solito motivo che giunge di tanto in tanto come già ho riferito all'E.V.

Ho osservato che nell'interesse della pace europea è necessario attirare la Germania nell'orbita delle Grandi Potenze. Una Germania isolata, specialmente con l'avvento al potere dell'hitlerismo, potrebbe riservare spiacevoli sorprese. Il ministro non è sembrato condividere questo punto di vista.

Rispondendo a una mia richiesta, ha ammesso che le ultime proposte elaborate a Roma col concorso degli ambasciatori rappresentano un sensibile passo avanti dell'Italia nel senso dell'accordo. Boncour mi ha detto che sa di dovere incontrare serie difficoltà per portare avanti il patto, ma se fosse accettato punto di vista francese risultante dalle recenti proposte, egli si sentiva di sostenere patto davanti al Parlamento con speranza di successo.

Boncour ha ribadito che il Governo francese è deciso più che mai nelle direttive ripetutamente proclamate cioè:

lo patto non dovrà riferirsi a questioni attinenti ad altri Stati all'infuori dei 4.

2o ... dovranno svolgersi nel quadro della Società delle Nazioni. Ho parlato a Boncour situazione austriaca con riguardo al prestito. Riferirò per corriere.

569

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2000/326 R. Parigi, 12 maggio 1933, ore 19 (per. ore 21).

Telegramma di V. E. n. 858 R. (5).

(-3) Cfr. n. 566.

Mi sono espresso con questo ministro degli affari Esteri nel senso delle istruzioni di V. E.

Boncour ha riconosciuto il fondamento dell'argomentazione dell'E. V. di non nominare nel patto a quattro il progetto inglese di disarmo. Boncour non trova da parte sua necessario far oggetto di un protocollo speciale aggiunto il detto progetto.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 506, allegato. (4) -Gruppo indeclfrato. (5) -Cfr. n. 521.
570

IL MINISTRO AD ATENE, DE ROSSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER AEREO 1990/164 R. Atene, ... maggio 1933 (per. ore 20 del 12). Miei telegrammi 146 e 150 (3).

Numan bey col quale ho avuto lungo colloquio mi ha assicurato che accordo commerciale greco-turco sarà fra breve perfetto: non restano adesso da superare che alcune difficoltà redazionali e da organizzare scambio fra i due paesi in modo da consentire migliorare importaz.i.oni greche in Turchia restate sino ad ora largamente deficitarie. Per raggiungere tale scopo, dato che prin.. cipali esportazioni Grecia sono similari esportazioni Turchia, ha cercato aprire un mercato turco a prodotti manifatturati greci e più specialmente a macchine agricole elementari (aratri in ferro semplice eccetera) prodotti ordinari di vetreria (bottiglie verdi) concimi chimici e cotonate tessute con cotone proveniente Turchia.

È stato inoltre stipulato che marina ellenica partecipi obbligatoriamente a trasportare merci greco-turche.

Avendogli osservato che movimento importazione articoli manifatturati greci in Turchia poteva incidere in movimento importazione italiana in Turchia e che facilitazioni concesse a Marina ellenica potevano riuscire dannose a marina Italiana, mi ha assicurato di non condividere tale timore, sia perché articoli manifatturati greci da introdurre in Turchia sono di bassa qualità e tali che non erano mai stati introdotti dall'Italia in Turchia, sia perché trasporto da riservarsi alla marina ellenica, sopratutto trasporto in Vrac e di materiale povero, non era sino ad ora praticato da Marina italiana.

Pur facendo presente che da parte nostra non potevano veder che con più vivo piacere incremento esportazione ellenica, anche perché migliore mercato ellenico avrebbe potuto offrire maggior margine per incremento movimento commerciale italo-greco, gli ho raccomandato tuttavia compiacersi tenere presente quanto a lui esponevo nell'interesse dell'esportazione italiana.

Per quanto, ora, prodotti manifatturati greci esportabili siano pochi e di mediocre qualità, non posso fare a meno mantenere mie riserve circa perico

losa concorrenza prodotti greci ai prodotti nazionali sui mercati turchi, sia perché manufatti greci possono essere prodotti a prezzo inferiore ai nostri causa specialmente bassa retribuzione mano d'opera, sia perché, a causa della crisi mercato, si contentano assorbire merce bassa qualità, purché sia più economica.

Eguale riserva non posso fare a meno di fare circa innocuità concorrenza marina ellenica a quella italiana nei trasporti Egeo Mar Nero, sia perché sembrami difficile che in pratica si possano fare discriminazioni fra genere merci da trasportare in momenti nei quali nostra marina è disposta fare qualsiasi sacrificio e adattarsi qualsiasi condizione pur di non navigare a vuoto o a scarso carico, sia perché marina ellenica è effettivamente in condizioni eseguire trasporti a bassissimo prezzo dato il suo materiale flottante e regolamenti che la disciplinano.

Avendo richiesto a Numan bey se al di là accordi commerciali avesse potuto intavolare qualche altra trattativa di carattere politico, egli mi ha detto, raccomandandomi la più assoluta riservatezza, che ha cercato di svolgere la sua azione al riguardo verso due obiettivi, l'uno più ristretto e l'altro più vasto, ma il primo condizione essenziale del secondo, e cioè a dire ha cercato anzitutto di spingere Grecia ad un accordo commerciale e ad una più intima intesa con Bulgaria e di convincere Governo Greco sull'utilità addivenire patto garanzia frontiera fra Bulgaria, Grecia e Turchia.

Egli avrebbe proposto come base tali accordi colpo di spugna su pretese reciproche. Grecia sarebbe stata pronta accogliere tale proposta, mentre che uguali disposizioni non avrebbero trovato in Bulgaria, ove si vorrebbe fare colpo spugna soltanto parziale.

Egli stava pertanto ancora cercando convincere due paesi trovare almeno modus vivendi rapido e decisivo allo scopo di r1attivare loro scambi commerciali, adesso totalmente spenti, e far cessare tensione continua loro rapporti.

Egli mi ha detto che per ora il suo progetto, a parte le difficoltà avanti indicate con la Bulgaria, che a suo avviso dipendono esclusivamente dalla debolezza del Governo di Muscianoff, non ha trovato grande eco in Grecia esattamente per le stesse ragioni esistenti in Bulgaria e cioè per la debolezza e timidezza dell'attuale Governo popolare e che non vuole far niente che lo possa mettere in antitesi o in antagonismo, anche futuro e potenziale, con altri Stati e soprattutto con Governo di Belgrado. Gli avrebbe anzi accennato alla possibilità di addivenire a tale accordo purché vi partecipasse anche la Jugoslavia, ciò che egli avrebbe nettamente esduso, sostenendo che la Jugoslavia, per quanto paese balcanico, sia oggi esponente politica centro europea di altri Stati cui è legata, antagonista Italia e Ungheria e satellite Francia. Accessione Jugoslavia a tale patto ne avrebbe falsato e snaturato tutte le sue finalità.

Ho detto a Numan bey che temevo anche io che egli non trovasse oggi in Grecia gli elementi di governo necessari per seguirlo nei suoi piani, sia perché partito oggi al Governo fa quel tanto di politica estera che possa servire ai precipui suoi fini politica interna, sia perché è ancora così debole da non aver né coraggio né potenza da opporsi a pressioni negative altri Paesi, i quali soprattutto a mezzo di pressioni hanno modo di aver la-rga influenza, sia perché attuando tale programma, che in fondo sotto altri aspetti, è programma estero

45 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XIII

Venizelos, avrebbe avuto (mio telegramma n. 149) (l) piano politica estera Venizelos a tutto vantaggio suoi avversari politici.

Numan bey mi ha detto di aver parlato a lungo con Venizelos e di aver avuto da lui incoraggiamento a seguitare i suoi progetti politici e assicurazioni suo appoggio.

Ho detto a Numan che per quanto non fosse da escludersi la possibilità di addivenire ad un modus vivendi commercia,le greco-bulgaro, per quanto fossero ancora ben grandi le difficoltà da superare a Sofia e Atene e per quanto fossero da temere ostilità da Belgrado che a tale accordo non ha alcun interesse economico e politico, nutrivo tuttavia forti dubbi che egli potesse non solo convincere Sofia ad addivenire all'accordo di garanzia, ma sopratutto infondere in attuale Governo greco energia sufficiente per assumere iniziativa che sorta completamente da modesto e angusto quadro sua politica internazionale, dedita esclusivamente al quieto vivere e all'accordo con tutti per poter da tutti avere qualche beneficio atto a migliorare penosa sua situazione economica.

Numan mi ha assicurato che continuerà sue trattative al riguardo anche lontano da Atene.

Tengo infine ad aggiungere che ho trovato in Numan cordialità completa comprensione nostri interessi in Mediterraneo e desiderio vivissimo addivenire a più stretto accordo commerciale con noi (2).

(1) (2) (l) -Manca l'indicazione del giorno di partenza. (2) -T. 1723/146 R. del 29 aprile, non pubblicato. (3) -Cfr. n. 510.
571

IL DELEGATO AGGIUNTO ALLA CONFERENZA DEL DISARMO, SORAGNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. u. 2001/31 R. Ginevra, 12 maggio 1933, ore 20,50 (per. ore 22,40).

Mio telegramma n. 29 (3).

Henderson recatosi stamane da Eden è riuscito persuaderlo ritirare proposta di riesaminare sezione effettivi in seconda lettura sostituendola con una proposta presidenziale di prendere in esame tutta la parte riguardante materiale sotto forma di larga discussione senza introdurre però emendamenti formali e rifacendosi alla sezione effettivi, ove necessario, per connessione argomenti.

Ottenuto consenso di Eden, Henderson si è recato da Nadolny il quale ha fortunatamente comprese che in definitiva si trattava della stessa tesi sostenuta da lui e da noi fin da principio cioè proseguimento esame piano britannico. Eden ha dal canto suo ottenuto l'adesione di Massigli.

Radunato quindi il bureau, la proposta è stata accolta senza obiezioni. Commissione generale sarà convocata pomeriggio lunedì. È chiaro che al momento di prendere le responsabilità di una votazione che avrebbe potuto risuscitare in seno alla conferenza la configurazione dei due

blocchi opposti ed aver come conseguenza il fallimento almeno temporaneo dei lavori gli inglesi hanno esitato.

È lecito rilevare come dopo giorni di inutili conversazioni e di tensione si è ritornati alla prima e semplice idea italiana di continuare per il meno male l'esame del piano britannico.

Sul come si svolgerà la prossima larga discussione nessuno ha idee precise, ma tutti prevedono probabile qualche nuovo prossimo intoppo per il quale basterebbe una imprudenza di linguaggio del delegato tedesco o del francese. Nadolny fa nel frattempo una corsa a Berlino. È indispensabile che i tedeschi cerchino trattare col massimo tatto giacché è evidente che appena si toccasse la questione della parità del materiale e del riarmo saremmo da capo al punto morto.

(l) -T. per corriere 1793/149 R. del 1° maggio, non pubblicato. (2) -Ritrasmesso ad Ankara, Belgrado, Sofia e Timna con t. per corriere 1004 del 15 maggio. (3) -Cfr. n. 567.
572

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO

T. S. PER CORRIERE 960 R. Roma, 12 maggio 1933.

Per esclusivo orientamento di questo ministero prego V. E. farmi conoscere se ella ritenga attuale momento opportuno per eventuale inizio trattative con codesto Governo per un accordo di carattere politico (1).

573

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'INCARICATO D'AFFARI IN CINA, ANFUSO

T. 965/143 R. Roma, 12 maggio 1933, ore 24.

Telegramma di V. E. (2).

V. S. può comunicare al signor Kung che:

l) Governo italiano è favorevole in massima invio missione sulle linee del progetto presentatogli da nostro addetto aeronautico;

2) Si sta studiando dettagli e composizione missione che verranno comunicati appena possibile;

3) Governo italiano accetta che residuo mensilità reliquato boxers accordo 1932 e saldo fondi inondazione 1931 siano destinati coprire spese invio mantenimento predetta missione.

(l) -Per la rlsPQsta cfr. n. 853. (2) -T. 1791/283 R. del 2 maggio, non pubbl1cato.
574

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. 966/184 R. Roma, 12 maggio 1933, ore 24.

A conferma comunicazione telefonica odierna trasmettesi seguente telegramma:

«Attesa istruzioni dettagliate che le perverranno per corriere, prego V. E. far presente Governo germanico opportunità che nel frattempo ultima nota presentata a noi da Hassell su patto a quattro (l) non sia comunicata Governi francese inglese~.

575

IL PRESIDENTE DELLE ASSICURAZIONI GENERALI, MORPURGO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. P. Trieste, 12 maggio 1933.

In questi ultimi giorni sono stato a Berlino, a Praga ed a Vienna. Vi ho raccolto varie notizie ed impressioni. Frattanto credo che possa interessare l'E. V. di sapere che il Governo austriaco, impegnato nella resistenza alle intromissioni nazionalsocialiste germaniche, cerca appoggi morali, ed anche finanziari. Sui primi sono stato pregato da un amico che è molto vicino al Cancelliere di adoperarmi nella mia -fra parentesi, modestissima -sfera, affinché in Italia ci si renda conto di tali necessità. Sui secondi posso dire che sono stati interessati riservatamente d'urgenza gli industriali e la Società di assicurazione, fra cui anche la nostra, a dare dei contributi per la resistenza. Gli industriali hanno promesso 500 mila scellini, delle Società di assicurazione si contava averne 300 mila. Io non ho creduto di negare il nostro concorso ed ho autorizzato la nostra sede di Vienna e la nostra affiliata di colà, la « Unfall » a partecipare con 60 mila scellini, pari al cambio odierno a lire 123.000.

Sebbene le risorse di cui disponiamo in Austria siano povere, come il paese da cui provengono, credo di aver fatto bene accordando quel contributo perché ho creduto che la posizione del Cancelliere Dollfuss vada da noi, come italiani, appoggiata nella lotta per l'autonomia dell'Austria in cui egli non è assecondato all'interno che dal suo partito il quale è in minoranza di fronte ai socialisti ed ai nazionalisti tedeschl.

Poiché tanto l'Italia quanto la Francia sono contrarie all'Anschluss, credo

che questo sia uno dei punti in cui le mire dei due Paesi casualmente coin

cidono.

Spero che V. E. non disapproverà la linea di condotta da noi tenuta in que

sta emergenza (1).

(l) Cfr. n. 559.

576

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALLA DELEGAZIONE A GINEVRA

T. 974/45 R. Roma, 13 maggio 1933, ore 12.

Confermo istruzioni sostenere tesi opportunità che sia proseguita primi'. lettura progetto inglese. Nel caso che Germania accetti formula transattiva V. S. la accetterà a meno che essa non sia contraria nostri interessi. Ove una votazione dovesse aver luogo su attuale posizione, cioè a favore

o contro la prosecuzione della prima lettura ella voterà a favore.

577

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2010/330 R. Parigi, 13 maggio 1933, ore 13,20 (per. ore 16).

L'atteggiamento intransigente della Germania alla Conferenza del disarmo, l'articolo del ministro affari esteri tedesco contenente l'affermazione che la Germania sarà forzata a completare i propri armamenti, la ripercussione che questi due fatti hanno avuto in Inghilterra nel discorso del ministro della guerra britannico rievocante l'eventualità di sanzioni contro la Germania, sono qui considerati avvenimenti di incalcolabile portata, suscettibili di sviluppi ulteriori.

In una dichiarazione fatta ieri ai giornalisti, Boncour ha constatato che la Francia raccoglie i frutti di una politica di moderazione e di attesa. La scorsa notte parlando al Senato sul bilancio della guerra, il presidente del consiglio dei ministri ha informato che la prima copertura fortificata delle frontiere della Francia sarà presto un fatto compiuto, affermando la ferma volontà del Governo di fare rispettare la pace.

La stampa risente già dell'ansietà generale pure tenendo finora un linguaggio prudente.

Roche, nella République, osserva che a Ginevra, a lato della Germania, è rimasta la sola Ungheria e scrive: «Si può pensare quello che si vuole di Mussolini. È certo però che egli segue una politica realistica. Non sarà lui a sacrificare l'interesse dell'Italia a delle ideologie, sia pure hitlero-fasciste >>.

(l) Suvlch rispose che Mussollnl approvava la linea di condotta tenuta dalle «Assicurazioni Generali».

578

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2023/348 R. Berlino, 13 maggio 1933, ore 13,25 (per. ore 23,45).

Telegramma di V. E. n. 184 (1).

Von Biilow, al quale ho subito parlato nel senso desiderato mi ha detto che l'ultima nota presentata a V. E. da von Hassell (2) fu bensì comunicata agli ambasciatori di Germania a Parigi e a Londra, ma senza istruzioni di rimetterla ai rispettivi Governi, per semplice loro norma di linguaggio.

Ho chiesto a von Bi.ilow di telegrafare loro di astenersi, ove già non lo avessero fatto, dal parlare del contenuto della nota medesima ai Governi francese ed inglese ed egli mi promise di farlo.

579

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2022/257 R. Washington, 13 maggio 1933, ore 17,20 (per. ore 1,40 del 14).

Questo ambasciatore di Germania mi ha telefonato stamane per chiedermi se avevo avuto istruzioni circa conversazioni svoltesi a Londra in materia di disarmo. Il signor Luther si è mostrato preoccupato di un telegramma da Londra pubblicato sul « New York Times » in forma molto appariscente e secondo il quale Grandi avrebbe dichiarato a Davis che anche Italia si opponeva alle richieste tedesche. Telegramma aggiunge che sebbene ambasciatore Grandi non ne abbia fatto menzione a Davis ed abbia anzi confermato che l'Italia intende agire in senso conciliativo nell'unico intento di assicurare successo della conferenza, attitudine italiana a Ginevra rivela inizio di dissensi fra Roma e Berlino.

Ho detto a Luther che non ero al corrente di quello che si era passato a Londra (3).

(l) -Cfr. n. 574. (2) -Cfr. n. 559. (3) -Rltrasmesso a Londra e Ginevra con t. 1003 R. del 14 maggio, con la richiesta di fornire Informazioni In proposito.
580

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2030/331 R. Parigi, 13 maggio 1933, ore 20,05 (per. ore 22,40).

Ho avuto stamane una conversazione col segretario generale del Quai d'Orsay cir·ca le conversazioni in corso a Roma sul patto a quattro.

Il signor Leger mi ha detto che è pervenuto a V. E. un nuovo progetto tedesco che rimetterebbe tutto in discussione (1). Ambasciatore di Francia a Roma ha riferito che il progetto tedesco non ha soddisfatto e che si spera di farlo ritirare. Informo ad ogni modo che fino a questo momento nessun nuovo progetto tedesco era stato comunicato al Quai d'Orsay.

Il segretario generale mi ha messo al corrente dello stato presente delle conversazioni. Egli mi ha ·confermato la dichiarazione fattami giorni sono da Boncour (2) e cioè che la Francia sl presta alle trattative in corso per far cosa grata all'Italia pur essendo convinto che la Germania è ben lungi dal nutrire leali propositi di collaborazione. Leg·er trova conferma della sua opinione dagli avvenimenti ai quali dà luogo a Ginevra l'atteggiamento del Reich.

Il Governo francese non intende tuttavia allontanarsi dalla linea che si è prefissa. Il patto deve concernere esclusivamente le quattro Potenze contraenti e mantenersi tassativamente nell'ambito della S.d.N. Per questo si insiste qui per la soppressione dell'inciso di cui articolo 1° progetto concordato con ambasciatore, concernente terza Potenza. Si desidera pur·e che articolo 16 del patto ginevrino sia nominato unitamente agli articoli 10 e 16. Articolo 16 è il pendant dell'articolo 19.

La variante dall'E. V. proposta all'ultima frase dell'articolo 2 nei seguenti termini: « principes methodes et procedure» non è considerata accettabile. Si sta studiando nuova formula da proporre che potrebbe essere all'incirca così: «tendenza a migliorare metodi e procedure destinate a dare efficacia all'applicazione degli articoli ecc.».

Il segretario generale mi ha detto che è intento a preparare un nuovo testo dell'articolo 3 che sarà sottoposto all'approvazione del consiglio dei ministri lunedì e martedì della settimana prossima. Egli mi ha detto che il Governo francese non può in ogni caso accettare che si disgiunga la parità di diritto dalla sicurezza per cui ogni volta nel patto è nominata la parità di diritti o che ad essa si fa riferimento direttamente o indirettamente deve essere nominata o si deve richiamare analogamente la sicurezza.

Il Governo francese insiste infine perché sia mantenuto il richiamo alla commissione di studio per l'unione europea di cui all'articolo 4 del progetto francese. Si tratta di un riferimento alla S.d.N. indispensabile secondo Leger per evitare che altri paesi possano obiettare che le quattro Potenze si propongono di realizzare un loro speciale programma economico. Il segretario generale ha precisato che anche tenuto conto delle discussioni alle quali darà luogo

il patto se sarà concluso e portato al Parlamento; bisogna evitare che dia appiglio a fondate opposizioni da parte di altri Stati, opposizioni alle quali il Parlamento francese sarebbe indubbiamente sensibilissimo (1).

(l) -Cfr. n. 559. (2) -Cfr. n. 568.
581

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2031/351 R. Berlino, 13 maggio 1933, ore 22 (per. ore 3,20 del 14).

Circa lavori conferenza disarmo, von Biilow mi ha detto che Germania è stata giocata dalla Francia in una maniera incredibile.

Cancelliere nel consiglio dei ministri di ieri sera annunziò proposito avvalersi della tribuna parlamentare per difendere pubbUcamente Germania dall'accusa di volersi riarmare e di voler fare fallire conferenza disarmo. Non riferisco argomenti addotti da von Biilow perché sono gli stessi menzionati nel comunicato odierno della Diplomatische Korrespondenz trasmesso da Stetani speciale. Von BUlow non mi celò cattiva impressione prodotta sul Governo tedesco dall'astensione dell'Italia nella votazione circa organizzazioni nazionalsocialiste. Dissi che lunedì si constaterà a Ginevra impossibilità in cui si trova conferenza disarmo di giungere ad un risultato, il che renderà necessario sollecito convegno a Ginevra dei quattro ministri affari esteri, cosi come era accaduto nel dicembre scorso. Tale riunione sarebbe vista con favore dalla Germania.

Discorso essendo caduto sull'articolo del barone von Neurath, von BUlow mi disse confidenzialmente che sua pubblicazione fu fatta in data inopportuna. A scusante del suo ministro aggiunse che articolo era stato però redatto 15 giorni prima della sua pubblicazione.

582

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. s. 2033/352 R. Berlino, 13 maggio 1933, ore 21,55 (per. ore 3,20 del 14).

Riferisco per corriere ed estesamente nuovo lungo colloquio avuto oggi con Goering (2) che mi pregò andarlo a vedere.

Goering mi informò in segreto che Barone Von Neurath comunicò ieri al Consiglio dei Ministri un telegramma pervenutogli da Ginevra secondo il quale Soragna avrebbe detto confidenzialmente a Nadolny che le sue istruzioni erano di appoggiare bensì la Germania ma con cautela, perché Italia è contraria al riarmamento della Germania e perché occorreva tener presente l'atteggiamento da essa tenuto nella questione austriaca.

Neurath si sarebbe espresso in termini poco amichevoli per l'Italia e, rivolto a Goering, gli avrebbe rinfacciato sua sove1 chia fiducia nel Governo fascista.

Egli aveva risposto energicamente confermando sua fede nell'amicizia dell'Italia. Neurath reclamò per sé solo direzione politica estera tedesca, al che Goering obiettò che se questa non era buona egli, Presidente del Consiglio prussiano, si riservava il diritto di criticarla.

Goering si diffuse a parlarmi della questione dell'Austria, ripetendo cose già note e dicendomi di avere dichiarato a V. E. non essere vero che problema austriaco era un punto di dissenso fra l'Italia e Germania perché quest'ultima è decisa di seguire nella propria politica verso l'Austria la strada che le sarà indicata da V. E.

Egli mi lasciò intendere che siccome tali assicurazioni non sembravano essere state sufficienti, si riprometteva chiedere al Consiglio dei Ministri del Reich di prendere decisione di non fare nulla nei riguardi dell'Austria e di non lasciare intraprendere nulla ai nazional-socialisti austriaci, quando essi fossero andati al potere, senza previa intesa con l'Italia.

Aggiunse che se V. E. lo avesse voluto egli si sarebbe impegnato anche a far sì che non si parlasse più di Anschluss così come non si parlerà più di Alto Adige.

Goering era molto risentito contro Neurath e mi disse che sua posizione è tanto più pericolante, dopo inopportuno articolo circa conferenza disarmo comparso 7 corrente.

Parlandomi di Rosenberg disse che suo viaggio a Londra era stato fatto a sua insaputa ed era uno sproposito perché erano note simpatie di cui godevano ebrei in Inghilterra e Rosenberg era il più acerrimo loro nemico. Smentì avere mai avuta intenzione recarsi Vienna, disse avere vietato ai membri del Governo Prussiano di andarci e che trovando pure inopportuno viaggio in Austria del bavarese Frank, Commissario per la Giustizia del Reich, avrebbe cercato di impedirlo.

Aggiungo però che mentre Goering mi parlava, tanto Frank che il Ministro Giustizia prussiano, Kerrl, erano già giunti a Vienna per dove partirono in volo alle 8 di stamane.

(l) -Annotazione a margine di Buti: «Il Sottosegretario ritiene che non convenga rispondere. Parlerà lui a de Jouvenel. 15/5 ». (2) -Non rinvenuto.
583

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A TIRANA, KOCH

T. 996/68 R. Roma, 13 maggio 1933, ore 24.

Suoi telegrammi n. 101 (1)-102 (2).

Notizie che codesto Governo avrebbe ricevuto da Angora circa un rallentamento relazioni amicizia tra Italia e Turchia non hanno serio fondamento. Tali notizie devono essere messe in relazione con recente ripresa da parte alcuni noti giornali europei di una campagna insinuazioni circa obiettivi nostra politica

verso Turchia e in genere verso piccole Potenze con lo scopo evidente di suscitare ostacoli alla realizzazione del patto a quattro.

Per quanto concerne Turchia informo V. S. che in recenti colloqui avvenuti Ginevra tra Tewfik Ruschdi bey e barone Aloisi è stato a quest'ultimo relativamente facile mostrare infondatezza predette insinuazioni, cosicché può oggi tranquillamente affermarsi che nulla turba cordialità relazioni italo-turche.

Altrettanto può dirsi per quanto concerne nostre relazioni con Bulgaria e Grecia. Comunico quanto precede per opportuno orientamento della S. V. e per eventuale norma di linguaggio.

(l) -T. 1807/101 R. del 3 maggio, non pubblicato. (2) -Cfr. n. 525.
584

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE U. 2053/332 R. Parigi, 13 marzo 1933 (per. il 15).

Chiesi giorni sono a Paul Boncour e ho domandato stamane a,l signor Leger quali sono le intenzioni della Francia nei riguardi del prestito concesso all'Austria.

Il ministro degli affari esteri, in modo un po' confuso, e il segretario generale, con maggiore esattezza, mi hanno dichiarato che la Francia non intende dare corso alle ulteriori pratiche fino a che non sia chiarUa la questione costituzionale austriaca. Il Parlamento, mi ha dichiarato il signor Leger, non è più convocato da tempo e la commissione nazionale che dovrebbe sostituire il Parlamento, non funziona più. La Francia è disposta ad accordare il prestito alla nazione austriaca, ma non al signor Dollfuss. Se la Francia desse corso al prestito nelle presenti condizioni, potrebbe accadere che un futuro Governo costituzionale austriaco rifiuti, e il suo atto sarebbe fondato, di riconoscere il prestito corrisposto in un momento costituzionalmente assai straordinario.

Il segretario generale mi ha soggiunto che tutto questo è stato fatto sapere al cancelliere signor Dollfuss il quale ha replicato che non pensa di riunire neppure il Comitato Nazionale, perché sarebbe subito messo in minoranza.

585

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL MINISTRO D'AUSTRIA A ROMA, EGGER

APPUNTO. Roma, 13 maggio 1933.

Il signor von Egger mi consegna l'unito promemoria relativo ad un colloquio fra il Cancelliere Hitler e il Ministro d'Austria a Berlino, avvertendomi che ha usato la forma scritta soltanto per essere più preciso, ma che egli ha avuto incarico di fare comunicazioni a voce.

Relativamente all'attuale situazione in Austria l'assicuro dell'immutato appoggio del Capo del Governo al Cancelliere Dollfuss. Gli faccio presente però

la necessità di accelerare i tempi per quanto riguarda la nomina del Commissario al comune di Vienna, separando magari l'Amministrazione del Comune da quella del laender.

Bisogna che la manifestazione del 14 maggio riesca imponente in modo da dare la sensazione all'Austria che le Heimwehren rappresentano una forza viva e operante. È molto bene che il Cancelliere Dollfuss vi intervenga.

Sarebbe poi molto opportuna in questo momento da parte austriaca una manifestazione per accentuare la cordialità dei rapporti con l'Ungheria, che desse la sensazione netta di una unità nelle direttive politiche.

Il Ministro von Egger consente e riferirà. Per la questione dei Comune di Vienna ritiene che sia sempre dn ballo l'affare della quota fr'ancese del prestito. Non c'è dubbio però, che il Cancelliere è disposto ad agire energicamente.

ALLEGATO

EGGER A SUVICH

PROMEMORIA. Roma, 13 maggio 1933.

Invité par le Chancelier Hitler, le Ministre d'Autriche à Barlin a eu une conversation avec lui dans laquelle le Chancelier s'est plaint de l'attitude désobligeante du Gouvernement Fédéral et de la presse gouvernementale. Il mentionnait surtout l'article de la Reichspost intitulé «Visite non désirable » et le discours du Vice-Chancelier Winkler. Si cette manière de combattre les National-Socialistes et les voyages de membres du Gouvernement du Reich continuait, M. Hitler se verrait forcé de défendre officiellement tous les voyages de ressortissants allemands en Autriche pour la durée d'une année jusqu'à ce que l' Autriche sera devenue raisonnable (bis Besinnung eintritt). Vienne serait le centre principal de l'agitation contre l'Allemagne. En outre il se plaignait de la concentration de troupes surtout dans le voisinage de Kufstein. Toutes les nouvelles concernant une incursion à main armée de la Bavière en Autriche auraient été forgées à Vienne dans un but tendencieux.

Le Ministre d'Autriche répondit que la visite des Ministres allemands aurait eu originairement un caractère de politique de parti et seulement après M. Frank II aurait déclaré que cette visite aurait eu une origine professionnelle. Il réfuta de la manière la plus énergique la supposition que Vienne serait le centre principal de l'agitation anti-allemande. A la menace du boycottage de l"Autriche par les voyageurs allemands le Ministre d'Autriche opposait la possibilité de représailles autrichiennes sur le terrain économique vu que l'actif dans le traffic des personnes n'égalerait qu'en partie le déficit dans le bilan commerciai austro-allemand.

La conversation finissait avec l'espoir que la presse autrichienne soit empéchée de garder son attitude désobligeante et que les malentendus puissent étre éliminés par un échange de vues oral.

586

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI (l)

D. 3095. Roma, 13 maggio 1933.

La prego di chiedere un'udienza a1l Cancelliere Hitler (2) e di esporgli quanto segue:

È mia opinione che bisogna affrettare la conclusione del Patto a quattro nell'interesse generale del ristabilimento di condizioni politiche più tranquille in Europa, il che è nell'interesse di tutti, e specialmente nell'interesse della Germania che ha bisogno di un po' di calma di fronte all'estero in un momento in cui deve tutta dedicarsi alla propria ricostruzione interna.

Ad ottenere questo fine mi pare che il Patto a quattro risponde nel miglior modo. Non occorre insistere nella considerazione che già al momento in cui ho proposto il Patto a quattro ho tenuto in considerazione -direi come elementi prevalenti -gli interessi della Germania, che dovevano essere tutelati per creare un miglior equilibrio fra le Potenze europee. Tali intressi ritengo di avere favorito in modo molto sensibile adottando nel Patto a quattro i seguenti principi:

l. Discussione preliminare delle più importanti e più delicate questioni che interessano la politica estera europea e mondiale in un gruppo ristretto di Potenze dove il rapporto delle forze di fronte a quello della Società delle Nazioni è radicalmante cambiato a favore della Germania da quello che esiste nella Società delle Nazioni.

2. -Riaffermato in modo più preciso il principio della possibile revisione dei Trattati di pace, dando allo stesso un carattere di attuallità con la creazione dell'organo specifico in cui le relative questioni devono essere esaminate in un primo tempo. 3. -Affermato il diritto della Germania all'attuazione pratica del principio della parità di diritti nel campo degli armamenti con la indicazione di alcune regole di applicazione.

Se questi principi da me esposti attrave,rso il Patto a quattro dovevano considerarsi favorevoli alla Germania al momento m cui il Patto a quattro è stato proposto, mi pare che oggi le cose, date le maggiori diil'ficoltà che la Germania incontra all'estero, abbiano acquistato una importanza cd un valore del tutto particolare.

Evidentemente nel proporre il Patto a quattro non mi ero nascosto le difficoltà che mi attendevo soprattutto da parte della Francia per ragioni intuitive. Ero anche preparato al fatto che alcuni Paesi avrebbero preso posizione nettamente contraria alla mia proposta: anche ciò era intuitivo. Un esempio per tutti: è chiaro che la Polonia non può che fare la più accanita opposizione ad un patto per cui la questione più vitale e più appassionante della sua politica sarebbe esaminata in un comitato dal quale lei rimarrebbe esclusa, mentre vi parteciperebbe il suo oppositore. Ora, appunto per le ragioni di tutte queste evidenti ed insopprimibili difficoltà, io avevo calcolato sul concorso e sull'appoggio della Germania, concorso ed appoggio che, ripeto, a mio modo di vedere sarebbero andati in primo luogo a vantaggio della Germania stessa. Viceversa ho dovuto con mio rincrescimento constatare che l'atteggiamento della Germania, anziché facilitare il mio compito, me lo rende più difficile. Su una materia cosi delicata come quella trattata dal Patto a quattro ed in un momento così pieno di elettricità --evidentemente non si può giungere ad una conclu

sione che adottando un certo spirito transattivo da parte di tutti gli interessati. Da parte della Germania invece io mi trovo di fronte ad un atteggiamento che complica continuamente la situazione coll'avanzare altre proposte le quali richiederebbero di riprendere la discussione dall'inizio, su una base del tutto nuova. Ciò vale particolarmente per l'art. 3, quello relativo al disarmo.

Io sono partito dal presupposto che il mio progetto originale era stato in massima accettato dalla Germania. È venuto poi il testo francese, che per quanto riguarda l'art. 3, si allontanava notevolmente dal mio progetto, e che non ho potuto a,ccettare.

Dopo laboriosissime trattative fra i quattro Governi interessati, siamo venuti ad una nuova redazione (vedi progetto concordato del 1° maggio) (l) che devo riconoscere si avvicina notevolmente al mio progetto originale. I francesi fanno nei riguardi di questo progetto delle obiezioni (chiedono che sia riconfermata la dichiarazione dell'll dicembre) che ritengo però superabile. La risposta tedesca invece non tiene conto che molto parzialmente di questo testo concordato e fa, sulla parte sostanziale dell'art. 3, una proposta nuova su base completamente diversa da quella che ha formato oggetto delle nostre discussioni e che richiederebbe di abbandonare la via seguita fino ad ora per ricominciare daccapo.

A prescindere da questo metodo di uscire continuamente con delle proposte radicalmente mutate, che rende difficile ogni discussione, a me pare che la preoccupazione della Germania di voler stabilire fin d'ora le soluzioni concrete che dovranno fare oggetto delle discussioni tra i quattro, sia un metodo non corrispondente allo scopo che si vuole raggiungere.

Per me l'importante è di riunirei fra i quattro su dei temi in discussione obbligata per poi cercare la migliore soluzione. Se la soluzione noi volessimo fissarla fin da ora in tema di discussione del Patto a quattro, io credo che non serviremmo l'interesse generale e nemmeno quello della Germania.

È evidente, per una serie di ragioni che è inutile ripetere, che in questo momento se si deve raggiungere un accordo su un programma concreto di riarmo della Germania, questo certamente non potrà accontentare le aspirazioni della Germania stessa mentre, stabilito che di questo tema si debba discutere fra i quattro con una pressione continua da parte della Germania e con dei successivi accordi, si potrà certamente arrivare a delle soluzioni molto più favorevoli; valga d'altronde la pratica fatta in materia di riparazioni. Naturalmente ciò, premesso che si voglia seguire la via degli accordi, perché se la Germania intendesse invece seguire la via del riarmamento senza tener conto dei trattati e senza accordi con gli altri, allora bisognerebbe riesaminare la cosa da un punto di vista del tutto diverso.

Se quindi il Governo tedesco accetta il mio punto di vista e intende collaborare per portare rapidamente in porto questo Patto a quattro, io credo che la via da seguire sarebbe quella che risulta dall'unito appunto.

V. E. nel fare verbalmente le dette comunicazioni al Cancelliere Hitler, vorrà ancora aggiungere le ragioni, già esposte al barone von Neurath per dimo

strare l'interesse della Germania a non dilazionare la conclusione del Patto. È vero che i colloqui del Cancelliere con l'Ambasciatore sovietico ed i colloqui di Berlino e di Varsavia con la Polonia, hanno portato un principio di détente nella situazione estera della Germania. Va rilevato però che le opposizioni da parte di tutti gli altri Paesi rimangono immutate. Ne è la prova anche la recente missione Rosenberg a Londra sulla quale V. E. può trovare notizie sui giornali inglesi.

Segnali ad Hitler le dichiarazioni esplicite di Roosevelt per quanto concerne il riarmamento della Germania.

Attendo una sua immediata comunicazione dopo il colloquio.

P. S. Vedo in questo momento che il Reichstag è convocato per il 17 maggio e che Hitler, vi farà delle dichiarazioni importanti sulla situazione. Spero che coglierà l'occasione per parlare anche del Patto a quattro.

ALLEGATO

OSSERVAZIONI AL TESTO DEL 13 MAGGIO

Preambolo, 5° paragrafo. Si manterrebbe l'omissione della frase « en se conformant aux méthodes et procédures qui y sont prévues et auxquelles elles n'entendent pas déroger )).

Come l'Ambasciata tedesca conosce, il Governo francese ha tuttavia insistito sul suo mantenimento.

Articolo 1°. Si ometterebbe la frase « ainsi qu'avec les tierces Puissances ». Effettivamente neanche il Governo francese desidera l'inclusione di questa frase che pur tuttavia avrebbe servito a marcare la volontà di collaborare delle Quattro Potenze anche con tutti gli altri Stati in conformità degli scopi del Patto. Si ometterebbe la parola « s'engagent » sostituendola con l'espressione « dans le but ».

Articolo 2<>. Non pare possibile togliere il riferimento all'art. 16, perché questa omissione si presta ad essere interpretata come espressione del proposito di fare la revisione con la violenza anziché in via pacifica. Inoltre per soddisfare da una parte la richiesta tedesca che vuole parlare di « principi » degli articoli citati, e dall'altra la richiesta francese che vuole parlare di «metodi e procedure», si userebbe la dizione più comprensiva « principi, metodi e procedure degli articoli citati ».

Inoltre, in luogo di dire « en vue de l'application éventuelle en Europe des articles 10, 16, 19 », si direbbe: « des articles du Covenant, notamment des articles 10, 16, 19 etc.».

Articolo 3° -2a parte. Potrebbe rimanere il testo del 1° maggio. Il riferimento al progetto inglese potrebbe avvenire in un Protocollo allegato al Patto. Nel Protocollo le Parti potrebbero anche prendere l'impegno di fare ogni sforzo per giungere alla firma dell'accordo sul disarmo «nel più breve tempo possibile » o «entro sei mesi».

Va tenuto tuttavia presente che non sarà facile fare accettare dal Governo francese il testo del 1° maggio. Il Governo francese è tornato ad insistere perché nell'articolo 3 si faccia riferimento oltre che alla «parità dei diritti» anche alla «sicurezza».

Non appare possibile e sarebbe anche impolitico fissare ora un termine preciso entro il quale la parità dei diritti possa essere completamente realizzata. A questo fine gioverà assai il testo del lo maggio che si avvicina molto a quello originale di S. E. il Capo del Governo; e non se ne può negare la sua portata politica.

Articolo 5°. Verrebbe introdotta la rettifica segnalata dall'Ambasciata tedesca a Roma, per cui si direbbe «sans limitation de durée ».

(l) -Ed. In MUSSOLINI, Opera omnia, vol. XLII, pp. 46-47. (2) -Con t.r. 4704/185 P.R. del 12 maggio, o~e 24 Cerrutl era stato avvertito della partenza di queste Istruzioni di Mussolini e Incaricato di chiedere udienza ad Hitler.

(l) Cfr. n. 506. allegato.

587

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL MINISTRO A BUCAREST, SOLA

TELESPR. 214580/52. Roma, 13 maggio 1933.

A telegramma per corriere di codesta R. Legazione n. 164/108, in data 2 corrente O). Con riferimento al suindicato telegramma· per corriere ed in conformità a quanto è stato comunicato ad altre RR. Rappresentanze, faccio presente alla

S. V. per sua norma di linguaggio che nei colloqui di Roma si è soltanto parlato in generale del problema della revisione dei trattati e della relativa procedura nell'ambito della Società delle Nazioni e con rispetto degli interessi reciproci, ma che non si è mai discusso specificamente di alcun problema connesso alla revisione e tanto meno di quello relativo al corridoio.

588

PROJECT DE PACTE D'ENTENTE ET DE COLLABORATION (2)

Roma, 13 maggio 1933.

L'Allemagne, la France, la Grande-Bretagne, l'Italie conscientes des responsabilités particulières que leur impose leur qualité de membres permanents du Conseil de la Société des Nations à l'égard de la Société elle-meme et de ses membres et de celles qui résultent de leur signature commune des accords de Locarno, convaincues que l'état de malaise qui règne dans le monde ne peut etre dissipé que par un renforcement de leur solidarité susceptible d'affirmer en Europe la confiance dans la paix; fidèles aux engagements qu'elles ont pris par le pacte de la Société des Nations, les traités de Locarno et le pacte BrtandKellogg et se référant à la déclaration de non-recours à la force dont le principe a été adopté le 2 Mars dernier par la Commission politique de la Conférence du Désarmement, soucieuses de donner leur pleine efficacité à toutes les dispositions du pacte,

respectueuses des droits de chaque Etat dont il ne saurait etre disposé en dehors de l'intéressé, sont convenues des dispositions suivantes:

Art. l.

Les Hautes Parties contractantes se concerteront sur toutes les questions intéressant le maintien de la paix qui leur sont propres, dans le but de pratiquer

une polltique effective de collaboration dans le cadre et d'après les prlncipes du Pacte de la Société des Nations.

Art. 2.

Les Hautes Parties contractantes en vue de l'application en Europe des articles du Covenant, notamment des axticles 10, 16 et 19 concemant l'intégrité territoriale, les sanctions et tout nouvel examen des Traités, décident d'exa.rniner sous réserve de décisions qui ne peuvent etre prises que par les organes réguliers de la Société des Nations toute proposition tendant à donner leur pleine efficacité aux principes, méthodes et procédures prévues par ces articles.

Art. 3.

Les Hautes Parties contractantes reconnaissent que le maintien de la paix exige la réduction des armements nationaux au minimum compatible avec la sécurité nationale et que le succès de la Conférence du Désarmement serait le meilleur moyen de réaliser cette fin. Elles renouvellent leur désir de coopérer avec les autres Puissances y représentées dans l'effort d'élaborer aussi rapidement que possible une convention assurant une réduction substantielle et une limitation des armements avec des dispositions pour sa révision ultérieure en vue de réductions nouvelles. La France, la Grande Bretagne et l'Italie de leur còté déclarent que le principe de l'égalité des droits doit avoir une valeur pratique pour l'Allemagne et les autres Etats désarmés par traité et l'Allemagne en ce qui la concerne reconnait qu'effet ne devra étre donné à ce principe de l'égalité des droits que par étapes et en vertu des accords à réaliser et auxquels chacune des quatre Puissances sera partie.

Art. 4.

Les Hautes Parties contractantes affirment leur volonté de se concerter sur toutes questions d'intérét commun en Europe particulièrement sur toutes questions concernant la restauration de son économie.

Art. 5.

Le présent Accord est conclu pour une durée de dix années à compter de l'échange des ratifications. Si, avant la fin de la huitième année, aucune des Hautes Parties contractantes n'a notifié aux autres son intention d'y mettre fin, il sera considéré comme renouvelé et restera en vigueur sans limitation de durée, les Parties contractantes conserv,ant alo·rs la faculté d'y mettre fin par une dénonciation avec préavis de deux années.

Art. 6.

Le présent Accord sera ratifié et les ratifications en seront échangées le plus tòt que faire se pourra. Il sera enreg,istré au Secrétariat de la Société des Nations conformément aux dispositions du Pacte.

(l) -Con tale telegramma Sola aveva informato che Jouvenel avrebbe detto a Tituleseu «che il pensiero di S. E. Mussollni (quale gli sarebbe stato esposto dal Duce in persona) circa il problema della revisione delle fro.n.tiere sarebbe il seguente: " Soluzione della questione del corridoio a favore della Germania. E qualche ritocco di poco conto sulle altre frontiere: « pour lesquelles (avrebbe detto il Capo del Govemo) il me suffit d'avoir pour un sou de revision >>. (2) -Ed. in SALATA, pp. 184-·186 e in GIORDANO, pp. 193-194.
589

IL DELEGATO AGGIUNTO ALLA CONFERENZA DEL DISARMO, SORAGNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 69/9. Ginevra, 13 maggio 1933.

Mio Telespresso odierno n. 70/10 (l). Legga nei giornali il seguente trafiletto che rispecchia opinioni ufficiali tedesche:

«La nouveile crise à Genève est généralement considérée par la presse allemande comme plus sérieuse que les précédentes, mais on estime qu'il n'est pas justiiié de parler de J'échec de l.a confèrence.

Il est regrettable que l'Angleterre se soit jointe aux adversaires de l'Allemagne. On a particulièrement souffert de l'attitude du Ministre britannique de la guerre, Lord Hailsham, à la Chambre des lords, où il a repris le ton d'ultimatum vis-à-vis de l'Allemagne qui avait été employé à des époques passées.

On regrette aussi que les Etats-Unis et l'Italie se soient abstenus du vote. On attribue cette attitude de l'Amérique à sa participation éloignée aux négociations de Genève, tandis que l'on considère que l'attitude de l'ltalie n'est certainement pas due à un changement de sa politique à l'égard de l'Allemagne, mais, pense-t-on, à des égards qu'elle aurait eus pour ses relations avec d'autres puissances ».

È un fatto che, anche qui, gli ambienti tedeschi giornalistici ed extra-delegazione hanno mostrato dolersi della nostra estensione. In realtà, non potevamo fare diversamente, come ho constatato dopo un accurato esame della questione coi nostri esperti militari; e come i delegati tedeschi, i quali conoscono bene le complicazioni della situazione, hanno lealmente riconosciuto:

0 ) L'Italia ha sempre ammesso per sé ed applicato agli altri il principio che, per le formazioni del genere di quelle sotto esame, si calcoli il valore, in unità di effettivo medio giornaliero, delle ore e dei giorni di istruzione specificamente militare: e l'esame delle formazioni tedesche ha condotto alla constatazione, veramente irrefutabile, di una larghissima parte di istruzione militare in quelle formazioni.

Nemmeno il delegato tedesco ne ha potuto negare l'esistenza: ne ha negato invece la compatibilità, asserendo, in sostanza, che lo scopo di tale istruzione militare non essendo altro che politico, morale, patriottico e d'ordine pubblico, non si poteva farla entrare nel computo degli effettivi.

L'impossibilità per noi, in tali circostanze, di votare per la tesi tedesca è troppo chiara.

2°) Data la votazione avvenuta per le formazioni premilitari italiane, in base alla quale si sono computate, oltre che le ore di istruzione specificatamente militare anche quelle di istruzione ginnico-sportiva, l'Italia doveva prepararsi a sostenere, nelle susseguenti discussioni delle premilitari della Francia, della Po

<;6 -VoC'11mrnti diplomatici -Serie VII -Vol. XITJ

lonia e della Piccola Intesa, che i dati forniti per i paesi che non hanno la premilitare obbligatoria non possono essere ritenuti esatti perché sfuggono a qualsiasi controllo dello Stato. Tale atteggiamento sarebbe stato pregiudicato senza remissione da una votazione a favore della Germania, la quale si trova nelle stsse condizioni formali degli Stati predetti. Logica invece l'astensione.

(l) Non pubblicato.

590

IL DELEGATO AGGIUNTO ALLA CONFERENZA DEL DISARMO, SORAGNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 71/11. Ginevra, 13 maggio 1933.

Reputo opportuno trasmettere a V. E. il testo di un colloquio che il 4 corrente l'esperto navale di questa Delegazione ha avuto con il suo collega tedesco nei riguardi delle rivendicazioni tedesche in materia di armamenti navali e -in genere -sull'attitudine tedesca a Ginevra.

Su tale colloquio l'esperto navale ha naturalmente informato, direttamente, il suo Ministero.

ALLEGATO

COLLOQUIO MARONI-FREYBERG

Ginevra, 4 maggio 1933.

L'Ammiraglio tedesco Freyberg è venuto oggi da me per espormi quali saranno gli emendamenti tedeschi alle clausole navali del Piano Inglese.

La Germania, in sostanza, chiederà che, mantenendo immutato il numero di navi di linea attribuitole dal Trattato di Versailles (secondo i tedeschi 8), le sia riconosciuto, in principio, il diritto di costruirle dello stesso dislocamento consentito alle altre Nazioni. Le navi di linea oggi in servizio nella Marina Tedesca hanno tutte una trentina di anni di età, sono perciò tutte rimpiazzabili. Tre rimpiazzi sono già costruiti o sullo scalo o votati. Rimangono dunque da rimpiazzarsi, secondo i tedeschi, cinque navi di iinea.

Stabilito questo principio, i tedeschi accetteranno l'impegno di non costruire, nel periodo di durata della Convenzione (fino al 31 dicembre 1936), più di una nave di linea del disloc:1mento previsto dalla Convenzione stessa (26.500 tonn., se sarà accettato il Piano MacDonald).

Nei riguardi dei sommergibili i tedeschi si asterranno, per ora, dall'avanzare richieste, perché sperano che sarà accettato il principio della integrale distruzione di queste armi. Si riservano di formularle se la Conferenza deciderà che i sommergibili siano conservati.

Freyberg ha aggiunto di essere perplesso circa quello che, a suo tempo, gli converrà di domandare in materia di sommergibili ed ha accennato a due possibili soluzioni:

-chiedere per la Germania un tonnellaggio globale di sommergibili pari ad 1;6 del tonnellaggio della più grande flotta sottomarina di Europa. Ad esempio, se la Francia accettasse la quota di 60.000 tonn. di sommergibili, la Germania ne domanderebbe

10.000. Una richiesta così formulata avrebbe il vantaggio di premere sulla Francia per indurla ad abbassare il livello delle sue pretese in fatto di sommergibili:

-chiedere una flotta di sommergibili almeno uguale a quella attribuita alla Polonia. Tale richiesta, se~ondo Freyberg, sarebbe molto popolare nella Marina Germanica, il cui amor proprio viene crudamente offeso ogni volta che, nelle acque della Nazione

Tedesca, passa un sommergibile di quella Marina Polacca che è solo nata da pochi

anni e non ha alcuna storia né tradizione.

Freyberg è poi venuto a parlare della presente situazione alla Conferenza ed ha

confessato di essere, e con lui molti della sua Delegazione, gravemente preoccupato.

La Francia, egli ha detto, ha decisamente cambiato tattica. Finora essa ci ha

inondato di proposte e di emendamenti scritti da qualche tempo, invece, essa non fa

più alcuna proposta, né avanza alcun emendamento. Massigli si limita solo a con

trobattere il nostro Delegato, cercando sempre di mettere in cattiva luce la nostra

intransigenza. Evidentemente la Francia manovra in tal modo per poter un giorno

proclamare dinanzi al mondo che la responsabilità del naufragio della Conferenza deve

integralmente cadere sulla Nazione tedesca. Così la nostra politica avrà avuto y_uesto

brillante e paradossale risultato: una Conferenza di disarmo fallirà per colpa di una

nazione Rià disarmata!

Freyberg lascia evidentemente comprendere di dissentire dalla politica di intran

sigenza seguita dai tedeschi in questa fase della Conferenza.

Gli faccio rilevare che l'accettazione pura e semplice del Piano MacDonald da parte della Delegazione Tedesca, avrebbe messo i francesi in ben difficile postura. Decisamente contraria al Piano britannico che, messo in atto, rappresenterebbe per essa una guerra perduta, la Francia è oggi ben soddisfatta di vedere che i Tedeschi si sono assunti la parte dei siluratori.

Freyberg è dello stesso parere e rileva che, nel suo Paese, si sanno apprezzare soltanto i guadagni acquisiti in valore assoluto -mentre si è incapaci di considerare quelli in valore relativo, che possono talvolta essere ben più importanti.

Aggiunge che egli non vede, e con lui molti altri in Germania, il danno che deriverebbe al suo Paese dalla uniformizzazione degli eserciti. Gli elementi che fanno o hanno fatto parte delle Reichswehr sono, secondo lui, sufficienti per inquadrare ottimamente un esercito di coscrizione di parecchi milioni di uomini. Il presente Ministro della Reichswehr non si sente il coraggio di accettare l'esercito di coscrizione, perché teme di perdere la popolarità di cui è circondato negli ambienti militari. E, purtroppo, i nostri ambienti militari, dice Freyberg, sono oggi, come sono sempre stati in passato, incapaci di vedere le questioni, oltre che dal lato tecnico, anche sotto i loro aspetti politici ed umani. E anche questa volta, egli conchiude, temo che le loro vedute ristrette ci portino sopra una falsa e pericolosa strada (1).

591

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. 992/187 R. Roma, 14 maggio 1933, ore 1.

Telegramma di questo ministero n. 184 (2).

Ultime osservazioni tedesche su patto a quattro essendo state comunicate a Londra, conviene che siano comunicate anche a Parigi. Prego V. E. farlo presente a codesto Governo per il caso che, in seguito a raccomandazione che col telegramma citato V. E. è stata incaricata di fare, comunicazione a Parigi fosse stata sospesa.

(l) -Copia di questo documento fu inviata con telespr. 215399/C. del 20 maggio al Ministeri della Guerra, della Marina e dell'Aeronautica, alle ambasciate a Londra, Parigi, Berlino, Mosca, Varsavia, Bruxelles, Ankara e Washlngton e alle legazioni a Praga, Belgrado, Budapest e Atene. (2) -Cfr. n. 574.
592

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI

T. 994/271 R. Roma, 14 maggio 1933, ore 1.

Senta da ministero esteri intenzioni francesi relative prestito Austria. Occasione potrà far presente opportunità noa mettere imbarazzo cancelliere che sta adoperandosi per affermazione quei principi che sono stati posti quale premessa nell'accordo di Losanna.

593

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2047/381 R. Londra, 14 maggio 1933, ore 14,30 (per. ore 20,55).

Suo telegramma n. 184 dell'li maggio (1).

Ho avuto lunga conversazione con Norman Davis al quale ho creduto opportuno dare in visione ultimo testo del patto a quattro concordato a Roma (2), cosa che egli ha molto gradita. Norman Davis ha trovata redazione ottima sotto ogni punto di vista e tale da coprire eventuali nuove obiezioni che fossero avanzate da parte tedesca oppure da parte francese.

Egli parte domani mattina per Parigi e mi ha promesso svolgere presso Daladier e Boncour sua amichevole influenza perché Governo francese non faccia difficoltà ed accetti integralmente testo (e ciò anche per mettere Germania nella necessità fare altrettanto). Davis è irritato contro atteggiamento Governo tedesco che, secondo lui, continua commettere errori e mi ha detto avere parlato in questo senso chiaramente Rosenberg a nome del Governo Stati Uniti.

Norman Davis mi ha ripetuto che nelle attuali condizioni preoccupanti dell'Europa, unica speranza migliorare situazione è nel piano Mussolini, del quale Davis mi ha dichiarato essere oggi come ieri convinto fautore. Davis è persuaso che nel presente momento soltanto un incontro fra Mussolini, MacDonald, Hitler e Daladier non che rappresentante S. U. potrebbe determinare mutamento sostanziale situazione generale.

Davis mi ha persino parlato di Venezia o del Lago Maggiore come località che potrebbero essere scelte per tale convegno.

È chiaro che idea tale incontro lusinga Davis anche per motivi di soddisfazione personale, ma questa è già la terza volta che egli parla di ciò e ritengo mio dovere riferirne a V. E. (3).

(l) -Cfr. n. 561. (2) -Cfr. n. 506, allegato I. (3) -suvich rispose con t. 1017/197 R. dEl 16 maggio: «Per quanto concerne incontro con MacDonald Hitler Daladier nonché rappresentante Stati Uniti prospettato da Norman Davis s. E. il Capo del Governo lo ritiene possibile dopo o per conclusione patto a quattro».
594

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. 1000/190 R. Roma, 14 maggio 1933, ore 22.

La questione sulla procedura alla conferenza del disarmo si è chiusa su un vantaggio per la tesi tedesca principalmente per appoggio fornito dal nostro delegato. Tale vantaggio però è più apparente che reale perché da dichiarazioni stesse del delegato francese risulta che l'aggiornamento discussione ha messo più in rilievo dissidio franco-tedesco ed è presumibile che il signor Massigli si irrigidirà ancor di più sulla tesi francese. Al riguardo è da tenere anche presente la frase di Paul Boncour circa il « dossier » degli armamenti tedeschi a cui si fa nuovamente richiamo.

In questi giorni i Governi riesamineranno la situazione e pertanto le parole che il cancelliere o il ministro degli esteri diranno al Reichstag sul disarmo avranno un peso enorme non solo sulle discussioni prossime al disarmo ma per riflesso anche sullo stesso patto a quattro.

Pertanto nell'intervista che V. E. avrà lunedì col signor Hitler V. E. vorrà sviluppare opportunamente tali concetti.

Bisogna dire a Hitler di non impegnarsi a battagliare su due fronti: quello interno che gli inimica tutte le sinistre internazionali e quello esterno che gli inimica le destre che si ritengono minacciate.

È su questo ultimo fronte che Hitler deve provocare una détente, il che gli permetterà di condurre a buon termine e a fondo l'altra lotta sul fronte interno. Queste idee anzi queste necessità oltre ad essere di somma importanza per l'avvenire della Germania sono così chiare che dovrebbero essere comprese.

595

IL MAGGIORE RENZETTI AL CAPO DELLA SEGRETERIA PARTICOLARE DEL CAPO DEL GOVERNO, CHIAVOLINI

L. P. Berlino, 14 maggio 1933.

Ho avuto due lunghi colloqui con Goering il giorno 12 a Monaco ed oggi qui. Il Ministro mi ha detto che von Neurath si è schierato decisamente contro l'Italia: che nella riunione del Consiglio dei ministri tenutasi il 12 corrente, a sostegno del proprio contegno italofobo, avrebbe mostrato un telegramma nel quale Nadolny dava contezza di un colloquio confidenziale avuto a Ginevra con il Conte Soragna: il nostro diplomatico avrebbe dichiarato essere l'Italia molto scontenta del contegno tedesco verso l'Austria e che ciò costituiva la ragione dell'atteggiamento riservato preso dall'Italia stessa nella conferenza per gli armamenti. Goering ha aggiunto che gli attacchi di von Neurath lo avevano posto in difficoltà: che egli aveva dato spiegazioni esaurienti a Roma così al Capo del Governo come a S. E. Suvich nei riguardi dell'Anschluss: nessuno di noi ha detto il ministro, pensa a compiere un gesto anti-italiano: la questione tedesco-austriaca verrà risolta d'accordo con l'Italia.

Ho risposto a Goering che a me non risultava che fossero modificati i sentimenti amichevoli italiani verso la Germania: che le onorificenze date a lui, a von Papen e agli altri costituivano la prova di ciò: il conte Soragna probabilmente si era limitato a esporre le proprie impressioni. Ho aggiunto però che la visita dei ministri tedeschi a Vienna costituiva un atto assolutamente inopportuno e anzi dannoso (contro l'Anschluss sono anche l'Inghilterra, la Francia, la Cecoslovacchia): che la intransigenza tedesca a Ginevra seppure giustificabile e comprensibile dal punto di vista della giustizia e del prestigio tedesco, aveva portato all'isolamento della Germania e condotto ad una situazione molto tesa: che pertanto l'Italia, la quale mira a far raggiungere un accordo per assicurare all'Europa alcuni anni di pace, non può seguire incondizionatamente la Germania nella via su cui si è posta.

Noi dobbiamo, ho aggiunto, fare una politica accorta, una politica di attesa e di pazienza. Ciò non significtt rinunziare alla nostra dignità, significa soltanto agire da saggi. Dobbiamo agire con tatto e con misura, qualità queste che mi pare manchino a molti vostri camerati: dobbiamo infine fare una politica ufficiale ed una privata. Che bisogno vi era di far andare a Vienna dei ministri? (Goering in ciò mi ha dato ragione, come altri con cui ho parlato). Voi e Goebbels vi avevate rinunziato: dovevano rinunziare anche gli altri per non acutizzare una situazione già grave. Chi crederà che i ministri siano andati in Austria per discutere di codici dopo il can can fatto dalla vostra stampa? D'altra parte il ministro Frank dovrebbe astenersi dall'enunciare propositi di radicale riforma del diritto. Per crearne uno nuovo occorrono decenni di studi e decenni di esperienze: occorrono lavori di dotti e di esperti. Il diritto romano si basa su esperienze di millenni! E il giovane avvocato Frank si rende ridicolo con il trinciare dei giudizi, fatto questo che non giova al vostro partito e che personalmente mi addolora in quanto apprezzo le doti di intelligenza e di patriottismo e di attaccamento al nazionalsocialismo del Frank stesso.

Bisogna avere il coraggio di rendersi anche impopolari, ho detto a Goering: bisogna fare con la Francia quanto molto opportunamente Hitler ha fatto recentemente con la Polonia. E Goering, convinto di quanto gli affermava, in mio presenza ha chiesto di potersi recare all'indomani dall'Ambasciatore francese Poncet allo scopo di discutere con esso della possibilità di una sua visita all'aviazione francese (a Monaco Goering mi aveva detto di aver rinunziato alla visita in quanto l'ambasciatore non aveva potuto dargli assicurazioni che dimostrazioni ostili non sarebbero avvenute). Io ho raccomandato a Goering di guardarsi dagli attentati e dalle donne francesi: di non preoccuparsi se lo si accuserà di poco patriottismo da parte dei fanatici o dei suoi avversari: di coltivare buoni rapporti con gli inglesi e di recarsi anche a Londra se occorrerà.

Ho ripetuto tutte queste considerazioni a Goebbels, a Funke e ad altri intimi di Hitler.

Il richiamo di von Hassel da Roma sembra deciso: non si riesce però a trovargli un sostituto; ho fatto scartare da Goering i tre aspiranti all'Ambasciata romana e cioè il Principe Wied, il Principe Waldek e l'industriale Tyssen.

Al Principe di Assia è stata offerta la carica di Oberprasident dell'Hessen e Nassau. Detta corrisponderebbe all'incirca a quella di governatore con pieni poteri. Il Principe d'Assia non ha dato alcuna risposta definitiva: egli tornerà presto a Roma, forse per sentire il parere di Casa Reale.

A fianco del Principe, che avrebbe dovuto esercitare le mansioni di fiduciario del partito nazionalsocialista in Italia, verrebbe posto uno dei migliori funzionari tedeschi.

Rosenberg può considerarsi ormai come liquidato. Io ho detto chiaramente e tutti coloro con cui ho parlato, nazi naturalmente, che non è più possibile che resti quale consulente di politica estera un uomo che ha arrecato tanti danni alla Germania: che il ministero degli Affari Esteri tedesco dovrebbe venire assunto da Hitler.

Nel predetto ministero si gongola per la figura fatta dal Rosenberg contro cui solo ora si appuntano gli strali di coloro che avrebbero -e non lo hanno fatto -avuto il dovere di impedire il viaggio stesso.

Nei riguardi degli ebrei, è mia impressione che si faccia marcia indietro. Così Goering che Goebbels, Funke, Brilckner ed altri (non ho ancora potuto parlare con Hitler che giungeva a Monaco mentre io ne ripartivo), si rendono conto che si è esagerato e che la Germania ha fatto un affare cattivo escogitando delle misure nella maniera nota. Cosi si viene a dare ragione al Duce il di cui pensiero io esposi chiaramente a Hitler in passato e recentemente. Io credo che le prescrizioni verranno mitigate (gli israeliti dovranno, se ne sono capaci, serbarne anche gratitudine al Capo del Governo) e che i buoni potranno continuare a vivere e a lavorare tranquillamente in Germania. S'intende che essi dovranno rinunziare a considerarsi membri di una collettività alla ricerca di una patria introvabile, per diventare invece buoni e fedeli cittadini di questa Nazione.

Ho esposto anche la possibilità di agire pro Germania, sui milioni di tedeschi residenti in America, sui protestanti. Ma questi ultimi non compongono un blocco alle dipendenze spirituali di un Pontefice: la solidarietà tra loro non esiste.

Le dichiarazioni che Hitler farà al Reichstag saranno concilianti. Per mio conto ho esortato alla moderazione e alla prudenza: ho ricordato che noi siamo i deboli e che dobbiamo guadagnare tempo ecc. ecc.

596

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. s. 2073/355 R. Berlino, 15 maggio 1933, ore 2,45 (per. ore 7 del 16).

Dispaccio di S. E. il Capo del Governo n. 3095 (l).

Ho conferito con Hitler per un'ora e mezza alla presenza di Goering e di Neurath e gli ho esposto letteralmente quanto V. E. mi ha comunicato in una fedele versione fatta personalmente.

Gli rimisi infine il testo del progetto del 13 maggio (l) e la procedura del promemoria spiegativo.

Von Neurath pregò cancelliere di poter dire per primo alcune spiegazioni e dichiarò esser bensì vero che Germania accettò sin da principio «in massima » il patto a quattro ma che ciò fece sul testo originale di V. E. e facendo fin dal primo momento riserva sugli articoli 2° e 3°. Progetto italo-inglese aveva costituito a noi un primo peggioramento e modificazioni chieste da Inghilterra e Francia avevano successivamente aggravata situazione. Ciò nonostante Germania aveva receduto dalle obiezioni circa art. 2° ma non aveva potuto rinunciare alle richieste proprie circa art. 3° giacché essa non può essere costretta a legare la sorte del suo riarmamento alla volontà di una delle quattro Potenze firmatarie del patto.

Hitler interruppe a questo punto ministro degli affari esteri per dichiarare che egli sperava che V. E. volesse rendere giustizia alla Germania.

Questa non aveva voluto muovere eccessive obiezioni ed aveva quindi ridotto al minimo le sue richieste. Ma vi era un punto sul quale essa non poteva transigere ed era quello del suo riarmo. Oggi la Germania è la Germania: è in una botte di ferro. Il trattato di Versailles le ha imposto il disarmo come primo passo per il disarmo, allo stesso suo livello, degli altri Stati firmatari. Viceversa questi non hanno disarmato e non intendono farlo. La Germania ottenne il riconoscimento della parità dei diritti, vale a dire ottenne la libertà, qualora gli altri non disarmino -e non disarmeranno -a riarmare essa stessa «senza alcun bisogno di ottenere autorizzazione da chicchessia » ma come logica conseguenza del mancato disarmo degli altri.

L'articolo 3° invece, sino al testo originale di V. E. prevedeva accordo con gli altri firmatari e ciò faceva dipendere dal loro beneplacito riarmamento Germania la quale, firmando patto, firmerebbe la sua condanna per almeno dieci anni ad uno stato di inferiorità politica che è intollerabile.

Von Neurath lasciò cadere le parole: « Ma noi non lo firmeremo mai se articolo 3° non ci riconosce il diritto alla libertà completa fra pochi anni». Hitler confermò: «non lo possiamo firmare». Egli aggiunse che la colpa che il Governo nazionalsocialista fece e fa tuttora ai vari Governi tedeschi succedutisi al potere dalla fine della guerra è quella di avere firmato vari accordi, per le riparazioni ed altri, in cui si ribadiva il concetto dell'inferiorità della Germania.

E questo non deve più accadere e non accadrà più. Feci valere tutti gli altri argomenti da V. E. forniti insistendo sopratutto sullo spirito diverso che confidiamo regnerebbe nel mondo. Fu fiato sprecato.

Goering annunziava di avere oggi restituito la visita a François Poncet e di aver conversato con lui per oltre due ore chiedendogli di spiegare che cosa intendeva la Francia per «sicurezza>>. Questi naturalmente non poté rispondere esplicitamente.

Goering disse di aver menzionato sicurezza che occorre alla Germania parlando della necessità di una Locarno orientale ma ambasciatore di Francia cambiò discorso.

Hitler chiese a me di dirgli, se potevo, che cosa intendessero i francesi [per] sicurezza e gli dovetti rispondere che è un concetto volutamente imprecisato.

Goering propose che Hitler chiamasse domani François Poncet e gli chiedesse, prima riunione Reichstag, di dc~i:..1ire esattamente la «sicurezza».

La proposta è rimasta sospesa.

Hitler riprese a parlare dicendo che Europa può essere pacificata soltanto il giorno in cui Germania sarà riarmata completamente. Ciò è anche nell'interesse dell'Italia. «Non so ora quante divisioni avete voi, ma unitamente alle vostre, 40 o 60 che occorrono alla Germania e che essa avrà fra qualche anno e state tranquillo che non accadrà più nulla di quanto sta succedendo ora». Egli disse che se patto a quattro menzionasse diritto della Germania riarmarsi entro 10 anni sino al 50 per cento degli armamenti della Francia, dato che questa non disarmi, egli lo firmerebbe subito.

Menzionai dal canto mio lo spirito pubblico di tutti gli Stati, Italia esclusa, assolutamente ostili alla Germania e al suo riarmo e insistetti, giusta il telegramma di V. E. n. 190 (1), perché Hitler non si impegnasse a battagUare su tutti i fronti. Cancelliere rispose che più le ostilità del mondo sono palesi più apparente è agli occhi dei tedeschi la necessità di esser forti e di finirla con Io stato di inferiorità in cui si trova la Germania. Egli non temeva nessun attacco e non avrebbe pensato ad alcuna minaccia perché sapeva di aver con sé tutta la Germania e non si sarebbe sentito umiliato da qualunque provvedimento della Francia o di altri Stati. Esaminammo poi i vari articoli modificati ma siccome Hitler non capisce il francese egli pregò Neurath di portargli domani testo 13 maggio del patto a 4 tradotto in tedesco, dopo di che ministro affari esteri mi chiamerà per farmi conoscere risposta definitiva del Cancelliere.

Cancelliere parlò pure a lungo dell'Austria.

Riferisco in proposito per corriere.

Sono dolente di dover dire a V. E. che ebbi l'impressione che i tre uomini di Stato tedeschi si eccitavano a vicenda ed erano in preda, Hitler e Goering in realtà e Neurath per ragioni personali, ad una esaltazione patriottica che può divenire assai pericolosa.

(l) Cfr. n. 586.

(l) Cfr. n. 588.

597

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. PER CORRIERE 1006 R. Roma, 15 maggio 1933.

Viene riferito che in seguito risultati viaggio Rosenberg a Londra ed altre constatazioni dall'estero Hitler mostrerebbe preoccuparsi isolamento interna

zionale cui misure d'ordine interno e principalmente provvedimenti antisemiti avrebbero condotto Germania.

Il signor Goering avrebbe avuto al riguardo un colloquio con von Neurath che avrebbe insistito sulla necessità di rinunziare subito ad ogni misura antisemita pur non nascondendogli che ormai il male era fatto e che sarebbero occorsi anni per riconquistare all'estero le situazioni perdute.

Pregola riferire quanto le consti al riguardo (l).

(l) Cfr. n. 594.

598

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. 1008/193 R. Roma, 15 maggio 1933, ore 19.

Suo telegramma n. 352 segreto (2). Significato pretese dichiarazioni di Soragna a Nadolny è completamente falsato nella versione datane da Goering a V. E.

Anzitutto queste questioni non sono mai state oggetto di speciali dichiarazioni bensì formano la materia delle conversazioni continue che Nadolny e Soragna hanno a seconda dei bisogni della loro azione cordialmente fiancheggiante a Ginevra.

Circa questione riarmo della Germania Soragna ha concertato con Nadolny la propria tattica di fronte agli altri tre rappresentanti delle grandi Potenze onde appoggiare nel modo migliore interessi tedeschi e comuni. Linea di condotta di Nadolny è stata di dichiarare che Germania non voleva affatto il riarmo ma soltanto una parità morale espressa nella concessione di un certo numero di tipi del materiale ora proibito, ma senza efficenza militare. Soragna nelle riunioni dei cinque ha quindi appoggiato in pieno tale punto di vista. Ma egli esclude nel modo più assoluto di essersi potuto espr,imere confidenzialmente con Nadolny come se Italia fosse contraria al riarmo Germania, ed è sicuro che Nadolny non oserèbbe mai sostenerlo.

Circa questione austriaca, della quale talvolta Soragna si intratteneva con Nadolny come di tante altre questioni politiche del giorno, Soragna ha avuto occasione assai più di sentire da Nadolny che di consentirvi egli stesso, come, di fronte a tante questioni che si presentano al nuovo Governo tedesco, a questo convenga trattarle a poco a poco con calma e prudenza e che fra le questioni quella austriaca è la meno matura anche perché in Italia vi si è assai sensibili. Ed erano, si noti, conversazioni amichevoli tra i due non mai dichiarazioni.

Quanto ad appoggiare Germania con cautela trattasi anche qui non di istruzioni di linea generale politica ma di tattica ginevrina a seconda dei casi per il meglio della Germania stessa e degli interessi comuni e sempre d'accordo coi rappresentanti tedeschi a Ginevra.

Soragna non è però rimasto stupito di queste inesatte interpretazioni. Egli ha avuto modo constatare che Nadolny è in pieno contro la tattica dell'attuale Governo hitleriano e personalmente contro Neurath e quindi non si meraviglia che Nadolny cerchi di voler dimostrare a Berlino che tutti, persino l'Italia, si distaccano dalla Germania se questa persiste negli odierni indirizzi. Ma questa è politica di Nadolny non di Soragna o nostra.

(l) -Per la risposta di Ccrrutl cfr. n. 821. (2) -Cfr. n. 582.
599

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2062/390 R. Londra, 15 maggio 1933, ore 19,10 (per. ore 22).

Suo telegramma 193 0). Unica conversazione Davis è quella avuta in seguito alle istruzioni di V. E. e sulla quale ho ·riferito con mio telegramma n. 381 (2).

Durante tale conversazione non (dico non) ho avuto occasione riferirmi neppure indirettamente atteggiamento Italia questione disarmo e tanto meno particolarmente questione richieste tedesche.

Superfluo aggiungere che nessun contatto ha avuto questa ambasciata con il corrispondente New York Times.

600

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL MINISTRO DI GRECIA A ROMA, METAXAS

APPUNTO. Roma, 15 maggio 1933.

È venuto a trovarmi il Ministro di Grecia per chiedermi, in previsione delle discussioni che avrà ad Atene il Comitato Finanziario, l'appoggio del Governo italiano, appoggio che in passato era sempre stato concesso largamente.

Gli ho detto di avere già chiamato giorni addietro I'on Tumedei, mio successore nel Comitato, e di avergli dato le opportune istruzioni nel senso desiderato dal Ministro.

È evidente che tale appoggio deve mantenersi entro la linea tecnica nella quale agisce il Comitato.

Ho chiesto poi al Ministro di Grecia che cosa gli constava dei presunti accordi politici greco-turchi, quale complemento del recente accordo commerciale.

II Ministro Metaxas mi ha detto che riteneva che non ci fosse niente di concreto: che d'altra parte il Patto di amicizia fra i due paesi esisteva già, e

che quindi non si sarebbe potuto trattare che di una riaffermazione dello stesso. Per quanto riguarda l'estensione del Patto alla Bulgaria, mi ha detto che la cosa per ora non gli pare matura. Su mia domanda dice di non saper niente e di non credere che dalla Grecia sia stata chiesta una eventuale estensione del patto alla Jugoslavia.

(l) -Cfr. n. 379, nota 3; 193 è il numero d\ protocollo particolare per Londra del t. 1003. (2) -Cfr. n. 593.
601

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. RR. 1040/490. Varsavia, 15 maggio 1933.

Giovedì scorso potei avere con questo Ministro degli Esteri il colloquio che gli avevo richiesto, nel corso del quale lo pregai di volermi spiegare meglio, dopo quanto io stesso avevo portato a sua conoscenza dei veri scopi e della reale portata del progetto di patto a quattro, il suo punto di vista in merito.

Nella forma più nebulosa possibile egli mi ha ripetuto i soliti argomenti da me riferiti col rapporto n. 452 del 6 corrente (l) lasciando cadere tutte le possibilità di discussione che gli offrivo allo scopo di condurlo a manifestare sia pure indirettamente il suo vero pensiero.

L'atteggiamento della Polonia resta di netta ostilità a quel progetto, qualunque sia la portata ed i riflessi che la sua realizzazione potrà avere o non avere nei confronti polacchi.

Pertanto, a mio avviso, le ragioni che hanno consigliato Varsavia la sua attitudine possono essere precisate nelle seguenti:

l) il dispetto per aver visto la Germania riammessa a far parte del gruppo delle Grandi Potenze, dal quale la Polonia viene invece esclusa;

2) la constatazione dei vantaggi morali e materiali di cui viene a beneficiare la Germania;

3) la riconferma in esso contenuta della possibilità di revisione dei trattati, la quale possibilità con la Germania assunta ad un rango superiore rispetto alla Polonia viene qui considerata come una minaccia diretta alle frontiere polacche;

4) l'autorizzazione alla Germania a mettere in pratica il principio della parità a mezzo accordi concordati fra le quattro Potenze -e quindi esclusa la Polonia -viene considerata qui come un pericolo grave per la sicurezza del Paese.

Mentre delle due prime ragioni d'ordine morale il Signor Beck non mi ha parlato in alcun modo, mi è invece sembrato ch'egli abbia voluto accennare alle altre due, quando nel corso della conversazione egli mi ha detto prima che

la Polonia non consentirebbe mai a presentarsi a discutere i suoi interessi come un accusato davanti ad un tribunale, e poi quando mi ha ripetuto quel che mi aveva detto nel colloquio precedente, essere cioè la Polonia avversa al sistema adottato una volta a Ginevra di far trattare la questione della parità alle sole Grandi Potenze.

Precisate così le ragioni dell'avversione polacca, è da attendersi un ritorno offensivo di Varsavia in coincidenza con la più attiva ripresa delle conversazioni intorno al progetto e con la notizia che potesse qui arrivare di un favorevole svolgimento di esse.

In che modo la Polonia cercherà stavolta di agire, scornata per la delusione di non essere riuscita niente affatto a seppellire quel progetto come con troppa fretta fin dal mese scorso ha proclamato, non mi è dato ancora di vedere. Penso però che potrebbe stavolta venire giuocata in qualche modo la carta della Piccola Intesa, la quale è stata prudentemente messa da parte dopo la rabbiosa fretta del primo momento e che pur non essendo destinata ad apportare vantaggi proporzionati, avrebbe nondimeno un certo effetto almeno sulla platea a cui si è fatto credere di aver liquidato il patto con un atteggiamento risoluto. Beck mi ha detto di aver saputo da tre diplomatici, non della Piccola Intesa, qui accreditati, che a Roma fra S. E. Mussolini e MacDonald si era parlato del <<corridoio» ed ha preso atto della mia smentita, ma la causa della freddezza polacca nei confronti dell'Italia non è questa; è l'interpretazione che qui si dà ad alcune clausole del patto a quattro in connessione col problema tedesco-polacco che, non si dubita affatto, verrebbe posto immediatamente dalla Germania all'ordine del giorno.

Ho l'impressione che per adesso a Varsavia si viva alla giornata in attesa di qualunque cosa che possa aumentare le diffidenze o le ostilità ·al Reich o di qualche cambiamento di governo a Londra e Parigi, o infine di qualche complicazione a Danzica che possa servire alla Polonia per attirarsi maggiori simpatie.

(l) Cfr. n. 543.

602

IL MAGGIORE RENZETTI, AL CAPO DELLA SEGRETERIA PARTICOLARE DEL CAPO DEL GOVERNO, CHIAVOLINI

L. P. Berlino, 15 maggio 1933.

Ho trovato al mio ritorno, una certa freddezza verso l'Italia, negli ambienti politici tedeschi causata in parte dal contegno della nostra delegazione alla conferenza di Ginevra ed in parte dalla certezza dell'insuccesso di Goering a Roma (si dice qui ad esempio), che il Duce non ha voluto ricevere Goering prima della sua partenza: che l'Italia, come di consueto, al momento opportuno si è tirata indietro: che S. E. Balbo sarebbe un ebreo e che appunto per dare lo smacco al rappresentante del nazionalsocialismo Goering è stato fatto ricevere da Balbo stesso: si mormora che Dollfuss sarebbe stato ispirato proprio da Roma a fare quanto attualmente compie, ecc.).

Si comprende che la missione di Rosenberg costituisce un errore e che anche il viaggio dei tre ministri rappresenta un nuovo errore ma si obietta che tali sbagli sono naturali e comprensibili da parte di un movimento che da pochi mesi è al potere e che quindi ad essi non dovrebbe venire data eccessiva importanza.

Per conto mio, nei vari colloqui avuti mi sono affrettato a smentire le voci che circolano, a rammentare le continue e chiare prove date dall'Italia verso la Germania, pur mettendo in rilievo che la intransigenza tedesca è dannosa, ecc. (vedi rapporto di ieri) (1). Ho mostrato i vari commenti della stampa italiana sul contegno della Francia ed ho infine dichiarato che forse è bene lasciare circolare le voci suddette in quanto cosi si provocano dei dubbi tra i nostri avversari.

Il discorso che Hitler terrà mercoledì al Reìchstag sarà molto conciliante e moderato: Hitler riaffermerà che vuole la pace in Europa e che non intende in nessun modo provocare dei conflitti: che è un fautore caldo del piano Mussolini. Goering nel discorso che terrà al Landtag prussiano il 18 corrente, enuncerà i propositi del Governo in Prussi:a (che del resto possono valere per tutta la Germania). In tale discorso saranno palesi le analogie fra quanto ha compiuto il Fascismo e quello che intende fare il nazionalsocialismo in Germania. Nel segnalare ciò mi sia consentito ripetere quanto ho detto in passato: non conviene a noi rimarcare le analogie per non urtare suscettibilità da un lato e per non sposare cause dall'altro: noi possiamo solo metter in rillievo i vari punti dei discorsi lasciando che ognuno per proprio conto faccia i confronti.

603

L'ADDETTO STAMPA A VIENNA, MORREALE, AL VICE CAPO GABINETTO, JACOMONI

L. xxxv. Vienna, 15 maggio 1933.

La manifestazione di ieri, imponente e seria, ha conseguito tutti i suoi scopi. E precisamente:

l) Ha dimostrato alla popolazione di Vienna che le Heimwehren esistono sempre come formazione numerosa, perfettamente organizzata ed inquadrata. Tale dimostrazione era necessaria specialmente dopo la ripetuta affermazione dei «Nazi » che le Heimwehren non fossero più da considerarsi un elemento apprezzabile della vita politica austriaca.

2) Lo stesso Cancelliere Dollfuss ha avuto la prova di quanto sopra non solo, ma ha potuto constatare dall'entusiasmo della massa dei militi ogni qual volta veniva pronunziato il nome di Starhemberg nei discorsi di Schonbrunn che tutta l'organizzazione è dietro il suo capo, sicché gli intrighi dei capi provinciali non possono avere seria ed efficace influenza sulla compagine dell'or

ganizzazione. La manifestazione ha quindi fatto constatare a Dollfuss il valore dell'appoggio di essa.

3) Ha consentito di rinnovare in pubblico ed in forma solenne l'alleanza Dollfuss-Starhemberg per il fine comune: Austria indipendente e socialmente rinnovata, e quindi lotta contro il nazismo per la realizzazione della prima parte della mèta, lotta contro il parlamentarismo ed il socialismo per la realizzazione della seconda parte.

4) Ha dato a Dollfuss la prova del consenso che tale alleanza desta tra le Heimwehren, in quanto anche per lui sono state frequenti ed entusiastiche le manifestazioni di simpatia.

5) Le dimostrazioni ostili inscenate dai Nazi lungo una prima parte del percorso, presto sedate sia per l'intervento della polizia, sia per il sopraggiungere della inattesa constatazione che la manifestazione era più seria e numerosa di quanto i capi nazisti avessero fatto credere, sono destinate a suscitare la reazione della parte sana della popolazione la quale ha visto con dispiacere dileggiare ex combattenti col petto carico di medaglie, proprio da chi si dice detentore dell'idea del rinnovamento morale del popolo.

Del discorso di Dollfuss sono notevoli:

l) La dichiarazione di fedeltà a Starhemberg (treue um treue fedeltà per fedeltà).

2) La riforma della costituzione in modo da affidare la legislazione sopratutto alle rappresentanze degli stati e delle corporazioni.

3) Il leale riconoscimento che l'idea di attenuare o sopprimere la concezione partigiana dello Stato gli è stata suggerita da Starhemberg.

4) L'affermazione recisa che la lotta dovrà essere condotta energicamente contro i socialisti non solo per quanto si riferisce alla struttura del partito, ma anche alle idee fondamentali che ne improntano l'azione.

Del discorso di Starhemberg, che ha parlato con molta eloquenza e con calore, sono notevoli:

l) la rivalorizzazione della storia dell'esercito austriaco e quindi dell'idea di patria.

2) la dichiarazione a Dollfuss che egli mette a sua disposiz•ione le forze delle Heimwehren per un'azione diretta a salvare l'Austria.

3) la richiesta che a tale salvataggio, quando Dollfuss ne creda giunto il giorno, partecipino attivamente anche le Heimwehren.

Alla manifestazione hanno partecipato effettivamente 40.500 militi e precisamente: 2.700 della Carinzia, 1.500 del Salisburgo, 7,200 dell'Alta Austria,

3.200 -tirolesi, 12.000 della Bassa Austria, 6.800 della St1ria, 2.300 del Burgenland, 4.800 -di Vienna.

La sfilata allo Schwarzenberg Plutz è durata esattamente quattro ore: dalle 12,30 (la partenza da Schonbrunn è incominciata alle 11,30) alle 16,30, in formazione per quattro o per dieci di fronte a seconda dei reparti. Il servizio tranviario sul percorso era stato sospeso, sicché non si sono verificate soste che agli incroci più importanti per consentire il passaggio ai pedoni ed alle automobili di tanto in tanto. Alla sfilata ha assistito, a destra di Starhemberg, il cancelliere Dollfuss in uniforme dei Kajserschutz, restando sul posto anche quando alle 3,30 il tempo, fino a quel momento favorevole, si è mutato e per più di un quarto d'ora ha imperversato un violento temporale. Anche sotto la pioggia dirotta e la grandine i reparti hanno continuato soldatescamente la marcia.

I militi del Tirolo erano armati di baionetta e molti di pistola, la maggior parte dei reparti era in elmetto ed in tenuta impeccabile; solo una parte degli stiriani era in borghese, in conseguenza del fatto che i dissidenti passati ai « nazi » hanno sequestrato loro le uniformi depositate nei locali sociali (Starhemberg si sta occupando di ciò). Ai militi era stato dato l'ordine di non reagire durante il corteo alle eventuali provocazioni dei « nazi », ma di passare subito all'attacco se le provocazioni avvenissero primo o dopo il corteo. È avvenuto così, in generale: al lancio di sassi contro i treni che le trasportavano, verificatisi in qualche punto, le Heimwehren hanno risposto a colpi di pistola. Gli incidenti, per altro, non sono stati gravi.

Le manifestazioni di ostilità dei Nazi, ai quali erano mescolati pochi socialisti, e verificatesi, come ho detto, solo all'inizio della sfilata e nelle parti periferiche del percorso, sono consistite nel lancio di qualche uovo pieno di catrame ed al grido di « Heil Hitler» e «Ein Reich, Ein Voelker ».

Concludo: per il risveglio del «patriottismo» austriaco e per il prossimo orientamento del governo la manifestazione è stata della maggiore importanza: bisognerà ora vedere quali mezzi di reazione consiglierà ora il Reich germanico ai nazi austriaci. Bisognerà, in conseguenza, continuare ad agire e con decisione.

E mi permetta, infine, di rivolgerLe una parola personale: da tre mesi lavoro giorno per giorno, vorrei dire, ora per ora, al compito che mi è stato affidato: posso in coscienza affermare di aver ragione d'esser soddisfatto di tale lavoro. I fatti hanno dato finora ragione al mio ottimismo.

(l) Cfr. n. 595.

604

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2076/357 R. Berlino, 16 maggio 1933, ore 2,48 (per. ore 7).

Goering mi ha chiamato oggi al telefono alle ore 22,30 per dirmi che secondo notizie giuntegli or ora New York Times pubblicò articolo attribuendo ad ambasciatore Grandi dichiarazione che l'Italia era disgustata dei nazionalsocialisti ed aveva detto di unirsi al fronte unico anglo-franco-americano.

In altro articolo si parlerebbe della cattiva impressione riportata da V. E. dalla visita Goering a Roma.

Ho detto a Goering che non ne sapevo nulla, che tali articoli erano evidentemente tendenziosi e che probabilmente sarebbero stati smentiti.

605

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2129/359 R. Berlino, 16 maggio 1933 (per. il 19).

Con riferimento al mio telegramma del 15 corrente n. 355 (l) informo

l'E. V. che il cancelliere Hitler parlò ieri ad un dato momento dell'Austria di

cendo che quanto stava succedendo a Vienna avrebbe gettato quel paese in breve

volgere di tempo completamente in braccio alla Francia.

Si stava lavorando per una restaurazione degli Absburgo in Austria, Un

gheria e Croazia, che unite insieme avrebbero dovuto formare uno Stato unico

economicamente debole, dipendente da chi lo aiutasse finam~iariamente. Egli

conosceva molto bene gli Absburgo e sapeva quindi che razza di gente fosse. Era

certo che entro due anni da una restaurazione, Parigi detterebbe legge al nuovo

Stato absburgico. Era infatti soltanto la Francia che avrebbe potuto dargli aiuto

finanziario perché Germania e Italia, Stati poveri, non si sarebbero certo potuti

sobbarcare a perdere molto denaro.

Si attribuivano alla Germania intenzioni che essa non aveva. Goering lo aveva già dichiarato a V. E. La Germania può vivere benissimo senza Austria, anzi questa in fondo sarebbe soltanto un peso per essa. Dall'Anschluss l'Austria non guadagnerebbe gran che perciò non potrebbe vendere in Germania i suoi prodotti più di quanto non fa ora. Perderebbe è vero la propria indipendenza a favore del maggiore Stato fratello, ma perseverando nel suo atteggiamento la perderà in breve egualmente di fatto e di diritto entrando nell'orbita della Francia.

Ma anche di ciò poco importava alla Germania, la quale non aveva obie

zioni a vedere ritardato di 10 o 30 anni il fatto storico che doveva fatalmente

verificarsi con l'unione dell'Austria al Reich.

L'enunciazione di questo convincimento politico del CanceHiere non richiedendo obiezione o risposta, mi astenni dal pronunciare parola al riguardo.

P.S. -Hitler ha pure detto che gli Absburgo si affretterebbero a risollevare la questione dell'Alto Adige.

606

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2130/360 R. Berlino, 16 maggio 1933 (per. il 18).

Mio telegramma n. 355 (1).

47 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XIII

Quando il cancelliere Hitler parlò ieri della ferma intenzione del Governo tedesco di non legarsi con ulteriori impegni internazionali per la questione degli armamenti e sostenne la tesi che, avendo ottenuta la parità di diritti, la Germania non è più legata dal trattato di Versailles a non riarmarsi, qualora non disarmino gli altri Stati, credetti di attirare nuovamente la sua attenzione su uno dei punti della comunicazione fattagli per incarico di V. E. e gli rilessi il seguente periodo della lettera di V. E.: «Naturalmente ciò, premesso che si voglia seguire la via degli accordi, perché se la Germania intendesse invece seguire la via del riarmamento senza teller conto dei trattati e sénza accordi con gli altri, allora bisognerebbe riesaminare la cosa da un punto di vista del tutto diverso ».

Hitler, appoggiato da Goering e von Neurath, rispose che tale ipotesi di

V. E. era fuori di discussione. Tale è la sua opinione, ma a me sembra che quanto Hitler mi disse ieri quadra invece perfettamente con l'ipotesi di V. E.

Hitler disse pure, nel corso del colloquio, che sbaglia la Francia quando attribuisce alla Germania l'intenzione di improvvisare eserciti, perché i tedeschi non sono improvvisatori come i francesi. Essi quando fanno le cose le fanno a fondo (grundlich) e ne era una prova la Reichswehr, questo piccolo esercito di soldati di mestiere che in qualche anno era stato organizzato in modo cosi perfetto da incutere timore alla stessa Francia, la quale vuole ora distruggere la Reichswehr. La Germania intendeva avere le forze necessarie per potersi difendere e per possedere dal suo lato la «sicurezza» di cui parlano tanto i francesi, ma voleva poter organizzare l'accrescimento suo ese,rcito grundlich in modo da farne veramente uno strumento efficace.

Goering, dal suo lato, lasciò cadere una parola in favore della ,immediata costituzione di un primo nucleo di aviazione militare.

(l) Cfr. n. 596.

607

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2081/361 R. Berlino, 16 maggio 1933, ore 14,40 (per. ore 17).

Goering mi ha detto in segreto che il discorso di Hitler al Reichstag sarà redatto in base a queste linee direttive: l) esposizione di quanto avviene a Ginevra e constatazione che non si teneva conto di quanto diceva la Germania; 2) bisogno quindi di fare conoscere al mondo punto di vista tedesco parlando da Berlino; 3) dichiarazione dei sentimenti pacifici della Germania con accenno però alla assoluta necessità di avere mano libera, uso cioè armi occorrenti a difendersi da attacchi; 4) esposizione punto di vista che mancato disarmo delle altre Potenze costituisca violazione del trattato di Versailles e dia alla Germania, in base al riconoscimento parità di diritti, facoltà riarmare essa stessa; 5) accenno necessità di possedere stesse armi che gli altri, ancorché in un primo momento in numero limitato; 6) dichiarazione che popolo tedesco non

vuole la guerra ma si opporrebbe a qualsiasi attacco, seguendo esempio di Hitler che scenderebbe in campo per primo in difesa della patria; 7) dichiarazione che qualsiasi sanzione da parte di Potenze straniere con occupazione di territori tedeschi libererebbe ipso facto la Germania dai trattati esistenti.

608

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2003/71 R. Budapest, 16 maggio 1933, ore 21,51 (per. ore 0,30 del 17).

Telegramma di V. E. n. 75 (1).

Ministro degli affari esteri de Kanya, che ho potuto vedere stamane, mi ha detto essere sua impressione, tratta anche da comunicazioni fino ad ogg·i pervenute da legazione d'Ungheria a Vienna, che ultimi avvenimenti in Austria siano tali suscitare preoccupazione.

Cambiamenti effettuati nel Gabinetto non rafforzerebbero posizione Dollfuss dati i rapporti correnti da un lato tra Buresch, cioè social democratici, e dall'altro tra Schumy e nazisti.

Questi ultimi inoltre, secondo le notizie a lui giunte, andrebbero rafforzandosi particolarmente in Stiria e Carinzia, mentre dal loro movimento sarebbe ora attratta anche cosidetta « intelligentia », cioè i professionisti e gli intellettuali.

Signor de Kanya non mi ha fatto neppure mistero della sua personale opinione che posizione Dollfuss potrebbe divenire difficile qualora egli continuasse ad opporsi violentemente ai nazisti rifiutando ogni accordo con essi.

Di quanto precede riparlerò chiaramente col generale Gombos, in relazione al punto 2° mio telegramma posta n. 816 del 9 corrente (2), riferendo esito conversazione.

609

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. s. 2094/363 R. Berlino, 16 maggio 1933, ore 23,50 (per. ore 5 del 17).

Riferimento comunicazione telefonica odierna.

Ho avuto conversazione con ministro degli affari esteri il quale aveva veduto Goering dopo che questi aveva parlato meco.

Neurath pur riservandosi interpellare cancelliere dopo il suo discorso dt domani, mi disse che per parte sua nulla avrebbe ad obiettare ad una formulazione della seconda parte dell'articolo 3 nei termini seguenti:

«Francia, Inghilterra e Italia dal loro lato dichiarano che principio dell'uguaglianza diritti deve avere un valore pratico, dal punto di vista qualitativo, per la Germania ecc. e Germania per quanto la concerne riconosce che non si dovrà dar effetto a tal principio dell'uguaglianza diritti, dal punto di vista quantitativo, che a tappe ed in virtù di accordo ecc.».

Neurath si riservò studiare e presentare una formula definitiva, ma mi ha pregato intanto procurare di conoscere il pensiero di V. E. circa quanto precede.

(l) -Con t. 969/75 R. del 12 maggio, ore 24. Suvich aveva inviato a Colonna le seguenti istruzioni: «Prego rlfer.tre quale sia giudizio ed impressioni prevalenti costà in sfere responsablll circa situazione austriaca e posizione Dollfuss dopo ultimi avvenimenti interni. Ciò anche in relazione informazioni pervenute da rappresentanti ungheresi all'estero». (2) -Non rinvenuto.
610

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALLE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE D'EUROPA (l) E D'AMERICA, AI MINISTRI AL CAIRO, PAGLIANO, A CAPETOWN, LABIA, E AL CONSOLE GENERALE A OTTAWA, PETRUCCI

T. 1034/c. R. Roma, 16 maggio 1933, ore 24.

Mandarmi sollecitamente un rapporto sulle manifestazioni anti-hitleriane inscenate dagli elementi ebrei (2).

611

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BAGDAD, PORTA

T. 1035/39 R. Roma, 16 maggio 1933, ore 24.

Suoi telespressi 145, 153, 163 (3). Questo R. Ministero si riserva comunicazioni circa epoca precisa in cui Re Feisal potrebbe essere invitato recarsi a Roma nel prossimo anno. Per quanto si riferisce progettata visita di Re Faisal a Berlino per l'estate prossima mi richiamo al telegramma di V. S. n. 29 e 30 (4) dal cui contenuto risulta che Re Faisal le aveva dato affidamento che sua prima visita ufficiale, dopo quella Londra, sarebbe stata fatta a Roma. V. S. vorrà, in relazione progettata visita Roma, lasciar comprendere a Re Faisal come decisione codesto Governo di sospendere l'istituzione della legazione irachena a Roma, dopo che tale istituzione era già stata decretata e dopo che si era già chiesto gradimento per titolare, non abbia favorevolmente impressionato R. Governo.

V. S. trovi modo di far intendere, a titolo personale, che decisioni del Governo iracheno come quella suaccennata non possono che portare all'isolamento; ciò che non sembra essere conforme agli stessi interessi dell'Iraq. Ella

(-4) Non pubblicato.

aggiungerà, pure a titolo personale, che confida che S.M. Faisal vorrà tornare su decisione sospendere istituzione legazione a Roma; e che avrebbe ragione di ritenere che in tal caso -ave Re Faisal le richiedesse formalmente di incontrarsi in via privata con S. E. il Capo del Governo in occasione suo passaggio Italia diretto Londra -incontro sarebbe probabilmente gradito (1).

(1) -Tranne Berlino. (2) -Minuta autografa di Mussolini. Le risposte non si pubblicano. (3) -Telespr. r. 425/145 e 436/153 del 24 aprile e telespr. r. 456/163 del 28 aprile, non pubblicati.
612

COLLOQUIO FRA IL VICE CAPO GABINETTO, JACOMONI, E L'INCARICATO D'AFFARI D'ALBANIA A ROMA, SHTYLLA

APPUNTO. Roma, 16 maggio 1933.

L'Incaricato d'Affari di Albania, signor Shtylla, è venuto ieri a riferirmi le sue impressioni sul viaggio compiuto in Albania e a congedarsi perché sta per lasciare il posto di Roma dove sarà sostituito dal signor Kodheli fin qui Console Generale a Bari. A suo avviso il signor Kodheli è molto affezionato alla Italia, sposo ad una italiana, brava persona (naturalmente ciò è da intendersi in quanto può essere brava persona un albanese) e del tutto ligio a Zog.

Dal suo viaggio in Albania, dalla udienza avuta da Zog e dalle numerose conversazioni con varie personalità politiche e principalmente col Presidente del Consiglio Pandeli Evangheli suo parente, egli trae l'impressione che in Albania vi sia la più grave preoccupazione per l'attitudine energica assunta dall'Italia. Si teme colà che questa attitudine sia una preparazione ad un diverso indirizzo della politica italiana nei riguardi dell'Albania e nascono dubbi su intenzioni italiane di spartizione dell'Albania ecc.

Il signor Shtylla precisa che se le misure italiane volevano intimorire il Governo albanese, esse hanno raggiunto non una, ma tre volte, l'effetto voluto.

Dalle sue conversazioni principalmente da quella con Zog, egli ha tratto l'impressione che il Re, di fronte alle pressioni diplomatiche fra le quali mi cita quella americana, e all'avversione della popolazione che lo accusa di essere venduto all'Italia, non ha voluto rinnovare il Patto di amicizia che ormai sembrava superato dal Patto di alleanza e il cui rinnovo non era compreso dalla popolazione albanese. Zog non aveva voluto con ciò fare atto ostile all'Italia ma aveva voluto impostare la politica albanese nei riguardi dell'Italia sul piano della alleanza. Egli aveva detto a Shtylla che da un punto di vista militare, l'Italia poteva considerare che le sue frontiere giungevano fino alle montagne albanesi, e che da un punto di vista politico l'Italia poteva in tutti i campi fare il più assoluto assegnamento sull'Albania. Le divergenze erano nate su questioni scolastiche e finanziarie, nelle quali Zog aveva voluto salvaguardare delle suscettibilità spirituali albanesi. Si riconosceva da tutti in Albania che il Paese non poteva vivere senza l'aiuto finanziario italiano e che la cultura italiana era necessaria alla formazione della Nazione albanese quale Zog desi

derava formarla e quale oggi nella diffusa ignoranza e nella divisione di razze e religioni non esisteva. In particolare per la parte scolastica, il desiderio di Zog era che tutti gli studi in Albania potessero informarsi a criteri unici e per questo aveva voluto che presso tutte le scuole vi fosse un direttore albanese. A salvaguardia della cultura italiana egli aveva però stabilito che la lingua italiana fosse obbligatoria in tutte le scuole e che gli albanesi potessero seguire studi superiori soltanto in Italia ad esclusione di Università di qualsiasi altro paese.

Tutti in Albania riconoscevano che le forme usate dal Governo albanese in questa sua politica, erano state sbagliate e potevano dare adito a interpretazioni da parte italiana nel senso di una voluta ostilità del Governo albanese per quanto fosse italiano, ciò che --il signor Shtylla ripete insistentemente non era affatto nelle intenzioni del Governo albanese. Egli insiste sulla necessità di chiarire questi malintesi dovuti a diffidenza dalle due parti e incapacità da parte del Governo albanese e forse -egli accenna leggermente -a qualche contraddizione nell'azione degli organi italiani in Albania.

Ho naturalmente ripetuto che, come egli vivendo a Roma aveva potuto constatare, il Governo italiano aveva sempre agito nel modo più corretto e leale verso il Governo albanese, ma che aveva appunto per questo dovuto assumere quella attitudine che richiedeva la mancanza di fede agli impegni così spesso mostrata dal Governo albanese.

Il signor Shtylla sollecita, prima della sua partenza, l'altissimo onore di essere ricevuto da S. E. il Capo del Governo.

Dall'insieme della conversazione appare che Zog ed il governo albanese sono molto preoccupati della severa linea assunta dal governo italiano; appare che non vi è speranza per l'Albania di aiuti finanziari se non dall'Italia, sebbene da altra fonte risulti che il signor Stavro Stavri, Ministro a Parigi, cerchi colà un prestito, ma risulta anche che Zog non intende per ora abbandonare nei riguardi dell'Italia quella che egli chiama la politica del patto di alleanza in contrapposizione di quella che era legata al patto di amicizia.

È da vedere quale ampiezza egli dà a questa politica di alleanza.

(l) Il 4 maggio Buti aveva scritto in un appunto per Mussollni: «La Direzione Generale Aff,.ri Politici (Uff. Ill) riterrebbe opportuno di evitare per ora l'accennato incontro fra l'E. V. e Il Sovrano hascem!ta, incontro del quale quest'ultimo cercherebbe In questo momento d! giovarsi ai fini dei propri esclusivi interessi».

613

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (l)

APPUNTO. Roma, 16 maggio 1933.

Come con altri, anche con lui ho fatto opera di persuasione circa lo spirito animatore del Patto a quattro. Ha mostrato la migliore comprensione e mi ha detto che personalmente era convinto partigiano della iniziativa di V. E. Mi ha detto di ritenere che anche Benes, del cui progettato incontro con me era al

corrente, avrebbe finito per rimaner preso dalla forza degli argomenti che sorreggono il Patto.

Anch'egli mi ha riparlato dell'intenso desiderio di Benes a un riavvicinamento con l'Italia e a questo proposito ha espresso l'avviso che il rinnovo del Patto itala-rumeno alla sua vicina scadenza avrebbe avuto grande importanza in quanto che esso per ora rappresenta l'unico anello che lega la Piccola Intesa all'Italia.

Gli ho risposto indirettamente dicendogli che poiché in questo momento la vera questione politica europea era quella di ristabilire la mutua fiducia secondo le vedute di V. E., Benes aveva campo di preparare il suo desiderato riavvicinamento all'Italia lavorando in conseguenza.

E qui mi permetto di notare incidentalmente che questo scopo di far di Benes un fautore del Patto a quattro, al quale mi propongo di mirare nei prossimi incontri di Ginevra, una volta raggiunto toglierebbe alla Francia la sua fondamentale ragione di opposizione, agevolando quindi la conclusione del Patto.

(l) L'appunto si riferisce ad un colloquio col ministro d! Cecoslovacchia.

614

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. P. Londra, 16 maggio 1933.

* Questa lettera è scritta oggi martedì, 16 corrente, al mio ritorno dal Foreign Office, dopo la conversazione con Simon * (l). Essa tiene conto dunque della situazione sino ad oggi. Può benissimo darsi che un improvviso cambiamento in quelli che sono gli instabili atteggiamenti di questo Governo e di questo paese renda queste mie osservazioni, allo stesso momento in cui Ti raggiungono, di valore puramente documentario.

Quando una diecina di giorni fa ho ricevuto copia dell'ultimo testo del Patto a Quattro concordato a Roma (2), ho domandato subito di vedere Simon. Le condizioni di salute di Simon sono veramente cattive. Egli ha praticamente abbandonato il suo lavoro al Foreign Office da due settimane a questa parte e si limita esclusivamente a presenziare alle sedute della Camera dei Comuni nei momenti in cui la presenza del Segretario di Stato per gli Affari Esteri è indispensabile. Nella prima conversazione che ho avuto con lui una decina di giorni fa (sulla quale ho informato a suo tempo per telegramma), Simon fu piuttosto evasivo. Si vedeva che egli non aveva ancora letto il rapporto cui cui Graham lo metteva al corrente delle ultime conversazioni di Roma. Non meno evasivo era stato MacDonald, a proposito del Patto a Quattro, nelle due volte che ho avuto occasione di incontrarlo dopo il suo ritorno dall'America. Ho attribuito questa attitudine imbarazzata di MacDonald alla difficoltà che egli aveva

di rispondere alle domande circa i risultati della sua visita in America. Tale visita, come ho già avuto occasione di dire, non è stata un successo, ed ha indebolito ancor più di quello che già non fosse la sua autorità e la sua posizione di Primo Ministro in seno al blocco di Unione Nazionale.

Nelle frequenti conversazioni che ho avuto in questo frattempo con Vansittart, il quale, nell'attuale incerta posizione di MacDonald e nell'assenza di Simon, è diventato praticamente il capo della politica estera del Foreign Office, non ho riscontrato per il Patto a Quattro, occorre dirlo, quella premura che caratterizzò per circa un mese l'attività del Foreign Office dopo il ritorno di MacDonald e Simon da Roma. Vansittart, come più volte ho avuto occasione di scrivere, è per l'intesa pura e semplice colla Francia e poi coll'Italia, e odia i tedeschi. La sua tesi cui si è apertamente riferito ancora ieri durante la mia conversazione con Simon, alla quale pure Vansittart assisteva, consiste in questo: È inutile parlare del Patto a Quattro sino a che non è chiarita la posizione della Germania nelle trattative del Disarmo a Ginevra.

È superfluo che io riproduca quello che ho replicato su questo punto, ripetutamente, e talvolta anche vivacemente: La difficile situazione creatasi a Ginevra è una nuova ragione per accelerare i tempi della conclusione del Patto a Quattro, unica via di salvezza nelle presenti circostanze della politica generale europea. Anche Vansittart, come Simon, mi aveva promesso di esaminare il nuovo ultimo testo del Patto a Quattro (testo 1° maggio) con sollecitudine, e di fare quindi sapere all'Ambasciatore Graham e al sottoscritto le conclusioni del Governo britannico. Ho atteso più di una settimana, dopo di che ho creduto opportuno far sapere a Simon che ero molto dolente di disturbarlo, ma ero costretto di chiedergli un esauriente colloquio per avere una risposta definitiva in merito all'atteggiamento del Governo sulla questione.

Ho trovato Simon stanco, distratto, assente nello spirito dagli affari. La prima cosa che egli mi ha detto è che venerdì prossimo partirà per una crociera di riposo, probabilmente nel Mediterraneo e non sarà di ritorno se non all'apertura della Conferenza Economica, seppure lo sarà. Ho creduto di cominciare dicendo che forse la mia visita era superflua in quanto senza dubbio il Governo inglese aveva già a quest'ora dato istruzioni a Graham di comunicare il punto di vista del Foreign Office sull'ultimo testo del Patto concordato a Roma. Simon si è scusato, ed ha fatto subito portare il «dossier:» dei negoziati del Patto a Quattro, aggiungendo di essere da questo momento a mia disposizione per esaminare insieme gli articoli del nuovo testo che a una prima sommaria lettura fatta giorni or sono gli era sembrato eccellente. A questo punto è intervenuto Vansittart esprimendo apertamente, per la seconda volta, l'avviso che il Governo britannico non poteva nelle attuali condizioni, e cioè perdurando il deacllock nelle trattative del disarmo a Ginevra, farsi un'idea precisa di quanto era opportuno fare o non fare, dire o non dire, a proposito del Patto a Quattro. Vansittart ha continuato riferendosi agli avvenimenti tedeschi, alle dichiarazioni di Von Papen e von Neurath, alla missione Rosenberg, all'eccitazione dell'opinione pubblica inglese al riguardo, ecc. ecc. L'ho interrotto dicendo che, senza avere intenzione di fare l'avvocato della Germania il che non è affar mio, mi sembrava che gli avvenimenti tedeschi non fossero giudicati con sufficiente serietà e serenità in questo Paese, e che la campagna allarmistica scatenatasi più o meno artificiosamente in Inghilterra è assolutamente sproporzionata alla realtà, e non può fare a meno di inasprire vieppiù gli animi in Germania e accrescere in definitiva le difficoltà del Capo della Rivoluzione tedesca. Anche ammesso che qualche errore di valutazione e di psicologia sia stato commesso sporadicamente, chi ha il diritto di giudicare i fatti della politica interna di un altro Paese? Hitler ha dato indubbiamente sinora ripetute prove di moderazione nel trattare i problemi della politica estera del suo Paese. Le Potenze europee, ma in special modv l'Inghilterra, hanno il dovere e l'interesse di aiutarlo in questo inizio, particolarmente difficile della sua opera di Dittatore. Ai tempi di Stresemann e di Briining il motivo quotidiano ricorrente e determinante l'azione del Governo britannico nei riguardi della politica tedesca era il seguente: bisognava aiutare gli Uomini di Governo rappresentanti della democrazia tedesca a superare le difficoltà della loro politica interna. Oggi abbiamo in Germania un Dittatore il quale non domanda altro se non di assumersi intera la responsabilità della politica del suo paese. Invece di aiutare Hitler a superare le difficoltà, in vista dei vantaggi che la situazione internazionale e specialmente l'Inghilterra avrebbero da un ristabilimento dell'ordine interno in Germania, si fa il possibile per rendergli il compito più delicato e difficile. Non è infatti serio pensare che per una questione di mera politica interna, difficile a giudicarsi da lontano come la questione degli ebrei, l'opinione pubblica britannica che d'ordinario viene considerata come obiettiva, equanime, prudente nei giudizi, possa ad un tratto, e con una violenza inspiegabile, passare da uno stato di diffusa simpatia ad uno stato di aperta ostilità verso non solo un regime, ma un Paese come la Germania che sino a venti giorni fa tutti gli inglesi giudicavano un Paese che ha sofferto più di quello che non meritasse e a favore del quale bisognava riparare le ingiustizie compiute.

Simon è rimasto muto su questo punto, ed è solo intervenuto per dire che egli era d'accordo con me nel ritenere che una rapida conclusione del Patto a Quattro era un avvenimento sommamente augurabile. Un accordo solenne delle Quattro Grandi Potenze avrebbe indubbiamente giovato a diradare, se non addirittura a disperdere le nuvole addensate sull'Europa. Ed a questo punto egli *mi ha pregato di trasmettere al Duce un suo preciso pensiero e che cioè l'Europa intera deve essere g,rata al Capo del Governo italiano per l'opera da lui svolta in queste settimane difficili, sia a Parigi, sia a Berlino e anche a Vienna. « E'

fuori dubbio che noi dobbiamo al Signor Mussolini e alla sua opera diplomatica di queste due settimane se l'Europa non ha perduto la testa » *.

Simon, Vansittart ed io abbiamo quindi riletti insieme ad uno ad uno gli articoli del Patto. Ho già trasmesso succintamente per telegramma le osservazioni di Simon al riguardo. A proposito dell'articolo l, Simon ritiene preferibile non siano fatti riferimenti a terze Potenze, e poiché questo risulterebbe essere anche il desiderio di Parigi e di Berlino, egli spera che il Gove,rno italiano non avrà difficoltà. A proposito dell'articolo 2, Simon desidera abolito qualsiasi riferimento all'art. 16 del « Covenant >>. Questo è ormai diventato un dogma della politica estera inglese, e la citazione di questo articolo solleverebbe una serie di difficoltà alla Camera dei Comuni. Simon non vede infine inconvenienti, anzi egli trova saggio e tempestivo lasciar fuori sia il progetto inglese del disarmo (che eventualmente potrebbe trovar posto in un protocollo a parte) sia la richiesta tedesca di parità assoluta da raggiungersi nei 5 anni. Vansittart su questo punto ha domandato di riflettere.

Simon ha infine incaricato Vansittart di formulare queste osservazioni e di trasmetterle subito a Graham perché possa ufficialmente comunicarle, e riprendere così le conversazioni.

Ho domandato a Simon se le dichiarazioni fatte da Lord Hailsham, Ministro della Guerra e rappresentante del Governo alla Camera dei Lords, specie per quanto riguarda l'accenno eventuale a «sanzioni >> nel caso che la Germania procedesse ad armamenti non contemplati nella clausola 5 dei Trattati di Pace, rispondono al punto di vista ufficiale del Governo. Simon mi ha risposto in un modo imbarazzato dicendomi che evidentemente Lord Hailsham non aveva altra intenzione se non riferirsi alle disposizioni di cui parla lo stesso «Covenant » della Società delle Nazioni. Risposta assai ambigua, come Tu vedi.

Le mie impressioni generali su questo colloquio con Simon e Vansittart, e sull'attuale momento della politica estera inglese sono le seguenti: l'entusiasmo e l'interesse di MacDonald e di Simon che ho constatato esistere nelle settimane susseguenti l'incontro di Roma per una rapida conclusione del Patto a Quattro il quale avesse come punto di partenza l"idea della Revisione dei trattati è assai diminuito. L'eccitazione dell'opinione pubblica contro Hitler e la nuova Germania ha spaventato il Governo, composto come Tu sai, di uomini ciascuno dei quali fa la politica per conto proprio, esautorando sempre più giorno per giorno il Primo Ministro. Nulla infatti il Governo ha fatto, ad eccezione dell'applicazione normale delle norme di Polizia, per calmare questo stato d'animo isterico e artificioso dell'opinione pubblica. Mi risulta al contrario (confidenza fattami da Kennedy, portavoce ufficioso del Foreign Office nelle note di politica estera del Times) che il Foreign Office non ha sgradito l'inasprirsi della campagna di stampa contro la Germania perché ritiene che ciò possa (calcolo psicologico assai sbagliato) influire sui tedeschi e indurii a concessioni in materia di disarmo a Ginevra. Strano a dirsi, l'unico che mostri ancora un residuo di coraggio è il giornaletto di MacDonald, il New letter, organo quindicinale dell'esiguo Partito Nazionale Laburista, che è rimasto solo fra tutti i giornali e le riviste inglesi a difendere il principio della revisione dei Trattati in queste due ultime settimane di totale confusione. MacDonald tuttavia non può a meno di avvertire la delicattzza della sua posizione nella politica interna. La questione del debito con l'America sovrasta per lui, oggi, qualsiasi altra questione. Dalla soluzione di quella dipende probabilmente la sua sorte di Primo Ministro. La maggioranza del Partito conservatore è contro di lui. Il progetto di legge sulla Federazione Indiana ha costituito l'episodio determinante di quella che è una vera forma di ribellione dei conservatori, i quali incominciano a biasimare apertamente anche il loro Capo diretto Baldwin per la cavalleresca difesa che il vecchio <<leader» conservatore fa dell'opera del Primo Ministro.

Non voglio dire con questo che il Governo inglese abbia rinunziato all'idea del Patto a Quattro. No affatto. Ma il Patto è oggi in balia del Foreign Office, il quale ha ripreso il sopravvento su MacDonald e su Simon, l'uno preoccupato l'altro assente. Lo stesso Vansittart, che non ha mai veduto il Patto con entusiasmo, mi ha domandato a un certo punto se non sarebbe più opportuno, invece di affrettarne la conclusione in questo momento, di tenere in riserva questa grossa carta per servirsene più tardi, e non rischiare che essa vada sciupata nella confusione di questo momento. Questo è un atteggiamento tipico della mentalità anglo-sassone. Ho risposto naturalmente a Vansittart che, ammesso per un momento, cosa che non credo, che l'Europa stia naufragando, mi sembra molto strano, avendo a portata di mano una zattera di salvezza, non fare di tutto per afferrarla e servirsene nel momento del pericolo. Adesso vedremo, dopo la conversazione di oggi, quali saranno in definitiva le istruzioni di Graham.

Insomma da quasi un anno dacché sono in Inghilterra non ho assistito mai come oggi a tanta confusione, e assenza di «leadership » in questo Paese, la proverbiale posata freddezza del quale è una delle tante favole che si raccontano nel Continente. Queste sono le condizioni nelle quali si affronta la Conferenza Economica, circa la quale nessuno sa ancora, né a Downing Street, né al Foreign Office, né alla Treasury quello che si dirà e si farà.

Guardando da lontano al mio Paese, con la sua sana, equilibrata, vitale gioia di vivere, esso mi fa l'effetto di un giovane atleta sorridente in mezzo a nevrastenici sdentati, malati, impotenti nello spirito e nella volontà. Io dico sempre a me stesso che se gli italiani in Italia riescono a vedere il nostro Paese come io lo vedo ogni giorno guardandolo nella sua maschia interezza, da lontano, sempre più potente, più giovane e più felice, non debbono stancarsi mai di ringraziare Dio e Mussolini. Ecco tutto.

P. S. -Torno ora da un pranzo nel quale ho incontrato nuovamente Vansittart, il quale mi ha informato che Simon dopo matura riflessione su quanto gli avevo detto ha deciso di portare domani nella riunione del Gabinetto la questione del Patto a Quattro e di domandare ai suoi colleghi l'autorizzazione a procedere nei negoziati, sulla base delle ultime trattative, in modo più spedito di quanto sia stato fatto sinora. Egli stesso Vansittart ha ricevuto l'ordine di preparare al più presto le istruzioni per Graham. Vedremo cosa salterà fuori da tutto ciò.

Tutti aspettano il discorso di Hitler, e questa nervosa miracolistica attesa è un'altra prova dello stato d'animo isterico che si traversa qui.

(l) -Questo e il successivo brano tra asterischi sono editi nel Borghese del 28 april<' 1966, n. 17, (2) -Cfr, n, 506, allegato I,
615

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. P. 1690. Londra, 16 maggio 1933.

Mi sono permesso insistere anche dopo l'ultima tua del 10 u.s. (1), non per scrupoli di prudenza (questa qualità non abbonda purtroppo in me!), ma perché ritengo che non vale proprio la pena di correre un così grosso rischio, quando se ne può fare a meno. Incaricare il Console Generale Bossi del versamento al Dundas è lo stesso, agli effetti di un eventuale scandalo, che se il versamento

{l) Non rinvenuta.

fosse fatto dal Consigliere della R. Ambasciata. Escludo il Segretario del Fascio locale per un mondo di altre ovvie ragioni, o altra persona che «risieda » a Londra, i quali non potrebbero rifiutare un interrogatorio da parte della Polizia ove la bomba scoppiasse (come non è improbabile scoppi, ad un certo momento). Un viaggiatore che venga dall'Italia, che rimanga a Londra per qualche giorno e che ne riparta diventa in seguito praticamente inafferrabile.

Questo Dundas è già venuto anche troppe volte alla sede dell'Ambasciata, ostentando carte da visita, avanti ad impiegati ed uscieri, con la qualifica «Capo di S. M. del B.U.F. » e dicendo anche a chi non voleva sentire che da parte del Duce egli aveva avuto istruzioni di presentarsi all'Ambasciatore ecc. ecc. Non mi ha fatto l'impressione nel complesso di una persona seria.

Ti prego credere che io non sopravaluto affatto la delicatezza della cosa. Se domani saltasse fuori (come salterà) che in una operazione di questo genere vi è entrata, anche in minore parte la Rappresentanza diplomatica d'Italia, le proporzioni che l'affare assumerebbe sarebbero notevoli. Londra non è Vienna, e questi quaccheri isolani non sono gli ottimi viennesi, né l'Inghilterra è l'Austria. Sopra uno scandalo di questo genere (la famosa lettera Zinovieff) i conservatori hanno nel 1924 fatto la loro campagna elettorale contro i laburisti e hanno vinto. Che il Dundas abbia preso contatti con Uffici del Governo è già molto, ma è una cosa di assai minore importanza che quella di accettare denaro dalla Rappresentanza diplomatica accreditata a Londra, che figurerebbe così di violare, secondo questa gente diffidente e di una suscettibilità su questo punto intrattabile, le leggi dell'ospitalità ecc. ecc. Ti ho già detto che per sussidi che figurassero giungere dal Partito fascista italiano (non dal Governo) la cosa avrebbe proporzioni assai minori. Ad ogni modo il danno sarebbe a carico di Mosley, non nostro.

Tu mi poni infine una domanda: se ritengo più conveniente nel futuro un nostro disinteressamento nei riguardi del Mosley. Credo sia una buona cosa aiutare il Mosley, sopra tutto in questo momento in cui l'ondata di reazione contro il Fascismo tedesco (reazione che nel suo isterismo allarmistico è perfino ridicola) rende più difficile la sua opera di propaganda. Le accoglienze forse eccessive fatte al Mosley in Italia sono dispiaciute a molti nostri fedeli amici in Inghilterra per i quali Mosley è un personaggio senza serietà e senza credito. Fin dall'estate scorsa quando Mosley iniziò il suo movimento, e nessuno in Italia e in Inghilterra lo prendeva sul serio. io mi permisi di essere di contrario avviso. Mosley ha delle qualità. È un forte scrittore, un forte oratore, è un cazzottatore ed ha del fegato. Ha dei difetti, è un ingenuo, un facilone, ha fama generale dl persona poco seria, una vita morale molto discussa. Le qualità superano i difetti, dunque. Non posso dire se sarà Mosley quello destinato a capeggiare la nuova gioventù inglese che sta sicuramente fermentando la sua rivolta ideale. È certo tuttavia che Mosley ha ormai un suo compito. Per ora è una specie di Marinetti politico che si agita costringendo gli altri ad agitarsi. È circondato da un branco di ragazzacci. Ma forse che le Rivoluzioni sono fatte dai santi e dai gentiluomini? Nelle spedizioni punitive che io ho fatto a Bologna nel 1920 non erano i ragazzi di buona famiglia quelli che picchiavano più sodo. Così non mi preoccupa affatto la certe~za che una parte del denaro che si dà a Mosley andrà a finire nei « night clubs » di Londra.

Quello su cm 10 mi permetto di insistere è che da parte nostra si facciano le cose con cautela sufficiente, ecco tutto. Che dall'Italia giunga del denaro a Mosley, si saprà presto o tardi, stai sicuro. Ed allora io non vorrei che questo ci procurasse fastidi superiori ai vantaggi. Il Fascismo e l'Italia hanno oggi in Inghilterra una posizione di prestigio, di simpatia, di calda ammirazione come non hanno avuto mai. Ma ove si sapesse che «un Governo straniero si mescola attraverso la sua Rappresentanza diplomatica negli affari interni del Paese», noi perderemmo di colpo il frutto di anni di lavoro e le infinite simpatie accumulate, e ciò prima fra tutti presso i nostri amici più fedeli.

Quindi, aiutare il Mosley, si. Ma direttamente attraverso il Partito fascista, non attraverso il Governo e tanto meno attraverso la sua Rappresentanza ufficiale.

È superfluo aggiungere che se malgrado quanto mi sono permesso di dire sopra, il Ministero insisterà nel darmi istruzioni contrarie, io le eseguirò fedelmente.

616

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2109/404 R. Londra, 17 maggio 1933, ore 14,31 (per. ore 19).

Ho domandato Simon se dichiarazioni lord Hailsham Camera dei lords su accenno possibilità «sanzioni» contro Germania debbano considerarsi punto di vista ufficiale Governo.

Simon mi ha dato risposta confusa e imbarazzata dicendo che Jord Hailsham intendeva con probabilità riferirsi soltanto azione Lega delle Nazirmi.

617

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2117/342 R. Parigi, 17 maggio 1933, ore 19,05 (per. ore 22,15).

Mio telegramma n. 331 (l).

Il consiglio dei ministri si è occupato ieri del patto a quattro. Il segretario generale del Ministero degli affari esteri redigerà in giornata il telegramma di istruzioni da impartirsi a codesta ambasciata di Francia e lo farà approvare poi dal presidente del consiglio e dal ministro degli affari esteri, per spedirlo, probabilmente nella giornata stessa di domani, a de Jouvenel.

Per l'art. 3 del patto si proporrà un testo imperniato sulla dichiarazione dell'll dicembre (2) e si insisterà perché sia riprodotto fedelmente legando la parità alla sicurezza.

Rivedrò il signor Leger fine settimana.

(l} Cfr. n. 580.

(2) Cfr. serie VII, vol. XII, n. 530.

618

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2116/405 R. Londra, 17 maggio 1933, ore 19,35 (per. ore 23).

Discorso pronunciato iersera da MacDonald (trasmesso con mio telegramma

n. 403) (l) non (dico non) è né coraggioso né chiaro e costituisce anzi nuova prova incertezza atteggiamento questo Governo. Evidentemente discorso ha dato qui sensazione che primo ministro abbia voluto attenuare vigilia discorso Hitler, infelici dichiarazioni di Hailsham e mettere in evidenza che Inghilterra non intende ingerirsi questioni interne tedesche. Vi è infatti nella stampa stamane momento arresto campagna antitedesca. Questo è dovuto anche al fatto che ipotesi Inghilterra possa essere chiamata partecipare sanzioni contro Germania, è stata accolta con freddezza, anzi con ostilità da tutte le correnti politiche senza distinzione. Gli stessi laburisti che in questi giorni avevano moltiplicati attacchi contro Germania, di fronte ipotesi sanzioni, hanno molto abbassato tonalità polemiche.

619

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. 1046/79 R. Roma, 17 maggio 1933, ore 24.

Suo 71 (2).

Suo resoconto colloquio con Kanya ha attirato mia attenzione perché osservazioni Kanya sono in contrasto e con discorsi tenuti alla Camera magiara e con atteggiamento stampa di Budapest e soprattutto con notizie che sono giunte a noi da Vienna, specie dopo il successo della parata delle Heimwehren. Pare che impressioni Kanya siano la conseguenza delle segnalazioni legazione magiara a Vienna cui atteggiamento nei confronti nazismo non è mai stato perfettamente limpido. Ora prego V. S. di riferire direttamente a Goemboes il colloquio avuto col Kanya onde ci sia possibile di stabilire qual'è effettivamente atteggiamento Governo ungherese di fronte alla questione austriaca.

620

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI (3)

R. 3176. Roma, 17 maggio 1933.

Dai telegrammi e dai rapporti inviati in questi giorni sull'opera della nostra Delegazione a Ginevra, Ella avrà potuto rilevare come tanto la campagna della

stampa tedesca che le dichiarazioni fatte da von Neurath nel Consiglilo dei Ministri, non hanno nessun fondamento e nessuna giustificazione.

L'impressione mia è che nel campo della politica estera tedesca regni un grande disorientamento e un profondo turbamento. Probabilmente Nadolny, che non è un amico del regime, critica la politica estera tedesca coi suoi colleghi di Ginevra, sia per crearsi un alibi morale che per mettere in difficoltà sempre maggiori i nazional-socialisti.

Mi si riferisce anche che Nadolny critichi aspramente von Neurath, del quale aspira a prendere il posto, senza neanche nascondere tale sua aspirazione di fronte ai terzi.

Von Neurath a sua volta indispettito dalle interferenze di altri uomini di Governo e del Partito nel campo della politica estera, tende a dimostrare che le conseguenze di questa intromissione sono deleterie. Di fatto risulta anche dalle sue relazioni che la politica estera si tratta senza unità di criterio, dal Cancelliere, dal Vice Cancelliere, da Goering, da von Neurath, da von Biilow, da Rosenberg e probabilmente da altri.

Tutto ciò evidentemente non contribuisce al prestigio della Germania né allo sviluppo dei buoni rapporti che noi abbiamo mantenuto anche coi Governi passati, e che vorremmo intensificare col Governo attuale, a noi più vicino per spirito e per indirizzo.

La mia impressione è che il disordine attuale della politica estera tedesca non possa essere sanato che con la assunzione del portafoglio degli Esteri da parte del Cancelliere.

Ella forse potrà profittare dell'occasione di qualche colloquio per fare conoscere al Cancelliere questo mio punto di vista.

P. S. -Parli chiaro a von Neurath, perché non intendo che si ricominci a tirar fuori la storia della «mancanza di parola » dell'Italia, e faccia notare che non c'è nessun patto, nessun protocollo, nessuna intesa verbale, niente che ci obblighi in qualche guisa a seguire sempre e in ogni caso la Germania, a Ginevra.

(l) -T. 2107/403 R., pari data, non pubblicato. (2) -Cfr. n. 608. (3) -Ed. in MUSSOLINI, Opera omnia, VOl. XLII, pp. 47-48.
621

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

D. 3182. Roma, 17 maggio 1933.

Da notizie ricevute ci risulta che il Cancelliere Dollfuss ritornerà in Italia per la firma del concordato che l'Austria sta negoziando col Vaticano. Questa venuta a Roma di Dollfuss darà certamente occasione a dei colloqui di carattere politico.

Nella delicata situazione del momento, sono molti i punti sui quali ci interessa discutere con l'Austria e sui quali riteniamo di poter trovare una via di intesa.

Toccano però questi punti anche i rapporti nostri e dell'Austria con l'Ungheria.

Sarebbe per conseguenza molto opportuno che, in occasione della venuta di Dollfuss a Roma, si potessero discutere le sopradette questioni anziché a due a tre con la presenza anche di un rappresentante dell'Ungheria.

Sarebbe per me sommamente gradito se il Presidente Goemboes potesse partecipare a tali riunioni. Non so però se gli sarà possibile venire a Roma per i suoi lavori e se egli ritiene conveniente una seconda sua visita in Italia, a pochi mesi di distanza dalla sua prima visita.

È evidente che io non faccio questione di Roma e che l'incontro può aver luogo anche in qualche altra città particolarmente dell'Italia settentrionale.

Se il Presidente del Consiglio ritenesse di non potersi muovere, forse potrebbe inviarci il Ministro Kanya.

La cosa deve rimanere per ora rigorosamente riservata.

Dopo il convegno si potrà fare un comunicato -in quella forma che sarà ritenuta la più opportuna -in cui si metta in rilievo l'indirizzo comune dei tre Stati in questioni politiche ed economiche. Voglia intrattenere sull'argomento il Ministro Goemboes e farmi sapere appena possibile una risposta Cl).

622

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2163/367 R. Washington, 18 maggio 1933, ore 6,35 (per. ore 6 del 19).

Primi commenti qui pervenuti da Parigi sul messaggio di Roosevelt a tutti i capi di Stato esteri avevano lamentato assenza di qualsiasi menzione al contributo che gli Stati Uniti erano disposti a dare alla soluzione del problema della sicurezza. D'altra parte alcuni giornali americani avevano gettato gridi di allarme contro tendenza del presidente ad impegnare direttamente Stati Uniti nelle complicazioni della politica europea.

Di fronte a queste opposte interpretazioni presidente degli S.U. ha creduto opportuno precisare sue intenzioni mediante dichiarazioni alla stampa che sono state riportate nei seguenti termini:

Programma di disarmo e patto di non aggressione menzionati nel messaggio del presidente comportano per Stati Uniti questi unici impegni:

0 ) Se tutti i paesi si dichiarano pronti ad abolire armi offensive Stati Uniti accetteranno tale abolizione;

2°) Se tutti i paesi si impegnano durante i negoziati pel disarmo a non invadere territorio dei paesi vicini, Stati Uniti sono pronti, salvo i diritti derivanti dai trattati, ad assumere stesso impegno;

3°) Qualora si verifichi violazione degli impegni suddetti, Governo Stati Uniti si consulterà con altri Governi sulla situazione.

Presidente ha spiegato che quest'ultima promessa non implica alcun cambiamento della politica americana perché Governo continuerà a mantenere piena libertà di giudizio e di azione anche dopo consultazione con altri Governi.

Stamane mi sono intrattenuto su questi argomenti con Segretario di Stato il quale però mi è sembrato ignorare dichiarazioni del presidente alla stampa. Gli ho comunque chiesto se impegno di cui al punto 2°) doveva intendersi esteso a tutto il periodo di tempo che sarà necessario per giungere ad una soluzione definitiva del problema del disarmo. Segretario di Stato ha confermato questa interpretazione ed ha. accennato alla possibilità che successivi stadi del disarmo vengano superati in dieci anni. Circa eccezione che appare implicita nella frase «salvi i diritti derivanti dai trattati», Segretario di Stato ha menzionato come esempio trattato in vigore fra Stati Uniti e Cuba che obbliga Stati Uniti ad intervenire in territorio cubano quando ciò sia necessario pel mantenimento dell'ordine nell'isola.

Quanto alla portata dell'impegno di consultazione, Segretario di Stato mi ha detto che Davis ha avuto incarico dal presidente di trattare questa materia a Ginevra, dove delegato americano farà quanto prima delle dichiarazioni per precisare punto di vista americano.

(l) Annotazione a margine di Buti: «Informato de Hory su autorizzazione di S. E. il Sottosegretario 19/5 ».

623

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2135/343 R. Parigi, 18 maggio 1933, ore 12,55 (per. ore 14,45).

Al Quai d'Orsay si prevedeva negli ultimi giorni che Hitler avrebbe tenuto un tono conciliante e non si mostrava compiacimento. Ho già riferito che negli ambienti di questo ministero degli esteri non si crede alla buona fede della Germania hitleriana e si attribuisce esclusivamente a calcolo politico insincero atteggiamento conciliante del cancelliere anche riguardo al patto a 4.

La stampa di questa mattina nei brevi affrettati commenti, si ispira a tali sentimenti. Si riconosce che il cancelliere è stato abile e si ammette che la Francia e i suoi rapporti [sic] potranno trovarsi di fronte a nuove difficoltà a Ginevra.

Bisognerà attendere che si chiarisca l'impressione che il discorso ha prodotto a Londra e a Washington per vagliare esattamente il pensiero francese.

624

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2170/59/18 R. Ankara, 18 maggio 1933, ore 17,15 (per. ore 24).

Telegramma di V. E. n. 50 (1).

48 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XIII

Ho avuto colloquio con Numan bey reduce da Atene e posso confermare

nelle linee generali mio telegramma n. 57 (l) salvo qualche attenuazione. Numan bey infatti mi ha detto che Tsaldaris, il quale si è dimostrato di vedute piuttosto ristrette durante il negoziato, ha avuto timore che patto grecoturco-bulgaro potesse apparire come blocco contro Piccola Intesa ed ha proposto di stipulare con Jugoslavia non un patto a quattro ma dei patti bilaterali. Delegazione turca ha rifiutato espressamente constatare che mentre avvicinamento con Bulgaria non significherebbe costituzione di un blocco di alleanze e rientrerebbe in una concezione di politica balcanica, l'avvicinamento Jugoslavia significherebbe adesione alla Piccola Intesa che è una alleanza con fini extra-balcanici e porterebbe effetti politici gravissimi verso Italia e verso politica generale europea.

Negoziati turco-greci si sarebbero allora avviati verso una semplice manifestazione di rafforzamento dell'amicizia esistente e senza che nulla ancora sia precisato, si sarebbe pensato a formule di garanzia limitate alla frontiera comune fra i due Stati.

Ho fatto osservare che ciò equivaleva ad una formula aggressiva e Numan bey mi ha detto essere ciò vero se formula fosse destinata a rimanere circoscritta tra Grecia e Turchia ma che essa assumeva aspetto più logico se estesa alla Bulgaria, perché allora ciascuno dei tre Stati avrebbe garantito anche le frontiere degli altri due fra di loro.

A mia domanda se Governo turco credeva che recente atteggiamento greco permettesse ancora di sperare in un comune avvicinamento con Bulgaria nei limiti da noi desiderati e cioè senza alcuna idea di intromissione jugoslava, Numan bey ha risposto affermativamente.

Ad altra mia domanda se Governo turco considerasse eventualità di precorrere intesa bilaterale turco-bulgara egli ha risposto affermativamente.

Mio parere è che rafforzamento amicizia greco-turca con patto garanzia frontiera comune non esorbiti dal quadro del nostro programma politico e che non vi sia quindi ragione di contrariarlo sopratutto se esso dovesse contenere le promesse per un avvicinamento greco-turco verso Bulgaria.

Nell'attesa che esitazioni greche verso Bulgaria siano superate, sembrami che ogni sforzo debba anche mirare al settore turco-bulgaro per una intesa diretta tra i due Paesi onde prevenire urgentemente sforzi della Piccola Intesa su Sofia. Turchia potrebbe iniziare con Bulgaria amicizia parallela a quella con Grecia anche lasciando insoluto per ora rapporto Atene progettato.

Se V. E. approva queste idee si potrebbe incominciare con promuovere qualche assicurazione bulgara che tolga alla Turchia preoccupazioni circa frontiera della Tracia e circa irredentismo bulgaro verso quella regione e potrebbesi fare rinnovare anticipatamente patto amicizia turco-bulgaro che scade 1934.

Tale rinnovo anticipato in questo momento sarebbe già abbastanza significativo come primo atto di un eventuale ulteriore sviluppo di rapporti.

(l) Cfr. n. 570, nota 2, p. 634; 50 è il protocollo particolare per Ankaa-a del t. 1004 R.

(l) T. per corriere 2101/862/57 R. del 13 maggio, non pubblicato.

625

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. PER CORRIERE 1054 R. Roma, 18 maggio 1933.

Faccia sapere a Starhemberg a mezzo Morreale e a Dollfuss mio compiacimento per prova di forza offerta dalle Heimwehren il 14 andante a Vienna (1).

626

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. 1055/258 R. (2). Roma, 18 maggio 1933, ore 18,30.

V. E. può far conoscere codesto Governo che Governo italiano aderisce nel modo più cordiale iniziativa presidente Roosevelt. Esso ne valuta ed apprezza pienamente le alte finalità e la vasta portata. Mai come in questo momento è stata necessaria la cooperazione volenterosa di quanti hanno a cuore la pace ed il benessere del mondo, né è apparsa così indispensabile una valutazione equa e serena degli avvenimenti e dei diritti di tutti gli Stati senza distinzioni.

Governo italiano è pronto ad unirsi al Governo americano ed agli altri Governi per giungere nel modo più sollecito ed efficace alla realizzazione dell'iniziativa americana (3).

627

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. P. PRECEDENZA 1056/206 R. Roma, 18 maggio 1933, ore 18,30.

Comunichi a Hitler che forma e sostanza suo discorso hanno prodotto favorevolissima impressione nel Governo, partito e popolo italiano. Conseguenze non potranno che essere favorevoli alla Germania la quale col discorso del cancelliere ha chiarito e migliorato sua posizione internazionale.

628

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI (4)

T. P. PRECEDENZA ASSOLUTA 1057/201 R. Roma, 18 maggio 1933, ore 18,30.

Rispondo tuo telegramma 401 (5).

Hai fatto molto bene nel tuo colloquio con Vansittart e Simon a raddrizzare un poco verso la obiettiva comprensione degli avvenimenti la mentalità anti-germanica che è stata scatenata a Londra in questi ultimi tempi. Farai bene a continuare in quest'opera giovandoti delle tue relazioni in tutti gli ambienti. Puoi anche dire a Simon e a MacDonald quella che è la verità e cioè che tono e sostanza discorso di Hitler sono in relazione coi miei reiterati e amichevoli suggerimenti. Con altro telegramma ti parlo del patto a 4 e della estrema necessità ai fini generali di condurlo finalmente in porto.

(l) -Minuta autografa di Mussolini. (2) -Il telegramma venne trasmesso in chiaro. (3) -Rosso comunicò con t. 2154/368 R., pari data, di aver dato comunicazione di questo telegramma al Dipartimento di Stato che si era affrettato a trasmetterlo a Roosevelt. (4) -Minuta autografa di Mussolini. (5) -T. 2096/401 R. del 17 maggio, non pubbllcato perché è un breve riassunto del n. 614.
629

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, CERRUTI, A LONDRA, GRANDI, E A PARIGI, PIGNATTI

T. 1059 R. Roma, 18 maggio 1933, ore 23.

(Per tutti) Ho telegrafato a Washington quanto segue (l): « Con telegramma a parte le ho indicato accoglimento che R. Governo fa iniziativa americana. Come precisato ultima parte detto telegramma siamo pronti ad esaminare il modo più efficace e più sollecito per giungere alla realizzazione della iniziativa Roosevelt. In proposito ella potrà indicare codesto Governo che, specie per quanto riguarda più particolarmente situazione Europa, Governo italiano ritiene che pronta definizione e firma patto a quattro, che rappresenta naturale e necessario sviluppo patto Locarno, costituisca elemento

utile se non addirittura necessario». (Per Londra) Prego V. E. intrattenere nello stesso senso MacDonald. (Per Berlino) Prego V. E. intrattenere nello stesso senso Hitler. (Per Parigi) Quanto precede per sua informazione.

630

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, CERRUTI, A LONDRA, GRANDI, E A PARIGI, PIGNATTI (2)

T. 1060 R. Roma, 18 maggio 1933, ore 21,15.

(Per Berlino e Parigi) Ho dato istruzione a S. E. Grandi di far sapere a Simon quanto segue:

(Solo per Londra) Recati immediatamente da Simon e fagli sapere quanto segue:

(Per tutti) «l) è mia convinzione che perdutasi ormai nei meandri dei sottocomitati tecnici, la conferenza del disarmo non potrà giungere a conclusioni soddisfacenti prima della data fissata per l'apertura della Conferenza economica mondiale;

2) sarà quindi necessario rinviarla all'autunno con una dichiarazione più

o meno felice, ma che non mancherà di produrre una sinistra impressione nell'opinione del mondo e non potrà non avere ripercussioni poco favorevoli sulla stessa conferenza economica;

3) è quindi utile di concludere almeno il patto a quattro, prima del dodici giugno;

4) ciò è reso possibile e dallo stato in cui sono giunte le conversazioni fra

quattro Governi e dalla migliorata atmosfera internazionale in conseguenza del messaggio di Roosevelt e sopratutto del discorso veramente temperato e conciliante di Hitler;

5) non bisogna nuovamente perdere del tempo e correre il rischio che l'atmosfera torni ad oscurarsi, con imprevedibili gravi conseguenze;

6) è mia convinzione che un incontro non a Ginevra, ma in altra località della Svizzera fra Simon, Boncour, Neurath e il rappresentante dell'Italia, potrebbe condurre alla parafatura del patto che potrebbe poi essere firmato in altra data e località e con la necessaria solennità dai capi dei quattro Governi;

7) la conclusione del patto sarà il preludio migliore alla conferenza di Londra ed eviterà ripercussioni dannose dall'ormai inevitabile rinvio della conferenza del disarmo;

8) credo, inoltre, che il patto a quattro avrà oggi o in autunno le più favorevoli conseguenze sull'andamento della stessa conferenza del disarmo».

(Solo per Londra) Non mancare di illustrare convenientemente quanto sopra, anche sulla base delle comunicazioni fatte precedentemente a codesta ambasciata sull'argomento. Dopo il colloquio, riferire.

(l) -Con t. 1058/259 R., pari data. (2) -Minuta autografa d! Mussolini.
631

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, VINCI

T. R. 1061/153 R. Roma. 18 maggio 1933, ore 23.

Suo telegramma n. 229 (1).

Circa allusione ripetutamente fattale dall'Imperatore all'opportunità di delimitare confine Somalia questo R. Ministero, d'accordo con R. Ministero Colonie, pur confermando non essere nostro interesse addivenire delimitazione

confine suddetto, ritiene non convenga opporre rifiuto di principio che costituirebbe nuovo elemento diffidenza da parte abissina nei nostri riguardi. E ciò tanto più in quanto gli stessi indispensabili preliminari di un simile negoziato ci darebbero ogni possibilità dilazionare inizio effettivo lavori sino quando lo ritenessimo opportuno. Tanto si comunica per opportuna norma di V. S.

(l) Cfr. n. 451.

632

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2199/77 R. Vienna, 18 maggio 1933 (per. il 20).

Mio telegramma per corriere n. 76 (1).

Il cancelliere è fermamente intenzionato di emettere un prestito interno non appena avrà ottenuto quello contemplato dal protocollo di Losanna. Gli è che egli ritiene che l'emissione d'un prestito interno non avrebbe alcun successo, se non preceduta dall'apporto di valuta estera, conseguente all'attenimento del prestito di Losanna.

In tali condizioni l'alternativa del signor Dollfuss è che, qualora non potesse ottenere o dovesse rinunziare al prestito estero, e quindi non potesse procedere ad un prestito interno, il Governo federale dovrebbe sospendere immediatamente il servizio degli antichi debiti esteri.

Tale servizio comporta, come è noto a V. E. uno sborso annuo di circa 150 milioni di scellini oro, di cui 10 mLlioni per la Siidbann, di nostro diretto :Lnteresse, stante le note pattuizioni.

Il cancelliere è poi più che convinto che, sia il prestito di Losanna, che quello che si proporrebbe di emettere all'interno, sono la condizione necessaria per le fortune del suo esperimento politico. Difatti, egli ritiene che senza tali prestiti, non potrebbe intraprendere quei lavori pubblici, che sono indispensabili, sia per soccorrere la disoccupazione, che per mettere in moto il meccanismo economico del paese.

Nel ribadirmi quanto precede il signor van Tonningen, locale rappresentante della S.d.N., ha escluso meco che l'Austria potrebbe, a malgrado della migliorata sua situazione finanziaria, fare a meno dei due prestiti. Anzi, il signor van Tonningen, essendo persuaso che l'esperimento del Governo Dollfuss è il solo che possa provvedere efficacemente ed utilmente alle sorti dell'Austria, fa tutto quanto in suo potere per contribuire ad una sollecita ed incondizionata decisione di Parigi, per quanto concerne l'emissione della quota francese del prestito.

Animato da tali propositi, il signor van Tonningen mi ha accennato anche all'eventuale opportunità che i Governi di Roma e di Londra, nella settimana prossima -allorquando cioè egli conta che la Tesoreria britannica avrà con

seguito l'ultima sua richiesta (trasferimento degli arretrati sui precedenti prestiti austriaci) e avrà conseguentemente deciso l'emissione della sua quota facciano un passo comune a Parigi per segnalare l'estrema urgenza di concedere l'ormai indilazionabile quota francese (1).

(l) T. per corriere 2207/76 R., pari data, non pubblicato.

633

APPUNTO (2)

Roma, 18 maggio 1933.

S. E. Cerruti ringrazia per la comunicazione relativa alla partenza di Goering.

Aggiunge che Goering gli ha detto che è desiderio del Governo germanico che il Patto a quattro possa essere al più presto firmato, specie per la benefica influenza che esso può avere nelle discussioni di Ginevra.

Nadolny non tornerà più a Ginevra. Il delegato che tratterà regolarmente il disarmo sarà von Papen. È probabile inoltre che alla prossima seduta interverranno anche von Neurath e il Ministro della Guerra von Blomberg.

634

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO GABINETTO, ALOISI

L. P. Vienna, 18 maggio 1933.

Il Maresciallo Averescu, con cm 10 e la mia famiglia siamo legati da viva amicizia, si è recato a Vienna a vederci, restando per qualche giorno nostro ospite.

Egli mi ha manifestato le sue gravi apprensioni per il suo Paese. Al riguardo, mi ha tenuto parola della campagna da lui intrapresa contro la politica estera del signor Titulescu, che ha definito d'infantile e folle; degli avvertimenti dati in proposito a Re Carol, anche per quanto riguarda il noto ponte sul Danubio, che il Governo di Belgrado ha chiesto ed ottenuto fosse costruito in una ansa del fiume, in guisa da restare completamente sotto il fuoco concentrato delle artiglierie jugoslave; ed infine dei suoi progetti nel caso in cui dovesse pervenire di nuovo al potere; e cioè l'immediata revoca degli impegni di recente presi dal Titulescu nei riguardi della Piccola Intesa, nonché l'inizio di una politica di completo appoggio sull'Italia, da lui più che mai ritenuta «la chiave dell'avvenire~.

II Maresciallo ha pure tenuto ad espormi le sue idee circa il revisionismo. In succinto, egli ritiene che la Romania non avrebbe dovuto assumere alcun atteggiamento al riguardo, la sua reale capacità internazionale non consentendole alcuna parte determinante in una questione che, per la sua gravità e complessità, non può che restare esclusivamente in mano alle Grandi Potenze. Che anzi, se la Romania fosse stata costretta ad assumere un preciso atteggiamento, questo avrebbe dovuto essere se mai favorevole al revisionismo, affinché essa, per via delle simpatie acquistate presso i patrocinatori del movimento, avesse potuto conseguire un benevolo trattamento, in caso di rettifiche.

Inoltre il vecchio uomo di Stato, dopo avermi detto della grandissima attenzione che aveva prestato alle parole che il Duce ha usato circa la Romania e delle quali non gli era sfuggito né il tono né il preciso senso -nel suo recente articolo sulla Piccola Intesa, mi ha detto che egli desiderava assolutamente trovare un mezzo per far giungere a S. E. il Capo del Governo non solo la rinnovata espressione della sua devota amicizia, ma anche l'assicurazione che il popolo romeno, nonostante l'errata politica dei suoi governanti, resta sempre nella sua stragrande maggioranza avvinto all'Italia da strettissimi legami, riposanti non soltanto sul sentimento ma anche sul suo reale e bene inteso interesse. In seguito, il Maresciallo mi ha accennato, ma assai vagamente, al suo segreto desiderio di conoscere se e quali rettifiche territoriali il Duce prevedesse per la Romania, dilungandosi, a tale proposito, ad espormi dati e considerazioni d'ordine geografico, storico ed etnico, e tutte tendenti a dimostrare lo scarso fondamento d'una eventuale revisione sulle frontiere romene.

Due giorni dopo, è venuto a vedermi l'ex-Presidente del Consiglio romeno Principe Stirbey che, come ti è già noto, travasi praticamente esiliato dal suo paese, dopo l'avvento di Re Caro!, con cui è in completa rotta.

Il Principe Stirbey mi ha detto essere in assoluta intesa con il Maresciallo Averescu, del quale condividerebbe pienamente le apprensioni e le di· rettive.

A suo dire, in Romania, si sarebbe venuta a formare una corrente di viva reazione all'attuale stato di cose, sia in politica interna che estera. Di questa corrente il più autorevole esponente sarebbe l'Averescu, ma ad essa, a suo credere, potrebbe finire con l'aderire anche l'Argetoianu e forse lo stesso Maniu. Ha poi aggiunto che, pel momento, era urgente canalizzare ed organizzare detto movimento sotto gli auspici dell'Averescu: che accorrevano perciò fondi opportunamente messi a disposizione, sotto un adeguato pretesto, da una banca,

o da un consorzio di industriali italiani; che ogni sforzo infine doveva essere compiuto per raggiungere la non difficile meta: e cioè la formazione di un Governo averescano, che all'interno si ispirerebbe a criteri d'ordine e di autorità, se non pure -per un determinato periodo -dittatoriali, ed all'estero ad una politica di completa solidarietà con l'Italia. Al riguardo, Io Stirbey mi ha ripetuto che le stesse parole dell'Averescu l'assoluta necessità in cui la Romania travasi di tenersi ben stretta all'Italia. Ha aggiunto solo che la Romania «potrebbe pure sottostare ad una qualche limitata revisione territoriale, se questa dovesse valere a darle una reale sicurezza contro il solo e vero suo pericolo: lo slavismo ».

Ho osservato che le forze politiche del Maresciallo Averescu, già ormai così avanti negli anni, sono assai esigue, e che quelle che potrebbero eventualmente a lui unirsi, sono sempre per il passato rimaste da parte, per la solita gelosia e diffidenza dei capi. Al che il Principe Stirbey ha opposto che l'avviamento dato dal Titulescu alla politica estera romena era così pregiudizievole alla Romania, della quale si era giunti perfino -col patto unitario della Piccola Intesa -ad alienare la sovranità (pensiero questo accennatomi pure dall'Averescu), che ciò che non era accaduto per il passato, si sarebbe potuto non difficilmente verificare in oggi, come del resto ne faceva prova la reazione già delineatasi nel paese. Ed il Principe Stirbey è andato così oltre da prospettare l'ipotesi dell'allontanamento di Re Carol e della costituzione d'una nuova Reggenza. Tuttavia ho notato che egli, a differenza del Maresciallo, non ha fatto cenno alcuno ad un eventuale cambiamento di Dinastia.

Stamani sono venuto poi a sapere che il Maresciallo Averescu, desideroso di far giungere al Duce un suo personale messaggio, ha pregato il Principe Stirbey di recarsi al più presto a Roma, affidandogli una sua lettera per S. E. il Capo del Governo ed un biglietto per te. Ne deduco perciò una possibile non lontana venuta a Roma del Principe Stirbey, allo scopo di ottenere, col tuo intervento, una udienza dal Duce, nella sua qualità di portavoce del Maresciallo.

Ti ho riferito tutto quanto precede a semplice titolo informativo, giacché non intendo farmi tramite, come del resto ho fatto chiaramente intendere alle due suindicate personalità, di comunicazioni relative a questioni che riguardano un paese, presso cui non sono più accreditato, e per le quali è solo competente il mio collega ed amico Sola.

(l) -Con successivo t. 2193/192 R. del 20 maggio, ore 11,20, Preziosi riferì che !l ministro delle Finanze austriaco lo aveva vivamente pregato di far presente a Mussolini il desiderio del Governo austriaco di un passo italiano a Parigi per una sollecita emissione della quota francese. (2) -Il documento è anonimo. Reca l'annotazione a margine: «Visto da S. E. Suvich ».
635

L'ADDETTO STAMPA A VIENNA, MORREALE, AL VICE CAPO GABINETTO, JACOMONI

L. XXXVIII. Vienna, 18 maggio 1933.

Starhemberg mi informa che Dollfuss gli ha oggi comunicato di aver dato pieni poteri a Fey per la repressione dei nazi qualora questi dovessero tentare qualche avventura. Fey avrebbe avuto notizia che i « nazi » (ne avevo già informato io stesso precedentemente) vista la decisa resistenza di Dollfuss, non sarebbero alieni dal rendere più radicale il loro movimento, coll'aiuto di elementi arditi provenienti dalla Germania, dal provocare disordini e dal ventilare l'idea di un putsch che, a loro parere, anche se non eseguito potrebbe costringere il governo a riesaminare le proprie forze ed eventualmente a dimettersi. Fey, ottenuti i pieni poteri, non esclude che si possa giungere ad uno scioglimento del partito nazional-socialista austriaco.

Dal canto mio, ho raccomandato a Starhemberg che mi dava notizia di queste informazioni del Fey, di consigliare che, in caso di necessità del genere, si proceda con assoluta rapidità, sequestrando le liste degli iscritti al partito prima che i dirigenti di esso siano riusciti a farle sparire.

Starhemberg mi ha confermato, in questa occasione, che le liste degli impiegati statali iscritti al partito sono già state poste al sicuro in Germania.

636

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. s.R.P. 2151bis/271 R. Washington, 19 maggio 1933, ore 1,27 (per. ore 7,30 del 20).

Presidente Roosevelt mi ha chiamato stamane alla « Casa Bianca » e mi ha chiesto di comunicare nel modo più segreto a V. E. quanto segue:

«Delegato del Governo cinese attualmente a Washington ha sollecitato ieri intervento del Presidente per il regolamento del conflitto fra Cina e Giappone. Presidente Roosevelt ritiene momento sia favorevole per tentare opera di mediazione. Esclude però che iniziativa di mediazione possa essere utilmente presa dagli Stati Uniti perché ha ragione di temere immediata reazione sfavorevole da parte del Giappone. Ritiene d'altra parte che iniziativa britannica o francese sarebbe destinata a produrre reazione sfavorevole da parte della Cina.

Presidente giudica che di tutte le grandi Potenze Italia è quella che potrebbe con maggior probabilità di successo prendere iniziativa, sia perché Italia non può essere sospettata di interessi egoistici sia perché autorità di cui nome di

V. E. gode nel mondo e sua larga visione della situazione internazionale darebbe alla mossa di V. E. forza necessaria per raccogliere i necessari consensi.

Presidente vede possibilità di azione nel senso di una mediazione offerta e esercitata da un gruppo compatto di Potenze e che comprenderebbe Italia, Stati Uniti, Inghilterra, Francia e Germania (non ha nominato Russia né ho potuto rendermi conto se omissione sia stata o meno involontaria), prima mossa potrebbe essere a suo avviso un passo di V. E. a Tokio per chiedere al Governo Giapponese se sarebbe disposto ad accogliere offerta di mediazione da parte Grandi Potenze. Tale passo a Tokio dovrebbe essere fatto dall'Italia in via molto confidenziale e segreta, salvo renderlo pubblico se e quando sia giunto momento opportuno. A seconda della reazione di Tokio V. E. potrebbe giudicare poi circa seguito da dare alla iniziativa.

Presidente ha insistito sui sospetti che Giappone nutre verso Stati Uniti, sulla necessità quindi, che eventuale iniziativa italiana non abbia ad apparire come fatta per suggerimento o d'accordo con Washington. Roosevelt ha aggiunto che non aveva fatto menzionare ad alcuna altra persona (neppure al suo Segretario di Stato) dell'idea che desiderava sottoporre a V. E. Intanto mi ha pregato di comunicarla a V. E. con le precauzioni necessarie perché rimanga assolutamente segreta.

Ha concluso esprimendo la speranza che V. E. veda la possibilità e utilità di prendere iniziativa per avviare conflitto cino-giapponese (cito parole testuali Presidente) «verso soluzione più che altro provvisoria che non mancherebbe di esercitare influenza decisiva sul successo della Conferenza del disarmo e della Conferenza Economica».

Essendo il Presidente passato a parlare della situazione europea ho colto l'occasione per portare conversazione sul patto a 4 e sviluppo idee contenute nel telegramma di V. E. n. 259 (1).

Mi riservo riferire a parte quanto al riguardo mi ha detto presidente il quale mi ha congedato dicendomi in tono scherzoso: «Musso lini ed io potremo far insieme molte buone cose».

Poiché specialmente delegati Giappone giungeranno a Washington quanto prima, ritengo che presidente apprezzerà molto una sollecita risposta almeno preliminare di V. E. Per mia tranquillità gradirò comunque ricevere conferma di ricevuta del presente telegramma.

(l) Cfr. n. 629, nota l.

637

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2184/76 R. Budapest, 19 maggio 1933, ore 20,30 (per. ore 3,30 del 20).

Mio telegramma n. 75 (1).

Ho parlato testé a S. E. Goemboes.

Dopo aver decisamente riaffermato ancora una volta identità assoluta propositi V. E. e suoi circa tutte le principali questioni in corso ed in particolare Austria, il generale mi ha dichiarato:

«Quanto al mio giudizio attuale circa possibile realizzazione propositi stessi colà, riservomi darvelo definitivamente al mio ritorno da Vienna, ove mi recherò domani mattina col pretesto cresima mia figliola. Mi accerterò situazione sul posto e vi informerò. Posso dirvi però fino da ora che non soltanto considero anche io come voi posizione Dollfuss migliorata negli ultimi giorni, ma ritengo pure egli sarebbe perduto qualora si mettesse patteggiare coi nazionalsocialisti ».

Ho netta impressione dichiarazioni surriferite corrispondano al vero pensiero S. E. Goemboes. Corrispondono pure -· in ogni caso -alle idee ed ai sentimenti prevalenti oggi in ambienti più influenti Paese, contro il volere dei quali, nonostante sua situazione personale rafforzata ancora negli ultimi giorni, sarebbe al generale estremamente difficile fare diversa politica ove per dannata ipotesi lo desiderasse.

Riferisco per corriere ordinario -salvo contrarie istruzioni dell'E. V. circa atteggiamento personale di Kanya, sue funzioni posizione nel Gabinetto, attuali rapporti Hitler-Goemboes ed in generale Germania Ungheria.

«Telegramma di V. E. n. 79 [cfr. n. 619]. Data odierna assenza da Budapest S. E. Oombos parlerò con lui domani mattina secondo Istruzioni Impartitemi».

(l) Con t. 2146/75 R. del 18 maggio, ore 20,40, Colonna aveva comunicato quanto segue:

638

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, GRAHAM

APPUNTO. Roma, 19 maggio 1933.

Sir Ronald Graham è venuto ad espormi la risposta avuta da Londra alle ultime proposte del Patto a Quattro (1). Premette che in Inghilterra si considera quanto mai necessario tale Patto, anche se per arrivare a concretare i diversi punti di vista occorra trovare qualche compromesso. Mi riferisce poi in dettaglio sui singoli punti.

Riguardo all'art. l, il Governo inglese ritiene meglio evitare la frase: «avec les tierces Puissances ».

Riguardo aU'art. 2 vonebbe evitare l'art. 16 che pa·rla delle sanzioni, il che in Inghilterra farebbe una cattiva impressione, dando un senso del tutto diverso al Patto. Sa che la difficoltà viene dalla Francia e perciò il Governo inglese, che oggi presenta le proposte anche a Parigi, farà un passo in questo senso con quel Governo.

Sarebbe d'accordo anche di omettere l'accenno ai « méthodes de procédure » dell'art. 2 e anche ritiene che la Francia potrebbe accontentarsi dell'accenno alla sicurezza nella prima parte dell'art. 3 senza riparlare di sicurezza nella seconda parte. Tuttavia per queste due ultime osservazioni non intende di insistere se la Francia rimane ferma nel suo punto di vista.

Per l'art. 4 è d'accordo di non fare accenno al Paneuropa.

639

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

PROMEMORIA. Roma, 19 maggio 1933.

La R. Legazione in Cina, con rapporto n. 475 in data 7 dicembre 1931, segnalò che la Francia aveva esteso di fatto i limiti della sua concessione a Tientsin. In seguito a ciò, il R. Ministero degli Affari Esteri interpellò il Conte Ciano circa l'opportunità che anche l'Italia, presentandosene l'occasione, estendesse i limiti della R. Concessione.

Il Conte Ciano diede allora risposta di massima favorevole.

Il 30 gennaio 1932 (tel. n. 36), il R. Ministero degli Affari Esteri prospettava alla R. Legazione a Shanghai se non fosse il caso di «prendere occasione da una circostanza che sorgesse improvvisamente per attuare senz'altro occupazione stessa, salvo a comunicare immediatamente a Governo cinese ragioni che l'hanno resa necessaria e dichiarandone carattere provvisorio».

Riferendosi al telegramma suddetto, il Conte Ciano, in data 14 febbraio 1932 (tel. n. 189), riassumeva cosi il suo pensiero: «Insomma mi parrebbe opportuno seguire questa linea di condotta: al momento opportuno procedere all'occupazione nelle due direzioni, svolgere discretamente ogni azione possibile per consolidare nostra occupazione, ma in pari tempo disporre le cose in modo tale che, se l'occupazione non dovesse poi venire mantenuta, gesto da noi compiuto nel momento dei torbidi dovrebbe apparire agli occhi di tutti come una normale operazione di polizia militare, per la quale stessi cinesi ci dovrebbero essere grati dato che sarebbe valsa assicurare mantenimento ordine.

Circa poi eventuale reazione che una nostra simile operazione potrebbe provocare contro di noi, ritengo che questa dipenderebbe dalla scelta del momento in cui operazione stessa venisse effettuata. Reazione contro occupazione francese recentemente avvenuta a Tientsin è stata minima e ormai sorpassata».

L'azione studiata e concordata tra il R. Ministero degli Affari Esteri, il

R. Ministero della Marina e la R. Legazione in Cina, non si concretò sia per l'incalzare degli avvenimenti di Shanghai, che provocò l'intervento delle Grandi Potenze per arrestare quell'azione giapponese, sia perché non si verificò a Tientsin una situazione tale da giustificare una nostra azione.

Ieri invece le R.R. Autorità in Cina (Incaricato d'Affari e Console in Tientsin) hanno segnalato che, in seguito alla situazione determinata dall'avanzata giapponese in corso verso la zona Tientsin-Pechino, potrebbe presentarsi da un momento all'altro l'occasione per procedere alla già progettata estensione della concessione italiana e che una tale nostra azione non riuscirebbe discara, allo stato attuale delle cose, alle locali Autorità cinesi.

Avendo il R. Incaricato d'Affari in Cina chiesto urgenti istruzioni, la Direzione Generale per gli Affari Politici, in conformità alla linea di condotta a suo tempo concordata con la R. Legazione a Shanghai, e sentito il parere del

R. Ministro Conte Ciano attualmente presente a Roma, sottopone all'approvazione di S. E. il Capo del Governo l'unito progetto di telegramma (1).

(l) Cfr. n. 588. Grandi aveva informato con t. 2147/413 R. del 18 maggio che Il Foreign Of!lce aveva trasmesso a Graham istruzioni per la ripresa del negoziato.

640

L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, JOUVENEL, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (2)

Roma, 19 maggio 1933.

PREAMBULE

Le Gouvernement français demande le maintien du paragraphe: en se conformant aux méthodes et procédures qui y sont prévues et auxquelles elles n'entendent pas déroger.

ARTICLE l.

Les Hautes Parties contractantes se concerteront sur toutes les questions qui lem-sont propres. Elles s'engagent à faire tous leurs efforts pour pratiquer dans le cadre de la Société des Nations une politique de collaboration effective entre toutes les puissances en vue du maintien de la paix.

ARTICLE 2.

Les Hautes Parties contractantes en vue de l'application éventuelle en Europe des articles du pacte et notamment des articles 10, 16 et 19 . . . . décident d'examiner entre elles et sous réserve de décisions qui ne peuvent etre prises que par les organes réguliers de la S.d.N. toutes propositions relatives aux méthodes et procédures propres à donner leur pleine efficacité à ces articles.

ARTICLE 3.

Les Hautes Parties contractantes reconnaissent que le maintien de la paix exige la réduction des armements nationaux au minimum compatible avec la sécurité nationale, la situation géographique et les conditions spéciales de chaque Etat, et que le succès de la Conférence du désarmement représente le meilleur moyen de réaliser cette fin. Elles renouvellent leur désir de coopérer avec les autres Puissances y représentées afin d'élaborer aussi rapidement que possible une convention assurant une réduction substantielle et une limitation des armements avec des dispositions ultérieures en vue de réductions nouvelles.

La France, la Grande-Bretagne et l'Italie, de leur còté, déclarent que le principe de l'égalité des droits dans un régime comportant la sécurité pour toutes les nations doit avoir une valeur pratique pour l'Allemagne et les autres Etats désarmés par traités, et l'Allemagne, en ce qui la concerne, reconnait qu'effet ne devra etre donné à ce principe que par étapes et en vertu des accords à réaliser, accords qui ne seront pas conclus par elle sans la participation des trois autres Puissances.

ARTICLE 4.

Formule 1

Les Hautes Parties contractantes affirment leur volonté de rechercher dans le cadre de la Commission d'Etudes pour l'Union européenne le règlement de toutes questions d'ordre économique qui, sans faire l'objet d'une procédure spéciale devant la S.d.N., seraient d'un intéret commun pour l'Europe et sa restauration.

Formule 2

Les Hautes Parties contractantes affirment leur volonté de se concerter sur toutes questions d'ordre économique présentant un intéret commun pour l'Europe et particulièrement pour sa restauration, en vue d'un règlement à rechercher dans le cadre de la Commission d'études pour l'Union européenne s'il ne fait l'objet d'aucune procédure devant la S.d.N.

(l) -Cfr. n. 653. (2) -Ed. !n GIORDANO, pp. 194-195.
641

APPUNTO (l)

Roma, 19 maggio 1933, ore 24.

L'aggiunta « en se conformant aux méthodes et procédures qui y sont prévues et auxquelles elles n'entendent pas déroger ~ importa evidentemente che nessuna decisione può essere presa (anche quella dell'art. 2 relativa ad eventuali cambiamenti di «metodi e procedure ~) senza seguire, per giungervi, «i metodi e le procedure ~ attualmente stabiliti nel Patto.

L'art. l in quanto mantiene la frase « qui leur sont propres ~ accetta il punto di vista avanzato dalla Piccola Intesa e per essa dalla Francia e condiviso anche dalla Germania e dall'Inghilterra. Il secondo periodo introduce però finalmente nella versione accetta ai Francesi il concetto della collaborazione colle terze Potenze.

L'art. 2 tolta la parola «principi ~ e mantenendo solo le parole «metodi e procedure», limita l'articolo alle questioni di procedura ad esclusione delle quistioni di merito; però metodi e procedura sono da esaminare in vista di dare piena efficacia agli articoli del Patto a cui si fa riferimento.

L'art. 3, introducendo accanto al concetto « uguaglianza dei diritti :. quello della «sicurezza», pur facendo in qualche modo avanzare la quistione del disarmo in quanto dichiara che l'uguaglianza deve avere un valore pratico, peggiora d'altra parte, secondo il punto di vista tedesco (badando cioè alle obiezioni fatte alla redazione 13 Maggio dell'art. 3) la situazione della Germania in confronto di quella che è attualmente, con l'introdurre un nuovo impegno (accordi fra le parti).

L'art. 4 riporta nuovamente in onore la «Commissione di studi per l'Unione europea ~ e fa dipendere l'eventuale decisione in materia economica dalla Commissione stessa.

Resta tuttavia il fatto che: sia per le quistioni interessanti le Quattro Potenze, sia per le quistioni interessanti la collaborazione fra tutte le Potenze; sia pel revisionismo; sia pel disarmo; sia per le quistioni economiche

la firma del Patto impegna le Quattro Potenze a concertarsi su tutte queste quistioni, e quindi su tutti gli aspetti della vita internazionale, ciò di cui non si può negare, nella situazione europea e mondiale esistente, la portata politica generale e particolare per la Germania.

il) L'appunto è anonimo e si riferisce al n. 640.

Quanto all'art. 3 proposto da Hitler (comunicazione telefonica da Cerruti di stasera) (l) è da ritenere che oltre che dalla Francia, esso non sia accettabile neanche dall'Inghilterra. Per la realizzazione dell'uguaglianza dei diritti la Germania si impegnerebbe infatti, non a mettersi d'accordo con Italia, Francia e Inghilterra, ma solo a « concertarsi» con esse. Inoltre è omesso il criterio di procedere per tappe.

La frase «se concerteront etc. » dell'art. 3, testo Hitler, potrebbe invece essere forse accettabile se introdotta in luogo dell'ultima parte dell'art. 3 della redazione francese. L'articolo verrebbe ad essere così:

« Les Hautes Parties contractantes reconnaissent que le maintien de la paix exige la réduction des armements nationaux au minimum compatible avec la sécurité nationale, la situation géographique et les conditions spéciales de chaque Etat, et que le succès de la Conférence du désarmement représente le meilleur moyen de réaliser cette fin. Elles renouvellent leur désir de coopérer avec les autres Puissances y représentées afin d'élaborer aussi rapidemment que possible une convention assurant une réduction substantielle et une limitation des armements avec les dispositions ultérieures en vue de réductions nouvelles.

La France, la Grande-Bretagne et l'Italie déclarent que le principe de l'égalité des droits dans un régime comportant la sécurité pour toutes les Nations (2) doit avoir une valeur pratique pour l'Allemagne et les autres Etats désarmés par Traités. L'Italie, la France, la Grande-Bretagne et l'Allemagne se concerteront sur les modalités à appliquer pour réaliser par étapes ce principe».

Quanto alla proposta tedesca di accettare il testo francese come sta, limitando pe.rò il Patto a 5 anni, essa sembra un « pis-aller » in quanto l'effetto psicologico e quindi la portata politica del Patto, originariamente annunciato per una durata di 10 anni, ne verrebbe diminuito. (Vedi anche altro testo con clausola denuncia).

Per il richiamo dell'art. 16 (sanzioni), in seguito alle riserve dell'Inghilterra a citare questo articolo, si attende il risultato delle conversazioni fra i Governi francese e inglese.

L'art. 4 potrebbe anche essere soppresso, poiché è contenuto nell'art. l.

642

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. R. 2033/953. Berlino, 19 maggio 1933.

Appena ebbi preso conoscenza del telegramma di V. E. n. 206 (3) chiesi di poter conferire col Cancelliere che mi diede appuntamento per oggi stesso alle ore 16.

Gli diedi comunicazione del messaggio di V. E. ch'egli gradi molto pregandomi di ringraziarLa vivamente. Egli disse quindi che nel suo discorso aveva

voluto mostrare fin dove la Germania potesse giungere e nello stesso tempo indicare, in modo fermo, quale sarebbe stato il suo atteggiamento qualora la Francia e l'Inghilterra volessero continuare a considerarla Potenza di rango inferiore. La Germania era uno Stato di 65 milioni di abitanti, il suo esercito si era battuto eroicamente ed anche la pace sarebbe stata probabilmente diversa se questo paese non avesse avuto la sciagura di cadere nel novembre 1918 in mano a uomini politici di tendenza marxista senza dignità né coscienza. Un partito avente le idealità di quello nazional-socialista non potrebbe collaborare più a lungo alla conferenza del disarmo qualora non avesse la sensazione che la Germania gode della considerazione che le spetta. Qualora essa dovesse abbandonare la conferenza del disarmo agirebbe però logicamente ed uscirebbe pure dalla Società delle Nazioni.

Egli aveva voluto contribuire a chiarire la situazione internazionale ed era stato sincero in tutto quanto aveva detto, anche quando aveva parlato del nessun desiderio della Germania di estendere i suoi confini e della inutilità di nuove guerre.

La Germania, anche acquistando qualche centinaio o migliaio di chilometri quadrati da un lato qualsiasi dei suoi confini sarebbe rimasta ugualmente una nazione con un territorio superpopolato e non avrebbe quindi risolto alcuno dei suoi vitali problemi, anzi li avrebbe aggravati. Se per esempio avesse riconquistato l'Alsazia e la Lorena, avrebbe avuto un nuovo grosso fastidio, perché quelle due Provincie non amarono mai i tedeschi, come del resto non sono contente nemmeno ora dei francesi.

Commettevano uno sbaglio coloro i quali consideravano come un pericolo per la pace mondiale il sentimento nazional-razzista del suo partito. Tale sentimento implicava il desiderio di curare quelle che sono le qualità del popolo tedesco, ma anche di contentarsi di esse, tenendo quindi lontane le influenze straniere. Ciò non costituiva un pericolo per alcuno ed anzi dimostrava il rispetto che il nazional-socialismo aveva per ogni altro popolo, di cui riconosceva il diritto a fare altrettanto. Egli aveva del resto tenuto a menzionarlo specificatamente nel suo discorso citando l'esempio della Polonia la cui spartizione, durata oltre un secolo, non aveva avuto ragione del forte suo spirito nazionale.

Ingrandimenti territoriali avevano ragione di essere fuori dell'Europa, quando degli Stati superpopolati cercavano territori in cui riversare parte della loro gente. Egli comprendeva ad esempio che l'Italia avesse voluto acquistare territori africani nel Mediterraneo. Comprendeva pure che gli Stati aventi una superproduzione industriale cercassero di conquistare, solo economicamente però, taluni mercati di esportazione e che ambissero a crearsi in determinate regioni una situazione privilegiata dal punto di vista economico. Ciò rispondeva alla logica ed era dettato a certi paesi dalla propria situazione geografica. Perché dunque non riconoscerlo lealmente e nutrire sospetti o gelosie fuori di posto? Il nazionall-socialismo voleva differenziarsi dai passati Governi tedeschi anche nel considerare i problemi internazionali con uno spirito che, pur essendo rigidamente nazional-razzista all'interno, voleva essere largo all'esterno e comprensivo dei diritti di tutti gli altri popoli.

49 -Docume11ti diplomatici -Serle VII -Vol. Xlii

Allorché il Cancelliere ebbe terminato di espormi tali sue interessanti idee, lo intrattenni del telegramma di V. E. n. 208 (1), tenendo pure presente quanto

V. E. mi ha fatto conoscere con l'altro telegramma di ieri n. 207 (2). Posi in evidenza che l'E. V., nell'ordinarmi di metterlo al corrente delle sue idee, intendeva dimostrare quale importanza annettesse ad una assoluta comprensione reciproca delle due politiche e ad una collaborazione dei due regimi aventi finalità comuni.

Hitler mi rispose ch'egli aveva pregato Goering di recarsi a Roma per conferire con V. E. circa argomenti che già mi erano noti, perché teneva in modo tale all'amicizia dell'Italia che desiderava sgomberare il terreno di qualsiasi cosa che potesse costituire un intoppo e causare il minor malinteso.

Egli pure riteneva necessario giungere al più presto alla conclusione del Patto a quattro e ciò tanto più dopo il messaggio del Presidente Roosevelt, il quale patrocinava la conclusione di un patto generale fra tutte le Potenze. A suo giudizio un simile patto generale avrebbe significato la rinascita dell'interessamento degli Stati Uniti per le cose di Europa ed accresciuto il prestigio dell'America. Conseguenza di un patto generale sarebbe però stato, nell'ambito europeo, un accrescimento del prestigio della Francia circondata da tutti i suoi satelliti.

Mi valsi di questo argomento del Cancelliere per richiamare la sua attenzione su quanto V. E. gli aveva tanto giustamente fatto da me comunicare qualche giorno fa, vale a dire che nel gruppo ristretto di potenze che verrebbe creato dal Patto a quattro il rapporto delle forze di fronte a quello della Società delle Nazioni o di un altro gruppo generale di Stati sarebbe cambiato radicalmente a favore della Germania. E gli spiegai che la Francia, nel gruppo delle quattro Potenze, avrebbe potuto contare soltanto in parte sull'Inghilterra, dato che non era improbabile che, di fronte a problemi puramente continentali, quest'ultima dimostrasse un certo disinteressamento. Vedendo che l'argomentazione interessava Hitler, mi dilungai a dimostrargli come Italia e Germania, con il loro regime che astrae completamente dall'interesse dei singoli uomini politici e dei partiti che essi rappresentano, si sarebbero trovate nel consesso a quattro in una situazione molto più forte della Francia e della stessa Inghilterra. La Francia infatti, gravemente infetta dal morbo demoliberale, ne avrebbe sofferto le conseguenze non diversamente da quanto sta accadendo nel momento presente in cui si va delineando un dissidio DaladierHerriot a proposito della missione di quest'ultimo agli Stati Uniti. In Italia e in Germania prevaleva infatti il concetto dell'interesse superiore di Stato, in Francia quello dell'interesse personale dei vari uomini politici. Per quanto riguardava l'Inghilterra la povertà dei suoi uomini di Stato attuali saltava agli occhi tanto maggiormente se si pensava a quelli che aveva avuto la fortuna di possedere qualche decennio fa.

Hitler rifletté alquanto e poi disse che riconosceva ancora una volta la giustezza del pensiero di V. E. Confermava dunque con convinzione rafforzata la necessità che si addivenisse al più presto alla firma del Patto a quattro e convenne intieramente circa le modalità da me indicategli, cioè parafazione in

località svizzera diversa da Ginevra del patto da parte dei Ministri degli Affari Esteri o di chi per essi e firma solenne di esso in località ed epoca da stabilirsi ulteriormente per parte dei 4 Capi dei rispettivi Governi.

(l) Cfr. n. 631.

(2) Variante autografa di S. E. il Capo del Governo: sur les bases fixées par la resolution du 11 décembre 1932. [Nota del documento]

(3) Cfr. n. 627.

(l) -Cfr. n. 629 che fu inviato a Berlino con protocollo particolare 208. (2) -Cfr. n. 630 che fu inviato a Berlino con protocollo particolare 207.
643

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2220/275 R. Washington, 20 maggio 1933, ore 1,56 (1).

Telegramma di V. E. n. 259 (2).

Nel corso della conversazione circa la quale ho riferito con mio telegramma segreto 271 (3) presidente Roosevelt accennò al discorso di Hitler elogiandone moderazione ed abilità ed osservando che posizione presa da Hitler in materia di disarmo aveva merito di obbligare Francia ad assumere apertamente sue responsabilità di fronte all'obbligo morale di ridurre armamenti ed alla proposta concreta della abolizione delle armi aggressive.

Ho osservato che principio della abolizione delle armi aggressive potrebbe rimanere privo di valore qualora prevalesse tesi di quei paesi (fra cui credo la Francia) che vorrebbero conservare armi esistenti fino a consumazione.

Presidente rispose che occorreva adottare sistema per cui una percentuale delle armi abolite sarebbe stata distrutta subito ed il resto entro determinato periodo di tempo.

A mia volta ho ricordato che nostra delegazione a Ginevra aveva già elaborato nel passato piano del genere (progetto Ruspoli) del che presidente mostrò compiacersi.

Credetti opportuno a questo punto di portare discussione nel campo politico facendo presente come successo della Conferenza del disarmo dipendeva in definitiva dalla possibilità di accordo tra principali Potenze europee e che patto a quattro proposto da V. E. appare finora come sistema migliore se non unico per diminuire tensione in Europa in quanto provvede meccanismo adatto per discussione e per possibile soluzione conciliativa dei problemi più gravi.

Presidente dichiarò allora che aveva sempre giudicato e continua a giudicare progetto Mussolini come prezioso strumento di pace. << Occorrerà solo vedere -ha aggiunto -se convenga che patto a quattro lasci aperta possibilità di adesione di altre Potenze oppure debba costituire un nucleo centrale al quale potrebbe sovrapporsi patto più gene,rale ».

Presidente non ha precisato meglio suo pensiero né io ho creduto il caso per il momento di insistere e mi sono limitato ad osservare che appunto per questo patto a quattro è stato concepito da V. E. nel quadro ed in armonia col patto della Società delle Nazioni.

Dal complesso della conversazione mi è sembrato capire che Roosevelt giudica naturali e si preoccupa delle resistenze di quei paesi che pur essendo interessati direttamente alle principali questioni non hanno possibilità di partecipare al patto.

Mi rendo conto che sarebbe utile di conoscere con precisione pensiero di Roosevelt sulle modalità del progetto Governo del Re e di accertare anche in modo definitivo se egli abbia o meno in mente possibilità di adesione americana (ciò che io persisto a considerare poco probabile).

Qualora V. E. giudichi opportuno che io mi addentri in tale discussione troverò modo di farlo alla prossima occasione. In tal caso però che io sia messo al corrente dello stato attuale della questione e delle precise direttive di V. E. Faccio presente che unici elementi concreti finora in mio possesso sull'argomento sono testi della proposta di V. E. e delle controproposte inglesi e francesi (l) che mi sono state comunicate con telespresso 2435 del 14 aprile.

(l) -Il telegramma è privo d! ora d! arrivo. (2) -Cfr. n. 629 inviato a Wash!ngton con protocollo particolare 259. (3) -Cfr. n. 636.
644

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2175/422 R. Londra, 20 maggio 1933, ore 2,30 (per. ore 6,30).

In conformità suo telegramma n. 202 (2) ho chiesto conferire con Simon il quale, come ho telegrafato, parte per Ginevra domenica.

Nel corso del lungo colloquio avuto con lui ho esposto ed illuminato il pensiero di V. E. secondo le istruzioni invia temi, insistendo ripetutamente necessità profittare questo favorevole momento psicologico per giungere conclusione patto a 4 prima dell'inizio lavori conferenza economica.

Simon è d'accordo nel ritenere che si debba fare tutto il possibile per giungere accordo definitivo nella prossima settimana. Egli riconosce che discorso Hitler ha indubbiamente migliorato situazione internazionale e mi ha di nuovo espresso sua gratitudine per azione che V. E. ha personalmente svolta presso Hitler, azione le cui tracce sono chiaramente visibili nelle stesse parole usate dal cancelliere germanico. Simon spera che la ripresa dei lavori di Ginevra non comprometta questo miglioramento atmosferico, ma non mi ha nascosto sua preoccupazione per notizie inviategli stamane da Eden che egli mi ha detto non essere molto incoraggianti.

«Bisogna, egli mi ha ripetuto, compiere in questo momento tutti gli sforzi per superare le difficoltà a Ginevra e la delegazione tedesca deve da parte sua lavorare a questo risultato».

Ho replicato dicendo che non soltanto la delegazione tedesca ma anche e soprattutto le altre delegazioni dovevano mostrare conciliazione ed ho insistito nuovamente sul concetto che difficoltà di Ginevra costituiscono ragioni di più per affrettare conclusione patto il quale appunto varrà facilitare soluzione pro

blemi disarmo e conferenza economica. Simon ha concluso dicendo che approfitterà del suo soggiorno Ginevra per spingere innanzi il negoziato in modo da rendere possibile l'incontro preliminare dei quattro rappresentanti Grandi Potenze secondo suggerimenti V. E.

Nel complesso Simon mi ha fatto impressione essere animato da sincera buona volontà, però l'ho trovato ancora più fisicamente depresso di qualche giorno fa.

Vansittart assisteva conversazione.

(l) -Cfr. nn. 165, 347 e 405, annesso all'allegato. (2) -Cfr. n. 630, inviato a Londra con protocollo particolare 202.
645

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2196/347 R. Parigi, 20 maggio 1933, ore 13,30 (per. ore 16).

Al Qual d'Orsay sono convinti che la Germania ha intrapreso a riarmare con ritmo accelerato. Riferisco testualmente qui di seguito quanto mi hanno detto: «vi avranno certo informato che dopo avvento al potere di Hitler la Germania ha fatto sapere a Mosca che si trovava nell'impossibilità di dar corso a ordinazioni già avviate~.

Ho risposto nulla mi risultava al riguardo, ma di avere l'impressione che la Germania fosse quasi totalmente disarmata al confronto dei Paesi che la circondano (l).

646

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2216/348 R. Parigi, 20 maggio 1933, ore 13,30 (per. ore 17).

Mio telegramma n. 343 (2).

Quai d'Orsay ha telegrafato oggi a codesto ambasciatore di Francia le controproposte approvate dal Consiglio dei Ministri (3).

Segretario generale del ministero affari esteri mi ha detto che Governo francese ha fatto uno sforzo per avvicinarsi il più possibile al punto di vista italiano. Credo che V. E. sarà in grado far pervenire ormai a Parigi nuove proposte ufficiali.

Per quel che riguarda la Germania il signor Leger mi ha informato che il nuovo progetto tedesco (4) (mio telegramma n. 331) (5) è stato comunicato a Londra ma non a Parigi. Il Quai d'Orsay vede in questo ovvia manovra di Berlino per ingraziarsi Londra, anche perché il progetto tedesco ha accolto la redazione inglese dell'articolo 3. Qui si teme anche che la Germania possa trovare appoggio nell'Inghilterra per non citare l'articolo 16 del patto ginevrino

(-4) Cfr. n. 559.

nell'articolo due del patto a quattro. La Francia non è però disposta a rinunziare all'articolo 16.

Circa l'articolo l per il quale il Qual d'Orsay ha proposto una nuova redazione che si scosta da quella del precedente progetto francese mi è stato detto che si è avuto il proposito di scartare in modo assoluto l'obiezione che le 4 Potenze pensassero di creare un direttorio. Per l'art. 2 si osserva qui che, in massima, nulla si opporrebbe alla citazione del contenuto degli articoli ma che non esistendo una definizione ufficiale non sembra opportuno ricorrere a definizione imprecisa e senza valore che sembra avere la sua origine nell'iniziativa dell'editore del patto ginevrino.

Le modificazioni proposte all'art. 3 concernono la citazione preveduta dell'art. 8 del patto ginevrino laddove contempla il disarmo in relazione alla sicurezza nazionale e l'inclusione della sicurezza internazionale a lato della parità di diritto.

Ho l'impressione che la Francia non transigerà su questi due punti che considera essenziali.

* Circa articolo 4 mi riferisco quanto ho detto ultima parte mio telegramma 331.

Si considera più che mai indispensabile riferirsi alla Società delle Nazioni in materia economica per non avvalorare opinione che in questo campo 4 potenze intendano far banda a parte. Segretario generale mi ha infine accennato premure fatte da codesto ambasciatore Francia per accelerare corso trattative. Ho avuto impressione che la fretta fosse attribuita a zelo intempestivo ambasciatore Francia il quale come è noto non è ben visto dagli alti funzionari Qual d'Orsay.

Ho perciò detto che V. E. effettivamente era d'avviso che la conclusione sollecita patto giovando chiarire atmosfera politica avrebbe avuto favorevole ripercussione svolgimento conferenza economica agevolandone grandemente riuscita.

Ho espresso quindi speranza patto potrebbe essere firmato primissimi giorni

giugno.

Non ho accennato eventuale incontro in Svizzera dei ministri affari esteri di cui mio telegramma 278 (1), non sembrandomi opportuno parlarne qui senza precise istruzioni in attesa dia risultato passo R. ambasciatore Londra* (2).

(1) -Ritrasmesso a Berlino con t. per corriere 1118 R. del 23 maggio. (2) -Cfr. 11. 623. (3) -Cfr. n. 640. (5) -Cfr. n. 580.
647

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2197/425 R. Londra, 20 maggio 1933, ore 14,12 (per. ore 17J.

Notizia accettazione piano inglese da parte delegazione tedesca è qui giunta iersera, e è stata accolta con senso generale soddisfazione, tanto maggiore in

quanto notizie inviate ancora ieri mattina da Eden avevano suscitato, come ho telegrafato a V. E., nuove preoccupazioni. Tutti sono qui d'avviso che delegazione tedesca ha fatto tutto il possibile per migliorare situazione. Governo germanico ha seguito illuminato consiglio di V. E. guadagnando così indubbia posizione vantaggio soprattutto rispetto al Governo francese, circa cui attitudini cominciano rinascere prime diffidenze.

Difficoltà alle quali Simon ieri mi ha accennato per la rapida definizione patto a 4 (l) dovrebbero considerarsi oggi in conseguenza cadute. Essendo Simon già partito vedrò oggi Vansittart e continuerò insistere perché si faccia presto.

(l) -Riferimento errato. (2) -La parte del telegramma fra asterischi era giunta Indecifrabile. Ne fu chiesta telefonicamente ripetizione che fu inviata con t. precedenza assoluta 2253/352 R. del 21 maggio.
648

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, ALLA DELEGAZIONE A GINEVRA

T. 1077/58 R. Roma, 20 maggio 1933, ore 14,30.

Suo telegramma n. 43 (2).

Approvo passi della S. V. presso delegazione svedese perché organizzazioni premilitari siano computate separatamente e in aggiunta a calcolo effettivi. La S. V. veda d'interessare delegazione britannica ad insistere sulla proposta da essa formulata in tal senso nel comitato degli effettivi e le faccia intendere che discussioni come quelle svoltesi su istruzione premilitare nei giorni scorsi creano un'atmosfera che non agevola il successo della conferenza. Analogo interessamento spieghi presso la delegazione americana che sembra muoversi nello stesso ordine di idee.

649

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. P. 2215/426 R. Londra, 20 maggio 1933, ore 19,56 (per. ore 0,30 del 21).

Suo telegramma n. 201 (3).

Ti sono molto grato per tua approvazione; è il maggior conforto e sprone mia azione. Sino primi accenni dello scatenarsi campagna anti-tedesca ho moltiplicato miei contatti quotidiani con esponenti stampa, finanza, parlament<. svolgendo opera sedativa e chiarificatrice, opera che continuo tuttora. Invierò presto rapporto contenente osservazioni interessanti da me fatte durante questo periodo ma desidero sin da ora segnalare questa cosa: in mezzo al nervosismo patologico che ha invaso questa gente nelle ultime settimane, figura dittatura dell'Italia e prestigio della rivoluzione fascista sono rimasti al di sopra di ogni passione. Forse mai come ora speranze di tutti si sono rivolte a te come all'unica espressione di volontà, di equilibrio e di forza che vi sia nel mondo.

(l) -Cfr. n. 644. (2) -T. 2150/43 R. del 18 maggio, non pubblicato. (3) -Cfr. n. 628.
650

PROJET DE PACTE D'ENTENTE ET DE COLLABORATION (l)

Roma, 20 maggio 1933.

L'Allemagne, la France, la Grande-Bretagne, l'Italie, conscientes des responsabilités particulières que leur impose leur qualité de membres permanents du Conseil de la Société des Nations à l'égard de la Société elle-méme et de ses membres et de celles qui résultent de leur signature commune des accords de Locarno,

convaincues que l'état de malaise qui règne dans le monde ne peut étre dissipé que par un renforcement de leur solidarité susceptible d'affirmer en Europe la confiance dans la paix;

fidèles aux engagements qu'elles ont pris par le pacte de la Société des Nations, les traités de Locarno et le pacte Briand-Kellogg et se référant à la déclaration de non-recours à la force dont le principe a été adopté le 2 mars dernier par la Commission politique de la Conférence du Désarmement;

soucieuses de donner leur pleine efficacité à toutes les dispositions du pacte, en se conformant aux méthodes et procédures qui y sont prévues et auxquelles elles n'entendent pas déroger;

respectueuses des droits de chaque Etat dont il ne saurait étre disposé en dehors de I'intéressé; sont convenues des dispositions suivantes:

ARTICLE l.

Les Hautes Parties contractantes se concerteront sur toutes les questions qui leur sont propres. Elles s'engagent à faire tous leurs efforts pour pratiquer dans le cadre de la Société des Nations une politique de collaboration effective entre toutes les Puissances en vue du maintien de la paix et de la restauration de l'éaonomie européenne (2).

ARTICLE 2.

Les Hautes Parties contractantes, en vue de l'application éventuelle en Europe des articles du pacte et not?mment des articles 10 et 19, dont le premier concerne l'engagement de mamtentr contre toute agression extérieure l'intégrité territoriale et l'indépendance politique présente de tous les membres de la Société, et dont le second envisage la possibilité d'un nouvel examen des traités devenus inapplicables ainsi que des situations internationales dont le maintien pourrait mettre en péril la paix du monde, décident d'examiner entreelles et sous réserve de décisions qui ne peuvent etre prises que par les organes réguliers de la Société des Nations, toutes propositions relatives aux méthodes et procédures propres à donner leur pleine efficacité à ces articles.

ARTICLE 3.

Les Hautes Parties contractantes reconnaissent que le maintien de la paix exige la réduction des armements nationaux au minimum compatible avec la sécurité nationale, la situation géographique et les conditions spéciales de chaque Etat, et que le succès de la Conférence du désarmement représente le meilleur moyen de réaliser cette fin. Elles renouvellent leur désir de coopérer avec les autres Puissances y représentées afin d'élaborer aussi rapidement que possible une convention assurant une réduction substantielle et une limitation des armements avec les dispositions ultérieures en vue de réductions nouvelles.

La France, la Grande-Bretagne et l'Italie déclarent que le principe de l'égalité des droits reconnu (l) par la résolution du 11 décembre 1932 doit avoir une valeur pratique pour l'Allemagne et les autres Etats désarmés par Traités. L'Italie, la France, la Grande-Bretagne et l'Allemagne se concerteront sur le:, modalités à appliquer pour réaliser par étapes ce principe.

ARTICLE 4.

Le présent Accord est conclu pour une durée de dix années à compter de l'échange des ratifications. Si, avant la fin de la huitième année, aucune des Hautes Parties contractantes n'aura notifié aux autres son intention d'y mettre fin, il sera considéré comme renouvelé et restera en vigueur sans limitation de durée, les Parties contractantes conservant alors la faculté d'y mettre fin par une dénonciation avec préavis de deux années.

ARTICLE 5.

Le présent accord sera ratifié et les ratifications en seront échangées le plus tòt que faire se pourra. Il sera enregistré au Secrétariat de la Société des Nations conformément aux dispositions du Pacte (2).

(l) -Ed. In SALATA, pp. 186-187 e In GIORDANO, pp. 195-196. (2) -Aggiunta all'art. l proposta Il 21 maggio In soatituzione dell'art. 4 [Nota del documento].
651

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 2034/954. Berlino, 20 maggio 1933.

Mi riferisco alla comunicazione telefonica fatta iersera alle ore 19,40 al Barone Aloisi.

Iersera alle ore 19 il Ministro degli Affrori Esteri mi pregò di recarmi d'urgenza all'Auswartiges Amt, mi disse di es.:;:::re stato già posto al corrente dal Cancelliere del colloquio che avevo avuto con lui alle ore 16 (3) e mi

informò di avere ottenuto l'approvazione di Hitler ad una nuova proposta del Governo tedesco per la redazione dell'art. 3 del Patto a quattro.

Egli mi rimise quindi il pro-memoria qui allegato in copia e traduzione, ponendo in rilievo che l'Auswartiges Amt si era dedicato, durante tutta la giornata di ieri, ad escogitare una formula molto conciliante la quale, potendo essere accettata dalla altre tre Potenze, agevolasse la conclusione del Patto a quattro, giusta i personali desideri dell'E. V.

ALLEGATO

APPUNTO

Berlino, 19 maggio 1933.

Il Governo del Reich riconosce, ringraziando, le premure del R. Governo d'Italia per comporre i progetti contrastanti dei Governi interessati per la conclusione del Patto a Quattro. Esso condivide pienamente l'opinione che per ragioni di politica generale la conclusione del Patto è assolutamente desiderabile, e che in vista di questo interesse politico generale, i particolari desideri dei singoli siano, per quanto possibile, messi da parte. Per questa ragione, il Governo Germanico intende rinunciare ad avanzare quei diversi suggerimenti e quelle proposte che in sè gli sembrerebbero opportune nei confronti dell'ultimo progetto del 13 maggio {1). Tuttavia in un punto è impossibile al Governo tedesco, anche con la migliore disposizione conciliante, di dichiararsi d'accordo per quanto riguarda questo progetto, e questo è l'ultimo periodo dell'Articolo 3, che concerne la parità di diritto della Germania.

In questo periodo le tre Potenze Francia, Inghilterra e Italia fanno una dichiarazione sopra la parità di diritto che invero è di grandissimo valore per la Germania, ma che ha però soltanto un carattere del tutto generale e che non racchiude nessun impegno concreto delle tre Potenze. Per contro la Germania dovrebbe fare una dichiarazione che importa uno stretto impegno di non far nulla, per la realizzazione della sua parità di diritto, durante la durata decennale del Patto, senza l'approvazione delle altre tre Potenze. Dunque da una parte un impegno generale imprecisato delle tre Potenze; dall'altra parte uno stretto, impegnativo obbligo della Germania che toglie all'obbligo delle tre Potenze ogni pratico valore per la Germania. Praticamente infatti la realizzazione della parità di diritto verrebbe a dipendere dall'arbitrio di ciascuna delle tre Potenze. Sia che, dunque, a Ginevra si addivenga ad una intesa sulla base del piano britannico o no, sia che se ed in quale misura gli stati a forte armamento in avvenire disarmino oppure no, la Germania rinuncerebbe assolutamente alla libertà di azione per dieci anni.

Da parte italiana è stato fatto presente, durante le conversazioni diplomatiche, che si deve pensare soltanto all'attuale interesse politico non alla situazione che si sarà creata dopo cinque anni. Nessuno potrebbe prevedere questa situazione e nessuno potrebbe seriamente credere che la Germania possa rinunciare con il patto alla sua libertà per dieci anni. Il Governo tedesco apprezza questo argomento di politica realistica, ma dal suo punto di vista non può seguirlo. In seguito a tutte le esperienze degli anni del dopoguerra esso non ritiene possibile in una questione così vitale di assumere un obbligo formale ed impegnativo nella sola speranza che l'obbligo possa essere forse sorpassato attraverso il reale svolgimento delle cose. Esso ha perciò già richiamato l'attenzione su questo punto nella sua prima dichiarazione del 15 marzo (2).

Per quanto il Governo tedesco, nelle sue ultime proposte si sia già di molto allontanato dai suoi primitivi voti, vuole fare ancora, in considerazione delle personali dichiarazioni del Capo del Governo Italiano, un estremo tenbtivo per rendere possibile la realizzazione del Patto. Nonostante le più serie consic1crazioni in contrario esso si

troverebbe in definitiva d'accordo con una redazione che almeno evitasse la differenza che in maniera cosl saliente si fa vedere nei progetti precedenti nella precisazione giuridica dell'impegno delle tre Potenze da una parte e di quello della Germania dall'altra. Ciò si otterrebbe se in luogo del terzo periodo dell'art. 3, fosse adottata una redazione del tutto generale, presso a poco di questo genere:

« Les Hautes Parties contractantes déclarent que le principe de l'égalité des droits doit avoir une valeur pratique pour l'Allemagne et qu'elles se concerteront sur les modalités à appliquer pour réaliser ce principe de l'égalité des droits. En ce qui concerne les autres Etats désarmés par traité, il sera procédé d'une manière analogue ».

Il Governo germanico non riesce a vedere che cosa i Governi interessati, anche in base al loro noto punto di vista, potrebbero ancora obiettare contro una tale redazione generale. Se tuttavia dovessero rifiutare anche questa redazione, rimarrebbe, a parere del Governo tedesco, ancora una sola possibilità di portare a conclusione il patto, e cioè la possibilità di restringere la sua validità a cinque anni. Il Governo tedesco però non vorrebbe fare esso stesso questa proposta per non svegliare la falsa impressione che si voglia attenere solamente per un tempo relativamente breve alla politica di pace prevista nel patto.

(l) -Varianti proposte !l 21 maggio: l) tel qu'il a été reconnu; 2) dans les concLit!ons où 11 a été reconnu. [Nota del documento]. (2) -Questo testo fu comunicato a Parigi, Londra. Berlino e Waahington con t. 1127 del 24 maggio, ore 21. (3) -Cfr. n. 642. (l) -Cfr. n. 588. (2) -Cfr. n. 208.
652

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. RR. 2035/955. Berlino, 20 maggio 1933.

Ho l'onore di segnare ricevimento del dispaccio di V. E. n. 3176 (l) del 17 corrente.

Il colloquio avuto ieri con il Cancelliere Hitler si svolse in una atmosfera di tale cordialità e confidenza che mi fu possibile, ad un dato momento, chiedergli di esprimermi con lui in via del tutto riservata sopra una questione assai delicata ma di capitale importanza per la Germania.

Avutane l'autorizzazione, dissi a Hitler che l'E. V. segue gli avvenimenti in Germania con interesse non minore che se si trattasse di cose italiane. Occorreva por mente all'importanza che aveva per il Fascismo il successo del nazionalsocialismo. Italia e Germania, retti da regimi aventi le medesime idealità politiche autoritarie e totalitarie, costituivano la spina dorsale dell'Europa. Era fatale che i paesi di oriente e d'occidente guardassero con ansia verso Roma e Berlino ed era certissimo che se il nazional-socialismo avesse -come non dubitavamo -trionfato cosi come fece il fascismo, l'irradiazione delle nostre teorie sarebbe stata vastissima in tutto il mondo.

Era pure naturale che gli uomini di Stato liberali cercassero di premunirsi contro il pericolo che i rispettivi loro paesi si fascistizzassero, perché la loro sorte sarebbe stata irrimediabilmente decisa, cosi come lo fu in Italia ed ora in Germania.

Noi dovevamo peraltro auspicare una sem~;.-e maggiore diffusione del pensiero fascista nel mondo, perché se prevalesse in certi paesi una mentalità simile alla nostra si potrebbe sperare in una più agevole comprensione dei reciproci interessi.

Gli dicevo questo per giungere alla conclusione che la politica estera in paesi come i nostri due, doveva necessariamente formare oggetto della maggiore cura ed essere guidata con rigido metodo unitario.

Dalla corrispondenza riservata con il mio Governo avevo però potuto riscontrare come V. E. avesse l'impressione che, in questo primo periodo, la politica estera tedesca fosse stata disorientata, a causa probabilmente delle troppe ingerenze che si erano fatte valere in essa.

Il Cancelliere che mi aveva seguito con attenzione, ebbe il viso illuminato allorché giunsi alla conclusione e disse: «anche il Duce lo ha notato».

Hitler mi prego poi di riferir le quanto segue: Egli, contrariamente a V. E., non aveva potuto conquistare il potere con un atto di forza e di autorità. Le condizioni della Germania, tanto diverse da quelle dell'Italia, gli avevano imposto di procedere a gradi. Egli era diventato Cancelliere, coll'appoggio di altri partiti politici, senza godere della fiducia dello stesso presidente del Reich, prevenuto contro la sua persona.

Il lavoro che aveva dovuto compiere in questi tre mesi e mezzo era quindi stato difficile e delicato.

Poteva però essere soddisfatto dei risultati ottenuti perché oggi il Reich è un organismo compatto, i partiti politici che lo aiutarono a raggiungere il potere hanno smesso certe loro pretese esagerate e si sono ora posti discipli4 natamente ai suoi ordini. Tutti i luogotenenti come pure tutti i presidenti dl consiglio nei vari Stati sono nazional-socialisti ed i posti più importanti dell'Amministrazione dello Stato sono in mano di suoi fedeli, con eccezione soltanto di alcune poche cariche che sono in realtà più apparenti che reali, affidate tuttora a uomini di partiti fiancheggiatori.

Il Consiglio dei Ministri era già oggi quello che egli aveva voluto fosse: un consesso di esecutori delle disposizioni da lui impartite come Cancelliere con visione totalitaria dei problemi politici.

Egli era inoltre riuscito a conquistare la fiducia assoluta dell'« Alto Signore». Il Presidente del Reich gli è infatti grato di avere ristabilito in così breve tempo l'ordine e la disciplina in tutto il paese e bastava ora ch'egli esprimesse un suo intendimento perché esso fosse senz'altro approvato.

I suoi rapporti con la Reichswehr e con la Marina erano i migliori che si potessero immaginare. Del resto in Germania, come in Italia, le forze armate dello Stato avevano sempre costituito un elemento di ordine assoluto, perché si erano sempre astenute dal fare della politica.

Il suo compito non era ancora terminato ed egli sapeva che fra altri problemi avrebbe dovuto risolvere quello assai arduo della politica estera tedesca e dei suoi organi diretti.

Ma prima di affrontarlo aveva dovuto pensare a costituire una forte organizzazione interna dello Stato. Assicurai il Cancelliere che avrei trasmesso fedelmente a V. E. quanto egli mi aveva detto.

Hitler mi pregò di dire pure all'E. V. ch'egli si rendeva esatto conto degli inconvenienti segnalatigli. Egli stesso li deplorava perché erano tali da ingenerare l'impressione che la politica estera tedesca non avesse finalità ben

determinate. Confidava però che il suo discorso costituisse il primo passo sulla via della riforma di tale politica.

Il Cancelliere mi chiese poscia informazioni circa i mutamenti avvenuti nella direzione del Ministero degli Affari Esteri in Italia e, nel dargliele, fu mia cura di porre in evidenza come la politica estera -a causa della sua importanza -deve essere guidata direttamente dal Capo del Governo. Ciò corrispondeva del resto anche alle tradizioni della Germania, perché il principe di Bismarck non aveva mai ceduto ad altri la direzione della politica estera.

La conversazione confidenziale terminò senza nessun affidamento formale da parte del Cancelliere della sua intenzione di assumere il portafoglio degli Esteri ma con la precisa mia impressione che il punto di vista di V. E. da me comunicatogli formerà oggetto di matura riflessione da parte sua, così come accade del resto di tutto quanto proviene da V. E., dato che Hitler nutre un'ammirazione sincera ed un rispetto profondo per il Duce del Fascismo.

Assicuro V. E. che non mancherò di cogliere l'occasione propizio per esprimermi col barone von Neurath nei ·termini indicatimi nel P. S. della sua lettera.

Non ritenni di farlo ieri stesso perché giudicai preferibile lasciare passare qualche giorno, in modo ch'egli creda che l'informazione relativa al telegramma dell'ambasciatore Nadolny sia stata data a V. E. direttamente dal presidente del consiglio prussiano Goering, durante il suo presente soggiorno a Roma.

(l) Non rinvenuto.

653

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'INCARICATO D'AFFARI IN CINA, ANFUSO

T. U.R. 1082/150 R. Roma, 21 maggio 1933, ore 13.

Suo telegramma 331 (1).

Convengo con V. S. che situazione attuale possa verisimilmente dar luogo a sviluppi tali da giustificare nostra progettata occupazione. Qualora in realtà essi dovessero verificarsi o comunque nella città di Tientsin dovessero determinarsi panico o allarme tali da far considerare giustificato ogni eventuale provvedimento per mettere in stato di difesa la concessione italiana, allora potremo procedere ad estensione, evitando che nella zona in parola si rechino anche pattuglie francesi. Di tale ultimo aspetto questione ebbe già ad occuparsi, in conformità ad istruzioni impartite verbalmente nel gennaio scorso dal R. ministro, il console Neyrone.

Qualora le condizioni sopraccennate dovessero verificarsi, potremmo procedere ad estensione senza la richiesta ufficiale da parte del governatore del Hopei, dando così alla nostra azione un carattere di iniziativa italiana diretta a garantire comunicazioni tra la nostra concessione e le altre e ad assicurare a tutte le concessioni l'accesso alla stazione ferroviaria, in modo da far risaltare l'interesse italiano e internazionale della nostra azione e non quello cinese.

Occupazione dovrebbe apparire come operazione di polizia militare dettata dal momento critico. Una volta avvenuta l'occupazione, la linea di condotta da seguire dovrebbe essere quella a suo tempo indicata dal R. ministro in Cina con telegramma

n. 189 del 14 febbraio 1932 paragrafo 2 (1).

Quanto precede perché ella ne abbia norma nell'eventuale azione da svolgere, lasciando a lei di regolarsi nell'esecuzione secondo le circostanze.

(l) T. r. 2139/331 R. del 18 maggio, non pubblicato.

654

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A TOKIO, WEILL SCHOTT

T. 1083/20 R. R1oma, 21 maggio 1933, ore 21,30.

Si rechi dal ministro degli esteri e domandi in mio nome, se Giappone sarebbe disposto ad accogliere una offerta di mediazione delle grandi Potenze nel conflitto fra Giappone e Cina. Modalità di questa mediazione potrebbero essere fissate in seguito tenendo conto della situazione dei due paesi. Si tratta di sapere se Giappone ne accetta il principio. Faccia intendere al Governo giapponese che sua accettazione fatta alla vigilia della conferenza di Londra gli concilierebbe quelle simpatie che il Giappone ha perduto in seguito alla sua uscita dalla Società delle Nazioni. Atto Giappone sarebbe una prova di saggezza politica nonché favorevole preludio per conferenza economica mondiale. Appena conferito riferisca. Raccomando massimo riserbo anche da parte Governo giapponese (2).

655

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, E ALLA DELEGAZIONE A GINEVRA

T. 1087 R. Roma, 21 maggio 1933, ore 23.

(Per Ginevra) Ho telegrafato Londra quanto segue:

(Per tutti) Da .telegramma a parte diretto Berlino (3) e comunicatole V. E. rileverà quale è attuale situazione trattative patto a quattro. Aloisi che vedrà Simon a Ginevra insisterà perché venga esercitata opportuna pressione su Francia.

Prego V. E. agire nello stesso senso anche su Foreign Office.

(l) -Cfr. n. 639. (2) -Ritrasmesso a Rosso con t. 1084/264 R. pari data perché ne desse comunicazione confidenziale a Roosevelt. (3) -Cfr. n. 656.
656

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, CERRUTI, A LONDRA, GRANDI, A PARIGI, PIGNATTI, E ALLA DELEGAZIONE A GINEVRA

T. 1088 R. Roma, 21 ·maggio 1933, ore 24.

(Per tutti meno Berlino) Ho telegrafato Cerruti quanto segue:

(Per tutti) Pregola comunicare Goering relazione suoi colloqui romani. A proposito articolo due patto Gran Bretagna continua insistere presso Francia per omissione articolo 16 incontrando però notevole resistenza. Attendiamo notizie che comunicheremo. A proposito articolo tre ambasciatore Francia trasmetterà proposta circa testo secondo capoverso che dice « le principe de l'égalité des droits reconnu par la résolution du 11 décembre 1932 » (1). Egli ritiene però che suo Governo non potrà accettarla perché riterrà significare abbandono principio sicurezza contenuto in dichiarazione 11 dicembre. Proporrebbe varianti

o «tel qu'il a été reconnu ecc. » o « dans les conditions où il a été reconnu ecc. :.. Riteniamo che una di queste eventuali modificazioni potrebbe essere accettata (2).

(Per Parigi e Berlino> Per sua riservata norma informola aver comunicato quanto precede a S. E. Grandi e S. E. Aloisi perché agiscano nello stesso senso su Foreign Offioo e su Simon.

657

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. Roma, 21 maggio 1933 (3).

Telegramma di V. E. n. 275 (4}.

In relazione alle osservazioni del presidente Roosevelt che possa convenire che patto lasci aperta l'adesione delle altre Potenze, ella potrà rispondere che a tal fine è in certo senso inteso secondo periodo articolo primo. Nel testo elaborato nelle conversazioni che stanno avendo luogo coi Governi francese, inglese e tedesco, articolo primo dice: << Les hautes Parties contractantes se concerteront sur toutes les questions qui leur sont propres. Elles s'engagent à faire tous leurs efforts pour pratiquer dans le cadre de la Société des Nations une politique de collaboration effective entre toutes les Puissances en vue du maintien de la paix ».

Veramente noi avremmo voluto una redazione più esplicita e avevamo proposto il seguente testo: « Les hautes Parties contractantes se concerteront sur

toutes les questions qui leur sont propres dans le but de pratiquer entre elles ainsi qu'avec les tierces Puissances dans le cadre du Pacte de la Société des Nations une politique effective de collaboration en vue du maintien de la paix ».

Comunque il principio della collaborazione oltre che fra le quattro Potenze anche con le Potenze rimanenti può effettivamente considerarsi affermato per quanto è stato possibile di ottenere anche colla redazione concordata che è riportata di sopra, specie se dopo le parole «Società delle Nazioni» si uniscano quelle «Patto di Locarno, Patto Kellogg e no force pact », come nella mia prima redazione e come è mia intenzione di tornare a proporre. Il riferimento a questi patti verrebbe infatti ad aprire la via alla collaborazione anche di quegli Stati che non sono firmatari del patto.

In relazione anzi alla possibilità di questa collaborazione di terzi Stati io considererei con grande favore una qualche manifestazione che in occasione della firma del patto a quattro facessero gli Stati che, come l'America, non vi partecipano. Questa manifestazione per quanto riguarda la Società delle Nazioni potrebbe ad esempio prendere forma di una dichiarazione unilaterale di codesto Governo che esprimesse il proprio apprezzamento del Patto e conseguente proposito Stati Uniti di collaborare per la migliore riuscita sue finalità.

(l) -Cfr. serle VII, vol. XII, n. 530. (2) -Fin qui 11 telegramma fu ritrasmesso a Washlngton con t. 1123/260 R. del 23 maggio. (3) -Il telegramma, preparato da Buti, non fu inviato. (4) -Cfr. n. 643.
658

IL SEGRETARIO DI LEGAZIONE, P. CORTESE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

RELAZIONE. Roma, 21 maggio 1933.

Reduce da un soggiorno a Vienna, durante il quale si sono verificati il rimpasto del Gabinetto, la visita di propaganda dei ministri nazional-socialisti e l'adunata delle Heimwehren, ho il piacere di riferire che l'azione intrapresa dal signor Dollfuss con l'appoggio di V. E. sta dando i suoi frutti:

Il fronte patriottico austriaco è costituito. L'intesa Dollfuss-Starhemberg è un fatto compiuto. Essa si è realizzata sopratutto a spese delle Heimwehren, ma non poteva e non doveva essere diversamente dato che Starhemberg non ha la stoffa di un duce mentre Dollfuss è quanto meno un uomo di Governo abile, intelligente e che sa quello che vuole.

L'inclusione delle Heimwehren nella cosidetta «exekutive » quale polizia ausiliaria, ha tolto al movimento combattentistico l'autonomia goduta sinora, per cui non sono mancate le accuse a Starhemberg di aver tradito l'organizzazione. Ciò ha alimentato il vento di fronda che già soffiava contro il principe e ha reso necessario l'intervento di Dollfuss in sua difesa. La dichiarazione che ne è seguita è stata provvidenziale. I capi provinciali, nessuno dei quali può reggere il paragone con Starhemberg, che se non è un genio è almeno onesto e leale, ha un gran nome e anima di soldato, si sono dovuti adattare alla situazione e fare buon viso e cattivo giuoco. La grande adunata di Schonbrunn è servita a mettere il Capo federale a diretto contatto coi gregari di tutti i «Lander », ed è stata certamente utilissima. La partecipazine del Cancelliere in uni

forme di combattente, l'elogio da lui fatto di Starhemberg, degno discendente

del comandante supremo delle truppe imperiali assediate in Vienna nel 1683

e padre spirituale dell'idea del fronte patriottico, rimarranno impressi nell'animo

dei militi e rafforzeranno la loro fiducia nel principe di Starhemberg. L'esalta

zione poi delle Heimwehren come protagoniste della stovia austriaca e il solenne

giuramento del Cancelliere di voler ricambiare la loro fedeltà con pari fedeltà

nella lotta per la patria, faranno serrare maggiormente le file delle Heimweh

ren .intorno al binomio Dollfuss-Starhemberg.

L'invocazione rivolta dal Principe al Cancelliere in nome del popolo austriaco e dei battaglioni di Heimwehren schierati nel parco di Schonbrunn, di guidare l'Austria verso la salvezza, equivale al riconoscimento di Dollfuss come capo del fronte patriotico e come artefice del risollevamento della nazione. È chiaro che tutto ciò significa sottomissione del movimento heimwehrista al Cancelliere. Meglio questa però che un'autonomia sterile per mancanza di un vero grande capo. Si deve poi riconoscere che Dollfuss non si lascia guidare da interessi di partito, che potrebbero costituire una minaccia per le Heimwehren. Il suo fine è il rafforzamento del fronte patriottico con quanti più buoni austriaci sia possibile, al solo scopo di assicurare l'indipendenza del paese.

L'altro sostegno, e certo il maggiore, del fronte patriottico, è il partito cristiano-sociale. Sotto la sferza degli ultimi attacchi socialisti e nazisti, esso si è raccolto, ha ricuperato la fiducia in se stesso, sembra animato da grande fervore. Dalla difensiva in cui è stato costretto dalla veemenza dei suoi avversari, si accinge a passare alla contro-offens-iva su tutta la linea. Un'azione di propaganda in grande stile è preannunciata per il prossimo giugno. Nel campo tattico il partito si propone di appoggiare incondizionatamente il Governo, in quello programmatico vuol essere il custode di un'Austria cattolica e indipendente. Anche i cristiano-sociali hanno giurato fedeltà al Cancelliere, lo ha fatto per tutti il capo del partito Vaugoin nel recente congresso di Salisburgo.

Contro il fronte patriottico sta il nazismo. Questo respinge «chiaramente e consapevolmente una indipendenza nel senso dei dettami di San Germano e si professa fedele alla comunità di sorte di tutto il germanesimo ed all'idea dell'annessiOIIle al Reich tedesco ... (Comunicato diramato a Linz il 15 covrente in occasione dell'ingresso anche formale del partito pangermanista austriaco nel fronte nazionale, comprendente già il partito nazional-socialista austriaco e le Heimwehren della Stiria).

Dopo la visita di Goering a Roma si era potuto notare sulla stampa nazista un certo affievolimento della campagna pro' annessione. Ma la propaganda è stata ripresa in pieno e con ardore ancora maggiore dai Ministri tedeschi recatisi in Austria, malgrado fosse stato loro detto in tutti i modi dal Governo e dalla stampa avversaria che non erano ospiti graditi.

Il Signor Frank ha insultato il Signor Dollfuss e il Governo federale, il Signor Kerrl ha esortato il popolo tedesco dell'Austria a liberarsi e ad unirsi alla grande patria germanica, il signor Freissler ha incitato addirittura alla ribellione contro la tirannide. Il loro esempio è stato seguito a breve distanza di tempo dal famigerato ex-presidente di polizia, signor Brandi, in un discorso da lui tenuto a Vienna.

50 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XIII

Chi sta in disparte è il partito social-democratico. Per sottrarsi ai colpi del Cancelliere esso evita di provocarlo e subisce passivamente imposizioni di ogni genere: (scioglimento dello Schutzbund, divieto di comizi, di cortei oo maggio), di uniformi e così via). Durante il Congresso del partito, nello scorso aprile, si delinearono forti divergenze di vedute fra l'ala moderata CRenner) e quella estremista (Bauer). Ma la cosa non ebbe il seguito sperato dagli avversari del partito. È stata invece resa pubblica qualche tempo dopo (Arbeiterzeitung del 13 corrente) una risoluzione programmatica, nella quale è esposto con molta chiarezza il punto di vista social-democratico di fronte al problema interno ed estero dell'Austria. Il partito si dichiara contro l'annessione, finché questa non può riferirsi che ad una Germania hitleriana, ma anche contro l'indipendenza di un'Austria clerico-fascista, o asburgica. Come avversa l'annessione alla Germania della controrivoluzione, così respinge ogni rapporto di vassallaggio verso l'Italia fascista, e combatte ogni unione con l'Ungheria controrivoluzionaria. Nell'attuale periodo storico esso dichiara di avere il compito di lottare per un'Austria democratica e neutrale, quale asilo di libertà tedesca. Per raggiungere questo fine l'Austria deve conservare la propria libertà ed osservare un'assoluta neutralità nei confronti di tutti gli altri Stati. Modo per riuscirvi: la neutralizzazione.

Fatta questa breve rassegna delle principali forze politiche oggi in contrasto in Austria, riassumo le mie impressioni sulle loro rispettive possibilità di azione e di successo.

Le Heimwehren rappresentano una forza nelle campagne, non nelle città. Esse sono sorte per preservare la patria dalla rovina marxista, esse ricordano e celebrano i fasti del passato, dovrebbero trarre da questi incitamento per nuove imprese e nuove glorie. Ma il loro spirito rimane difensivo. Lo si intuisce anche dal genere del loro entusiasmo, calmo, compassato. Vi influisce forse la disciplina militare dell'organizzazione nonché il fatto che si tratta in massima parte di contadini, ma la causa principale deve ricercarsi nell'assenza di una ideologia di carattere sociale. Starhemberg personalmente non manca occasione per proclamare la sua fede fascista e per propugnare la fascistizzazione dello Stato indipendente austriaco. Egli ha anche costituito un ufficio corporativo ed economico in seno al partito, che ha peraltro affidato a Jakoncig, individuo molto infido. Ma tutto è ancora da fare in questo campo: mancano le persone capaci e nemmeno il terreno sembra molto adatto.

Vivace è invece la propaganda negativa come quella contro il marxismo, e

particolarmente violenta quella iniziata da qualche settimana contro il nazismo

e contro l'annessione.

A questa propaganda negativa partecipa attivamente la stampa cristiano

sociale. Ma alle nuove idee del movimento hitleriano, il partito cattolico non

oppone che vecchi principi e vecchie basi. Esso si preoccupa soprattutto di salvare

la tradizione religiosa del paese e denuncia la supremazia dello Stato sulla Chiesa,

voluta dal nazional-socialismo, come il pericolo maggiore per l'avvenire del

popolo austriaco e dell'Austria.

Heimwehren e cristiano-sociali sono poi «handicappati» nella lotta contro il socialismo e contro il nazismo dalla circostanza che mentre gli avversari dispongono di una organizzazione strettamente centralizzata che disciplina l'azione di combattimento, essi stessi sono sorti o si sono sviluppati su di una base federale, che rende difficile l'azione concertata e ferma. In ogni caso tanto le Heimwehren quanto il partito cristiano-sociale usciranno rafforzati dal travaglio di questi ultimi mesi, e il nazismo troverà un osso molto duro nel contadiname e non riuscirà tanto facilmente a conquistare i villaggi, contro i quali già si spuntò a suo tempo la propaganda social-democratica.

Basterà questo però a salvare l'indipendenza austriaca? Le sorti dell'Austria si decidono nelle città o nelle campagne? Sui campi o nelle officine?

La formula del fronte patriottico «l'Austria: secondo Stato tedesco» convince le generazioni anziane, naturalmente conservatrici, e gli ex-combattenti, che hanno sofferto e sanguinato per la patria austriaca, è accetta persino alla gioventù rurale, che per temperamento o per disciplina domestica è contraria alle innovazioni, ma non soddisfa la gioventù studiosa e nemmeno quella operaia. Queste non ricordano l'Austria dei tempi gloriosi e dell'abbondanza, conoscono solo quella attuale della miseria e delle umiliazioni. E vedono accanto a questo staterello senza avvenire, la grande Germania, risorta politicamente e socialmente. Verso il Reich esse si sentono irresistibilmente attratte, e l'ideologia tanto semplice, contenuta nel motto hitleriano «Un popolo uno Stato » è penetrata nel fondo del loro animo e lo ha galvanizzato.

L'entusiasmo dei nazional-socialisti (comizio dei ministri tedeschi nell'arena Engelmann) non ha nulla a che fare con quello delle Heimwehren, dei cristianosociali e di altri partiti borghesi. Esso è fascista. Come il popolo italiano acclama

V. E. al grido ritmico di «Du-ce», «Du-ce», così a Vienna ho sentito gridare dai nazional-socialisti «Heil-Hi-tler » e «Ein Volk » -Ein Reich », con lo stesso impeto, con lo stesso amore.

Il grido viene lanciato da un gruppo, e subito raccolto dal settore adiacente, ripetuto da quello seguente e con un crescendo travolgente prende, in pochi secondi, tutta la folla. L'atmosfera che ne risulta è quella di piazza Venezia quando vi si affaccia V. E.

I nazional-socialisti sono in Austria ancora una minoranza. II linguaggio violento dei loro capi, specie quello dei ministri venuti da Berlino, non è atto a strappare aderenti ai partiti borghesi. Ma esso eccita e trascina i giovani, siano essi studenti, impiegati od operai, e alla gioventù appartiene l'avvenire. L'esempio di Innsbruck insegna.

Del partito social-democratico ho già detto che si tiene in disparte. Esso odia i partiti nazionali ed assiste con vero sadismo alla lotta a coltello che si combatte tra loro. Teme però solo gli hitleriani. La sua efficienza non è stata gran che scossa dai provvedimenti di rigore del Governo, grazie alla tattica seguita di non opporre resistenza. È chiaro che alla lunga questo genere di

difesa non soddisferebbe le masse, ma i capi confidano di poter tirare avanti, senza gravi perdite, sino alla riconvocazione del Parlamento.

***

Personalmente ritengo che i veri guai per la social-democrazia austriaca cominceranno soltanto allora. Vi provvederà il signor Dollfuss, che mentre infierisce oggi palesemente contro il nazismo, prepara in silenzio una riforma radicale della costituzione, diretta a smantellare le posizioni socialiste.

Sono venuto così a parlare del Cancelliere, il quale, come affermai già nel mio primo rapporto sull'Austria (1), rappresenta la chiave di volta della situazione. Alla sua energia si deve se la social-democrazia è oggi tenuta a bada e se il Governo non ha ceduto sotto la pressione nazista in pro' di nuove elezioni.

Il signor Dollfuss è l'unico cristiano-sociale che si evolva. Egli è il solo a capire che in un'epoca in cui tutta l'umanità si agita nella ricerca di forme nuove, non serve aggrapparsi ad una ideologia del passato.

Il programma del Cancelliere è stato reso noto nel recente congresso cristiano-sociale di Salisburgo e le intenzioni che egli non poteva palesare, si possono intuire da certi provvedimenti da lui presi.

Riassumendo direi che Dollfuss si propone:

a) -per mezzo della riforma costituzionale:

1°) -di dare all'economia austriaca un ordinamento corporativo;

2°) -di sottrarre ogni competenza in materia economica all'attuale Consiglio Nazionale (Camera dei Deputati), roccaforte dei socialisti, e conferirla invece al Consiglio Federale, trasformato in camera corporativa;

3°) -di ridurre la potenza del Parlamento facendo in modo che si possa legiferare anche senza il suo consenso;

4°) -di liberare il Comune di Vienna dal predominio socialista, mettendo la Capitale Federale alla diretta dipendenza del Cancelliere. A questo fine verrà verosimilmente abolito il « Land Wien :., dal quale la città oggi dipende e col quale si identifica. Non sarà difficile al Cancelliere trovare poi il pretesto per sciogliere il Comune e nominare un Comissario governativo che attui l'epurazione del Consiglio comunale.

b) -con l'ampliamento del Gabinetto, attuato recentemente il Cancelliere persegue lo scopo:

1°) -di combattere la disoccupazione mediante lo sviluppo dei lavori pubblici (costituzione del Sottosegretariato di Stato per la creazione di lavori atti a lenire la disoccupazione -.Mbeitsbeschaffung -a capo del quale è stato messo un heimwehrista onesto e capace, il Signor Neustatter Sturmer).

2°) -di premere su Parigi perché versi la sua quota-parte del prestito concesso a Losanna (nomina di Buresch, persona grata in Francia, a Ministro delle Finanze);

3°) -di bruciare, mediante la partecipazione al suo Governo, gli uomini politici, più autorevoli e meno fidi dei partiti borghesi: Buresch, cristiano-sociale

di sinistra, verso i social-democratici e Schumj, agrario filo-pangermanista, verso gli hitleriani.

II fatto che Dollfuss abbia sempre bisogno di pretesti per compiere un'azione di forza non significa che egli manchi di spirito offensivo. Le giustificazioni gli occorrono nei confronti del Presidente della Repubblica, senza il cui sostegno egli non può sperare di condurre in porto il suo piano di rinnovamento politico e di ricostruzione economica dell'Austria. (Come è noto a V. E. il signor Miklas è favorevole al rafforzamento del potere esecutivo ma è anche formalisticamente costituzionale) .

Preparata la riforma della costituzione, il Cancelliere si procurerà il consenso dei socialisti al prezzo della riconvocazione della Camera. Ciò dovrebbe accadere in autunno. La lotta sarà dura e l'appoggio del Presidente prezioso, che se poi l'inevitabile reazione socialista dovesse far cadere il Gabinetto, il quale dispone di un solo voto di maggioranza, Dollfuss, sostenuto dal fronte patriottico, potenziato durante l'estate, potrebbe ottenere l'incarico di formare un Gabinetto presidenziale, al quale egli chiamerebbe elementi giovani del partito cristiano-sociale ed altri uomini delle Heimwehren. (È da rilevare che il Cancelliere è già ricorso, nel recente rimpasto, ad alcuni uomini nuovi). Tale per esempio il Signor Stockinger, nominato Ministro del Commercio).

Ma tutto questo è musica dell'avvenire. Oggi come oggi si possono registrare nell'azione di Dollfuss solo due grandi successi: la formazione del fronte patriottico austriaco e la constatazione dell'avversione della maggioranza del popolo austriaco all'Anschluss.

È evidente il nostro interesse di consolidarli. Per quanto riguarda il primo punto non c'è che da continuare a sostenere e Dollfuss e Starhemberg. A quest'ultimo deve essere raccomandato di intensificare al massimo grado la propaganda costruttiva fascista. Chiedere a Dollfuss di insistere pubblicamente sul carattere fascista delle riforme che ha in animo, sarebbe intempestivo. Gli agrari lo abbandonerebbero all'istante e col Gabinetto crollerebbe tutto il piano di Dollfuss, che ho esposto più sopra. (Né Winkler, né Schumj presenziarono l'adunata delle Heimwehren). Sono persuaso invece che il Cancelliere lo farà spontaneamente quando la riforma costituzionale sarà stata approvata e quando egli non avrà più nulla da temere dal passaggio del «Landbund ~ all'opposizione.

Per quanto concerne il secondo risultato ottenuto da Dollfuss, e cioè la constatazione del non consenso austriaco all'Anschluss, mi sembra che se ne debba tentare il consolidamento attraverso la stipulazione di accordi internazionali, atti a promuovere il risollevamento economico dell'Austria. L'ampliamento illimitato degli accordi del Semmering potrebbe forse bastare allo scopo. A questo proposito aggiungo che non si è mai avuta né forse si avrà più una situazione favorevole come l'odierna per indurre l'Austria ad entrare in combinazioni economiche di vasta portata con altri paesi, escludenti la Germania. Senza una simile azione, apportatrice di lavoro e quindi di ordine e di benessere, temo che tutti gli sforzi del Cancelliere e del Presidente per impedire il dilagare del nazismo in Austria e la conseguente inevitabile affermazione dell'idea annessionista, saranno alla lunga frustrati dall'irruenza e dalla baldanza del movimento hitleriano austriaco, che avrà presto dietro di sé tutti i 60 milioni di tedeschi del Reich. Devo perciò concludere anche questo rapporto con l'esortazione a tenere sempre presente allo spirito che ogni ora che lasciamo passare senza correre ai ripari, è a vantaggio dei nazi.

(l) Cfr. n. 308.

659

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. s. 2257/280 R. Washington, 22 maggio 1933, ore 5,45 (per. ore 2 del 23).

Ho comunicato personalmente a Roosevelt contenuto del telegramma di

V. E. n. 264 (1).

Presidente ha accolto mia comunicazione con visibile soddisfazione e mi ha incaricato di esprimere a V. E. suo vivo compiacimento per prontezza con cui

V. E. ha agito.

Egli ha apprezzato in modo particolare argomenti che nostro rappresentante a Tokio è stato incaricato di fare valere presso ministro degli affari esteri giapponese e confida che quel Governo ne rimanga persuaso.

Quanto alla Cina, presidente mi ha detto che conversazioni da lui avute 1n questi giorni col ministro delle finanze signor Soong lo hanno convinto che Governo di Nanchino desidera e sarà quindi lieto di accettare mediazione.

Parlando delle modalità che, nel caso di risposta favorevole da parte di Tokio dovranno essere concretate per offerta formale di mediazione, ho menzionato in via incidentale U.R.S.S ..

Presidente ha riconosciuto che interessi russi in Estremo Oriente sono troppo diretti ed importanti per non tenere conto dell'opportunità di invitare U.R.S.S. ad associarsi alle altre grandi Potenze. Bisognerà però procedere con cautela assicurandosi prima in via non ufficiale delle buone disposizioni sia di Tokio che di Mosca.

Presidente ha anche parlato della necessità di agire in modo non mettersi in contraddizione con S.d.N. e non dare impressione che grandi Potenze intendono sostituirsi ad essa ignorando decisioni prese nel passato a Ginevra.

Roosevelt riconosce che questione è delicata ma ritiene difficoltà potranno essere facilmente superate. Si tratterà al momento opportuno (egli ha detto) di «trovare una formula». A suo avviso sforzi dei mediatori dovrebbero tendere ad ottenere ritiro delle truppe giapponesi dalla Cina vera e propria e dal Jehol ed a persuadere Tokio a riconoscere «sovranità nominale» del Governo cinese in Manciuria pur dando al Giappone ogni possibile garanzia e soddisfazione riguardo suoi diritti ed interessi. Siamo rimasti intesi che vedrò nuovamente presidente appena V. E. mi avrà fatto conoscere risposta di Tokio e che scambio di idee continuerà a svolgersi in via del tutto personale fin quando non sarà constatata opportunità di iniziare azione ufficiale.

(l) Cfr. n. 654, nota 2.

660

L'INCARICATO D'AFFARI A TOKIO, WEILL SCHOTT, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2247/78 R. Tokio, 22 maggio 1933, ore 7,45 (per. ore 22).

Telegramma di V. E. n. 20 (1). Oggi mi sono recato da questo ministro degli affari esteri e, dopo avergli esposto i motivi e la considerazione determinante, gli ho chiesto a nome di

V. E. se Giappone sarebbe disposto ad accogliere, in linea di principio, una mediazione delle grandi Potenze nel conflitto cino-giapponese.

Conte Uchida mi ha risposto che egli comprendeva altissimo proposito che ispirava l'azione dell'E. V. e, dopo avermi chiesto se questione della Manciuria dovesse essere inclusa fra gli scopi della eventuale mediazione, ha soggiunto:

«In caso affermativo, fino a nuovo ordine Governo imperiale si trova nell'assoluta impossibilità di consentire ad un intervento di altre Potenze poiché pel Giappone la questione è stata risolta colla costituzione dei Manchukuo: fu per difendere e riaffermare tale determinazione che questo paese, conscio della gravità dell'atto che compieva, si decise ad abbandonare la Lega delle Nazioni'>.

Dalla conversazione che ne è seguita ho rilevato che anche una mediazione di carattere più limitato sarebbe difficilmente accolta. Conte Uchida mi ha detto che, nel momento attuale, la sola probabilità di soluzione del conflitto sta nelle tratative dirette fra la Cina ed il Giappone.

Se le grandi Potenze volessero svolgere nei riguardi della Cina un'opera di persuasione in questo senso, la situazione non tarderebbe a migliorare; ma un loro intervento, anche se dettato dal più ardente desiderio di pace, non potrebbe in alcun modo giovare.

Ho fatto notare al conte Uchida l'isolamento del Giappone, mentre le Potenze del mondo intero tendono ad unirsi per instaurare un periodo di tregua.

Mi ha risposto che il Giappone sapeva di essere solo ma che fidava nel tempo, per il riconoscimento del suo diritto e nella fermezza dello spirito nazionale per supem,re le gravissime diff~coltà che ogg! lo acceJ:chiano <2).

661

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2240/353 R. Parigi, 22 maggio 1933, ore 13 (per. ore 14,20).

Telegrammi e corrispondenza da Roma ai giornali francesi, danno risalto all'ottimismo degli ambienti politici responsabili in Italia circa patto a quattro del quale sarebbe imminente la firma.

Alcuni giornali francesi mettono in relazione conclusione patto con l'Anschluss e osservano che il Capo del Governo, ottenendo firma del patto, impegna la Germania a non procedere oltre nell'Anschluss che è per l'Italia questione di vita o di morte.

In questo senso si esprime nella République Pierre Dominique il quale invita i governanti a vigilare perché la Francia [non sia] sacrificata. Le anzidette perplessità francesi mi inducono a prospettare opportunità moderare manifestazioni di ottimismo per non pregiudicare la riuscita finale.

Mi pare poter riassumere presente stato delle cose nei seguenti termini: urgenza firmare il patto ed opportunità di reprimere, nei limiti del possibile le esplosioni giubilo e tenendo presenti le difficoltà che il patto potrà incontrare alla Camera dei deputati e Senato francesi in relazione alla oscura situazione parlamentare.

Daladier è certamente scosso. Esso risente del dissidio manifestatosi nuovamente fra Camera e Senato a proposito di ulteriori economie che il Senato esige, all'infuori dei crediti militari, mentre la maggioranza di sinistra della Camera sembra disposta ad incidere nuovamente sui bilanci militari. Continua col numero successivo (1).

(l) -Cfr. n. 654. (2) -Ritrasmesso a Rosso perché ne desse comunicazione a Roosevelt con t. 1128/274 R. del 24 maggio.
662

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2245/354 R. Parigi, 22 maggio 1933, ore 19,40 (per. ore 21).

Seguito del nume,ro precedente (2).

Per di più Caillaux che ha sostenuto finora fermamente il Ministero, dà segno di freddezza verso Daladier. Resta infine l'incognita Herriot. Quest'ultimo è da tempo in agguato per fare scivolare Daladier e sosti

tuirsi a lui. Il terreno finanziario potrebbe costituire in apparenza un campo adatto di manovra per fare cadere il Gabinetto e togliere a Daladier la possibilità di firmare il patto a 4.

Le circostanze di fatto alle quali mi sono riferito, mentre giustificano l'urgenza di addivenire ad atti conclusivi per il patto, richiedono nello stesso tempo la maggiore prudenza da parte nostra anche dopo la eventuale firma dell'accordo a 4.

Bisogna tener presente che Herriot capo riconosciuto delle falangi radicali. non permette ad altri che a lui di conseguire successi. Non voglio con questo affermare che egli riuscirà, in ultima analisi, ad avere ragione di Daladier il quale ha dimostrato negli ultimi mesi di possedere

(-2) Cfr. n. 661.

no

fiuto parlamentare e di essere abile moderatore. Però occorre non fornire ad Herriot armi da impiegare contro il rivale con pregiudizio per il patto. A mio avviso subordinato perciò sarebbe prudente che la nostra stampa non insistesse oltre misura, per il momento, sul grande successo che rappresenta il patto, ed esaltasse invece lo spirito di collaborazione europeo dimostrato dal Duce il quale è riuscito a realizzare l'intesa delle 4 grandi Potenze occidentali, ciò che solo due mesi fa poteva sembrare una chimera.

(1) -Cfr. n. 662.
663

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2252/431 R. Londra, 22 maggio 1933, ore 20,25 (per. ore 2,45 del 23).

Ho trascorso giornata di ieri domenica ospite di Vansittart sua casa fuori Londra, insieme MacDonald che Vansittart aveva espressamente invitato scopo fornire primo ministro e sottoscritto occasione avere esauriente scambio di vedute con pieno agio e tranquillità.

Abbiamo esaminato con MacDonald una dopo l'altra stato attuale varie questioni, e io ho esposto con ogni dettaglio punto di vista di V. E. quale risulta dai telegrammi di istruzioni pervenutimi ultimamente.

1°) Situazione tedesca.

MacDonald mi ha dichiarato per suo conto i due discorsi di Hitler nuovo essenziale punto di partenza nello svolgimento politica europea, circa la quale egli dichiara essere oggi pieno speranza.

«Non appena Ietto discorso Hitler -ha detto MacDonald -mio primo impulso è stato prendere penna e scrivere al Duce per dirgli quello che è mia profonda convinzione: Europa deve a Musso lini, soltanto a Musso lini, e alla sua personale influenza su Hitler, inaspettato e fortunato cambiamento situazione. È questo grande servizio reso da Mussolini alla pace del mondo. Vi prego di ripetere ciò al Duce da parte mia».

Sempre a proposito Germania MacDonald mi ha detto che egli diffida di von Papen e Neurath, esponenti vecchia Germania nazionalista e persone di scarsa sensibilità politica, mentre egli confida che con Hitler, capo di un movimento popolare e rivoluzionario, sarà meno difficile anche in seguito imporsi e collaborare.

2°) Patto a 4.

MacDonald ha ascoltato con visibile interesse quanto gli ho detto da parte di V. E. Anche egli ritiene che bisogna fare tutto il possibile sia un fatto compiuto prima del 12 giugno. Ormai maggiori difficoltà dovrebbero considerarsi eliminate.

MacDonald ha dato istruzioni a Vansittart di agire subito a Parigi per coadiuvare opera che attualmente V. E. sta svolgendo a Roma e che MacDonald mi ha detto considerare come l'azione determinante e decisiva. Egli attendeva rapporto progetto Graham sull'incontro di sabato con V. E. ma intanto egli avrebbe ieri sera stessa fatto passare voce in questa stampa scopo orientare vieppm questa opinione pubblica nel senso di un'imminente definizione del Patto a 4.

3°) Messaggio Roosevelt, e questione debiti.

Assai meno ottimista è stato primo ministro su questo punto. MacDonald non ha nascosto suo vivo disappunto per strano modo procedere presidente americano dal quale, egli ha detto, ci è assai poco da sperare. Messaggio Roosevelt non ha, secondo MacDonald, alcun contenuto di pratica serietà e aumenterà confusione ed imbarazzi.

MacDonald mi ha confessato di essere tornato dal suo viaggio d'America a mani vuote, e per ora non rimane altro se non speranza che saggezza entri all'ultimo momento nella testa degli americani.

Ho chiesto MacDonald che cosa in pratica pensa Governo inglese di fare per la scadenza del 15 giugno. MacDonald si è stretto nelle spalle, e mi ha risposto che il Governo prenderà una decisione ultimo minuto, perché sino a ultimo minuto egli spererà in qualche gesto da parte Roosevelt.

Su tale argomento come su programma lavori imminenti per conferenza economica, MacDonald mi ha dato impressione di essere tuttora incerto e disorientato.

Ma in complesso ho trovato ieri MacDonald in condizioni di spirito migliori dell'ultima volta. Le buone notizie giunte da Roma, da Berlino e da Ginevra, la favorevole accoglienza del suo piano di disarmo che sino a una settimana fa sembrava naufragare, l'attiva ripresa dei negoziati del patto a quattro, e in genere la migliore atmosfera europea hanno notevolmente contribuito in questi ultimi giorni a controbilanciare insuccesso del suo viaggio in America.

664

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. 1109/219 R. Roma, 22 maggio 1933, ore 24.

Faccia sapere a chi di ragione che discorso berlinese dott. Frank (l) è in contrasto nettissimo colle reiterate dichiarazioni di Goering circa Anschluss e che questa duplicità di atteggiamento potrebbe avere conseguenze di considerevole portata.

(l) Il 21 maggio a Berl!n>J nel corso di dimostrazioni studentesche contro l'Austria, Frank aveva affermato tra l'altro che la Germania non avrebbe mal rinunz;ato alle proprie aspirazioninazwnall.

665

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2276/85 R. Vienna, 22 maggio 1933 (per. il 24).

Peter mi ha detto apparire ormai sempre più che il Governo di Berlino, vista l'impossibilità di tentare in oggi le altre sue rivendicazioni internazionali, intenda attaccarsi all'Austria come ad un punto di minore resistenza, nella ferma determinazione di pervenire all'Anschluss.

Ha aggiunto che questa sua sensazione è comprovata dalla ripresa della campagna nazista, dai continui incidenti provocati dagli emissari del Reich, nonché dalla recente «audace» attività propagandista degli stessi membri del Governo tedesco.

Peter mi ha poi accennato di aver ricevuto stamani stesso una breve comunicazione telefonica, da Berlino, circa una dichiarazione che il ministro Goring avrebbe fatto colà, subito dopo il suo ritorno da Roma. Egli avrebbe dichiarato che non esiste una questione dell'Anschluss.

Peter era incline ad ascrivere questo «ravvedimento tedesco» ad un probabile personale intervento di V. E. presso il signor Goring, nell'ultimo colloquio romano.

666

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2277/86 R. Vienna, 22 maggio 1933 (per. il 24).

Il principe Starhemberg, desiderando venire a Roma per ragguagliare S. E. il Capo del Governo sull'attuale situazione e per presentargli un album contenente fotografie dell'adunata delle Heimwehren, ha chiesto se questa sua visita debba aver luogo prima o dopo la prossima venuta del cancelliere a Roma.

Mi permetto segnalare l'opportunità che l'eventuale visita del principe Starhemberg avvenga posteriormente a quella del cancelliere.

Infatti, se è vero che in oggi fra i due anzidetti personaggi corre la migliore intesa, sembra tuttavia opportuno che il cancelliere abbia la precedenza, pur sempre dandogli l'impressione che i nostri rapporti di simpatia per lo Starhemberg e per il movimento « autonomo>> delle Heimwehren vogliono esercitarsi in modo «diretto ».

Da tale sensazione il cancelliere potrebbe essere indotto a non rafforzare maggiormente la sua disposizione a sovrapporre interamente la sua persona a quella del principe Starhemberg: e ciò almeno fin quando l'azione politica del cancelliere non divenga tale da darci una assoluta garanzia e determinarci conseguentemente a rinunziare a quel controllo che adesso si ha il modo di effettuare attraverso lo Starhemberg.

A questo proposito desidero riferire a V. E. che, nella conversazione avuta ieri col signor Gtimbtis (mio telegramma n. 196) (1), il Cancelliere lo ha intrattenuto anche sulla sua idea di formare un «fronte nazionale austriaco», un «partito dell'Austria>>, un «blocco nazionale», insomma una organizzazione politica che trascendesse i limiti del partito cristiano-sociale e del movimento delle Heimwehren.

Come V. E. lo ricorderà, un analogo progetto mi fu affacciato, fin da quattro mesi fa, dal principe Starhemberg, come naturale sbocco del movimento da lui capeggiato. Senonché detto progetto è stato di poi invocato -sia pure come un artificioso espediente -dal signor Jakoncig, dal signor Steidle e dal conte Alberti per la loro nota recente congiura contro lo Starhemberg, sostenendo essi che tale fusione metterebbe fine alle Heimwehren, senza tuttavia riuscire ad aumentare le forze del partito cristiano-sociale.

Ora a me pare che il progetto in questione, pur destinato ad essere, avanti le future elezioni, la conclusione logica degli sforzi che qui si vanno compiendo, potrebbe oggi essere alquanto prematuro. Esso infatti potrebbe produrre scissioni, dar esca ad equivoci, a dissidenze reali o artificiose, e forse rendere troppo di buon ora «autonomo» il Cancelliere, come si è detto innanzi.

667

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2295/377 R. Berlino, 22 maggio 1933 (per. il 25).

Telegramma di V. E. n. 214 (2) e conversazione telefonica del 21 maggio, ore 21,30 con S. E. Suvich.

Ho procurato iersera di conferire con Goering, che fu irreperibile. Venne invece da me il suo aiutante che mi recò le carte portate da Goering da Roma. Gli diedi un appunto in cui erano indicate le varianti alla seconda parte dell'art. 3 comunicatomi da V. E. in seguito ai colloqui avuti con gli ambasciatori di Francia e di Inghilterra.

Stamane Goering mi convocò prima per le 8 poi per le 9,30. Era di pessimo umore a causa della modificazione all'art. 3 proposta. Non sto a riferire le sue obiezioni perché egli mi disse di averle esposte anche a V. E. Feci del mio meglio per indurlo a recedere dalla posizione rigidamente negativa assunta, facendo valere le varie ragioni che ci inducono a sperare nella formazione di uno spirito nuovo meno ostile dopo la firma del patto a quattro. Riuscii ad ottenere che egli mi promettesse di non insistere presso il cancelliere ed il ministro degli affari esteri nel senso che si rigettasse senz'altro la modificazione proposta all'articolo 3.

Ho veduto il barone von Neurath alle 13. Egli era al corrente delle varianti proposte per averle apprese da Goering e si mostrò pure male impressionato.

Mi ha detto che non gli piaceva nemmeno l'attuale redazione detl'art. 3 (aveva dinanzi a sé la redazione del 20 maggio (l) che io non possiedo ancora), in cui è detto in un periodo separato che « la France, la Grande Bretagne, et l'ltalie se concerteront avec l'Allemagne sur les modalités à appliquer pour réaliser le principe de l'égalité des droits >>. Egli scorgeva infatti in una simile redazione la conferma dell'intenzione della Francia di trattare sempre ancora la Germania come Potenza « non uguale » alla quale si può tutt'al più concedere qualcosa che non ha però diritto di ottenere.

Feci del mio meglio per convincere anche il barone von Neurath che la variante « tel qu'il a été reconnu » non costituiva tutti quei pericoli che tanto egli che Goering scorgevano.

Il ministro degli affari esteri osservò che il governo tedesco non scorgeva, nel patto a quattro così come è attualmente redatto, alcun vantaggio per sé, mentre la cosa sarebbe stata assai diversa qualora si fosse mantenuta la redazione originale di V. E.

Il problema per il Governo tedesco era ora essenzialmente quello di mostrare all'E. V. il suo vivo desiderio di non sollevare alcuna nuova difficoltà. Il barone von Neurath finì quindi per dirmi che, esclusivamente per deferenza verso V. E., egli si proponeva di accettare « se così deve essere » anche la variante « tel qu'il a été reconnu ».

Non conosceva però ancora al riguardo il parere del cancelliere che è partito stamane per Kiel e tornerà soltanto domani sera a Berlino.

Barone von Neurath mi disse dopo di ciò che, ad ogni modo, avrebbe ancora escogitato nel pomeriggio una formula da far proporre questa sera stessa dall'ambasciatore von Hassell che aveva un appuntamento con S. E. Suvich.

Ho comunicato per telefono, in riassunto, quanto precede al comm. Jacomoni oggi alle ore 13,50.

(2) -Cfr. n. 656, Inviato a Berlino con protocollo particolare 214. (l) -T. 2224/196 R. del 21 maggio, non pubblicato.
668

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 22 maggio 1933.

Durante una conversazione col cav. Lo Faro, l'Incaricato d'Affari d'Albania ha prospettato l'opportunità che Re Zog venga in visita a Roma per chiarire direttamente con S. E. il Capo del Governo la situazione dei rapporti italo-albanesi.

Richiesto dal signor Shtylla di avviso personale in proposito, Lo Faro gli ha risposto che la prima visita ufficiale di Re Zog a Roma non poteva avere altro motivo che quello di rendere doveroso omaggio di gratitudine a S. M. il

(lJ Cfr. n. 650.

Re d'Italia e a S. E. il Capo del Governo. Ma una tale visita di omaggio richiede un'atmosfera politica più favorevole di quella attuale.

Il R. Ministro a Tirana -presentemente a Roma -ha d'altra parte informato che lo Shtylla sarebbe incaricato dal suo Governo di preparare qui il terreno all'invio di una Delegazione straordinaria, di cui farebbero parte anche i più autorevoli membri del Governo stesso, allo scopo di esaminare direttamente col Governo italiano, e all'infuori della R. Legazione a Tirana, l'attuale situazione dei rapporti itala-albanesi.

Di tanto si è creduto di dare notizia per l'ipotesi che le su accennate proposte siano portate dal Signor Shtylla a S. E. il Capo del Governo nell'udienza di domani (l).

669

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2251/53 R. Ginevra, 23 maggio 1933, ore 0,12 (per. ore 2,45).

Davis ha pronunciato oggi suo tanto atteso discorso. Si è però mantenuto strettamente nei limiti del messaggio Roosevelt sicché ha provocato piuttosto una delusione per quelli che si aspettavano qualche novità.

A richiesta pressante della presidenza che desidera una presa di posizione immediata delle grandi Potenze ho pronunciato breve discorso tenendomi nelle linee generali di adesione al messaggio Roosevelt, mettendo specialmente in rilievo parte che riguarda disarmo qualitativo e soppressione armi offensive. Ricordando e confermando nostra adesione al piano britannico ho colto occasione per accennare che tale adesione incondizionata dipendeva da adesione parimenti completa degli altri il che non sembrava verificarsi di modo che avremmo dovuto anche noi chiedere modifiche sui punti di nostro vitale interesse.

Ho chiuso con un chiaro accenno alla nostra attività diplomatica che si svolge anche al di fuori conferenza, ma sempre nel senso di ottenere l'accordo delle volontà là dove esso può essere discordante.

Simon da parte sua ha ringraziato Davis e Governo americano per l'adesione di massima al piano britannico e per la attiva collaborazione promessa al disarmo, aggiungendo una speciale e significativa menzione dell'appoggio cordiale che il piano ha avuto fin dall'inizio da parte Italia. Ha chiuso esortando conferenza a trarre le conclusioni logiche da tanti consensi cominciando a realizzarli fissando i dettagli del piano articolo per articolo.

Quest'ultima frase ha fornito al signor Paul Boncour lo spunto desiderato per uscire dalle strettoie in cui delegazione francese si sarebbe trovata ridotta se si fosse annunciato esame articoli parte Il relativa materiale. Egli si è dichiarato d'accordo con Simon aggiungendo però che siccome il signor Davis aveva reso nota l'attitudine degli Stati Uniti nella parte I, egli proponeva di

cominciare esame piano britannico articolo per articolo della I parte, cioè della sicurezza.

Proposta Boncour ha suscitato grande impressione essendo chiaro che delegazione francese ritorna alla tattica di trincerarsi dietro la questione della sicurezza prima di procedere a compromissioni in materia di disarmo propriamente detto. Inglesi ed americani erano evtdentemente i più delusi e turbati.

Norman Davis si è subito alzato combattendo proposta Boncour e dichiarando che appunto perché le idee americane in fatto di sicurezza erano ormai note conveniva subito passare alle parte disarmo qualitativo. Ma di fronte alla proposta francese che, se messa ai voti, avrebbe potuto dividere subito la commissione generale in due campi, suggerì di radunare domani il bureau per decidere intorno a questa questione di procedura.

Henderson sottopose subito questione alla decisione della commissione col solito sistema di chiedere se nessuno aveva obiezioni, per cui riunione del bureau è stata approvata unanimità.

Henderson ha convocato per domattina delegati cinque grandi Potenze per discutere situazione e trovare prima della seduta del bureau una via di uscita dalla situazione imbarazzante in cui la conferenza è caduta subito alla prima seduta della ripresa.

Da tutti si nota che nello spazio di otto giorni le parti si sono invertite e la Francia si è trovata oggi· nella posizione imbarazzante in cui trovavasi prima la Germania.

Dopo seduta mi sono incontrato con Simon per parlargli circa patto a quattro. Su ciò riferirò a parte (1). Egli ne ha approfittato per parlarmi difficoltà procedura sorte conferenza disarmo. In proposito egli aveva diretto lettera Norman Davis, della quale mi ha dato visione, contenente proposta deferire esame articoli della prima parte progetto inglese al comitato di sicurezza allo scopo venire parztalmente incontro richiesta Boncour e nello stesso tempo continuare discussioni terza Parte progetto inglese in seno ufficio presidenza. Tale proposta transazionale sarà oggetto conversazione alla quale presidente ci ha invitati per domani mattina.

(l) Cfr. n. 676.

670

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2249/54 R. Ginevra, 23 maggio 1933, ore 0,15 (per. ore 2).

Parlato con Simon patto quattro. Mi ha chiesto schiarimenti cima ultime due difficoltà sorte, e cioè circa richiamo articolo 16 Covenant nell'art. l progetto patto nonché circa aggiunte proposte da Jouvenel all'articolo tre stesso

progetto. Mi ha chiesto di pregare V. E. di indurre Germania accettare prima delle due formule di modifica all'articolo tre [proposte] da Jouvenel. Dal canto suo egli si metterà subito comunicazione Londra per indurre Governo inglese a non opporsi al richiamo articolo 16 Covenant nell'articolo l patto.

Mi ha detto di fare queste proposte a me unicamente allo scopo sormontare ultime difficoltà. Consiglio dei ministri mercoledì deciderà. Ha aggiunto che qualora si avesse tale soluzione favorevole egli sarebbe pronto parafare immediatamente accordo Ginevra. Mi ha detto di essere entrato completamente ordine di idee V. E. sulla necessità patto allo scopo raggiungere détente per disarmo nonché per conferenza Londra. In via strettamente confidenziale gli ho accennato che qualora accordo fos.se parafato Ginevra firma, dovrebbe avvenire a Roma. Egli mi ha compreso ma mi ha detto che MacDonald sarebbesi forse trovato impossibilità venire a Roma ma che egli sarebbe stato lietissimo di sostituirlo.

(l) Cfr. n. 670.

671

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL CAPO GABINETTO, ALOISI, A GINEVRA, E AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, CERRUTI, A LONDRA, GRANDI, A PARIGI, PIGNATTI, E A WASHINGTON, ROSSO

T. 1108 R. Roma, 23 maggio 1933.

(Per tutti meno Ginevra) Ho telegrafato a S. E. Aloi,si a Ginevra quanto segue:

(Per tutti) Prego V. E. nelle conversazioni che potrà avere con Simon e Paul Boncour insistere su inopportunità intransigenza francese riguardo due punti del patto a quattro rimasti ancora sospesi e cioè a proposito articolo 2 citazione articolo 16 Covenant, a proposito articolo 3 citazione risoluzione 11 dicembre 1932 (1). Riguardo articolo 16 Covenant punti di vista inglese e italiano concordano inopportunità tale citazione ciò che evidentemente non vuol dire svalutazione detto articolo, come non sono svalutati tutti altri articoli del Covenant che non sono citati. Riguardo articolo 3 ultima formula proposta che dice: «principio della parità dei diritti riconosciuto con la dichiarazione del1'11 dicembre 1932 » dovrebbe essere accettabile senz'altro dalla Francia, se non si vuole fare opposizione per principio. Difatti la citazione della risoluzione non può lasciare dubbio che la parità dei diritti è riconosciuta nel regime previsto nella detta risoluzione, d'altra parte citare espressamente nel patto a quattro la condizione posta nella sopradetta risoluzione rinforzerebbe nella opinione pubblica germanica impressione che il riconoscimento non sia fatto sinceramente e lealmente. Pregola anche ricordare che oltre ad aver preso per base delle nuove discussioni il testo francese si è data soddisfazione alla Francia su quasi tutti i punti da lei sollevati. Una ~nsistenza ulteriore sulle attuali residue riserve darebbe l'impressione veramente di una mancanza di buona volonta.

(l) Cfr. serle VII, vol. XII, n. 530.

672

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, CERRUTI, A LONDRA, GRANDI, A PARIGI, PIGNATTI, A WASHINGTON, ROSSO E AI MINISTRI A BELGRADO, GALLI, A BUCAREST, SOLA, A BUDAPEST, COLONNA, A PRAGA, ROCCO, E A VIENNA, PREZIOSI

T. 1110 R. Roma, 23 maggio 1933, ore 2,30.

(SoZo per Budapest) Ho telegrafato Vienna quanto segue:

(Per Parigi, Londra, Washington, Berlino, Praga, Belgrado, Bucarest) Per sua informazione comunico telegramma spedito Vienna:

(Per tutti) Relazione voci sparse occasione recente venuta Goering pregola informare cancelliere che scopo principale detto viaggio è stato quello di trovare accordo su patto a quattro. Riguardo problema austriaco ministro Goering ha confermato sua ferma intenzione agire energicamente per elim~nare ogni propaganda per Anschluss che Governo tedesco ritiene inopportuna e intempestiva. Riguardo questo ultimo problema non sono state fatte altre dichiarazioni. Data questa situazione non pare opportuno come da desiderio espressomi attraverso ministro Egger sollevare questione Anschluss nella stampa italiana.

(Solo per Budapest) Pregola informare presidente Gtimbtis.

673

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2261/56 R. Ginevra, 23 maggio 1933, ore 17,30 (per. ore 23).

Mio telegramma n. 53 (l).

Riunione dei cinque stamane ha messo nettamente tendenza francese di fronte a quella degli altri quattro. Boncour in diversi e fermi discorsi ha dichiarato apertamente che delegazione francese deve subordinare qualsiasi compromissione in fatto di disarmo di materiale alle decisioni in materia sicurezza e specialmente al patto di mutua assistenza continentale europeo. Siccome posizioni negative Inghilterra Germania ed Italia di fronte alla mutua assistenza europea sono ben note, è chiaro che delegazione francese avrebbe voluto provocare un nuovo arresto dei lavori sull'articolo 6 del piano britannico anziché compromettersi nella discussione del materiale.

Dopo lunga discussione è stata adottata con poca soddisfazione di tutte le parti proposizione intermedia del presidente. Commissione discuterà alternativamente materiale e sicurezza un giorno per ciascuno sotto forma prima lettura cominciando oggi dal materiale. Nel frattempo noto comitato di sicu

51 -Documenti diplomatici -serie VII -Vol. XIII

rezza, sul quale vedi ultimo rapporto n. 74/13 in data 22 corrente (l); di questa delegazione, appronterà testi per sottoporli commissione generale. Decisione è stata senza molti complimenti presentata al Bureau nella stessa mattinata e fatta votare alla solita unanimità del silenzio.

(l) Cfr. n. 669.

674

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2271/197 R. Vienna, 23 maggio 1933, ore 2!. (per. ore 7 del 24).

Telegramma di V. E. n. 120 (2).

Cancelliere ringrazia vivamente V. E. cortese comunicazione. Egli spera che intenzioni manifestate a V. E. da ministro Goering trovino presto corrispondenza nell'atteggiamento del Reich verso l'Austria.

Cancelliere ha poi notato che il Governo tedesco, mentre giunge a compromessi ed intese da per ogni dove (Polonia compresa), continua invece ad attaccare Austria, ritenendola come il punto di minore importanza.

A tale riguardo egli ha attirato mia attenzione sull'ostile discorso che il ministro Frank ha tenuto sabato agli studenti di Berlino quasi nello stesso momento in cui Goering si intratteneva con V. E. (mio telegramma per corriere n. 84) (3).

Circa detto discorso egli ha fra l'altro notato che insistenza con la qual0 ministro Frank si è riferito all'Austria definendola «nostra Austria~ tocca non soltanto il Governo austriaco (che ha protestato, benché in guisa da non aggravare incidente), ma anche tutte le grandi Potenze che si interessano alla indipendenza dell'Austria.

Per quanto concerne infine accenno fattomi da Peter (mio telegramma per corriere n. 85) (4), circa pubbliche dichiarazioni che il ministro Goering avrebbe fatto ieri stesso relativamente «inesistenza questione Anschluss ~. cancelliere mi ha detto non avere alcuna notizia.

675

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI

T. 1121/292 R. Roma, 23 maggio 1933, ore 24.

Suoi 353 e 354 (5). Notizie riportate da codesta stampa circa ottimismo opmwne pubblica e stampa italiana circa patto a 4 non corrispondono alla realtà. La stampa ita

(-4) Cfr. n. 665.

liana, come V. E. avrà potuto rilevare, non parla del patto a 4; anche nelle mie dichiarazioni sulla politica estera fatte alla Camera ho appena accennato al patto a 4.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 672, inviato a Vlenna con protocollo particolare 102. (3) -T. per corriere 2275/84 R. del 22 maggio, non pubblicato. (5) -Cfr. nn. 661 e 662.
676

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, E L'INCARICATO D'AFFARI D'ALBANIA A ROMA, SHTYLLA (l)

APPUNTO. Roma, 23 maggio 1933.

Il Ministro di Albania dice di essere venuto a prendere congedo essendo stato destinato quale Ministro in Grecia.

In tale occasione egli ha chiesto al Capo del Governo il permesso di esporgli chiaramente quello che è il suo pensiero quale patriota albanese, ma nello stesso tempo quale devoto amico dell'Italia.

Il signor Shtylla ritiene che per l'Albania non sia possibile nessun'altra politica se non quella basata sulla amicizia italiana: l'Albania esiste perché può contare sull'appoggio italiano; questa è anche l'opinione di Re Zog, col quale ha parlato ancora recentemente durante una sua visita in Albania di pochi giorni fa. Ora egli deve constatare con suo grande rincrescimento che ultimamente sono sorti dei malintesi fra i due Paesi, malintesi che devono essere al più presto dissipati nell'interesse comune ed il signor Shtylla ha ferma fiducia che ciò possa avvenire. Egli sa che da parte italiana si fanno dei rimproveri a S. M. Re Zog come se questi intendesse condurre una politica anti-italiana. Ciò risale all'epoca della mancata rinnovazione del Patto di amicizia.

Ora bisogna tener conto della difficile situazione in cui si trova Re Zog, il quale ha molti nemici, e che deve difendersi dalla critica che gli si fa da più parti di essere legato agli interessi italiani. Perciò egli non ha potuto rinnovare il Patto di amicizia.

Il ministro Shtylla ammette che l'atteggiamento del Re in tale occasione abbia potuto dar luogo a delle diffidenze da parte nostra. Ma va tenuto conto del fatto che il Re, che per le ragioni anzidette non poteva rinnovare il Patto, d'altra parte tergiversava perché non voleva fare cosa che potesse essere non gradita all'Italia e in modo particolare al Capo del Governo. Ma ciò non infirma per nulla la politica albanese basata sull'amicizia italiana. Anche recentemente nei provvedimenti per le scuole -provvedimenti che rientrano in una politica di valorizzazione nazionale che il Re deve fare -non c'è nulla che possa ledere l'amor proprio italiano e l'interesse della cultura italiana, tanto è vero che nello stesso momento il Re è disposto a rendere obbligatorio l'insegnamento dell'italiano.

Il Capo del Governo conferma che i malintesi sono cominciati dal momento in cui il Re si è rifiutato di rinnovare il Trattato di amicizia. Il rimprovero che egli fa al Re non è quello di aver rifiutato la rinnovazione del Patto se

egli riteneva ciò nell'interesse del proprio Paese e degli stessi buoni rapporti coll'Italia, ma di averci fatto credere fino all'ultimo momento che tale Patto doveva essere rinnovato. Sono procedimenti contorti che gli sono particolarmente ostici e che non giovano ai buoni rapporti fra i nostri Paesi.

Il Capo del Governo cita poi tutta una serie di fatti e di episodi da cui risulta che in Albania, sia nelle sfere governative che nelle stesse classi popolari, esiste uno stato d'animo anti-italiano, ricordando fra l'altro il chiasso che si è fatto intorno alla presunta unione doganale, la chiusura delle scuole, gli episodi di Coritza e Valona, il trattamento fatto ai nostri organizzatori ecc. Egli è il primo ad augurarsi che i rapporti fra i due Paesi riprendano l'antica cordialità, ma la premessa di ciò è che l'Albania assuma un atteggiamento chiaro e fiducioso verso fitalia.

Il signor Shtylla ammette i fatti incresciosi ricordati dal Capo del Governo, ma afferma che ad onta di qualche apparenza determinata da deplorevoli malintesi, l'animo del Governo e del popolo albanese è del tutto favorevole all'Italia. Gli albanesi si rendono bene conto che da parte degli altri loro vicini non potranno venir loro che dci danni, mentre da parte degli Italiani potranno venir loro tutti i benefici.

Ora Re Zog sarebbe quanto mai desideroso di chiarire questi equivoci, per mettere le relazioni fra Italia ed Albania su una base di assoluta reciproca fiducia. Egli però è molto esitante nel farlo, perché non sa che accogLienza sarebbe riservata ad una sua iniziativa in questo senso dopo la mancata risposta al telegramma inviato da Re Zog al Capo del Governo (1).

Il Re pensava di inviare una missione a Roma per trattare tutte le suddette questioni, sebbene sia molto imbarazzato nel trovare la persona adatta per un compito del genere.

Ad ogni modo il ministro Shtylla pensa che una iniziativa simile potrebbe essere utile.

Il Capo del Governo non è contrario al sistema posto, osservando che, perché le conversazioni siano proficue, occorre che si abbia veramente una seria intenzione di guardare coraggiosamente in fondo ai problemi.

Il ministro Shtyilla ritornerà nei prossimi giorni in Albania per poi ripassare ancora a Roma prima della sua partenza per Atene. In tale sua visita in Albania intende intrattenere ancora Re Zog sugli argomenti.

(l) Al colloquio era presente Suvich, autore del presente appunto.

677

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL MINISTRO D'AUSTRIA A ROMA, EGGER

APPUNTO. Roma, 23 maggio 1933.

Il Ministro d'Austria è venuto a chiedermi se potevo dargli una risposta riguardo al desiderio espresso dal Cancelliere che nella stampa italiana comparisse qualche articolo per chiarire la questione dell'Anschluss.

Gli ho dato notizia del telegramma inviato l'altro giorno a Vienna al nostro Ministro (l), nel quale si da relazione della visita di Goering, osservandogli che dopo ciò non mi pareva opportuno che la stampa si occupasse in modo preciso di questo problema. Qualche accenno in forma simpatica per l'Austria era già apparso nei nostri giornali.

Il Ministro d'Austria ha detto di consentire con questo mio punto di vista.

Mi ha raccontato poi di un colloquio avuto col Principe d'Assia, il quale

g.li ha detto che occorreva che Hitler facesse molta attenzione alle persone che lo circondano. Hitler è talmente occupato che deve per forza fidarsi di chi gli sta intorno. Goebbels è una persona che non gli ispira fiducia e che egli personalmente non stima. Rosenberg è un uomo pericolosissimo che sarebbe bene non assumesse nessuna parte politica nella nuova Germania. Il Principe invece si esprime molto bene nei riguardi di Goering, che ritiene un uomo di energia e di buona volontà.

(l) Non rinvenuto.

678

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AI MINISTRI DELL'AERONAUTICA, BALBO, DELLA GUERRA, GAZZERA, DELLA MARINA, SIRIANNI, AGLI AMBASCIATORI AD ANKARA, LOJACONO, A BERLINO, CERRUTI, A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, A LONDRA, GRANDI, A MADRID, GUARIGLIA, A MOSCA, ATTOLICO, A PARIGI, PIGNATTI, A VARSAVIA, BASTIANINI A WASHINGTON, ROSSO, AI MINISTRI AD ATENE, DE ROSSI, A BELGRADO, GALLI, A BUCAREST, SOLA, A BUDAPEST, COLONNA, E A PRAGA, ROCCO

TELESPR. 215663/C. Roma, 23 maggio 1933 (2).

A chiarimento delle informazioni trasmesse volta a volta sui dibattiti nella Commissione Generale del Disarmo, dalla ripresa dei lavori nell'aprile scorso, si riassume qui appresso l'andamento generale della discussione con particolare riguardo all'azione svolta dalla R. Delegazione.

Sul finire della Sessione precedente, chiusasi nell'imminenza delle ferie Pasquali, la Conferenza aveva, nel dibattito generale, accolto nelle sue grandi linee il progetto inglese di convenzione e deciso di farne base delle future discussioni.

Col riaprirsi dei dibattiti si è iniziata percw la prima lettura del piano britannico. Questo fa precedere i capitoli relativi al disarmo vero e proprio da una prima parte, concernente la sicurezza, che delinea una procedura consultiva (patto consultivo) per la applicazione del Patto di Parigi nell'eventualità di una minaccia di violazione o di una violazione già in atto.

I sei articoli, nei quali sono contenute le norme procedurali predette, sono stati, fin dall'inizio, oggetto della più vivace opposizione da parte della Polonia, sostenuta dalla Piccola Intesa, dalla Turchia e da buon numero degli Stati minori. Gli emendamenti presentati da questi Stati miravano ad abolire la situazione di preminenza riconosciuta in tali articoli alle Grandi Potenze e ristabilire i criteri di uguaglianza affermati dal Patto della S.d.N. Il progetto minacciava così di cadere fin dai primi dibattiti e la responsabilità sarebbe ricaduta sugli Stati satelliti della Francia, quando il delegato francese, con abile mossa, riuscì ad ottenere il rinvio della discussione sulla parte relativa alla Sicurezza, allegando a pretesto che non era possibile pronunciarsi in merito, fino a quando gli Stati Firmatari del P:ttto di Parigi, non membri della S.d.N., non avessero fatto conoscere il loro punto di vista nei riguardi della procedura proposta. Il Delegato italiano pur riaffermando in una esplicita riserva l'importanza tutta particolare che il R. Governo attribuiva alla parte del progetto britannico, relativa alla Sicurezza, aderì al rinvio della discussione.

Il dibattito fu così portato sul campo vero e proprio del disarmo. Le clausole del piano inglese comprendono due sezioni: la prima relativa agli effettivi, la seconda al materiale.

La sezione concernente gli effettivi si divide, a sua volta, in due capitoli: il primo concerne la limitazione numerica, il secondo la durata della ferma. Nel dibattito sulla seconda parte del piano britannico l'atteggiamento della Francia, della Polonia e della Piccola Intesa è stato estremamente cauto. Essi si sono astenuti dal presentare emendamenti di qualche rilievo ed hanno atteso che si pronunciasse la delegazione germanica. Gli emendamenti presentati da quest'ultima sono stati numerosi e concernenti, per la maggior parte, le clausole fondamentali della Convenzione. La Germania si rifiutava sopratutto di accogliere il criterio della uniformizzazione degli eserciti che implicava da parte sua la rinuncia alla Reichswehr.

È da tener presente che mentre procedeva nella Commissione Generale

\l dibattito sui singoli articoli del progetto inglese, veniva esaminato in un

apposito Comitato, detto degli effettivi, il carattere militare delle organizza

zioni premilitari e paramilitari di ogni Paese per valutare in quale misura

esse avessero dovuto essere valutate nel computo degli effettivi. Procedendosi

in tale esame per ordine alfabetico, le prime organizzazioni discusse furono

quelle della Germania. Nonostante che nella discussione sul carattere di tali

organismi molti Stati si siano astenuti dal votare, non è stato difficile alla

Francia ottenere una maggioranza su una valutazione delle organizzazioni pre

militari paramilitari e di polizia tedesche, che assorbe quasi totalmente la quota

di 200.000 effettivi attribuita dal piano britannico alla Germania.

La tesi sostenuta dal delegato tedesco, per quanto riguarda l'abolizione

della Reichswehr, fu che il criterio della uniformizzazione degli eserciti, non

sembrava suscettibile di universale applicazione e che conveniva perciò rin

viarne l'esame alla Commissione Permanente del Disarmo con l'incarico di

farne oggetto di proposta ad una successiva Conferenza. La proposta tedesca

era in fondo affiancata da una analoga proposta russa diretta ad ottenere,

nonostante la contrarietà dell'Inghilterra, che il sistema degli eserciti a ferma

breve fosse applicato non solo nell'Europa continentale, ma in tutto il mondo.

La Commissione Generale tuttavia si astenne dal dar rilievo agli emenda

menti della delegazione sovietica e concentrò il dibattito sulla proposta tedesca.

I delegati francese ed inglese sostennero la tesi che non si dovesse procedere nella

discussione delle altre parti del piano britannico se non fosse stato accolto il

criterio della uniformizzazione, considerato come un elemento fondamentale

del progetto medesimo.

Era evidente l'interesse della Francia, della Polonia e della Piccola Intesa

di rinviare il più possibile la discussione sugli articoli concernenti il materiale,

che imporrebbe loro riduzioni assai g·ravi; un atteggiamento negativo tedesco

offriva il vantaggio di far ricadere la responsabilità dell'insuccesso sulla Ger

mania senza essere costretti a chiarire la proprda posizione nei riguardi delle

clausole relative al materiale.

L'opera della delegazione italiana è stata diretta col più amichevole spirito di conciliazione, ad avvicinare, nelle conversa?Jioni confidenziali coi delegati tedesco e britannico, i punti di vista in contrasto suggerendo che si continuasse nella prima lettura del progetto salvo a precisare l'atteggiamento in materia di effetivi quando fosse stata conosciuta la posizione dei vari Paesi per quanto -concerne il materiale.

Le conversazioni tra il delegato britannico e quello tedesco non raggiunsero una base d'intesa. Nadolny dichiarò a Eden che il suo Governo sarebbe stato disposto a rinunciare alla Reichswehr se avesse avuto almeno una certa soddisfazione per quanto riguarda il materiale. La condizione fu considerata come una richiesta di riarmo da parte della Germania e come tale fu respinta. Sembrava che la rottura dei negoziati fosse imminente e che la Conferenza procedesse senz'altro alla votazione per decidere il passaggio alla seconda lettura della parte del progetto britannico relativa agli effettivi. Era la procedura prevista per far consacrare l'intransigenza tedesca sulla unifo~mizzazione degli eserciti.

Le istruzioni impartite in tali contingenze dal R. Governo alla delegazione italiana sono state le seguenti: «Confermo istruzioni sostenere tesi opportunità che sia proseguita prima lettura progetto inglese. Nel caso che Germania accetti formula transattiva V. S. la accetterà a meno che essa non sia contraria nostri interessi. Ove una votazione dovesse aver luogo su attuale posizione cioè a favore

o contro la prosecuzione della prima lettera Ella voterà a favore».

Un ultimo tentativo di salvataggio fu compiuto dal Presidente Henderson. Egli propose che si continuasse nella prima lettura del progetto per un esame di massima e senza discutere i singoii emendamenti; ciò avrebbe permesso di chiarire l'atteggiamento delle varie delegazioni per quanto riguarda, sia il materiale, che gli effettivi. La proposta che s'ispirava sostanzialmente alla tesi sostenuta dalla R. Delegazione, è stata accolta.

Successivamente, in attesa delle dichiarazioni del Cancelliere Hitler al Reichstag, la Commissione Generale ha prorogato i suoi lavori a Gdovedì 18 corrente.

(l) -Dall'esame della corrispondenza telegrafica l'unico telegramma Inviato a Vlenna circa la visita di Goring risulta essere il n. 672, che è però del 23 maggio. (2) -Il documento reca questa data ma fu certamente preparato in data anteriore come risulta dall'ultimo capoverso.
679

IL CONSOLE GENERALE A ZAGABRIA, UMILTA', AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA R. 2256/319. Zagabria, 23 maggio 1933 (per. il 26).

Ieri sera è ritornato dal penitenziario di Mitroviza, in cui è detenuto il dott. Macek, un suo fiduciario che mi ha trasmesso le seguenti comunicazioni direttemi dal dott. Macek, perché le comunichi a V. E.:

l) Gli emigrati politici dott. Krnjevic a Ginevra ed ing. Kosutic a Londra hanno ordine d'ora in poi di agire in stretta collaborazione col dott. Pavelic, trattandosi oramai della azione conclusiva ai riguardi della Croazia.

2) O il Krnjevic o il Kosutic, devono prossimamente venire a Roma, a seconda della convenienza, sia apertamente sia clandestinamente, per mettersi a disposizione di V. E., fermo tenendo alla volontà dei croati per una Croazia libera ed indipendente, non legata all'Austria né all'Ungheria. A tal uopo i due signori, devono rivolgere caldi appelli a V. E., affinché l'aspirazione sia esaudita.

3) Gruber Pietro, che l'anno scorso è stato condannato a 4 anni di cu

stodia honesta per aver collaborato all'estero col dott. Pavelic, e che era finora

compagno di cella del dott. Macek, è uscito di prigione e al dott. Macek, consta

che il Gruber avrebbe ricevuto qualche missione segreta dal regime di Belgrado,

da eseguirsi all'estero, probabilmente in Italia. Non sarebbe quindi elemento

cui fidarsi.

4) Consta ugualmente al dott. Macek che il regime di Belgrado avrebbe

inviato alcuni emissari a Roma, per tentare un accomodamento tra i due Paesi,

dato che sarebbe ormai noto a Belgrado che l'antipatia dei governi esteri verso

Belgrado sarebbe specialmente dovuta alle ostilità di Roma, per ottenere lo

sgretolamento dello Stato jugoslavo.

5) In modo speciale il dott. Macek ha insistito perché io confermi a V. E.

che i ,croati mirano all'assoluta indipendenza del loro Paese e che né i capi né

la massa dei popolo desiderano che la loro patria sia unita, in qualsivoglia

forma anche autonoma o federale né all'Austria, né all'Ungheria.

6) Il suo fiduciacio ~n Italia e presso V. E. è il dott. Pavelic, che avrà ai

suoi ordini i signori Budak, Krnjevic e Kosutic.

680

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. u. 2273/60 R. Ginevra, 24 maggio 1933, ore 12,45 (per. ore 14).

Ho esaurientemente esposto a Paul Boncour gli argomenti sulla inopportunità intransigenza francese contenuti nel telegramma di V. E. n. 63 del 23 maggio (1). Egli mi ha confessato di essere seriamente ostacolato dalla intransigenza opinione pubblica francese di fronte alla quale egli è obbligato a pren

dere tutte precauzioni necessarie pe.r poterle fare accettare patto. Dato che motivo fondamentale tale intransigenza è sospetto che patto possa indebolire minacciare scontentare Stati Piccola Intesa egli mi ha detto che a suo avviso sarebbe più opportuna una mia azione persuasiva presso ministri esteri Piccola Intesa presenti a Ginevra per ottenere rasserenamento situazione che tranquillizzerebbe opinione pubblica francese e conseguentemente fornirebbe a lui maggior forza nei confronti suoi oppositori. Gli ho risposto ·che la più efficace opera di persuasione in tal senso doveva essere per ovvie ragioni condotta principalmente dalla Francia ·e che io per conto mio ben volentieri vi avrei collaborato. Mi propongo quindi in conformità con le istruzioni di V. E. di continuare anche presso i rappresentanti della Piccola Intesa quella opera di persuasione sullo spirito informativo del patto che ho già svolto in passato presso rappresentanti di altri Stati.

In ogni modo, Paul Boncour dietro mie insistenze successive, mi ha promesso di riesaminare ancora le mie richieste circa la inopportunità dell'inserzione dell'articolo 16 e circa parziale modificazione dell'art. III. Analoghe pressioni gli erano state fatte anche da Simon.

Ma è evidente che la sua arrendevolezza dipenderà dai risultati dell'azione che io potrò svolgere presso ministri della Piccola Intesa.

(l) Cfr. n. 671, inviato a Ginevra con protocollo particolare 63.

681

L'INCARICATO D'AFFARI IN CINA, ANFUSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 2303/354 R. Pechino, 24 maggio, ore 15,30 (per. ore 5 del 25).

Mio telegramma n. 349 (1).

Riferendomi alle notizie qui corse relative alla mediazione che i ministri di Inghilterra e Francia avrebbero accettato per arrivare ad armistizio cinogiapponese.

Questo vice ministro esteri mi ha fatto presente che tanto adesso quanto in futuro Italia è interessata nella stessa misura delle altre grandi Potenze a tutti i regolamenti di questione in Cina del nord e in Estremo Oriente in generale, per i quali la Cina dovesse fare ricorso ad altre Potenze, così come è avvenuto a Shanghai.

Vice ministro mi ha formalmente assicurato che ai negoziati attuali col Giappone non ha partecipato nessun rappresentante di altre grandi Potenze.

Viceversa, ministro di Francia mi ha detto, confidenzialmente, che stesso vice ministro degli esteri aveva interessato ministro di Inghilterra perché volesse trovare, a Tokio, per il tramite del Forc.ign Office, componimento della situazione della Cina del nord.

Quando sir Miles Lampsom aveva già teleR:rafato in proposito al suo Governo, vice ministro recavasi da lui per dirgli di considerare la precedente conversazione come assolutamente personale e non suscettibile di ulteriore seguito.

Di tale tentativo di mediazione, il ministro Inghilterra non aveva, comunque, creduto opportuno di informare i ministri di America, Francia e me. Ne aveva solo parlato al ministro di Francia, a fatto compiuto, dandogli però impressione che la sua parte era stata più reale di quanto egli non avesse detto.

Signor Wilden nel pregarmi di considerare quanto precede come strettamente personale e riservato, aggiungeva che egli non aveva assolutamente preso parte a trattative per mediazione né era stato pregato di farlo.

(l) T. 2289/349 R. del 23 maggio, non pubblicato.

682

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2286/61 R. Ginevra, 24 maggio 1933, ore 20 (per. ore 21).

Simon fatto venire Ginevra signor Sargent, funzionario Foreign Office incaricato trattazione questione patto a 4, scopo mettersi contatto con me. Signor Sargent dovrebbe rimanere Ginevra finché patto fosse parafato. Simon parte domani mattina per assistere consiglio dei ministri nel quale verrà decisa questione inserzione nel patto articolo 16 Covenant. Stamane ho avuto altra breve intervista con Boncour che mi ha sollevato ancora nuove resistenze contro richieste V. E. contenute telegramma n. 63 (1).

Successivamente Simon che aveva visto anche egli Boncour, mi ha confermato stessa cosa. Pensiero Foreign Office comunicatomi ora da signor Sargent è che sarebbe indispensabile fare pressioni Berlino affinché Governo tedesco accettasse modificazione articolo 3 sostituendo parola « reconnu '> con frase « tel qu'il a été reconnu ». Sargent mi ha detto intanto, Simon traversando domani Parigi probabilmente incontrerà Daladier per far pressioni su lui circa rinunzia inserzione articolo 16.

683

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, E ALLA DELEGAZIONE A GINEVRA

T. U. 1129 R. (2). Roma, 24 maggio 1933, ore 24.

(Solo per Ginevra e Vienna) Ho telegrafato Londra quanto segue:

(Per tutti) Prego V. E. appurare quali siano intenzioni britanniche circa emissione noto prestito austriaco previsto da protocollo Losanna e quale giudizio si porti su difficoltà che ancora frappone Governo francese. E' evidente che subordinare concessione prestito a condizioni ordine costituzionale non può

che indebolire posizione Dollfuss che importa invece rafforzare. Indipendenza Austria risponde interesse generale europeo e, non fosse che a tale titolo, anche di codesto Governo e a più forte ragione di quello francese.

(Solo per Londra) Prego V. E. telegrafarmi (1).

(l) -Cfr. n. 671. (2) -A Vlenna e Ginevra Il telegramma fu Inviato per corriere.
684

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA S. 4882/901. Budapest, 24 maggio 1933 (per. il 5 giugno).

Riferimento a mio telegramma 78 in data odierna (2).

Mi onoro qui di seguito trascrivere a V. E. la traduzione integrale dell'appunto, relativo all'argomento in oggetto, che questo presidente del consiglio aveva già preparato e mi ha rimesso stamani, quando mi sono recato a fargli le comunicazioni prescrittemi circa le ultime conversazioni romane del Ministro Goering e circa il divisato prossimo incontro di V. E. con lo stesso Presidente Gombos e con il Cancelliere Dollfuss.

Per giudicare la situazione in Austria è importante sapere che il popolo austriaco in genere non è un .popolo politico e che la massa si occupa perciò principalmente della questione del pane quotidiano. E' perciò chiaro che una volontà risoluta può avere in Austria una grande importanza, specialmente quando sia appoggiata dalle possibilità di forza del Governo.

Dopo il suo viaggio a Roma e in seguito alla sua intima amicizia con Starhemberg, Dollfuss sembra essere fermamente risoluto a procedere con indomabile volere nella questione dell'indipendenza austriaca. Ho rafforzato il cancelliere in questa risoluzione, poiché l'indipendenza dell'Austrlia, almeno per ora, è necessaria tanto dal punto di vista ungherese quanto da quello italiano e anche, altresì, da quello generale europeo.

Va riconosciuto che il movimento nazìsta in Austria possiede una grande forza. La parola d'ordine «un Reich un popolo» è ragguardevole; sarà difficile lavorare alla lunga contro di essa senza una parola d'ordine analoga che esprima l'idea dell'indipendenza austriaca, e senza la volontà di sviluppare organicamente un forte regime nazionale corrispondente a tale nuovo motto.

Ho fatto cenno a suo tempo con Starhemberg di ciò; sembra ora che anche Dollfuss sia deciso a sviluppare l'idea del fronte unico nazlionale austriaco e della particolare missione dell'Austria nell'Europa media, come base della sua ulteriore attività politica. Lo stesso cancelliere mi ha detto di non aver mai pensato che questa nuova idea potesse incontrare larga risonanza; intende ora continuare più oltre su questa via, nella speranza che tanto l'Italia quanto l'Ungheria lo appoggino in questo suo proposit). Ho fatto presente al Cancelliere che, nelle condizioni psicologiche date, va lavorato rapidamente, e che egli non deve appoggiarsi esclusivamente sulla forza statale, ma organizzare un fronte di partito e far propaganda per il suo proposito. Mi ha raccontato che organizzerà prossimamente un comitato esecutivo comune e che egli stesso

stabilisce in ogni paese fiduciari, appoggia la Heimwehr e valorizzerà anche nell'eserelito un certo elemento nazionale. La sua idea di ridare all'esercito austriaco l'antica uniforme è secondo me per quanto conosco l'esercito stesso di grande importanza.

Se gli riuscirà anche di risolvere ulteriormente il problema economico, è dato sperare che H pericolo dell'Anschluss, il quale indubbiamente continuerà a sussistere, potrà essere eliminato per un lungo periodo di tempo, al quale proposito credo che anche i tedeschi capiranno le difficoltà di politica estera dell'Anschluss e che cosi subentrerà da parte loro una certa passività all'attività attuale.

Dollfuss ha inoltre deciso --cosa che non mi è simpatica, ma comprensibile nella situazione attuale -di accentuare più fortemente l'idea cattolica austriaca di fronte a quella protestante, la quale in realtà rappresenta la forza in Germania. In occasione di una cresima ho potuto udire, in una chiesa protestante di Vienna, un discorso del famoso pastore Sti:ickl; il discorso, che era di chiesa, era anche però indiscutibilmente il frutto di una decisa conce21ione politica fondata sulla base «un Reich, un popolo, un C!lipo ». L'elemento protestante austriaco non è forte di numero ma, come ovunque, forte di energia.

Ciò nonostante, tornando a quanto detto, cioè che l'austriaco non è un popolo politico, credo che a Dollfuss riuscirà di rinviare il pericolo dell'Anschluss per un notevole lasso di tempo; e poi il tempo porta consiglio.

È dnteressante che la Romania e la Cecoslovacchia si siano adoperate presso Dollfuss per l'unione alla Piccola Intesa, e lo abbiano invitato a convincere anche me della necessità dell'unione dei cinque piccoli Stati danubiani. Dollfuss ha respinto categoricamente tale invito, anche secondo il mio pensdero. Ha fatto intendere categoricamente, pure, al Ministro di Francia, il quale voleva porgli condizioni politiche a proposito del prestito, che egl:i non lascia collegare 11 denaro con l'immistione nella politica interna ed estera dell'Austria.

Per tutte queste circostanze considero la posizione di Dollfuss rafforzata in confronto agli ultimi tempi, e considero l'indipendenza dell'Austria assicurata, almeno per breve tempo, anche da parte austriaca. Sarebbe conveniente se l'Italia richiedesse anche dall'Austria un rafforzamento della posizione dei militari e promuovesse lo sviluppo dell'esercito secondo il modello ungherese. Sarei anche riconoscente se S. E. il Duce invitasse Dollfuss a stringere nel campo economico ancora più stretti rapporti con l'Ungheria, nel senso della tolleranza dei dazi e degli scambi.

(l) -Dall'esame della corrispondenza telegrafica non risulta che Grandi abbia risposto. (2) -T. 2281/78 R., non pubblicato.
685

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA S. 4886/904. Budapest, 24 maggio 1933 (per. il 5 giugno).

Riferimento mio telegramma n. 78 in data odierna (1). Ad ogni buon fine mi onoro informare V. E. che, avendo accennato genericamente iersera col direttore degli affari politici di questo ministero esteri

alla eventualità di un prossimo incontro di S. E. il Capo del Governo con il cancelliere Dollfuss e il generale Gombos «o chi per esso» -e ciò sia per rendermi conto in quale forma sarebbe stato conveniente porre stamani al generale tale alternativa, sia per sopLre le preoccupazioni manifestatemi dal barone Apor per essere questo Ministero «tenuto un po' fuori dall'atmvità politica del presidente » -ho potuto accertare che S. E. de Kanya non era al corrente della cosa, e avuto l'impressione che codesta legazione di Ungheria potesse, contrruriamente a quanto mi risultava dal telegramma di V. E. n. 82 del 22 corrente (1), non essere stata ancora informata del progetto.

Ho considerato perciò opportuno, dato il carattere dei rapporti stabiliti con il generale, riferire oggi francamente a quest'ultimo la conversazione avuta con Apor, a scanso di equivoci e per precisare con l'occasione, in via di principio, la questione delle relazioni di questo R. ufficio con il ministero degli esteri ungherese e con il presidente.

In proposito S. E. Gombos mi ha detto: «So che il ministero è un po' seccato con me perché non lo tengo passo a passo al conrente di quanto faccio e dico. La cosa naturalmente non presenta alcun interesse -il sistema seguito finora mi pare il migliore, e non vedo ragione dd cambiarlo.

Una parte delle comunicazioni che mi fate e vi fo ha, del resto, carattere personale; viene dal Duce a me, per vostro tramite, e per lo stesso tramite va da me al Duce.

Continueremo perciò ad informare Kanya ed il suo ministero quando e di quanto ci apparirà necessario. Circa la questione specifica del prossimo incontro in Italia -ha concluso S. E. GombOs -non escludo che Hory mi abbia potuto inviare in proposito una lettera personale. Ma anche questo particolare non ha nessuna importanza~.

(l) Cfr. n. 684, nota 2.

686

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. 1132/226 R. Roma, 25 maggio 1933, ore 2.

Da parte francese sd torna a proporre art. 4 concernente ,restaurazione economia europea nei termini seguenti:

«Les Hautes Parties contractantes affirment leur volonté de se concerter sur toutes questions d'ordre économique présentant un intéret commun pour l'Europe et particulièrement pour sa restauration en vue d'un reglèment, à rechercher dans la cadre de la S.d.N. » (2).

Soppressione era stata proposta da parte francese. Ripristino non incontra da parte nostra né ritengo possa incontrare da parte tedesca nessuna difficoltà.

Da parte francese inoltre si accetta di non parlare più della sicurezza nella seconda parte dell'art. 3; si chiede però che la formula sia la seguente: dans les conditions où il a été reconnu » comme V. E. sa riteniamo che anche questa dizione potrebbe essere accettata; tuttavia ho insistito perché si adotti la forma: «tel qu'il a été reconnu ».

Da comunicazione precedente di V. E. risultava che Goering avrebbe accettato quest'ultima forma; pregola sentire se Governo tedesco potrebbe anche accettare quella proposta da Parigi «dans les conditions ».

Per quanto riguarda art. 2 per cui come V. E. sa ci siamo rimessi decisione da prendere tra Francia e Gran Bretagna siamo tuttora attesa risposta.

Urgerebbe avere conferma definitiva Governo tedesco per arrivare possi

bilmente questa settimana a conclusione. Sarà opportuno V. E. richiami attenzione su violenta reazione polacca contro patto che è nuova conferma dell'interesse della Germania a firmarlo.

(l) -Con t. 1090/82 R. del 21 maggio Aloisi aveva comunicato che il Governo italiano avrebbe gradito l'invio da parte di Oombos, qualora non potesse muoversi, di una persona di sua assoluta fiducia e che tale richiesta era già stata portata a conoscenza della legazione d'Ungheria a Roma. (2) -Questo primo capoverso fu trasmesso ad Aloisi a Ginevra con t. u. 1134/66 R., pari data.
687

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2293/63 R. Ginevra, 25 maggio 1933, ore 8 (per. ore 10,30).

Mi sono proposto incontrare tutti tre ministri Piccola Intesa presenti Ginevra allo scopo non dare impressione discriminazione di importanza tra loro. E cosi ho visto Benes, Jeftic e Titulescu. In tutte qÙeste conversazioni ho curato mantenermi almeno per ora su terreno strettamente informativo, e cioè mi sono limitato illustrare spirito ispiratore patto, cercando provocare da parte loro maggior numero possibile spiegazioni al fJne rendermi conto posizione esatta che Piccola Intesa ha preso nei riguardi patto. Benes mi ha sostanzialmente ripetuto stessi argomenti che sono stati oggetto suo discorso Camera. Dal lunghissimo colloquio avuto con lui che ho cercato condurre tentando assagg,i in tutte direzioni sono in grado di dedurre che, in conclusione, la politica cecoslovacca fonda sua ostilità patto su seguenti ragioni:

0 ) timore che patto costituisca direttorio che finisca per imporre sue decisioni;

2°) avversione assolutamente intransigente a qualsiasi prospettiva revisione territoriale adombrata nel patto. Su questo argomento Benes è stato cosi reciso che dubito che qualsiasi mia assicurazione possa bastare dissipare sua avversione;

3°) una ragione non dettami esplicitamente, ma chiaramente adombrata da sua violenta accusa contro stampa italiana colpevole recenti frequenti attacchi ingiustifioati contro la Cecoslovacchia e colpevole aver chiaramente dimostrato poco o nessun conto che faceva forza politica Piccola Intesa cantando vittoria sulla riuscita patto trascurando prendere in considerazione ragioni nonché volontà p,iccola Intesa. Da ciò ho chiaramente capito che Benes è rimasto molto urtato dal fatto che sia mancata una precedente intesa fra

Piccola Intesa-Italia che gli avrebbe permesso valorizzare sua creatura, la nuova federazione Piccola Intesa, in modo poter mostrare che senza suo consenso non è possibile costituire oggi in Europa alcun accordo vasta portata politica.

Ho ribattuto tutte le sue obiezioni. Circa prima ho richiamato sua attenzione su esplicita allusione impegno contenuto patto non prendere alcuna decisione senza intervento dell'interessato. Circa argomento revisione ho fatto notare che testo francese parlava chiaro e che siccome tale testo era quello presentemente in discussione ed era compilato a Parigi con indiscutibile cooperazione Piccola Intesa, doveva evidentemente considerarsi come rispondente fini voluti dalla Piccola Intesa. Circa ultimo punto ho fatto osservare che accordo italo-cecoslovacco da lui auspicato avrebbe eventualmente trovato appunto nel patto sua necessaria base, e quindi avrebbe dovuto succedergli e non precederlo.

Uno degli scopi fondamentali patto era infatti appunto quello evitare pericolo divisione dell'Europa due campi opposti e costituire invece quadro di insieme in cui tutte questioni avrebbero potuto trovare loro soluzione e tutte volontà accordarsi. Valorizzazione politica Piccola Intesa sarebbe stata data appunto dalla sua capacità cooperazione con tutti altri Stati d'Europa, e quindi in particolare con Italia, in questa robusta intelaiatura politica del continente europeo.

EgLi ha accettato mie spiegazioni mostrando una certa convinzione tuttora appesantita da qualche dubbio che mi ha mostrato chiaramente attuale situazione suo pensiero essere quella non volere rompere i ponti e assumere situazione di attesa a metà strada fra i suoi desiderata e nostra posizione.

Benes mi ha poi informato che martedì prossimo 30 maggio, direttorio Piccola Intesa si riunirà Praga per decidere atteggiamento comune verso il patto e prendere decisioni importanti sulla via attuazione federazione economica Piccola Intesa. A proposito di quest'ultJimo punto mi ha pregato prevenire V. E. che misure economiche che egli intende proporre a Praga e che non mi ha chiarite sono dettate dalle esigenze situazione geografica e mirando a preparare terreno ad un futuro accordo economico fra l'Italia e Jugoslavia, cui mercato eccede limiti potenzialità industriale cecoslovacca e ad analogo futuro accordo italo-cecoslovacco nei riguardi mercato ungherese.

In vista questi successivi sviluppi egli prega V. E. voler considerare misure che saranno prese inizialmente a Praga non come un atto di ostilità verso l'Italia ma come preparazione ad una cooperazione futura.

Verso la fine colloqui egli ha tenuto comunicarmi alcuni suoi punti di vista su altri argomenti. In particolare mi ha garantito esistenza perfetta unità vedute nelle direttive politiche ed economiche dei componenti Piccola Intesa; mi ha espresso convinzione assoluta che questione regime Jugoslavia sarà risoluta assai presto in modo del tutto normale e pacifico nel senso di una trasformazione in una federazione; mi ha garantito che influenza Piccola Intesa sarà decisiva nei riguardi atteggiamento che il Governo di Parigi assumerà verso patto ed infine mi ha espresso desiderio di ognuno e di tutti gli Stati Piccola Intesa addivenire accordo coll'Italia.

Ho visto successivamente Jeftic. Data sua qualità mero strumento nelle mani Re Alessandro con scarsissima o nulla libertà d'azione, conversazione ha avuto scarso alimento. Mi sono limitato chiarirgli portata patto ed egli non ha fatto che ascoltarmi senza esprimere alcuna opinione.

In ultimo ho visto Titulescu che, toccato più degli altri dalla questione territoriale, si è mostrato più intransigente di tutti, ripetendomi fino a parossismo note ragioni contro qualsiasi intromissione che possa condurre a rimaneggiamento attuale sistema frontiere politiche. In tanta difficoltà situazione, ho fatto opera persuasione che ho potuto. Unica cosa interessante emersa dal suo discorso è stata sua intenzione estorcermi dichiarazione che revisione prevista patto non debba estendersi questioni territoriali. Ha insistito con esaltazione finendo per confessarmi che attualmente sono in corso trattative fra lui, a nome della Piccola Intesa, e delegato francese Massigli per ottenere dalla Francia analoga dichiarazione. Egli pretendeva lo stesso da V. E.

Ho risposto mostrandogli impossibilità prendere in considerazione tale proposta. Mi ha allora detto aver preparato due comunicati da presentare riunione Praga, uno favorevole ed uno contrario patto, e che avrebbe proposto uno ovvero altro seconda che Governo francese avrebbe dato o meno assicurazione voluta. Discussione con Titulescu è stata più penosa di tutte. Ho terminato avvertendolo convenienza non prendere posizioni di resistenza contro patto nell'interesse stesso Piccola Intesa che avrebbe trovato in una Europa rasserenata migliore possibilità di affermazione nella collaborazione con altre Potenze.

Dalle conversazioni di oggi, che hanno avuto carattere sostanzialmente esplorativo, ho creduto trarre conferma di quanto già mi era apparso dai colloqui avuti con Paul Boncour, e cioè che Francia è realmente legatissima Piccola Intesa e che tale legame è particolarmente potente in questo momento sia per la intrinseca forza che la Piccola Intesa è riuscita a procurarsi nei riguardi sua protettrice e sia anche perché tale legame porge oggi Francia utile possibilità giustificare verso Italia Inghilterra e Germania suoi tentennamenti di

oggi.

688

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2299/362-363 R. Parigi, 25 maggio 1933, ore 11,45 (per. ore 15). Telegrammi di V. E. n. 287 e 289 {1).

Come è noto a V. E. il Quai d'Orsay ha accettato per l'art. 3 la redazione

proposta da de Jouvenel nei seguenti termini: «Le principe de l'égalité des droits dans les conditions où il a été reconnu '>. Si spera che questa formula sarà accettata dall'E. V. e dalla Germania. Qui si è preoccupati dell'insistenza dell'Inghilterra per l'omissione del-

l'art. 16 del Covenant.

Il segretario generale del Quai d'Orsay mi ha detto di avere fatto un passo presso il signor Daladier per indurlo accedere al desiderio della Gran Bretagna ma di averlo trovato inflessibile.

Il presidente ha fatto osservare che egli era impegnato alla Camera dei Deputati e al Senato di fare figurare l'art. 16 insieme agli articoli 10 e 19 e di non potersi disdire. Il segretario generale ha aggiunto che il Gabinetto poteva tanto meno cedere oggi su questo punto dopo la discussione avvenuta ieri alla commissione degli esteri della Camera dei Deputati.

Il patto era stato oggetto serrati attacchi di Herriot e di altri deputati influenti. Due soli deputati poco influenti l'avevano difeso. In presenza dell'opposizione che risorgeva nel Parlamento e nella stampa di destra, il Governo aveva il dovere di non prestare il destro a critiche fondate: la rinunzia all'articolo 16 potrebbe, sempre secondo il segretario generale, determinare una crisi di gabinetto.

Il Quai d'Orsay si era espresso in questo senso con l'incaricato d'affari britannico il quale aveva promesso di chiarire questa speciale situazione al proprio Governo.

Nel corso della giornata è atteso a Parigi Simon.

Egli viene per intrattenere presidente del consiglio francese sulla questione del disarmo e patto a quattro. Qui si teme di non riuscire a fare recedere Gabinetto di Londra dalla posizione presa, e si deplora che l'accordo sia messo in pericolo tanto più che punto contestato non riveste speciale importanza nei riguardi italo-francesi.

Al Quai d'Orsay si sarebbe dimostrata preoccupazione per il rinnovato allarme della Polonia e Piccola Intesa. Se il patto sarà conforme alle direttive generali esposte dal presidente del consiglio alla Camera dei Deputati e da questa approvato, opposizione Stati balcanici cadrà da sé perché priva di fondamento.

Per fare decidere la Francia bisognerebbe fare balenare con fondamento, eventualità della conclusione di un patto a tre con esclusione della Francia. La manovra avrebbe per effetto di fare cessare opposizione che prende a pretesto patto ma che invece è un episodio dell'antagonismo Daladier-Herriot.

(l) Cfr. nn. 656 e 671 inviati a Parigi rispettivamente con protocollo particolare 287 e 289.

689

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2311/289 R. Washington, 25 maggio 1933, ore 19,35 (per. ore 5,30 del 26).

Ho comunicato personalmente al presidente degli Stati Uniti contenuto del telegramma di V. E. 274 (1).

Presidente si è mostrato spiacente sebbene non troppo sorpreso della risposta data al passo italiano a Tokio. Egli si rende conto che dopo tale ten

52 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XIII

tativo non rimane altro da fare che di prendere atto del rifiuto giapponese e confida che V. E. non vedrà alcun inconveniente se un memorandum confidenziale verrà da lui comunicato al dipartimento di Stato per documentare recenti avvenimenti, cioè suo suggerimento a V. E., azione svolta da V. E. a Tokio e mancata adesione giapponese.

Presidente si preoccupa dell'attitudine del Governo di Tokio non tanto nei riguardi della situazione in Estremo Oriente quanto per i riflessi che potrà avere sulla conferenza del disarmo ed indirettamente sul patto a quattro e sulla conferenza economica. Ho concluso dicendo testualmente: «in ogni caso Duce ed io possiamo avere coscienza di aver fatto quanto era in nostro potere per la buona causa ed io vi prego di esprimere al vostro capo la mia sincera riconoscenza personale per la volenterosa collaborazione che mi ha dato in questa occasione. Conto molto sulla nostra collaborazione anche nell'avvenire».

(l) Cfr. n. 660, nota 2.

690

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 1137/224 R. Roma, 25 maggio 1933, ore 24.

Coi miei telegrammi del 22 e del 23 corrente (l) ho informato V. E. dell'ultima fase trattative patto a quattro.

Alle proposte di modifiche che le ho comunicato è ora da aggiungere la proposta francese di ripristinare articolo 4 testo precedente nei seguenti termini:

« Les hautes Parties contractantes affirment leur volonté de se concerter sur toutes questions d'ordre économique présentant un intérét commun pour l'Europe et particulièrement pour sa restauration en vue d'un règlement a rechercher dans le cadre de la Société des Nations ».

Ho telegrafato alla R. ambasciata a Berlino di raccomandare al Governo tedesco l'accettazione di questo testo che non può presentare inconvenienti, come non presenterà certamente difficoltà neanche da parte codesto Governo. Non vi è dubbio infatti che il Patto debba servire anche ai fini economici (conferenza economica mondiale, ecc.) e la riaffermazione di questa finalità appare pertanto logica ed utile.

A parte questo punto particolare, si presenta poi la questione generale della conclusione del patto. Tutto quello che si poteva dire e considerare al riguardo è stato detto e considerato. Un ulteriore ritardo non può che nuocere anche ai fini psicologici da raggiungere nell'interesse oltre che del patto ,in sé, del disarmo, e della situazione economica attuale.

Prego quindi V. E. di vedere Simon appena di ritorno costà da Ginevra e fargli presente questa necessità anche ~n rapporto situazione che sembra piuttosto precaria del Governo francese. Abbiamo impressione che francesi stiano assumendo atteggiamento dilatorio modificando o rivedendo sempre nuovi

punti e nuove clausole, Inghilterra, Italia e Germania hanno invece continuato a dare prova della migliore volontà eccedendo largamente domande francesi. Per articolo due occorrerebbe che francesi cedessero su citazione articolo

16 patto, secondo richiede Governo britannico.

Per articolo 3 cerchiamo raccogliere unanimità su dizione «tel qu'il a été reconnu », e facciamo pressioni in questo senso su Berlino, pur dovendo riconoscere che Berlino avrebbe ormai diritto di aspettarsi da parte francese la stessa condiscendenza che esso ha già mostrato su punti rimanenti.

Prego V. E. telegrafarmi appena conferito con Simon.

(l) Cfr. nn. 671 e 672.

691

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2343/87 R. Vienna, 25 maggio 1933 (per. il 27).

In questi ultimi giorni ho notato una ripresa di respiro nel campo socialista. L'ho ritenuta una conseguenza sia della tendenza di sinistra che contraddistingue le nomine dei nuovi ministri, che della remora frapposta dal Governo nella sua lotta contro la socialdemocrazia all'evidente scopo di non aggravare la situazione nei rispetti dell'emissione della quota francese del noto prestito.

Ho perciò ritenuto opportuno d'intrattenere il cancelliere su dette nuove nomine, segnalandogli ancora una volta la necessità di vincere Je esitanze e dare un buon colpo alla socialdemocrazia, con lo scioglimento de'l municipio di Vienna.

Il cancelliere mi ha risposto che si rendeva ben conto dei miei due accenni. La socialdemocrazia aveva indubbiamente ripreso una certa lena, ma essa avrebbe commesso un grave errore, ascrivendo le nuove nomine ministeriali ad un'eventuale tendenza del Governo ad avvicinarsi ai rossi. Le nuove nomine erano da lui state fatte per un doppio scopo: quello di assicurarsi la diretta cooperazione di personalità politiche che potevano ispirare una qualche inquietudine, e quello di far del Landbund (ormai neutralizzato dal fatto che le sue due opposte correnti, rappresentate dal Winckler e dallo Schumy, venivano ad elidersi con la presenza di essi nello stesso Ministero) il nucleo di raccolta di tutti gli elementi elettorali eterogenei, non ancora irreggimentati in alcun raggruppamento politico, sotto la bandiera del corporativismo che dovrà essere instaurato specialmente per opera di detto partito agrario.

Il cancelliere ha quindi ripreso: «Ciò che dunque occorreva era di sventare ogni manovra ed ogni dissidenza. E ciò è stato raggiunto. Circa poi il prestito francese, nessuno riuscirà a muovermi dalla mia linea. Non intendo cioè prendere alcun impegno, né dare la benché minima assicurazione -sia essa d'ordine costituzionale che politico -la quale possa legarmi le mani. Se poi la Francia vuole accontentarsi di dichiarazioni già contenute in miei pubblici discorsi, si accomodi pure: ma tutto ciò non tocca menomamente la intera libertà d'azione che intendo preservarmi per l'attuazione del mio programma.

Di questa libertà d'azione darò presto prova. Ho difatti pensato al problema dello scioglimento della municipalità di Vienna, ed ho già prescelto la persona del commissario speciale».

Il cancelliere ha poi concluso: <<La situazione è buona, diverrà migliore. Ed essa non lascerebbe niente a desiderare se il Governo di Berlino ed il nazismo non si accanissero tanto contro l'Austria, provocando incidenti assai delicati, procedendo a continue minacce, inquinando ed inquietando incessantemente U paese q, E qui il signor Dollfuss ha parlato dell'ultimo disco,rso del ministro Frank, giusta quanto ho già riferito a V. E. con il mio telegramma

n. 192 (l).

Aggiungo che l'ex cancelliere Vaugoin, attualmente ministro della guerra e «leader» del partito cristiano-sociale, col quale io mi ero intrattenuto poco prima, mi aveva parlato in modo non dissimile dal signor Dollfuss. Egli mi aveva anzi precisato che la persona che dovrà essere chiamata a reggere l'amministrazione di Vienna è un «estremista di destra, che per intelligenza e coraggio uguaglia Dollfuss ».

692

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2344/89 R. Vienna, 25 maggio 1933 (per. il 27).

Il cancelliere mi ha oggi detto che nel recente colloquio da lui avuto con il signor Gombos era stata anche toccata la questione monarchica.

Lo spunto era stato dato dall'atteggiamento dei cristiano-sociali d'Ungheria, notoriamente favorevoli al ritorno ad un regime monarchico: una circostanza che aveva creato il dubbio che detto atteggiamento venisse pure condiviso dai cristiano-sociali austriaci. Ora egli aveva tenuto a ben chiarire al signor Gombos che l'attuale governo austriaco -quali che siano le tendenze dell'Ungheria, sola arbitra dei suoi reggimenti politici -è assolutamente contrario ad un ripristino della Monarchia.

Il Cancelliere ha poi messo in rilievo la grande amicizia che corre fra Vienna e Budapest: un'amicizia piena e sicura, non oscurata né minacciata da alcuna nube. Il colloquio di sabato era stato infatti quello di due buoni e vecchi amici, animati dalla maggiore reciproca fiducia, nonché una pubblica manifestazione dei così cordiali rapporti intercedenti fra i due paesi.

Come ho già riferito a V. E., il colloquio Dollfuss-Gombos è stato segnalato da questa stampa socialista come avente uno sfondo monarchico; ed essa, per avvalorare tale informazione, è giunta perfino ad insinuare la contemporanea presenza in Austria dell'ex Imperatrice Zita e del Principe Ottone: una notizia che ha immediatamente provocato una recisa smentita da parte del Governo.

Circa la questione monarchica, mi riservo riferire a V. E. Segnalo intanto, giusta una informazione strettamente personale datami da un membro di questa Legazione ungherese, che la presenza in questo paese dell'ex Imperatrice e del Principe Ottone, malgrado la smentita ufficiale non sarebbe del tutto da escludersi

(l) Riferimento errato: dovrebbe trattarsi del n. 674.

693

IL MINISTRO A BAGDAD, PORTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE AEREO R. 2392/550/190 R. Bagdad, 25 maggio 1933 (per. ore 17 del 29).

Ho potuto lungamente conferire con Re Faisal durante e dopo un pranzo intimo da questi offerto in onore di S. E. Canonica.

Il Re mi ha detto che la situazione generale a nord dell'Irak, paese dove minoranze e razze sono così irrimediabilmente mescolate, pur non potendosi dire preoccupante dava luogo ad inquietudine. Da una parte i curdi in continuo fermento a cavallo della frontiera, sempre irraggiungibili e sempre misteriosamente forniti di armi, dall'altro gli assiri più che mai irriconciliabili, intransigenti, pronti a rinnegare le loro rich~c;:;te di ieri per affacciarne delle nuove. Infine anche gli Jezidi generalmente tranquilli sono oggi o per ragioni amministrative o per suscettibilità confessionali, in una inesplicabile agitazione.

Ma sopratutto attività curdi era nel suo complesso e per la sua stessa natura oggetto di molte attenzioni da parte questo Governo. Qui si aveva impressione che non solo incoraggiamenti ed aiuti ai curdi venissero oltre frontiera, ma che essi rispondessero ad una azione di più vasta portata che si svolgeva non solo fra i curdi e che non si poteva se non intuire. Infatti il Re non escludeva, anzi dubitava, che co~ne effetto del riavvicinamento francoturco di cui si sta parlando, la mano francese fosse per una certa e forse non piccola parte responsabile di questo stato di cose.

Risulta infatti al Re che le autorità francesi in Siria avevano fatto recentissimamente diffondere notizie se nei dettagli esagerate, nel fondo vere, sullo stato di non perfetta tranquillità del nord Irak, ponendo questa situazione come esempio ed anche come ... (l) alle aspirazioni dei nazionalisti siriani.

D'altra parte le notizie che gli venivano dalla Siria erano molto meno confortanti. A prescindere dalla questione del Trattato la cui conclusione sembrava più lontana che mai, esisteva lo stato di fatto dei metodi seguiti dalle autorità francesi, nei confronti della Siria, metodi di Governo assolutamente contrari allo spirito come alla lettera del mandato ed al patto della Società delle Nazioni.

La Francia, mi ha detto il Re, tendeva a trattare la Siria presso che come territorio di dominio diretto. Dalla Siria in questo ultimo tempo si erano così

venuti intensificando appelli disperati a lui perché interponesse la sua parola per far mitigare le condizioni del popolo siriano ferito nel suo sentimento nazionale. Per questo egli stava considerando l'eventualità che l'Irak, come membro della S.d.N. potesse portare a Ginevra la questione siriana.

Naturalmente il Re si rendeva conto che una azione isolata dell'Irak non avrebbe avuto se non scarsa probabilità di successo ma egli sarebbe stato comunque disposto a tentarla. In questa cireostanza gli sarebbe stato utile e gradito conoscere il pensiero del R. Governo sulla questione ed anche conoscere se e fino a qual punto noi fossimo eventualmente stati disposti ad appoggiarlo in questa sua azione.

Pur non essendo il Re Feisal stato del tutto espUcito ho avuto la conferma delle mie impressioni che cioè egli desidererebbe avere con V. E. uno scambio di vedute in forma privatissima sull'argomento. Questo credo potrebbe avvenire dopo la sua visita a Londra allorquando egli sarà libero nei suoi movimenti, e gli sarebbe facile recarsi in Italia dove del resto avrebbe già intenzione di passare qualche tempo. Il Re partirà di qui il 5 giugno prossimo, sosterà quattro giorni ad Amman per imbarcarsi il 10 ad Alessandria d'Egitto sull'Esperia diretto a Genova.

(l) Gruppo indecifrato.

694

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO GABINETTO, ALOISI, A GINEVRA

L. Roma, 25 maggio 1933.

Le trasmetto qui unito il testo ultimo del Patto (l) con le correzioni di forma che vi sono state apportate dietro suggerimento di S. E. Pilotti in seguito all'esame del testo da lui compiuto insieme al Signor Sargent. Di alcune altre proposte di S. E. Pilotti non si è potuto tener conto sembrando che esse venissero a toccare la sostanza del Patto. Esse erano precisamente le due seguenti:

l) all'art. 1°, riga 4a invece di «une politique de collaboration effective », «une politique tendant à assurer la collaboration effective »; 2) all'art. 2°, riga 3a invece di «dont le premier concerne l'engagement», «dont le premier consacre l'engagement».

V. E. vorrà mostrare a S. E. Pilotti, il quale giungerà costi nella giornata di domani, il testo unito alla presente per quelle eventuali ulteriori osservazioni che egli credesse di dover fare in seguito a un esame più approfondito dei singoli articoli; osservazioni che si rimane in attesa di conoscere appena possibile.

P. S. Se qualche Stato non ha bisogno di ratificare il patto per propria legislazione interna (Gran Bretagna?) si potrebbe nell'articolo relativo alla ratificazione aggiungere una frase «se necessario >> o qualche cosa di simile, che tenga conto di tale eventualità.

ALLEGATO

OSSERVAZIONI DI PILOTTI SUL TESTO DEL 20 MAGGIO

Le modificazioni che S. E. Pilotti suggerisce di apportare al testo da lui esaminato risultano dall'unita copia corretta. Sulla formulazione del punto dell'art. 3 che si riferisce al riconoscimento dell'eguaglianza dei diritti, S. E. Pilotti osserva:

« "reconnu" non può essere relativo che a "principe" -La risoluzione 11 dicembre non statuisce un sistema di eguaglianza, ma si limita a consacrare il principio come guida della conferenza del disarmo. Anche riferito a "principe" il "reconnu'' sembra lasciar credere che il riconoscimento si consideri oggi come assoluto, mentre tale non è nella risoluzione. Se il riconoscimento deve essere quello stesso della risoluzione, bisogna dire in francese "tel qu'il a été reconnu". Viceversa sarebbe improprio dire "dans les conditions où il a été reconnu" perché ciò lascerebbe credere che la risoluzione aveva sottoposto a limiti o circostanze particolari il riconoscimento; il che non è, e, se fosse, renderebbe preferibile -per comodità di futura interpretazione entrare nel dettaglio di quei limiti.

Debbo avvertire che tecnicamente i richiami dovrebbero sempre evitarsi, quando non si possa completarli con la ripetizione dei concetti espressi nel testo richiamato: cosi come si è fatto benissimo in questo progetto all'art. 2 ».

(l) Cfr. n. 650.

695

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. RR. 2108/989. Berlino, 25 maggio 1933.

Nell'imminenza dell'arrivo a Roma del Ministro Dr. Goebbels ho l'onore d'informare l'E. V. che egli è il migliore oratore del P.N.S., compassato nella forma e dai concetti sempre bene inquadrati.

A differenza di altri influenti gerarchi nazional-socialisti noti all'E. V. il Dr. Goebbels è assai riservato anche nelle forme esteriori.

Gli viene generalmente attribuita un'ambizione senza limiti e V'i è chi gli attribuisce persino l'intenzione di scalzare Hitler o, per lo meno, di assumere una situazione sempre più preminente.

Dai vari colloqui avuti con il Dr. Goebbels trassi l'impressione ch'egli è persona colta, cauta ancorché fermamente decisa, in cui il freddo ragionamento ha sempre ragione dei moti istintivi del cuore. È senza dubbio un « fanatico ~ del nazional-socialismo e pertanto non servi certo di moderatore allorché il Governo tedesco compì recentemente i noti errori.

Poiché non è scomparso il pericolo che Rosenberg possa essere chiamato dal Cancelliere ad un posto di primo piano all'Auswartiges Amt, una parola che fosse pronunciata dall'E. V. al riguardo durante il colloquio con Goebbels avrebbe un p~so immenso.

La campagna anti-semita si è, a vero dire, andata smorzando com'era prevedibile. I nazional-socialisti stanno però forse per commettere un nuovo

grave errore: quello di liquidare i due teatri di Berlino ohe appartengono a Rheinhardt in modo tale da equivalere ad un'espropriazione. Ove ciò accadesse -dopo che Rheinhardt fu invitato a lasciare la Germania -(egli inscena in questo momento a Firenze il «Sogno di una notte di Estate ») è prevedibile che la ripercussione ne sarebbe vastissima ovunque data la fama mondiale di cui gode quel grande régisseur.

La cosa dipende in gran parte da Goebbels ed in ultima istanza da Goering, come Presidente del Consiglio di Prussia a cui sottostanno tutti i teatri prussiani.

Anche in questo caso la parola di moderazione che fosse pronunciata dall'E. V. potrebbe impedire che la Germania si trovasse nuovamente di fronte ad una violenta campagna ostile.

696

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2305/64 R. Ginevra, 26 maggio 1933, ore 0,10 (per. ore 5,30).

Stamane ho avuto contatto con vari delegati e sono stato lieto di raccogliere dalla bocca di tutti accenni al migliorato umore PJccola Intesa nei riguardi patto.

È stato motivo speciale soddisfazione aver inteso elogiare da più parti efficace azione propaganda favore patto svolta presso ministri Piccola Intesa, specialmente Benes, da parte Tewfik Ruschdi bey, il quale ha quindi pienamente soddisfatto richiesta che gli avevo fatta coadiuvarmi. Opinione prevalente era che Benes si è ora reso perfettamente conto che Francia, ormai impegnata, non potrà probabilmente esimersi firmare patto. In queste condizioni egli sta vagliando in questi giorni le due vie che restano oggi aperte alla Piccola Intesa, ossia appoggiare senza riserve la Francia verso una piena valorizzazione del patto e farne cosi efficiente strumento di ricostruzione europea ovvero rinfocolare r,esistenza passiva della Francia sia accumulando ostacoli firma, sia eventualmente, a Hrma avvenuta, nel senso stesso delle riunioni delle quattro Potenze, sabotando ogni funzione vera e propria costruttrice del patto e rendendolo lettera morta come tanti altri patti internazionali.

Intanto, diffondendosi convinzione vitale importanza decisione Piccola Intesa, egli ne ha valorizzato importanza politica. Concordo con Boncour nel ritenere che nell'attuale indecisione Benes, motivo determinante sua scelta sarà

o meno sentirsi in qualche modo rassicurato circa questione revisione.

Decisione Benes si avrà martedì al consiglio Piccola Intesa Praga e avrà importanza risolutiva su attitudine Romania e Jugoslavia e conseguentemente su attitud1ne Piccola Intesa nei riguardi patto.

697

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 2306/65 R. Ginevra, 26 maggio 1933, ore 0,10 (per. ore 5,30).

L'opposizione di principio della Piccola Intesa nei riguardi del patto a quattro tende a migliorare.

Lo ha constatato oggi Paul Boncour, che è venuto a ringraziarmi dell'opera di fiancheggiamento da me svolta in questi giorni: «perciò, il ministro francese mi ha detto, la mia preoccupazione è diminuita da questa parte e sto cercando di annullarla completamente con delle assicurazioni che studio di poter dare alla Piccola Intesa» (v. mio telegramma n. 60) (1). Restano ancora le gravi difficoltà opposteci dalla commissione degli affari esteri e dalla opposizione parlamentare in Francia. «Ma state sicuro, ha proseguito, che tengo duro per far trionfare con voi questa politica».

Per queste ragioni Paul Boncour non crede, come gli avevo richiesto, di poter parafare il patto il 29 corrente, e cioè prima della riunione della Piccola Intesa a Praga.

698

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2319/80 R. Budapest, 26 maggio 1933, ore 15,05 (per. ore 16,30).

Mio telegramma odierno n. 79 {2).

Generale Gombos mi informa in questo momento avere giornalista austriaco chiesto testè presidente se era esatto egli fosse in procinto di recarsi a Roma; gli è stato risposto nulla risultare in proposito. Gombos ritiene trattarsi una delle consuete indiscrezioni disposte da Dollfuss per rafforzare propria posizione.

Con l'occasione generale chiedemi pregare V. E. voler esaminare opportunità questo ministro delle finanze lo accompagni nel suo viaggio a Roma: e ciò sia per mascherare carattere incontro, sia per consentire Imredy abboccamento con S. E. Jung che, come da me qui comunicato giusto istruzioni telegramma di V. E. n. 85 (3), non può aver luogo posdomani Venezia.

Gombos sarebbe vivamente grato E. V. se volesse fargli giungere urgente risposta.

«S. E. Jung mi comunica che per impegni precedenti è dolente non potersl recare Venezia sabato 27 corrente mese ».

(l) -Cfr. n. 680. (2) -T. 2317/79 R. del 26 maggio, ore 12,46, non pubblicato: riferiva che Gèimbèis avrebbe avuto intenzione di giungere a Roma il 2 giugno. (3) -Con t. 5130/85 P. R. del 25 maggio, ore 23, Suvich aveva comunicato quanto segue:
699

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2320/449 R. Londra, 26 maggio 1933, ore 20,50 (per. ore 24).

Suo telegramma n. 224 (l).

Ho conferito ieri sera stessa con Simon appena tornato da Ginevra. Egli era dispiacente non avere potuto, causa tempo cattivo sostare Parigi, fare ultime decisive pressioni su Daladier, ma mi ha detto essere personalmente pronto recarsi a Parigi dopo sedute Camera dei Comuni.

Simon è d'accordo con V. E. che bisogna compiere decisivo sforzo per vincere ultime difficoltà francesi e concludere patto prossimi giorni. Simon ha dato ieri sera stessa per telefono istruzioni lord Tyrrell Parigi insistere nel modo più risoluto presso Daladier. Mi reco oggi nuovamente Fore!gn Office conferire con Vansittart e telegraferò stasera.

700

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2324/450 R. Londra, 26 maggio 1933, ore 20 (per. ,ore 24).

Ho informato Vansittart pregandolo di darne comunicazione subito a Simon, impegnato da stamane dibattito alla Camera dei Comuni, delle buone notizie inviate da Berlino che S. E. Suvich mi ha trasmesso per telefono (2).

Vansittart ne ha preso atto con soddisfazione. Egli mi ha informato a sua volta della risposta data a lord Tyrrell da Daladier. Governo francese è estremamente riluttante abbandonare riferimento articolo 16 covenant, essendosi impegnato già su questo punto pubblicamente. Daladier ritiene che abbandonando tale punto posizione del suo Governo diverrebbe ancora più difficile di quella già non sia attualmente.

In seguito ciò Simon ha fatto convocare [Gabinetto] per esaminare possibilità da parte britannica accettare domanda francese inclusione riferimento articolo 16. Simon ritiene che dovrà superare forti [opposizioni] per ottenere autorizzazione Gabinetto, e ciò non solo perché Parlamento ma soprattutto Dominions si sono già espressamente dichiarati contrari.

Giò nonostante Simon è convinto che al punto cui sono giunte le cose, piuttosto che compromettere conclusione patto a 4 Governo inglese deve affrontare situazione, e questo egli sosterrà in consiglio Gabinetto.

12) Cfr. Il seguente appunto delle ore 16,10 di Jacomon\: <<S. E. Grandi telefona che ha visto stamane Vansittart e che anche da lui ha avuto

notizie ottime sulle disposizioni di Berlino ad accettare le ultime formule proposte. Meno buone sarebbero invece ancora le notizie da parte francese».

(l) Cfr. n. 690.

701

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. 1139/229 R. R,oma, 26 maggio 1933, ore 21.

Telegramma di V. E. n. 377 {1).

Mi rendo conto perfettamente che codesto Governo abbia cercato di ottenere un testo di patto che più risponda ai propri fini e non ho mancato di adoperarmi nel senso da esso desiderato. La migliore documentazione dei miei propositi e dello spirito a cui mi inspiro è d'altronde costituita dal testo originale da me proposto. Mi rendo pure conto dell'importanza che assume nel patto l'articolo tre. Le insistenze e i desiderata sui singoli articoli non devono però far perdere di vista lo scopo essenziale del patto che è quello anzitutto di assicurare una nuova impostazione di politica europea. In contrapposizione alla politica di intesa franco-inglese che la Francia persegue con ogni mezzo e che anche in Inghilterra trova numerosi e influenti assertori e che solo si può combattere con una politica di collaborazione a quattro, il patto afferma e impegna le Potenze firmatarie di Locarno a praticare appunto questa politica di collaborazione e di intesa tra di esse. Ne guadagna così l'Europa dal punto di vista politico e di riflesso dal punto di vista economico ma ne guadagna sopratutto e innanzi tutto la Germania per evidenti ovvie ragioni. Non è tanto attaccandosi a risolvere col patto una singola questione .per quanto importante essa sia che la Germania può sperare di riacquistare piena parità politica con le altre Potenze, quanto impegnando le altre « a concertarsi con essa su tutte le questioni » proprie alle Potenze medesime. Ora questo concetto che è il nucleo centrale della mia proposta originale resta in pieno nel testo attuale e non una sola volta ma due, all'art. 1° e all'art. 4°. In quest'ultimo articolo l'impegno riguarda le questioni «di interesse economico comune». La Germania riesce pertanto ad ottenere cosi per la prima volta e senza contropartita quello che invano si era adoperata ad ottenere con la politica di Stresemann che si era riferita non a problemi generali, ma a problemi particolari e per cui la prestazione di una contropartita era stata necessaria.

Non mi rendo conto pertanto come Neurath abbia potuto dirle che patto come è attualmente redatto non presenti alcun vantaggio per sé e che n problema pel Governo tedesco era ora essenzialmente quello di mostrarmi n suo vivo desiderio di non sollevare di nuovo delle difficoltà. Non me ne rendo conto anche perché, a parte il diverso piano su cui il patto a quattro pone la Germania, esso le assicura anche vantaggi specifici su questioni particolari. Così, e per la prima volta, in un patto successivo al Covenant l'art. 19 viene ricordato e ripreso e le quattro Potenze si impegnano ad esaminare ogni proposta relativa ai metodi e alle procedure propri a dare piena efficacia a questo articolo. Così è pure che per lo stesso disarmo le quattro Potenze s'impegnano a concertarsi per la sua realizzazione. La deliberazione dell'll dicembre (2)

che in sei mesi non ha fatto alcun progresso verso la sua attuazione pratica, trova nel patto la migliore garanzia per non restare lettera morta. D'altronde ella avrà già rilevato come l'art. 3 dell'ultima redazione non dica «la France, la Grande Bretagne l'Italie se concerteront avec l'Allemagne », ma «la France, la Grande Bretagne, l'Italie et l'Allemagne se concerteront >> ciò che dà tutta un'altra impostazione alla questione.

Io continuo ad adoperarmi per ottenere quanta maggiore arrendevolezza possibile dalla Francia, e a ciò mi giova che la Germania si guardi nel proprio interesse dal cadere in quello stesso stretto formalismo giuridico caratteristico della politica francese e da cui non potrebbe venirle che pregiudizio. L'idea di uguaglianza dei diritti in materia di armamenti e l'idea del revisionismo sono in marcia, ma solo una politica di collaborazione a larghe vedute può affrettarne ed assicurarne la realizzazione non l'insistenza formalistica su una frase

o su una parola.

Pregola vedere Hitler e parlargli a mio nome, leggendogli in sunto questo dispaccio.

(l) -Cfr. n. 667. (2) -Cfr. serie VII, vol. XII, n. 530.
702

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AGLI AMBASCIATORI, A BERLINO, CERRUTI, A LONDRA, GRANDI, A PARIGI PIGNATTI, E A WASHINGTON, ROSSO, E ALLA DELEGAZIONE A GINEVRA

T. 1142 R. Roma, 26 maggio 1933, ore 23,45.

Patto a Quattro. Stato attuale negoziati.

Testo 20 maggio (l) più aggiunta articolo 4. Preambolo d'accordo. Articolo l d'accordo. Articolo 2 d'accordo, salvo per menzione art. 16. Germania tuttavia disposta ad accettare che lo si menzioni.

Questione in discussione fra Londra e Parigi. Come Germania, anche noi preferiremmo che non (dico non) lo si menzionasse, ma non facciamo difficoltà. Inghilterra troverebbe maggior difficoltà per patto nei Dominions e si starebbe studiando una formula che, pur citando l'art. 16, evitasse la parola «sanzioni». Articolo 3 d'accordo. Francia accetta la frase: « tel qu'il a été reconnu >> e l'accetta anche Germania. Articolo 4 d'accordo. Articolo 5 e 6 d'accordo. All'ultimo momento, visto andamento lavori disarmo, Germania ha espresso desiderio che si ritardi a parafare. È stata fatta però presente a Berlino convenienza di affrettare. Aggiungo Simon ha informato questo ambasciatore Inghilterra che in conversazione avuta Ginevra con Benes quest'ultimo gli aveva detto che spera che si firmi patto e che ne derivi una détente.

Telegrafato Londra, Parigi, Berlino.

(l) Cfr. n. 650.

703

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, CERRUTI, A LONDRA, GRANDI, E A PARIGI, PIGNATTI

T. 1143 R. Roma, 26 maggio 1933, ore 23.

Prego chiedere codesto Governo se una volta concordato testo convenga opportunità che esso sia parafato Roma e telegrafarmi (l).

704

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, CERRUTI, A LONDRA, GRANDI, E A PARIGI, PIGNATTI, E ALLA DELEGAZIONE A GINEVRA

T. 1144 R. Roma, 26 maggio 1933, ore 23.

(Per Londra, Parigi e Ginevra) Ho telegrafato a Berlino quanto segue:

(Per tutti) In relazione comunicazione telefonica di V. E. relativa conversazione con Neurath, e di seguito al mio telegramma di stamane (2) pregola dire a Hitler che difficoltà lavori disarmo, invece che consigliare ritardo nel parafare patto, consigliano affrettare. Patto deve dare Germania altra situazione nelle discussioni questioni internazionali e quindi anche disarmo, come gliela ha già data sotto certi aspetti discorso Hitler in quanto intonato principio collaborazione a cui si ispira patto; e non conviene che, ritardando, Piccola Intesa e Polonia possano aumentare difficoltà in cui si trova già Gabinetto Daladier.

705

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 26 maggio 1933.

Il Signor Rochat, Primo Segretario dell'Ambasciata di Francia, è venuto a informare da parte dell'Ambasciatore che, secondo comunicazioni testè ricevute da Parigi, il Governo francese accetta la frase: «...le principe de l'égalité des droits tel qu'il est reconnu par la déclaration du 11 Décembre 1932 (3)... ».

L'Ambasciatore ha inoltre pregato il Signor Rochat di segnalare una ripresa delle correnti francesi meno favorevoli al Patto, correnti che potrebbero essere utilmente contrecarrés colla riaffermazione in Italia dell'idea che il Patto è essenzialmente destinato ad assicurare la pace in Europa.

(l) -Per la risposta di Parigi cfr. n. 730. Cerruti rispose che Neurath accettava che, una volta concordato il testo, il patto fosse parafato a Roma (t. 2351/384 R. del 27 maggio). Non si è rinvenuta la risposta di Grandi. (2) -Cfr. n. 701, spedito in realtà alle ore 21. (3) -Cfr. serie VII, vol. XII, n. 530.
706

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 921/304. Ankara, 26 maggio 1933 (per. il 31).

Rispondo al dispaccio di V. E. n. 213642/C del 5 maggio corrente (1).

Sono pienamente consenziente nel pensiero del R. Ambasciatore a Mosca per un tentativo di riavvicinamento fra l'U.R.S.S. e la Bulgaria che abbia come ispiratrice l'Italia e come mediatrice la Turchia.

I vantaggi che S. E. Attolico enumera come ricavabili dal riavvicinamento bulgaro-sovietico sono evidenti.

Aggiungo che la situazione politica dell'Europa centro-orientale impone in questo momento di mettere una ipoteca qualsiasi sulla Bulgaria per comprometterla di fronte alle manovre francesi e della Piccola Intesa.

Come esecuzione delle proposte di S. E. il R. Ambasciatore a Mosca, trovo nella fantasiosa natura di Tewfik Rustu un terreno facile da lavorare; ma non posso rispond~re dei frutti senza sapere quali disposizioni abbiano i Goverrn di Mosca e,. di Sofia ad intendersi.

Da parte mia ho avuto occasione di tastare il terreno sulla base di un accenno fatto da Chukru Kaia bey, ministro degli Esteri ad interim, durante una conversazione a cui assisteva l'Ambasciatore dei Sovieti. Era incomprensibile -secondo Chukru Kaia -che le relazioni tra U.R.S.S. e Bulgaria non fossero normalizzate.

Interrogai, l'indomani, l'Ambasciatore Souritz per conoscere il suo pensiero a riguardo delle parole di Chukru Kaia. Egli mi disse non avere in mano alcun elemento per parlare a nome del suo governo; essere partigiano di una ripresa di relazioni con la Bulgaria; essere qui fautore convinto di una intesa turcobulgara; avere però poca autorità per parlare trattandosi di interessi della Turchia verso un paese con cui il suo non era in relazione; deplorare di non avere rapporti personali con Antonoff. Tutte dichiarazioni di carattere individuale, che non scoprivano il modo di vedere Mosca.

Il Ministro di Bulgaria è stato molto più chiaro, ma non incoraggiante. Secondo lui il momento non è indicato per varie ragioni:

1° -imminente l'annullamento delle elezioni dei deputati bulgari comunisti; questo atto avrà ripercussioni ostili a Mosca;

2° -la ripresa di relazioni della Bulgaria con l'U.R.S.S. equivarrebbe ad una vittoria comunista all'interno del paese;

3° -ristabilendo le relazioni con l'U.R.S.S., il popolo bulgaro, affine a quello russo e aperto ad ogni manifestazione di pensiero slavo, rimarrebbe in balìa della propaganda russa;

4° -per renderlo immune occorrerebbe un governo molto forte che avesse l'autorità di iniziare una lotta aperta col bolscevismo come il Fascismo fece in

Italia e come Hitler sta facendo in Germania; il compito sarebbe tuttavia pm difficile in Bulg,aria per le ragioni di soggiacenza del pensiero bulgaro a quello slavo, come ho detto al n. 3; in ogni caso questo governo forte non esiste e non pare che possa presto avere possibilità di esistere.

Questi miei colloqui sono apparsi come innestati sopra lo spunto di Chukru Kaia bey e non hanno minimamente scoperto una iniziativa qualsiasi di questa Ambasciata e tanto meno del R. Governo.

In conclusione ho potuto rilevare:

-massima disposizione turca a favorire una ripresa di relazioni bulgarosovietiche tale da poterei sempre affidare sui buoni uffici di Angora qualora Mosca e Sofia mostrino possibilità di svolgimento di una simile azione;

-indifferenza formale, ma personale inclinazione di questo Ambasciatore dei Sovieti;

-preoccupazione grandissima del Ministro di Bulgaria attuali possibilità di ripresa che egli giudica irrealizzabili.

(l) Cfr. n. 430, nota 2, p. 469.

707

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2332/67 R. Ginevra, 27 maggio 1933, ore 1 (per. ore 6,30).

Norman Davis ha chiesto di vedermi.

Per primo mi ha domandato a che punto erano trattative patto. Gli ho risposto che attualmente tre erano principali ostacoli: opposizione inglese inserzione art. 16 Covenant; opposizione Piccola Intesa propositi revisione; conseguente resistenza francese.

Circa primo punto gli ho detto intravvedere possibilità superamento e circa altri due gli ho comunicato mia azione svolta presso rappresentanti Piccola Intesa e Francia.

A tale proposito mi ha detto di avere avuto anche lui impressione migliore comprensione presso rappresentanti Piccola Intesa.

Siccome mi è parso vedere adombrate sue parole da diffidenza circa eventualità che patto possa assumere atteggiamento antiamericano mi è parso opportuno chiarigli finalità patto diretto costituire quadro politico che permetta pacificazione, nonché soluzione problemi disarmo, ricostruzione economica che esperienza dimostrato diversamente insolvibili.

Ho esposto anche ragioni per cui Duce ritiene urgente firmare patto ed ho aggiunto che naturalmente questa firma non potrebbe aver luogo che a Roma; ciò che egli ha compreso.

Completamente rassicurato Davis mi ha allora comunicato che, data questa concezione patto, Governo Stati Uniti non può considerarlo che con favore. Ha aggiunto poi che pienamente corrente propositi suo Governo ha ragione di ritenere che questo approverebbe una iniziativa che egli ha mtenzione di assumere subito dopo firma patto, invitando quattro capi di Governo in luogo da stabilirsi affinché, insieme con lui, quale rappresentante Stati Uniti, provvedano regolare questione disarmo quadro politico portato dal patto. Tale riunione dovrebbe aver luogo prima di quella di Londra. In ogni modo suo Governo desidera che intanto conferenza disarmo sia comunque tenuta in vita anche con semplice continuazione discussioni commissioni, al fine evitare fallimento che impressionerebbe rovinosamente opinione pubblica mondiale con grave ripercussione conferenza economica Londra.

Chiestogli se potevo comunicare V. E. idea tale iniziativa mi ha autorizzato farlo, chiarendo però che tale comunicazione deve per il momento ritenersi strettamente confidenziale finché egli non avrà potuto assicurarsi adesione altre Potenze.

Espressagli soddisfazione quanto mi aveva comunicato l'ho pregato di fare analoga comunicazione a Boncour per contribuire indurre Francia affrettare firma.

L'ho pregato pure invitare Boncour mettere al corrente i rappresentanti della Piccola Intesa. Egli ha aderito mia richiesta.

708

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2338/369 R. Parigi, 27 maggio 1933, ore 13,30 (per. ore 16). A telegramma di V. E. n. 302 (l).

Incaricato d'affari britannico ha comunicato iersera al Quai d'Orsay che Governo britannico accetta che non si faccia menzione dell'art. 16.

Ha proposto testo inglese articolo 2 che contiene seguenti varianti: dopo parola « contractantes » tenore della sostituzione: « en vue de l'application éventuelle en Europe » si propone: «in respect of articles 10, 16, 19 ».

In fine dell'articolo 2 dopo: « méthodes et procédures » si propone «in case of need, to give dew effect to this articles ». La definizione del contenuto degli articoli che figura nel testo concordato il 20 maggio di cui al telegramma di V. E. n. 293 (2) è soppressa.

Il segretario generale del Qual d'Orsay mi ha detto che stante l'ora tarda in cui è stata fatta comunicazione, il nuovo testo inglese dell'articolo 2 non è stato ancora esaminato.

Signor Leger ha aggiunto che da parte sua non vede difficoltà all'accettazione del testo proposto.

(l) -Numero particolare di protocollo per Parigi del n. 702. (2) -Cfr. n. 650, nota 2, p. 705; 293 è il protocollo particolare per Parigi del t. 1127.
709

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2353/371 R. Parigi, 27 maggio 1933, ore 19,30 (per. ore 21).

Herriot persiste nella sua opposizione. Si è espresso in tal senso anche in una riunione del gruppo radica-socialista.

Le due commissioni esteri della Camera e del Senato determineranno loro atteggiamento dopo aver ascoltato presidente del consiglio e ministro affari esteri.

Stampa francese constata détente della Piccola Intesa.

Se la dichiarazione comune dei ministri degli esteri della Piccola Intesa, che sembra sarà fatta a Praga nei primi giorni della settimana prossima, confermerà questa impressione favorevole, saranno grandemente svalutate le resistenze contro il patto degli ambienti reazionari francesi rinforzati questi ultimi da Herriot e da alcuni suoi satelliti per motivi di politica interna.

I socialisti per quanto non lo dicano apertamente sono favorevoli al patto e agiscono in conseguenza.

La posizione del Gabinetto Daladier è pericolante per l'aggravarsi del conflitto in materia finanziaria fra Camera dei deputati e Senato.

Caillaux, che ha sostenuto finora Daladier, minaccia di abbandonarlo.

La situazione parlamentare è confusa, imbrogliata.

Sarebbe desiderabile che la Germania non facesse altre difficoltà, in modo che il patto potesse essere parafato lunedì o martedì.

710

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. s. 1154/278 R. Roma, 27 maggio 1933, ore 21.

Telegramma di V. E. n. 271 (l) e miei telegrammi n. 264 e 274 (2).

Questo ambasciatore del Giappone avendomi intrattenuto circa conversazioni avute dal R. incaricato d'affari a Tokio per conoscere se Giappone avrebbe veduto con piacere che grandi Potenze si interessassero per facilitare un componimento del conflitto cino-gciapponese, gli ho detto che 11 Governo italiano aveva agito di propria iniziativa: la cosa era sorta spontaneamente dalle conversazioni che si erano avute in questi giorni con alcune grandi Potenze ,relativamente alla prepamzione della conferenza economica. Governo italiano si era preoccupato e si preoccupa di eliminare tutte le cause che attualmente turbano l'ordine pubblico internazionale nell'intento di ottenere che

53 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XIII

la conferenza si apra nell'atmosfera più favorevole. Così R. Governo aveva cercato di venire ad una prima conclusione nella questione del disarmo, di realizzare il patto a quattro e di risolvere per quanto possibile i conflitti attualmente esistenti: conflitto cino-giapponese, conflitto tra Bolivia e Paraguay, conflitto tra Columbia e Perù (quest'ultimo ormai composto).

Iniziativa italiana non aveva avuto pertanto altro scopo che di saggiare se nel caso del conflitto cino-giapponese vi sarebbe stata possibilità di una conclusione soddisfacente per quanto possibile pronta.

Nel fornire all'ambasciatore del Giappone queste indicazioni ho avuto presenti le raccomandazioni insistentemente fatte da Roosevelt perché la richiesta rivoltaci a mezzo dell'E. V. avesse a rimanere segreta, e le precise assicurazioni fornite circa il segreto che al riguardo il presidente aveva mantenuto anche con i suoi più diretti collaboratori.

Della conversazione del R. incaricato d'affari a Tokio non ho informato nessuno, all'infuori dell'E. V., e comunico quanto precede perché ella ne intrattenga opportunamente e sollecitamente Roosevelt, al quale vorrà dire da parte mia che mi attendo pertanto che sia serbata anche per l'avvenire da parte sua (così come avverrà da parte italiana) la più assoluta discrezione con tutti e specialmente con il Giappone, al fine di ottenere che i chiarimenti qui forniti e il passo italiano a Tokio mantengano agli occhi del Governo giapponese, come è evidentemente indispensabile, il carattere che è stato loro dato, e il Giappone non abbia ragione di dubitare della loro sincerità.

(l) -Cfr. n. 636. (2) -Cfr. n. 654, nota 2 e n. 660, nota 2.
711

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5005/201 P. R. Vienna, 27 maggio 1933, ore 22 (per. ore 5 del 28).

Mentre mi trovavo stamane dal presidente della repubblica col cancelliere ed altri ministri austriaci è arrivata la notizia che il Reich ha deciso una tassa di mille marchi per il visto al passaporto per cittadini germanici recantisl in Austria.

Provvedimento, che impedirà di fatto turismo tedesco in Austria, ha provocato la più grande impressione e preoccupazione. Cancelliere austriaco pensa a misure di ritorsione col divieto d'importazione dalla Germania. Altri ministri come vice cancelliere, hanno designato situazione addirittura come catastrofica.

Segnalo all'E. V. che la Germania ha nominato noto deputato Hdycomt (che Governo federale aveva in animo invitare a lasciare il paese) addetto stampa presso questa legazione di Germania mettendolo così sotto l'egida privilegio diplomatico. Ha vietato inoltre partenza delegazione che doveva ritornare prossima settimana in Austria.

Codesta legazione Austria sarà incaricata ragguagliare V. E. particolareggiatamente su tutto quanto precede.

712

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2358/385 R. Berlino, 27 maggio 1933, ;Ore 23 (per. ore 1,40 del 28).

Telegrammi di V. E. nn. 229, 230 e :.32 (1).

Hitler è partito ieri sera per Baviera donde tornerà soltanto lunedì mattina.

Ho appuntamento con lui alle 12,30 per presentargli delegati italiani alla conferenza finanziaria e gli parlerò giusta istruzioni di V. E.

Ho intanto veduto von Neurath il quale mi ha detto che da un telegramma dell'ambasciatore di Germania a Londra, risultava aver Inghilterra ceduto sopra menzione dell'art. 16 nell'articolo 2.

Notizia gli era tornata assai sgradita non avendo potuto finora ottenere consenso del Gabinetto a tale menzione.

Quanto all'art. 3 Neurath mi disse che doveva insistere sulla redazione originale del testo 20 maggio (2) e non accettare alcuna delle due varianti proposte. Mi mostrai stupito di questa nuova difficoltà avendomi tanto egli stesso che Goering detto che avrebbero accettato la variante « tel qu'il a été reconnu ». Adesso che gli recavo buona notizia che V. E. era riuscita ottenere dalla Francia che non insistesse sopra seconda variante ostica alla Germania, egli mi diceva di non poter più accettare la prima. Von Neurath insistette perché, per ora, comunicassi a V. E. quanto precede perché non aveva potuto ottenere consenso del Gabinetto neanche su questo punto. Aggiunse che lunedì avrei potuto parlare col cancelliere e sentire da lui se credeva di recedere dalle obiezioni che egli oggi manteneva.

Ebbi l'impressione che si tratti di una manovra per ottenere che parafazione del patto venga protratta di alcuni giorni. Von Neurath mi ripetè infatti che a suo avviso se si concluderà patto a quattro in questi giorni non ci sarà da sperare nulla da Ginevra, mentre attendendo altri cinque o sei giorni si potrebbe agevolare qualche risoluzione parzialmente favorevole in materia di disarmo. Alle mie obiezioni in contrario von Neurath si limitò rispondere che anche di questo avrei potuto parlare con Hitler lunedì.

713

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2359/386 R. Berlino, 27 maggio 1933, ore 23 (per. ore 1,30 del 28).

Von Neurath mi ha detto avergli Goering da Roma telegrafato che V. F. aveva menzionato con lui un protocollo che dovrebbe essere firmato contem

{l) Cfr. nn. 701, 702 e 703.

poraneamente al patto a quattro circa la realizzazione pratica del principio

della parità diritti.

Da questo protocollo dovrebbe risultare impegno quattro Potenze riunire

propri delegati per esaminare prima tappa della realizzazione pratica entro

quattro settimane dalla firma del patto e procedere a successiva riunione ogni

sei mesi.

Von Neurath mi ha chiesto se avessi notizie di quanto precede ed alla

mia risposta negativa mi ha domandato assumere informazioni in proposito.

Quanto all'espressione « se concerteront » degli articoli uno e tre, Hitler

chiese al consiglio dei ministri di ieri se essa significasse che occorre accordo

di tutte e quattro le Potenze.

Goering rispose avergli V. E. detto che avrebbe parlato accordo di tre

Potenze. Von Neurath desidera conferma al riguardo e, per parte sua, osserva

che espressione suddetta gli sembra significare accordo unanime, tanto più

che esso costituisce una garanzia per tutti che non si cerchi poi, nonostante

il patto a quattro di concludere intesa fra alcuni degli Stati firmatari per as

sumere un determinato atteggiamento di fronte a taluno dei problemi posti

sul tappeto.

Von Neurath colse l'occasione per tornare a dire che impegno che la Ger

mania assume col patto a quattro è gravissimo perché esso menoma sua libertà

di azione per 10 anni.

Ho ribattuto con molti argomenti, e soprattutto con quello del telegram

ma di V. E. n. 229 (1), sua convinzione.

(2) Cfr. n. 650.

714

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2375/373 R. Parigi, 27 maggio 1933 (per. il 29).

Onoromi accusare ricevuta della comunicazione telefonica fattami nel pomeriggio di oggi da codesto Gabinetto, nei seguenti termini:

«Ambasciatore Graham comunica testo art. 2 proposto da Gran Bretagna e già trasmesso a Parigi che suona: «The H. C. Parties, in respect of articles 10, 16, 19 of the Covenant decide to examine between themselves and under reserve of the decisions which can only be taken by the regular Organs of the League of Nations, all proposals relatives to the methods proceduree calculated, in case of need, to give dew (due) effect to these articles ».

Nostra impressione è che inciso, in fine dell'articolo «in case of need » sia inopportuno e possa creare incertezze, e, oltre il resto, indebolire contenuto articoli patto Società delle Nazioni.

Riteniamo che tolto tale inciso proposta sia accettabile.

Prego sentire opinione codesto Governo telegrafandomi urgentemente.

Testo francese articolo nuovo proposto potrebbe suonare: « Les Hautes

Parties contractantes en ce qui concerne les articles 10, 16, 19 du pacte, dé

cident d'exami:ne·r entre elles et sous réserve des décisions qUi ne peuvent etre prises que par les organes réguliers de la Société des Nations, toutes propositions r·elatives aux methodes et procédures propres à assurer rapplication efficace de ces articles ».

(1) Cfr. n. 701.

715

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2357/375 R. Parigi, 27 maggio 1933, ore 23,15 (per. ore 1,30 del 28).

Mi riferisco alla comunicazione teLefonica fatta alla R. ambasciata alle ore 19 di oggi del testo inglese dell'articolo due e alle istruzioni al riguardo impartitemi dal Gabinetto dell'E. V. (1).

In assenza di questo ministro degli esteri e del segretario generale del Quai d'Orsay, ho veduto il direttore Generale affari politici che ho informato delle osservazioni di V. E. riguardo all'inciso «in case of need » sottoponendogli nello stesso tempo il testo f.mncese dell'art. due teiefonatomi dal Gabinetto. Il direttore generale ha preso nota della commissione e mi ha detto che Boncour prima di partire stasera da Ginevra aveva avuto notizia da Roma della proposta italiana. Ma non sapeva se Boncour avesse telegrafato direttamente all'ambasciatore di Francia a Roma la sua opinione. Credeva piuttosto Boncour avrebbe discusso la cosa domani nelle due ore che passerà a Parigi prima di ripartire per Ginevra. Il ministro esteri infatti trascorrerà la giornata di domani a Chalons. Sarà a Parigi alle 19 per conferire col presidente consiglio, ripartendo alle 21 per Ginevra. Il segretario generale sarà pure assente tutta la giornata di domani. La risposta alla mia comunicazione potrà essermi data soltanto lunedì mattina. Frattanto e prima della mia visita, il Quai d'Orsay aveva telegrafato all'ambasciatore di Francia a Roma il suo consenso all'artico,lo due proposto dal Foreign Office modificandone la prima parte nei seguenti termini: «en ce qui concerne le pacte de la Société des Nations et notamment les articles 10, 16 et 19 les hautes Parties contractantes décident, ecc.». Segue il testo inglese dell'articolo due del quale il Quai d'01:1say non ha finora una propria traduzione francese.

716

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. P. 1156/87 R. Roma, 27 maggio 1933, ore 24.

Voglia recarsi da Goemboes e pregarlo a mio nome di rinviare il viaggio a Roma a data successiva alla conclusione dell'accordo a quattro, conclusione che deve ritenersi ormai vicina ma che non avverrà probabilmente prima del giorno che Goemboes avrebbe scelto per sua visita a Roma. Quanto a

Dollfuss egli viene ufficialmente per la firma del Concordato colla Santa Sede. D'altra parte una riunione a tre in questo momento potrebbe turbare l'atmosfera che va chiarendosi anche nei confronti dell'Ungheria (1).

(l) Cfr. n. 714.

717

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DELL'URSS A ROMA, POTEMKIN

APPUNTO. Roma, 27 maggio 1933.

Il signor Potemkin è venuto a trovarmì e mi ha intrattenuto sulla situazione politica esistente fra i due Paesi che egli considera ottima sotto tutti i punti di vista.

Mette in rilievo la diversità delle relazioni italo-russe e germanico-russe, osservando a proposito di queste ultime che le buone intenzioni del Cancelliere non sono state sufficienti per eliminare le note poco simpatiche nei riguardi dei Sovieti.

Nel cielo dei buoni rapporti fra i nostri due Paesi c'è ogni tanto qualche piccola nube: cita due articoli, uno del Regime Fascista e l'altro del Popolo d'Italia (allegato) dove non si parla con simpatia della Unione e del bolscevismo. Egli però a questo fatto non dà che importanza di sfumature. Osserva che i buoni rapporti fra i nostri due Paesi non hanno avuto che manifestazioni di carattere episodico e egli si chiede se non sarebbe il caso di pensare a qualche forma per dare a tali buoni rapporti un carattere continuativo.

Egli ricorda le conversazioni avvenute in proposito tra Litvinov e Grandi (2), quest'ultimo per incarico di S. E. Mussolini, e non sa perché· tali conversazioni non abbiano avuto seguito: non certo per mancanza di buona volontà da parte dell'Unione Sovietica.

Dovendo ora recarsi in Russia, egli vorrebbe sapere che cosa pensi al riguardo il Governo italiano.

Rispondo all'Ambasciatore constatando che anche noi non possiamo che fare le stesse osservazioni sulla esistenza dei buoni rapporti manifestatisi in ogni occasione fra i nostri due Paesi.

Per quanto riguarda i giornali si tratta effettivamente di sfumature.

Se andassi a fare un esame analitico dell'atteggiamento dei giornali russi nei riguardi del Fascismo, probabilmente noi saremmo in credito ma come detto non ha importanza.

Per quanto riguarda infine la sua allusione alla possibilità di rendere permanenti con un atto concreto i buoni rapporti tra l'Italia e la Russia, potevo dirgli che il Governo italiano considerava la cosa col massimo interesse, e poiché sapevo che oggi stesso egli avrebbe visto il Capo del Governo, lo invitavo a chiedergli la sua opinione al riguardo.

Io poi avrei preso istruzioni dal Capo del Governo in merito a tale questione.

12) Cfr. serie VII, vol. JX, n. 411.

(l) Minuta autografa d! Mussolin!.

718

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Ginevra, 22-27 maggio 1933.

La Conferenza del Disarmo continua a trascinarsi a vuoto fra schermaglie, mezzucci e sempre eguale inconcludenza.

Quando partii l'ultima volta, erano i tedeschi gli isolati sia per la loro tattica di opposizione al piano britannico, fatta di critiche e piccoli emendamenti, e sia per l'atmosfera generale anti-hitleriana succeduta alla persecuzione contro gli ebrei.

Poi vennero il proclama Roosevelt e il discorso Hitler al Reichstag e il conseguente mutamento di tattica della Germania al disarmo. Essa adottò il nostro sistema di adesione generica al piano, mise in sordina la questione della parità e si mostrò arrendevole.

La situazione fu allora rovesciata. Avendo la Germania accettata la trasformazione della Re.ichswehr, salvo r;-;~rve generiche sull'insieme della Convenzione, si esaurì la voce seconda (effettivi) e si passò alla voce terza (materiali) a proposito della quale toccò alla Francia di fare l'opposizione, sotto il solito pretesto della interdipendenza del problema del materiale con quello della sicurezza. E sorse il dissidio fra la tesi difesa da Norman Davis del «disarmo ante sicurezza» e quella francese della «sicurezza ante disarmo».

Riunitisi di nuovo i «big five », fu adottata anche in questo caso la solita zoppicante soluzione di ripiego di alternare giornalmente la discussione sul materiale con quella della sicurezza. Il tutto in prima lettura, senza voti, a titolo preparatorio.

Ne è venuta così fuori un'accademia nella quale ciascuno si riserva i colpi buoni per la seconda lettura.

Insomma la conclusione è più che mai la stessa: è escluso che in questa sede si possa concludere, e d'altra parte è ben difficile che si possa attaccare la Conferenza di Londra se nulla affatto si è concluso prima a Ginevra. O Patto a quattro, o nodo gordiano insoluto.

719

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 1886/665. Londra, 27 maggio 1933 (per. il 2 giugno).

Con il mio telegramma per corriere n. 458 (l) ho avuto già ad informare l'E. V. di quanto mi era stato detto al Foreign Office circa i lavori della Commissione tecnica che studia il progetto di sbarramento del lago Tzana. Io avevo

presentato al Foreign Office ed illustrate a voce le considerazioni che V. E. mi aveva incaricato di fare con il telespresso riservatissimo n. 211252 (l) e, a precisare meglio il contenuto della nostra richiesta di partecipazione agli studi relativi ai lavori di sbarramento e alla utilizzazione delle acque, avevo anche lasciato al signor Peterson, che dirige al Foreign Otfice l'ufficio competente, un breve pro-memoria che concludeva con queste parole:

«In consideration of the agreements of 1906 and 1925 the Italian Government consider that they should not be Ieft out or be prevented from contributing in the examination of schemes connected with the building of a dam at Lake Tsana or with any other work whose undertaking should be considered in the zone in question ».

Dal Signor Peterson ho ricevuto ora la seguente lettera:

« With reference to our conversation of the 5th May, when you alluded unofficially to Lake Tsana, I write to confirm that the result of the recent conference at Addis Abeba was to provide for a further survey of the Tsana dam project. As I told you, it will probably be a matter of a couple of years or so at least before this survey has been completed and before the project will again come under active consideration. I may mention that I informed your predecessor, shortly before the conference met, that this would be the probable outcome and that in any case no definite decision was likely to be taken.

With regard to the suggestion contained in the memorandum which you left with me that the Italian Government should be kept informed of developments, I see from our files that this has been done over a number of years by informai communications with your Embassy. His Majesty's Representative ad Addis Abeba has also been instructed from time to time to keep his Italian colleague informed so far as he can properly do so in a manner which is technically one between the Abissinian Government and an American Corporation. We propose to remind Sir Sydney Barton of our wishes in this respect, although I did not gather from you that your Minister at Addis Abeba had had any actual complaint to make on this score.

You reminded me expressly that your aide memoire was to be regarded as an unofficial document, and I therefore refer only in passing to one expression in the penultimate paragraph -«or be prevented from contributing in the examination of schemes, etc. » -which might be taken as a suggestion that Italy should participate in any further conferences on the development of the Tsana pian. I do not feel that it would serve any useful purpose to follow up this suggestion, if suggestion it be, since both the White Corporation and we ourselves have already been occasioned considerable embarrassment by the necessity of introducing Egypt (as a prospective purchaser of the water) into the consideration of the scheme in the face of extreme Abyssinian reluctance to enlarge the scope of the discussions. Any further extension would only be necessary or advisable were it to become essential for us to invoke the support and assistance of the Italian Government promised to us under the Exchange of Notes of 1925.

A small correction. I think I told you inadvertently that the new survey would include some investigation into the possibilities of "lowering" the levels of the Lake. I ought to have said "raising" those levels ».

Questa risposta non mi è sembrata né esauriente né soddisfacente, e ho quindi creduto opportuno di intrattenere di nuovo il Foreign Office sull'argomento.

Ho detto al Foreign O!fice che avrei trasmesso a V. E. il contenuto della lettera, ma che intanto io dovevo fare alcune osservazioni. Noi certamente gradivamo di essere informati dal Governo inglese di tutto quanto può interessare lo svolgimento della questione del lago Tzana, e le istruzioni che il Foreign Office avrebbe impartite in proposito a Sir Sidney Barton sarebbero state certamente assai apprezzate, ma non mi pareva che questo potesse essere giudicato sufficiente da V. E. Noi non abbiamo un interesse generico ai lavori del lago Tzana, abbiamo un interesse preciso e specifico. I lavori del lago Tzana potranno avere una notevole influenza per lo sviluppo economico dell'Etiopia Occidentale e noi dobbiamo essere in grado di poter eventualmente intervenire nell'elaborazione e nell'adozione dei progetti relativi. Dalla stessa lettera del Foreign Office potevo trarre un esempio pratico della importanza che le decisioni della Commissione tecnica potevano avere per i nostri interessi nell'Etiopia Occidentale. Si accenna in questa lettera agli studi che la Commissione dovrà compiere per un eventuale innalzamento del livello delle acque del lago. Tale innalzamento, ove fosse deciso, porterebbe evidentemente a una modificazione del regime delle acque in tutta la regione. Noi potremmo, anche nell'interesse delle popolazioni locali, avere delle osservazioni da presentare e da far valere, e per questo sarebbe necessario che fossimo, per lo meno, informati in tempo, e messi in condizione di agire tempestivamente.

A queste mie osservazioni il Signor Peterson ha risposto insistendo sulla difficoltà di ottenere dal Governo etiopico una diretta partecipazione italiana allo studio dei progetti. Egli mi ha ripetuto che il Governo etiopico si è dimostrato decisamente contrario ad ogni allargamento della Commissione e che ebbe a suo tempo ad opporre delle nette resistenze alla partecipazione di un rappresentante del Governo egiziano ai lavori della Commissione, nonostante che il Governo egiziano, come futuro acquirente delle acque, avesse di fronte allo stesso Governo etiopico un titolo preciso da far valere. Nessuna probabilità di riuscita avrebbe un tentativo di far ammettere nella Commissione un rappresentante Italiano. Si potrebbero evidentemente comunicare al Governo italiano i rapporti della Commissione. Ma neanche questo procedimento è scevro di difficoltà. La Commissione tecnica dirige tali rapporti al Governo etiopico, ed è solo il Governo etiopico che ne può disporre. Il Governo britannico può fare al Governo italiano delle comunicazioni amichevoli, ma esso deve rispettare certi limiti; deve cioè tener presente il fatto che le due parti che stanno trattando per i lavori del lago Tzana sono il Governo etiopico e la White Corporation, che è una ditta americana non inglese. Questa è la maniera -egli ha detto -come il Foreign Office vede il problema. Se il Governo italiano, prendendo in considerazione queste osservazioni, vede da parte sua la possibilità di un procedimento che risponda allo scopo e ha qualche suggerimento pratico da fare il Foreign Oftice studierà volentieri la cosa. I progetti di sbarramento del lago Tzana sono, del resto, ancora assai lontani dalla loro realizzazione. Ancora qualche anno dovrà passare prima che i lavori possano avere inizio. Le condizioni generali dell'economia mondiale non consigliano certo di affrettarli, né l'atteggiamento generale del Governo etiopico, le difficoltà che esso fmppone e le esigenze che esso solleva, permettono di pensare che almeno i progetti verranno presto portati a compimento.

Ho replicato a queste osservazioni che di tutto ciò avrei informato V. E. per quelle ulteriori istruzioni che V. E. avrebbe voluto darmi.

Nel corso del colloquio, tenendo P<"e3ente l'utilità di confermare il riconoscimento inglese dei nostri interessi neH'Etiopia Occidentale, secondo le istruzioni di V. E., ho più volte insistito nel ricordare gli accordi del 1906 e del 1925. Richiamo l'attenzione di V. E. sul penultimo periodo della lettera del Foreign Ofjice, dove agli accordi del 1925 si fa espresso richiamo. Tale periodo è piuttosto oscuro, ed appare essere in una certa contraddizione con il resto della lettera. Mentre infatti la lettera tende a mettere in rilievo le difficoltà che ostacolano la partecipazione dell'Italia ai lavori della Commissione tecnica, nel periodo al quale mi riferisco la possibilità di una tale partecipazione sembra essere esplicitamente ammessa, per il caso che l'Inghilterra si rivolga per aiuto a noi, invocando l'accordo del Hl25.

Tale ammissione, per quanto strana sia la sua forma, mi sembra possa costituire uno spunto favorevole per ulteriori conversazioni qualora V. E. ritenga opportuno che io ritorni col Foreign Office sull'argomento. In tal caso io crederei che sarebbe utile, a evitare che il Foreign Ofjice mi risponda con delle osservazioni generiche, che io potessi avanzare qualche proposta concreta circa la forma nella quale noi desideriamo essere tenuti al corrente dello svolgimento dei lavori della Commissione tecnica, e circa la nostra partecipazione alla elaborazione dei progetti che sono ad essa sottoposti.

(1) Non pubblicato.

(l) Cfr. n. 416.

720

IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE PERMANENTE DEI MANDATI, THEODOLI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. P. Roma, 27 maggio 1933.

Come ti ho già riferito, il Comandante Lyautey un mese fa mi parlò lungamente delle aspirazioni coloniali italiane e della necessità di un'intesa generale franco-italiana per tutte le questioni extra-europee rimaste in sospeso, onde liquidare il passato.

Gli dichiarai naturalmente che io non era autorizzato a parlarne e potevo soltanto esprimergli le mie idee, già conosciute del resto al Quai d'Orsay ed a Palazzo Farnese.

Egli è tornato a Roma una settimana fa ed è venuto subito a cercarmi. Come tu certo saprai, il Comandante Lyautey è nipote del Maresciallo, fiduciario del Ministero delle Colonie e di quello degli Affari Esteri e fa parte

dell'Ufficio Informazioni dalla fine della guerra. Questo ufficiale parla diverse lingue e viagg.ia continuamente.

Egli dunque mi riassunse brevemente le nostre passate conversazioni sul Nord Africa, i mandati francesi e l'Abissinia; poi a bruciapelo mi domandò se l'Italia aveva delle mire sul Camerun e la Siria. Io rispost che non ritenevo questi territori convenienti per l'emigrazione italiana, ma che non credevo dovere a priori volgere lo sguardo altrove se la Francia non faceva onore all'articolo 13 del Patto di Londra.

E Lyautey di rimando: «Mais vous avez parlé et précisé avec M. de Caix à Genève et à Paris vos vues sur l'Abyssinie, c'est là que vous pouvez trouver un terrain convenable à vos aspirations coloniales "·

Io gli rifeci la storia delle mie conversazioni con de Caix, che non impegnavano i nostri Governi, ripetendogli che la Francia aveva l'abitudine di offrirei la roba degli altri, ciò che non vuoi dire compensarci degli acquisti coloniali da lei fatti dopo la guerra, e che per cementare un accordo duraturo fra i nostri due Paesi era necessario che la Francia desse una prova tangibile all'Italia, cedendo una qualche parte dei suoi territori africani, che potesse praticamente ed utilmente servire allo sviluppo della nostra politica coloniale.

Il Lyautey, riprendendo le idee sviluppate in aprile, mi volle precisare quello che potrebbe dare soddisfazione all'opinione pubblica italiana.

Io risposi che non avevo mai parlato di questioni particolari con i Ministri competenti e che perciò mi limitavo a prospettargli una idea che forse potrebbe essere accettata a Roma come a Parigi.

Lasciando per ora da parte la questione di Tunisi e limitandoci a guardare la costa somala (tenendo pure conto del << jamais » dettomi da Clemeneau nel 1919 e da San·aut l'anno scorso a proposito della cessione di Djibuti all'Italia) io volli sapere che impressione aveva fatto al Ministero delle Colonie francese il progetto da noi due ventilato, di cederci una striscia di terra che riunisce Assab con Tadjura alla Somalia di modo che l'Italia potesse un giorno avere la continuità territoriale tra le sue due colonie incuneandosi così tra l'Abissinia e Gibuti, che rimarrebbe base francese sulla linea di Estremo Oriente. Egli naturalmente mi ripeté le obiezioni, già sollevatemi da de Caix sull'Hinterland di Gibuti, sulla zona di influenza francese dell'Barrar e sulla proprietà della ferrovia sino a Dire-Daua. Obiezioni che i francesi devono fare, ma che Lyautey capi facilmente che non mi smontavano. Con mia grande meraviglia egli aggiunse poi che ne aveva parlato con Jouvenel e che la questione potrebbe formare forse una base di trattativa se gli Inglesi, co-firmatari degli Accordi del 1906 e del 1925, si disinteressassero della Abissinia centrale e meridionale.

Non lo dissi a lui, ma pensai tra me che, tagliando le comunicazioni dirette ed i contatti territoriali tra la Francia e l'Abissinia, questa capirebbe di essere abbandonata dalla sua vecchia protettrice e diverrebbe più arrendevole con noi.

Egli terminò colla preghiera e consiglio di recarmi a Parigi prima o dopo Ginevra; ciò che io gli dissi non sembrami opportuno perché (anche se non in realtà autorizzato dal mio Governo) potrei apparire come « petente » agli occhi dei suoi connazionali diplomatici e coloniali.

Ho messo l'altro giorno al corrente Jouvenel di quanto sopra per capire fino a che punto Lyautey parlava per suo conto, ed ho l'impressione che tutti

e due cercavano di sondarmi, ma non hanno protestato, come io mi aspettavo, contro la possibilità di cessione di una striscia della loro Somalia.

Quanto ti ho riferito più sopra acquista importanza se si mette in relazione colla visita fattami lunedì scorso dal Signor Tracy Philipps che io avevo conosciuto ad Udine nel 1917, rivisto a Londra al Colonia! Office nel 1921 e poi a Ginevra cinque anni fa. Questo signore era ufficiale dell'Esercito ed appartiene certamente all'Intelligence Service, ma mi è difficile capire quale sia la sua posizione ufficiale oggi; dopo Roma conta, traversando l'Abissinia, recarsi al Kenia.

Dopo avermi parlato della Commissione Permanente dei Mandati, della emancipazione dell'Irak e dell'avvenire della Siria, mi ha fatto delle dichiarazioni di simpatia verso il Duce, l'Italia ed il suo popolo deplorando che il nostro Paese non abbia ancora avuto soddisfazione nel campo coloniale. Egli mi fece comprendere di essere al corrente delle mie conversazioni con de Caix e Berthelot, giudicò i Francesi pessimi negoziatori perché non sanno aver gesti tempestivi. Accennò al Camerun come territorio ricco di materie prime ma non adatto a popolazioni europee, si mostrò edotto della mia posizione sin dal 1919 contraria all'acquisto del Borku e Tibesti che non avrebbe altro risultato per noi che obbligarci a fare da gendarme per conto dei Francesi, e da bravo inglese non dava peso alla questione tuttora pendente di Tunisi.

Io Io lasciavo parlare non immaginando quale fosse Io scopo del suo viaggio a Roma né la ragione della sua visita a me, quando di punto in bianco mi domandò in francese, mentre si era sempre servito della sua lingua matema: « Que pense M. de Jouvenel de vos aspirations abyssines? Est-ce que Ies Français ne reconnaissent pas Ieur erreur d'avoir fait entrer l'Abyssinie dans la S.d.N. uniquement pour vous embèter? », e poi con tono faceto mi ha domandato se non potessimo servirei d'accordo della « natives and aborigines Protection Society » per sollevare la questione della schiavitù che permane nell'Impero del Negus onde intervenire negli affari abissini. Io, ridendo, ho esclamato: «I was sure that Machiavelli was an englishman, now I have the proof that he belongs to your Colonia! Office! ».

'

Dopo rinnovate dichiarazioni di amicizia e allo scopo di trovare soddisfazione alle giuste richieste coloniali nostre, onde applicare il Patto a quattro con una Italia soddisfatta ed una Germania rabbonita per 10 anni almeno; il Sig. T. Philipps mi domanda che cosa io pensi del Giappone, del suo mandato e dell'avvenire delle 750 isole ex-tedesche del Pacifico.

Non gli dissimulai la mia meraviglia, ed egli, senza esitazione, mi progettò di far rendere dai Giapponesi le suddette isole alla Germania mentre l'Europa, e per essa il Consiglio della S.d.N. si mostrerebbe conciliante per il regolamento del conflitto cino-giapponese. Poi aggiunse che con un Patto a 4 operante si può contare sull'arrendevolezza della S.d.N. per una sistemazione dell'Abissinia (ch'egli ben conosce) e che cosi non può svilupparsi. «Dal momento che i Francesi non avranno difficoltà a disinteressarsi a vostro favore della parte meridionale ed orientale e che noi vogliamo sistemare la questione del lago Tsana, perché l'Italia, pur senza un mandato scritto, non eserciterebbe la missione affidataci dall'art. 22 del Patto della S.d.N.? ».

Continuando egli mi ha illustrato le condizioni deplorevoli di quelle provincie, l'assoluta mancanza di qualunque principio di giustizia, ordine e disciplina tra i capi che egli ben conosce per esperienza propria e per informazioni sicure.

L'Abissinia ha bisogno di denaro. Non può trovar prestiti all'estero perché non ha porti sui quali concedere le dogane in garanzia. La Francia e l'Inghilterra non vogliono interessarsi alle sue questioni interne. L'Italia può dare i denari, prendere in mano lo sviluppo del paese garantendosi così efficacemente e risolvendo pacificamente il suo problema coloniale il cui impero est-africano andrebbe da Cassala al Giuba.

Io, guardandolo bene negli occhi, gli ho domandato a nome di chi mi parlava, ed egli mi ha risposto di rivolgermi al mio collega Lord Lugard (delegato inglese alla Commissione Permanente dei Mandati) per sapere quali fossero i suoi amici e quali gli ambienti sui quali egli ha influenza.

«L'opinione inglese dev'essere preparata e curata, mettiamoci d'accordo e dividiamoci le parti. Pensate a quel che vi ho detto e ci rivedremo qui od a Ginevra tra qualche mese».

Non ho bisogno di dire che tale conversazione mi ha lasciato perplesso, specialmente in quanto avvenuta una settimana dopo l'intervista col Comandante Lyautey.

Mercoledì mi recai dall'Ambasciatore d'Inghilterra a domandargli, in via confidenziale, se conosceva, che cosa ne pensava e che cosa mi poteva dire del Signor T. Philipps.

Sir R. Graham mi ha dichiarato che questo Ufficiale è alle dipendenze del Colonia! Office, che aveva fatto anche a lui gli stessi discorsi fatti a me, e che, congedandosi al momento di lasciare Roma, aveva promesso di riassumergli per iscritto ed inviargli dall'Africa un riassunto delle vedute espostegli a voce.

Per conto mio, io ho capito due cose: a) che Parigi informa Londra di quanto si dice o si fa tra Roma e Parigi.

b) che gli inglesi vogliono fare un passo avanti nell'affare del Lago Tsana e vorrebbero far marciare l'Italia per sistemare i loro interessi idrici sudanesi.

P. S. -Questa idea della cessione delle isole del Pacifico sotto mandato giapponese alla Germania mi risulta essere stata lungamente esposta nei giornali giapponesi, editi in lingua inglese, della metà dello scorso Marzo. Tali giornali sono: Japan advertiser (americano), Japan Times (nazionalista giapponese), Japan Cronicle (germanofilo).

721

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2362/387 R. Berlino, 28 maggio 1933, ore 14,35 (per. ore 16,30).

Mi risulta che nel consiglio dei ministri di avantieri in cui si è deliberato gravissimo provvedimento della tariffa di mille marchi per il visto passaporti

cittadini tedeschi che si recano in AL.;tria fu lo stesso Hitler il più accanito ed intransigente.

Hitler voleva pure rispondere au·espulsione dall'Austria di Habicht nominando quest'ultimo consigliere di legazione tedesco a Vienna ma von Papen riuscì a fare prevalere note ragioni.

Nei circoli governativi si ritiene che provvedimento austriaco che vieta attività partito comunista preluda analogo provvedimento relativo partito nazionale socialista e ci si prepari rispondere con ulteriore rappresaglia.

722

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2361/389 R. Berlino, 28 maggio 1933, ore 14,31 (per. ore 16,30). Mio telegramma 384 (l).

Ho avuto indirettamente conferma che ministro degli affari esteri tedesco e sopratutto von Biilow sono contrari ad una parafazione sollecita del patto a quattro che vorrebbero fosse ritardato sino dopo Pentecoste ritenendo che in tal caso si potrebbe raggiungere qualche risultato tangibile a Ginevra.

723

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, CERRUTI, A LONDRA, GRANDI, A MOSCA, ATTOLICO, A PARIGI, PIGNATTI, E A WASHINGTON, ROSSO

T. 1164 R. (2). Roma, 28 maggio 1933, ore 18.

(Per Mosca e Berlino) Ho telegrafato ai RR. ambasciatori a Washington, Parigi e Londra quanto segue: (Per tutti) Secondo notizie pervenute a questo ministero fase attuale situazione Estremo Oriente sembra caratterizzata da: 1°) tregua armi conclusa da parti contraenti; 2°) trattative dirette in corso tra due parti per conclusione accordo; 3°) proposito Giappone continuare trattare direttamente con la Cina; 4°) desiderio Cina intervento Potenze nel regolamento del conflitto, sebbene Governo cinese non abbia fatto sinora alcun passo formale in tal senso; 5°) possibilità costituzione nel nord Cina amministrazione separatista ligia interessi giapponesi;

6°) minaccia prestigio e interessi Potenze europee e Stati Uniti che deriverebbe da accordo diretto sino-giapponese il quale tenderebbe escludere influenze europea e americana in Cina.

Prego V. E. tenendo presente quanto precede segnalarmi quanto potesse risultarle su ogni eventuale azione che codesto Governo si proponesse svolgere a difesa suoi interessi in Cina.

(l) -Cfr. n. 703, nota l. (2) -A Berlino e Mosca il telegramma venne Inviato per corriere.
724

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. 1170/238 R. Roma, 28 maggio 1933, ore 23.

La prego di spiegare chiaramente al cancelliere che sulla base delle conversazioni avute con Goering e conseguente scambio di comunicazioni coi Governi francese ed inglese nonché con quelle scambiate con codesto Governo a mezzo di V. E. siamo riusciti ad ottenere un testo concordato sulla adesione al quale da parte di tutti non può esservi più alcun dubbio. L'unica cosa rimasta in sospeso è l'art. 2 su cui si attende ancora risposta Governo tedesco avvertendo però che adesione tedesca è già acquisita dal momento in cui codesto Governo ha dichiarato di rimettersi a noi per questioni a cui l'art. 2 si riferisce. Tornare indietro oggi sarebbe interpretato nel modo più sfavorevole per Germania e darebbe un atout formidabile in mano alla Francia. Una tale mossa da parte tedesca farebbe perdere la posizione guadagnata in seguito abile discorso cancelliere. Né noi sappiamo vedere i vantaggi che codesto Governo si ripromette da una dilazione nella conclusione del patto. La situazione parlamentare in Francia è tale e l'opposizione dell'opinione pubblica è così violenta che perdere qualche giorno forse può voler dire compromettere irrimediabilmente ogni cosa. Noi consideriamo che il patto debba agire in modo benefico sulla conferenza del disarmo e non viceversa come pare a codesto Governo. È una quistione di stato d'animo e la firma del patto metterà la Germania in una situazione di favore.

Per quanto riguarda il punto particolare della interpretazione dell'espressione «se concerteront >>, è nostra opinione che l'accordo debba essere unanime. Ciò che, secondo osserva Neurath, è garanzia per tutti. Si è detto a Goering che non si tratta evidentemente di una costrizione per nessuno ma di decisioni che possono derivare solo da concorde volontà; ma è evidente che le decisioni unanimi non possono non essere influenzate profondamente dalla volontà di tre Potenze, ciò che nella situazione esistente e sopratutto se la Germania dia prova di senso psicologico e politico, rappresenta una garanzia per la difesa dei suoi interessi.

Riguardo infine al protocollo da cui dovrebbe risultare l'impegno delle quattro Potenze di riunire i propri delegati per esaminare la prima tappa della realizzazione pratica entro quattro settimane dalla firma del patto e procedere poi a successive riunioni, non sarebbe evidentemente opportuno portare fin d'ora a conoscenza altri firmatari tale proposta. Si aumenterebbero infatti di tal modo difficoltà mentre ciò riuscirà più agevole successivamente a firma patto.

725

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 2369/202 R. Vienna, 28 maggio 1933, ore 23,30 (per. ore 3,45 del 29). Mio telegramma 201 (1).

Impressione, per gravi misure tedesche circa boicottaggio turistico in Austria, perdura vivissima.

Contegno Governo di Berlino è ritenuto nuova prova della decisione di Hitler di ottenere a qualunque eosto anche con intimidazione un successo per questione austriaca.

Mi consta che questo ministro d'Inghilterra (che dovrà fra breve raggiungere suo nuovo posto ambasciatore a Berlino) ha suggerito al suo Governo una azione comune con quello italiano per consigliare Berlino a desistere dal così severo ed intransigente atteggiamento assunto verso Austria.

Mi risulta inoltre che mio collega dubita però che Foreign Office possa decidersi ad attuare dette proposte senza essere previamente sicuro nostra adesione.

726

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, E L'AMBASCIATORE DELL'URSS A ROMA, POTEMKIN

APPUNTO. Roma, 28 maggio 1933.

Potemkin -Ho ricevuto un invito da Litvinov per recarmi a Ginevra a riferirgli sullo stato dei rapporti italo-russi e da Ginevra andrò a Mosca per trattare lo stesso argomento col mio Governo. Prima di partire sono venuto a presentarvi «i miei omaggi e a farvi i miei addii». Vi parlerò con la consueta franchezza più da rivoluzionario che da diplomatico. Quando ebbi l'onore di incontrarmi la prima volta con voi, vi dissi che Russia ed Italia malgrado i fini opposti dei due regimi, avevano molti punti di contatto e di coincidenza nella politica internazionale: disarmo, eguaglianza fra le Nazioni, opposizione ai « blocchi » di ordine militare od economico. Dopo sei mesi non ho che da confermare queste dichiarazioni. Sono di ritorno da un viaggio nell'Alta Italia

ed ho dovunque constatato «l'ordine ''• la disciplina del popolo. La cordialità dei nostri rapporti è stata sottolineata dalla felice conclusione delle trattative commerciali e dalle accoglienze che gli Addetti Militare e Navale hanno ovunque ricevuto in occasione di alcune recenti loro visite, a cantieri, stabilimenti, basi navali. So anche delle vostre pressioni sul governo germanico perché non modificasse sua linea di condotta verso di noi. È anche in vista di questa eventualità che noi abbiamo «dovuto marcare>> il significato e la portata del riavvicinamento franco-russo.

Ci sono però delle ombre nel quadro dei rapporti italo-russi. Si tratta di sapere se certi articoli comparsi recentemente sul PopoLo d'Italia, Regime Fascista, Impero rappresentano il pensiero dei cll"coli responsabili.

Anche la intimità itala-tedesca ci riguarda poiché Hitler, Rosenberg sono nettamente orientati contro di noi e von Papen ha proposto un'alleanza militare franco-tedesca contro il bolscevismo. Ciò mi è stato confessato da de Jouvenel e in altra occasione fu dichiarato da Herriot. Si è voluto anche vedere un punto anti-russo nel patto a quattro per il fatto che la Russia non è stata invitata a prendervi parte.

Desidero che voi mi diciate nettamente se i rapporti italo-russi possono essere portati sul terreno politico, come già fu tentato nell'incontro a Milano fra Litvinov e Grandi.

Risvondo:

La possibilità di stabilire fra Italia e Russia accordi di natura politica esiste, e non da oggi, tanto è vero che alcuni anni or sono si giunse a conversazioni abbastanza precise sulla questione.

L'incontro Litvinov-Grandi non condusse ad accordi, perché la contingenza del vostro accordo colla Francia, avrebbe falsato il significato del nostro. Oggi tale contingenza è superata.

È vero che il Governo italiano ha molto insistito a Berlino perché la tensione tedesco-sovietica non si aggravasse, -sono, quindi, particolarmente lieto che la situazione sia migliorata, ma ho insistito nuovamente perché migliori ancora di più!

Bisogna, anche nel governo di Hitler, distinguere i vecchi uomini dai nuovi. Von Papen appartiene ai vecchi, ma avendogli io ricordato, nell'aprile scorso la storia dell'offerta da lui fatta ad Herriot di un'alleanza militare colla Francia, egli me l'ha smentita nel modo più categorico. Discutendo con H. dell'eterna questione della sécurité, von Papen disse che la migliore sécurité sarebbe stata un'alleanza militare franco-tedesca, ma lo disse a guisa di paradosso. Nessun punto anti-russo nel patto a quattro. Non poteva essere questione di un invito alla Russia, poiché il patto parte da Locarno ed è limitato alle potenze che hanno un seggio permanente nella Lega delle Nazioni. Intendimenti anti-russi non ci sono: del resto i rapporti Russia-Germania sono migliorati, quelli franco-russi si basano sul patto recente: i nostri possono sboccare in un patto politico; resta l'Inghilterra, ma voi intendete che non può nemmeno pensare di sollecitare dagli altri tre una politica in qualsiasi guisa anti-soviet.

Potemkin -Litvinov andrà a Londra per la Conferenza ed è probabile che anche coll'Inghilterra le cose si chiariranno.

54 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XIII

Mussolini -Se al vostro ritorno dalla Russia voi mi porterete l'avviso del vostro Governo circa la possibilità e l'utilità di un accordo di natura politica fra i nostri due paesi, le conversazioni potranno iniziarsi senz'altro.

Potemkin -Tornerò alla fine di giugno e chiederò di essere ricevuto per portarvi il pensiero del mio Governo.

(l) Cfr. n. 711.

727

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA S. 5018/925. Budapest, 28 maggio 1933.

Riferimento a mio telegramma 85 in data odierna {1).

Onoromi far seguito al telegramma citato.

l. Nel fare stamane a questo Presidente del Consiglio la comunicazione di cui al telegramma di V. E. n. 87 (2), ho cercato: primo, di disperdere la delusione e le preoccupazioni che il rinvio della visita, sulla quale egli contava, avrebbe sicuramente suscitato nel Generale; secondo, di non pregiudicare l'avvenire, di non dare, cioè, affidamenti non soltanto circa l'epoca, ma, ove possibile, neanche circa la certezza in genere di un prossimo futuro incontro con l'E. V.

Ritengo di esserci riuscito. Stimo comunque non inutile riassumere i due punti salienti della lunga e cordiale conversazione.

2. Avendo il generale Gombos accennato alla possibilità che la decisione fosse stata presa per riguardo ai tedeschi, se non addirittura in seguito a un desiderio da questi direttamente o indirettamente manifestato all'E. V., gli ho dichiarato recisamente che nulla, tra quanto mi risultava, poteva confermare tale supposizione.

«Che sia stato Dollfuss -mi ha chiesto allora il Presidente -a sollecitare il rinvio? Dollfuss teme l'unione doganale italo-austro-ungherese; la teme per la concorrenza dell'agricoltura ungherese a quella austriaca, e per la concorrenza dell'industria italiana a quella del suo Paese; vede sempre e soltanto le cose dal punto di vista strettamente economico. Peter, poi, è tuttora preoccupato per il prestito, che vuole condurre in porto».

Ho fatto rilevare allora al Presidente come le ragioni, sopravvenute negli ultimissimi giorni e da me espostegli a nome dell'E. V., fossero sufficienti e chiare: prossima conclusione del patto a quattro; necessità di non turbare nell'interesse dell'Ungheria e di tutti -l'atmosfera che si sta rischiarando.

Si è convinto ed ha concluso (mio odierno telegramma n. 85): «Al Duce è dato giudicare le situazioni contingenti con senso mondiale e storico, altrimenti che non a me.

Come mi sono uniformato al suo avviso l'altro giorno circa la convenienza dell'incontro, così mi uniformo al suo giudizio oggi circa l'opportunità che non abbia luogo ».

(l) -Non pubblicato: riferiva le frasi di Gi.imbos riportate in chiusura del presente documento. (2) -Cfr. n. 716.
728

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO AD ATENE, DE ROSSI (l)

T. PER CORRIERE 1168 R. Roma, 29 maggio 1933.

Ho letto con interesse quanto ella ha riferito circa la situazione internazioaale venutasi a creare costà in relazione alla visita del ministro turco del commercio (suo telegramma 164) (2), alle iniziative di Tewfik Ruschdi bey segnalate anche da S. E. Lojacono e tutto ciò in rapporto alla situazione politica generale quale si è andata delineando in questi ultimissimi mesi anche in seguito al noto progetto di patto a quattro.

V. S. è già in possesso degli elementi necessari per lumeggiare nel modo migliore quale sia la esatta portata ed il significato da attribuire in linea generale e nei confronti delle così dette potenze minori all'iniziativa di S. E. il Capo del Governo.

Il progetto non venne preventivamente comunicato a codesto Governo come del resto a nessun altro dei Governi amici per un senso di riguardo verso le altre Potenze, per togliere all'iniziativa qualsiasi carattere particolare, riportandola nel quadro preciso di patto fra le quattro grandi Potenze europee firmatarie di Locarno con seggio permanente nel consiglio della Lega delle Nazioni e con responsabilità storiche e politiche generali nettamente stabilite.

Ella avrà potuto trarre dalle comunicazioni varie fattele in argomento utili elementi per agire presso codesto Governo nel senso chiarificatore suddetto e per dissipare gli equivoci e le interpretazioni tendenziose che ·spesso volutamente sono stati creati in molte zone di opinione pubblica ed evidentemente anche costà.

Ma ciò premesso, il R. Governo è e rimane tuttora fermamente persuaso della utilità e necessità reciproca e generale delle direttive politiche che condussero alla conclusione del patto di conciliazione italo-greco del 1928, con scadenza nel settembre 1934 e che presiedettero alla conclusione degli altri patti connessi greco-turco e italo-turco.

Tale complesso di accordi è e deve essere la garanzia reciproca tra contraenti e per tutti della conservazione della pace e del mantenimento dello statu quo in tutte queste zone del Mediterraneo orientale su cui si affacciano i tre Paesi.

Ciò non ha mai escluso come non esclude che la Grecia e Turchia intrattengano i regolari, normali e buoni rapporti anche con altri paesi. La politica seguita negli ultimi anni dal 1928 in poi dai Governi Venizelos-Michalakopulos -e che pare seguita dal presente Governo -tanto nei nostri riguardi quanto in quelli della Turchia, verso la quale si era partiti da una situazione iniziale estremamente delicata e difficile, è stata da noi perfettamente compresa ed apprezzata, nello spirito più amichevole.

Rientrerebbe pure nel quadro del nostro programma un rafforzamento dell'attuale amicizia greco-turca anche con patto di garanzia per la frontiera comune, specie se ciò dovesse costituire un primo passo per un riavvicinamento con la Bulgaria.

Oggi ci rendiamo perfettamente conto che la Grecia volga attualmente la sua attenzione e il suo sforzo maggiore alla grave crisi economica e finanziaria e conseguentemente anche morale e politica che si è abbattuta sul Paese come riflesso della crisi generale e che quindi i problemi di politica estera siano passati piuttosto in seconda linea. Ma riteniamo che per le innegabili interferenze della politica sulla economia possa in definitiva giovare il mantenimento e consolidamento anche nei presenti difficili tempi di quelle situazioni politiche che si sono sperimentate utili ed efficaci strumenti di pacificazione e di normalizzazione.

Da parte nostra continueremo ad appoggiare nei limiti del possibile e dove e come se ne offra l'occasione e la opportunità, ogni sforzo ellenico che giovi alla economia e alla finanza del paese e alla loro ricostruzione.

S. E. Aloisi ha avuto a Ginevra un colloquio in questo senso con il ministro Maximos, ma riterrei opportuno che anche Lei trovasse modo di confermare costì la impressione che noi consideriamo tuttora operante ed attuale la politica di pace e di amicizia degli anni recenti che si basa su di una permanente e fondamentale identità di interessi. Occorre per tale comunicazione con il necessario tono amichevole che ella approfitti di una occasione opportuna in modo soprattutto da non dare comunque l'impressione di un mutamento di atteggiamento in relazione alle precedenti trattative per il patto a quattro.

Ma per sua personale norma aggiungo che vorremmo riprendere ora a svolgere costi come altrove una prudente ma costante azione persuasiva nel senso che il Governo ellenico non sia lasciato sviare da interessate manovre di stampa e di governi, senta vigile ed attiva la presenza dell'Italia, ne possa apprezzare la operante e pacifica amicizia.

Pure per sua norma e in relazione a quanto ella ha detto a Nouman bey, giudichiamo l'accordo commerciale recente concluso con la Turchia piuttosto dal lato politico che dal punto di vista strettamente economico e commerciale.

Del presente telegramma viene data comunicazione anche a S. E. Lojacono al quale con separato dispaccio (l) si danno istruzioni perché egli svolga una analoga azione presso il Governo di Ankara in relazione ai rapporti italaturchi e a quelli greco-turchi e soprattutto turco-bulgari.

(l) -Il presente telegramma venne inviato per conoscenza ad Ankara, Mosca, Belgrado e Sofia. (2) -Cfr. n. 570.
729

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. 1175/239-1176/240-1177/241 R. Roma, 29 maggio 1933, ore 18.

Condizioni poste da Hitler all'ultimo minuto prima di consentire parafatura mi sorprendono e rischiano di ricacciare in alto mare il risultato di tre mesi

di pazienti trattative durante le quali io tenni sempre conto degli interessi della Germania.

Le condizioni stesse sono inattuali o superflue. Quanto alla prima concernente la mia opinione personale sulla parità di diritto in rapporto alla sicurezza francese giova tenere conto che tutte le manifestazioni ufficiali della politica estera fascista furono contrarie ad associare in rapporto di interdipendenza o di simultaneità tali concetti e che durante le trattative io ho sempre cercato di farvi il riferimento più generico possibile. D'altra parte il protocollo dell'll dicembre (l) concernente il riconoscimento della Gleichberechtigung fu firmato anche dalla Germania. Quanto alla richiesta di un protocollo da concludere tra parafatura e firma contenente norme per attuazione Gleichberechtigung, essa è eccessiva e può essere male interpretata dal mondo. Essa è anche inattuabile perché solleverebbe tutte le questioni connesse con disarmo e Gleichberechtigung che i quattro dovranno affrontare in una atmosfera migliorata e quindi più favorevole alla Germania. Hitler sa che io non amo gli indugi e che esiste e che ha dato le prove durante 11 anni di Regime un dinamismo fascista per cui si cerca sempre di abbreviare i tempi quando si tratta di questioni essenziali. Ma dinamismo cioè desiderio di far presto e bene non significa precipitazione. La Germania ha avuto le prove dico le prove -della sLmpatia italiana in momento in cui suo nuovo regime era isolato e combattuto in tutti i Paesi d'Europa. È mia convinzione che attesa Germania non sarà lunga ma il non dare nemmeno tempo di arrivare alla firma vera e propria, è un errore politico e psicologico.

Quanto alla terza richiesta è chiaro che se domani risultasse che l'accordo è volutamente sabotato, io prenderei posizione contro, ma questo è così normale e logico che non senso affatto il bisogno di dichiararlo solennemente o in anticipo. Richiedermelo lo considero anzi offensivo. Quanto alla quarta condizione notizia del Matin non risulta attendibile. Vero sembra invece che Francia rilascerà una dichiarazione ai suoi alleati per confermare che sviluppi eventuali del patto specie in vista di revisioni territoriali saranno contenuti nel patto della Lega delle Nazioni la qual cosa era esplicitamente ammessa anche nella mia prima redazione delraccordo. Lette queste dichiarazioni faccia sentire a Hitler la gravità e la responsabilità dell'ora e gli faccia considerare che sua ripulsa del patto venendo all'ultima ora e su questioni marginali farebbe il gioco dello Stato Maggiore francese e relativi elementi che desiderano la guerra preventiva nonché il gioco di tutti i nemici di destra e di sinistra del nazismo costituenti un fronte unico che discorso di Hitler aveva vulnerato. Faccia considerare che patto malgrado le inevitabili modificazioni dovute alla necessità di conciliare i diversi punti di vista non si discosta dalle linee della prima visione così come fu da me impostata poiché i due principi della revisione dei trattati e della pratica applicazione della Gleichberechtigung sono rimasti.

Atteggiamento Piccola Intesa e soprattutto Polonia è significativo. Infine non creda Hitler che dinanzi a un rinvio della conferenza del disarmo o al fallimento del patto a quattro, egli potrà liberamente riarmare. Questo è un errore di previsione che potrebbe avere le più drammatiche conseguenze nei confronti della Germania perché Hitler deve convincersi che Francia e Polonia impediranno con tutti i mezzi tale riarmamento e troveranno nel mondo tra i nemici del nazional-socialismo appoggi morali e simpatie. Mi pare di aver detto l'essenziale e lascio a V. E. di aggiungere altre considerazioni se Io troverà necessario ed opportuno. Dirà anche a Hitler che se insisto lo faccio perché il suo regime abbia attraverso il patto un periodo di tranquiiiità per dedicarsi alla ricostruzione e risolvere i gravi problemi della sua politica interna e che la mia situazione personale di iniziatore del patto non è minimamente in gioco. Non creda Hitler che ci sia una questione di prestigio personale o fascista da considerare o meno ancora da salvare. La autorizzo a dar lettura diretta a Hitler di questo telegramma con le dovute cautele per la cifra.

(l) Non rinvenuto.

(l) Cfr. serie VII, vol. XII, n. 530.

730

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2382/377 R. Parigi, 29 maggio 1933, ore 19 (per. ore 20).

Telegramma di V. E. n. 303 (l) e mio 370 (2).

A conferma della comunicazione telefonica di stamane a Jacomoni informo che il segretario generale di questo ministero degli esteri mi ha detto che il Governo francese d'accordo che il patto a quattro, una volta concordato, sia parafato a Roma. A questo riguardo il signor Leger mi ha detto che 1l Governo francese potrà procedere a parafare il patto quando S. E. Il Capo del Governo creda di dichiarare chiuse le trattative in corso, presentando un testo del patto.

Ho osservato che il testo del patto esiste già quale uscito dalle proposte ventilate e concordate nelle conversazioni delle settimane scorse. Mi è stato risposto ,che lo scambio di idee ha dato infatti risultati positivi, ma che sembra opportuno di aver sottocchi un testo completo prima di parafarsi.

Ho chiesto se per parafare al più presto sarebbe considerata sufficiente la consegna del testo del patto all'ambasciatore di Francia a Roma. Mi è stato risposto affermativamente.

Se V. E. lo giudicherà del caso, questa ambasciata potrà, contemporaneamente alla presentazione del testo del patto a codesto ambasciatore di Francia, fare analoga comunicazione qui.

(l) -Cfr. n. 703, inviato a Parigi con protocollo particolare 303. (2) -T. 2349/370 R. del 27 maggio, non pubblicato.
731

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2381/379 R. Parigi, 29 maggio 1933, ore 19 (per. ore 22).

Nel mio telegramma odierno (l) ho riferito ·che Governo francese intende procedere a un attivo lavoro di propaganda per smontare opposizione patto assai forte nel Parlamento.

A questo scopo codesto ambasciatore di Francia sarà incaricato di informare V. E. dell'intenzione del Governo francese di pubblicare un libro bleu dopo la parafatura del patto. Non si tratta di un libro giallo corrispondente al nostro libro verde, ma ripeto, di un libro bleu, ossia di minore importanza. La Francia ha pubblicato successivamente due libri azzurri dopo Locarno.

Segretario generale Quai d'Orsay ml ha detto che si chiederà a V. E. consentire pubblicazione testo primo progetto patto (2). Ho chiesto al signor Leger precisarmi a quale progetto di patto intendesse riferirsi. Mi ha risposto che si desidererebbe pubblicare progetto consegnato da V. E. a codesto ambasciatore di Francia, oggetto cioè del dispaccio di V. E. del 18 marzo n. 1901 (3). Ho osservato che il testo del quale si è discusso veramente è il progetto seguente (4) ossia quello che ministri brit::mnici hanno ricevuto lasciando Roma e del quale hanno dato conoscenza al Quai d'Orsay al loro passaggio da Parigi. Si tratta testo inglese comunicato a questa ambasciata con dispaccio n. 1911 del 20 marzo scorso. Leger mi è sembrato propenso dare preferenza, ossia pubblicare, primo progetto. È mio avviso subordinato che sarebbe preferibile Francia pubblicasse progetto n. 2 più completo. Si eviterebbe anche, in questo modo, riaprire una discussione di stampa ormai dimenticata a proposito accenno coloniale di cui articolo 4 primo progetto (5).

732

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2386/380 R. Parigi, 29 maggio 1933, ore 19 (per. ore 22).

Alcuni giornali francesi di destra hanno pubblicato notizie circa assicurazioni in senso antirevisionista che sarebbero state date dal Governo francese alla Piccola Intesa ed alla Polonia.

Ho chiesto al signor Leger se pubblicazioni si riferivano a fatti sussistenti e in caso affermativo a quali.

Segretario generale Quai d'Orsay mi ha detto che ambasciatore di Francia a Roma era stato incaricato informare V. E. esattamente sulla natura e portata dichiarazioni fatte dal Governo francese ai Governi centro-balcanici, dichiara:?iioni che saranno ripetute per iscritto dopo che patto a quattro sarà parafato. Senso dichiarazioni in questione nella forma che mi è stata comunicata qui è seguente: per il caso in cui vengano in discussione fra le quattro Potenze firmatarie patto, questioni procedura attinente applicazione articolo 19 in materia territoriale la Francia si impegna insistere perché sia mantenuto fermo principio unanimità.

Leger ha osservato che la dichiarazione francese nulla mutava sostanza delle cose tenuto conto che l'Italia aveva a sua volta riconosciuto che la revisione non avrebbe potuto in nessun caso essere fatta contro la volontà Stato interessato. Ho osservato che non era possibile negare una notevole differenza fra le due concezioni in quanto unanimità riaffermata nella dichiarazione francese avrebbe potuto in alcuni casi ost:1colare soluzione non osteggiata dallo Stato interessato. Segretario generale ha dichiarato che il Governo francese si è trovato necessità di far citata dichiarazione per togliere di mezzo opposizione Piccola Intesa che, se mantenuta, avrebbe sicuramente fatto esporre ad un rifiuto patto davanti Parlamento.

Leger mi ha detto a questo punto che Herriot si è schierato apertamente contro il patto e che la sua opposizione ha trovato largo seguito.

Ho chiesto al mio interlocutore se, a suo avviso, patto corre pericolo non essere approvato. Mi ha risposto che il Gabinetto si prepara a manovrare subito dopo che l'accordo sarà parafato. Intanto con la dichiarazione alla Piccola Intesa, che avrà già domani favorevole ripercussione nell'attesa dichiarazione comune Praga, ha tolto di mezzo primo e forse più grosso scoglio.

(l) -T. 2386/380 R .• non pubblicato. (2) -Cfr. n. 165. (3) -Cfr. n. 234, nota 2. (4) -Cfr. n. 239. (5) -Annotazione a margine di Mussolini: «Nulla asta alla pubblicazione della stesura n. l».
733

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BELGRADO, GALLI (l)

T. 1178/73 R. Roma, 29 maggio 1933, ore 24.

Si rechi immediatamente da Jeftic per protestare contro discorso pronunciato da Ciok al comizio antirevisionista (2) e aggiunga che manifestazioni del genere condurranno a una tensione subitanea dei rapporti tra Roma e Belgrado rapporti che Governo fascista non aveva e non ha intenzione di peggiorare. Attendo notizie.

Jugoslavia.

(l) -Minuta autografa di Mussolini. (2) -Durante un comizio antirevisionista che aveva avuto luogo a Belgrado il 28 maggio Giovanni Maria Ciok ave~a asserito che !'!stria. Trieste e Gorizia dovevano essere annesse alla
734

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. 1179/123 R. Roma, 29 maggio 1933, ore 24.

Suo 201 (1). Prego telegrafare che cosa pensa Dollfuss di misura germanica per turisti e se e come penserebbe di rispondere. Ella può fargli comprendere come da parte nostra siamo disposti ad aiutarlo. Per sua notizia, abbiamo intanto chiesto a Berlino se misura si riferisca anche a turisti in transito per Austria diretti in Italia (2).

735

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2433/393 R. Berlino, 29 maggio 1933 (per. il 1° giugno).

Telegrammi di V. E. nn. 229 e 238 (3).

Stamane alle 10 ho veduto S. E. Goering, l'ho messo al corrente dello stato attuale delle cose e l'ho pregato di influire sul cancelliere, che avrei veduto alle 13, affinché il Governo del Reich receda dalle difficoltà tuttora sollevate e dia istruzioni all'ambasciatore von Hassell di parafare il patto a quattro nel testo ieri comunicato a questo ministrD degli affari esteri.

Goering mi ha risposto che se il patto a quattro, così com'è attualmente, fosse stato presentato al Governo tedesco da un altro Governo, quello inglese ad esempio, sarebbe stato respinto con indignazione. Il Governo del Reich lo aveva invece fatto oggetto delle sue più diligenti cure perché proveniva dal capo del Governo italiano, verso il quale esso è animato dai sensi della più deferente considerazione e nella cui saggezza politica ripone intiera fiducia.

Peraltro il patto nel testo attuale è diverso da quello ch'egli portò seco tornando la seconda volta da Roma: in quello l'art. 16 del Covenant non era compreso fra quelli citati all'art. 2 e l'ultima parte dell'art. 3 era redatta in termini che non davano risalto alla interdipendenza fra « parità di diritto » e «sicurezza» come fa invece la formula imposta dalla Francia.

Egli non voleva né poteva nascondermi l'impressione penosa riportata dal Governo del Reich nel constatare che la Francia aveva, nei riguardi del patto, dettato condizioni e che queste avevano dovuto esse•re accettate dalle altre parti contraenti.

Ribattei che le modificazioni chieste dalla Francia erano bensì state notevoli, ma non avevano intaccato la sostanza del patto, cosicché il suo spirito informatore rimaneva quello che aveva guidato S. E. il Capo del Governo nel formularlo.

Goering osservò che egli sapeva perfettamente che S. E. Mussolini attribuiva una grande importanza alla parte morale del patto e credeva fermamente che esso avrebbe creato una migliore atmosfera politica. Purtroppo in Germania prevaleva un'opinione diametralmente opposta. Qui si riteneva che l'opposizione della Francia a qualsiasi domanda od aspirazione della Germania sarebbe stata costante e categorica cosicché il patto a quattro avrebbe peggiorato la situazione del Reich impegnandolo per 10 anni a lasciarsi trattare da Potenza di secondo ordine, mentre senza il patto esso avrebbe potuto, ove la Francia non disarmasse, considerarsi slegato dal trattato di Versailles. Ritardando di qualche giorno la parafatu:-a del patto la Francia, che a Ginevra si trova in una situazione difficile, potrebbe indursi a consentire a togliere dall'art. 2 la menzione dell'art. 16 del Covenant e dall'art. 3 le parole che aveva fatto aggiungere.

Questa era l'opinione diffusa nei circoli governativi tedeschi.

Non sto a ripetere a V. E. i vari argomenti coi quali procurai di far comprendere a S. E. Goering che il suo ragionamento non era politicamente logico e che era inopportuno procrastinare la conclusione dei negoziati.

Egli fece meco rimostranze perché disse che le varianti introdotte nel patto dopo la sua partenza da Roma gli avevano attirato osservazioni ironiche del barone von Neurath.

Dopo una buona mezz'ora di conversazione e di ragionamento paziente da parte mia, S. E. Goering mi promise per altro che avrebbe influito sul cancelliere perché accettasse il patto così com'è, confidando nel Capo del Governo italiano ed in quanto egli avrebbe fatto per salvaguardare il suo carattere informatore.

Alle 13 fui ricevuto dal cancelliere del Reich, alla presenza di S. E. il barone von Neurath, di S. E. Goering e di S. E. il generale von Blomberg, ministro della Re·ichswehr.

Il barone von Neurath informò il cancelliere delle ultime modificazioni al testo del patto da me comunicategli dichiarando che esse erano formali e non sostanziali e che non sollevavano alcuna obiezione da parte sua.

Sottopose poi al cancelliere il testo di un telegramma dell'agenzia Wolff secondo cui il Matin annunzia che contemporaneamente alla firma del patto a 4 il Governo francese avrebbe pubblicato dichiarazioni la cui portata infirmava il valore del patto stesso.

Hitler mi domandò se gli potevo dire che cosa intendesse la Francia per «sicurezza ». Risposi che gli avevo già detto altra volta che si trattava di una concezione elastica. «Essa vuoi dire, --ribattè Hitler, -che la Franda non distruggerà mai un cannone od un fucile, che aumenterà anzi i suoi armamenti, ma non permetterà alla Germania di avere un cannone od un fucile di più».

Era per ciò che gli riusciva cosi ostica la modificazione voluta dalla Francia nell'art. 3 che metteva in connessione diretta la parità di diritto ·con la sicurezza, il che equivaleva a dire che la parità di diritto sarebbe rimasta lettera morta.

Dissi al cancelliere che egli doveva permettermi di osservare che i trattati, quali che fossero, diventavano buoni o cattivi a seconda dello spirito con cui venivano «amministrati>>. Il patto a 4 era una creazione del Capo del Governo italiano, che non aveva tralasciato nulla per realizzarlo e che avrebbe pertanto posto ogni cura perché esso recasse realmente al mondo uno spirito di intesa e collaborazione. Si sbagliava in Germania ritenendo che il patto stesso, per 10 anni, avrebbe posto il Reich alla mercé della Francia. Il Capo del Governo italiano aveva pensato ad una durata del patto così lunga perché era convinto che in questo periodo di tempo si sarebbero verosimilmente presentate situazioni politiche che avrebbero permesso di risolvere in modo favorevole problemi che oggi potevano apparire insolubili. La politica estera offriva molte incognite; domani la Francia avrebbe potuto avere bisogno dell'appoggio della Germania in un determinato settore politico ed essere pertanto arrendevole verso di essa in altro settore.

Hitler rispose che egli era disposto a convenire in parte meco su quanto gli avevo detto, ma che, purtroppo, doveva conservare un certo scetticismo perché sinora, forse per essere il trattato di pace stato applicato male, era sempre stata la Germania che aveva dovuto portarne le conseguenze, anche nei casi dubbi. E ciò era tanto più immorale inquantoché nei contratti privati e quindi tanto più nei trattati internazionali, in caso di dubbio, doveva prevalere la tesi meno onerosa. Il trattato di pace che aveva posto fine alla guerra del 1870 prevedeva che in caso di dubbio doveva essere adottata la soluzione più favorevole alla Francia.

Invece ora la Francia non vuole cedere in nulla mai, perché in ogni concessione scorge una minaccia per la propria «sicurezza».

Ribattei che egli stesso nel primo colloquio che avevo avuto l'onore di avere con lui mi aveva detto che la Germania riteneva di avere la «sicurezza» al proprio confine occidentale, grazie agli accordi di Locarno, ma di non averla invece affatto al confine orientale indifeso e non garantito da alcuna grande Potenza. Ora che la Germania aveva ottenuto il riconoscimento della parità di diritti, anziché gridare costantemente contro la « sicurezza » invocata dalla Francia, ritorcesse essa stessa quest'arma contro la Francia invocando a sua volta quella «sicurezza» che a buon diritto può sostenere che le manca. Bisognava sapersi aiutare ed essere buoni schermitori anche in politica estera.

Nel patto a 4 la Germania avrebbe potuto essere secondata dall'Italia e, qualora fosse stata abile, ottenere anche l'appoggio dell'Inghilterra.

Hitler mi interruppe dicendo che l'appoggio dell'Inghilterra la Germania lo avrebbe potuto avere soltanto se fosse stata forte, perché allora avrebbe costituito un elemento di equilibrio in Europa. Questo era del resto pure l'interesse dell'Italia. La Germania che teneva molto alla garanzia del suo confine occidentale, dove non aspirava ad alcuna rettifica, non ne voleva al confine orientale perché qui intendeva che si procedesse alla revisione del trattato di Versailles.

A questo punto il generale von Blomberg disse che, a suo avviso, non si doveva disconoscere la grande portata politica che avrebbe avuto 11 patto a 4, anche se, praticamente, non dovesse giovare alla Germania.

Egli riteneva pertanto che lo si poteva firmare, perché avrebbe sempre dato alla Germania 10 anni di tranquillità.

Goering appoggiò la proposta del ministro della Reichswehr, sopratutto in considerazione della grande fiducia che il capo del Gove,rno italiano gli aveva dimostrato di nutrire nei risultati del patto.

Egli abbordò però la questione del protocollo da firmarsi contemporaneamente al patto per stabilire che avrebbero dovuto riunirsi subito i delegati dei quattro Governi per discutere circa l'applicazione pratica del principio di uguaglianza di diritti.

Mi valsi di quanto V. E. mi telegrafò per rispondere a Goering. Per prudenza mi astenni però dal dire che del protocollo si sarebbe potuto parlare soltanto «dopo» la firma, usando invece l'espressione «più tardi». Goering chiese se «più tardi» significasse dopo la parafatura, ma prima della firma, al che mi limitai a dare una risposta evasiva.

Ma Hitler riprese l'argomento, sostenuto da von Neurath, dicendo che occorreva chiarire questo punto che egli riteneva essenziale.

Goering disse allora che il capo del Governo gli aveva detto esplicitamente, rispondendo ad una sua precisa richiesta, che se la Francia avesse assunto un atteggiamento di ostruzionismo perma;nente di fronte al patto a 4, egli non avrebbe esitato a considerarla colpevole di contravvenire alle sue stipulazioni.

Allora Hitler dichiarò che si poteva parafare il patto, ma che occorreva che il capo del Governo italiano chiarisse previamente alcuni punti e precisamente:

1°) se egli fosse disposto a dichiarare alla Germania che, secondo la sua opinione personale, la parità dei diritti non deve essere messa in correlazione col concetto francese della «sicurezza».

2°) se egli fosse disposto a determinare in un protocollo da concludersi dopo la parafatura, ma anteriormente alla firma del patto, il modo di dar valore pratico alla parità dei diritti.

3°) se egli fosse disposto a dichiarare la Francia in colpa qualora questa sistematicamente rifiutasse di fare alcuna concessione al Reich o assumesse un atteggiamento ostruzionistico nei riguardi del riconosdmento pratico della parità di diritti.

4°) se egli avesse accertata l'infondatezza della notizia del Matin relativa all'intenzione della Francia di pubblicare lo stesso giorno della firma del patto certe dichiarazioni che ne avrebbero infirmato il valore.

Hitler mi pregò di sottoporre tali sue richieste di spiegazioni a V. E. con

fermando di riporre nel suo senno politico la maggiore fiducia.

Ho appena accennato a varie questioni trattate nella conversazione durata

un'ora, perché il tempo urge e voglio spedire questa relazione col corriere.

Assicuro peraltro V. E. che non tralasciai di sviluppare tutti gli argomenti

contenuti nei due telegrammi sopra menzionati.

(l) -Cfr. n. 711. (2) -Con t. 2422/399 R. del 31 maggio, ore 18,45, Cerruti comunicò avergli telegrafato von Neurath che erano state impartite istruzioni direttamente da Hitler per salvaguardare il transito dei turisti diretti in Italia (3) -Cfr. nn. 701 e 724.
736

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, E IL MINISTRO A TIRANA, KOCH

APPUNTO. Roma, 29 maggio 1933.

S. E. il Capo del Governo m'informa della visita che il 23 maggio u.s. gli ha fatto l'Incaricato d'Affari d'Albania signor Shtylla e mi accenna a quanto fu detto in quel colloquio (1). Gli comunico che il signor Shtylla è venuto subito ad intrattenermi del colloquio stesso. Egli mi dichiarò di aver riportato l'impressione che qualsiasi trattazione da farsi per la chiarificazione della situazione dovesse avvenire per il tramite ordinario, quello cioè della Legazione a Tirana. Aggiungo che il signor Shtylla, rientrato in Albania, ha avuto subito una udienza dal Re Zog, che ha intrattenuto sulla conversazione avuta col Capo del Governo italiano dando una impressione di ottimismo sulla situazione. Sembra che il Re non abbia prestato molta fede all'ottimismo che il signor Shtylla avrebbe tratto dalla conversazione avuta. Ho informato S. E. Mussolini che Re Zog sembra molto preoccupato e nervoso in questi ultimi tempi. Evidentemente egli comincia a rendersi conto che la linea di condotta adottata dall'Italia in relazione all'atteggiamento che il Governo albanese è andato prendendo nei nostri riguardi e che ha culminato nei noti provvedimenti contro le scuole e gli Istituti religiosi, ha un fondamento molto serio. Egli si va forse persuadendo che il Governo fascista non defletterà da questa linea di condotta se non davanti a prove evidenti di buona volontà, poiché finora abbiamo ascoltato molte parole buone, ma abbiamo assistito a fatti a noi contrari; questi hanno sempre più dimostrato uno spirito a noi ostile, fattosi sopratutto manifesto a partire dal mancato rinnovo del patto di Tirana.

S. E. il Capo del Governo mi ha detto che, come aveva spiegato allo Shtylla, ciò che lo colpì in questa faccenda del mancato rinnovo del patto di Tirana non fu la questione della non avvenuta firma, di cui l'Italia poteva fare a meno, ma della forma usata, avendo il Re fatto credere fino all'ultimo momento che il patto sarebbe stato rinnovato, mentre egli aveva l'intenzione di non firmarlo.

Gli sarebbe stato invece facile, dato che manteneva corrispondenza diretta con lui e gli scriveva su tante questioni anche secondarie, di dire chiaramente il suo pensiero. Naturalmente -ha aggiunto S. E. Mussolini -il signor Shtylla ha voluto discolpare il Re cercando di dimostrare che egli non aveva fatto la promessa di rinnovare il patto.

Parlando della partenza del generale Pariani e delle ripercussioni e dei commenti verifiaatisi in tale occasione, ho rilevato che il richiamo del generale Pariani ha avuto nei circoli diplomatici di Tirana una eco che in definitiva fa buon giuoco alla nostra politica poiché esso è stato interpretato come un rallentamento della nostra collaborazione militare e va pertanto smontando l'azione di quelle Potenze, che vogliono rappresentare la politica italiana come una minaccia continua per l'integrità e indipendenza dell'Albania, e le spese militari come imposte dall'Italia per impedire al paese ogni possibilità di risol

levarsi. Il richiamo del generale Pariani ha vivamente colpito il Re che -edotto forse del passato -vedeva nel Capo del suo Dipartimento Militare la persona in cui avrebbe potuto sempre contare per accomodarsi con il Governo Italiano. La partenza del generale e la sospensione da parte nostra della collaborazione nel campo finanziario hanno fatto pertanto una favorevole impressione all"estero e hanno, all'interno dell'Albania, rialzato il prestigio della Legazione che da qualche tempo era costretta ad agire nell'ombra della Missione militare. Di ciò particolarmente mi permettevo ringraziare il Capo del Governo.

S. E. Mussolini ha soggiunto che da vario tempo egli si era reso conto di questa necessità e che solo per considerazioni sollevate dai Ministeri egli aveva ritardato l'applicazione del provvedimento che doveva ridare alla Missione diplomatica in Albania la posizione che le spetta. Ha detto che la nostra collaborazione in Albania, pur tendendo ad un rallentamento del ritmo avuto fin qui, doveva, per il momento, essere diminuita solo gradualmente per non dar adito, con bruschi cambiamenti da parte nostra, a commenti che andrebbero a danno della chiarezza che noi intendiamo manifestare nella politica che svolgiamo in questo paese e che d'altra parte potrebbero essere non del tutto opportuni finché la politica internazionale non sarà chiarita nel senso voluto dall'Italia con la stipulazione del patto a quattro: quando il patto in parola sarà concluso, l'Albania, che in linea generale è un paese interessante per l'Italia ma non certo indispensabile, perderà molto del suo interesse e noi potremo più liberamente diminuire la nostra collaborazione e le spese che per tale collaborazione sosteniamo.

Rivenendo sulla linea di condotta che noi attualmente ci siamo imposta in Albania, ho rilevato che essa è certamente la sola che convenga in questo momento e che, se mantenuta con la stessa fermezza, senza indebolimento di sorta, ci darà il dovuto risultato, che sarà quello cioè di una capitolazione vera e propria da parte del Re o un mutamento nella situazione interna del paese; e che in un modo o nell'altro la nostra situazione ne uscirà rafforzata. Ciò che io riterrei assolutamente necessario è di mantenere immutabile questa linea di condotta, di osservazione e di attesa, che implica una sospensione della contribuzione finanziaria. È sopratutto per essere incoraggiato da questa politica e confortato dalle sue parole di conferma che avevo desiderato mettermi a contatto diretto con la sua persona.

S. E. il Capo del Governo mi ha assicurato che non è punto sua intenzione di mutare l'atteggiamento assunto che ha sintetizzato con la seguente frase: <<Restiamo sulla montagna, coi cordoni della borsa chiusi».

(l) Cfr. n. 676.

737

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'INCARICATO D'AFFARI IN CINA, ANFUSO

T. 1183/158 R. Roma, 30 maggio 1933, ore 18,30.

Telegramma V. S. n. 354 (1). Alla prossima occasione ella comunichi codesto ministro o vice ministro degli affari esteri che prendo atto delle dichiarazioni a lei fatte dal vice mini

stro nel senso che il Governo cinese riconosce che «tanto adesso quanto in futuro Italia è interessata nella stessa misura delle altre grandi Potenze a tutti i regolamenti di questioni in Cina e in Estremo Oriente in generale, per i quali la Cina dovesse fare ricorso ad altre Potenze, così come è avvenuto a Shanghai ~ Ella potrà aggiungere in modo opportuno che dichiarazioni del vice ministro corrispondono d'altronde allo stato di fatto e al punto di vista del Governo italiano nonché alla linea di condotta cui esso si inspira.

Con riferimento poi alla seconda parte del telegramma sopracitato, converrà naturalmente continuare a S'eguire da vicino atteggiamento ministri Gran Bretagna Francia e America in guisa da poter partecipare con loro, analogamente a quanto fu fatto durante il conflitto di Shanghai, a qualsiasi azione che dovesse venire localmente svolta dai rappresentanti diplomatici suddetti in relazione all'attuale situazione nel nord Cina.

(l) Cfr. n. 681.

738

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2400/101 R. Belgrado, 30 maggio 1933, ore 19,20 (per. ore 22).

Telegramma di V. E. n. 73 (l).

Jeftic trovandosi Ginevra, mi sono recato stamane da Srskic presidente del consiglio e mi sono inequivocabilmente espresso con lui conformemente le istruzioni di V. E. -Gli ho letto tutti i passi offensivi contro l'Italia pronunziati nel comizio antirevisionista e specialmente quanto affermato da Ciok. Gli ho altresì fatto rilevare come ciò contrastasse stranamente con lo sforzo fatto da V. E. per una pacificazione europea dalla quale anche la Jugoslavia avrebbe tratto i suoi certi vantaggi, quella Jugoslavia con la quale Governo fascista non intendeva, per quanto dipendeva da lui, peggiorare rapporti.

Srskic mi ha risposto che a comizio antirevisionista non partecipava alcuna personalità politica avente .rapporti con Governo, che il pensiero espresso dagli oratori non corrispondeva affatto a quello del Governo e che era spiacente delle frasi pronunziate. Alcuni studenti che avevano pronunziato grida di <<abbasso l'Italia~ erano stati già puniti con pene di polizia.

Gli ho allora espresso il mio stupore perché la polizia non avesse nella stessa occasione tolto la parola agli oratori che si erano espressi offensivamente contro l'Italia.

Srskic mi ha replicato che la censura e la polizia impedivano molte manifestazioni antitialiane ma che egli pur desiderando con tutto il più sincero cuore, il miglioramento dei rapporti italo-jugosl'avi, attualmente illogici e contrari ad ogni ben inteso interesse, non sarebbe in grado impedire nei comizi e nella stampa tutte indistintamente le manifestazioni antitaliane finché non avesse la sicurezza fosse fatto altrettanto da noi. E mi ha citat'a la nostra

radio che nel bollettino serale estero annunziava quotidianamente lo sfacelo jugoslavo e quanto pubblicava la stampa, auspicando la rivoluzione croata, e si diceva ne-i comizi pro-Dalmazia dove Spaiato era indicata costante meta degli obiettivi italiani.

(Il presente telegramma continua con il numero di protocollo successivo) (1).

(l) Cfr. n. 733.

739

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2402/102 R. Belgrado, 30 maggio 1933, ore 22,40 (per. ore 6,30 del 31).

Il presente telegramma fa seguito a quello avente il numero precedente (2).

Gli ho risposto che ignoravo quanto la radio trasmetteva ma certo da molte settimane, per non dire da mesi, non avevo letto di comizi come quello cui egli si riferiva, ed ancora meno avevo trovato nella stampa cose che dipingessero la situazione jugoslava così come egli lamentava. Ed avendo io replicato alla sua citazione dei recenti articoli del Giornale d'Italia «Tragedia nella Balcania >> che si trattava di articoli di carattere storico, egli mi ha risposto [che si] trattava di indurre l'opinione pubblica a stabilire una analogia fra il passato e la situa~one presente, il che è anti-storico.

Ha concluso che se però, fuori ogni polemica su quanto scritto e detto da persone irresponsabili fino ad ora, si trattava di instaurare magari un armistizio, in attesa di un definitivo chiarimento dei rapporti itala-jugoslavi egli era pronto a dare ogni più precisa assicurazione sempre che potesse avere la sicurezza di un deciso intervento di V. E. sulle manifestazioni anti jugoslave.

Il presente telegramma continua col numero di protocollo successivo (3).

740

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2404/103 R. Belgrado, 30 maggio 1933, ore 22,40 (per. ore 6,30 del 31).

Il presente telegramma fa seguito a quello col numero precedente (1). Il discorso essendo passato al patto a quattro ed essendomi espresso con lui utilizzando opportunamente le direttive impartitemi da V. E. il 27 aprile

scorso (l) Srskic si è mostrato a conoscenza di quanto Aloisi aveva detto a Jeftic a Ginevra (2) ed ha aggiunto che appunto in seguito tali spiegazioni le opposizioni della Piccola Intesa al patto erano cessate od attenuate e che egli auspicava con ogni ardore che ad esso seguisse un patto itala-jugoslavo. Ed ha aggiunto: «se per seguire il fine di pacificazione generale che

S. E. Mussolini persegue sarà necessario anche un sacrificio jugoslavo, sono pronto a farlo ».

Srskic è stato visibilmente colpito d'alla comunicazione fattagli nella prima parte del nostro colloquio, poi ha mostrato una sincera emozione quando ha accennato alla speranza del Governo jugoslavo di stabilire prossimamente una duratura intesa con l'Italia.

Prego V. E., ove lo crederà opportuno, telegrafarmi quanto potrò dire a Srskic circa le manifestazioni di stampa e di radio delle quali si è vivamente doluto.

Per la radio richiamo telespresso di questa legazione n. 3751/ A 39 del 27 maggio (3).

(l) -Cfr. n. 739. (2) -Cfr. n. 738. (3) -Cfr. n. 740.
741

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. s. 2405/396 R. Berlino, 30 maggio 1933, ore 23,55 (per. ore 6,30 del 31).

Cancelliere mi ricevette alle 19 in presenza ministro affari esteri e del Reichswer. Gli diedi lettura traduzione telegrammi di V. E. nn. 239 e 241 (4) e gli dissi che V. E. avrebbe fatto dichiarazioni tenendo presente desiderio della Germania. Von Neurath fornì spiegazioni circa lavori di pura revisione terminologia del patto affidati commissione giuristi Ginevra. Hitler che aveva ascoltato senza pronunziare parola disse che così stando le cose la Germania non avrebbe firmato il patto giacché ciò significava legarsi per 10 anni e porsi nelle mani della Francia. Egli non poteva condividere modo di vedere di V. E. relativo al vantaggio che avrebbe costituito d'ora in poi il trattare tutte le questioni europee fra quattro Potenze, perché una di queste è la Francia che avrebbe agito nel sinedrio a quattro tale e quale come fa a Ginevra. Von Neurath osservò timidamente che si era pensato di ritardare di qualche giorno la parafatura del patto in attesa che a Ginevra si concludesse qualche cosa in materia di disarmo, ma questa attesa appare oggi vana. Pertanto si potrebbe prendere un'a decisione. Dichiarai a Hitler che non comprendevo il suo atteggiamento per varie ragioni. Pr,ima di tutto perché V. E. aveva risposto dando Ln gran parte soddisfazione alle sue domande di ieri, poi perché, come gli avevo già dichiarato, V. E. contava fare dichiarazioni mettendo in chiaro che

(-4) Cfr. n. 729,

55 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XIII

applicazione pratica del diritto di parità deve essere regolata sollecitamente, in terzo luogo perché il fatto che V. E. avrebbe vigilato per l'esatta esecuzione del patto costituiva una seria garanzia, infine perché l'eccitazione esistente in Francia, negli Stati della Piccola Intesa e in Polonia dimostrava come questo non sarebbe in realtà stato talmente privo di interesse, anzi nocivo per la Germania come egli riteneva. La Germania ed egli personalmente avrebbero assunto una grave responsabilità di fronte al mondo che attendeva un gesto che preludesse alla pacificazione degli animi. Pensasse all'effetto prodotto dal suo discorso di pochi giorni fa e ne traesse conseguenze. Ministro Reichswehr mi accordò tutto il suo appoggio dicendo che, ancorché si trattasse di questioni più politiche che militari, egli doveva ripetere quanto aveva già detto ieri Senato, che dal punto di vista di calmare gli spiriti la firma del patto sarebbe stata salutare. Quanto al resto occorreva attendere. Hitler parve impressionato. A questo punto von Neurath propose che la conversazione continuasse tra il cancelliere ed i due ministri riservandosi di intrattenersi ulteriormente con me ad un pranzo cui parteciperemo entrambi stasera.

(l) -Cfr. n, 479. (2) -Cfr. n. 687. (3) -Non pubblicato.
742

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2407/397 R. Berlino, 30 maggio 1933, ore 23,58 (per. ore 1,30 del 31).

Mio telegramma n. 396 (l).

Neurath mi ha detto che il cancelliere ha deciso di parafare il patto a 4 a condizione che il testo attuale non subisca modificazioni. Istruzioni in proposito saranno inviate d'urgenza all'ambasciatore von Hassell.

743

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2456/580 R. Londra, 30 maggio 1933 (per. il 2 giugno).

Telegramma di V. E. n. 239 (2).

Notizie che Foreign Office ha ricevuto dall'Estremo Oriente concordano sostanzialmente con quelle pervenute a V. E. Risulta al Foreign Office che una tregua sarebbe stata effettivamente conclusa fra Cina e Giappone ma non si

sa in quali termini e a quali condizioni. Foreign Office è anche ali'oscuro dei negoziati in corso. Da parte del Giappone sembra esservi il proposito di continuare tali negoziati direttamente con la Cina. Da parte del Governo cinese non risulta sinora esservi programmi e piani determinati.

Foreign Office ritiene che possibilità che nella Cina settentrionale si costituisca un'amministrazione separatista, ligia al Giappone effettivamente esista, ma non considera tale eventualità con soverchia preoccupaZiione. Questo Governo ritiene che Giappone rispetterà diritti e interessi europei e americani che esistono in quella regione. Allo stato attuale delle cose Foreign Office non prevede dunque dover svolgere alcuna azione.

Avendo io accennato ai danni che commercio europeo e americano ha già subito in Manciuria e a quelli che potranno derivare ad esso da un rafforzarsi della posizione giapponese nella Cina del nord, mi è stato risposto che è difficile fare un paragone fra la situazione che potrà venire a crearsi nella Cina del nord e quella del Manciukuo. La caduta del commercio estero nel Manciukuo -mi è stato detto -è in gran parte dovuta al fatto che le Potenze, in virtù della decisione della Società delle Nazioni, non hanno potuto riconoscere il nuovo Stato e stabilire con esso rapporti normali. Giappone ha avuto quindi campo libero.

(l) -Cfr. n. 741. (2) -Cfr. n. 723, inviato a Londra con protocollo particolare 239.
744

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2409/207 R. Vienna, 31 maggio 1933, ore 2 (per. ore 6,30).

Mio telegramma 206 (1).

Risposta al boicottaggio tedesco turismo sarà concertata consiglio dei ministri domani. Vi è stato oggi preliminare scambio di vedute in un comitato interministeriale nel quale prevalse idea di Peter di non aggravare assolutamente situazione con provvedimenti che potrebbero essere illegali ovvero suscettibili disperdere corrente simpatia internazionale che si va formando intorno Austria contro intimidazioni Germania. Verrà pertanto probabilmente deciso austriaci intenzionati recarsi in Germania debbano avere speciale permesso però gratuito, nonché si debba procedere speciale clearing per regolare traffico austrotedesco. Nel senso che Austria comprerà in Germania soltanto una quantità di merci corrispondente a quella acquistata in Austria da Germania.

Sono anche informato che alcuni ministri hanno proposto misure di ritorsione che sono state scartate. Anche idea di un intervento della Società delle Nazioni è sembrata non rispondente, a causa deHa sfiducia che suscita detta istituzione ginevrina.

(l) T. 2377/206 R. del 29 maggio, ore 22,30, non pubblicato: riferiva che il Governo austriaco non aveva ancora preso alcuna decisione circa la questione del boicottaggio del turismo tedesco In Austria.

745

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 2416/211 R. Vienna, 31 maggio 1933, ore 13,25 (per. ore 16,25).

Sono confidenzialmente informato che cancelliere austriaco si propone procedere ad un amichevole gesto verso comunità israelitica viennese. Egli intende infatti permettere fra breve lo sfilamento per le vie di Vienna di più di 15.000 ebrei ex combattenti. Mercè questa dimostrazione cancelliere ritiene poter ottenere il passaggio di detti elementi dalla social-democrazia alla fronte nazionale.

746

IL MINISTRO A PRAGA, ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2427/120 R. Praga, 31 maggio 1933, ore 18,35 (per. il 22).

Seguito al n. precedente (l).

Ho poi visto Benes il quale mi ha detto che il comunicato doveva g1a essere a conoscenza del R. Governo avendo esso, Benes, rimesso fino da venerdì 26 corrente testo progettato a Ginevra a Massigli che avrebbe dovuto comunicarlo a Pignatti Aloisi. Commentando comunicato, Benes mi ha detto che Piccola Intesa non aveva voluto assumere responsabilità silurare patto a quattro vivamente desiderato da V. E. e da Inghilterra, anche come manifestazione di détente necessa,ria pr,ima della conferenza economica di Londra, soprattutto pel fatto che disarmo non poteva dare risultati concreti prima dell'll giugno. Benes atteggiatosi a considerare comunicato di ieri come destinato a spianare completamente v,ia al patto a 4, si è quasi scusato per le riserve «necessarie di fronte opinione pubblica paesi Piccola Intesa>>. Ha deplorato anche lui intransigenza Polonia. Ha detto che con il suo discorso al Parlamento egli aveva lasciato porta aperta e che ~come avrebbe detto ad ambasciatore Aloisi ~ritiene patto a 4 presenta maggiori prospettive di risultati con atteggiamento collaborazionistico assunto secondo lui dalla Piccola Intesa, mentre atteggiamento negativo di questa avrebbe potuto renderlo in gran parte inoperante.

Piccola Intesa ~ ha concluso Benes ~ è oggi più indipendente anche della Francia e non domanda che collaborare coi suoi vicini, soprattutto 'con l'Italia. ciò che è facilitato dalle migliorate relazioni itala-francesi. Benes appariva piuttosto depresso e non mi è sembrato troppo sicuro di sé. Ha terminato dicendo: <<Speriamo che tutto vada bene 1>. Naturalmente mi sono limitato ad ascoltare dicendogli che aveva subito trasmesso a Roma testo del comitato e che non ero assolutamente in grado di esprimere alcuna opinione sul giudizio che essP avrebbe trovato presso mio Governo.

Continua col n. successivo (2).

(l) -T. 2426/119 R. pari data, non pubblicato. (2) -Cfr. n. 747.
747

IL MINISTRO A PRAGA, ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2428/121 R. Praga, 31 maggio 1933, ore 19,30 (per. ore 22).

Seguito del n. precedente (1).

Ho scambiato poche paro~e con Jeftic presentato dal ministro di Romania. Avendo quest'ultimo pronunciato qualche frase di circostanza circa eventuali migliori rapporti itala-jugoslavi, Jeftic ha detto che «pur basterebbe tanto poco perché ciò si avverasse». Non ho replicato. Finalmente questo ministro di Polonia mi ha detto che Italia aveva ragione di essere lieta come trionfatrice della giornata. Piccola Intesa invece non aveva di che rallegrarsi perché aveva capitolato. Nel ritenere patto a quattro ormai sicuro, Grzybosky mi ha detto che «del resto potrà esserci anche un altro patto ». Non ho creduto di mostrare alcuna curiosità ma credo volesse alludere patto Polonia-Stati Baltici di cui hanno parlato giornali questi giorni. Incaricato d'affari di Ungheria aveva raccolto voce che dichiarazioni concernenti revisione erano meno recise nel progetto di comunicato preparato a Ginevra e che termini di maggiore intransigenza erano stati voluti ier,i da Titulescu e Jeftic contrariamente opinione più moderata di Benes. Impressioni generaLi ambienti diplomatici sono che:

l) Comunicato rappresenta ritirata più o meno onorevole della Piccola Intesa di fronte ineluttabilità patto a quattro di cui attendesi firma oggi o domani;

2) successo Italia è innegabile per firma patto nonostante strenua opposizione avversari;

3) portata principale del patto consiste nelle migliori relazioni italafrancesi e nei dieci anni tregua, mentre non si crede qui che revisione abbia grandi profitti e prospettive effettive;

4) riserve antirevisionistiche e garanzie della Francia erano inevitabili per salvare in massima alleanze francesi le quali però avrebbero subito forte colpo.

Fine del telegramma.

748

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, CERRUTI, A LONDRA, GRANDI, A PARIGI, PIGNATTI, E AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. 1193 R. Roma, 31 maggio 1933, ore 24.

(SoZo per Berlino, Londra, Parigi): Ho telegrafato ·Vienna quanto segue:

(Per tutti): Suo telegramma 202 (2).

(-2) Cfr. n. 725.

Ella può avvertire confidenzialmente ministro Inghilterra che intendiamo aiutare Austria col cercare di far dissipare malintesi con Berlino ma che non riteniamo opportuni passi collettivi a Berlino.

(l) -Cfr. n. 746.
749

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI

TELESPR. 216462/53. Roma, 31 maggio 1933.

Quest'ambasciatore di Turchia in un colloquio avuto con S. E. il Capo del Gabinetto (l) ha dichiarato che, secondo informazioni in suo possesso, in Polonia va crescendo di forza la corrente politica che mira ad un accordo diretto con la Germania.

Prego l'E. V. di voler far conoscere il proprio parere al riguardo (2).

750

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI (3)

L. P. Roma, 31 maggio 1933.

Non appena il patto a quattro sarà siglato e cessati i commenti che lo accompagneranno nei primi giorni, è necessario iniziare -a mezzo dei nostri amici -nei giornali inglesi un'azione in difesa dell'Austria, come Stato indipendente che ha la sua stor<i.a, la sua geografia, la sua funzione nel bacino danubiano.

Tu conosci perfettamente le mie idee circa il Reno ed il Danubio.

751

IL DELEGATO AGGIUNTO ALLA CONFERENZA DEL DISARMO, SORAGNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2423/74 R. Ginevra, 1° giugno 1933, ore 2 (per. ore 7,30).

Ho agito conforme istruzioni telefoniche nel senso prescrittomi:

l) impedire passaggio alla seconda lettura del progetto britannico;

2) dissuadere da immediate conversazioni a quattro a Ginevra.

Sono riuscito in sostanza nell'intento ma ho urtato contro forte, inaspettata opposizione Norman Davis il quale sosteneva che conversazioni dovevano iniziarsi subito a Ginevra dopo firma patto a quattro, dovevano essere brevissime, e in qualche giorno avere pieno successo permettendo ripresa conferenza e conclusione finale.

Davis sosteneva che tale era esito aspettato da Roosevelt dopo suo decisivo messaggio e che rinvio conferenza avrebbe fortemente deluso presidente.

Tale attitudine che io ritengo dovuta specialmente a ragioni di interesse personale, non ha permesso a me e agli inglesi, che avevo persuaso a sostenere con me aggiornamento puro e semplice della conferenza, di fare passare questo programma massimo al bureau. Sono state quindi adottate dopo tre ore discussione al bureau seguenti decisioni, che rispondono sostanzialmente desiderio di V. E.:

l) finita fra qualche giorno prima lettuil."a piano britannico la commissione generale sarà aggiornata fino al 27 giugno con facoltà al bureau di presidenza di prorogare questa data se necessario;

2) le commissioni tecniche continueranno a funzionare finché avranno materia, poi cesseranno;

3) nel frattempo il bureau della conferenza coadiuvato se necessario da qualche giurista terrà delle sedute per rivedere i risultati raggiunti dalla prima lettura del piano britannico e condurrà trattative del caso fra le delegazioni per vedere se vi è possibilità di raggiungere ,intesa su qualche altro punto, sempre in sede prima lettura e senza deliberazioni.

Tanto specificazione della data quanto lustra della continuità del bureau sono concessioni dovute alla resistenza di Norman Davis, la quale ha naturalmente 1ncoraggiato altre resistenze che altrimenti avremmo superate.

Tedeschi e francesi furono anche essi sostanzialmente d'accordo con noi ma date pressioni delle dichiarazioni di Norman Davis dovetti fare mostra di attribuire qualche importanza al lavoro assegnato al bureau.

Inglesi e specialmente segretario di Stato lord Londonderry e lord Stanley qui presenti, mi hanno fatto intendere che gradirebbero assai se avvenissero conversazioni a Londra su questioni disarmo fra i quattro durante prima fase conferenza economica.

Pur riservando qualsiasi ,impegno cui non ero affatto autorizzato non li ho contraddetti perché ho visto che tale prospettiva serviva molto a fare loro accettare punto di vista pratiea sospensione conferenza di Ginevra e non insistere per pronta ripresa colloqui di primo piano qui.

Informo che anche su proposta b11itannica il bureau raccomanderà alla commissione generale di separarsi su un voto unanime che diehiari piano britannico sarà preso come base futura conversazione.

Delegato francese ha accolto proposta con evidente malumore ed ha persino ce11cato di farla naufragare con qualche pretesto.

(l) -Il colloquio era avvenuto Il 16 maggio, come risulta da un appunto dl Alolsl. (2) -Per la risposta cfr. n. 768. (3) -Originale autografo di Mussolini, ed. in Mussolini, Opera omnia, vol. XLII, p. 50.
752

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2445/462 R. Londra, 1° giugno 1933, ore 13,45 (per. me 17,40).

Ho già dato notizia mutato atteggiamento sir Austen Chamberladn. In questi ultimi giorni ho avuto frequenti occasioni incontrarlo, e ieri nell'imminenza della firma, ho creduto opportuno dargli visione testo patto a quattro, ciò che egli ha molto gradito. Chamberlain mi ha confermato sua attitudine favorevole, e mi ha detto che testo concordato è eccellente sotto ogni riguardo.

Vi è stamane grande attesa Londra per preannunziata parafatura.

753

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2438/403 R. Berlino, 1° giugno 1933, ore 14,38 (per. ore 16).

Neurath mi ha pregato di passare il ... 0) da lui per dirmi che sarebbe molto grato all'E. V. se in occasione delle dichiarazioni che intende fare in occasione parafatura del patto a quattro, potesse mettere in rilievo che l'intesa tra le quattro Potenze per dare esecuzione pratica a tappe al principio della parità dei diritti si riferisce soltanto alla parità quantitativa e non a quella qualitativa. A Ginevra, in dicembre u.s., Neurath aveva infatU posto bene in chiaro questo concetto di governo sul quale anche Hitler desidera non esista dubbio. Neurath aggiunge che qualora V. E. aderendo richiesta suddetta potesse esprimersi in tal senso desiderato, renderebbe nuovo segnalato servizio alla Germania che potrebbe esimersi dal fare una riserva al riguardo all'atto della firma del patto, ciò che potrebbe dare luogo a nuove complicazioni.

754

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2441/214 R. Vienna, 1° giugno 1933, ore 15,10 (per. ore 17,30).

Mio telegramma 207 (2). Cancelliere austriaco ha fatto ieri perquisire organizzazioni nazionali soclaiiste di tutta l'Austria (circa 200).

È stata altresì perquisita abitazione Habicht.

A tale riguardo sono informato che questo ministro di Germania ha protestato vivamente i:eri per tale misura sostenendo extra territorialità detto, stante sua recente nomina addetto stampa. Peter ha sostenuto tesi contrar~a rimettendo nota verbale di cui al mio telegramma suddetto.

(l) -Gruppo indeclfrato. (2) -Cfr. n. 744.
755

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL MINISTRO D'UNGHERIA A ROMA, HORY

APPUNTO. Roma, 1° giugno 1933.

Il signor De Hory è venuto ad avvertirmi che andava in Ungheria.

L'ho pregato di chiarire molto precisamente al Presidente Gombos le ragioni per cui, dopo essergli stato Dichiesto di venire a Roma, gli si è domandato di rinviare la sua venuta, assicurandolo che non c'è stata in modo assoluto nessun'altra ragione se non quella di evitare che in un momento come l'attuale, mentre la questione del Patto a quattro non è ancora risolta, si desse esca ad altre chiacchiere e supposizioni per la contemporanea presenza di Dollfuss e di Gombos a Roma.

Il signor De Hory mi ha detto di rendersi conto delle ragioni addotte e di condividere pienamente questo punto di vista. L'ho messo al corrente perché ne riferisca a S. E. Gombos, della fase attuale delle trattative per il Patto a quattro, nonché della situazione dell'Austria.

756

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2457/217 R. Vienna, 2 giugno 1933, ore 15,10 (per. ore 18).

Riservatissimo 211 (1).

In un colloquio avuto con cancelliere austriaco ho toccato iersera que~ stione sfilamento ex combattenti ebrei a Vienna. Ho rilevato come esso potesse arpparire inopportuno. Cancelliere mi ha risposto « anche questa volta nostr.i pensieri coincidevano» e ·che di detto sfilamento non si sarebbe infatti più parlato: decisione è tanto più opportuna in quanto occorre, a mio avviso, attenuare il più possibile acuta tensione austro-tedesca giacché dal suo perdurare potrebbero emergere due pericoli. Il primo è che la Francia (già ne può essere segno improvvisa decisione concessione prestit o; mio telegramma

n. 215) (2) possa sfruttare suddetta tensione per persuadere cancelliere au

striaco ad un maggiore avvicinamento politico (segnalo all'E. V. a riguardo visita che il cancelliere austriaco farà a Parigi subito dopo emissione prestito sia pure sotto forma di tappa suo viaggio a Londra per conferenza mondiale).

Secondo pericolo è che, pur di debellare partito nazista divenuto ormai suo principale antagonista, cancelliere austriaco tenti sempre più sua azione antimarxista (e potrebbe esserne già un segno la tendenza di sinistra cui egli ha ispirato nuove nomine ministeriali; mio telegramma n. 72 per corriere) (l) con conseguente vantaggio Francia e Piccola Intesa. A tale ultimo rd.guardo segnalo che solo in seguito vivace opposizione delle Heimwheren cancelliere ha desistito nomina di un cattolico di estrema sinistra a ministro pubblica istruzione. Infine per connessiOU'le d'argomento, permeHomi attirare l'attenzione di V. E. mio telegramma per corriere 86 (2).

(l) -Cfr. n. 745. (2) -T. 2450/215 R. del lo giugno, non pubblicato.
757

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2458/408 R. Berlino, 2 giugno 1933, ore 18,45 (per. ore 21,30).

Goerd.ng che [era stato] assente da Berlino negli ultimi giorni, mi ha telefonato oggi per informarsi a che punto stesse il patto a quattro, e quando sarebbe stato parafato. Gli ho risposto che con la Germania tutto era in ordine, ma che non potevo dirgli se e quando si sarebbe parafato il patto.

Goering voleva sapere quando avrebbe avuto luogo la firma del patto perché, in previsione che il cancelliere non possa assentarsi attualmente dalla Germania, prevedeva che lo avrebbe firmato lui. Mi astenni dal rilevare in modo speciale tale sua intenzione, dato che devo ritenere sarebbe a V. E. gradito intervento personale di Hitler e che a ogni modo S. E. von Neurath chiederebbe per sé privilegio di firmare qualora non lo facesse il cancelliere.

758

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AGLI AMBASCIATORI AD ANKARA, LOJACONO, E A MOSCA, ATTOLICO

T. 1201 R. Roma, 2 giugno 1933, ore 21.

(Solo per Mosca) Ho telegrafato Ankara quanto segue:

(Per tutti) Questo ambasciatore di Turchia è venuto a dire (3) che Tewfik Ruschdi bey desidererebbe vivamente potersi presentare dinnanzi codesta opinione pubblica con assicurazione da parte nostra a somiglianza di quanto sem

bra Francia avrebbe accordato a Stati Piccola Intesa in relazdone a patto a

quattro.

È stato risposto a Vassif bey che non si vedeva chiaramente quali assicu

razioni Italia avrebbe potuto dare. Assicurazioni francesi concernevano even

tuale applicazione articolo 19 Covenant per revisioni territoriali. Italia e Tur

chia non sono direttamente toccate. Pensare poi ad una nuova dichiarazione

quale riconfe,rma di amicizia come sembrava anche chiedere Vassif bey in

terpretando pare eguale desiderio di Tewfik Ruschdi bey sarebbe una inutile

conferma attuali buoni rapporti, ne svaluterebbe in qualche modo la portata,

si presterebbe a facili speculazioni. Prova attuale cordialità erano disposizioni

anche più precise che ho impartito in questi giorni per superare definitiva

mente ultime difficoltà tecniche prestito.

Prego V. E. recarsi a mio nome da Ismet e da Ruschdi e nello svolgere

loro opportunamente precedenti considerazioni dirgli che io desidero ora come

a Milano di basare la pol>itica italiana nella penisola balcanica e nel Mediter

raneo orientale sull'amicizia della Turchia, che è uno dei più solidi fattori del

l'equilibrio in quelle regioni.

In questa dichiarazione e più ancora nel principio a cui essa si ispira e che costituisce uno dei capisaldi della politica italiana, codesto Governo troverà certo la riconferma desiderata dei propositi e dei sentimenti itaLiani nei suoi riguardi nel momento in cui con la firma del patto a quattro l'Italia si propone di portare nell'interesse di tutti la pol.iti:ca europea su una base di collaborazione ed intesa -collaborazione ed intesa in cui la Turchia è così destinata ad avere una parte importante in relazione della sua posizione politica e storica (1).

(l) -T. per corriere 2014/72 R. dell'll maggio. non pubblicato. (2) -Cfr. n. 666. (3) -Il colloquio tra Vassif bey e Aloisi s! svolse il 31 maggio, come risulta da un appumo dello stesso Aloisi, non pubblicato.
759

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2461/393 R. Parigi, 2 giugno 1933, ore 23,45 (per. ore 6 del 3).

Mi riferisco comunicazioni telefoniche avute oggi con S. E. Suvich.

Quai d'Orsay dà la seguente versione dei fatti:

L'll aprile scorso Jouvenel telegrafava al Quai d'Orsay che ultima parte

articolo 3 nella forma proposta dalla Francia « era sembrata buona agli italiani'>.

Ambasciatore di Francia citava parola per parola testo francese.

Venti maggio scorso, dopo un colloquio avuto con S. E. Capo del Governo e S. E. Suvich, ambasciatore di Francia riferiva a questo ministero degli affari esteri che nel corso delle conversazioni era stato rievocato da parte del R. Governo l'antecedente progetto dtaliano relativo alla finale dell'articolo tre. Am

basciatore di Francia aggiungeva che tale progetto stava molto a cuore al Governo italiano.

Ventidue maggio scorso il finale dell'articolo tre, testo francese, veniva telegrafato testualmente da Ginevra all'ambasciatore di Francia che non replicava. Da quel giorno cessava qualsiasi corrispondenza al riguardo fra ambasciatore di Francia e Qual d'Orsay.

Ho dichiarato a Boncour che dal giorno ventuno maggio scorso si erano svolte giornaliere trattative a Roma fra codesto ministero e ambasciatori di Francia e Inghilterra sulla base della formula italiana dell'articolo 3. Ministro degli affari esteri ha ammesso che certamente era incorso un equivoco. Ha soggiunto sembrargli più importante in questo momento salvare patto piuttosto che chiarire le responsabilità. In tal caso si è anche espresso con me segretario generale Quai d'Orsay al quale avevo parlato in precedenza.

Leger mi ha detto testualmente che una discussione di tal genere gli sembrava «sterile». Ho insistito e pregato ministro prendere nota data che gli avevo citato.

Come prima impressione sarei indotto attribuire responsabilità dell'accaduto all'ambasciatore di Francia. D'altra parte non rdesce [credibile] che la Francia abbia creduto poter comunicare Piccola Intesa ed alla Polonia testo patto senza essere assicurata previamente che fosse accettato almeno dall'Italia. Viene fatto di pensare che Governo francese abbia agito in questo modo per forzare la mano alle altre tre Potenze e dopo avere saputo che la formula italiana dell'art. 3 sarebbe stata respinta dagli Stati alleati e in conseguenza dal Parlamento francese. Il presente telegramma continua col numero di protocollo successivo (l).

(l) Lojacono rispose con t. 2500/72 R. del 5 giugno quanto segue: «S. E. Ismet pascia e Tewflk Ruschdl bey hanno accolto con vivo compiacimento dichiarazioni che V. E. mi ha incaricato di far loro e mi pregano di manifestare a V. E. l loro ringraziamenti».

760

IL CAPO DEL SERVIZIO ISTITUTI INTERNAZIONALI, BIANCHERI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE R. 2469/68/77 R. Ginevra, 2 giugno 1933 (per. ore 11 del 3).

Delegato austriaco al Consiglio è venuto a dirmi che in conseguenza degli ultimi provvedimenti e della tensione determinatasi fra Austria e Germania egli si era messo in relazione con Vienna e il cancelliere gli aveva dato istruzioni telefoniche di astenersi dal comunque sollevare internazionalmente a Ginevra la questione.

Con molte circonlocuzioni delegato austriaco mi ha poi parlato dell'Anschluss e domandato se non credevo che potrebbe essere utile un suo approccio presso la delegazione francese inteso determinare fra Italia e Francia qualche contatto da svilupparsi più tardi in formali trattative sulla base del patto a quattro. Ho avuto l'impressione che egli non agisse per istruzioni del Governo

ma di propria iniziativa o per suggestione della delegazione francese con la quale è in stretti contatti o per desiderio di mettere avanti la sua persona. Ho risposto che non avevo istruzioni e non credevo di chiederne ma che conoscendo i suoi sentimenti avrei approfittato delle sue buone disposizioni, se appena ne fosse il caso.

Riguardo alla Francia egli mi ha detto che in seguito a pressanti appelli di Vienna aveva fatto nuove insistenze presso il signor Boncour per il prestito a favore dell'Austria e che le ultime resistenze opposte dal Governo francese per politica interna erano state vinte sicché dato H consenso degli altri partecipanti, il prestito poteva dirsi acquisito con vantaggio dell'attuale cancelliere.

(l) Cfr. n. 762.

761

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2579/192/128 R. Bucarest, 2 giugno 1933 (per. il 10).

L'opinione pubblica si mostra molto disorientata circa il patto a quattro. Spinta dal Governo e dalle note agenzie giornalistiche di Parigi, che qui danno quotidianamente il « la » a tutti gli organi della stampa romena, a consijerare come una jattura la conclusione del patto, non riesce ora ad assuefarsi all'idea che il patto cammini fatalmente verso la sua conclusione, e soprattutto non riesce a spiegarsi come il Consiglio della Piccola Intesa abbia a Praga ripiegato le sue bandiere.

L'arroganza del comunicato della Piccola Intesa non è valsa ad ingannare nessuno; ha anz.i dato la netta sensazione che la politica di opposizione alla conclusione del patto, almeno per quanto concerne l'opera della Piccola Intesa, sia terminata in un solenne insuccesso.

Gli ambienti maggiormente ostili alla conclusione del patto fidano ancora nella più ostinata opposizione della Polonia, o in qualche tardiva discordanza di vedute tra le quattro grandi Potenze, mentre va facendosi strada, in altri circoli, la convinzione che l'atteggiamento di opposizione è stato sostanzialmente contrario agli interessi romeni, perché la Romania ha bisogno soprattutto di pace e il patto tra le grandi Potenze può effettivamente assicurare dieci anni di pace.

È interessante rilevare come specialmente fra i nazionalisti si vada diffondendo la convinzione che l'infeudamento della Romania alla politica della Jugoslavia e della Cecoslovacchia potrebbe portare come fatale conseguenza alla guerra, e che quindi è interesse della Romania liberarsi al più presto dei vincoli della Piccola Intesa ed avvicinarsi alla Germania e all'Italia.

Si tratta di correnti di idee promosse da intellettuali che non hanno ancora guadagnato larghe sfere dell'opinione pubblica, ma che ho creduto interessante rilevare e segnalare perché esse possono essere destinate a far cammino

762

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2463/394 R. Parigi, 3 giugno 1933, ore 0,10 (per. ore 6).

Il presente telegramma fa seguito a quello precedente (1).

Di fatto appare sempre più evidente che il Gabinetto Daladier, minato per questioni politica interna, non riuscirebbe portare in porto patto se Piccola Intesa vi si schierasse contro.

Questa ambasciata Inghilterra ha riferito in tal senso a Londra, ed ho ragione di credere che abbia consigliato suo Governo accettare redazione francese dell'articolo 3 come solo mezzo salvare patto. Ambasciata stessa era stasera in attesa di istruzioni dal suo Governo che dovevano giungere in aeroplano nella serata. Probabilmente le istruzioni consisteranno nella nuova formula che ambasciatore di Francia a Roma ha comunicato per telefono a Boncour, mentre mi trovavo presso di lui, e che S. E. sottosegretario di Stato mi ha detto poi essere di fonte inglese. Boncour non si è pronunciato sul nuovo testo desiderando consultare prima presidente del consiglio.

Ho mantenuto le mie conversazioni odierne col segretario generale e col ministro degli affari esteri nella linea delle istruzioni tracciate per telefono. Ho detto cioè e ripetuto che la nostra posizione è chiara e limpida e che intransigenza francese mette in pericolo patto con le conseguenze immaginabili.

Tanto segretario generale che ministro hanno dichiarato di non vo.ler neppure considerare una tale eventualità. Ho insistito dicendo che al punto in cui sono le cose mi sembrava azzardato fare previsioni ottimistiche a meno che la Francia non seguisse esempio dell'Italia, la quale nel corso trattative, aveva dato prova di un elevato spirito di collaborazione nell'intento contribuire chiarificazione situazione politica europea e al consolidamento pace.

Mi riservo riferire ulteriormente domani. Dovrò servirmi con cautela del telefono perché dalle conversazioni odierne è riuscito palese intercettamento della censura.

763

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2475/396 R. Parigi, 3 giugno 1933, ore 16,10 (per. ore 19,20).

Miei telegrammi 393 e 394 (2).

Tyrrell essendo malato da un mese, ho provveduto tenermi in contatto con detta rappresentanza a mezzo del consigliere.

Incaricato d'affari britannico in seguito alle istruzioni r.icevute in serata dal suo Governo ha avuto alle 22,30 colloquio con Daladier presenti Boncour e Leger. Risultato è stato stamane riassunto da questa ambasciata d'Inghilterra al consigliere in questi termini:

sono state proposte al Governo francese due soluzioni per risolve·re difficoltà concernenti articolo 3 del patto e cioè:

a-: aggiunta al progetto italiano (ultimo paragrafo articolo 3 e dopo le parole France, Grande Bretagne, Italie) della frase «en ce qui concerne ~.

b-: parafare il suddetto testo italiano con emendamento inglese aggiungendo una dichiarazione a parte di Mussolini e Simon sulla portata dell'articolo stesso.

Tale dichiarazione sarebbe allegata al patto.

Il signor Daladier non ha accettato proposta:

a-: adducendo che soluzione pur salvando situazione nei riguardi Piccola Intesa, lascerebbe troppa l.ibertà d'azione alla Germania in fatto di armamento.

b-: perché per il Governo e specialmente per Parlamento quello che deve valere è il testo del patto.

A sua volta Daladier ha prospettato tre alternative seguenti:

lo -Riprendere ex no v o discussione su articolo 3;

2° -Soppressione totale articolo 3;

3° -Parafare intanto patto senza articolo 3; prendendo contemporaneamente impegno di discutere detto articolo dopo avvenuta parafatura e includerlo al patto quando sarà raggiunto accordo.

Queste proposte sono state telegrafate stanotte a Londra e ambasciata d'Inghilterra attende istruzioni. Essa, convinta difficile situazione parlamentare Gabinetto Daladier avrebbe prospettata seria difficoltà questo Governo poter accettare proposte di cui lettere a) e b).

Nel corso della conversazione con questo consigliere, ambasciata d'Inghilterra ha fatto sapere che Daladier nel colloquio ieri ha esplicitamente detto che presente situazione è dovuta a malinteso sorto fra codesto ambasciatore Francia e Quai d'Orsay.

Circa opinione pubblica in Inghilterra ambasciata ha dichiarato a Daladier (ripetendolo stamane Fransoni) che reazione per accaduto è stata molto viva a Londra, aggiungendo che Simon desidererebbe potere addivenire quanto prima possibile parafatura patto.

Segue telegramma mia conversazione Quai d'Orsay (1).

(l) -Cfr. n. 759. (2) -Cfr. nn. 759 e 762.

(l) Cfr. n. 764.

764

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2476/397 R. Parigi, 3 giugno 1933, ,ore 17,25 (per. ore 18,30). Mi riferisco al mio telegramma 396

Mi sono intrattenuto stamane col segretario generale Quai d'Orsay. Egli mi ha detto che incaricato d'affari britannico ha consegnato notte scorsa al signor Daladier una lettera personale di Simon.

Ministro affari esteri britannico ha rivolto calda preghiera al presidente del consiglio francese interessandolo consentire parafatura patto accettando integralmente testo italiano.

Daladier si è dichiarato dolente di non poter accogliere desiderio ministro inglese. Ha detto che se egli si inducesse parafare patto nella forma italiana dell'art. 3 il suo atto non sarebbe plenario perché il patto sarebbe respinto dal Parlamento. Egli vuole evitare che questo avvenga anche per le ripercussioni che se ne avrebbero nei riguardi internazionali.

Incar,icato affari ha proposto a questo punto noto emendamento britannico alla fine art. 3. Capo del dipartimento dopo averlo esaminato ha dichiarato di non poter accettarlo. Egli ha osservato che l'emendamento mette fuori questione opposizione Piccola Intesa ma la Germania resta libera riarmare fissandone essa stessa le tappe.

Obbligo della Germania è sempre infatti limitato all'impegno di «concertarsi » con le altre Potenze. Il presidente del consiglio ha espresso quindi la volontà fare possibile per raggiungere l'accordo in modo potere parafare patto al più presto. Egli ha avanzato le seguenti 3 proposte che ambasciata d'Inghilterra ha comunicato notte scorsa a Londra.

1° -Riprendere i negoziati per una nuova redazione art. 3. Questa soluzione ha svantaggio trascinare in lungo le cose. D'altra parte il nuovo articolo non potrebbe non ripetere sotto altra forma i concetti fondamentali dell'articolo 3 nel testo francese.

2° -Sopprimere art. 3 e parafare immediatamente patto;

3° -Parafare patto escludendone art. 3. Formulare contemporaneamente una dichiarazione delle 4 Potenze intesa spiegare che l'art. 3 è stato stralc,iato dal patto perché la questione disarmo è tuttora sottoposta conferenza omonima. Le quattro Potenze dovrebbero impegnarsi, qualora alla chiusura conferenza disarmo non fosse conseguito concreto risultato, di cercare comune accordo soluzioni adatte.

Il presente telegramma continua con numero di protocollo successivo (2).

(l). (l) -Cfr. n. 763. (2) -Cfr. n. 765.
765

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2477/398 R. Parigi, 3 giugTho 1933, ore 18,15 (per. ore 20,30).

Il presente telegramma fa seguito a quello precedente (1). Daladier non ha proposto beninteso il testo della dichiarazione: si è limitato a prospettare una soluzione in questo senso.

Presidente del consiglio ha dichiarato all'incaricato d'affari br.i.tannico, e Leger me l'ha ripetuto, che alle suddette condizioni egli è disposto a dare ordine ad ambasciatore di Francia di parafare immediatamente patto.

Non mi azzardo di esprimere un'opinione. Ripeto però che, tenuto conto della presente situazione politica e parlamentare francese, patto correrebbe serio pericolo di naufragare davanti Parlamento:

1° -se desse appiglio alla Germania hitleriana di procedere al riarmamentv all'infuori di un accordo con le principali Potenze occidentali;

2° -se Piccola Intesa vi facesse opposizione.

Se Governo france~e fosse tenuto da un uomo polit:tco di autorità, patto potrebbe forse passare alla camera dei deputati anche nella redazione italiana. Temo invece che presidente del consiglio non riuscirebbe condurlo in porto nelle suddette condizioni.

Anche stamane Petit Parìsien riassume un subdolo articolo di Herriot pubblicato Démocrate di Lione. Ex presidente consiglio sta in agguato in attesa della prima occasione favorevole per avere pelle del rivale.

Riassumo mio pensiero nel senso che quello che oggi non si può ottenere mediante inserzione di un articolo nel patto, non è escluso si possa conseguire più tardi jntorno ad un tavolo nel segreto di una conversazione diplomatica specialmente se si affermerà, come sperabUe, Ja détente itala-francese che ha affiorato nel corso delle [trattative] per il patto.

766

IL MINISTHO A TIRANA, KOCH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2493/1840/718 R. Tirana, 3 giugno 1933 (per. il 5).

Ho avuto stamane coiloquio con Re Zog in occasione presentazione nuovo addetto militare. Egli f:i è dapprima intrattem1t.o in breve conversazione su

56 -Documenti cliplumatici -Serie VII -Vol. XIII

questioni militari col colonnello Balocco, il quale riferisce al suo ministero con rapporto che trasmetto a parte a V. E. Rimasto poi solo con me Re Zog ha espresso sua ferma intenzione mantenere e sempre più sviluppare orientamento della politica estera del suo paese nella stessa direzione di quella dell'Italia che per lui ha precipuo scopo nella liberazione del Kossovo. Ha vantato di aver sempre mantenuto in tale intento piena fedeltà alla alleanza; non sa spiegarsi pertanto perché da parte del Governo di Roma si voglia rallentare ritmo di collaborazione così efficacemente manifestato in passato. Da circa due anni egli constata tale rallentamento tanto da trarne impressione che Governo fascista, il quale prima metteva tanta parte di sentimento nei suoi rapporti con l'Albania, vada raffreddandosi e dia meno valore alla alleanza. Altrimenti non saprebbe come spiegarsi atteggiamento che manifesta Governo stesso nell'agitare l'arma del prestito S.V.E.A. o quella della sospensione del prestito politico mettendo in difficoltà il piccolo Stato alleato. La questione delle misure prese dal Governo albanese in mater.ia di scuole e di istituti non può, a suo dire, entrare in giuoco come non può essere interpretato in senso contrario allo spirito di collaborazione qualche incidente che si va verificando fra due popoli i quali nella stessa intimità dei loro rapporti possono trovare motivo di malintesi e dissensi. Ha aggiunto che non va dimenticato essere l'Albania un piccolo paese povero e che pertanto il grande Stato amico di 43 milioni di abitanti deve essere in ogni circostanza generoso con lei. Sono pronto -ha aggiunto il Re -a dimostrare nella maniera ,più evidente il mio fermo intendimento di dare soddisfazione all'Italia in tutto quanto essa desidera nel campo della alleanza e della collaborazione, a condizione naturalmente che non ne siano lesi i principi di sovranità e indipendenza del paese perché -come dice un proverbio albanese -, «solamente se il mio amico lede la mia proprietà o il mio onore io posso diventare suo nemico passando al

nemico».

Con ciò Re Zog ha voluto lasciar.ni comprendere che l'atteggiamento adottato dall'Italia in relazione ai provvedimenti interni presi dal suo Governo potrebbe essere da lui considerato come contrario ai principi sovrani del paese e mi è sembrato voler giustificare o minacciare con ciò possibili suoi intrighi per tentare di aggiogare l'Albania al carro di altr-i raggruppamenti politici. Ciò in relazione anche a una insistente voce che esce dall'entourage del Re con la quale si vorrebbe spiegare la situazione creata fra i due paesi col rifiuto dato

da Zog a richieste del Governo fascista lesive della sovranità dell'Albania.

Ho ricordato al Re che il Governo fascista ha dato al Governo di Tirana

continue ed indubbie prove del suo vivo e sincero desiderio di fare in Albania

larga opera di collaborazione; che questa collaborazione è stata a suo tempo

concordata fra i due Governi e fissata su determinati principii allo scopo di

rendere sempre più continui e cordiali i rapporti itala-albanesi e più solida

ed efficace l'alleanza. In tale intento il Governo fascista ha dato ogni suo

possibile contributo all'Albania la quale ne va traendo vantaggi non indHfe

renti per il suo progresso. Esso ha pertanto ragione di attendersi in ogni circo

stanza le più favorevoli disposizioni da parte albanese verso questa sincera sua collaboraZiione. Se la piccola Albania crede poter sempre contare sulla generosità della grande alleata la quale non dovrebbe, come egli dice far caso dei cosidetti «errori >> e «malintesi » mi permettevo rilevare che il Governo fascista ha dovuto purtroppo constatare in questi « errori » e «malintesi » la manifestazione di un sentimento ben poco amichevole nei riguardi della nazione alleata, diretto in definitiva a rendere vano il principale scopo della nostra collaborazione quello cioè di rinsaldare sempre più i legami di amicizia e di intimità fra i due popoli. Venivo pertanto a ripetergli oggi quello che con tanta sincerità e chiarezza gli avevo detto fin dal primo nostro colloquio, che cioè mio desiderio vivissimo, conforme alle istruzioni ricevute dal mio Governo, era quello di veder l'atmosfera chiarita da ogni ombra formatasi fra i due paesi in questi ultimi tempi; che però per fare opera efficace in tale campo occorreva essere in due e che facevo pertanto appello alla sua personale cooperazione sicuro di trovare in lui lo stesso vivo desiderio per giungere a questa piena e solida chiarificazione, la sola che avrebbe potuto dare alla collaborazione la sua vera portata morale e la sua reale efficacia. Mi vedevo nella necessità di aggiungere oggi che non avevo purtroppo trovato fin qui da parte del Governo albanese questa desiderata cooperazione, che ogni mia raccomandazione di evitare incidenti poco simpatici per l'Italia non ha avuto troppa fortuna; che mentre avevo sovente ascoltato da parte sua parole assai cordiali nei riguardi dell'Italia avevo dovuto notare da parte del suo Governo alcuni atteggiamenti tutt'altro che amichevoli; atteggiamenti sui quali il Governo ha sembrato volere insistere m:1.lgrado io cercassi di metterlo in guardia dalle conseguenze che ne potevano derivare per la cordialità dei rapporti fra i due paesi data la ripercussione non favorevole che avrebbero avuto a Roma. Si trattava di atteggiamenti e avvenimenti troppo recenti e a lui ben noti perché io dovessi maggiormente precisare. Tenevo a dichiarargli che ero molto felice di apprendere ora che egli si propone di dimostrare le sue sincere amichevoli disposizioni nei riguardi nostri e provare che l'azione del suo Governo non deve in nulla essere interpretata come un mutato spirito da parte dell'Albania nei riguardi della collaborazione italiana. Desideravo assicurargli da parte mia che il Governo fascista avrebbe fatto la più lieta ed amichevole accoglienza alle prove che egli si prepara a dare per una netta e definitiva ,chiarificazione; ciò avrebbe ridato alla nostra collaborazione quello spirito di piena e fattiva cordialità che la animò quando venne a suo tempo concordata e che le contingenze di questi ultimi tempi hanno alterata.

Il Re mi ha ripetuto che avrebbe al più presto m0strato e provato questo suo desiderio di chiarificazione.

Non credo alla sua sincerità; credo piuttosto che la difficile situazione che questa sospensiva della nostra collaborazione nel campo finanziario va creando nel paese potrà rendere il Re conciliante, suo malgrado, e che solamente il mantenerci in questa nostra impassibile attesa potrà più facilmente far maturare gli eventi nel senso desiderato, tanto più che la conversazione odierna non mi ha dato ancora l'impressione che egli sia per il momento veramente intenzionato di darci le necessarie soddisfazioni.

(1) Cfr. n. 764.

767

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DEGLI STATI UNITI A ROMA, GARRETT

APPUNTO. Roma, 3 giugno 1933.

L'Ambasciatore d'America mi ha chiesto ancora sui negoziati per il Patto a Quattro (l) dimostrandomi l'interesse che H suo Governo ha per una felice soluzione dell'iniziativa.

Gli ho detto che sarebbe opportuno che tale interesse venisse fatto conoscere agli altri Governi dai quali provengono le difficoltà ad una rapida conclusione.

Mi ha assicurato che provvederà a che il Governo americano faccia un passo in questo senso presso Londra, Parigi, Berlino.

768

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 1237/576. Varsavia, 3 giugno 1933.

Telespr. di V. E. n. 216462/53 del 31 maggio (2).

Col mio rapporto n. 976/456 dell'B maggio u.s. (3) informavo l'E. V. dello stato dei rapporti polacco-tedeschi dopo le dichiarazioni del Cancelliere Hitler, esponendo altresì talune considerazioni e la mia impressione sulle possibilità future di sviluppo della détente che si era manifestata.

Confermo oggi quanto ebbi a riferire un mese fa, senza poter aggiungere elementi nuovi.

La détente polacco-tedesca non ha finora dato luogo a modificazioni così sostanziali dell'opinione pubblica, come quella a cui ha fatto cenno cotesto Ambasciatore di Turchia, ed il mio scetticismo sulla capacità ad accordarsi direttamente della Polonia e della Germania, resta per ora inalterato.

Una corrente politica che mira ad un accordo diretto con la Germania, non è mai esistita in Polonia né mi pare sia sorta ln queste settimane, durante le quali se vagamente -e senza far cenno alla Germania -è stato esaltato a Varsavia il metodo degli accordi a due, lo si è fatto per combattere il patto a quattro e riaffermare la sua inutilità.

Ciò premesso confermo che un accordo polacco-tedesco mi sembra oltre che opportuno, possibile in avvenire, ma nel senso cui ho accennato nel mio rapporto n. 456 e su determinati argomenti. Aggiungo che forse la conclusione del patto a quattro ed il conseguente isolamento della Polonia potrà far sentire

più fortemente questa necessità a Varsavia, ma f.inora si può affermare che l'offerta di un patto di non aggressione fatta dal Cancelliere Tedesco, non ha prodotto qui altro effetto che la détente, il che significa che Beck considera la strada per giungere ad un tale risultato assai lunga, ed in questo nessuno è miglior giudice d.i lui.

Il fatto che i rapporti fra Germania e Polonia richiederebbero, nell'interesse delle due parti, un miglioramento, non vuol dire che questo si possa ottenere facilmente perché non tutte le questioni da regolare sono suscettibili di soluzioni. Una intesa generale su tutti i motivi della reciproca avversione non mi sembra possibile perché allo stato attuale delle cose essa non potrebbe realizzarsi che sulla completa rinuncia della Germania al «Corridoio» ed all'Alta Slesia in cambio di facilitazioni commerciali e di piccole concessioni alle minoranze. Ammenoché la Polonia non voglia porre la formula « o tutto

o niente » esiste invece come ho detto la possibilità di trovare accomodamenti per le questioni meno gravi che sono sorte per la maggior parte in conseguenza dell'anormalità delle relazioni politiche e commerciali fra i due Paesi. Con ciò, lasciando da parte i problemi di frontiera, potrebbesi stabilire un modus vivendi e se le due parti giungessero ad un tale risultato esso sarebbe assai apprezzabile, ma più avanti non oserei ancora spingere lo sguardo.

(l) -In un precedente colloquio del 31 maggio, come risulta da un appunto di Suvich, l'amoasciatore degli Stati Uniti aveva chiesto una copia del testo del patto a quattro. (2) -Cfr. n. 749. (3) -Cfr. n. 556.
769

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2491/400 R. Parigi, 4 giugno 1933, ore 20,45 (per. ore 24). Mie,i telegrammi n. 397 e 398 (1).

Il Qual d'Orsay è tuttora in attesa della risposta del Foreign Office circa le tre alternative che sono state telegrafate ieri a Londra da questo incaricato di affari britannico.

Il segretario generale di questo ministero affari ester.i mi ha informato che de Jouvenel ha comunicato alcuni nuovi emendamenti al finale dell'art. 3.

Il presidente del consiglio non ha potuto accettarli perché in contrasto col punto di vista francese.

Il signor Leger mi ha dichiarato con più precisione che il finale dell'art. 3 deve armonizzare coi tre seguenti principi:

l) Non sollevare obiezioni da parte Stati alleati della Francia.

2) Subordinare la realizzazione, per tappe, della parità di diritti della Germania, ad accordo con le tre Potenze contraenti.

3) Non (ripeto non) escludere la partecipazione a detti accordi delle altre Potenze interessate alla questione del disarmo. D'altro canto anzidetta

partecipazione non (ripeto non) è beninteso necessaria ma non può né deve essere esclusa per un doveroso riguardo agli Stati aderenti alla conferenza del disarmo.

Ho osservato al mio interlocutore che sentivo fare cenno per la prima volta dell'esigenza di cui al n. 3 surriferito.

Egli mi ha risposto osservando che U testo francese del finale dell'art. 3 non escludeva l'anzidetta eventualità. Il signor Leger ha soggiunto che egli non si nascondeva le difficoltà gravi di concordare una formula che tenendo conto delle tre esigenze suddette potesse riuscire accetta all'Italia.

Il Quai d'Orsay ha esposto questo suo punto di vista, quale risulta dal presente telegramma e dai miei telegrammi precedenti 397 e 398, in un telegramma che è stato spedito iersera al signor de Jouvenel. Codesto ambasciatore di Francia è stato pure informato delle proposte fatte a Londra dal Qual d'Orsay. È stato anche detto al signor de Jouvenel che il Governo francese è disposto a dare la forma di protocollo addizionale al patto alla dichiarazione intesa a sostituire l'art. 3 del patto, rinv,iando l'esame eventuale delle questioni alle quali l'articolo stesso si riferisce, dopo la fine della conferenza del disarmo.

Il presidente del consiglio ed il ministro affari esteri sono partiti in vacanza per le feste di Pentecoste. Saranno di ritorno martedì o mercoledì al più tardi. Leger mi ha assicurato che egli ha estesi poteri anche per la redazione del protocollo addizionale e la parafatura immediata del patto nel caso la proposta francese sia accolta dall'Italia e dalle altre due Potenze interessate.

(l) Cfr. nn. 764 e 765.

770

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. 1207/294 R. Roma, 5 giugno 1933, ore 24.

Suo telegramma 293 (l).

Apprensioni manifestate da codesto segretario di Stato circa sorti conferenza mondiale sembrano giustificate. Ma bisogna riconoscere che Stati Uniti hanno con loro azione contribuito allo stato d'animo che si va creando nel mondo riguardo detta conferenza. Richiesta del presidente Roosevelt di conferire con rappresentanti varie nazioni presupponeva logicamente esistenza di idee concrete da parte Stati Uniti in rapporto a principali problemi monetari, finanziari, economici, e ciò tanto più in quanto ,in ciascuno di questi campi Stati Uniti costituiscono una forza formidabile. Invece nulla di tutto ciò è risultato dai contatti avuti costì con rappresentanti delle varie nazioni. Ministro Jung ha esposto opinione italiana sui vari problemi; ma, come V. E. ha potuto constatare, non si è avuta da parte americana nessuna manifestazione

concreta di pensiero riguardo ad essi. Tutto si è limitato invece a dichiarazioni di un generico accordo che, tuttavia, non si riesce a fare concordare logicamente con misure che codesto Governo ha preso e continua a prendere. Aggiungo che, anche in mancanza di un programma iniz.iale, era logico attendersi che, dopo lo scambio di idee avuto con rappresentanti delle principali nazioni, il Governo americano avrebbe manifestato in modo conclusivo suo pensiero sui problemi discussi. Neppure ciò si è avuto. L'idea espressa da presidente Roosevelt che conferenza possa prelevare dal suo vasto programma generale alcune questioni principali per portarle ad una rapida soluzione è, quindi, di realizzazione molto difficile. Anche il fatto di volere posporre per ragioni d.i politica interna esame risolutivo della questione dei debiti di guerra agli altri problemi che la conferenza deve affrontare è contro ogni logica ed obbiettiva visione della realtà. La questione dei debiti di guerra, come la questione più generale dell'indebitamento internazionale, dell'impossibilità dei trasferimenti, dei gravami ed ostacoli insopportabili che ne derivano agli scambi economici, è preliminare ad ogni realistica possibilità di riassetto monetario, finanziario ed economico di ciascuna nazione per sé e di tutte fra di loro. Al riguardo V. E. ricorderà come, senza parlare esplicitamente di debiti di guerra, ministro Jung abbia svolto ampiamente nelle discussioni con il segretario di Stato e con gli esperti la questione dell'indebitamento internazionale e ricorderrà anche quanto in materia di debiti egli disse al presidente Roosevelt.

Per quanto riguarda le direttive che seguirà la nostra delegazione riguardo principali argomenti in discussione, esse risultano dalla relazione del ministro Jung sulla sua missione che è stata inviata all'E. V. con lettera del ministro in data 16 marzo u.s. Quanto precede faccio però presente unicamente perché possa servire di orientamento all'E. V. e chiarirle come appaia inopportuno che in tanta oscurità di intenzioni ed incertezza di propositi si prendano da parte nostra nel momento attuale iniziative quale quella di intervenire a Londra per appoggiare un programma di lavoro che non ci è stato neppure concretamente sottoposto. V. E. si esprimerà però costà con la dovuta prudenza nel modo che giudicherà migliore.

(l) T. 2355/293 R. del 27 maggio. non pubblicato.

771

IL MAGGIORE RENZETTI AL CAPO DELLA SEGRETERIA PARTICOLARE DEL CAPO DEL GOVERNO, CHIAVOLINI

L. P. Berlino, 6 giugno 1933.

Oggi e nei g.iorni scorsi ho avuto occasione di parlare con varie Personalità tedesche, Hitler e Goering compresi, sul Patto di Roma: io ho riaffermato che la sua conclusione rappresenterebbe anche una vittoria per la Germania, la quale occorre che si persuada che non può raggiungere tutto quanto desidera in una sola volta, ma invece attraverso un'opera paziente, lunga. La firma della Francia accanto a quella della Germania, Italia e Gran Bretagna rappresenta, anche se nel patto non fosse detto proprio nulla, una vittoria nostra: la Francia è stata costretta a firmare un patto caldeggiato da chi ha sempre sostenuto i diritti tedeschi. Cosa si vuole di più? I miei interlocutori non mi sono sembrati troppo entusiasti in quanto essi avrebbero desiderato ottenere qualcosa soprattutto nella questione degli armamenti: dopo la discussione hanno dovuto riconoscere che era vero quanto affermavo (io ho ripetuto poi tutto quanto S. E. il Capo del Governo ebbe a dirmi sull'argomento), pur riconoscendo che alla Germania si prospetta ancora una enorme azione da svolgere per ottenere la reale parità.

Ho suggerito a Goering di farsi invitare .in Inghilterra e di andarvi non già in missione, ma invece quale privato a trascorrervi qualche settimana. Io sono convinto che colà, come in parte in Germania, si può ottenere molto di più parlando privatamente e occasionalmente con le varie personalità che non recandosi a far visite ufficiali od ufficiose a ministri ed altri.

Accompagnerò Goering nel suo viaggio a Casse! e a Francoforte e avrò modo così di ritornare sui vari argomenti.

772

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. RR. S. l207bisj296 R. Roma, 7 giugno 1933, ore 2,30.

Decifri ella stessa.

Informo V. E. che saremmo eventualmente disposti in caso di necessità a fare per la rata del 15 giugno un pagamento simbolico che potrebbe elevarsi al massimo a un milione di dollari. Non desideriamo prendere noi iniziativa. Veda V. E. se tenendo conto della situazione generale in base agli elementi che potrà avere sul posto in questi ultimi giorni che precedono scadenza sia il caso indurre il presidente a prendere lui questa iniziativa. Occorre agire con la massima prudenza. Prego V. E. tenermi informato (l).

773

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

'I'. P. 1209/257 R. Roma, 7 giugno 1933 ore 1 (2).

Preciso attuale situazione trattative patto a quattro. Dopo accettazione da parte di tutti progetto venti maggio (3) ambasciatore francese a Roma ci ha fatto sapere che per un disgraziato equivoco Parigi non

conosceva detto testo ma aveva trattato base ultimo testo proposto da Governo

francese. Nostre proteste ed insistenze perché Parigi riconoscesse errore com

messo e riparasse accettando testo concordato Roma, si sono urtate contro insu

perabili difficoltà.

Ambasciatore francese ha bensì riconosciuto nostre ragioni ma ha fatto pre

sente situazione obbligata in cui si trovava Governo francese che avendo contro

il patto maggioranza opinione pubblica e maggioranza parlamento e avendo fatto

comunicazione ufficiale Piccola Intesa non poteva ritornare su testo anteceden

temente respinto. Governo sarebbe stato certamente rovesciato e patto sarebbe

naufragato. Si dichiarava disposto ad accettare altre soluzioni per salvare patto

a quattro.

Noi abbiamo dichiarato che avevamo già esercitato una forte pressione sui

tedeschi (come d'altra parte la avevamo esercitata anche sui francesi) in modo

che noi non ci sentivamo di fare sui primi una nuova pressione per rimediare

ad una situazione che non derivava da colpa loro.

Tuttavia di fronte ad una proposta inglese che tendeva a trovare una solu

zione per salvare il patto ci siamo dichiarati disposti a discutere.

Chiamati gli ambasciatori di Francia, Germania, ed Inghilterra abbiamo esaminato assieme una nuova forma dell'art. 3 che cercasse di evitare i punti sui quali dalle varie parti si faceva più forte opposizione. Siamo giunti cosi alla proposta inviata costà nel pomeriggio di domenica sulla quale tuttora si discute (1).

Per quanto riguarda le ragioni tedesche vanno fatte le seguenti considerazioni: era stato sempre detto da parte germanica che all'applicazione pratica della Gleichberechtigung, come contenuta nel testo concordato, non si dava grande importanza perché essa era viziata dalla condizione voluta dai francesi nel regime di sicurezza. D'altra parte era stato affermato ripetutamente da parte tedesca che si vedeva un gran pericolo nella condizione stabilita nel testo concordato per cui i tedeschi dovevano concertarsi con le tre altre Potenze per realizzare la parità, in quanto con ciò si legava la Germania per il periodo di dieci anni e le si toglieva la libertà di manovra che essa ha oggi di minacciare il riarmamento se gli altri non disarmano.

Di fronte a queste osservazioni tedesche noi abbiamo ritenuto che il nuovo articolo dovesse essere bene accetto alla Germania perché, se da una parte si ometteva il riferimento alla Gleichberechtigung, a cui, per la forma in cui era espressa pareva si tenesse poco, d'altra parte> si ometteva l'obbligo di concertarsi che invece disturbava molto.

Non è poi giusto dire, come fa il comunicato del Wolff Bureau che il nuovo articolo non rappresenta nulla, perché dal nuovo articolo risulta la facoltà di intendersi anche in corso della conferenza del disarmo, nonché la facoltà di prendere in mano le discussioni sul disarmo quando la conferem:a non arrivasse a delle conclusioni.

Anzi per questo ultimo riguardo il nuovo articolo si avvicina al testo originale del patto a quattro.

{1) Cfr. in proposito Akten, I, 2, n. 285. Sulle trattative che si svolsero nei giorni 5 e 6 giUgno non si è trovata documentazione.

Per quanto riguarda l'ultima frase del nuovo articolo proposto va osservato che la dizione «par les voies appropriées » garantisce l'assoluta l'ibertà di azione dei quattro che potranno decidere di risolvere la questione del disarmo direttamente fra loro, sia con ·ricorso aUa S.d.N., sta con rinviarla a conferenze, comitati ecc.

Le ragioni dell'urgenza per cui interessa in modo assoluto di avere una risposta nella mattinata di domani sono determinate dai seguenti fatti:

l) -L'opinione pubblica italiana e straniera è completamente snervata dall'attesa di questo patto a quattro ed ogni giorno che passa ne diminuisce l'attualità e ne riduce la possibilità d'effetto. Da quattro giorni il pubblico internazionale sa infatti che ci sono delle difficoltà e comincia a serpeggiare la impressione che, ad onta dei massimi sforzi, l'Europa non riesca a mettersi di accordo, il che rende sempre più aspra e più pericolosa l'attuale situazione.

2) -È necessario che l'accordo per il patto a quattro possa far sentire la sua benefica ripercussione prima della conferenza economica e per questo siamo arrivati g.ià all'ultimo limite; altrimenti i due avvenimenti si confonderebbero.

3) -È da più di una settimana che si rimandano di giorno in giorno le dichiarazioni che sul patto a quattro deve fare il Capo del Governo. Domani sette giugno si chiude H Senato, per cui tali dichiarazioni non possono essere rinviate più oltre, il che vorrebbe dire rinunciare ad uno degli elementi più importanti per portare un chiarimento nella situazione attuale.

4) -Il Governo francese è sotto una seria e grave minacc.ia appunto per la questione del patto a quattro e non è escluso che si abbia una crisi ministeriale entro questa settimana, ciò che ci obbligherebbe a ricominciare tutto il lavoro da capo, ammesso che ciò sia possibile.

La parafatura del patto mette invece in ogni eventualità un punto fermo anche ai fini della susseguente firma.

Prego V. E. di voler far presenti tutte queste ragioni a nome di S. E. il Capo del Governo magari dando lettura del presente telegramma al cancelliere e ad altri membri del Governo secondo ella crederà meglio.

Prego inoltre V. E. di insistere sul fatto che da parte nostra si è riservata l'accettazione del nuovo articolo alla adesione da parte della Germania. Come è stato dichiarato a von Hassell, se la Germania non accetta la nuova redazione dell'art. 3, noi resteremo infatti fedeli alla precedente redazione che era già stata accettata dalla Francia. Ma questo non condur.à a niente e anche lo stesso successo di opinione pubblica che la Germania avPsse (ed onestamente devo dire che non credo affatto che lo avrebbe) ~mrebbe effimero. Dopo di che si presenterebbe di nuovo la necessità di accordi e non è presumibile che parola più o parola meno, un nuovo testo che ancora fosse possibile di concordare, assicurasse alla Germania più di quello che le assicura il testo attuale.

Voglia anche ricordare che oggi ci troviamo a dover fare cosi forti urgenze per una pronta risposta per il fatto che da domenica mattina, per le note circostanze, non siamo riusciti a metterei in contatto con Berlino. Pur non intendendo premere in nessun modo sul Governo tedesco, noi confidiamo che lo stesso vorrà rendersi ragione delle circostanze addotte e vorrà evitare il fallimento di questo patto che, secondo noi, anche nella forma attuale e per alcuni riguardi soprattutto nella forma attuale, offre sicuri vantaggi alla Germania, in quanto, mentre da una parte le dà la facoltà di discutere alla pari con le altre tre maggiori Potenze di Europa in un ambiente tendenzialmente favorevole alle sue giuste richieste, d'altra parte non le impone nuovi legami e le prepara anzi la via a liberarsi da quelli che le impongono tuttora i trattati.

(l) -Con t. rr. 1208 bis/304 R. del 9 giugno Mussolini informò Rosso che era necessario conoscere la risposta americana prima del giorno 12, data dc:lla riunione del Gran Consiglio. Rosso rispose con il t.u.r. 2512 bis/336 R. e il t.u. 2512 ter/337 R. del 10 giugno comunicando di aver conferito con l'assistente segretario di Stato Moley e col sottosegretario di Stato Ph!llips riuscendo a far accettare l'offerta del pagamento simbolico di un milione di dollari. (2) -Il telegramma era stato redatto da Buti il 6 giugno alle ore 22. (3) -Cfr. n. 650.
774

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2517/223 R. Vienna, 7 giugno 1933, ore 20 (per. ore 23).

Cancelliere austriaco mi ha detto essere assai soddisfatto della sua visita a Roma e suoi colloqui con S. E. il Capo del Governo (l).

Mi ha quindi ripetuto quanto mi disse ieri al suo arrivo, che egli cioè aveva avuto a Roma nuova prova della cordiale e calda amicizia dell'Italia per l'Austria indipendente.

Circa l'eventuale scioglimento del partito nazista austriaco (mio telegramma

n. 219) (2) cancelliere austriaco non ha ancora preso decisione.

La subordina tuttavia ad eventuali nuove gravi provocazioni de'i nazi. A tale riguardo segnalo all'E. V. che il cancelliere austriaco è molto preoccupato propaganda naz.ista nell'esercito austriaco.

Sua preoccupazione è dovuta soprattutto risultati perquisizione polizia nella sede partito nazista a Vienna. Indagine polizia ha accertato presenza colà 50 militari.

775

PACTE D'ENTENTE ET DE COLLABORATION (3)

Roma, 7 giugno 1933.

Le Président de l'Empire allemand, le Président de la République française, Sa Majesté le Roi de Grande Bretagne, d'Irlande et des territoires britanniques au delà des mers, empereur des Indes, et Sa Majesté le Roi d'ltalie;

Conscients des responsabilités particulières que le fait d'etre représentés à titre permanent au Conseil de la Société des Nations Leur impose à l'égard

de la Société elle-méme et de ses Membres et de celles qui résult.ent de Leurs signatures communes des accords de Locarno;

Convaincus que l'état de malaise qui règne dans le monde ne peut étre dissipé que par un renforcement de Leur solidarité susceptible d'affermir en Europe la confiance dans la paix;

Fidèles aux engagements qu'Ils ont pris par le Pacte de la Société des Nations, les Traités de Locarno et le Pacte Briand-Kellogg et se référant à la déclaration de non-récours à la force, dont le principe a été proclamé dans la déclaration signée à Genève le 11 décembre 1932 par Leurs délégués à la Conférence du Désarmement, et adopté le 2 mars 1933 par la Commission politique de la dite Conférence;

Soucieux de donner leur pleine efficacité à toutes les dispositions du Pacte de la Société des Nations, en se conformant aux méthodes et procédures qui y so n t prévues et auxquelles Ils n'entendent pas déroger;

Respectueux des droits de chaque Etat dont il ne saurait étre disposé en dehors de l'intéressé; Ont résolu de conclure un Pacte à ces fins et ont désigné pour Leurs plénipotentiaires; savoir:

Le Président de l'Empire allemand:

S. E. M. Ulrich von Hassell, Ambassadeur du Reich Allemand;

Le Président de la République française:

S. E. M. Henry de Jouvenel, Ambassadeur de la République Française, Sénateur;

Sa Majésté le Roi de Grande Bretagne, d'Irlande et des territoires Britanniques au delà des mers, Empe,reur des Indes; Pour la Grande Bretagne et l'Irlande du nord:

S. E. le Très Honorable Sir Ronald Graham, G.C.B., G.C.M G., G.C.V.O., Son Ambassadeur Extraordinaire et Plénipotentiaire auprès de S. M. le Roi d'Italie;

Sa Majesté le Roi d'Italie:

S. E. M. le Chevalier Benito Mussolini, Chef du Gouvernement Premier Ministre, Ministre des Affaires Etrangères.

Lesquels, après avoir échangé leurs pleins pouvoirs reconnus en bonne et due forme, sont convenus des dispositions suivantes:

Article l.

Les Hautes Parties contractantes se concerteront sur toutes les questions qui leur sont propres. Elles s'engagent à faire tous leurs efforts pour pratiquer dans Je cadre de la Société des Nations une po1itique de coUaboration eff.ective entre toutes les Puissances en vue du maintien de la paix.

Article 2.

En ce qui concerne le Pacte de la Societé des Nations et notamment ses articles 10, 16 et 19, le3 Hautes Parties contractantes décident d'examiner entre elles et sous réserve de décisions qui ne peuvent etre prises que par les organes réguliers de la Société des Nations, toute proposition relative aux méthodes et procédures propres à donner dilment effet à ces articles.

Article 3.

Les Hautes Parties Contractantes s'engagent à faire tous leurs efforts pour assurer le succès de la Conférence du Désarmement et se réservent, au cas où, à l'issue de cette Conférence, des questions les concernant spécialement seraient demeurées en suspens, d'en reprendre l'examen entre elles par application du présent Pacte en vue d'en assurer la solution par les voies appropriées.

Article 4.

Les Hautes Parties contractantes affirment leur volonté de se concerter sur toute question d'ordre économique présentant un intéret commun pour l'Europe et particulièrement pour sa restauration économique en vue d'un règlement à rechercher dans le cadre de la Société des Nations.

Article 5.

Le présent Pacte est conclu pour une durée de dix années à compter de sa mise en vigueur. Si, avant la fin de la huitième année, aucune des Hautes Parties contractantes n'a notifié aux autres son intention d'y mettre fin, il sem considéré comme renouvelé et restem en vigueur sans limitation de durée, chacune des Hautes Parties contractantes ayant, dans ce cas, la faculté d'y mettre fin par une déclaration à cet effet avec préavis de deux années.

Article 6.

Le présent Pacte, rédigé en allemand, anglais, français et italien, le texte

français faisant foi en cas de divergence, sera ratifié et les ratifications en

seront déposées à Rome le plus tòt que faire se pourra. Le Gouvernement du

Royaume d'Italie remettra à chacune des Hautes Parties contractantes une

copie certifiée conforme d es Procès-Verbaux de dépòt.

Le présent Pacte entrera en vigueur dès que toutes les ratifications auront

été déposées.

Il sera enregistré à la Société des Nattons conformément au Pacte de la

Société.

Fait à Rome, le 7 juin 1933 en un seui exemplaire, qui restera déposé dans

les archives du Gouvernement du Royaume d'Italie, et dont copie certifiée

conforme sera remise à chacune des Hautes Parties contractantes.

En foi de quoi les Plénipotentiaires susnommés ont signé le présent Pacte.

(1) -Non rinvenuti i verbali relativi ai colloqui di Dollfuss a Roma. (2) -T. 2468/219 R. del 2 giugno, ore 22, non pubbl!cato. (3) -Ed. nella versione italLana ~n Trattati e convenzioni tra il Regno d'Italia e gli altri Stati, vol. 46°, R.oma, 1937, pp. 144-147, in SALATA, pp. 159-164 e in GIORDANO, pp. 198-200. Il testo e preceduto dal processo verbale della parafatura.
776

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. 1213/259 R. Roma, 8 giugno 1933, ore 17.

Ieri sera ho proceduto con ambasciatori di Francia, di Germania e Gran Bretagna alla sigla del patto di intesa e collaborazione fra le quattro Potenze occidentali.

Rivolgo a V. E. un elogio per l'attività continua e intelligente svolta durante i negoziati *e che si è dimostrata particolarmente efficace per superare le difficoltà presentatesi nell'ultima fase di essi * (l).

777

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. P. 2528/480 R. Londra, 8 giugno 1933, ore 21,06 (per. ore 1,30 del 9).

Notizia parafatura patto a quattro e largo riassunto discorso pronunciato Senato giunti Gabinetto Londra sono stati accolti con sentimento sincera unanime soddisfazione. Non vi è persona da me incontrata stamane la quale non abbia apertamente sottolineato grande successo diplomatico da te ottenuto e immenso debito di gratitudine che mondo intero ma specialmente Europa ti deve per averla salvata la seconda volta dal caos. La tua maschia volontà e la tua abile pazienza hanno vinto sulle difficoltà che apparivano insormontabili.

Le grandi Potenze hanno sentito, una dooo l'altra. il fascino dell'obbedienza spirituale al capo della rivoluzione fascista.

Penso alle parole di Sant'Agostino: «Lo spirito si comanda».

Permetti al tuo fedele collaboratore di ripeterti da lontano tutta la sua devota ammirazione.

778

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2582/93 R. Vienna, 8 giugno 1933 (per. il 10).

Mio telegramma per corriere n. 87 del 25 maggio u.s. (2).

Ho stamane col cancelLiere messo di nuovo la conversazione sulla tendenza di sinistra, che contraddistingue le nomine dei ministri da lui recentemente fatte.

n. -1214.

Questa volta il signor Dollfuss non è ricorso agli argomenti usati nel nostro colloquio del 25 scorso, che è riassunto nel telegramma per corriere innanzi citato. Egli ha infatti detto che bisognava ormai considerare sovratutto la necessità in cui il Governo si .trova di provvedere alla formazione di un blocco di forze nazionali; un blocco in cui non possono avere gran valore le antiche denominazioni di destra e sinistra.

Ho notato che il cancelliere, contrariamente a quanto ebbe a dirmi nel colloquio surricordato, non ha fatto alcun cenno ad una vicina dissoluzione dell'amministrazione municipale di Vienna, né alcuna allusione ad un eventuale nuovo rimpasto ministeriale, con spinta a destra, circa il quale si era pur tanto discorso nei giorni passati.

In sostanza, il cancelliere mi ha rafforzato l'impressione che le voci naziste di sue troppo strette relazioni con la socialdemocrazia, e che non potrebbero essere invero giustificate dal suo noto desiderio di non disturbare troppo H partito ·socialista francese prima dell'ottenimento del prestito, non sono del tutto infondate. In ogni modo esse voci fanno sì che il partito nazista comincia ad imperniare la sua lotta sul punto che il Governo Dollfuss, con le sue connivenze con la socialdemocrazia, viene a porre l'Austria alle dipendenze di Potenze estere, e sopratutto della Francia.

Il cancelliere ha poi aggiunto di aver avuto lunghe conversazioni con V. E. Non ha preeisato se in tali conversazioni era stato o meno toccato il predetto argomento.

Tuttavia mi è sembrato che il suo accenno mirasse a farmelo ritenere.

Intanto questa sera ho raccolto la voce che il consiglio dei ministri si riunirebbe domani per esaminare la questione dello scioglimento del partito nazionalsocialista. Tale misura sarebbe giustificata da nuove gravi risultanze emerse in seguito ad ulteriori inchieste operate circa l'attività del partito stesso.

(l) -Il telegramma fu inviato, ad eccezione del brano fra asterischi, a Londra e Parigi col (2) -Cfr. n. 691.
779

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO UNGHERESE, GOMBOS (l)

L. P. Roma, 8 giugntO 1933 (2).

De Hory e Colonna Le hanno già detto perché io abbia ritenuto preferìbile nella situazione presente che l'intervista con Dollfuss non assumesse carattere di intervista a tre.

L'intervista con Dollfuss ha messo più che mai in evidenza la necessità di continuare nei riguardi dell'Austria nella linea di condotta sulla cui oppor

tunità convenimmo or è qualche tempo e che v. E. ed io abbiamo concordemente praticato, trovando risponden2la e comprensione nel Governo austriaco. Una apposita informazione di stampa ha già reso pubblica l'assicurazione da me data a Dollfuss di mettere senz'altro a sua disposizione la parte italiana del prestito internazionale a favore dell'Austria.

Quanto ai rapporti con la Germania, mentre ho appoggiato la linea di Dollfuss di opporsi ad ogni indebita intromissione nella vita pubblica dell'Austria e ad ogni tentativo diretto contro la sua indipendenza, ho convenuto con lui sulla opportunità che tra Berlino e Vienna si ristabiliscano al più presto relazioni normali. Mi riservo prossimamente di interessare in questo senso il Governo tedesco.

Questi i punti fondamentali dei miei colloqui col Cancelliere austriaco che niente innovano, ma confermano e rinsaldano pertanto la politica che i nostri due Paesi seguono nei riguardi dell'Austria.

Circa il Patto a quattro, Le invio qui unito copia del testo parafato ieri e del discorso da me pronunciato in tale occasione al Senato, dove sono illustrati l'origine del Patto, il suo contenuto e la sua portata.

L'articolo 3 ha ritardato di alcuni giorni la firma. Per un malinteso incorso tra questa Ambasciata di Francia e il suo Governo, la redazione concordata a Roma, a cui tutti i quattro Governi avevano dato la loro adesione, non è stata poi accettata in definitiva dal Governo francese. Colonna La informerà dei particolari relativi alle ragioni e al modo per cui si è giunti alla nuova redazione; e nel mio discorso Ella troverà indicata l'interpretazione che l'Italia dà all'attuale articolo 3.

È chiaro che l'importanza per l'Ungheria consiste nel fatto che di tutti i problemi del disarmo si dovrà discutere nelle riunioni a quattro, nelle quali sarà certamente sollevata la quistione della parità dei diritti nei riguardi di tutti gli Stati.

Nel mio discorso, ho accennato in modo particolare ai rapporti con l'Ungheria, ma non ne ho fatto oggetto di una menzione isolata per evidenti ragioni di opportunità.

Analogamente per l'articolo 19. Ne ho trattato a parte col paragrafo che incomincia «dalla fine della guerra è in atto un processo di adattamento ecc. » e ho ripreso lo stesso concetto in diversi altri punti del discorso. Non ho tuttavia creduto di soffermarmi più lungamente; e ho anzi fatto parte anche ai principi del «non 'ficorso alla forza » e della non imposizione di volontà di alcuni Stati nei confronti di altri. Mi è parso infatti che occorresse alleggerire e chiarire l'atmosfera nell'interesse dei fini che il Patto si propone progressivamente di raggiungere.

D'altronde il discorso segue le linee del Patto che sancisce chiaramente l'obbligo di «concertarsi»; riprende il principio dell'articolo 19 per Ja prima volta dopo la firma del Covenant; e provvede pel caso in cui la Conferenza del Disarmo dovesse fallire al suo scopo.

L'impegno delle quattro Potenze di «concertarsi» pone finalmente la politica europea su un piano ben diverso e ben più rispondente alla realtà di quello in cui essa si è trovata finora, e se anche in definitiva non obbliga nessuna delle quattro Potenze ad accettare la volontà delle altre, pure rappresenta evidentemente un notevole progresso. Se infatti è vero che nessuna decisione non potrà non essere presa altro ,che d'accordo, è altrettanto vero che nessuna decisione non potrà nemmeno non essere influenzata direttamente dalla volontà di tre delle quattro Potenze firmatarie, ciò che, nella situazione esistente e ai fini del Patto assume per evidenti ragioni un'importanza tutta particolare nei riguardi di Stati come la Germania, l'Ungheria, ecc.

Per misurare la portata dell'Accordo raggiunto e delle sue possibilità fu~ ture si deve pure tener presente la situazione quale esisteva nel marzo passato, quando si discuteva come di cosa possibile di «guerra preventiva». Il Patto ha inoltre una portata economica e deve far sentire i suoi effetti sulla situazione economica mondiale direttamente collegata alla «fiducia» che il Patto tende a ristabilire, e sui lavori della Conferenza economica che sarebbero stati votati a sicuro insuccesso se la tensione che esisteva or sono alcuni mesi fosse non dico aumentata, ma anche solo continuata.

A proposito della Conferenza economica sono anzi d'avviso -e credo di interpretare in questo pienamente anche il modo di vedere di V. E. -che le nostre due Delegazioni e quella austriaca si tengano in stretto rapporto in vista degli interessi che i tre Paesi hanno nelle quistioni in discussione.

Per quanto se non tutte, molte di queste considerazioni appaiano evidenti dall'esame del Patto ed io le abbia esposte al Senato, ho tenuto a scriverne all'E. V. in omaggio ai rapporti di salda amicizia che legano i nostri due Paesi, e che il Patto in ultima analisi è destinato, secondo il mio fermo proposito, a sviluppare e a rafforzare sempre maggiormente nell'interesse dell'Italia e dell'Ungheria e in quello della ricostruzione europea.

(l) -Ed. n Mussolini, Opera omnia, vol. XLII, pp. 51-53 e in DE FELICE, pp. 475-476. (2) -Annotazione a margine di Suvich: «Edizione definitiva parte stasera con istruzione a Colonna di rimetterla personalmente a Gombi:is, 11-6-XI ».
780

APPUNTO DEL VICE CAPO GABINETTO, JACOMONI

Roma, 8 giugno 1933.

Il Ministro di Cecoslovacchia è venuto a dire di aver avuto una comunicazwne telefonica da parte del signor Benes che si è dichiarato soddisfattissimo del discorso di S. E. il Capo del Governo. Ha detto di essere completamente compreso dello spirito del Patto e di essere fin d'ora disposto a collaborare col Governo italiano sulle linee tracciate nelle conversazioni avute con S. E. Aloisi a Glnevra.

CLe linee delle conversazioni avute dal barone Aloisi col signor Benes conslstono nella constatazione che la Piccola Intesa, a norma delle dichiarazioni fatte dai suoi membri, intende di essere un elemento di stabilizzazione nell'Europa centro-orientale, e che pertanto il Patto a quattro che è elemento di stabilizzazione europea e mondiale dovrebbe apparire desiderabile alla Piccola Intesa e suscettibile di ottimi rapporti con esso).

57 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XIII

781

IL CAPO DELL'UFFICIO ALBANIA, FARALLI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 8 giugno 1933.

È noto a V. E. che il Ministro degli Esteri albanese ha comunicato al R. ministro a Tirana essere intendimento del Governo albanese di inviare a Roma una delegazione composta dallo stesso Giafer Vila e dal Ministro delle Finanze per giungere, attraverso conversazioni dirette col Governo italiano, ad un chiarimento della situazione dei rapporti itala-albanesi.

È del pari noto a V. E. che questa iniziativa era stata prospettata dal signor Shtylla a S. E. il Capo del Governo e dallo stesso Shtylla presentata a Tirana come una via di uscita che il Governo albanese può imboccare con sicura fiducia.

Con telegramma n. 129 del 5 c.m. Koch (l) ha prospettata la «convenienza di evitare, allo stato attuale delle cose, conversazioni proposte senza almeno conoscere precedentemente su quali basi dovrebbero svolgersi».

In una lettera privata al Comm. Faralli (2) lo stesso Koch riferisce: «quando il Ministro degli Esteri mi annunciò ieri -a semplice titolo informativo la decisione presa di mandare la Delegazione a Roma, cercai di fargli opportunamente comprendere che sarebbe stato prudente esaminare in precedenza se le proposte, che essa si disporrebbe a fare, sono tali da far sperare in un accomodamento, cosa di cui dubitavo, e che pertanto c'era da aspettarsi che egli avrebbe certo ricevuto una cordialissima accoglienza da parte del Governo amico, ma che quanto ai risultati della sua missione avrebbero potuto essere negativi e allora c'era da domandarsi se la situazione non si sarebbe poi maggiormente complicata».

L'Ufficio Albania condivide l'avviso del R. ministro a Tirana, persuaso com'è, che, ai fini della nostra politica in Albania, non trattasi tanto di «chiarire equivoci» come gli albanesi pretendono, quanto e soprattutto di determinare una situazione nuova che ci garantisca contro il ritorno alla politica di ostililtà ed ambigue tergiversazioni di Re Zog, politica che in tutti i campi dell'azione italiana in Albania scontiamo da due anni a questa parte con grave scapito del nostro prestigio e dei nostri interessi.

La visita dei due ministri albanesi a Roma, ove non .fosse, sempre pel tramite del R. ministro a Tirana, convenientemente preparata e indirizzata a proposte concrete, non potrebbe che risolversi in un equivoco che verrebbe ad aggravare la situazione, anziché a chiarirla nel senso da noi desiderato.

Si è creduto di dover esporre tale avviso perché risulta da informazioni fornite dal signor Shtylla che il nuovo incaricato d'affari d'Albania, signor Kodheli, nell'udienza che ha chiesto a V. E., si proporrebbe di ottenere il benestare italiano alla visita dei due Ministri albanesi.

Ove V. E. condividesse l'avviso del R. Ministro a Tirana che la visita in questione sia preceduta da precisazioni di sostanza, l'Ufficio Albania potrebbe sottoporre a V. E. una esposizione dettagliata delle questioni concrete che dovrebbero fornire oggetto delle conversazioni col Governo albanese (1).

(l) -T. 2503/129 R., non pubblicato. (2) -In data 6 giugno, non pubblicato.
782

L'ADDETTO STAMPA A VIENNA, MORREALE, AL VICE CAPO GABINETTO, JACOMONI

L. P. XL. Vienna, 8 giugno 1933

Mi riservo di comunicarle le mie impressioni dirette sulla situazione in Austria non appena abbia compiuto un'inchiesta alla quale sto accudendo in questi giorni. Si nota infatti nell'opinione pubblica uno stato di incertezza perché se da un canto si riconosce che la reazione di Dollfuss alle malefatte dei nazionalsocialisti austriaci ed ai duri provvedimenti del governo di Berlino è stata giusta ed opportuna, si teme d'altro canto che la tensione dei rapporti colla Germania possa avere conseguenze economiche troppo gravi per la modesta struttura austriaca. Si teme altresì da elementi equilibrati che tale tensione finisca, se durevole, con ferire anche gli austriaci che pur sentendo austriacamente non possono dimenticare di essere tedeschi. A mitigare tale apprensione sopraggiunge il timore che la Germania possa trovarsi tra breve in difficoltà interne economiche, e finanziarie nei riguardi dell'estero, alle quali è bene che l'Austria non sia mescolata. La notizia della concessione del prestito da parte dell'Italia e della Francia è stata accolta con soddisfazione, ma si nutrono preoccupazioni per i tentativi di intromissione francese in Austria e tali preoccupazioni sono aggravate dalla notizia, ormai accertata, della imminente conclusione di un accordo con gruppi finanziari ed industriali francesi per la elettrificazione di alcune linee ferroviarie austriache. Se tale accordo dovesse essere concluso, ne riuscirebbe rafforzata la campagna dei nazionalsocialisti i quali sostengono che Dollfuss balcanizza l'Austria pur di sottrarla alla naturale influenza della Germania, mentre la voce secondo la quale questa transazione colla finanza francese sarebbe dovuta alla interessata francofilia di vecchi elementi della pubblica amministrazione confermerebbe molti altri nella convinzione che Dollfuss non riesca a liberare lo Stato dalla vecchia corruzione politica.

Starhemberg, col quale ho parlato l'altro ieri, prima cioè del ritorno di Dollfuss da Roma si è mostrato soddisfatto della situazione generale. Mi ha detto di avere egli stesso consigliato al cancelliere di procedere allo scioglimento del partito nazionalsocialista in modo da evitare con un solo atto energico il ripetersi di tanti piccoli incidenti che inaspriscono le relazioni colla Germania ed esautorano il governo austriaco a dare a questo ed a quello di Berlino il modo di sottoporre a nuovo esame, e migliorarli se possibile, i rap

porti reciproci una volta che uno stato di relativa tranquillità fosse subentrato. A tale proposito gli ho fatto notare che sarebbe bene far precedere all'eventuale scioglimento del partito nazionalsocialista, qualche atto diretto contro l'amministrazione marxista di Vienna, atto serio ed energico, come lo scioglimento del Comune socialista della capitale, sì da dare a buona parte della popolazione l'impressione che il governo intenda passare al rinnovamento interno. Ho fatto anche presente allo Starhemberg l'opportunità che Dollfuss liberi il suo ministero dalle vecchie cariatidi che fanno del governo quello che i nazi chiamano il « Sistemregierung » il governo del sistema che essi vogliono abbattere: passare insomma dalla politica di reazione finora seguita a quella dell'azione rinnovatrice. Di tale opportunità è convinto anche lo Starhemberg il quale ha soggiunto che il suo sforzo tende ora a convincere Dollfuss a svincolarsi dal suo stesso partito cristiano-sociale il quale è la palla di piombo ai piedi del Cancelliere. Mi ha fatto a questo proposito notare che i cristiano-sociali vanno svisando il concetto che presiedette alla costituzione del «fronte patriottico» e poiché intervengono troppo direttamente nella organizzazione delle manifestazioni di esso finiscono col dare l'impressione che altro non sia se non lo stesso partito sotto altro nome. Di ciò lo Starhemberg ha parlato a Dollfuss pregandolo di frenare gli ardori dei capi del partito cristianosociale e di tener presente che il fronte patriottico deve risultare l'espressione attiva del binomio Starhemberg-Dollfuss.

Della situazione del movimento delle Heimwehren Starhemberg è ora pienamente soddisfatto. Il tentativo di diserzione del capo di Salisburgo dott. Hueber è stato sventato in una riunione di tutti i capi della provincia alla quale partecipò lo stesso Starhemberg. I ca,pi della provincia manifestarono al capo federale la loro fiducia e, ad eccezione di un paio di amici personali dello Hueber, hanno tutti espresso il parere che il nazionalsocialismo sia da combattere come la peste. Lo Hueber, vistosi isolato, ha preferito capitolare a pieno sicché lo Starhemberg non ha più avuto motivo di procedere contro di lui. Dalle altre provincie continuano a giungere notizie di nuovi afflussi; migliorata anche la situazione in Stiria; domenica ventura da sei ad ottomila heimwehren saranno concentrate per una manifestazione a Krems, piccolo centro sul Danubio al quale fa capo il distretto Waldviertel ove il 14 maggio scorso si verificarono gli incidenti contro i militi che partivano per Vienna. La manifestazione di domenica dovrà essere una risposta a quelle provocazioni. Meno bene, se non addirittura male, va la stampa quotidiana del movimento. Il redattore capo dei tre giornali heimweristi di Vienna, dott. Kaltenboeck si è rivelato buono scrittore ma inetto alla carica e noncurante della redazione dei quotidiani. Anche all'amministrazione egli ha dedicato poca cura sicché si sono verificati sperperi che hanno portato a passività superiori alle previsioni. Ho avuto anche il dispiacere di sentire che il Bekessy, redattore del foglio meridiano non ha ancora abbandonato il suo posto, malgrado Starhemberg ne avesse disposto il licenziamento. Si farà quindi piazza pulita e stiamo provvedendo in questi giorni alla riorganizzazione destinata soprattutto a dare ai tre giornali una linea costante ed un carattere inequivocabile. Starhemberg avrebbe voluto che io assumessi la sorveglianza diretta sui tre giornali entrando a far parte di un « curatorium » da sovrapporre alla direzione. Mi sono rifiutato perché la cosa non sarebbe rimasta segreta, regoleremo invece le cose in modo che io potrò esercitare tale sorveglianza per mezzo di persona di fiducia mia e del Principe Starhemberg (l).

(l) Annotazione a margine di Mussolini: «Preparare temi da discutere e risolvere, altrimenti li viaggio sarà una pura perdita di tempo».

783

VITTORIO MAZZOTTI AL CAPO DELL'UFFICIO ALBANIA, FARALLI

L. P. Vienna, 8 giugno 1933.

Mi sono abboccato con Pristina che ho trovato qui a Vienna. Naturalmente è ritornato sull'argomento tante volte sfiorato (Zogu) ripetendomi per la millesima volta l'opportunità di un attentato. Mentre le altre volte lo lasciavo dire, tentando di cambiare discorso quando desiderava la mia opinione in merito, questa volta senza assecondarlo gli ho fatto presente che il fatto per se stesso era per mio conto deprecabile; nel contempo gli ho fatto capire che lui era padrone di pensarla come meglio credeva e di agire se voleva, secondo gli dettava la sua coscienza.

Inoltre mi ha fatto presente che da parte nostra vi sarebbe nulla da temere essendo pronto lui di giurare la Bessa. Così che i suoi complici nulla mai saprebbero delle nostre relazioni. Dato poi che i suoi sicari si troverebbero nella Jugoslavia, di cui uno a Salonicco, nel caso di insuccesso questi dovrebbero essere preventivamente catechizzati di modo che la colpevolezza all'occasione dovrebbe ricadere su le autorità jugoslave. Lo stesso Pristina si proporrebbe di recarsi a Salonicco dove questo suo sicario si trova e che già riceve un sussidio mensile per l'organizzazione dell'affare. (Si tratterebbe di Schumari Peza).

Il punto scabroso sarebbe il finanziamento. Egli mi ha fatto presente che per fare penetrare cinque individui clandestinamente in Albania -ritenendo questa cosa molto facile -bisognerebbe munirli dei fondi necessari che egli calcolerebbe ad un minimo di cento napoleoni per ciascuno, ovverosia quasi 38 mila lire. Infine per l'acquisto di armi speciali e altre spese di movimento, spostamenti ecc. sarebbe necessaria un'altra somma adeguata. In complesso richiederebbe una somma di sessantamila lire.

Per mascherare la somma basterebbe metterla in conto delle spese straordinarie in favore del Comitato di Kossovo. E naturalmente concessa una volta tanto.

Per mio conto sono più che persuaso nel caso gli venga data la somma il Pristina si farebbe in quattro per la riuscita dell'impresa. Molto più che c'entrerebbe del suo amor proprio e del suo prestigio. Ma come ho detto più sopra, io la somma gliela consegnerei per l'organizzazione del Comitato di Kossovo, lasciando a lui il compito di utilizzarla come meglio crede per i suoi fini. Siccome poi io non potrei trattenermi qui che fino al 15 prossimo incluso, così occorrerebbe che la decisione venga presa al più presto in un senso o nel

l'altro. La miglior cosa ed anche per evitare tutti i sospetti sarebbe quella di fare emettere tratta da questa R. Legazione come si faceva un tempo per foraggiare gli emigrati politici delle varie specie. Ed anche per ottenere dalla Banca le divise estere necessarie.

Le sarei grato una volta presa la decisione se mi volesse telegrafare in chiaro la frase «Sta bene » oppure «nulla di fatto » per mia orientazione. Mi scusi se la toletta della macchina non mi ha permesso di mantenerla per quanto Rossi Longhi mi chiami l'asso della macchina da scrivere. Graditi saluti a Lei ed altrettanti per Lo Faro e per Castellani.

(1) Con un'altra lettera !n pari data. MorrBale comunicò che Starhemberg gl! aveva, nel corso del colloquio, espresso Il desiderio di recarsi a Roma verso la fine di giugno.

784

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 2554/328 R. Washington, 9 giugno 1933, ore 5,44 (per. ore 1,09 dellO).

Faccio seguito al mio telegramma n. 314 del 3 corrente (l).

Mi è giunta oggi lettera personale del presidente Roosevelt cosi concepita: Mi è mancata prima di oggi opportunità di ringraziarvi della vostra comunicazione del 30 maggio e di confermarvi che neppure una parola di quanto discutemmo insieme è stata trascritta per documentazione oppure comunicata a chicchessia. Vi prego di assicurare signor Mussolini che intero affare rimarrà strettamente segreto e che desidero rinnovargli miei ringraziamenti per sua pronta azione. Essa non ha avuto risultato ma valeva certamente pena di tentare».

785

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2551/329 R. Washington, 9 giugno 1933, ore 12,39 (per. ore 20,30).

Telegramma di V. E. n. 282 (2).

Ho discusso situazione cinese col Dipartimento di Stato. Sottosegretario di Stato riconosce che ultimi avvenimenti rappresentano seria minaccia per prestigio ed interessi delle potenze europee e degli Stati Uniti dell'America del nord. Per il momento però, cioè fino a quando trattative si svolgono fra autorità militari per regolare tregua armi governo americano intende limitarsi a seguire avvenimento.

Verità è che difficoltà della situazione interna, incertezza della politica estera di Roosevelt e condizioni attuali della flotta americana impongono attitudini di grande prudenza se non di completa passività.

Parlando con questo mio collega giapponese ho tratto impressione che il Governo di Tokio non si preoccupa eccessivamente della opposizione americana.

(l) -T. r. 2480/314 R., non pubblicato. (2) -Cfr. n. 723, inviato a Washington con protocollo particolare 282.
786

IL MINISTRO A TIRANA, KOCH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2561/134 R. Tirana, 9 giugno 1933, ore 21,30 (per. ore 4 del 10).

Siglatura del patto di intesa e collaborazione ha avuto notevole ripercussione in questi ambienti politici e diplomatici che hanno preso visione anche con vivo interesse del discorso del Capo del Governo al Senato. Viene riconosciuto che nuovo avvenimento mette Italia fascista al primo p~ano della politica internazionale.

Questi dirigenti ne traggono motivo di preoccupazione per quanto si riferisce ai rapporti d'ra i due paes,i, perché temono che il patto sia suscettibile di sviluppi internazionali che potrebbero far perdere sensibHmente di valore all'alleanza e diminuire il notevole apporto di collaborazione di cui H paese ha nn qui così largamente goduto. E ciò propriamente in un periodo in cui gli atteggiamenti presi nei r'iguardi dell'Italia potrebbe:ro rendere l'Albania meno meritevole dalla considerazione di Roma. È stato anche rilevato a~ riguardo il fatto che nel discorso del Duce non si sia trovato il modo di accennare all'Albania.

Critica contro attuale politica, che va prendendo di mira la linea di condotta del Re, si fa sempre più viva e diffondesi anche nei circoli governativi.

787

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2541/133 R. Bucarest, 9 giugno 1933, ore 22,10 (per. ore 23,30).

Questo ministro degli affari esteri ha sotllecitato un coUoquto esclusivamente per pregarmi di informare V. E. che Governo rumeno è desideroso di prorogare patto di amicizia in scadenza 18 luglio p.v. e che gradirebbe conoscere se Italia è disposta ammettere tale proroga.

Signor Titulesco ha aggiunto di sua iniziativa che la questione del prolungamento del nostro trattato non è di competenza degli altri due membri della Piccola Intesa e che loro avviso circa rinnovo non è quindi necessario e non sarà da lui domandato.

788

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALLA DELEGAZIONE A GINEVRA

TELESPR. 217605. Roma, 9 giugno 1933.

Questo Ministro di Bulgaria è venuto a chiedermi l'appoggio deU'ItaHa per eliminare il paragrafo 5 del progetto di atto rela,tivo alla definizione dell'ag

gressore e che prevede l'aiuto fornito sul proprio territorio a bande armate che invadono il territorio di un altro Stato. Ho assicurato il Ministro di Bulgaria che il R. Governo avrebbe tenuto conto del suo desiderio.

Nel segnalare quanto precede e in conformità alla linea costantemente seguita, confermo la direttiva del R. Governo contraria ad ogni rigida definizione dell'aggressore.

789

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 9 giugno 1933.

Jouvenel è venuto a dirmi il suo entusiasmo per questo meraviglioso « tour de force» del Patto e per il suo perfetto commento del diseorso al Senato che, più egli lo legge, e lo rilegge, e più vi scopre possibilità di futura vita politiea europea. Egli chiederebbe ora a V. E. di lasciare al Governo francese ancora qualche tempo pl'ima della firma affinché la preparazione da esso già fatta, aiutata dall'azione persuasiva del discorso al Senato, che si diffonde ed opera, abbiano il tempo di rivelare tutta la loro efficacia e riescano così a sormontare le ultime resistenze nell'opinione pubblica francese (l).

Urgenza, invece, v'è, secondo lui, nella necessità di far compiere al Patto i primi passi per mostrare subito al mondo, che attende, tutte le possibilità di cooperazione che esso riserba. Iniziando questi primi passi, il Patto verrà immediatamente ad imbattersi nel problema del disarmo, che è il primo che è giocoforza affrontare e che costituirà agli occhi del mondo la pietra di paragone della sua efficacia. Subito dopo avrà da fare con la Conferenza Economica. E solo in un terzo tempo, con maggior respiro, col problema italafrancese.

Quanto al disarmo, Jouvenel crede che sarebbe bene iniziare immediatamente trattative fra i quattro, ma in forma privata, sia per evitare di esporsi troppo e sia per non urtare le suscettibilità della Polonia e della Piccola Intesa.

Già in queste prime trattative del disarmo egli prevede che entrerà in giuoco l'intimo meccanismo del Patto, che ne costituisce la sua logica vivente: Italia e Inghilterra, i due benevoli padrini, uniti allo stesso tavolo coi due vecchi avversar! ora placati, o sulla via di esserlo, coopereranno perché i punti di vista, francese e tedesco, che nel passato non hanno mai potuto unificarsi in una armonia a due, possano ora unificarsi in una armonia a quattro.

Io, per mio conto, perché V. E., volendolo, possa trovare subito a sua disposizione tutti gli elementi del problema, ho già dato ordini ai nostri esperti del

disarmo di venire qui al principio della settimana ventura per poter così rilevare l'esatta situazione attuale di tutti i punti della questione.

Della Conferenza di Londra Jouvenel non ha detto nulla di prec:iso. Delle questioni italo-francesi, ha detto che crede necessario condurre lui le trattative per dar loro la impostazione, ma di voler poi lasciar al suo successore la cura di discuterle e di risolverle. Giacché egli ha fermamente dectso di rinunciare ad un rinnovamento della sua missione. Non converrebbe né a lui né a noi. Rimanendo, egli darebbe l'impressione di voler rinunziare alla vita politica e vedrebbe ridotta in proporzione la sua autorità presso il Quai d'Orsay e conseguentemente qui, a Roma, la sua iniziativa come negoziatore. Mentre invece, tornando in Francia, egli può coltivare il suo avvenire politico ed insieme fare potente opera fiancheggiatrice all'azione del suo successore coi forti mezzi politici di cui dispone: stampa, aderenze politiche e vasta base popolare costituita dalla «Unione francese per la Società delle Nazioni» di eu[ egli è presidente e che congloba un milione di combattenti e tutti gli universitari.

Data l'estrema importanza che egli vede connessa a questa prima messa in moto del Patto nell'urgentissima questione del disarmo, Jouvenel mi ha detto di sentire il bisogno di conoscere l'opinione del Capo del Governo al riguardo.

Chiede quindi per mio tramite una udienza a V. E.

Aggiungo, che secondo il pensiero di de Jouvenel, le que.;;tioni itala-francesi dovrebbero avere un pronto inizio almeno privatamente. Quanto poi al sistema della loro trattazione, egli preferirebbe quello globale rimettendosi però completamente alle decisioni dell'E. V. nel caso Ella prefe.:-isse discutere un punto dopo l'altro.

(l) Annotazione a margine di Mussol!n!: «Si».

790

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 9 giugno 1933.

Con la situazione nuova che il Patto ci fa assumere, si inizia per noi un nuovo periodo di attività politica che, in vista dei suoi sviluppi probabilmente assai combattivi, ci impone di prendere a tempo una posizione di forza nei settori di maggior lavoro.

È prevedibile che fulcro della nostra azione sarà come e più di prima, Ginevra, con tutte le varie Commissioni e Conferenze presenti e future che ne derivano. Ora, a Ginevra noi siamo oggi letteralmente isolati in una ostilità di piccoli politicanti, di ambiente societario e calvinista, di fuorusciti zelantissimi nel servire in ogni modo e in ogni occasione, qualunque nostro avversario. Intorno a noi c'è la congiura del silenzio. Qualunque parola altrui è diffusa e amplificata; la nostra non riesce mai a trovare la via del pubblico.

Da questo punto di vista la Francia è la più avvantaggiata. Data la sua ubicazione, essa a Ginevra è a casa sua e la sua azione politica è vivacemente fiancheggiata da tutta intera la stampa di lingua francese, compresa quella svizzera. Al suo fianco la Piccola Intesa e la Polonia. malgrado la possibilità di avere quasi sempre gratuitamente l'appoggio di questa stessa stampa anche per loro, hanno creduto necessario fondare un organo proprio, il Journal des Nations, che, per il pregio della perfetta informazione, è diffusissimo in tutto l'ambiente ginevrino. La Germania, anch'essa, proprio in questi giorni si ha notizia che sta provvedendo a fondare un proprio giornale, al quale anzi ci ha proposto di cointeressarci.

Data questa situazione, io penso che l'Italia, sola, non possa rinunciare a far sentire la sua voce in qualunque momento e su qualunque problema. E la sua voce non mista a quella degli altri, ma inequivocabilmente indipendente. Ho la convinzione che ciò servirebbe anche ad accrescere il nostro prestigio e a predisporre favorevolmente l'opinione pubblica ginevrina verso questa prova di serietà di propositi nei riguardi dell'azione che l'Italia si propone di svolgere nell'ambito della Società delle Nazioni. La massa dei piccoli poi non può essere manovrata senza la possibilità di sorreggerla, di aiutarla, magari di intimorirla.

Prego V. E. di credere che mi rendo tutto il dovuto conto delle difficoltà del bilancio, ma quasi un anno di esperienza mi fa vedere così impellenti le ragioni che ho avuto l'onore di esporre, che prego V. E. di autorizzarmi a prendere contatto con l'Ufficio Stampa per preparare un concreto progetto al riguardo.

791

APPUNTO (l).

Roma, 9 giugno 1933.

Sono stati interpellati gli Ambasciatori di Gran Bretagna, di Francia e di Germania, nei riguardi della possibilità che la firma del Patto di Intesa e di Collaborazione possa avere luogo prossimamente a Londra.

L'Ambasciatore di Gran Bretagna ha risposto che il suo Governo si rimetteva alla direttiva del Governo italiano circa la sede ed il momento della firma. A suo avviso personale occorreva attendere qualche giorno per una decisione affinché opera persuasiva potesse essere svolta negli ambienti politici francesi.

L'Ambasciatore di Francia è di avviso che occorra aspettare qualche tempo e che sia immatura una decisione circa il luogo. Verrà a parlare dell'argomento questa sera al Ministero.

L'Ambasciatore di Germania non ha istruzioni dal suo Governo e non ha idee personali al riguardo.

(l) L'appunto è anonimo.

792

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 1216/252 R. Roma, 10 giugno 1933, ore 2.

Trova modo di dire a MacDonald e a Simon che sigla patto è coronamento loro opera di collaborazione effettuata nel nostro incontro di marzo che ricordo sempre con molta simpatia.

793

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO AD ATENE, DE ROSSI

T. 1217/101 R. Roma, 10 giugno 1933, ore 2,30.

Pregola recarsi dal signor Tsaldaris e dirgli a mio nome in relazione anche a quanto ho dichiarato nel mio discorso al Senato che la conclusione del patto fra le quattro Potenze occidentali e la migliorata atmosfera generale che ne deve derivare sono per l'Italia delle basi per poter continuare e sviluppare più agevolmente la sua politica d'amicizia verso codesto paese. L'amicizia con la Grecia, integrata da comuni amichevoli relazioni con la Turchia, è nel mio intendimento un elemento essenziale della politica italiana di equilibrio e di pace nel Mediterraneo orientale a cui l'Italia è da anni fedele. Essa intende mantenerla efficacemente viva ed operante.

794

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. 1220/130 R. Roma, 10 giugno 1933, ore ... (1).

Pregola recarsi da Dollfuss e confermargli opportunamente a mio nome in relazione anche a quanto ho dichiarato al Senato che l'Italia continuerà a favorire l'Austr.ia per quanto riguarda i problemi che formano diretto ed indiretto oggetto del patto a quattro. Le relazioni di amicizia da anni instaurate con l'Austria ed andatesi felicemente rafforzando sono un punto fermo della politica italiana. Esse corrispondono anche nel modo più sicuro alla intima comprensione che abbiamo della esistenza di importanti interessi comuni.

(l) Manca l'Indicazione dell'ora di partenza.

795

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. 1223/98 R. Roma, 10 giugno 1933, me 2

Col corriere di imminente partenza Le invio una mia lettera per Goemboes (l). Intanto pregoLa di recarsi da lui e preannunciandogli tale lettera dirgli che per quanto non ve ne sia affatto bisogno, desidero in occasione della conclusione del Patto a quattro di confermargli (in relazione anche a quanto ho detto ieri nel mio discorso al Senato) che l'Italia con riguardo a tutti i problemi che formano oggetto diretto o indiretto del P8.tto a quattro continuerà ne'i riguardi dell'Ungheria nella politica sinora praticata, improntata allo spirito della più schietta e salda amicizia. L'amicizia con l'Ungheria rimane infatti un punto fermo della politica italiana, e la migliorata atmosfera europea che potrà derivare dal Patto determinerà condizioni anche più favorevoli perché tale politica possa consolidarsi e svilupparsi.

Gli annunci pure che alla lettera sono allegati copia del Patto e del m1J discorso al Senato, che desidero rimettergli a mezzo di V. S.

Contemporaneamente alla lettera parte pure copia di un telegramma diretto U 6 corrente a Berlino (2), nel quale figurano elementi sufficienti per spiegare 1e ragioni del cambiamento dell'articolo tre del Patto in confronto di quello concordato nella precedente fase del negoziato. Di questo telegramma ella si -rarrà per fornire informazioni in proposito a Goemboes, secondo indicato 1ella lettera stessa.

796

L'INCARICATO D'AFFARI IN CINA, ANFUSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

·r. R. 2590/414 R. Pechino, 10 giugno 1933, ore 11 (per. ore 24).

Telegramma di V. E. n. 155 (3).

Come conseguenza dell'armistizio di Tang-ku condizioni della città di Tientsin sono ridivenute normali. Nostra azione peci.' quanto si riferisce allargamento concessione italiana viene naturalmente rinviata, mentre come effetto dell'anormalità situazione degli scorsi giorni rimangono al nostro attivo le sollecitazioni scritte e orali del governatore di Ko-Pei e di altra autorità Tientsin al R. consolato perché nostra occupazione venga estesa ad una parte della concessione ex-russa. D'altro canto come situazione interna Tientsin appare, al momento attuale, tutt'altro che pacifica data la presenza truppe ribelli del generale LiChin-Chun (vedi mio telegramma 413 odierno) (4) rimane sempre aperta possibilità attuare nostra azione in conformità delle istruzioni di V. E. e sviluppo avvenimenti locali.

(l) -Cfr. n. 779. (2) -Cfr. n. 773. (3) -T. 1166/155 R., del 28 maggio, non pubblicato. (4) -T. 2601/413 R .• non pubblicato.
797

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2599/90 R. Budapest, 10 giugno 1933, ore 19,35 (per. ore 10,20 dell'11).

Telegramma di V. E. n. 98 (1).

Ho fatto oggi stesso a S. E. Goemboes comunicazione prescrittami.

Dopo avermi pregato far pervenire V. E. suo ringraziamento, il generale mi ha detto: «Hitler mi ha fatto testé proposta recarmi Berlino. Ne ho differito accettazione sotto pretesto necessità di mia presenza qui in vista di attacchi.

Nel caso che volesse rinnovarmi suo invito, preferirei infatti passare per Roma per poter avere nuovo scambio vedute con lui prima di andare a Berlino».

Riferirò per corriere nuove dichiarazioni fattemi oggi da S. E. Goemboes circa stretta collaborazione itala-ungherese-austriaca col Reich di cui da ul· timo al mio telegramma-posta n. 471 (2).

798

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 2583/421 R. BerHno, 10 giugno 1933, ore ~0,15 (per. ore 24).

Mio telegramma n. 408 (3).

Von Biilow mi ha detto che a vendo von Hassell chiesto istruzioni circa il linguaggio da tenere con V. E. nei riguardi della firma del patto a 4, gli è stato risposto giusta precise disposizioni di Hitler che non ritiene potersi assentare ora dalla Germania, che ove firma dovesse avvenire durante soggiorno di von Neurath a Londra, patto dovrà essere firmato da von Hassell.

Von Blilow ha aggiunto confidenzialmente che tali disposizioni furono impartite per evitare che pretenda firmarlo Goering, «il quale non ha nulla da vedere con la politica estera del Reich ».

(l) -Cfr. n. 795. (2) -Non rinvenuto. (3) -Cfr. n. 757.
799

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2595/411 R. Parigi, 10 giugno 1933, ore 20,45 (per. ore 24). Mio telegramma n. 410 (1).

Mi è stato detto al Quai d'Orsay che in un primo momento era deciso che in occasione della discussione sul patto a quattro alla Camera dei Deputati, Boncour avrebbe pronunciato un importante discorso sulle relazioni francoitaliane, intonato alle dichiarazioni di simpatia per la Francia fatte da V E. al Senato.

Gabinetto francese, di fronte all'atteggiamento incerto di Herriot il quale insisteva perché la discussione sul patto fosse tenuta separata da quella sulla politica generale, ha deciso di non accentuare la manifestazione filo-italiana anche perché la destra ne avrebbe potuto approfittare per mettere in imbarazzo i socialisti, rendendo loro impossibile appoggiare il Governo.

A queste condizioni ossia con l'intesa di non accentuare l'importanza del patto, Herriot ha desistito dala sua opposizione ed ha preso l'iniziativa di votare la fiducia al Gabinetto.

Presidente del Consiglio temeva ciò nonostante di trovarsi di fronte a difficoltà maggiori di quelle che ha effettivamente incontrato. Egli era perciò preparato ad acconsentire a che la camera dei deputati, approvando parafatura, si riservasse di riesaminare la questione del patto prima della firma di quell'accordo internazionale. Andamento discussione ha permesso a presidente di accelerare i tempi. Egli ha infatti ottenuto dalla camera dei deputati autorizzazione di firmare patto al momento opportuno.

A questo punto ho chiesto con molta cautela al segretario generale se firma seguirebbe immediatamente approvazione del patto da parte del senato.

Signor Leger [non] mi ha dato una risposta esplicita, che del resto non era nelle mie intenzioni di provocare. Firma del patto nella mente dei dirigenti del quai d'Orsay parrebbe subordinata alla prova che quest'accordo darà nella pratica applicazione specialmente in riguardo ai rapporti italo-francesi.

Non mi pare che s'intenda qui di risolvere tutte o anche solo le maggiori questioni controverse fra l'Italia e la Francia prima della firma del patto. Sarebbe infatti un controsenso di pretendere di applicare patto prima di averlo firmato. Suppongo piuttosto che si desideri fare precedere alla firma dell'atto internazionale, impostazione delle questioni stesse.

Ambasciatore di Francia avrebbe già informato V. E. del punto di vista del Governo francese al riguardo (2). Per parte mia, mi limito segnalare il fatto che, se necessario, sarà approfondito costà o qui secondo le istruzioni che V. E. vorrà impartire.

(l) -Con t. 2586/410 R., pari data, Pignatti aveva informato che la Camera francese aveva approvato con 211 voti di maggioranza un ordine del giorno di fiducia proposto da Herriot sulla politica del Governo con particolare riguardo alla conferenza dl Londra e al patto a quattro. (2) -Cfr. n. 789
800

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2584/423 R. Berlino, 10 giugno 1933, ore 22,45 (per. ore 24).

Von Blilow mi ha detto che Governo tedesco è stato molto malamente impressionato della comunicazione francese alla Piccola Intesa e che esso non intende accettarla senz'altro perché ciò significherebbe da parte sua ammettere una interpretazione dell'art. 2 che è assolutamente arbitraria.

Governo tedesco si propone pertanto inviare agli stati della Piccola Intesa una nota mettendo le cose a posto. Ho detto a von Btilow sembrarmi che Germania non dovrebbe far nulla senza essersi prima concordata con V. E. Egli ne convenne e mi disse di aver anzi già disposto che von Hassell si mettesse in rapporto al riguardo con il R. ministero degli affari esteri.

801

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2594/226 R. Vienna, 10 giugno 1933, ore 24 (per. ore 5,45 dell'11).

Mi riferisco al telegramma di V. E. n. 130 (1). Cancelliere austriaco è partito per Londra stamane ove resterà fino a mercoledì.

Lo vedrò appena di ritorno. Mi sono intanto intrattenuto con il segretario generale che è stato profondamente sensibile al pensiero di V. E. ed ha pregato rappresentare a V. E. gratitudine Governo Federale.

Peter ha soggiunto che accenno fatto da V. E. all'Austria nel suo discorso al Senato era stato inteso in tutto suo valore, esaltando altamente alta importanza patto a quattro ricordando al riguardo telegramma inviato dal cancelliere a V. E. (mio telegramma 225) (2).

802

IL MINISTRO A TIRANA, KOCH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2612/2004/778 R. Tirana, 10 giugno 1933 (per. il12J.

Mio telegramma n. 129 del 5 corrente (3).

Progetto di mandare a Roma una delegazione ufficiale di questo Governo composta dei ministri degli affari esteri e delle finanze sembra tramontare per il momento.

R39

La considerazione da me esposta a questo ministro degli affari esteri quando me ne diede notizia -circa la necessità di avere una sicura base di proposte da fare in relazione alla situazione creatasi, sembra abbia prevalso e sta a dimostrare che la delegazione si sarebbe recata a Roma senza avere un serio programma ma colla semplice speranza di potere, eludendo il preteso intransigente atteggiamento di questa R. legazione, giungere più facilmente a persuadere il Governo fascista di riprendere la sua collaborazione nel campo finanziario.

La situazione del paese si va facendo infatti sempre più critica. Si sente il vivo bisogno di «tornare a Canossa» pur non sapendo in qual modo uscire dal ginepraio in cui lo stesso Governo si è messo.

Conviene lasciar tranquillamente svolgere gli eventi che non sono ancora giunti a giusta maturazione, mantenendo la linea di condotta di calma attesa che è stata adottata.

La situazione internazionale imperniata oggi sull'importante avvenimento della firma del patto e del discorso al senato romano va rendendo forse più consci questi dirigenti della difficoltà in cui hanno messo il paese.

(l) -Cfr. n. 7N. (2) -Con t. 2527/225 R. dell'8 giugno, ore 20, Preziosi aveva comunicato quanto segue: «Parafazione del Patto a quattro ha prodotto in queste sfere ufficiali la più gradi'o a impressione. Cancelliere austriaco si propone inviare a V. E. vivissime sue felicitazioni». (3) -T. 2503!129 R. del 5 giugno, ore 23,30, non pubblicato.
803

L'AMBASCIATA DEGLI STATI UNITI A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

NOTA VERBALE (1). Roma, 10 giugno 1933.

The American Embassy presents its compliments to the Royal Ministry of Foreign Affairs, and has the honor to inform the Royal Ministry that the President of the United States gave out the following statement yesterday:

« The initiating at Rome of the Four Power Pact between France, Germany, Great Britain and Italy, is a good augury. The United States welcomes every effort toward replacing conflicting national aims by international cooperation for the greater advantage of all. This agreement of the principal European powers to work closely together for the preservation of peace should give renewed courage to all who are striving for the success of the Geneva and London Conferences ».

804

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA S. 5482/1017. Budapest, 10 giugno 1933.

A seguito del mio telegramma odierno n. 90 (2) di cui allego, ad ogni buon fine, copia, mi onoro qui appresso riferire all'E. V. alcuni particolari della conversazione che ho avuto oggi con questo Presidente del Consiglio.

l. -Riguardo all'invito fattogli da Hitler di recarsi a Berlino, il Generale mi ha detto: «Il delegato germanico Werner Daitz, durante la sua visita a Budapest (mio telegramma posta n. 5077/929 del 30 maggio u.s.) (1), mi ha esposto l'idea, che condivido pienamente, sui principi di politica estera che il social· nazionalismo tedesco si propone di perseguire: essere cioè necessario che tra il Reich, l'Italia, l'Ungheria e l'Austria, sia seguita una linea di stretta collaborazione non solo nel campo politico, ma anche dn quello militare ed economico, sì che i quattro Paesi possano completarsi vicendevolmente» (mio tele· gramma posta n. 2365/471 del 13 marzo u.s.) (1). 2. -Essendo caduta incidentalmente la conversazione sulla questione del· l'Anschluss, il Generale ha soggiunto: «Andando a Berlino, è mio intendimento anche di intrattenermi particolarmente con Hitler, col quale sono in termini di ottima amicizia personale, circa la questione dell' Anschluss per esporgli le mie vedute in proposito e cioè che, mentre posso comprendere l'Anschluss dal punto di vista etnico-nazionale tedesco, lo ritengo invece, oggi, Inattuale e pe· ricoloso dal punto di vista politico». 3. -Accennando alla situazione interna del Reich, S. E. Gombos l'ha defi· nita ancora piuttosto confusa e caotica. «Accanto al Governo -ha detto vi è una specie di quartier generale (Grosser Generai Stab), che esercita il suo controllo ed il suo potere attraverso persone di stretta fiducia di Hitler il quale è invece continuamente in volo da città a città, spiegando per altro una attività davvero vertiginosa». 4. -A proposito poi dell'acuirsi, in questi ultimi tempi, della questione de: legittimismo in Ungheria, il Generale ha confermato essere sua ferma inten· zione opporsi alle mene de-i Jegittimisti, emanando al più presto la legge, già preannunziata (mio telegramma posta 806 del 9 maggio u.s.) (1), che conferirà più ampi poteri al Reggente ed al Presidente del Consiglio.

Circa la rinnovata attività di questi circoli legittimisti vanno svolgendo, col pretesto che la soluzione della questione monarchica sarebbe ora di attualità, mi richiamo ai miei telespressi n. 1012 del 9 corrente, 1016 e 1018 del 10 corrente (2), che partono con questo stesso corriere.

(l) -La nota reca un numero indecifrabile a causa del deterioramento del documento. (2) -Cfr. n. 797.
805

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE, BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 334/302. Ginevra, 10 giugno 1933 (per. il 13)

Gli ambienti societari non hanno mai nascosto la loro intima avversione al Patto a quattro e hanno combattuto le possibilità della sua conclusione con tutte le armi di cui disponevano: tanto a mezzo della stampa locale (J our· nal des Nations e Journal de Genève) quanto a mezzo di intrighi, colloqui E pressioni esercitate o fatte esercitare su alcuni delegati e uomini politici re

58 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XIII

sponsabili che si trovavano a Ginevra, sia che appartenessero a due grandi Paesi destinati a firmare il patto (Inghilterra, Francia), sia che appartenessen• a piccoli Stati che si cercava abilmente di sobillare contro il «Direttorio,, europeo.

Se sulle prime quest'ostilità si imperniava sul principio della revisione (e si proclamava in tutti i toni che la revisione voleva dire la guerra), una volta addolcite nel testo del Patto le punte revisionistiche, l'attènzione si concentrava invece sui pericoli che il Patto a Quattro poteva costituire per l'esistenza della Società delle Nazioni. Questo orientamento della linea di attacco appare, fra l'altro, manifesto nell'articolo di fondo (« Coup d'Etat ») apparso ieri 9 giugno sul Journal des Nat~ons, che mi onoro allegare (l).

Nel Segretariato stesso si ha l'impressione che un oscuro istinto avverta i funzionari più chiaroveggenti, ripercuotendosi da questi sulla docile massa di tutti gli altri, che il Patto a Quattro, nonostante le esplicite dichiarazioni di osservanza delle attribuzioni societarie, sia -in fondo un avvenimento non troppo lieto per la Società delle Nazioni. Ora che il documento è già siglato, il Segretariato fa buon viso a cattivo giuoco. Ma evita di troppo parlare dell'accaduto, e finge anzi di essere troppo occupato in altre cose, come per esempio la Conferenza di Londra e l'agonizzante Conferenza del Disarmo, per prestare soverchia attenzione ad un avvenimento di cui vuole misconoscere il significato.

Nei prossimi giorni sarà possibile, a mezzo di successivi scambi di idee con funzionari di diversa nazionalità, a tempo e luogo opportuno, raccogliere una impressione complessiva delle reazioni che il Patto a Quattro ha suscitato nel Segretar-iato per effetto della sua recente sigla.

Oggi mi limiterò a riferire le idee espresse confidenzialmente al Comm Crolla da un funzionario francese, il Signor Hoden, Capo Gabinetto di Avenol. e di conseguenza sensibile, oltreché ai turbamenti dell'atmosfera ginevrina. anche e soprattutto alle indicazioni che gli vengono quotidianamente da Parigi.

Il Signor Hoden in sostanza si rallegra del Patto a Quattro perché:

l) nella sua forma definitiva esso non piaceva troppo ai tedeschi che l'hanno firmato a denti stretti; 2) l'Italia ha dimostrato in questa contingenza di voler mettere il freno alla Germania;

3) vi è quindi la speranza che il Patto a Quattro porti, a scadenza di

tempo, ad un raffreddamento italo-tedesco e ad un riavvicinamento italc.

francese.

In se stesso poi, e nei suoi effetti sulla vita internazionale, il Patto a Quattro appare al Signor Hoden come uno strumento da esser usato con sorr:.. ma cautela per non pregiudicare l'attività della Società delle Nazioni e non urtare suscettibilità di grandi e di piccoli Stati già fin da ora predisposti alla diffidenza ed all'irrit::tzione. È per lui motivo di speranza il pensare che gl'. uomini politici del nostro tempo hanno tutti una conoscenza profonda di Ginevra e delle sue esigenze, e sono quindi capaci, se lo vogliono, di usare il dovuto tatto e i necessari riguardi verso l'istituzione ginevrina.

Il Signor Hoden ha avuto l'aria di dimostrarsi infastidito dell'atteggiamento della Polonia che persiste ad avversare un Patto dal quale ormai -soprattutto dopo le assicurazioni francesi -essa non può temere alcun danno.

In conclusione, il Signor Hoden attribuisce al Patto a Quattro un valore quasi esclusivamente psicologico: arginamento della Germania, riavvicinamento italo-francese, ripetizione di vecchi impegni di rpace. Una détente europea in quest'ora grave è avvenimento da salutarsi sempre con soddisfazione. Ma al di là di questi aspetti, il Signor Hoden non sembra veder altro. L'idea della revisione è a suo avviso quasi seppellita. Egli è incline a vedere nel patto una via suscettibile di dare accesso a situazioni diplomatiche nuove e interessanti per l'egemonia francese: per esempio un accordo italo-francese col distacco dell'Italia dalla Germania. Situazioni nelle quali il principio stesso del Patto a Quattro sarebbe fatalmente superato o per lo meno deviato verso significati e realtà politiche molto diverse da quelle che hanno presieduto alla sua nascita.

Il Signor Hoden dà ormai per certo che il Patto a Quattro riceverà la ratifica del Parlamento francese.

(l) -Non pubblicato. (2) -Non pubblicati.

(l) Non si pubblica.

806

IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE PERMANENTE DEI MANDATI DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI, THEODOLI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. P. Roma, 11 giugno 1933.

Come ti ho accennato prima della tua partenza, io ho avuto due colloqui con de Jouvenel, dopo il grande successo di Mussolini, ed egli è molto soddisfatto dell'enorme maggioranza ottenuta alla Camera dal suo Governo grazie anche all'adesione di Herriot placato dalla frase riconoscente indirizzatagli dal Duce.

Siccome io parto per Ginevra e potrei non ritrovare qui l'Ambasciatore al mio ritorno, egli mi ha domandato se poteva continuare a valersi di me in vista dei diversi accordi che spera realizzare tra la Francia e l'Italia.

Ti sarei grato perciò, caro Suvich, di farmi conoscere se è nelle intenzioni di S. E. il Ministro che io continui, come per il passato, a tenere i contatti a Ginevra con De Caix ed a Roma od in Francia con Jouvenel ed eventualmente Massigli.

Ho raccomandato a de Jouvenel di non avere impazienze, e di tener presente che il Patto a quattro deve svilupparsi par étapes e perciò le diverse questioni che separano la Francia dall'Italia vanno affrontate successivamente ed indipendentemente l'una dall'altra.

«Secondo me, gli ho detto, non bisogna dare alla Germania l'impressione di voler realizzare un'intesa italo-francese. Noi dobbiamo arrivarci come mi è parso di capire a Palazzo Chigi, eliminando una dopo l'altra le attuali pendenze.

Ora si tratta di giungere ad una soluzione soddisfacente pel disarmo.

Dato che Francia ed Italia hanno da difendere gli stessi interessi a Londra, se la Conferenza economica porterà a dei risultati positivi anche parziali, si potrà intravedere e studiare tutto un complesso di strette relazioni economiche, ed a questo proposito l'Europa Centrale presenta un aspetto molto interessante».

Circa le due questioni che avvelenano fin qui i rapporti franco-italiani, io, pur dichiarando di non essere autorizzato a far progetti ho esposto a de Jouvenel quanto segue, onde a Parigi si facciano delle idee chiare sui nostri problemi adriatico e coloniali:

a) L'Italia deve intendersi direttamente con la Jugoslavia, e la Francia avrà cosi l'occasione di dimostrare di essere entrata nello spirito e nella lettera del Patto a quattro.

b) Le questioni riguardanti i mandati nel Levante nulla hanno a che fare coll'applicazione dell'art. 13 del Patto di Londra.

c) Circa la Tunisia è indispensabile rinnovare per 10 anni (Patto a quattro) le condizioni dell'Accordo del 1896. Questo fu già offerto a noi da Briand. Nel frattempo si troverà una formula soddisfacente per tutt'e due.

d) Art. 13. -Cessione all'Italia della costa somala francese, meno Gibuti, che è lo scalo per l'Estremo Oriente della Repubblica.

Rimane bene inteso però che la suddetta cessione non vuol dire abbandono da parte nostra delle questioni marocchine e tunisine. Lo sviluppo di questa fase sarà preso in considerazione soltanto quando sarà realizzato l'impero francese nord-africano contemporaneamente (et sans arrières pensées) al completamento dell'impero italiano est-africano <Harrar compreso).

P. S. -Domani l'Ambasciatore vuol visitare i dintorni di Roma in automobile con me ed ho capito che potrò così avere le impressioni sulla visita che egli deve fare a S. E. il Capo. Se necessario mi affretterò a comunicarti quanto vi potrà essere di nuovo nella mente del nostro amico de Jouvenel, ed avrò così occasione per alcune ore di fargli capire l'indispensabile convenienza per tutti di non affrettarsi perché più che mai conviene ripetere che chi va piano va sano e va lontano.

807

L'AMBASCIATA DI GERMANIA A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

PROMEMORIA. Roma, 12 giugno 1933.

Il Governo germanico è altamente sorpreso ed impensierito per le dichiarazioni date dalla Francia alle Potenze della Piccola Intesa ed alla Polonia. Già il giorno 29 maggio u.s., il Governo germanico aveva attirato l'attenzione su di una pubblicazione del Matin circa dichiarazioni francesi di questo genere che si starebbero per fare, ma si tranquillizzò poi, dopo che il Governo Italiano aveva comunicato che l'Ambasciatore di Francia aveva assicurato che la Francia dichiarerebbe soltanto che a riguardo di questioni di revisione territoriale essa insisterebbe sulla necessità della unanimità. Ora si vede che le affermazioni del Matin di allora, mo.lto più ampie, erano esatte in tutti i punti essenziali. Lo scambio delle note che rappresenta una intesa impegnativa, contiene anzitutto tre punti che interessano la Germania:

l) Si stabilisce che l'art. 2 del Patto «escluda l'esame del principio della revisione e di casi concreti di applicazione». È questa una interpretazione dell'articolo che dal punto di vista obiettivo non regge. Si può dire che l'art. 2 che si riferisce unicamente a proposte relative a metodi e procedure, non prevede esplicitamente l'esame del principio della revisione e di casi concreti di applicazione, ma non si può dire che lo escluda. È questa una differenza essenziale.

2) Lo scambio di note afferma che non potrà essere questione di sollevare una questione di revisione all'infuori della regola fissata nell'art. 19. Anche questa è una interpretazione materialmente errata del Patto a Quattro. Da un lato potrebbe essere anche, per es., in base all'art. 15 dello Statuto della Società delle Nazioni, sollevata la questione della revisione e, su questa base, essere fatta oggetto di discussione nel quadro del Patto a Quattro. Inoltre però esiste, dato il caso, anche la possibilità di intaccare questioni che si connettono alla revisione in base alle disposizioni generali dell'art. l del patto a Quattro.

3) Già preventivamente la l!~rancia si obbliga, contrattualmente, di non accettare, a nessun costo, proposte di un determinato genere per concretare la procedura secondo l'art. 19 ed afferma che il procedere dell'Assemblea della Società delle Nazioni nel senso dell'art. 19 richieda in ogni caso l'unanimità dei membri presenti della Società delle Nazioni comprese le Parti. In quanto a quest'ultima affermazione si tratta di una interpretazione dell'art. 19 che non è affatto riconosciuta da tutti, e che in ogni modo venne da parte germanica già in precedente occasione ufficialmente respinta.

Se noi lasciassimo passare tacitamente lo scambio delle note, riconosceremmo con ciò la esattezza delle interpretazioni francesi e la ammissibilità degli obblighi assunti dalla Francia di fronte alla Piccola Intesa.

Il Governo francese ha già nel caso dell'art. 3 indicato posteriormente come approvato per un malinteso, un testo che da quindici giorni già era preso come base ed accettato dai rappresentanti delle quattro Potenze, costringendo la Germania, se il Patto non doveva fallire, di accettare un testo del tutto vuoto che non fa nemmeno più menzione del diritto di parità. Mentre così è scomparso uno dei principi del patto, cioè la parità, con la nuova interpretazione francese l'art. 2 del Patto a Quattro non perderebbe soltanto politicamente ogni valore, ma si trasformerebbe addirittura in una disposizione contro la revisione.

Con ciò viene contemporaneamente di nuovo sottolineato ed anzi rafforzato l'accordo tra la Piccola Intesa e la Francia.

La Stampa italiana è finora passata sopra a questa interpretazione senza sollevare obiezione, evidentemente nel desiderio di agevolare alla Francia la ratifica del Patto. Infatti, secondo i giornali, Herriot stesso ha sottolineato avere Daladier mutato un istrumento offensivo contro la Francia in uno istrumento inoffensivo.

Senonché per la Germania, la quale si è dimostrata accondiscendente in un punto dopo l'altro, vi sono pur tracciati certi limiti. Ciò che noi dobbiamo

anzitutto contestare e designare come inammissibile è il duplice fatto che la Francia si è impegnata contrattualmente di fronte a terze Potenze su determinate interpretazioni del Patto a quattro e che essa si è inoltre obbligata di fronte a queste Potenze a tenere di fronte ai contraenti questo o quello atteggiamento all'atto dell'applicazione del Patto a quattro.

Il Governo germanico non può che ritenere indispensabile una opportuna chiarificazione dello stato di cose creato dal modo di agire non leale e non corretto della Francia. Prima di decidere ulteriori passi, il Governo germanico annette valore a sentire ciò che pensa il Governo italiano dello scambio di note e ciò che in seguito esso intende fare.

808

IL DIRETTORE GENERALE DEI TRATTATI, ATTI E AFFARI CON LA SANTA SEDE, SANDICCHI, AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI

L. P. Roma, 12 giugno 1933.

Trascrivo qui di seguito il brano di una recente lettera personale di S. E. il Conte Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon a S. E. il Capo del Governo riguardo alla questione de1l'Anschluss:

«Approfonditi i miei sondaggi, ho saputo, sempre dal Cardinale Pacelli che, mentre da una parte Dollfuss ed il Ministro che era qui con lui si sono dimostrati assolutamente fiduciosi di poter mantenere la piena indipendenza dell'Austria e mentre il Vescovo di Linz ha già tuonato contro i nazional-socialisti, d'altra parte da persona di assoluta fiducia della Santa Sede è stato riferito che uno dei ministri del nuovo regime germanico avrebbe esplicitamente dichiarato: «la sua assoluta certezza che in sei mesi la questione della unione dell'Austria alla Germania sarà risolta in senso positivo» e ciò in questi giorni.

Queste intemperanze degli uomini di governo nazional-socialisti sono evidentemente la causa del contegno ciondolone della Santa Sede in questa particolarmente delicata questione».

809

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. RR. 4049/1046. Belgrado, 12 giugno 1933.

L'ultimo mio notiziario fu da me trasmesso all'E. V. il 4 marzo 1933 (teleposta n. 1281/439) (1). Avrei dovuto poi trasmettere, come consuetudine, quello della fine di marzo. Senonché le disgraziate contingenze familiari che mi hanno chiamato in Italia nei primi giorni di aprile e mi hanno trattenuto a Firene

fino ad una decina di giorni addietro mi hanno impedito d farlo. Il che poi non è male. Anzitutto il comm. Cortini ha informato diligentemente V. E. e con opportuno chiaro giudizio degli avvenimenti più importanti verificatisi nel frattempo, e poi il r:ivedere a distanza una serie di fatti e circostanze svoltisi nei periodo di tre mesi, pone in appropriato piano gli eventi e meglio ne fa apprezzare la loro varia importanza.

E ci si accorge che il notevole è poco.

Vi è da un lato l'attività governativa che nella Scupcina e nel Senato mira alla elaborazione di una serie di leggi aventi come finalità la concessione di timide autonomie ai Banati ed ai Comuni, l'annuncio delle elezioni comunali per l'entrante estate e nel paese invece, attraverso una serie di comizi (principale quello di Nis del 23 aprile u.s.) vuole dare tanto all'interno come all'estero la sensazione che l'unanime paese è dietro al regime, condanna ogni tendenza autonomistica e federale, più si oppone con ogni sua forza alla revisione territoriale, colorando di antitalianità questa sua azione negativa.

Nell'altro campo seguita a serpeggiare con espressioni di varia intensità il malcontento antiserbo ed anti regime, specie in Croazia dove culmina con la condanna di Macek avvenuta il 29 aprile. Ma è anche troppo evidente che questa condanna non ha dato luogo in Croazia ad alcuna preoccupante reazione di masse (solo poche g.rida di studenti), e che in Slov:enia (dopo il confine di Koroscez) il Governo ha mano libera per agire a suo pro, e le opposizioni serbe attraversano un sicuro periodo di affievoUmento dopo un effimero risveglio primaverile.

Affiorano qua e là movimenti comunisti, e se in parte si tratta di attività antiregime che alla autorità conviene gabellare per antisociale, non è dubbio che per moltissima parte sono autentici e che trovano i loro nuclei più attivi nelle università e specialmente in quelle di Belgrado che già per la sola facoltà di legge, nel gennaio scorso aveva dato su 461 voti, 206 voti ai rappresentanti comunisti.

Nel complesso la tranquillità generale è assoluta, niente minaccia non dico la solidità del regime, ma neanche la vita del Governo Srkich. Le difficoltà economiche sono sopportate con rassegnazione e se le critiche anche al re sono pung:enti e crude esse non penetrano nelle masse. Sicché propositi rivoluzionari di emigrati (chi non ripensa alla psicologia immutabile di tutti gli emigrati politici a cominciare da quelli della rivoluzione francese?) e manifestini incendiari mandano ad atroci condanne gli ingenui che si fanno cogliere, ma lasciano indifferente la grandissima maggioranza della opinione pubblica anche laddove, all'estero, la si ritiene più accesa contro Belgrado, mentre pronostici di avvenimenti catastrofici risolutivi lasciano sempre scettici, quando non fanno sorridere.

Ciò è da dire con la normale cauta riserva di ogni imprevisto. Ma senza imprevisto qual sapore avrebbe mai la politica?

Concludo ripetendo che ci si trova dinanzi a due «non forze» incapaci di risolvere la situazione e desumo che tale stato di crisi può durare assai a lungo cercando faticosamente e penosamente per un periodo, la cui durata non potrà essere fissata che a posteriori cioè al suo politico finire, l'assetto stabile definitivo e duraturo di questo nuovo stato.

Certo ciò che sembra potersi sempre meno affermare è che la unità jugoslava sia tn un qualche perico.lo. Essa lo sarebbe soJo per eventi straordinari ed esterni, dal bellico al revisionista che si attuasse nell'immediato domani. Indubbiamente dopo l'incontro di V. E. con MacDonald (come già ebbi a dire all'E. V. nella udienza accordatami il 27 aprile) si sentirono scricchiolii che non mai prima. E con ingenuità Puric (Ministro aggiunto agli Affari Esteri) si espresse col R. Incaricato d'Affari il 7 maggio scorso così: «Perché pronunciare la parola "revisione"? Da quando tale parola è stata pronunciata, qui in Jugoslavia, è stata presa sul serio e nelle popolazioni ha fatto impressione e di essa si parla ovunque». (Vedi rapporto n. 2472/834 dell'8 maggio 1933) (1). Non è perciò da dubitare che se nelle presenti condizioni dello spirito pubblico jugoslavo quel triangolo approssimativamente compreso fra Osijek, Subotisa e Sombor tornasse all'Ungheria, ben difficilmente le altre popolazioni jugoslave che mal rodono il freno belgradese, resterebbero nella unità jugoslava e non vi sarebbe né volontà caparbia di Re Alessandro, né forza di esercito, né brutalità di polizia capace d'impedirlo, salvo forse una rapidissima decisiva e sincera conversione verso il federalismo.

Ma fuori di questo, la volontà chiara e decisa che ho detto, la forza ÌnilÌ: tare, la crudele ed onnipossente polizia sono sufficienti a mantenere unito il paese, anche perché non bisogna interpretare come esclusivamente ed interamente artificiose le manifestazioni pro regime. Se pur minimo un consenso v'è come vi sono ancora maggiori e più forti nuclei decisi a mantenere la unità jugoslava.

Nulla del resto fu potuto per impedirla da Fiume nel 1919-20, né certo può farsi colpa alla nostra Delegazione alla Conferenza della Pace se il disegno nutrito e perseguito nel periodo dannunziano non ebbe risultato. Esso urtava anzitutto contro la volontà pressocché unanime delle popolazioni jugoslave sia pure, da parte di sloveni e croati, per sottrarsi, con sfacciato giuoco di prestigio, alle conseguenze che pesavano sui popoli vinti, ed a quel momento la forza centralistica di Belgrado non aveva altra virtù che l'ideale non certo l'esercito scompaginato da quattro guerre, non la polizia allora inesistente.

Nemmeno Radic negli anni più ardenti della sua propaganda antiserba, quando il popolo croato in ginocchio nella maggiore piazza di Zagabria lo acclamava rappresentante di Dio in terra e capo della Repubblica croata, riuscì a rompere la unità jugoslava. Ancora meno l'atroce sua morte nel 28 e l'aureola di martire che subito lo avvolse, riuscì a muovere i contadini croati verso un concreto sacrificio. Che possono queste minori figure che gli sono succedute? Anche se Belgrado accumuli errori su errori aumenti i perseguitati ed i martiri e proceda con crudeltà che non ha né riguardi né pudore?

Certo da Zagabria vengono molte diverse affermazioni. Ma di quante mai di esse il tempo fa giustizia, e quante non hanno altra giustificazione che una esaltazione di pensiero che è tanto più alta quanto più la effettiva decisione di agire si ritrae più paurosa. A Zagabria si fanno e disfanno ministeri, si farnetica di interventi inglesi e cecoslovacchi a favore della grazia di Macek, si suppone in ogni movimento di se.rbi avversari al regime una diabolica

macchinazione sovrana ed i sogni sono pieni di gesti eroici e risolutivi, ma in conclusione si spera solo nella volontà dell'E. V. e nella sua alta ed illuminata azione, vale a dire si conta sul sacrificio ed anche neJ rischio italiano. Vale la pena di riprodurre quanto scriveva il R. Console di Zagabria il 25 maggio (vedi rapporto n. 2274/322 (l): «...il conto maggiore a quel che sento da ogni parte e le speranze più fondate si basano sul programma revisionista di V. E.». (Vedi anche nel notiziario i numeri 113 e 160 che sono il riassunto delle impressioni di quel R. Console).

Se poi davvero i croati potessero distaccarsi da Belgrado quali le conseguenze?

Non voglio qui affermare nulla di assoluto, ma solo porre innanzi agli occhi di V. E. un punto sul quale ho sempre fermato la mia attenzione. È bensì vero che Radic con la sua propaganda repubblicana-sovietica ha distrutto in C:roazia molto del sentimento dinastico imperiale ma nei cinque anni da che sono in Jugoslavia so di ufficiali ex austriaci che hanno dichiarato di non aver dimernticato il giuramento prestato al vecchio imperatore, so di sacerdoti che al 18 agosto (compleanno di Francesco Giuseppe) pronunciano ancora sommesse preghiere. Quanti ufficiali ex austriaci si trovano nei complotti antiserbi e allo spionaggio per noi ed Ungheria. V. E. troverà inoltre nei passati notiziari dichiarazioni di Kossutich a Londra, dichiarazioni di Trumbic a Zagabria e forse anca di Macek (ma questi dichiara sempre qualche cosa che poi smentisce!!) nelle quali si afferma che la sola salvezza per la Croazia è il suo ritorno ad unirsi con l'Austria. L'atto di accusa contro i processati del 4 maggio a Belgrado non afferma forse che essi avevano costituito una associazione per la riunione della Croazia all'Ungheria?

Che se poi la questione si guardi dall'altro Iato debbo ricordare una delle più lucide relazioni sulla situazione generale europea che ho Ietto nell'ultimo semestre. L'ha trasmessa il R. Console ad Innsbruck il 2 marzo 1933: ne estraggo due passi:

a) l'Austria è decisa in caso di conflitto italo-jugosalvo di mettersi dalla parte italiana. La realizzazione, sia pur parziale, di questi piani muterebbe in pieno il volto del vicino Oriente. L'indipendenza della Croazia, la quale sarebbe naturalmente seguita da quella della Slovenia, darebbe luogo ad una formazione che non potrebbe stare per se sola, ma cercherebbe altrove una saldatura. Non coll'Italia per ragioni psicologiche e neppure coll'Ungheria per infausti ricordi del passato, ma piuttosto con l'Austria verso la quale si volgono effettivamente gli sguardi di taluni circoli croati. Una confedenzione fra Agram e Vienna sarebbe però soltanto un primo passo, integrato poi dall'accesso dell'Ungheria sotto l'espresso patronato italiano. Risorgerebbe così, una formazione statale che nelle linee fondamentali ricorderebbe la vecchia duplice monarchia.

b) L'Italia deve pagare a prezzo alto l'amicizia ungherese che ricerca soltanto per risolvere più facilmente la questione croata.

E ciò perché il movimento è convergente: se Croazia mira istintivamente nella ipotesi di distacco da Belgrado, a tornare alla antica unione, Ungheria ed anche Austria non potrebbero non aspirare ad un libero sbocco al mare e vi tenderanno, anche contro di noi se le future contingenze storico-politiche \o consentiranno. È a questo pericolo che l'antiveggente politica di V. E. può certamente parare.

(l) Non pubblicato.

(l) Non pubblicato.

(l) Non pubblicato.

810

L'ADDETTO STAMPA A VIENNA, MORREALE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

PROMEMORIA. Roma, 12 giugno 1933.

La fase acuta del pericolo nazional-socialista in Austria si può ritenere superata. I nazional-socialisti austriaci, riconosciuto l'errore di aver portato apertamente la loro propaganda sul terreno dell'annessione a tutti i costi alla Germania hanno fatto in questi ultimi tempi macchina indietro per tornare ad occuparsi della politica interna del Paese ed a combattere un sistema di governo che ha portato l'Austria nelle attuali condizioni. Tale atteggiamento mira:

l) a tranquillizzare quegli elementi della popolazione che, pur simpatizzando altra volta coll'idea dell'annessione hanno, in seguito alla emanazione del decreto germanico che abolisce le prerogative dei «Laender » abbandonato tale idea e si sono posti quindi contro i nazionalsocialisti austriaci che se ne erano fatti strumento. (Le preoccupazioni cagionate dal pericolo di una trasformazione dell'Austria in una provincia della Germania subordinata alla Prussia si sono manifestate anche tra le file dei nazionalsocialisti austriaci, determinando, a quanto mi consta. una corrente ostile all'ispettore nazionalsocialista in Austria, il deputato prussiano al Reichstag Habicht, ed al capo dei nazi di Vienna, ai quali si imputa l'errore di avere usato dell'annessione come fine immediato della lotta).

2) A tranquillizzare le potenze straniere. 3) A fare apparire ingiustificati i provvedimenti governativi per la repressione del nazismo.

Ed in conseguenza: a) a dare nuovo slancio alla propaganda nazista contro «un sistema di governo» che porta l'Austria alla rovina; b) a riprendere il tentativo di rendere impopolare il governo Dollfuss the da tale sistema non ha dimostrato di sapersi praticamente staccare ed a determinarne la caduta per far posto ad un governo incaricato di procedere alle nuove elezioni; c) a tornare alla vecchia tattica elettorale che dovrebbe portare il Consiglio nazionale austriaco (camera dei deputati) un numero di deputati nazisti tale da costringere i cristiano-sociali alla coalizione con il nazismo;

d) a realizzare, grazie all'impulso ed alla vitalità del nazismo, l'annessione di fatto tra la Ge,rmania governata dal nazionalsocialismo e l'Austria, premesso che quivi il nazionalsocialismo abbia forza politica predominante.

(Per facilitare la propaganda nazista tra i giovani cristiano-sociali il Principe Rohan, austriaco di passato politico molto vario -prima simpatizzante coi socialisti, poscia heimwerista, da ultimo nazista -ha interrotto il suo soggiorno a Berlino ed è venuto a Vienna col compito di cercare l'intesa tra i cattolici ed i nazionalsocialisti e si serve all'uopo di un giornale di recente acquisto Die Neue Zeitung e di uno di recente creazione lo Acht Uhr Abendblatt. Si tratta, insomma, di un movimento simile a quello « Kreuz und Adler >> di Germania che tende a staccare il cattolicesimo di Germania dalle influenze politiche della Santa Sede).

Se, dunque, considerata dal punto di vista statico, la situazione austriaca non presenta oggi motivi particolari di preoccupazione, essa può far temere per l'avvenire, dato -come si è esposto -il ritorno del nazismo austriaco alle vecchie posizioni e la possibilità che la popolazione, attanagliata dalle strettezze economiche, dimentichi le recentissime esperienze.

Nel momento attuale il nazismo in Austria si può ritenere, in fatto di proseliti, stazionario se non addirittura in decrescenza. I nazi di Vienna riconoscono ciò per la capitale e vi rimediano diffondendo la voce che il loro movimento continua a far progressi nelle campagne. Interrogato in proposito, sabato scorso 10 corr. il Ministro della Sicurezza Feyne ebbi la risposta che ad eccezione del Tirolo e del Salisburghese ove, in conseguenza della prossimità del confine germanico il nazismo fa ancora qualche progresso, nelle altre proVincie si trova in regresso. Il Fey ha aggiunto che queste conclusioni gli erano consentite dai rapporti dei posti di gendarmeria della provincia.

Ho raccolto altresì la voce che l'afflusso di mezzi finanziari della Germania, che nei mesi scorsi rasentava addirittura lo sperpero, è attualmente cessato. Una prova di ciò si potrebbe trovare nella insistenza colla quale i giornali nazionalsocia;listi invitano ora i loro lettori a fare sacrifici finanziari a favore delle casse de'l partito.

Infine, l'attentato contro il capo heimwerista Steidle, del quale stasera si è avuto notizia, si può, a mio avviso, mettere appunto in relazione con tale stato di regresso e di depressione, interpretato esageratamente da qualche «desperados ».

Hanno contribuito a determinare la :;tasi o addi,rittura il regresso dei nazionalsocialismo in Austria:

l) Le preoccupazioni anzicennate circa le conseguenze di una annessione che ha preso tutte le caratteristiche ùell'asservimento;

2) I provvedimenti del governo Dollfuss contro il nazionalsocialismo, i quali hanno agito sul temperamento 11on troppo eroico degli austriaci e particolarmente: il divieto delle uniformi che ha tolto al partito le attrattive coreografiche, il giuramento di fedeltà allo Stato austriaco imposto alla burocrazia ed all'esercito ancora fondamentalmente sani e restii alle restrizioni mentali; le perquisizioni operate a Vienna ed a Graz che hanno permesso alle autorità

di dire che erano state scoperte le liste di quegli impiegati e militari austriac1 che, iscritti al partito austriaco, avevano avuto garanzia di trasferimento dei loro nomi nelle liste germaniche.

Ma col prodursi di tale situazione un'altra se ne accenna a formare che della precedente potrebbe annullare gli effetti.

Anzitutto uno stato generale di depressione e di incertezza conseguente alla tensione dei rapporti colla Germania, poiché di essa si temono le conseguenze ~conomiche e morali in quanto si inaspriscono quegli elementi della popolazione che pur facendo professione di patriottismo austriaco non dimenticano di essere di razza tedesca. Si deve constatare altresì che a tutt'oggi di un rinnovamento del paese annunziato da Dollfuss per giustificare gli atti del governo extraparlamentare, non v'è traccia concreta. Si continua a governare secondo l'antico sistema del patteggiamento, se non coi partiti, che non possono più portare sulla tribuna parlamentare i loro ricatti, coi capi dei partiti ed ai patteggiamenti fan da sfondo il nepotismo politico e la corruzione. La supina acquiescenza con cui i socialdemocratici, desiderosi per il momento di vedere distrutto il nazionalsocialismo per rialzare appresso la testa, è cagione del sospetto che tra i dirigenti del partito cristiano-sociale e quelli del partito socialista si addivenga caso per caso ad intese segrete che renderanno in avvenire più difficile, se non impossibile lo smantellamento della struttura economica a

caratteristiche marxiste che è la vera rovina dell'Austria ed alla quale i cristiano-sociali hanno in tredici anni di potere direttamente contribuito. Il «fronte patriottico» di recente costituzione viene sf,ruttato a favore del partito cristiano sociale, mentre Dollfuss impegna, in nome della alleanza con Starbemberg, le « Heimwehren » la cui spinta propagandistica resta da tale stato di cose attenuata. Tra venerdì e sabato scorso il capo delle Heìmwehren tirolesi Steidle aveva ripreso 1 suoi tentativi per essere nominato ministro senza portafogli, anche a costo di veder nominare al Ministero della Istruzione, lasciato vacante dalle dimissioni di Rintelen, il dott. Aigner, cristiano-sociale, nemico dei nazi, ma ostile anche alle Heimwehren. La cosa avrebbe potuto esser vista di buon occhio poiché i modi rudi dello Steidle avrebbero portato una nota nuova nel gabinetto, ma i tentativi devono essere falliti perché non si tntende far nuovo posto alle Heimwehren: può darsi che la pallottola presa al braccio apra a Steidle la via del Ministero. Cito il caso, perché è l'esempio recentissimo delle difficoltà in cui, le stesse Heimwehren, che Dollfuss dovrebbe portare avanti ad ogni occasione per opporre al movimento di destra ~ermanico, un movimento di destra autoctono, si trovano.

Concludendo, mi sembra più che mai urgente la necessità che Dollfuss dalla poJitica di reazione aUa quale sono stati finora impostati gli atti del suo Governo, passi a quella deH'azione costruttiva:

organizzando su basi propagandistiche sane e veramente superiori ai

)artiti il «fronte patriottico»;

e profittando di ogni occasione per ringiovanire con elementi sani e

non calcificati nella politica tradizione (tipo Buresch) il suo ministero e la

pubblica amministrazione;

accordando una certa libertà di azione alle Heimwehren ed incoraggiandole anzi alla critica della politica tradizionale;

astenendosi da ogni provvedimento serio contro i nazional-socialisti fino a quando noo abbia approfittato dello stato di soggezione in cui si trova la socialdemocrazia, per timore del nazismo, col cominciare a scompaginare tutta la struttura dell'economia marxista, del comune di Vienna (che gli darebbe anche in mano la cassa comunale di risparmio) dei sindacati operai, dei contratti collettivi, dell'esosa assistenza sociale fatta per alimentare la burocrazia delle va.rie casse di assistenza più che per creare un corrispondente giovamento ai bisognosi, ma impedendo altresì che di tale situazione godano gli industriali e mirando invece ad abbassa.re i costi di produzione;

facendo dell'alleanza con Starhemberg un fattore di politica concreta;

Se Dollfuss vuoi salvarsi non gli resta che una via, quella della dittatura, che è per altro, la via sulla quale si è posto il 4 marzo chiudendo il parlamento. Convinca come può il presidente Miklas, ma non ritardi troppo, che altrimenti potrebbe trovar sgretolata la compagine dell'esercito.

I temporeggiamenti di Dollfuss trovano un'attenuante nella situazione economica interna la quale è tutt'altro che allegra, ma questa a sua volta potrebbe accelerare il progresso di disfacimento. Secondo me egli dovrebbe rompere il circolo vizioso dando il primo colpo all'economia marxista; gli aiuti dall'estero affluirebbero ugualmente ed in un secondo tempo potrebbero tornare in patria i capitali austriaci emigrati all'estero, chè ve ne sono.

A proposito di aiuti, sono stato vivamente interessato dal capo dell'Ufficio di propaganda turistica, creato di recente in conseguenza del boicottaggio turistico da parte del Reich (l'ex capitano Reiche, segretario di Starhemberg) di fare in modo che le autorità italiane si interessino alle seguenti concessioni:

abbassare la tassa di passaporto per gli italiani che ne facessero richiesta per recarsi a scopi turistici in Austria;

ottenere che la «Eiar » includa nei programmi della Radio italiana l'annunzio di festeggiamenti e trattenimenti in Austria o l'incitamento a visitare i luoghi di cura austriaca;

ottenere dalla «Luce » che metta in circolazione coi programmi settimanali di attualità, brevi films di propaganda turistica per l'Austria, che sarebbero forniti dall'ufficio anzidetto (si tratterebbe di paesaggi austriaci e di films di una lunghezza di circa 200-250 metri).

Incitare le direzioni dei nostri giornali e pubblicare cronache di varietà artistica e turistica austriaca;

ottenere condizioni di favore dalle società concessionarie della pubblicità sui giornali italiani per la pubblicazione di annunzi di propaganda turistica per l'Austria in modo di ottenere il massimo rendimento da un fondo di trentamila scellini già stanziato a tale uopo.

Ho già, infine, dato notizia del desiderio del capo delle Heimwehren tirolesi, dott. Steidle di ottenere gratuitamente per i suoi militi un migliaio di elmetti del tipo austriaco se questi si trovano ancora tra i residuati di guerra dei nostri magazzini militari. Un emissario dello Steidle è venuto a dirmi sabato scorso che eventualmente la spedizione potrebbe essere fatta in forma ufficiale e cioè dal Governo del Tirolo ad una ditta italiana che si dichiari disposta a

fornire gli elmetti. La fornitura non dovrebbe suscitare difficoltà internazionali dato che i vecchi elmetti non potrebbero essere considerati vero e proprio materiale di guerra.

811

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2618/10 R.

Parlato Vansittart, Eden che mi hanno informato Governo inglese preocrupato situazione austro-tedesca. Sempre secondo detta informazione, mentre antecedentemente manifestavasi indifferenza questione Anschluss, oggi si deli:nea nuova tendenza contraria. Mi è stata espressa volontà aiutare Austria.

812

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, A LONDRA

t. 1241/7 R. Roma, 13 giugno 1933, ore 14,30.

Una dichiarazione ufficiale di simpatia del Foreign Office per la politica di Dollfuss intesa a mantenere indipendenza Austria sarebbe in questo momento particolarmente utile e opportuna. Recenti attentati possono costituire inizio fase discendente nazismo austriaco ma tensione è sempre forte (1).

813

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

r. 2626/92 R. Budapest, 13 giugno 1933, ore 15 (per. tOre 19,30).

Mio telegramma 91 (2).

Ho rimesso ora S. E. Gombos lettera di V. E. (3) pervenutami stamane con corriere speciale. Al tempo stesso ho fatto al generale comunicazioni di cui al telegramma di V. E. 98 (4) per metterlo al co·rrente ultima fase trattative per conclusione patto a 4.

Presidente del consiglio nel pregarmi far pervenire V. E. suoi ringraziamenti mi ha detto essere sua intenzione partire venerdì per incontrarsi con Hitler a Monaco di Baviera od a Berchtesgaden.

( 4) Cfr. n. 795.

(l) -Minuta autografa di Mussollnl. (2) -T. 2614/91 R. del 12 giugno, non pubbllcato. (3) -Cfr. n. 779.
814

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. R.U. 1242/313 R. Roma, 13 giugno 1933, ore 16,30.

Ecco il testo della decisione votata dal Gran Consiglio e che V. E. vorrà ufficialmente comunicare a codesto Governo. «Il Gran Consiglio del Fascismo decide in vista della scadenza del 15 giugno e dell'inizio della conferenza di Londra di effettuare il pagamento di l milione di dollari allo scopo di dimostrare la buona volontà del Governo fascista ma al tempo stesso i limiti ormai insuperabili che questa volontà incontra nella situazione di fatto e invita il ministro degli esteri a iniziare i negoziati per una definitiva risoluzione del problema prima della scadenza del prossimo dicembre».

V. E. illustrerà se del caso la portata anche morale di questa decisione. Appena fatta la comunicazione riferisca.

815

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. u. 2634/342 R. Washington, 13 giugno 1933, ore 20 (per. ore 7,15 del 14).

Telegramma di V. E. n. 313 (1).

Ho potuto comunicare ancora questo pomeriggio (martedì 13 giugno) testo della decisione del Gran Consiglio al sottosegretario di Stato facenti funzioni di segretario di Stato.

Era presente anche assistente segretario di Stato prof. Moley il quale mi chiese se frase «limiti oramai insuperabili >> volesse pe,r avventura significare che l'Italia non intendeva far altri pagamenti dopo 15 giugno.

Risposi che simile interpretazione andava oltre senso delle parole le quali volevano semplicemente far presente che limiti imposti alla nostra buona volontà di fatto non potevano considerarsi come temporanei perché stesse difficoltà esisteranno ancora alla prossima scadenza. Appunto pe1r questo Gran Consiglio Fascista aveva invitato ministro degli affari esteri ad iniziare negoziati per una «definitiva soluzione» del problema.

Testo della decisione del Gran Consiglio venne subito comunicata telefonicamente al presidente il quale avrebbe manifestato una certa delusione pel fatto che cifra non abbia potuto essere maggiore tanto più in vista della facoltà lasciata al Governo debitore di pagare in argento od altra valuta anziché in oro.

Ho osservato a mia volta che decisione del Gran Consiglio aveva una portata sopratutto morale, davanti alla quale ammontare del versamento parziale non poteva avere che importanza secondaria.

A ciò sottosegretario di Stato replicò che presidente si preoccupava dell'effetto psicologico e temeva commenti non favorevoli per noi ed imbarazzi per lui di fronte al Congresso. Ove pertanto cifra non potesse essere aumentata presidente giudicava preferibile che nostra comunicazione formale circa

prossimo versamento facesse apparire pagamenti parziali come aventi signlflcato di un «riconoscimento della obbligazione x-piuttosto che come «prova di buona volontà ».

Sottosegretario di Stato mi ha pregato di comunicare a V. E. queste impressioni del presidente ed io gli ho promesso di farlo, pur rilevando strettezze del tempo disponibile per questo scambio di vedute che sarebbe stato preferibile fosse avvenuto subito quando io mi ero sforzato di provocarlo fin dalla scorsa settimana.

Riferendomi ai miei telegrammi nn. 332 (l) 336 e 337 (2) resto in attesa delle istruzioni di V. E. circa testo della nota che dovrà accompagnare versamento e che occorre io sia in grado di rimettere al più tardi nella giornata di giovedì 15 corrente (3).

816.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

2629/429 p Berlino, 13 giugno 1933, ore 21,15 (per. 1ore 24).

Secondo notizie pervenute all'Auswartiges Amt, Gov,erno austriaco avrebbe espulso deputato del Reichstag Habicht, che era stato recentemente inviato alla legazione di Germania a Vienna come addetto stampa, nonché 80 nazionalsocialisti tedeschi.

Von Biilow mi ha detto che, se le notizie suddette avessero avuto conferma ufficiale, Governo del Reich avrebbe espulso dal suo lato 80 prominenti cittadini austriaci residenti in Germania.

Egli mi fece queste dichiarazioni in termini che lasciavano chiaramente intravvedere quanto la situazione creatasi appaia penosa all'Auswartiges Amt, il quale non è se non l'esecutore di ordini che riceve da Hitler.

Volkischebeobachter pubblica un articolo di fondo di Rosenberg redatto in termini non dissimili da quelli che dovettero essere articoli prussiani nel 1866.

817.

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2631/228 R. Vienna, 13 giugno 1933, ore 21,30 (per. ore 3,40 del 14).

Mio telegramma n. 227 (4).

Governo ha stamane deciso chiusura case brune ed arresto con conseguenti espulsioni 9 agenti nazisti tedeschi fra cui noti deputati tedeschi Habicht e Rsicohr.

(-4) T. 2615/227 R. del 12 giugno, ore 20, non pubblicato: riferiva circa gli attentati politici e i disordini provocati dai nazisti.

Questo collega di Germania ha protestato contro arresto questi ultimi due sostenendo privilegi extra territorialità essendo stati recentemente nominati addetti stampa presso legazione di Germania.

In assenza cancelliere segretario generale ha replicato al mio collega ribadendo nota tesi (mio telegramma n. 210) (1).

Consiglio dei ministri ha poi nominato per ciascun land un commissario statale per la sicurezza pubblica.

Per il Tirolo è stato nominato Steidle. Questi commissari dipenderanno direttamente dal Governo. È stato così tolto ai capitani provinciali ed ai sindaci dei capi luogo di ciascun Land ogni autorità sulla locale polizia.

Alla Ballplatz non si prevede scioglimento ·partito nazionalsocialisti. Invece si è preoccupati per reazione del Reich contro decreto espulsione dei predetti sudditi tedeschi. Si teme decreto espulsione degli austriaci residenti in Germania.

Cancelliere tornerà probabilmente mercoledì. Stamane hanno avuto luogo altri attentati terroristici, tra cui uno di accertato carattere antisemitico.

(l) Cfr. n. 814.

(l) -T. 2540/332 R. del 9 giugno, non pubblicato. (2) -Cfr. n. ~72. nota l. (3) -Con t. 2637/24 R. del 14 giugno, ore 11 Jung comunicò a Londra: «Riferendomi telegramma Rosso n. 342, ritengo che parole <<oramai insuperabili » potrebbero essere eliminate dal testo deliberazione Gran Consiglio senza che risulti modificato il contenuto sostanziale».
818

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, A LONDRA, E ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI

T. 1252 R. Roma, 13 giugr~Ao 1933, ore 22,30.

(Per Londra S. E. Suvich) Ho risposto a Pignatti quanto segue:

(Per tutti) Suo 411 (2).

S. E. il Capo del Governo ha confermato a S. E. Suvich istruzioni di adoperarsi per sollecitare firma patto che non può che facilitare sua applica;r,ione anche per quanto concerne rapporti itala-francesi.

819

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, A LONDRA, E ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 1253 R. Roma, 13 giugno 1933, ore 24.

(S. E. Suvich) Ho telegrafato codesta R. Ambasciata quanto segue:

(Per tutti) Sarebbe opportuno che contatti e scambi d'idee cui conferenza economica fornirà occasione con rappresentanti austriaci e ungheresi costà convenuti fossero accompagnati da manifestazioni riguardo e speciale interes

59 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XIII

samento verso di loro, tali da confermare ed accentuare carattere particolarmente cordiale nostri rapporti con Austria e con Ungheria. Riuscirebbe certo assai gradito e risponderebbe allo scopo un ricevimento offerto da V. E. a delegazione austriaca e a delegazione ungherese.

Prego altresì V. E. di svolgere azione opportuna per interessare codesta stampa alla situazione austriaca, in modo che vengano messi in rilievo da autorevoli organi opinione pubblica inglese sforzi Dollfuss per consolidamento interno Austria e difesa indipendenza austriaca dai pericoli che la minacciano.

(l) -T.r. 2414;'210 R. del 31 maggio, non pubblicato; la tesi sostenuta era quella del diritto di ogni stato di dare il gradimento per ogni membro delle rappresentanze diplomatiche accre• ditate presso di lui. (2) -Cfr. n. 799.
820

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2666/187/119 R. Belgrado, 13 giugno 1933 (per. il 15).

Ho già segnalato a V. E. i sentimenti di viva irritazione e preoccupazione con i quali, in questi ambienti dirigenti, è stata accolta la parafatura del patto a quattro e più ancora la conseguente possibilità di una intesa generale francoitaliana.

Ritengo, a tale riguardo, doveroso segnalare a V. E. l'impressione che va in me prendendo consistenza che, nell'intervallo tra la firma del patto ed una eventuale intesa tra Italia e Francia, si tenti qui di intorbidire le acque, predisponendo, con evidente spirito tendenzioso, una specie di raccolta di fatti, che dovrebbero valere a denunciare all'opinione pubblica mondiale, attraverso la stridente contraddizione che esisterebbe tra il proclamato spirito pacifista di V. E. e la contemporanea effettiva azione italiana in questo paese, la evidente malafede del Governo di Roma.

Una tale mia impressione discende da alcune manifestazioni susseguentisi in questi giorni e che mi hanno dato la sensazione di una specie di un predisposto programma al fine suddetto: esso sono

l) il tono dell'articolo apparso sul Vreme ed intitolato «Roma organizza ed arma bande di ustasi per azioni in Jugoslavia» (da me segnalato a V. E. con telegramma n. 161/104 del 31 maggio) (l) che è stato contemporaneamente ed identicamente pubblicato sul Novosti di Zagabria, con carattere quindi di vero e proprio comunicato dell'ufficio stampa di questo Ministero Esteri. L'articolo intessuto verosimilmente di molte menzogne ha una marcata finalità tendenziosa;

2) il tono inusitatamente forte della nota verbale per le dimostrazioni di Fiume (che trasmetto in copia con telespresso odierno n. 4057/1050) (l) e la procedura seguita, col dirigere la nota a questa Legazione, piuttosto che alla Legazione di Jugoslavia in Roma, come sarebbe stato normale;

3) la grossa montatura che si vuole inscenare col processo di spionaggio militare nel quale sono implicati i connazionali Serragli e Weiss, prean

(ll Non pubblicato.

nunciato, nel comunicato apparso sulla stampa (mio telespresso odierno

n. 4051/1047) (l) come di eccezionale portata e gravità, con la asserzione che trattasi di un'attività spionistica svoltasi per un biennio a favore di due Stati vicini (leggi Italia ed Ungheria), quando questo Addetto Militare mi esclude di essere al corrente di una così lunga attività da parte dei predetti connazionali che dichiara di non conoscere affatto. E che si tratti di una vera e propria montatura m'induce a crederlo anche un comunicato diramato da questo Governo alla stampa estera (vedi «Excelsior » dell'H corr.) ove si parla di una organizzazione comprendente una diecina di persone e di un capo già arrestato ma di cui non si fa ancora il nome, aggiungendo che, in relazione all'affare, si fa allusione all'addetto militare ungherese;

4) la presentazione, il 12 corrente, a questa Legazione del Montenegrino Racic, fratello di Punisa Racic, l'uccisore di Stefano Radic, per dichiarare che occorre diffidare dei croati e che le simpatie dei nazionalisti montenegrini, insofferenti dell'attuale regime, vanno verso il nostro paese, e per chiedere, se nell'eventualità di «un grosso colpo » che essi starebbero preparando la Legazione sarebbe disposta ad offrire ai cospiratori eventuale rifugio nella sua sede. Inutile dire che il Racic, che ho fatto ascoltare da un interprete di questo R. Ufficio che è legato alla cricca attuale di Governo, è stato senz'altro messo alla porta, per l'evidente suo incarico di agente provocatore;

5) il tono dell'articolo comparso sul Novosti di Zagabria del 10 co·rrente, a proposito della pretesa emissione da parte della nostra Direzione Generale delle Poste di francobolli recanti l'effigie di città dalmate (che segnalo a parte a V. E.) e che insiste sull'evidente contraddizione tra il pacifismo verbale italiano e l'azione pratica che da parte nostra si andrebbe svolgendo verso questo paese.

821

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2716/430 R. Berlino, 13 giugno 1933 (per. il 18).

Telegramma per corriere di V. E. n. 1006 R. gab. del 15 maggio scorso (2).

Non è un mistero per alcuno che l'Auswartiges Amt nutra sempre le maggiori preoccupazioni per la politica antisemita nazional-socialista, prevedendo le ripercussioni gravissime internazionali che essa avrebbe avuto.

V. E. è stata esaurientemente informata dell'atteggiamento assunto a tale riguardo dal presidente del Reich dal barone von Neurath e dal vice cancelliere von Papen.

Mentre i ministri Goering e Goebbels erano da principio interamente solidali con il Cancelliere nella lotta antisemita, essi avrebbero in prosieguo di tempo, in presenza di constatazioni dolorose, mutato alquanto il loro atteggiamento ed esercitato un'azione moderatrice. Avrebbero però incontrato una

resistenza sempre fortissima da parte di Hitler e del ministro dell'interno del Reich, Frick, più convinti che mai della bontà della causa che tante contrarietà sta procurando alla Germania.

Secondo notizie confidenziali raccolte all'Auswartiges Amt il boicottaggio anti-tedesco continuerebbe energicamente in molti paesi. In Marocco ·e nell'Africa del Sud esso sarebbe totale, cosicché ai bastimenti tedeschi non è consentito di compiere operazioni.

Ciò nonostante, secondo le stesse fonti, Hitler e Frick sarebbero più che mai convinti della necessità della politica da loro patrocinata e si sentirebbero sorretti dal consenso di una stragrande maggioranza di tedeschi, i quali non occupando posizioni che permettano loro di giudicare le cose da nn punto di vista complesso, si illudono di trarre un utile dalla campagna anti-semita attuale.

In altre parole il cancelliere continua a voler fare la politica dello struzzo e si compiace del consenso del popolo minuto dal quale non si può pretendere larghezza di vedute.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 597.
822

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2715/431 R. Berlino, 13 giugno 1933 (per. il 18).

Nel conversare oggi con von Biilov non gli ho nascosto a titolo personale che aveva prodotto su di me im1)ressione non gradita il constatare l'assenza di qualsiasi pubblico cenno di consenso ed applauso da parte del cancelliere del Reich per la siglatura del patto a quattro.

Von Biilow mi rispose che, come sapevo, Hitler aveva dato il suo consenso a denti molto stretti e che si manteneva tuttora in atteggiamento assai freddo di fronte al patto. Egli credeva che il barone von Neurath avesse chiesto al cancelliere se non credesse di mandare un messaggio a V. E., ed attribuiva alla partenza del ministro degli affari esteri per Londra che la cosa non avesse avuto un seguito.

Osservai che quanto era accaduto mi spiaceva assai, tanto più che avendo Goering creduto di mandare un telegramma per conto proprio all'E. V., coloro che avevano interesse a seminare discordia avrebbero certamente rilevato il diverso atteggiamento del cancelliere per trarne conseguenze 1JOCo opportune e comunque spiacevoli.

823

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL MINISTRO DEGLI ESTERI TEDESCO, NEURATH

APPUNTO. Londra, 13 giugno 1933.

Ho visto il Barone Neurath alla Conferenza. Gli ho parlato della opportunità di procedere al più presto alla firma del patto. Mi ha detto che c'era una difficoltà causata dalle assicurazioni date dalla Francia alla Piccola Intesa, che parevano andare molto al di là di quanto si era inteso. Gli ho osservato che questa impressione poteva derivare piuttosto dall'interpretazione data dalla Piccola Intesa alla nota francese, che evidentemente tendeva a mascherare la propria ritirata.

Von Neurath ad ogni modo mi ha promesso che la questione si sarebbe trattata sollecitamente: egli attendeva delle informazioni da Berlino.

Si è moS'trato piuttosto scettico sulla possibilità di venire in questo momento a degli accordi sia nel campo del disarmo che in altri campi. Mi ha detto anche in via di discorso che avrebbe voluto venire a Roma, ma che non ha potuto perché troppi altri Ministri in questo frattempo avevano sentito il bisogno (Beduerfnig) di venire nella Capitale.

824

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI BRITANNICO, EDEN, E IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI BRITANNICO, VANSITTART

APPUNTO. Londra, 13 giugno 1933.

Ho parlato al Foreign Office con Eden.

Riguardo al disarmo mi ha detto che Henderson è venuto a Londra con l'intenzione di prendere dei contatti, ma finora non si è fatto vivo: forse la cosa andrà più in là.

Per quanto riguarda la sollecita firma del Patto a Quattro mi ha promesso che se ne sarebbe occupato.

Con Vansittart ho parlato anche della firma del Patto a Quattro: si è mostrato favorevole. Ne parlerà a Simon (io stesso ho visto poi Simon nel pomeriggio alla Conferenza e gliene ho parlato, ottenendo l'adesione per una firma immediata). Vansittart mi ha parlato poi della questione dell'Austria dimostrandomi un notevole interesse dell'Inghilterra per aiutare il Governo di Dollfuss.

825

IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE PERMANENTE DEI MANDATI DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI, THEODOLI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, A LONDRA

L. P. Roma, 13 giugno 1933.

Ieri nel pomeriggio ho visto de Jouvenel dopo che era stato ricevuto da

S. E. il Capo del Governo.

Riassumo quanto più fedelmente possibile le cose dette. È da tener presente che la conversazione (come tutte le conversazioni in automobile) ha proceduto a sbalzi; e nel riassunto posso essere caduto in qualche inesattezza od omissione.

Jouvenel m'ha detto: « signer le Pacte à 4 à Londres maintenant ce serait une erreur! Qu'est-ce-que cela veut dire: se rencontrer au coin de la table de la Conférence économique?

Il faut que Musso lini invite les trois autres cet été e n Italie; pour le monde il faut de la mise en scène. Il a droit à une satisfaction, c'est celle de faire rencontrer Hitler avec Daladier. Il doit joue le ròle che gli spetta».

Secondo quanto ho capito, Jouvenel è soddisfatto di sapere che i nostri delegati a Londra hanno avuto istruzioni di concertarsi con i francesi il cui programma è analogo al nostro.

Il problema del disarmo è, secondo loro (Mussolini e Jouvenel), molto difficile. Il positivo sarebbe l'ideale, ossia disarmare tutti a gradi ed evitare cosi il riarmo della Germania che dovrebbe essere controllato. Né Jouvenel, né Mussolini hanno però molte speranze.

Negativo, come impedire alla Germania di armarsi? Secondo MussoUni, conviene guadagnar tempo prolungando la Conferenza del Disarmo con lunghe pause, ma Jouvenel consiglia a Mussolini di fare da arbitro tra la Francia e la Germania perché non si può prolungare eternamente questo stato di malessere.

Circa l'« Anschluss » i due hanno riconosciuto Dollfuss come un abile ed energico uomo di stato, ma se non si trova il modo di salvarla, l'Austria finirà per essere ingoiata e bisogna impedire a qualunque costo alla Germania di assorbire altri sei milioni di tedeschi.

Mussolini gli avrebbe detto: «l'Austria deve essere riunita all'Ungheria; però non è per ora una questione dinastica, si tratta di far vivere quei due Paesi».

Jouvenel: «ma questo non basta, bisogna metterli assieme alla Piccola Intesa». Mussolini: «già ma per questo dobbiamo andare d'accordo noi. Vi dichiaro che la direzione di questo concerto danubiano spetta all'Italia». Jouvenel è d'accordo, e perciò consiglia di valorizzare sempre più Benès che può servire allo scopo. Mussolini dichiara che il problema dell'Europa centrale è più urgente di quello adriatico. Jouvenel mi ha detto che si aspettava che il Duce gli parlasse della Jugoslavia. Nulla gli avrebbe detto.

Io gli ho ripetuto quello che già gli ho detto altre volte, che intendiamo cioè parlare senza intermediari con Belgrado, e che il problema adriatico avrà la sua soluzione naturale quando l'Europa centrale sarà messa a posto, e come parte di tale assestamento.

Circa la Tunisia, Mussolini ha accennato al rinnovo della Convenzione del 1896 per dieci anni, e questa è d'altronde la proposta fatta da Briand.

Di questioni coloniali Mussolini avrebbe soltanto fatto un accenno alla frontiera libica e non gli avrebbe detto una parola sola della costa somala. Jouvenel, ridendo, ha esclamato: « voilà, mon cher Theodoli, le Somaliland français est un produit de votre fantaisie. Mussolini m'a l'air de ne

pas tenir à l'Abyssinie, il n'attache certainement pas une grande importance, puisque il m'a dit: "les problèmes africains seront réglés par les bureaux" ~Per parte mia gli ho osservato: «non dimenticate che c'è l'articolo 13 del Patto di Londra; sta al debitore di andare incontro al creditore».

826

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, A LONDRA, E ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. 1250 R. Roma, 14 giugno 1933, ore 7,20.

(Per Berlino) D'incarico di S. E. il Capo del Governo ho telegrafato a

S. E. Suvich a Londra quanto segue:

(Per tutti) Giusta promessa fatta a Cerruti (1), Governo tedesco ha fatto conoscere sue osservazioni (2) in merito Nota francese diretta tre Governi Piccola Intesa. Presi gli ordini di S. E. il Capo del Governo, è stato preparato seguente « appunto » nel quale sono contenute osservazioni tedesche, contro osservazioni italiane e relative conclusioni. S. E. il Capo del Governo prega

V. E. di voler intrattenere Neurath in relazione a taU conclusioni, onde Governo tedesco assuma al riguardo della questione, un atteggiamento più moderato e più conforme in definitiva ai suoi interessi. Occorre assolutamente evitare -nel pensiero del Capo del Governo -che dichiarazioni tedesche possano provocare controdichiarazioni francesi. Osservazioni tedesche potrebbero riferirsi alle dichiarazioni fatte al Senato il 7 giugno largamente soddisfacenti per la Germania. È anche da considerare se dichiara:llioni tedesche non potrebbero essere concordate con noi.

Su quanto precede ho avuto una lunga conversazione con von HasseU che telegrafa stasera stessa al suo Governo. Ho parimenti informato Cerruti inviandogli copia del presente telegramma.

Aggiungo poi S. E. Capo Governo conferma istruzioni adoperarsi per sollecita firma patto.

Appunto dice:

« l. Nota francese diretta Governo cecoslovacco e altri due Governi della Piccola Intesa,

premesso che Patto a quattro «n'affectera en rien la politique que les deux Gouvernements poursuivent sur la base du Traité du 25 Janvier 1924 qui les unit».

atttra l'attenzione del Gove·rno cecoslovacco sull'art. 2 del Patto a quattro, dichiara che esso «esclude l'esame del principio della revisione e dei casi concreti di applicazione».

afferma « qu'il ne peut s'agir d'introduire aucune question de revision en dehors des règles fixées par l'art. 19 du Pacte de la Société des Nations ».

osserva infine che qualsiasi proposta anche di procedura relativa all'art. 19 deve rimanere regolata dal Patto e quindi comportare l'unanimità dei presenti compresi i voti delle parti qualora si tratti di «una quistione territoriale regolata dai Trattati».

2. A proposito di queste diverse interpretazioni e dichiarazioni contenute nella nota francese il Governo tedesco col suo memorandum osserva per quanto riguarda l'art. 2 del patto a quattro che esso «non prevede esplicitamente l'esame di revisione e di casi concreti di applicazione», ma nemmeno lo esclude. Di fatto l'art. 2. in sé non potrebbe essere invocato per trattare delle quistioni di merito relative alla revisione.

Il Governo tedesco aggiunge che l'interpretazione che « nessuna quistione di revisione possa essere sollevata all'infuori delle regole fissate dall'art. 19 « è un'interpretazione mate.rialmente errata del patto a quattro». L'osservazione è esatta. La nota francese dice però « qu'il ne peut s'agir d'introduire aucune question de révision en dehors des règles fixées par l'art. 19 du pacte de la Société des Nations »; dove l'« introduire » si riferisce evidentemente non tanto al patto quanto al Covenant. L'osservazione tedesca non pare quindi abbia luogo di essere.

Il Governo tedesco aggiunge che la quistione della revisione può essere sollevata anche in base all'art. 15 della S.d.N.; ma anche questo riguarda il Covenant, non il patto a quattro.

Il Governo tedesco osserva pure che la revisione può essere discussa in base all'art. 1° del patto a quattro. Ciò che egualmente è esatto. Ma la nota francese non parla dell'articolo l0

Infine il Governo tedesco rileva che non potrebbe accettare in nessun caso l'interpretazione dell'art. 19 del patto che la regola dell'unanimità comprese le parti sia necessaria per l'applicazione dell'art. 19 anche per quistioni di procedura ove si tratti dl revisioni territoriali. Ma anche qui si tratta del Covenant; non del patto.

Il Governo tedesco conclude che -ove la nota francese fosse lasciata

passare tacitamente -il patto a quattro «non solo perderebbe politicamente

ogni valore, ma si trasformerebbe in una disposizione contro la revisione».

Ma è evidente, dopo l'esame testé fatto delle osservazioni tedesche, che tale

conclusione non appare fondata. A parte quello che il promemoria tedesco

osserva per l'art. 2, tutte ,le altre osservazioni riguardano il Covenant, non il

patto; la nota si occupa dell'art. 2 del patto a qua.ttro, non dell'art. I, che

nella sua latitudine permette che direttamente o indirettamente ogni problema

possa essere evocato dalle quattro Potenze.

3. Il Governo propone che si proceda a un chiarimento. Sembrerebbe opportuno domandare al Governo tedesco, di tenere per ora riservate le sue osservazioni,

di farci autorizzare a comunicarle al Governo inglese (oppure di suggerire che sia lo stesso Governo tedesco a fargliele conoscere),

e di avere con il Governo inglese e col Governo tedesco uno scambio di vedute per stabilire se e che cosa sia eventualmente da fare. Il Governo italiano ha già dato la propria interpretazione col discorso di

S. E. il Capo del Governo. Il Governo inglese ha dato la propria, colla lettera Simon-Graham. Il Governo francese colla nota ai tre Governi della Piccola Intesa. Il Governo tedesco potrebbe -colla dovuta misura e tenendo presente che la nota francese è ambigua, e certo volutamente ambigua -dare la propria interpretazione con un discorso o con un comunicato etc., ove i comunicati ufficiosi già dati alla stampa (Agenzie Wolff e Conti) dal Governo tedesco non sembrino già sufficienti allo scopo.

Il patto a quattro è una realtà operante destinata a svilupparsi col tempo e non è interesse tedesco provocare definizioni o precisazioni che lo irrigidiscano

o lo limitino.

(l) -Cfr. n. 800. (2) -Cfr. n. 807.
827

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, A LONDRA, E ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. 1251 R. Roma, 14 giugno 1933, ore 8.

(Per Berlino) Ho telegrafato a S. E. Suvich, d'incarico del Capo del Governo, quanto segue:

(Per tutti) In relazione e di seguito mio telegramma n. 13 (l) segnalo a V. E. articolo di Tardieu apparso sulla Liberté di ieri che fa apparire più manifesta che mai necessità che da parte tedesca si proceda colla massima cautela se non si vuole pregiudicare tutto. Di fronte a interpretazione francese Germania ha acquisito già interpretazioni italiana e inglese che soddisfano chiaramente punto di vista Reich. Inoltre come già osservato esistono i comunicati Wolff e Conti rimasti senza replica.

828

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2647/229 R. Vienna, 14 giugno 1933, ore 14,50 (per. ore 18).

Mio telegramma n. 228 (2).

Mi riferisco telegramma della Stetani circa arresto addetto stampa legazione d'Austria a Berlino quale misura di ritorsione per l'arresto del deputato tedesco Habicht.

Questa notte segretario generale ha telefonato a Londra al cancelliere

consigliandolo di abboccarsi immediatamente con S. E. Suvich e con ministro

esteri britannico. Cancelliere ha annuito informando che il ministro affari esteri

tedesco cui si era rivolto aveva fatto comprendere sua impossibilità interve

nire a Berlino.

Cancelliere ha intanto telefonato poco fa che ministero affari esteri tede

sco aveva notificato al ministro austriaco a Berlino liberazione predetto addetto

stampa.

Tuttavia non è ben chiaro se Reich abbia subordinato o meno liberazione

a immediato allontanamento dal territorio tedesco di detto funzionario.

In ogni caso cancelliere ha ordinato che detto funzionario venga imme

diatamente nominato consigliere di legazione con funzioni addetto stampa presso

legazione Austria, a Berlino.

Decreto sarà redatto oggi stesso.

Informo altresì in via strettamente confidenziale che, giusta notizia per

venuta al cancelliere e da questi telefonata, dell'arresto del suddetto funzio

nario austriaco il cancelliere germanico non avrebbe avuto alcuna previa

notizia.

Infine segretario generale mi ha confidenzialmente detto che anche durante questa notte sono stati continui passaggi in Austria attraverso frontiera tiro.lese di agenti nazisti tedeschi.

Intanto stanotte è stato assassinato nelle vie di Vienna un milite delle

Heimwehren.

(l) -Cfr. n. 826, inviato a Suvich con protocollo particolare 13. (2) -Cfr. n. 817.
829

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GRANDI, E A WASHINGTON, ROSSO

T. 1260 R. Roma, 14 giugno 1933, ore 24.

(Per Londra) Ho telegrafato al R. ambasciatore a Washington quanto segue:

(Per tutti) Mio telegramma 313 (1).

Al testo della decisione votata dal Gran Consiglio occorre cancellare le parole «ormai insuperabili ~ ed aggiungere dopo -scadenza del prossimo dicembre -«preveduta dal vigente Settlement itala-americano~.

La comunicazione sarà quindi la seguente:

Il Gran Consiglio del Fascismo decide in vista della scadenza del 15 giugno e dell'ini:W.o della Conferenza di Londra di effettuare il pagamento di un milione di dollari allo scopo di dimostrare la buona volontà del Governo fascista ma al tempo stesso i limiti che questa volontà incontra nella situazione di fatto e invita il ministro degli esteri a iniziare i negoziati per una definitiva risoluzione del problema prima della scadenza del prossimo dicembre preveduta dal vigente Settlement itala-americano.

Ella potrà spiegare a codesto Governo che le ultime parole sono state introdotte per soddisfare alla richiesta degli S. U. di un riconoscimento da parte nostra delle obbligazioni vigenti.

Con riferimento poi al telegramma inviatole in data odierna da Londra da S. E. Jung, La informo che S. E. il Capo del Governo è d'accordo che pagamento venga fatto in argento.

(Per Washington) Prego V. E. comunicarmi d'urgenza se e quando Comunicato Gran Consiglio possa essere dato alla stampa.

(l) Cfr. n. 814.

830

IL VICE CAPO GABINETTO, JACOMONI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, A LONDRA

T. 1261/15 R. Roma, 14 giugno 1933, ore 21.

Trasmetto a V. E. seguente telegramma diretto,Je da S. E. Capo del Governo (l):

«Accenno nel discorso Neurath del patto a Quattro è stato molto opportuno. Lo dica a Neurath. Ella non lasci Londra prima della firma del patto. Mussolini ».

831

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE RR. 2712/432 R. Berlino, 14 giugno 1933 (per. il 18).

Telegramma per corriere di V. E. n. 1118 R. Aff. Pol. I del 23 maggio scorso (2).

Nel corso della conversazione avuta ieri col signor von Btilow essend0si parlato pure del disarmo, gli dissi risultarmi che a Parigi erano convmti che la Germania avesse ripreso a riarmare con ritmo accelerato e che ritenevano anzi che ,le industrie belliche fossero talmente occupate colle forniture militari tedesche da aver dovuto rescindere alcune ordinazioni sovietiche.

Il signor von Btilow premise ch'egli non voleva far misteri meco. Non negava che la Germania avesse tacitamente iniziato il proprio riarmamento, interpretando diversamente dai francesi le clausole militari del Trattato di Versailles. Si trattava ad ogni modo di ordinazioni assai limitate, cosicché era fuor di luogo pensare che fosse stato necessario all'industria tedesca di rinunciare a forniture per i Soviet. Se gli industriali tedeschi avevano dovuto essere prudenti nei riguardi dell'U.R.S.S. e limitare le proprie forniture, ciò

era stato la conseguenza delle agevolazioni che la Germania aveva dovuto accordare ai Soviet per i loro pagamenti. Di ciò V. E. è stata a suo tempo esaurientemente informata con i m1e1 telespressi n. 0528/216 del 4 febbraio c.a. e n. 848/380 del 1° marzo c.a. (1).

Recentemente il Ministro Goering aveva passato all'industria tedesca l'ordinazione dei motori per 25 nuovi aeroplani, ma si trattava di apparecchi per l'aviazione civile. Ad ogni modo anche questo lavoro, ancorché importante, non era certo di tal mole da paralizzare la capacità produttiva dell'industria tedesca.

(l) -Con t. da Riccione 2643 R., pari data. (2) -Cfr. n. 645, nota l.
832

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL CANCELLIERE FEDERALE E MINISTRO DEGLI ESTERI AUSTRIACO, DOLLFUSS

APPUNTO. Londra, 14 giugno 1933.

II Cancelliere mi ha esposto la situazione molto tesa in Austria anche in seguito ai recenti attentati.

Un attentato ha avuto luogo a Innsbruck contro Steidle; mentre egli rincasava gli è stato sparato contro da un'automobile col numero coperto, che sarebbe stata poi trovata al di là del confine in Baviera.

I proprietari dell'automobile sono stati arrestati e si stanno facendo le indagini. Il secondo attentato ha avuto luogo a Graz, con una bomba, in un posto dal quale è passato poco dopo Rintelen.

II terzo in una gioielleria a Vienna di proprietà di un ebreo. Il proprietario è stato ucciso. Un'altra bomba è stata gettata nel Boersen-Kaffé<e, locale dove si riuniscono molti ebrei.

Non c'è dubbio, secondo il Cancelliere, che gli attentati siano di origine Nazi.

Un comunicato dell'Agenzia Conte (organo ufficioso del Woltt bureau) dà una versione tendenziosa di questo attentato per dimostrare l'insostenibilità del regime Dollfuss.

II Cancelliere ritiene di dover assumere un atteggiamento molto energko e pensa anche alla proclamazione dello stato di assedio a Vienna e nel Tirolo.

Mi prospetta la possibilità di una invasione nazional-socialista, nonché di un intervento d'altra parte della Cecoslovacchia e deUa Jugoslavia. Tanto contro una che contro le altre l'Austria reagirebbe con tutta energia, ma Dollfuss non si nasconde il pericolo della situazione. Non pensa ad ogni modo per ora di sciogliere il partito nazional-socialista in Austria.

Gli ho detto che mi pareva conveniente in questo momento di non prendere nessuna misura che potesse essere interpretata come una presa di posi

zione contro il partito nazional-socialista, mentre era più opportuno di prendere deHe disposizioni in genere contro gli autori di disordini; forse era bene poter evitare una misura come quella dello stato di assedio che avrebbe avuto una vasta ripercussione, misura che poteva essere riservata nel caso che la situazione si aggravasse ulteriormente sempreché naturalmente fosse presa tempestivamente.

Il Cancelliere Dollfuss mi prega ancora di prospettare l'opportunità di un passo riservato a Berlino per ottenere una détente della situazione austriaca.

Intende prospettare molto chiaramente la situazione anche a Simon per ottenere un intervento inglese.

L'ho assicurato che avrei riferito tale suo desiderio, già espresso durante la sua permanenza a Roma, ma che occorreva che l'eventuale passo nostro fosse tenuto del tutto separato da una possibile azione inglese.

Il Cancelliere Dollfuss mi parla poi della questione del prestito. Ha avuto notizie dalla Francia che la questione potrebbe essere risolta per il 29 giugno

o al più tardi per il 10 luglio.

Egli spera che l'emissione della quota italiana possa avvenire subito, come anche quella della quota inglese per cui si riserva di fare dei passi in questi giorni.

Io rispondo che come egli sa per parte nostra c'è già l'adesione da 'parte del Capo del Governo. Parlerò col Ministro Jung per la parte tecnica e gli farò sapere qualche cosa.

Il Cancelliere mi terrà informato dell'esito dei colloqui col Governo inglese.

(l) Non pubblicati.

833

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO FRANCESE, DALADIER

APPUNTO. Londra, 14 giugno 1933.

Ho visitato Daladier al suo albergo e gli ho manifestato la soddisfazione da parte italiana per aver potuto raggiungere l'accordo.

Daladier ha affermato che secondo lui il Patto a Quattro è un grande successo e mi ha detto di avere apprezzato straordinariamente il discorso del Capo del Governo.

Quando egli alla Camera ha ricordato l'opera del Capo del Governo e le parole da lui pronunciate nel discorso al Senato, gli applausi sono stati unanimi su tutti i banchi all'infuori di quello dei comunisti.

Ha messo 'in rilievo che si sono associati agli applausi anche i socialisti, il che pare averlo molto meravigliato. Mi ha parlato della situazione difficile in cui egli si è trovato per la manovra di Herriot -che è il Capo de~l suo partito -e delle destre. Si voleva fino all'ultimo momento rinviare la discussione del Patto a quattro. Egli si è opposto con la massima energia, dicendo che se il Parlamento era contrario poteva rovesciare il Governo, ma che egli non avrebbe rinviato la discussione.

Il Parlamento lo ha seguito.

Egli già altre volte ha dovuto prendere di fronte la Camera con energia, come nel caso dei crediti militari per il Marocco; ritiene che in certi momenti non ci sia altro sistema che quello di prendere in pieno la propria responsabilità.

Gli dico che in Italia si è apprezzato il suo contegno deciso e si è considerato un grande successo la recente votazione alla Camera.

Occorre ora approfittare dell'atmosfera favorevole per procedere sollecitamente alla firma. Gli espongo le ragioni che miHtano a favore di un pronto perfezionamento del patto, anche per poter prendere rapidamente in mano alcuni importanti problemi, come quello deJ disarmo.

Daladier dice di rendersi conto di queste ragioni; egli avrebbe firmato anche il giorno dopo della discussione al Parlamento. Ha impressione però che si fosse voluto dar tempo per iniziare dei negoziati fra d nostri due paesi.

Gli espongo l'inopportunità di tale atteggiamento, sia perché ci farebbe perdere del tempo inutilmente, sia perché parrebbe poco simpatico subordinare quasi alla condizione di un inizio di negoziati la firma del patto.

Anche dal punto di vista dei rapporti italo-francesi conviene firmare al più presto, per approfittare del mese che ancora il Signor De Jouvenel rimarrà in Italia, per tentare di chiarire qualche punto di dissenso fra d due paesi.

Il Presidente Daladier conviene; fa alcune osservazioni -che non riescono molto chiare -sulla firma e sulla ratifica nel diritto costituzionale francese; conclude che la ratifica non sarebbe necessaria e che egli col portare la questione al Parlamento prima della firma ha fatto già più di quanto richiedesse la costituzione. Ma è stato costretto a farlo per le difficoltà della propria politica interna.

Prima però di firmare deve consultarsi con Boncour -non fosse altro che per certa cortesia -che vedrà domani a Parigi.

A mia domanda quando pensava di poter prendere la decisione, mi ha detto subito dopo la seduta della Camera che avrà luogo questa settimana a Parigi. Non esclude che si possa firmare anche a Londra.

Gli comunico che gli inglesi sono favorevoli a una firma immediata -ho parlato in proposito con Eden e con Vansittart e ne ho accennato a Simon (1).

I tedeschi sono in massima anche favorevoli, ma devono chiarire prima un punto relativo all'assicurazione data dalla Francia alla Piccola Intesa, essi hanno l'impressione che tale assicurazione sia stata interpretata in modo contrario aUe chiare disposizioni del patto.

Il Signor Daladier mi conferma che l'unica assicurazione sostanziale data dalla Francia è l'impegno di non cambiare la procedura della S.d.N. per quan· to riguarda l'unanimità richiesta per l'applicazione dell'art. 19.

Egli ha tenuto espressamente che l'Italia fosse tempestivamente informata di questo passo. Gli ho detto che comunque ritenevo che la questione sollevata dai tedeschi avrebbe potuto essere facilmente superata. Il Presidente Daladier mi ha fatto l'impressione di uomo franco e semplice che va diritto allo scopo senza détours.

(l) Cfr. n. 824.

834

COLLOQUIO FRA IL CAPO GABINETTO, ALOISI, E L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, JOUVENEL

APPUNTO. Roma, 14 giugno 1933.

Ho ricevuto oggi una breve visita di Jouvenel, durante la quale si è conversato del Patto e del come si comporterà vers·o il problema del disarmo, che sarà il primo in cui esso verrà a scontrarsi.

Si è riconosciuto l'arenamento senza scampo della Conferenza del Disarmo, ma si è sperato che il Patto possa finire per essere considerato come il fatto nuovo capace di dare un qualche mov<imento alla immobile tesi francese della sicurezza, che poi a sua volta avrebbe potuto mettere in movimento tutti gli altri termini del problema.

Jouvenel mi ha detto che intendeva intrattenere dell'argomento il suo Governo.

835

COLLOQUIO FRA IL CAPO GABINETTO, ALOISI, E IL MINISTRO D'UNGHERIA A ROMA, HORY

APPUNTO. Roma, 14 giugno 1933.

È venuto a parlarmi del Patto. Per conto del suo Governo si è rallegrato, ma non ha voluto nascondermi che l'opinione pubblica del suo paese è rimasta molto delusa della mancanza di qualunque accenno alla parità di diritti.

Ho creduto opportuno spiegare anche a lui il significato e la portata del Patto per potergli mostrare come la vera consacrazione di tutti gli sviluppi della politica futura europea è assicurata dal fatto della conclusione di un tale accordo assai più che dalla lettera di qualcuna delle sue disposizioni. Appare quindi necessario fare opera di persuasione in tal senso presso l'opinione pubblica ungherese per evitare una spiacevole nota di dissenso, o anche solo di freddezza, in questa generale atmosfera di fiducia nella quale si va preparando la firma del Patto. Bisognerà convincerla dell'importanza dell'avvenimento e, quanto ai suoi sviluppi, rimettersi fiduciosamente a quel commento del Patto che è il discorso del Capo del Governo al Senato.

Mi ha compreso e mi ha promesso di riferire in tal senso al suo Governo.

È passato poi a parlare della situazione interna austriaca e dei rapporti austro-tedeschi. Circa la prima, mi ha riferito del pessimismo del suo Governo sull'esito dell'impari lotta che Dollfuss dovrà condurre su due fronti, contro il marxismo e contro il nazismo. Rimontando però le sue informazioni a dieci o dodici giorni or sono -credo, riportate da Bethlen dal suo viaggio a Vienna -gli ho fatto osservare il mutamento sopravvenuto negli ultimi giorni, che pare indichi abbastanza nettamente una battuta d'arresto nell'espansione del movimento nazionale-socialista.

Circa i rapporti austro-tedeschi, ha tenuto a dirmi che in Ungheria si riteneva augurabile un pronto intervento italiano a Berlino. Gli ho risposto che anche in questo campo, fattore preminente, e pregiudiziale, è l'avvenuta firma del Patto.

Il Ministro De Hory mi ha rimesso l'unito promemoria a dimostrazione dell'interesse che la Francia porta alle questioni austriache e quindi dei pericoli insiti in eventuaU accordi tra Dollfuss e i partiti marxisti che sono notoriamente favoriti dalla Francia e dalla Piccola Intesa.

ALLEGATO

PROMEMORIA

Du còté français un intérét se montre pour l'électrification des Chemins de Fer Fédéraux. Dans ces derniers temps ces nouvelles commencent à prendre de plus en plus forme concrète.

Le projet n'est pas récent. Il consiste en deux parties. La première se rapporte à l'électrification des lignes Salzburg -Linz et Linz -Vienne, la seconde prévoit une électrification, à terme plus éloigné et dans le cas où la première aurait du succès, des lignes Vienne -Graz et Vienne -Hegyeshalom et autres lignes éventuelles.

La réalisation de la première étape couterait selon le projet environ 49 millions de Schillings, somme à laquelle un groupe français offre 20,5 millions, tandis que le Gouvernement autrichien aurait à supporter le reste moyennant un emprunt interne ou par autre voie. Ultérieurement les Français se sont chargés de verser une seconde tranche de 20,5 millions, ainsi que actuellement la contribution autrichienne se réduirait à une partie relativement minime.

La contribution française était soumise à la condition que 25% du matériel nécessaire à la construction -en premier lieu le matériel roulant (des locomotives) serait à fournir par l'industrie française.

Cette circonstance semble inquietante, car, si sur les lignes autrichiennes un certain type de locomotives électriques sont une fois introduites, il est probable que pour des raisons techniques, ce sera toujours le méme type de locomotives qui devra étre choisi pour la circulation sur les voies à électrifier ultérieurement.

La réalisation de la seconde étape exige un placement dépassant 300 millions de Schillings. Les Français dont l'option écoulerait sous peu (le l juillet) font tout leur possible pour tomber d'accord dans un proche avenir.

Les politiciens jugent le projet d'une manière favorable. De la part des Chemins de Fer Fédéraux se montre une résistance assez considérable. Selon leur avis le projet entier n'est pas profitable et rendrait la situation déjà déficitaire des Chemins de Fer Fédéraux encore plus difficile.

La perfectuation de cette affaire signifierait d'un còté la pénétration d'une influence non désirable dans la direction des Chemins de Fer Fédéraux, et d'autre còté se prèterait à accentuer davantage les mauvaises relations actuelles entre l' Autriche et l'Allemagne.

836

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 14 giugno 1933.

Rendendomi la sua visita di congedo, il Principe Ghika mi ha chiesto qualche informazione sul Patto. Ho riscontrato in lui una opposizione alla nostra politica nei riguardi del Patto assai minore di quella delle altre volte. Anzi ha finito per dirmi che parte contento di vedere incamminata la politica di ricostruzione europea concepita da V. E.

Seguendo le istruzioni di V. E., gli darò sabato sera un pranzo di addio.

837

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2673/348 R. Washington, 15 giugno 1933, ore 1,55 (per. ore 21,45).

Seguito mio telegramma n. 347 (1).

Avendo stamane presentato al sottosegretario di Stato nota redatta secondo istruzioni pervenutemi tramite S. E. Jung, mi è stato dichiarato che sua redazione non era giudicata soddisfacente perché non spiegava abbastanza chiaramente ragioni del pagamento parziale relativamente molto piccolo che veniva fatto dall'Italia.

Osservai che tali ragioni erano espresse dalla frase della decisione del Gran Consiglio che parla dei «limiti che volontà di pagamento incontra nella situazione di fatto».

Assistente segretario Moley che partecipava alla conversazione ha obiettato che tale frase si presta a diverse interpretazioni perché non precisa in modo esplicito [ragioni] della incapacità di pagamento. Agg,iunse che argomentazione della nota inglese aveva già creato al presidente serie difficoltà in quanto tendeva a coinvolgere Stati Uniti dell'America del Nord nella responsabilità per esecuzione dell'accordo di Losanna, ciò che presidente assolutamente si rifiutava di ammettere.

Frase indeterminata usata da Gran Consiglio potrebbe essere anche interpretata come se Italia volesse seguire linea di condotta inglese e partecipare ad un fronte unico dei debitori.

Miei interlocutori hanno insistito perché nostra nota contenga frase che significhi in modo non equivoco che mancato pagamento della totalità della nostra quota è dipesa unicamente da incapacità di pagamento e da nessun'altra ragione.

60 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XIII

Solo in questo modo Italia potrà far valere sua situazione speciale e ragioni che le sono proprie e che Governo degli Stati Uniti è disposto a riconoscere.

Dopo lunga discussione, sottosegretario di Stato mi ha dichiarato che la nostra offerta sarebbe stata accettata da presidente se nell'ultimo paragrafo dopo la parola « ho anche istruzione di informarvi che in conformità con suddetta risoluzione» venisse inserita seguente frase: «ed in vista delle spiegazioni già fornite dal ministro delle Finanze Jung durante sua recente visita a Washington relativamente alla capacità di pagamento dell'Italia».

Mentre invio presente telegramma a Roma e Londra ho chiesto comunicazione telefonica con S. E. Jung per istruzioni.

(l) T. 2672/347 R., pari data, non pubblicato.

838

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2674/349 R. Washington, 15 giugno 1933, ore 5,22 (per. ore 2 del 16).

Faccio seguito al mio telegramma n. 348 (1). Ho presentato ancora stamane nuova nota contenente frase richiesta da presidente e autorizzata dalla comunicazione telefonica di S. E. Jung.

Sottosegretario di Stato mi espresse compiacimento e riconoscenza per comprensione mostrata dal R. Gover?o ma non si credette autorizzato a comunicarmi accettazione formale della nostra offerta di pagamento prima di avere conferito nuovamente con presidente.

Soltanto alle ore 4 del pomeriggio mi ha notificato telefonicamente accettazione del presidente annunziandomi risposta scritta per stasera oppure domani mattina.

Poiché dipartimento di Stato propone di comunicare alla stampa testo delle note come fatto per Inghilterra non vedo alcun inconveniente alla pubblica" zione anche immediata in Italia del comunicato del Gran Consiglio.

Appena ricevuta conferma dell'accettazione americana ho inviato istruzioni telegrafiche alla banca Morgan di effettuare d'urgenza versamento alla tesoreria federale S. U.

Mi è stato risposto che operazione sarà forse ancora compiuta in giornata.

Banca aveva già acquistato argento necessario ad un costo complessivo di circa 720 mila dollari per due milioni di once che saranno calcolati a 50 centesimi oncia.

Telegraferò testo risposta americana appena ricevuta (2).

Telegrafato Roma e Londra.

(l) -Cfr. n. 837. (2) -La risposta americana fu comunicata da Rosso con t. 2706 R. del 17 giugno di cui si pubblica solo il brano seguente: «Governo S. U. tuttavia non sarebbe interamente sincero se non esprimesse il suo pensiero che pagamento un milione dollari in conto pagamento totale dovuto di oltre quattordici milioni potrebbe essere considerato negli S.U. come «unsubstantial » e potrebbe causare disappunto da parte Congresso e popolo Stati Uniti».
839

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2671/503 R. Londra, 15 giugno 1933, ore 13,08 (per. ore 19). Tutta la stampa odierna reagendo all'arresto di Wasserback manifesta

simpatia per l'Austria e per il cancelliere Dollfuss che Evening Standard definiva iersera «più popolare uomo politico che abbia visitato in questi ultimi anni l'Inghilterra».

Tutti i giornali mettono in risalto calorosi generali applausi con cui le delegazioni riunite per la conferenza economica hanno salutato il cancelliere austriaco e le sue dichiarazioni. Tali applausi, scrive il Times in editoria,le, sono la misura dell'universale simpatia ed ammirazione per questo coraggioso uomo di stato e per la sua lotta diretta a salvare l'indipendenza politica del suo paese.

Raccogliendo la citazione relativa al « Bosen Nachber » nel discorso di Dollfuss alla Conferenza Economica il Times continua dichiarando che anche il migliore paese del mondo non può vivere in pace se il suo cattivo vicino non glielo consente.

Il giornale si diffonde a descrivere l'arresto di Wasserback rilevando che la posizione di quest'ultimo non è assolutamente paragonabile con quella di Habicht. Elogia quindi l'energia con la quale il Governo austriaco affronta l'hitlerismo con i suoi stessi metodi e continua: « Dollfuss è convinto di avere alle spalle la stragrande maggioranza del paese e di poter, se riesce a impedire l'incursione dei nazi tedeschi, salvare l'Austria dalla sorte di essere incorporata come provincia del terzo Reich. Certo nessuno che abbia conosciuto Dollfuss dubita della sua ferrea energia. L'Inghilterra non è per ora ufficialmente interessata agli indiretti e sinistri tentativi dei nazi tedeschi contro l'indipendenza austriaca. Ma non vi è il più piccolo dubbio circa la simpatia inglese per l'Austria. Le incursioni attraverso la frontiera austriaca non sono un affare puramente tedesco ed implicano un serio pericolo per la pace europea minacciando controversie che superano la questione del fato dell'Austria. Se dovesse sorgere la questione di un'azione internazionale l'opinione tedesca che è tenuta all'oscuro delle reazioni ostili dell'opinione pubblica mondiale si sorprenderà della prontezza con cui tutto il mondo si schiera dalla parte della piccola Repubblica che coraggiosamente si difende contro l'altrui brutalità.

Il redattore diplomatico del Daily Telegraph mettendo in rilievo 11 colloquio di Dollfuss con i ministri britannici e con il sottosegretario Suvich dichiara che la situazione austriaca è vista con grande ansia a Londra e a Roma e nelle altre capitali europee.

Voci di un progetto di intervento diplomatico itala-inglese sono infondate e pel momento non si può fare altro che dare ad ambo le parti amichevoli consigli di moderazione. La situazione è critica e l'Austria ha la cordiale simpatia dell'Italia e dell'Inghilterra. Roma agirà certo con la massima prudenza ma la Germania non ignora la ferma opposizione dell'Italia ad ogni tentativo tedesco in Austria, opposizione che Mussolini ha chiarito a Papen e a Goering. Hitler si è mostrato così moderato in politica estera da rendere ancora più sorprendente che egli non freni i suoi luogotenenti rispetto all'Austria. L'Azione dei nazi ha reso più vivo e diffuso il sentimento nazionale austriaco.

Morning Post premesso che l'Anschluss può anche avere qualche giustificazione osserva che nulla poteva pregiudicarla maggio·rmente che le presenti tattiche dei nazi che hanno prodotto l'irrigidirsi del popolo austriaco contro la Germania. Questione, continua Morning Post, concerne la pace dell'Europa e noi ci aspettavamo che Hitler avrebbe mostrato maggior riguardo per l'opinione pubblica ·italiana. È chiaro infatti che la violenza contro l'Austria allarma ed offende l'Italia. La Polonia, la Cecoslovacchia, la Francia e la Gran Bretagna non possono rimanere indifferenti al tentativo di trasformare con la violenza l'Austria in una provincia prussiana. Suggerisce ad Hitler di abbandonare pericolosi metodi scelti.

In un editoriale intitolato «Giù le mani dall'Austria» il News Chronicle definisce le tattiche tedesche caratteristicamente maldestre ed insolenti. Nella sua lotta contro la sopraffazione dei nazi Dollfuss ha le più cordiali simpatie dell'opinione pubblica inglese e su questo fatto Hitler non deve nutrire alcuna illusione.

Il Manchester Guardian in un articolo di fondo rileva come il Times la differenza sostanziale fra la posizione di Wasserback e quella di Habicht e il radicale mutamento dei sentimenti del popolo austriaco verso la Germania prodotti dalle violenze naziste. Dollfuss nella sua lotta per l'indipendenza è stato rafforzato dalle stesse tattiche dei nazi che hanno eccitato il nazionalismo austriaco e guadagnato molte simpatie straniere al cancellie·re. La sorte dell'Austria è incerta ma è sicuro che se il Governo austriaco deciderà di protestare contro la Germania esso avrà il cordiale appoggio di tutta l'Europa. L'Austria deve essere lasciata libera di decidere il suo fato.

Il redattore diplomatico del Daily Mail attribuisce a Daladier il progetto di valersi del Patto di Roma per convocare una conferenza delle quattro Potenze onde discutere in Svizzera o in Italia settentrionale le questioni che le riguardano. In tale Conferenza verrebbe trattata la questione austriaca. Un'altra eventualità sarebbe l'appoggio dell'Austria all'Italia, all'Inghilterra e alla Francia per un intervento a Berlino.

840

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2670/435 R. Berlino, 15 giugno 1933, ore 14,20 (per. ore 16,50). Mio telegramma n. 434 (l).

Nunzio apostolico è venuto or ora ad intrattenermi confidenzialmente circa questione dell'arresto ieri avvenuto del capo ufficio stampa della legazione

d'Austria. Arresto è stato confermato dal ministro d'Austria ed avvenne in seguito ad ordine impartito dal presidente del consiglio dei ministri di Prussia, ancorché comunicato ufficiale ieri pubblicato dal Governo del Reich parli solamente di richiesta che egli abbandoni territorio germanico per non essere più persona grata.

Nunzio apostolico mi confidò essere stato ufficiato dagli ambasciatori perché facesse rimostranze all'Aiiswartiges Amt contro violazione prerogativa del corpo diplomatico. Ho capito trattarsi di quello inglese mentre quello francese gli fece soltanto telefonare chiedendo se avesse già fatto la protesta necessaria.

Monsignor Orsenigo che è uomo prudentissimo ed accorto prima di compire un passo che non crede potersi astenere dal fare, volle sentire il mio parere. Egli si propone recarsi da von Btilow dirgli che il corpo diplomatico ha appreso con rincrescimento che uno dei suoi membri era stato arrestato in violazione delle norme vigenti e che era certo che un simile fatto non si sarebbe più r·ipetuto. Come V. E. vede non vi è nessuna protesta e nessuna domanda di scuse.

Ho manifestato al nunzio apostolico avviso che il passo non potesse essere omesso anche perché servirà di ammonimento a chi sta veramente esagerando e gli ho espresso mia completa adesione alla forma moderatissima da lui escogitata.

(l) T. 2644/434 del 14 giugno, ore 14,06, non pubbllcato.

841

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. PER CORRIERE CONFIDENZIALE 1267 R. Roma, 15 giugno 1933.

Mentre i commenti di taluni giornatli e le dichiarazioni di taluni deputati mostrano che in codesto paese v'è chi si rende conto della vera natura e della vera portata del patto a quattro, l'intonazione gene.ra;le della stampa mi pare abbastanza lontana da quella che dovrebbe esse.re.

V. S. è stata già incaricata col telegramma n. 98 (l) di far rilevare come e perché il patto interessi codesto Governo, e con corriere speciale le è stata inviata una lettera personale per Goemboes in cui sono contenuti ampi particolari e ragguagli (2).

Nonostante che da certa stampa francese e da parte della Piccola Intesa si insista nel dichiarare che il patto lascia sussistere tutto come prima; il fatto è che l'impegno di «concertarsi » dà ormai modo di evocare, e discutere in vista di una soluzione, qualsiasi questione, nessuna esclusa, che possa interessare le quattro Potenze e quindi, di riflesso, codesto paese e offre perciò lo strumento più appropriato nelle circostanze attuali di far valere in tutti i campi i giusti interessi e diritti fin'ora non ·riconosciuti. Occorrerà naturalmente procedere per gradi. Il patto non potrà trovare che un'applicazione progressiva.

Col patto l'art. 19 esce dal dimenticatoio dove era stato a bella posta lasciato. La lettera diretta dalla F,rancia ai tre Stati della Piccola Intesa niente aggiunge a quello che è lo stato legale creato dai trattati e dal Covenant. Resta però il fatto che l'art. 19 rientra tra quelli che sono suscettibili di esame e di discussione, non solo nella stampa e nell'opinione pubblica, ma anche tra le cancellerie. Sarebbe stato evidentemente preferibile di adottare una dizione che ammettesse esplicitamente la facoltà di discutere oltre che delle « procedure ~ del «merito» dell'articolo 19. Ma nella situazione esistente questo non era evidentemente possibile. Se anche con le dovute cautele e se anche per via di progressiva applicazione, sarà sempre più difficile però distinguere in tali discussioni tra « procedure » e « merito » e quindi escludere quest'ultimo aspetto, che in ogni caso poi è destinato a 'rientrare nelle discussione a quattro per forza dell'art. l. In proposito V. E. troverà maggiori chiarimenti e indicazioni nel telegramma n. 1271 per corriere (1).

La portata e l'applica2lione del patto, specie per paesi che, come l'Ungheria, hanno da chiedere e da ottenere, sono quindi specie in prosieguo di tempo destinate a diventare sempre più vaste e proficue.

Codesta opinione pubblica e, di riflesso, codesta stampa dovrebbero mostrare pertanto maggiore soddisfazione e comprensione anche perché l'Ungheria non ha nessun interesse, con espressioni di disillusione o di malcontento, di precostituirsi in certo senso un'interpretazione meno estensiva del patto. Questo naturalmente senza giungere ad interpretazioni esagerate e pertanto non certo utili specie in questo periodo che ci separa dalla firma.

Del resto non si ha che da guardare ai commenti della stampa nazionalista francese o a quelli delle stampa polacca che -badando non tanto alla lettera quanto allo spirito e pur svisando ad arte le finalità costruttive del patto mostrano di chiaramente riconoscere quelle che sono la sua vasta portata e le sue possibi1ità avvenire.

Quanto precede le comunico per incarico di S. E. il Capo del Governo, con preghiera di voler intrattenere nel modo più amichevole codesto Governo.

(l) -Cfr. n. 795. (2) -Cfr. n. 779
842

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 15 giugno 1933.

L'accluso telegramma è stato preparato in relazione all'annunciato incontro a Monaco di Bavtera, sembra sabato, di GombOs con Hitler.

Un incontro di Gombos con V. E. già previsto e che subì il noto rinvio (2) potrebbe nel presente momento avere anche una influenza benefica su quelle zone di opinione ungherese che si sono mostrate un po' deluse e turbate dopo la conclusione del Patto a quattro.

ALLEGATe

MUSSOLINI A COLONNA

T. u. (1).

In relazione alle precedenti comunicazioni fatte a Goemboes sulla convenienza di un nostro incontro, prego fargli sapere a mio nome che ora gradirei molto vederlo. Potrei vederlo approfittando del suo viaggio di ritorno a Budapest ed anche prima se ciò fsse possibile. Incontro potrebbe aver luogo in qualche città dell'Italia settentrionale, per esempio Venezia, se meglio gli convenisse di non venire fino a Roma.

(l) -Rltrasmlsslone del n, 826. (2) -Cfr. n. 716.
843

IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE PERMANENTE DEI MANDATI DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI, THEODOLI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. P. Roma, 15 giugno 1933.

Riferisco alla lettera (come meglio posso) la conversazione che ho avuto ieri coll'Ambasciatore di Francia.

« Suvich prolongera san séjour à Londres jusqu'à la signature du Pacte à quatre. Vous, Theodoli, quittez Rome pour trois semaines. Ma mission ici prend fin dans un mais, et je voudrais absolument pouvoir fixer les points à régler entre nos deux pays afi:n que mon successeur soit mis sur les rails qui doivent le mener à l'accord définitif entre Paris et Rome.

Je me rends compte des raisons qui poussent les Italiens à hater la signature à Londres. Camme les Italiens doivent comprendre les raisons qui font souhaiter à la France la liquidation rapide des différents questions qui restent à régler.

Si Mussolini redoute qu'après le paraphe il puisse se renouveler une aventure genre Nettuno, le Gouvernement français de san còté redoute de voir renaitre au lendemain de la signature quelque différend avec l'Italie qui pourrait causer une déception énorme et cette fois peut-etre irreparable.

Il paralt dane indispensable d'en finir. Je souhaite le faire mai meme avant le 14 Juillet, parce que ce sera la démonstration aux yeux de notre opinion publique que nos deux Gouvernements ont repris des relations normales et confiantes et nous arriverons à un apaisement général.

Aujourd'hui l'enthousiasme est réel dans nos deux Pays et tout sera accepté facilment. Si l'enthousiasme tombe, on dira peut-etre en Italie que Mussolini n'a pas demandé assez. On dira en France qu'on lui a trop concédé. En tous cas nous Iaissons la part trop gmnde au hasard qui est rarement un ami.

Maintenant tout ce que fera le Duce sera bien accueilli, plus on attend plus ce sera difficile.

{l) Il telegramma non venne inviato.

Au fond M. Mussolini me parait concevoir: a) en matière d'affaire tunisienne le renouvellement pour dix ans des accords de 1896 et ensuite l'application de la proposition Briand. b) en matière des f,rontières de Lybie s'en tenir à la proposition Briand et meme au dessous l>.

Jouvenel mi dichiara non aver detto nulla al riguardo al Qual d'Orsay, e così continua:

«Etant donné notre amitié, je Vous prie, cher Theodoli, de me dire franchement quelles pourraient etre les autres questions qui divisent nos deux pays actuellement, et qui s'opposent à ce que l'Italie déclare qu'elle a eu satisfaction en ce qui concerne l'art. 13 du Traité de Londres ».

Questa ultima parte riguardante la Libia mi ha lasciato molto perplesso, e non ho potuto nascondergli la mia meraviglia, g,iacché da anni il Governo fascista, la stampa e l'opinione pubblica italiana hanno fatto chiaramente capire che aspettavano dalla Francia coll'esecuzione dell'art. 13 qualche cosa di meglio o di più che nuove sabbie e nuove rocce, e mi sono limitato a dirgli:

« Je suis très étonné de votre affirmation sur la Lybie, mais je me borne à vous déclarer que j'ignore les intentions de Mussolini à ce sujet et je ne puis me prononcer. Tout ce que je promets de faire pour vous etre agréable, c'est de répéter au Pala,is Chigi notre conversation l>.

Jouvenel esclama: «Mais si vous partez Vendredi, votre ròle cessera. Estce que vous ne pourriez interrompre votre séjour à Genève Notre entente est plus intéressante que la Commission des Mandats ».

lo, naturalmente, non ho rilevato quest'ultima osservazione e l'Ambasciatore termina così: « Les autres questions sont des questions de politique générale européenne. Elles rentrent dans la mise au point du Pacte à quatre. Il faudra du temps pour y arriver, mais il. est indispensable de ne pas perdre une minute. Mussolini, qui est un réalisateur, comprendra et excusera mon impatience ».

844

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. P.S. 2691/510 R. Londra, 16 giugno 1933, ore 20,16 (per. ore 24).

Re Giorgio di cui sono stato ospite ad Ascot nella giornata di ieri, mi ha

lungamente parlato del patto di Roma.

Re Giorgio mi ha detto che egli considera patto di Roma come trattato

politico di gran lunga il più importante concluso dalla fine della guerra.

Re Giorgio mi ha detto di aver personalmente seguito Io svolgimento delle

difficHi fasi del negoziato con estremo interesse, e spesso con sentimento di

ansiosa attesa, e di avere ad ogni momento ammirato la straordinaria abilità diplomatica del Duce e la sua forza di convincimento alla quale essenzialmente devesi felice risultato ottenuto. Re Giorgio ha aggiunto che Europa intera deve al Duce un debito di grande riconoscenza per aver egli assicurato almeno per i prossimi dieci anni un periodo di pace e tranquillità di cui il nostro Continente turbato ha un grande bisogno.

RJe Giorgio mi ha domandato inoltre notizie e dettagli sui progressi straordinari e sulla mole di opere compiute in Italia in questi ultimi tempi per volere del Duce, verso H quale, egli mi ha ripetuto, nutre sensi di profonda ammirazione.

845

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2692/426 R. Parigi, 16 giugno 1933, ore 21,10 (per. ore 24).

Patto a Quattro. -La data della discussione al Senato non è [stata fissata]. Il relatore è assente. Al suo rito,rno a Parigi 22 corrente verranno presi accordi al riguardo. H Governo non ha preoccupazione alcuna circa l'esito di questo dibattito che si delinea fin da ora sicuro, salvo circostanze imprevedibili.

Rispondendo a una mia domanda, segreta,rio generale del Quai d'Orsay mi ha detto che la lentezza del Senato nel discutere patto, è cosa normale. Senato esige che non gli sia fatta fretta.

Ho portato poi discorso sulla firma patto dichiarando che da parte nostra la si desidera e attende sollecita. Il signor Leger evitando darmi risposta diretta ha osservato che le conversazioni di codesto ambasciatore di Francia a Roma sulle questioni insolute italo-francesi non danno l'atteso soddisfacente risultato. Governo francese desidererebbe offrire all'opinione pubblica insieme alla firma patto, regolamento dei punti controversi dipendenti patto di Londra.

Ho replicato che S. E. Capo del Governo nel suo discorso al Senato aveva constatato che il patto avrebbe influito favorevolmente sulle relazioni italofrancesi. Bisognava dunque perfezionare patto firmandolo e scambiando ratifiche per dare a quell'accordo tutta la sua efficienza.

Il mio interlocutore ha obiettato firma pura e semplice patto sarebbe stata accolta freddamente dall'opinione pubblica ed avrebbe preparato un ambiente ostile alla ratifica.

Ho osservato a mia volta che il Governo ha ricevuto dalla Camera dei Deputati necessari poteri per firmare patto quando lo creda opportuno e può farlo dopo il voto Senato.

Dalla lettura dei giornali appare evidente che l'opinione è in attesa firma patto a breve scadenza. Ho aggiunto che sarebbe ottima cosa che il patto fosse perfetto prima delle vacanze Parlamento, la calma politico-parlamentare dei mesi estivi fornendo clima propizio per le prime prove.

Segretario generale non -ripeto non -è certamente favorevole firma sollecitata patto. Non è escluso anzi che l'idea di una discussione preliminare delle questioni itala-francesi sia stata suggerita al presidente del consiglio ed al ministro degli affari esteri dagli alti funzionari del Quai d'Orsay.

Domani vedrò Boncour (l).

Comunicato Londra a S. E. Suvich.

846

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2690/436 R. Berlino, 16 giugno 1933, ore 21,25 (per. ore 22,30). Telegrammi di V. E. n. 266 e 268

Von Billow apprezzò molto la comunicazione fattagli per tenerlo al corrente delle conversazioni di Londra tra S. E. Suvich e il barone Neurath.

Egli trovò molto abile e opportuna la distinzione tra Covenant e Patto e riconobbe che tale tattica potrà essere utilmente svolta anche in futuro. Ripetè però che nella nota francese alla Piccola Intesa e alla Polonia era stato detto in modo talmente esplicito che l'articolo 2 «esclude» l'esame del principio della revisione e dei casi concreti di applicazione che il Governo tedesco si riteneva obbligato di controbattere tale interpretazione onde evitare di sentirsi dichiarare che « chi tace acconsente ».

Von BUlow osservò che la Germania aveva avuto troppe spiacevoli esperienze da parte della Francia per poter evitare di prendere tutte le precauzioni necessarie. Riconosceva però che essa avrebbe dovuto essere molto cauta nel formulare il suo punto di vista e mi disse che a suo avviso l'interpretazione tedesca avrebbe dovuto essere contenuta in una nota da inviare ai Governi degli altri tre Stati contraenti, nota che non sarebbe stata pubblicata in Germania dove l'opinione pubblica non si era fortunatamente allarmata della comunicazione francese agli Stati aneati.

Von Billow mi disse poi di aver ieri comunicato a lungo per telefono con von Neurath che farà ritorno a Berlino non prima del 20 corrente. Era stato da lui informato dei colloqui con S. E. Suvich e di quelli avuti da quest'ultimo con gli inglesi, non ancora giunti a un risultato data indisposizione di Simon.

Ho chiesto a von Billow quanto avesse appreso circa data e località della firma del patto. Mi disse non avere sentito nulla da Neurath, ma che secondo un telegramma ormai vecchio di von Hassel località della firma avrebbe potuto essere secondo V. E. eventualmente anche Londra.

(2). (1) -Cfr. n. 856. (2) -Cfr. nn. 826 e 827 inviati a Berlino con protocollo particolare 266 e 268.
847

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI

T. R. u. 1273/344 R. Roma, 16 giugno 1933, ore 22.

Il capo del Governo giudica che il passaggio di Dollfuss a Parigi possa avvantaggiare la tesi dei nazi in Austria.

Egli mi ha dato perciò istruzioni (l) di pregare V. E. di fare intendere a Dollfuss nella maniera che riterrà più conveniente l'opportunità di abbreviare quanto possibile suo soggiorno in codesta capitale.

848

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2727/428 R. Parigi, 16 giugno 1933 (per. il 19).

Stasera giungerà a Parigi il cancelliere Dollfuss e avrà nella serata una conversazione col presidente del Consiglio e col ministro degli Affar~ Esteri.

Ho chiesto al segretario generale del Quai d'Orsay se al cancelliere sarà dato l'annuncio della imminente emissione del prestito. Il signor Lege'r mi ha risposto che certamente il prestito potrà avere corso sul mercato francese fra un mese circa, ma che occorrerà che le autorità francesi si assicurino prima dell'efficienza del soccorso accordato all'Austria. Bisognerà, in altre parole, che il prestito consenta di fatto all'Austria di migliorare la propria situazione finanziaria in modo da attendere il momento propizio per una sistemazione definitiva la quale, secondo il segretario generale, può essere trovata in una federazione o in un'organizzazione analoga degli Stati centro-danubiani.

Il signor Leger ha soggiunto che una soluzione austro-ungarica del problema austriaco, è considerata dalla Piccola Intesa come più temibile dello stesso Anschluss e darebbe luogo alla mobilitazione degli stati alleati.

La dichiarazione del segretario generale, fatta con evidente proposito, mi è sembrata strana. L'ho ascoltata in silenzio, l'ho commentata con un'esclamazione fra la meraviglia ed il dubbio e sono passato oltre, portando il discorso sulla presente tensione austro-germanica.

Nella questione del prestito all'Austria il Quai d'Orsay (intendo riferirmi agli alti funzionari) si è fatto dal principio rimorchiare faticosamente dal ministro degli Esteri e dal presidente del Consiglio ..È il signor Leger che, per il primo, ha posto innanzi la pregiudiziale costituzionale. Supocato quell'ostacolo, il funziona,rismo del Quai d'Orsay, nell'imminenza di atti conclusivi, avanza ora nuove obiezioni per ritardare la concessione del prestito, subordinandola a condizioni impossibili.

È sperabile che il punto di vista del segretario generale non prevalga e che i signori Boncour e Daladier, i quali hanno mostrato di avere un senso

reale deHa situazione, passino oltre, una volta di più, agl'intralci di una burocrazia tuttora vincolata alla politica briandista. Sarò in grado di riferire presto in proposito.

(l) Con T.s.n. da Riccione, pari data.

849

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO DEGLI ESTERI, SUVICH, E IL CANCELLIERE FEDERALE E MINISTRO DEGLI ESTERI AUSTRIACO, DOLLFUSS

APPUNTO. Londra, 16 giugno 1933.

Ho visto a lungo ieri sera e stamattina il Cancelliere Dollfuss, che mi ha esposto in tutti i dettagli il recente incidente dell'addetto stampa nell'Ambasciata di Berlino Wasserbiick e mi ha intrattenuto sull'attuale situazione politica in Austria.

Il Cancelliere non nasconde la propria preoccupazione per le conseguenze che può avere l'ultimo atteggiamento dei Nazi in Austria. Il Cancelliere ha informazioni che se si intende continuare con gli attentati, anche e specialmente contro la sua persona, gli attacchi dei Nazi, dopo il fallimento de'gli altri mezzi di pressione messi in opera, avrebbero lo scopo di dimostrare mediante queste azioni violente l'impossibilità di mantenere la situazione attuale e l'impotenza del Governo di dominare la situazione.

Il Cancelliere austriaco che, ad onta dell'attuale tensione innegabilmente pericolosa, mantiene una perfetta calma, non vuole tuttavia lasciarsi trascinare allo svolgimento del partito nazional-socialista in Austria, per non dare nuovo pretesto alle violenze da parte degli hitleriani; vi ricorrerà, solo in caso estremo se spinto dalla necessità; c'è però nel Governo austriaco un partito che vorrebbe arrivare senz'altro a tale misura. Egli mi ha ripetuto quello che mi aveva detto già giorni addietro, che sua intenzione sarebbe quella di applicare le disposizioni dello stato di assedio, con una certa gradazione, secondo le circostanze, senza ricorrere alla designazione di «Standesrecht » che potrebbe dare l'impressione di una eccessiva gravità della situazione austriaca; la cosa che lo preoccupa è l'aiuto che i Nazi austriaci ricevono dalla Germania, aiuto di denaro, di armi (si sono trovate nel Tirolo mitragliatrici germaniche col munizionamento necessario) ed aiuto soprattutto morale. In questo ultimo riguardo si danno delle assicurazioni ai funzionari ed ai soldati che entrano nelle fila dei Nazi che il Governo austriaco non potrà fare nulla contro di loro, perché in caso di licenziamento provvederà la Germania ad indennizzarli e a mantenerli.

L'intervento germanico appare in tutti i dettagli delle azioni naziste austriache, ma evidentemente il Governo tedesco agisce in forma tale da poter sempre smentire una sua diretta azione.

Ci sono dei casi però dove tale intervento non è sconfessabile. Qualche giorno addietro un prete che aveva preso posizione contro i Nazi è stato attirato oltre la frontiera e da allora non se ne è avuta più notizia: si dice che sia in un campo dl concentrazione germanico. Evidentemente tutto ciò non può avvenire senza la connivenza delle autorità tedesche.

Se non ci fossero questi aiuti da parte della Geocmania, il Cancelliere non si preoccuperebbe affatto del movimento nazista, che -(egli è sicuro) -limitato alla sola Austria, potrebbe padroneggiare.

Mi dice che non può che lodarsi delle Heimwehren che sono pronte ad ogni appello e disciplinate e che non si lasciano attirare in reazioni inconsulte, il che srurebbe fare il giuoco dei Nazi.

Il Cancelliere prospetta la possibilità -e questa gli pare l'eventualità veramente preoccupante -che, dopo questo periodo di attentati, i Nazi possono fare una incursione in forza (egli parla di 20 mila uomini) nelle provincie di confine. Egli avverte che per tale eventualità è deciso ad usare dei mezzi di repressione più energici ed è sicuro di pote'r contare tanto sull'esercito che sulla gendarmeria e sulle formazioni volontarie. Evidentemente quando si arrivasse a questo punto la cosa potrebbe avere delle conseguenze molto vaste e potrebbe mettere seriamente in pericolo la pace.

Bisogna calcolare anche, come ha già avvertito in altre occasioni, con possibili reazioni ai confini cecoslovacco-jugoslavo (si sa che gli jugoslavi elevano pretese su parte della Carinzia e della Siria abitata parzialmente da sloveni). Si è esaminato insieme quale potrebbe essere la linea di condotta per ce,rcare di portare i ,rapporti tra i due Paesi alla normalità e comunque evitare un aggravamento degl,i stessi.

Il Cancelliere pone molta fiducia nel passo che l'Italia dovrebbe fare a Berlino e di cui si è parlato durante la sua recente visita a Roma. Ritiene anche che l'Inghilterra sarebbe molto bene disposta ad appoggiarlo, dato l'ambiente partico,la.rmente favorevole che egli ha saputo acquistarsi presso il Governo, la stampa e l'opinione pubblica inglese.

Io gli ho ripetuto che noi abbiamo sempre le migliori disposizioni per aiutarlo e che abbiamo tutto l'interesse ,a ristabilire la normalità dei rapporti tra i due Paesi.

Gli ho fatto presente la delicatezza di un nostro passo a Berlino, che se non fatto con estrema prudenza potrebbe pregiudicare anziché migliorare la situazione.

È probabile che il Governo di Berlino possa l1ispondere: l) -che egli si disinteressa dell'Austr-ia e che tutto quanto avviene in questo Paese succeda all'infuori del suo controllo e della sua possibilità di intervento; 2) -che è disposto a venire ad un accordo con l'Austria, ma per questo metterebbe delle condizioni, che probabilmente dal Cancelliere sarebbero dichiarate inaccettabili, per cui sarebbe poi lui a dare l'impressione della intransigenza. Il Cancelliere si rende conto di tali difficoltà ed aggiunge anche che quali che fossero le assicurazioni che potrebbero dare i tedeschi poi non sarebbero mantenute: egli ricorda, fra tanti altri fatti, quanto è successo in Baviera: Hitler ha dato espressa assicurazione che non si sarebbe mai mandato un Commissario del Reich in quel paese e viceversa pochi giorni dopo vi ha nominato con le funzioni di Commissario il Generale von Epp. È probabile che i tedeschi chiedano o di fare le elezioni o di assumere nel governo i Nazi, assieme ai cristiano-sociali eliminando gli altri partiti.

Egli non potrebbe accogliere né l'una domanda né l'altra.

Assumere oggi nel Governo i Nazi vonebbe probabilmente dire fare passare a quel Partito tutta la gioventù che oggi è incerta e che va o:rientandosi verso il fronte nazionale. D'altra parte l'impressione generale sarebbe quella che anche una modesta partecipazione dei Nazi rappresenta ril principio di un regime che un po' alla volta diventerebbe totalitario e quindi la f.ine della indipendenza dell'Austria.

D'altra parte i Nazi, malgrado tutte le garanzie che potrebbero dare al momento dell'assunzione nel Ministero in seguito non le manterrebbero ed approfitterebbero della loro posizione al Governo per spadroneggiare in modo assoluto.

Ho detto al Cancelliere che, essendo evidente che i nazional-socialisti hanno preso di mira l'Austria, perché ,ritengono questo il punto d:i minore resistenza, l'azione più efficace da svolgere dovrebbe essere quella di togliere loro tale illusione.

Le cLrcostanze attuali si svolgono per questo riguardo in modo favorevole all'Austria. Non c'é dubbio che l'Inghilterra può portare un notevole aiuto. Conv,iene però che l'eventuale azione inglese si svolga su una linea del tutto separata dall'azione italiana.

Siamo su due piani diversi in relazione ai diversi rapporti esistenti tra i due Paesi, Inghilterra ed Italia, con la Germania.

Secondo le mie impressioni personali forse si potrebbe far presente alla Germania la ripresa della campagna all'estero contro l'hitlerismo per l'atteggiamento da questo assunto nei riguardi dell'Austria; la Germania va di questo passo nuovamente verso l'isolamento.

Noi potremmo forse ancora far sapere alla Germania che ci sono altri Paesi che vorrebbero portare la questione alla Società delle Nazioni, e che noi siamo disposti ad impedirlo, purché la Ge,rmania si disinteressi veramente -e non a sole parole -della situazione politica interna dell'Austria.

Ho ass~curato il Cancelliere Dollfuss che avrei riferito ogni cosa al Capo del Governo perché egli possa prendere sulla base di questi elementi una declliione.

Il C&ncelliere mi ha espresso ripetutamente la sua gratitudine per il Capo del Governo che segue con tanto interesse la sorte dell'Austria e mi ha insistentemente pregato di richiamare la sua attenzione sulla serietà dell'attuale situazione.

Mi sono anche riservato di intrattenere ancora il Governo inglese su tale situazione, e credo che potrò farlo tanto più agevolmente in quanto mi è stato manifestato il desiderio di intrattenermi sull'argomento.

È intervenuto poi nella conversazione il Consigliere Schiiller che ha chiesto di facilitare l'Austria nei provvedimenti economici. Ho manifestato anche in tale riguardo la nostra migliore buona volontà assicurando che si sarebbe esaminata la questione di un allargamento dell'accordo del Semmering non con soli criterì tecnici, ma anche con criterì politici.

Il Cancelliere parte domattina e mi ha pregato di non perdere il contatto tra le due Delegazioni per seguire la situazione austriaca.

850

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL MINISTRO DEGLI ESTERI TEDESCO, NEURATH

APPUNTO. Londra, 16 giugno 1933.

Il Barone Neurath è venuto a trovarmi perr mostrarmi il progetto di nota da dirigere ai tre altri Stati partecipanti al Patto a Quattro.

Tale progetto, constatam.do che la nota dà delle interpretazioni a;rbitrarie all'art. 2 del Patto e al Covenant, deplora ril procedere del Governo francese, che non pare corrisponda allo spirito del Patto a Quattrro. Ho fatto presente al Barone von Neurath che di fronte a una nota del genere la Francia reagirebbe certamente trascinam.doci in una polemica. Il Ministro lo riconosce e dice che non vuole meare difficoltà nè a noi, col rinviare la firma del Patto, né a Daladier che egli ritiene comunque migliore di Herriot, che sarebbe forse il suo successore. Egli ha una certa esperienza di Herriot e su quanto sia difficile discutere con lui per la grandissima sua volubilità.

Ho informato von Neurath di aver parlato al mattino al Foreign Office e di essere giunti d'accordo alla conclusione che sarebbe stato meglio che la nota tedesca fosse diretta soltanto all'Italia, che avrebbe poi informato gli altri due Paesi.

Il Ministro aderisce a tale idea, deve però riferire a Berlino. Gli suggerisco di da;re alla nota il carattere di una riserva del tutto generica. Il Governo tedesco potrebbe forse dire che era a conoscenza dell'assicurazione che i francesi intendevano dare alla Piccola Intesa di mantenersi fedeli al principio dell'unanimità stabilita nel Covenant per l'applicazione dell'art. 19, ma che viceversa la nota francese pare che contenga altre interpretazioni del Covenant, di fronte alle quali la Germania deve fare le proprie riserve. Sarà appunto uno dei compiti del Patto a Quattro di risolvere una questione controversa del Covenant.

Il Ministro Neurath mi promette di farmi avere una risposta al più presto possibile.

851

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI BRITANNICO, VANSITTART

APPUNTO. Londra, 16 giugno 1933.

Essendo il Ministro Simon ancora ammalato, ho parlato oggi nuovamente col Segretario Generale Vansittart. L'ho informato dell'intenzione tedesca di fare una nota per chiarire la portata della nota diretta dalla Francia alla Piccola Intesa. Egli ritiene la cosa estremamente pericolosa specialmente se la nota fosse diretta agli altri tre Governi, in quanto il Governo francese non manterrebbe certamente il segreto: le indiscrezioni a Parigi sono all'ordine del giorno. Ciò vorrebbe dire che la nota sarebbe subito in mano alla stampa; se ne impadronirebbero poi i partiti d'opposizione per fare una campagna contro Daladier. Inoltre c'è il pericolo di suscitare una polemica che comunque rinvierebbe la firma del Patto. Io osservo che anche noi condividiamo tali preoccupazioni per cui siamo già da qualche giorno in discussione coi tedeschi i quali però non intendono lasciare senza una qualche risposta la nota francese.

Vansittart suggerisce che se il passo tedesco non si può evitare, la relativa nota sia diretta all'Italia che poi ne darà notizia, come crederà, agli altri Governi. Io rispondo che sono dello stesso avviso.

Lo informo che Daladier, a quanto mi ha detto questa mattina il Ministro delle Finanze francese, Bonnet, non ritornerà a Londra prima del 1° luglio, né verrà nel frattempo il Signor Paul-Boncour; gli chiedo se risolta la questione coi tedeschi il Governo inglese potrà fare delle pressioni a Parigi per sollecitare la firma. Lo metto al corrente della buona disposizione manifestatami in proposito dal Signor Daladier.

Il Signor Vansittart mi risponde in tono affermativo.

Il Signor Vansitta;rt mi dice poi di avere avuto un colloquio con Dollfuss. Mi informa delle notizie dategli da Dollfuss, notizie che sono già a nostra conoscenza, sulla situazione austriaca.

Mi parla anche del desiderio manifestatogli da Dollfuss che tanto l'Italia quanto l'Inghilterra facciano un passo a Berlino. Vansittart ha risposto a Dollfuss che tale passo gli pare pericoloso: egli ritiene che potrà essere molto più efficace intensificare la pressione, attraverso l'atteggiamento dell'opinione pubblica mondiale sempre più favorevole all'Austria.

Osservo a Vansittart che sono del suo avviso riguardo la delicatezza del passo; comunque non si tratterebbe in nessun caso di un passo in comune che potrebbe ledere la suscettibilità tedesca.

Io credo che l'Inghilterra possa dare un grande aiuto morale all'Austria: sarebbe anche molto opportuno se qualche membro della Camera dei Comuni sollevasse la questione. Vansittart ritiene la cosa possibile.

DoHfuss gli ha parlato anche del pericolo di un'eventuale incursione nazista in Austria chiedendo che cosa farebbe la Gran Bretagna in tal caso. Vansittart ha risposto che il Cancelliere potrebbe contare in tal caso sull'appoggio morale da parte dell'Inghilterra. Il Segretario Generale fa comprendere che non si tratta di appoggi di carattere materiale.

Infine Vansittart rileva che oramai l'opinione pubblica inglese è unanime nell'appoggiare l'Austria e nel ritenere fAnschluss un avvenimento deprecabile. Chiede di tenerlo al corrente se abbiamo notizie sulla situazione dell'Austria.

852

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'EX MINISTRO DEGLI ESTERI UNGHERESE, WALKO

APPUNTO. Londra, 16 giugno 1933.

Ho parlato coll'ex Ministro degli Esteri Walko, che è l'unico uomo politico facente parte della Delegazione ungherese. Gli ho detto che mi pareva il momento opportuno per intensificare i rapporti fra l'Ungheria e l'Austria. L'ambiente in q11esto momento è talmente

favorevole all'Austria ed alla sua campagna per la propria indipendenza, che probabilmente anche una manifestazione politica relativa ad un avvicinamento austro-ungarico non incontrerebbe eccessiva difficoltà.

Il Ministro Walko è d'accordo, ma r.itiene che oggi qualunque azione tendente ad una più stretta unione austro-ungarica sarebbe considerata come una manifestazione legHtimista e sfruttata a questo scopo dai legittimisti stessi.

Ho osservato che non mi pare che si possa compromettere una situazione politica di tale importanza come quella dell'avvenire dei due Paesi, per la questione della restaurazione che oggi è giudicata dalla generalità almeno intempestiva. Il Governo ungherese dovrebbe avere l'autorità necessaria per far stare tranquilli i legittimisti in tale occasione.

Il Ministro Walko interesserà della cosa il proprio Governo e mi farà sapere qualche cosa.

Egli m'informa anche che nel suo paese c'è una grande preoccupazione per l'Anschluss; è chiaro che la Germania per tale eventualità coltiva le minora-nze tedesche in Ungheria che dovranno essere il suo punto di appoggio per l'invasione, almeno economica, del Paese.

853

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 2699/1351. Mosca, 16 giugno 1933.

Ho l'onore di rispondere al telegramma per corviere dell'E.V. n. 960 R. (1).

La questione di un patto politico con l'URSS può essere considerata da due punti di vista: uno più ristretto, limitato alle sole parti immediatamente in causa, l'altro più lato, nel quadro generale della nostra politica europea.

Dal pr1imo punto di vista, credo si possa senza esitazione dire che, fin qui, l'interess·e italiano al mantenimento di buone rrelazioni con l'URSS abbia trovato soddisfazione e strumento adeguati: nel campo economico, in un sistema di accordi quali quello in vigore; nel campo politico, in una collaborazione libera, non contenuta ed appoggiata a patti, ma svolgentesi sulle linee di coincidenze di interessi naturali o contingenti. Sistema di collaborazione particolarmente adatto a paesi aventi regimi sì opposti e quindi .rifuggenti, sempreché possibile, da legami formali.

Questa la situazione preesistente. Essa non mi sembra fondamentalmente mutata. Per di più, il momento attuale trova il rapporto del1e forze politiche dei due paesi sempre più migliorato a nostro vantaggio: l'URSS minata dalla sua debolezza interna e .indietreggiante di fronte alla pressione del Giappone; l'Italia valorizzata dal Patto a quattro e, specie nei riguardi dei Soviet, dalla sua posizione di intermediario con la Germania Hitleriana e per ciò stesso

61 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XIII

praticamente in grado di ricavare dall'URSS, a-nche senza l'appoggio di patti, quel tanto che essa sia capace di dare. Dal punto di vista, dunque, degli interessi immediati dei due paesi l'esame del problema dovrebbe portare a conclusioni di prevalente carattere negativo.

La cosa può invece cambiare aspetto se considerata nel quadro della politica generale, in cui essa si presenta in funzione e dipendenza di un complesso di altre questioni e di altri rapporti. Esaminiamone i principali:

l) Situazione franco-sovietica -La manovra, auspice Berthelot, delineatasi già due anni or sono e ,intesa a togliere alla Germania la «carta russa», ha avuto compimento ora in condizioni capaci, in ragione dell'avvento hitleriano, di garantirne assai più di prima il successo. Nelle relazioni tra la Russia sovietica e la Germania hitleriana si è determinata, anche grazie all'intervento nostro, una détente, ma esse non potranno più tornare quelle di prima. La Hnea di Rapallo, come direttrice principale, se non unica della politica europea sovietica, è da ritenersi virtualmente superata. Il Fascismo, portato da Hitler quasi alle porte dell'URSS, costituisce per questa un pericolo troppo grave perché non debba agire come fattore limitativo della stessa convergenza di comuni interessi, specie economici. Un patto politico con ,I'URSS potrebbe quindi servire forse a far passare, o meglio a darne l'impressione, la carta russa, nei limiti in cui è perduta dalla Germania, a-nche un poco nelle nostre mani.

2) Situaz·ione polono-sovietica e situazione Soviet-Piccola Intesa -Con l'avvento dell'Hitlerismo, la Polonia si è avvicinata alla Russia quasi di tanto di quanto la Russia si è allontanata dalla Germania. Ha pure agito e forse continuerà ad agire a favore di questo riavvicinamento paiono-sovietico il complesso di interessi che si appuntano contro il «patto a quattro». Una situazione analoga si verifica fra la Russia ed in genere .i Paesi della Piccola Intesa, H cui riavvkinamento ai Soviet può essere ormai considerato più che altro una questione di tempo.

Poiché, tanto nel caso della Polonia quanto in quello della Picco.Ia Intesa, analogamente a quanto accade per la Francia, questo determinarsi di situazioni nuove, senza costituire per l'Italia un pericolo vero e proprio, porta comunque uno spostamento di forze suscettibile di andare ·relativamente a suo svantaggio, si può concepire che l'Italia cerchi di reagire o premunirsi, dando formalmente ai suoi rapporti con la Russia una maggiore stabilità e saldezza.

3) Patto a quattro -La posizione della Russia in materia è nota. La sua ostilità al Patto è contenuta, ma irriducibile. L'URSS potrebbe quindi sentirsi sospinta verso la Francia, la Polonia e la Piccola Intesa -già le maggiori forze di resistenza al Patto -in quanto le più atte a ga.rantire, ora, che il funzionamento pratico del patto stesso non si svolga ai suoi danni. È quindi concepibile fra Italia e URSS una specie di riassicurazione mutua attraverso un patto politico. L'analogia con la situazione germano-sovietica all'1ndomani di Locarno non è completa, ma si presenta ovvia.

4) Questa riassicurazione può apparire tanto più opportuna in quanto, sotto la pressione degli eventi, var.ie posizioni intemazionali della Russ,ia si vanno modificando (valga la nuova attitudine russa sullo stesso revisionismo) diminuendo così l'ampiezza del campo di coincidenze naturali fra la politica italiana e quella sovietica.

5) Come ho fatto presente in rapporti precedenti, l'URSS, nonostante le sue profonde debolezze costituzionali ed istituzionali, esercita politlicamente un peso, che le deriva dalla sua massa. Questo peso, che non è trascurabile, si sta ora per effetto delle stesse rinunzie sovietiche in Estremo Oriente, spostando e concentrando verso l'Europa, ove quindi la presenza dell'URSS sarà sempre più sentita.

6) Non è escluso che di ciò si possano in futuro vedere gli effetti (specie quando il riconoscimento dell'URSS da parte della Piccola Intesa fosse già avvenuto) anche in un settore dell'Europa per noi particolarmente importante, quello Balcanico, ove peraltro, a simiglianza di quanto accade per altri settori e per altri paesi, una Russia sovietica offrirebbe anche a noi minori resistenze, se non proprio maggiori possibilità, di una Russia Tzarista. In vista di questo un patto politico con l'URSS potrebbe costituire per noi una utile presa di posizione per l'avvenire.

• * •

Come si vede, la possibilità di un patto che faccia stato della continuità e stabilità dei rapporti itala-sovietici, per darvi uno sviluppo ·rispondente agli interessi rispettivi, è tutt'altro che dnconcepibile. Che anzi, ove V. E. pesato il pro e il contro credesse nella sua alta saggezza di or,ientarsi definitivamente per questa via, sarebbe possibile assegnare ad un tale patto, oltre a funzioni generiche, anche una funzione specif,ica e relativamente vitale, inserendolo -il che gli imprimerebbe il carattere della normalità e del realismo -nel sistema dei patti italo-turco e italo-greco, di cui potrebbe essere come la integrazione ed il rafforzamento. Data la ·interdipendenza fra la politica turca e quella sovietica, un nostro patto politico cosi orientato potrebbe riuscire utile anche agli effetti della Turchia che, sentendoci più vioini alla Russia, si sentirebbe essa stessa ·a sua volta più vicina a noi. Ed appunto a questo sistema il nuovo patto itala-sovietico dovrebbe accostarsi il più possibile anche nelle caratter:istiche e nella forma.

Un patto con l'URSS non potrebbe essere un patto di amicizia, ma neanche un patto di non aggressione, nonostante la esteriore maggiore consonanza di questa forma alla peculiarità delle parti contraenti. Esso dovrebbe essere, a mio rimesso parere, un «patto di neutralità e di conciliazione».

Non un patto di non aggressione, perché questo lo farebbe senz'altro una brutta copia di quello francese, per ciò stesso ·r·endendolo fatalmente soggetto a meschine svalorizzazioni. Ho detto «brutta » copia, perché, fra l'altro, il patto italiano dovrebbe rimanere forzatamente indietro a quello francese in parecchi rispetti, specie nelle pattuizioni economiche e commerciali (art. 4), nel cui campo sarebbe rischioso per noi fare concessioni eguali a quelle fatte dalla Fmncia.

Un patto di non aggressione con l'URSS non avrebbe neanche molto senso. Lo stadio della non aggressione dovrebbe ormai, fra i due paesi, rdtenersi superato da circa un decennio di relazioni, a differenza di quelle con altri paesi caratterizzate da una indiscutibile stabilità e continuità. Tutto ciò verrebbe ad essere svalutato ed anzi posto nel nulla da un patto d[ non agg.ressione, che ci riporterebbe indietro e non costituirebbe, neanche formalmente, quel passo in avanti che la nuova stipulazione dovrebbe log,icamente proporsi.

Per di più, i pattli di non aggressione, attraverso la estesa applicazione fattane specie ultimamente dalla Russia, hanno acquistato per così dire una marca sovietica, che sarebbe meglio evitare.

Indubbiamente preferibile, quindi, un patto di neutralità e conciliazione (o di neutralità e consultazione) il quale, mentre eviterebbe di metterei in concorrenza con patti similari del sistema francese, risponderebbe di più alla realtà della sua fun:mone e quadrerebbe perfettamente con lo spir·ito e la lettera non solo dei patti itala-greco e itala-turco, ma persino di quello germano-sovietico e turco-sovietico, nel cui sistema troverebbe una inserzione naturale e perciò più efficace.

Partendo da una riaffermazione del principio del non ricorso alla forza, il patto potrebbe stipulare un obbl:igo reciproco di neutralità in caso di conflitto con terzi, affidando la garanzia del pacifico e normale sviluppo delle relazioni fra i due paesi, da una parte ad una procedura di conciliazione per tutte le questioni contenziose, dall'altra ad un sistema di consultazioni (tipo art. 4 trattato con la Grecia) su tutte le questioni politiche di interesse comune. Un sistema di consultaZJioni, mentre accrescerebbe il valore della stipulazione agli effetti del complesso di azioni e reazioni del Patto a quattro, sarebbe particolarmente consigliabile con un paese come l'URSS, il fondamento della cui politica è il sospetto.

Ciò premesso ad .illustrazione della funzione assegnabile ad un patto politico con l'URSS e della forma che esso potrebbe utilmente 11ivestire, devo aggiungere un avvertimento, nel caso dell'URSS più necessario che in altri.

L'URSS è per eccellenza un paese che ha bisogno di tutti e cerca l'accordo con tutti. Tranne forse che con la Turchia, io non la ritengo «legata» con nessuno. Anche a proposito del patto franco-sovietico, ha tenuto ad ammorui.re che essa ha bisogno di una «politica indipendente>> e che «non si immischia nella lotta fra gli Stati borghesi» (lsvestia del 22 maggJo).

Né l'URSS offre mai internazionalmente, nel campo politico non meno che in quello economico, contropartlite adeguate.

Non bisognerebbe quindi, al caso, attendersi da un patto con l'URSS -anche agli effetti commerciali ormai già scontati attraverso gli accordi in V<igore -ràsultati diversi e maggiori di quelli essenzialmente figurativ•i, e nei riguardi dei terzi, del resto •in maggiore o minore misura caratteristici di tutta in genere questa categoria di patti.

Questo quanto agli effetti tangibili ed alla pratica utlil<ità di un patto.

Devo ancora toccare un ultimo punto: quello della convenienza dd un patto politico nel momento dato. È assai difficile giudicarne. È mia opinione peraltro che la misura di questa convenienza ci debba essere ora data dal prezzo stesso che I'URSS mostrerà di annettere alla nego:mazione del nuovo patto.

L'Italia fascista, dando alla Russia sovietica un patto politico, le darebbe formalmente il massimo che le può dare, e ciò per giunta in un momento particolarmente utile per essa e cioè di acuta tensione anglo-sovietica. Bisognerebbe essere sicuri che l'URSS apprezzasse tutto questo, in pieno. L'occasione per mostrarlo l'URSS ora ce l'ha. Il Governo sovietico dovrebbe cogLierla con entusiasmo e senza condizioni o riserve. Se così non facesse, si esporrebbe da sé ad un riesame della situazione che non potrebbe riuscire che ai suoi danni.

(l) Cfr. n. 572.

854

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GRANDI, E A PARIGI, PIGNATTI, E AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. 5915 P.R. (l) Roma, 17 giugno 1933, ore 12.

(Solo per Londra e Vienna):

Ho telegrafato a Parigi quanto segue:

(Per tutti) S. E. il Capo del Governo aveva diretto a S. E. Suvich il seguente telegramma: «Faccia intendere a Dollfuss che intervento capitalisti francesi nella elettrificazione ferrovie austrriache sarebbe un portare moltissima acqua al molino dei nazi. È un grosso errore che si deve evitare».

Poiché Dollfuss ha nel frattempo lasciato Londrra per Parigi ove conterebbe incontrarsi con Daladier prego V. E. fare tale comunicazione a Dollfuss a nome di S. E. il Capo del Governo.

855

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, E AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, A LONDRA

T. PER CORRIERE 2728/429 R. Parigi, 17 giugno 1933.

Questo ministro d'Austria ha fatto stamane al consigliere della R. ambasciata le seguenti dichiara:z;ioni sui colloqui di ieri tra cancelliere austriaco e Daladier e Paul-Boncour.

La ques1li.one dell'emissione del prestito austriaco non ha fatto alcun progresso. Ministri fmncesi hanno rinnovato precise assicurazioni circa loro fermo intendimento di autorizzare l'emissione del prestito, come del resto è stato già deliberato in consigLio ministri; quanto però alla data di emissione hanno insistito che essa non potrebbe essere anteriore al 10 luglio p.v. Come ministro finanze signor Bonnet aveva già dichiarato al ministro austriaco (2) ed ha confermato a Londra a Dollfuss, Governo francese intende lanciare subito un prestito interno e non ritiene assolutamente opportuna contemporaneità delle due emissioni sul mercato francese. Questa circostanza è stata ieri addotta

contro richiesta austriaca, anche da Daladier, il quale ha specificato che il prestito interno francese vorrebbe raggiungere la cifra di 2 e 3 miliardi di franchi.

Paul-Boncour ha poi prospettato le difficoltà di carattere politico che sono dovute all'opposizione del partito socialista per l'emissione del prestito all'Austria. Egli ha detto che presto dovrà intrattenere su tale questione la commissione degli esteri della Camera, ma che ritiene di non riuscire a vincere l'opposizione dei socialisti; unica solm>ione è quindi di emettere il prestito dopo la chiusura della Camera evitando così ognd difficoltà parlamentare. Ministri francesi, dopo aver prospettato tali difficoltà, hanno però concluso che alla data Lndicata e cioè alla fine della prima decade di luglio l'emissione sarà senza dubbio autorizzata. Diplomatico austriaco commentava che insistenza su data 10 luglio che corrisponde a quella della chiusura della Camera non può non suscitare impressione che vere difficoltà siano d'indole politica e coincidenza emissione prestito interno francese sia stata posta innanzi per non confessare in pieno difficile situazione parlamentare gabinetto Daladier. E ciò tanto più che, oltre che su operazione prestito interno, altresì su data emissione quello austriaco, il Governo francese ha chiesto a Dollfuss vincolo assoluta segretezza.

(l) -A Vienna 11 presente telegramma venne inviato per corriere. (2) -Preziosi aveva rifer1to a proposito del T. per corriere 2681/423 R., del 14 giugno, noll pubbllcato.
856

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, E AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, A LONDRA

T. PER CORRIERE 2725/431 R. Parigi, 17 giugno 1933 (per .il 19J.

Mi sono intrattenuto stamane con questo ministro degli esteri del patto a quattro, in vista della prossima presentazione al Senato. Il signor Paul Boncour si prepara di dare alla commissione degli esteri del senato le necessarie spiegazioni su quell'accordo. Egli spera che non sia necessario andare oltre, ossia che s,ia evitata una discussione pubblica al Senato. Ad ogni modo il ministro si dice sicuro che non si avranno sorprese.

Il signor Boncour ha visto ieri Herriot e l'ha trovato irriducibile nella sua opposizione al patto. Boncour dispera in un mutamento da quel lato, ma è convinto che l'ex presidente del consiglio «non oserà» prendere un atteggiamento eLi palese opposizione alla Camera.

Ho mosso poi il discorso sulla firma del patto, rappresentando l'urgenza di farvi luogo. Il ministro ha annuito in massima, soggiungendo di ir-ìtenere tuttavia necessario per preparare una buona accoglienza del patto davanti all'opinione pubblica francese, di avviare prima conversazioni su alcuni problemi interessanti le relazioni itala-francesi. Il ministro ha precisato che non si tratta di ni.solvere le questioni controverse, ma semplicemente di metterle su buona Viia per facilitarne il definitivo regolamento. Per parte mia ho mantenuto il mio punto di vista. Ho detto che un ulteriore ritardo frapposto alla firma del patto riuscirebbe inspiegabile in Italia. D'altra parte solo dopo che il patto sarà perfezionato in tutto, si potrà farlo efficacemente funzionare. Il ministro mi ha dichiamto a questo punto che, in ogni caso, non è possibile prevedere la ratifica del patto prima della ripresa autunnale del Parlamento.

Ho l'impressione che il Governo, che si sente debole e insidiato da nemici e specialmente da alcuni amici, evriti, per quanto possibile di dare occasione a che si riaccenda una discussione sul patto mentre la Camera è aperta. È qui opinione generale che il Gabinetto metterà tutto in opera per abbreviare la sessione pa11lamentare che potrebbe prendere termine nei primissimi giorni di luglio. A Camera chiusa il Governo, che ha già i poteri necessari per farlo, si sentirebbe più libero nei suoi movimenti e potrebbe firma.re senza timore di temibili conseguenze. Il fatto che il Senato -nella grande maggioranza favorevole al patto -non dimostra grande fretta di occuparsi di quell'accordo, e che il ministro degli esteri spera di cava.rsela intendendosi con la commissione senatoriale senza affrontare una nuova discussione politica, può indicare che l'alto consesso intende clii facilitare la manovra del Governo.

Se le intenzioni del Gabinetto corrispondono realmente alle .impressioni che ho esposte, mi pare che si potrebbe da parte nostra facilitare il compito del presidente Daladier, attendendo fiduciosi che il Parlamento prenda le vacanze estive, per procedere alla firma del Patto.

Procurerò di chiarire le cose e riferirò.

857

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2754/102 R. Vienna, 17 giugno 1933 (per. il 21).

I giornali simpatizzanti col Governo hanno messo in gran rilievo la cordialità delle accoglienze fatte a Londra al cancelliere Dollfuss. Le citano più come argomento di conforto, che di esaltazione del Capo del Governo. E tale sentimento risponde alle profonde preoccupazioni destate dalla recente tensione austro-tedesca.

La diretta mr:.erenza del Rerich nelle cose austriache ha posto infatti in magg·ior luce la sproporzione fra le due Parti contendenti e la pochezza delle forze politiche interne su cui si basa il cancelliere: donde il più acuto bisogno di sentire la simpatia e la protezione delle maggiol1i Potenze occidentali.

Tra queste potenze l'Inghilterra ha avuto i maggiori onori. Anc:he la Francia ha avuto qualche segno di simpatia, specie per il linguaggio della sua stampa.

Tuttavia, ciò che va notato è che il cancelliere, con la sua andata a Londra, è riuscito a conciliarsi e a rendere pubblicamente manifeste le simpatie inglesi e francesi per la causa dell'indipendenza dell'Austria. Così egli ha potuto dichiarare oggi al suo g~iungere a Vienna che dette due potenze, assieme all'Italia, confortano con le loro calorose simpatie l'opera che egli svolge per l'avvenire del suo paese.

858

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL COMMISSARIO DEL POPOLO PER GLI ESTERI SOVIETICO, LITVINOV

APPUNTO. Londra, 17 giugno 1933.

Ho incontrato Litvinov, che non conoscevo, al ricevimento reale a Windsor. Gli ho chiesto se aveva visto l'ambasciatore Potemkin che era partito da Roma per Ginevra per .incontrarlo.

Mi ha risposto affermativamente e mi ha detto di avere appreso da lui dell'idea del Capo del Governo di fare un accordo politico con la Russia (1).

Mi ha chiesto quale portata dovesse avere tale accordo.

Gli ho chiarito che è stato l'ambasciatore Potemkin che prima di partire per Ginevra e Mosca e di incontrarsi con lui -Litvinov -era venuto a chiederci se una eventuale proposta di un accordo politico a complemento del recente accordo commerciale sa·rebbe stata bene accolta in Italia, intendendo egli prospettare la cosa al Governo sovietico.

Il Capo del Governo ha risposto che l'iniziativa sarebbe stata bene accolta.

Riguardo alla portata dell'accordo noi siamo in attesa di qualche ridea più precisa da parte sovietica. Ad ogni modo ci pare che la cosa potrebbe riattaccarsi alle conversazioni che avevano avuto luogo un paio di anni addietro fra lui -Litvcinov -e Grandi a Milano (2).

Litvinov, senza tuttavia dare una risposta precisa, mi è parso aderire a questa idea.

Mi ha chiesto poi se avevo v.isto il memoriale Hugenberg.

Alla mia risposta affermativa mi ha detto che egli ne era rimasto indignato; che coi tedeschi non si capisce più nulla.

Dopo le dichiarazioni del Cancelliere ed i colloqui di Berlino si doveva ritenere che d. rapporti coi russi ed i germanici avrebbero dovuto migUorare. Ora invece si riapre la questione.

Egli ha dovuto dare un'intervista ad un giornale inglese che non farà certamente piacere in Germania.

Osservo a Litvinov che bisogna vedere se il memoriale è l'espressione del Governo tedesco o non piuttosto una espressione personale dii Hugenberg. Effettivamente in Germania ci sono molte teste e bisogna perfezionare il sistema di coordinamento. Litvinov mi risponde: «Si, molte teste, e neanche una buona».

Aggiungo che probabilmente all'iniziativa Hugenberg non si deve dare altra interpretazione che quella di un desiderio di collaborazione colla Russia per metterne in valore, anche con l'aiuto dell'estero, le grandi risorse. Litvinov non mi è parso però d'accordo con questa interpretazione benevola.

(l) -Cfr. n. 572. (2) -Cfr. serle VII, vol. IX, n. 411.
859

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 17 giugno 1933.

Questo Ministro di Ungheria ha informato che il suo Governo ha attirato la sua attenzione sulle dichiarazioni fatte recentemente dai Ministri Vaugoin e Fey, secondo le quali Vaugoin avrebbe ricevuto delle lettere dalla Germania in cui si esprime la speranza che l'Austria potrà difendere la sua indipendenza e evitare che si dete·rmini in Austria una situazione analoga a quella che esiste attualmente in Germania.

Fey a sua volta ha dichiarato che difenderà l'Austria contro la «peste bruna'>.

Il Governo di Budapest osserva in proposito che, finché Ministrà responsabili austriaci adoperino un simile linguaggio, sarà molto difficile che i irapporti tra Vienna e Ber1ino ridivengano normal:i.

P. S. Da un telespresso in data 12 c.m., giunto successivamente alla comunicazione fatta dal Ministro d'Ungheria, risulta che l'espressione incriminata sarebbe stata pronunciata, non dal Ministro Fey, bensì dal Principe Starhemberg in occasione della riunione di Krems dell'H c.m.

860

IL MINISTRO A TIRANA, KOCH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 2043/816. Tirana, 17 giugno 1933 (per. il 19).

Dai notiziari che vengono settimanalmente trasmessi dai R. uffict consolari dipendenti, e di cui invio copia a codesto R. Ministero, si può rilevaire che le condiz,ioni generali del paese vanno divenendo sempre più crimche.

Aggiungerò che va qui aumentando la sfiducia nel Governo e si fa una seria critica allo stesso regime. La popolazione si domanda perché Re Zog ha voluto aggravare le difficoltà in cui da tempo versa il paese mettendosi in urto con l'Italia, dato che non risultano serie ragioni che giustificano tale atteggiamento. D'altra parte il popolo che aveva sempre la convinzione di non trarre nessun diretto vantaggio dall'apporto finanziario 1taliano, reputando che esso andasse soprattutto a beneficio dei dirigenti -del Capo dello Stato in primo luogo -e che comunque fosse ben minimo il vantaggio che poteva venire a lui dai lavori eseguiti con quei denari, si accorge ora che tuttavia la situazione economica del paese si è andata sensibilmente aggravando da quando, con la sospensione del prestito, è stato necessario al Governo di prendere provvedimenti che, come quello della interruzione dei lavori, hanno evidentemente aggravato il disagio di molte categorie di persone. Esso ne prende particolarmente motivo per lamentarsi delle classi dirigenti.

Re Zog sembra essersi sbagliato seriamente sulla psicologia del suo popolo, forse anche perché vive da anni distaccato da lui. Egli credeva di poter far leva sull'atteggiamento assunto dall'Italia per cercare di cattivarsi le simpatie del popolo, tentando di rigettare sull'alleata la responsabilità delle critiche condizioni in cui il paese si trova. Ha creduto d'altra parte con questo suo modo di agire, quasi spavaldo nei nostri riguardi, di impressionare il Governo di Roma sempre nell'intento di guadagnarci qualche cosa. In par,i tempo egli ha inteso infliggere un severo monito alla popolazione cattolica e particolarmente agli Ordini religiosi di Scutari per la loro devo21ione all'Italia, facendo loro vedere che egli era in grado di affrontare tranquillamente l'Alleata in questo campo. Si è visto però che il Governo di Roma non si' è punto impressionato dei provvedimenti da ,lui presi, ha mantenuto 1 cordoni della borsa chiusi; che la popolazione cattolica incoraggiata dalla linea di condotta della

R. Legazione -improntata al massimo ,riserbo e ad una inoperosa attesa non si è mostrata punto pavida, rassegnata, creando anzi sempre maggiori difficoltà al Governo Centrale; che tutte le correnti ostili della popolazione: quella dei Dibrani, punto concordi nel sostenere il regime, malgrado la ridicola formalità della «Besa » giurata nel gabinetto del Re, quella dei Mirditi e Dukagijni sempre più ostile e sempre più in contatto con gli stessi Dibrani, e quella delle genti del sud, pronte a manifestare il loro sopito rancore contro il Re; tutte quelle correnti -ripeto -vanno rialzando la testa, fin qui tenuta piegata soprattutto perché a sostegno del Regime c'era la Grande Potenza dell'altra sponda. Si aggiunga che dalle notizie raccolte da alcuni agenti e da qualche manifestazione diretta sembra che certi capi influenti che lavorano in territorio jugoslavo contro di noi per la principale ragione che noi sosteniamo il regime da loro avversato (fra questi lo stesso Gani bey Kryeziu) cercano ora contatti con noi. Molti fuorusciti -da qui è più facile seguire quelli che operano nella vicina Corfù -vanno da parte loro particolarmente agitandosi in questi giorni.

È evidente che a mano a mano che i rapporti fra Italia e Albania, perdurando tale situazione, diventeranno più tesi, questo lavorio si accentuerà e l pericoli di possibili sconvolgimenti aumenteranno.

Questa R. Legazione assiste, con calma impassibilità, a questo stato di cose, non prestandosi tn nessun modo, né con nuovi contatti né con aiuti, inutili

o quanto mai intempestivi, a forzare gli eventi, sicura che essi dovranno fatalmente maturare in un senso o nell'altro. Si vedrà meglio in un prossimo avvenire quale sviluppo essi prenderanno e sarà allora il caso di agire in modo da valorizzare le circostanze, quali esse si verificheranno nella maniera più utile per affermare saldamente la nostra posizione in questo Paese.

C'è da credere che Re Zog che, a quanto mi si riferisce, si preoccuperebbe già seriamente del malcontento del popolo, pensi a tornare «pulitamente » a Canossa. Egli deve ormai rendersi conto di aver fatto un grosso errore nella macchinazione da lui architettata coll'atteggiamento assunto nei nostri riguardi, quello di aver creduto che l'Albania è indispensabile nel giuoco politico dell'Italia, che pertanto egli si sa,rebbe potuto permettere di prendere liberamente provvedimenti contrari all'influenza italiana in Albania -anche se limitata al campo culturale -provvedimenti che sono conformi a quella

politica ormai palese che è diretta a tutto prendere dalla collaborazione italiana cercando di non dare nulla. L'Italia, dopo un po' di risentimento a parole, avrebbe ingoiato; egli si sarebbe adoperato a rendere più facile questo adattamento da parte dell'Alleata, turbandola con manovre fiancheggiatrici, intensificando cioè colloqui con Ministri stranieri, pronti a cogliere ogni circostanza per impressionare le Cancellerie Europee sui rapporti itala-albanesi, e provocando intrighi, che hanno per esponenti i nomi dei Mehemet Bey Conitza, dei Rauf Fitzo et similia e come scopo quello di far credere a possibilità di nuovi ol'ientamenti finanziari e politici.

li calcolo è riuscito male. L'Italia questa volta non si è prestata al giuoco. Considerato l'atteggiamento preso dal Governo di Tirana come un'alterazione delle condizioni di collaborazione concordate al momento dell'apporto finanziario così generosamente elargito all'Albania, essa ne ha sospeso il funzionamento, fino a che detto Governo non si renderà conto della necessit~ per lui di chiarire, di rivenire cioè al giusto ristabilimento delle posizioni, riportando la propria parte di utile nella comune collaborazione alle sue reali proporzioni. La conclusione del Patto a quattro è servita a far perdere ogni speranza sulla possibilità di continuare quella attività, così cara a questa mentalità, delle manovre e dei ricattucci nel campo internazionale.

Credo che si sia ormai qui dell'idea -come ripeto -d.i scendere dal piedistallo dell'intransigenza. Si ha un po' di difficoltà a rassegnarcisi. Si sta cercando di facilitare la ripresa gettando la responsabilità di questo stato di cose sulla Legazione che ha travisato le intenzioni del Governo albanese; che non ha mostrato generosità verso il piccolo alleato, che può facilmente erra,re essendo giovane, inesperto e povero; e che non si mostra punto conciliante ed è intrattabile. Il Governo quindi ha tentato di impietosire direttamente il Capo del Governo a Roma, incoraggiato dal signor Shtylla, che dai colloqui che ebbe costà prendendo congedo, ha creduto bene dare l'impressione che a Roma si hanno disposizioni favorevolissime per l'Albania. Dagli emissari ufficiosi si è passati alla Delegazione ufficiale composta dal Ministro degli Affari Esteri incaricato di chiarire i «malintesi» e di quello delle finanze incaricato forse di chiedere altri denari. Po.i Re e Governo si sono ,resi conto che la Commissione potrebbe torna,re senza successo ed allora si è detto che sarebbe preferibile non partisse senza gettare qui una base seria di discussioni; rompere il ghiaccio insomma mettendo da parte inutili suscettibilità e venendo con am.ichevole sincerità a spiegarsi, ricredersi e emendarsi.

Ieri il Ministro della Corte si intrattenne lungamente con me sulla situazione !asciandomi intendere che questo è ormai il pensiero del Re. È forse vero. Ma non mi fido né del messaggio né del messaggero. Conviene tranquillamente aspettare. Il tempo lavora a nostro favore.

A complicare la faccenda -o a facilitarla -sta il verificatosi peggioramento della salute del Re, che dopo il noto attacco degli scorsi giorni non si è ristabilito e lascia temere da parte di alcuni suoi vicini in qualche prossima ricaduta, che potrebbe essere grave.

Citerò un fatto sintomatico. Il primo aiutante di campo del Re, Colonnello Sereggi, ha intestato l'altro ieri le sue proprietà a nome della moglie -austriaca -non so se per il timore di un fatale esito della malattia del Re o se per ,la sua religwne cattolica, che lo metterebbe in una delicata posizione se venissero ad acuirsi seriamente i rapporti f,ra il Re e il clero, aggravatisi questi giorni per la lettura pubblioa della nota Pastorale. Forse l'uno e l'altra causa hanno influito sulla sua decisione.

861

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. P. 2719/73 R. Londra, 18 giugno 1933, ore 2,40 (per. ore 16,45).

Da comunicazione Pignatti (l) rilevo che pare escluso possa firmare patto prima della discussione Senato che avverrà non prima fine prossima settimana e più probabilmente inizio settimana susseguente. Attualmente delegazione francese Londra circoscritta elementi tecnici. Neurath che si rende conto necessità non creare nuove difficoltà e che mi ha promesso sollecita tr~sposta parte domani o al più tardi dopo domani per Berlino. Foreign Office assicuratomi momento in cui s?remo pronti per firmare disposto fare pressioni su Parigi. Tali r<mdizioni ed avendo esaurito programma colloqui Londra ritengo inutile prolunga,re mia permanenza qui; osservo anche manifestatomi da tutte le parti desiderio firma avvenga a Roma. Salvo ordini contrari di V. E. partirei domani nel pomeriggio lunedì per essere Roma martedì sera.

862

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 1104/377. Ankara, 18 giugno 1933.

Allorché Tewfik Rustu rientrò ad Ankara. reduce dalle ultime riunioni di Ginevra, tenne a dirmi che si doveva a lui se le ultime esitazioni della Piccola Intesa, e quindi della Francia, sul Patto delle Quattro Potenze Occidentali erano state superate. Me ne compiacqui con lui con tanto maggior calore in quanto tale suo preteso intervento contrastava felicemente con lo stato d'animo di contrarietà e dì pessimismo che egli aveva lasciato trapeiare a fine aello scorso aprile allorrhé pg,rtiva per recarsi a Ginevra. Egli mi rispose che quello stato d'animo derivava da ignoranza e dal sentimento di amor proprio offeso: che però i colloqui da lui avuti con l'Ambasciatore Aloisi lo avevano illuminato in tempo.

È superfluo cure che bisogna fare le più ampie tare sull'asserito fattore decisivo di Tewfik Rustu per l'accettazione del Patto a quattro: ma qualche

insegnamento rimane dalle parole di lui; e precisamente che innanzi al volgere degli avvenimenti in una sfera di pensiero e di finalità superiore a quella in cui si mantenevano il pensiero e le finaldtà del Governo turco, questo si è affrettato a non rimanere troppo lungamente esposto col fianco contro vento ed ha finito con abbandonarsi al filo della corrente; anzi, per non lasciarsi accusare di essersi fatto portare a rimorchio come un peso inerte si è affrettato a far credere di avere avuto nel successo una parte attdva.

A parte queste manifestazioni del Ministro degli Esteri, la realtà è che il Governo turco è stato piuttosto freddo e riservato intorno alla firma del Patto a quattro. L'enorme interesse suscitato nel mondo da questo avvenimento che ha mutato la instabile e pericolosa piattaforma europea in una base di costruttiva collaborazione, ed il sollievo che l'umanità ha ritratto per l'aHontanamento delle nubi che si addensavano all'orizzonte e per la ripresa psicologica della fiducia che può servire così notevolmente a superare il punto della crisi economica, non hanno trovato una adeguata corrispondenza in questo Governo. Nessuno ha potuto celare l'ammirazione per il successo di V. E. che anche qui è stato definito «il più alto sforzo finora compiuto verso la pace »; ma qui sta il punto: la Turchia ama, sì, la pace; ma non ama altrettanto la buona intesa tra le Potenze europee.

Ho già riferito a V. E. che vi sono molti elementi personali e di prestigio che hanno f,atto attraversare alla Turchia, anzi al Governo turco, momenti di vera insofferenza all'idea del Patto a quattro; ho anche messo in rilievo che vi sono ragioni di interesse manovriero a sfruttare costantemente la competizione deHe Potenze europee. Mano mano poi che si penetra nello spirito di questo Governo si avverte che il passato ese,rcita ancora una grande influenza sopra di esso per la necessità in cui esso si sente di romperla con la sua vecchia storia.

Innanzi al «grande malato >> turco vi è stato sempre un «concerto europeo». Come tutti i malati il cui polso accelera innanzi al consulto dei medici, la Turchia agonizzava più per le cure funebri che le apprestava 'il concerto europeo che per intrinseche infermità. Ora, per quanto mutati siano i tempi ed i metodi politici, il Governo turco vede sempre nell'intesa delle grandi Potenze la possibilità di un ritorno alle antiche concezioni che facevano della Turchia un paese destinato alla spartizione. Errore di conoscenza del mondo moderno ed errore anche di valutazione del proprio sforzo di differenziazione dalla Turchia de'i fanatismi religiosi, incapace di una convivenza giuridica col mondo occidentale, e per giunta assisa sopra basi territoriali antinazionali.

Dalla intesa delle grandi Potenze Occidentali la Turchia teme poi in maniera specifica:

a) l'accordo Halo-francese, del quale essa crede di veder derivare la divisione del Mediterraneo in sfere di influenza, di cui quella orientale riservata all'Italia;

b) ~la soLidarietà delle Grandi Potenze nel mantenere incrollabilmente il trattato di Losanna e le clausole relative agli Stretti.

Inoltre, con l'ammissione della Germania nella piena capacità di fattore determinante della politica mondiale, la Turchia sente maggiormente che le posizioni di secondo piano dovute al fatto contingente che divideva vincitori e vinti se si elidono per alcuni, si cristallizzano per altri; e ciò in base a quegli elementi storici e civili che rappresentano gli indistruttibili valori gerarchici tra le Nazioni.

In questo stato di cose, le dichiarazioni che V. E. mi ha incaricato di fare sul peso che la nostra politica nei Balcani e nel Mediterraneo Orientale attribuisce all'amicizia con la Turchia (l), sono giunte quanto mai opportune perché hanno dato al Governo turco la sensazione di essere dva,lorizzato dalla lealtà di V. E., e dalla immutabilità della Sua dirittura politica, nel momento stesso in cui l'Italia, per le nuove posizioni raggiunte, avrebbe potuto forse meno apprezzarlo.

È per questo che S. E. Ismet pascià ha dato particolare calore ai ringraziamenti che ho avuto l'onore di trasmettere a V. E. (2); ma questi ringraziamenti, per quanto sinceri, non alterano il fatto che l'idea della collaborazione delle quattro Potenze Occidentali sia stata accettata in Turchia a denti stretti. L'Italia ha acquistato qui, attraverso lo sforzo felice di V. E., nuovo prestigio e nuove ragioni per essere rispettata e temuta: su questo elemento del timore che noi suscitiamo in questo Paese, e che è in alcuni momenti un coefficiente increscioso mentre in altri momenti, se non vi fosse, bisognerebbe inventario, mi permetterò di ritornare in altra occasione. Per il momento trovo da segnalare questo fatto specioso: che quanto maggiori progressi ha fatto H cammino della pace, tanto più sono rabbuiati i pensieri dl questo Governo. In quanto all'Italia, con dieci anni di pace innanzi a sé, con quell'impulso che ha avuto già nei pr,imi dieci anni di costruzione della sua nuova potenza, essa appare qui come qualche cosa di preoccupante. E certo, a parte l'errore di ritenersi sulla nostra linea di mira, per il resto la sensibilità di questo Governo non sbaglia.

(l) Cfr. n. 845.

863

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, CICCONARDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2731/439 R. Berlino, 19 giugno 1933, ore 14,10 (per. ore 17). Notizia improvvisa venuta a Berlino presidente del consiglio ungherese

Gombos è apparsa sabato sera nella stampa. Sembra che viaggio sia stato preparato ad insaputa ministero degli affari esteri Reich ma d'accordo con partito.

Infatti comunicato che dà notizia viaggio promana da ufficio politica estera partito nazionalsocialista e Géimbos stesso, oltre che con cancelliere Hitler, ha avuto conversazione con dottore Rosenberg. Nessuna presa di contatto vi è stata con ministero degli affari esteri.

A mezzo servizio Stefani speciale è stato trasmesso comunicato.

Ministro d'UngherLa a Berlino signor von Masirevich ha preso iniziativa intrattenermi viaggio Géimbéis chiedendomi se qualche notizia mi fosse pervenuta al r,iguardo.

Ho risposto che finora non avevo che notizia stampa tedesca e naturalmente gli ho chiesto a mia volta quanto potesse dirmi circa contenuto colloqui con cancelliere Hitler e dott. Rosenberg.

Von Masirevich mi ha detto che aveva ignorato sino all'ultimo momento partenza Gombos da Budapest, che successivamente gli pervenne telegramma dal suo Governo secondo cui presidente del consiglio ungherese avrebbe dovuto recarsi a Monaco di Baviera, non a Berlino.

Infine, appurata a Berlino presenza Gombos, a stento aveva potuto prendere contatto con lui una volta sola e avere qualche informazione circa colloqui con Hitler.

Da tali informazioni egli aveva tratto impressione che conversazione tra due uomini di Stato si era svolta su maggiori problemi attualità. In via assolutamente confidenziale richiamava mia attenzione su seguenti due punti che gli sembravano particolarmente interessanti.

lo -Ripresa idea che quattro Stati cui relazioni sono già così sviluppate, cioè Italia, Ungheria, Austria e Germania formino, da solo punto di vista economico, un tutto unico per trattare rispetto altri Paesi.

Una volta si sarebbe già parlato di formare questo tutto unico tra Italia Ungheria e Austria soltanto, cioè il cosidetto triangolo dinastico. Con la Germania, unità rappresentata dal triangolo, avrebbe dovuto ,intrattenere stretti rapporti pur !asciandola al di fuori.

Oggi nel nuovo organismo discusso da Hitler e Gombos la Germania vi parteciperebbe alla pari degli altri. Si tratterebbe di ,,rappresentare al mondo dopo stipulazione recente patto Piccola Intesa che in Europa sono altri Stati che hanno diritto esistere e agire a tutela loro interessi.

Questo punto von Masirevich ha ricordato come di tale idea si era parlato anche dopo formazione nuovo organismo Piccola Intesa tra S. E. Suvich e ministro d'Ungheria ,a Roma. In tale conversazione si sarebbe venuti conclusione che attuazione e annunzi in quel momento accordi economici fra quattro Stati predetti non sarebbero stati forse tempestivi e opportuni.

Ho chiesto a von Masirevich se attuale intenzione dei rapporti Austria Germania rappresentasse momento più propizio per ripresa idea vagheggiata formazione unione economica. Egli mi ha risposto che aveva mosso analoga abbiezione a Gombos. Questi l'avrebbe assicurato che Hitler è egli stesso convinto che attuali relazioni fra i due Paesi sono oggi più grottesche che tragiche e che aveva in animo adoperarsi personalmente per provocare una distensione nel conflitto divenuto tanto acuto a causa noti recenti episodi. Alla mia richiesta di dirmi qualche cosa di più concreto mio interlocutore si è schernito dicendo non essere in grado almeno per ora di farlo.

2° -Desiderio Governo ungherese most.rare al mondo con viaggio presidente del consiglio a Berlino che Ungheria non si lascia accaparrare da alcun paese; che essa intende mantenere assolutamente libertà di movimento. Avendo chiesto a von Masirevich se ci fossero al riguardo dei riferimenti specifica, egli si è limitato accennarmi alla Francia e alla Piccola Intesa. Ho domandato al mio interlocutore se nella conversazione tra Gombos e Hitler sì fosse accennato all'Italia oltre che per attuazione unione economica.

Mi ha risposto negativamente.

Ho domandato pure se si fosse discorso della situazione ,In Austria: elezioni, Anschluss. Parimenti risposta negativa. Però Ministro d'Ungheria mi ha accennato a tale riguardo alla questione legittimista in Ungheria per dire che poteva essere infondata. Tesi sostenuta nella stampa secondo cui Governo tedesco dovrebbe essere contrario monarchia Absburgica per tema definitiva liquidazione questione Anschluss.

Secondo von Masirevich nessuno può prevedere avvenire ed escludere a prio,ri che eventuale unione personale Austria Ungheria si pxepari e si compia in tal modo da non rendere necessario ed utile se non vero e proprio Anschluss almeno creazione rapporti di grande intimità fra Germania da una parte e Austria Ungheria dall'altra.

Infine egli mi ha detto doversi escludere che possano avere successo e eventuali tentativi da parte partito nazionale socialista in Germania di provocare cosiddetta Gleichschaltung (paa.-ificazione giuridica) in Ungheria.

Qui egli osserva esistere già Governo ispirantesi principi nazionalisti. Particolari condizioni paesi non permettono imitare né fasc,ismo italiano né quello tedesco pur essendo maggioranza ungheresi fervente ammiratrice due sistemi.

Ministro Ungheria mi ha detto che certamente suo Governo non avrebbe mancato fornire maggior,i informazioni nostra rappresentanza a Budapest come egli non era a nostro ,riguardo per il momento in grado di fare.

Von Masirevich mi ha confidato che Gombos avrebbe avuto intenzione aggiustare cose in modo da compiere segretamente viaggio in Germania. Ministro Kanya sarebbe stato parere darne invece notizia con apposito comunicato per non suscitare ingiustificate diUidenze.

Oltre che per importanza avvenimento ove si ponga mente a tendenze ultragermanoflile ministro degli affari esteri ungherese che suo passato italofobo bisognerà attentamente seguire e sorvegliare nuova fase che ora sembra iniziarsi nei rapporti tra Germania e Ungheria.

Riferisco con telegramma per corriere che giungerà costì giovedì sera altri elementi sull'argomento medesimo (l). Prego comunicare quanto precede S. E. ambasciatore che sarà a Roma 21 corrente.

(l) -Cfr. n. 758. (2) -Cfr. n. 758, nota l.
864

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 2735/237 R. Vienna, 19 giugno 1933, ore 19,30 (per. ore 22).

Mi riferisco al mio telegramma n. 235 (2).

Cancelliere austriaco non mi ha nascosto sua sorpresa e sua apprensione per viaggio Gombos a Berlino. Sorpresa per il fatto che Gombos non gli ha manifestato previamente sua inten:lJione; apprensione perché il viaggio è stato

fatto in modo da rappresentare, nell'attuale momento, un particolare gesto di simpatia per il nazismo tedesco.

Cancelliere ritiene che visita, stante abboccamenti di Gtimbtis non solo con Hitler ma anche con il signor Rosenberg e con lo stesso Habicht, abbia prodotto la p.eg@iore impressione a Londra, dato anche l'inverosimiglianza dell'addotto motivo economico.

Signor Dollfuss mi ha poi confidato che il signor Gtimbtis gli ha telefonato questa notte al suo domicilio privato per proporgli un abboccamento. Egli ha risposto stamane dalla cancelleria che U momento presente non è affatto adatto per un convegno che, nonostante, ogni possibile cautela, non mancherebbe di trapelare e di dar luogo alle più fantastiche congetture.

Dopo tutto mi ha poi chiesto replicatamente se V. E. abbia avuto tempestiva notizia della visita, della quale egli non riesce a darsi ragione. Pur senza chiederlo apertamente egli mi ha poi fatto comprendere suo vivo desiderio ottenere qualche eventuale ragguaglio in proposito.

(l) -T. 2768/440 R. del 20, non pubblicato. (2) -T. 5755/235 P.R. del 18 giugno, ore 14, non pubblicato: riferiva circa i commenti della stampa austriaca sul viaggio di Gombos a Berlino.
865

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2737/240 R. Vienna, 19 giugno 1933, .ore 22,45 (per. ore 5 del 20).

Mio telegramma n. 237 (l).

Mi consta che nazi locali affermano che Gomhtis si sarebbe recato a Ber

lino d'intesa e per incarico di S. E. Capo del Governo.

Inoltre predetti circoli insinuano che quanto precede sarebbe una prova

del desiderio italiano di trovare una soluzione al problema austriaco d'ac

cordo con la Germania e l'Ungheria, lasciando completamente da parte Governo

Dollfuss.

D'altra parte viene notata reticenza giornali italiani nei riguardi attuale

tensione austro-tedesca in contrapposto stampa inglese e francese di cui gior

nali locali continuano riportare commenti favorevoli all'Austria.

866

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2755/103 R. Vienna, 19 giugno 1933 (per. il 21).

Il cancelliere mi ha detto che il signor Daladier, nel colloquio avuto con lui recentemente in Parigi, circa l'emissione della quota francese del noto prestito austr,iaco, aveva cercato di mettere innanzi !"idea di una collaborazione dell'at

62 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XIII

tuale Governo austriaco col partito socialista. Dollfuss mi ha dichiarato che egli aveva nettamente respinto tale suggestione. Ha quindi soggiunto che le condizioni del mercato francese lasciano molto a desiderare; che il ministro delle finanze francese si propone di lanciare previamente un prestito interno, e che pertanto il prestito austriaco potrà essere collocato solo quando lo permetteranno le condizioni del mercato.

Le confidenze del cancelliere confermano esattamente le informazioni che ho fornite a V. E. col mio telegramma per corriere n. 98 del 12 giugno u.s. (l).

Desidero aggiungere che non ho mancato cogliere l'occasione portami dal cancelliere nel niferirmi le suindicate suggestioni del signor Daladier per fargli osservare come sia ormai ben giunto il momento di mostrare energia e decisione nei confronti della socialdemocrazia. Gli ho ricordato quanto gli sono andato dicendo negli ultimi mesi, attirando sopratutto la sua attenzione sui pericoli di un ulteriore procrastinarsi dell'attuale accomodante atteggiamento.

Il cancelliere ha annuito vivamente, mostrandosi anzi grato del mio avvertimento.

(l) Cfr. n. 864.

867

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2758/107 R. Vienna, 19 giugno 1933 (per. il 21).

Mio telespresso riservatissimo n. 1326 (2) e mio telegramma n. 237 (3).

Circa il cauto atteggiamento di questi circoli ungheresi verso il fronte patriottico austriaco e circa i più sciolti loro modi verso il nazionalsocialismo locale, parmi opportuno segnalare che H cancelliere parlandomi stamane in via del tutto confidenziale, mi ha accennato alle vive simpatie del signor de Kanya per il nazionalsocialismo.

Il cancelliere mi ha fatto il predetto accenno a proposito della visita del signor Gombos a Berlino.

Ad ogni buon fine aggiungo che, per giustificare il viaggio del signor Gombtis, questi ambienti ungheresi mettono innanzi le solite loro preoccupazioni per una restaurazione asburgica in Austria. Attualmente precisano i loro timori nel senso che qui si preparerebbe la costituz,ione di una dittatura, Fey-SchuschniggVaugoin, la quale si proporrebbe di allontanare dal potere Dollfuss (del quale si conosce l'opposizione ad ogni movimento monarchico) accelerando il processo legittimista.

Tale eventualità sarebbe poi deprecata dal signor Gombos, essendo egli persuaso che una monarchia absburgica in Austria porterebbe immediatamente questo Paese alle dipendenze della Francia e della Cecoslovacchia.

Da parte mia, nel riferirmi alle dichiarazioni che ebbe ,a farmi il signor Dollfuss subito dopo la recente visita del signor Gombos a Vienna (mio telegramma

per corriere n. 89 del 25 maggio) (1), ritengo che le suddette voci siano messe in circolazione soprattutto per giustificare la scarsa fiducia che il Governo di Budapest sembra nutrire nella vitalità del Governo Dollfuss, e spiegare il viaggio berlinese del signor Gtimbtis con la necessità in cui si troverebbe l'Ungheria di trovare nel Reich non solo un forte appoggio antilegdttimista, ma anche un potente amico.

868.

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2738/241 R. Vienna, 20 giugno 1933, ore 0,20 (per. ,ore 5).

Circa situazione interna cancelliere mi ha detto che egli rimane più che mai fermo nel suo proponimento di non recedere.

A conforto di tale sua assoluta decisione mi ha fatto rilevare aver egli riscontrato nel paese una netta reazione al terrorismo nazista e cioè anche in Tirolo e nel Salisburgo. Era rimasto altresì colpito dalle accoglienze che al suo ritorno da Londra gli erano state fatte nei quartieri periferici finora completamente in mano ai partiti estremisti.

869.

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2732/86 R. Mosca, 20 giugno 1933, ore 1,50 (per. ore 6,45).

A sua richiesta ho veduto oggi ambasciatore Potemkin.

Egli mi ha comunicato ufficialmente che Governo sov,ietico condivide pienamente opinione di V. E. sulle possibilità di un patto politico fra i due paesi ed ha deciso di darne a mio mezzo immediato annunzio a V. E.

Ambasciatore suddetto è incaricato condurre le ulteriori negoziazioni con Governo italiano sottoponendo a V. E. un progetto di patto come base di discussione.

870.

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2747/243 R. Vienna, 20 giugno 1933, ore 14,25 (per. ore 17,30).

Con scioglimento del partito nazista, la cui causa determinante è stata attentato terrorista del pomeriggio di ieri, a Krems, cancelliere ha applicato teoria espostami nel suo colloquio del 7 corrente (mio telegramma n. 223) (2).

Che la causa della misura sia poi quella suaccennata è provato anche dalla circostanza che il cancelliere che vidi ieri a mezzogiorno, non ebbe a farmene parola, pur dichiarandomi quanto ho riferito a V. E. col mio telegramma n. 241 (1). Provvedimento solleva intanto opposte impressioni. Prevale quella che predetto partito possa dedicarsi ad una grave e pericolosa attività sotterranea difficilmente controllabile. Si rileva altresì possibilità che il partito socialista ed i suoi alti ispiratori sollevino testa.

Ad ogni modo mentre autorità federali si dichiarano preparate fronteggiare qualsiasi evenienza ricorrendo eventualmente anche allo stato di assedio, da parte sua Cancelliere ebbe a mostrarmi ieri che tiene ben presente pericolo socialdemocratico (mio telegramma per corriere n. 103) (2).

Circa ripercussione in Germania (benché direzione Berlino partito hitleriano abbia dichiarato essersi completamente dissociato dal partito nazista austriaco: mio telespresso n. 1336 (3) ed eventuali complicazioni internazionali, mi riferisco al mio telegramma riservatissimo n. 238 (4).

Segnalo infine giusta informazione del signor Buresch, che poco fa sarebbe stato arrestato attentatore di ieri il quale sarebbe ·risultato appartenere ad un reparto d'assalto nazista.

(l) -Non pubblicato. (2) -Non rinvenuto. (3) -Cfr. n. 864. (l) -Cfr. n. 692 (2) -Cfr.n. 774.
871

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA 4462/1084. Belgrado, 20 giugno 1933.

Ho l'onore di trasmettere a V. E. il notiziario relativo al movimento J.r.redentista per la Venezia Giulia durante il 1° trimestre 1933 (5).

Come V. E. rileverà, le manifestazioni irredentiste ed antitaliane rappresentate da conferenze, riunioni di dirigenti delle varie società costituite fra fuorusciti, distribuzioni di pubblicazioni ecc. si sono particolarmente intensificate durante i primi tre mesi dell'anno in corso. E ciò sicuramente in dipendenza della maggiore tensione politica fra Jugoslavia ed Italia durante il periodo stesso -e della conseguente maggiore attività e propaganda di tutti gli esponenti, palesi ed occulti, dell'irredentismo. A grande parte delle manifestazioni predette hanno preso poi parte, assai spesso, autorità jugoslave respon

sabili.

Quali avvenimenti di particolare rilievo sembrano poì dover essere rilevati: a) gli accentuati contatti delle associazioni irredentiste con la concentrazione antifascista di Parigi; b) la ripresa delle manifestazioni irredentiste per

la Carinzi·a, coincise con la riaffermaz.ione di amiCIZia itala-austriaca; c) le chiare interferenze massoniche, specialmente per quanto riguarda gli aiuti alla stampa irredentista; d) l'attività della «Narodna Odbrana » diretta ad effettuare una specie di «inchiesta » sulle condizioni delle popolazioni allogene in !stria.

Sembra infine dover essere segnalata la rinnovata .intensità dell'azione svolta da alcune fra le società irredentiste più importanti quali la «Tabor » di Lubiana, la «!stria-Trieste-Gorizia » di Belgrado, la « Federazione degli Emigranti » di Belgrado, il « Consorzio !stra » di Zagabria.

(l) -Cfr. n. 868. (2) -Cfr. n. 866. (3) -Non pubblicato. (4) -T. rr. 2736/238 R. del 19 giugno, non pubblicato: timore di Dollfuss che Cecoslovacchia e Jugoslavia rispondano con misure inconsulte a un eventuale rafforzamento militare operato dal Reich sulla frontiera bavarese. (5) -Non pubblicato. Come risulta da un promemoria dell'Ufficio Stampa per il Gabinetto del Ministro il notiziario fu trasmesso al Giornale d'Italia per la pubblicazione.
872

L'ADDETTO STAMPA A VIENNA, MORREALE, AL VICE CAPO GABINETTO, JACOMONI

L. P. XLIII. Vienna, 20 giugn,o 1933.

Come ho fatto già telegrafare da altra sede (1), in un colloquio di sabato 24 corr., il ministro della sicurezza Fey mi ha informato che, pur mancando ancora le prove sicure, la polizia austriaca era giunta al fondato sospetto che i recenti attentati terroristici in Austria siano stati guidati dalla Germania e precisamente da un ufficio di propaganda per l'Austria con sede a Monaco e diretto dal ministro della giustizia bavarese Frank in collaborazione con l'austriaco conte Lamberg, già capo delle Heimwehren stiriane, organizzatore con Pfrimer del tentativo di putsch del 13 settembre 1931, trasferitosi di .recente in Baviera. Da questo sospetto deve essere stata determinata la perquisizione fatta oggi a Graz del bagaglio di Pfrimer, di ritorno da Monaco. Non so se ancora tali sospetti siano stati confermati da prove concrete ed ho ragione di ritenere che il ritardo frapposto dalla polizia nel dare particolareggiata notizia della propria inchiesta debbasi attribuire appunto alla speranza di potere definire con sufficiente chiarezza un punto così grave.

Il maggio-re Fey è per altro convinto che tutti gli attentati erano stati predisposti da un centro di organizzazione il quale si proponeva di determinare, con una intensa e rapida azione terrorista, da svolgere tra il 10 ed il 20 di giugno, un tal panico da costringere Dollfuss alle dimissioni. A causa delle perquisizioni operate ancor prima del 10 in molte «case brune» e dell'arresto di alcuni capi, il piano, nel suo insieme è fallito e quanto si è verificato qua e là deve attribuirsi all'azione isolata di coloro che hanno voluto dar corso alle disposizioni precedentemente ricevute. Ho visto uno dei bossoli di bombe sequestrati in un deposito dei nazional socialisti nei pressi di Vienna: una scatola da conserve alimentari, di circa 13 cm. di altezza ed 8 di diametro, la cui parete è rafforzata dalla parte interna da uno strato di chiodi, lunghi quanto l'altezza della scatola ed aderenti alla parete mercè uno strato di paraffina. Nel coperchio della scatola, che è rafforzato dalla parte interna da un dado da vite, ed in corrispondenza del foro del dado, è praticato un buco

che deve dar passaggio alla m1cc1a. Una colata di cemento all'interno della scatola e l'esplosivo, avrebbero completato l'ordigno il quale, come si intende, è di circostanza ma preparato con accuratezza.

Appa-re fuori dubbio che coloro che attentarono ad Innsbruck alla vita di Steidle siano stati dei tedeschi del Reich e quivi sono riparati attraverso le montagne del Tirolo subito dopo il colpo. Di altri due nazisti partecipi ad uno degli attentati dinamitardi di Vienna e fuggiti in direzione di Salisburgo, da un posto di dogana germanico alla frontiera del salisburghese, furono telefonicamente chieste notizie a Salisburgo, indizio interessante quest'ultimo a dimostrazione della complicità di enti ufficiali germanici.

Fey non ha bisogno di essere incoraggiato ad un'azione energica contro il terrorismo, il quale è servito per altro, ad orientare nettamente contro il nazismo gli incerti ed a suscitare l'indignazione di molti fra gli stessi nazi, abituati a sentirsi dire che la conquista del potere sarebbe avvenuta seguendo le vie legali.

(l) T. 2722/236 R. di Preziosi del 18 giugno, non pubblicato.

873

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. 1301/135 R. Roma, 21 giugno 1933, ore 23.

Dica a Dollfuss che fummo preavvertiti viaggio a Berlino Goemboes ma non ci siamo concertati su opportunità e scopi viaggio stesso.

874

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2827/5844/1067 R. Budapest, 21 giugno 1933 (per. il 25).

Mio telegramma n. 98 in data odierna (1).

A seguito del telegramma citato, di cui ad ogni buon fine allego copia, onoromi riferire qui appresso a V. E. punti essenziali dichiarazioni fattemi oggi da questo presidente consiglio circa argomento in oggetto:

« l -Iniziativa viaggio è partita dal signor Daitz capo sezione economica ufficio esteri N.S.D.A.P. e uomo di fiducia di Hitler, in occasione sua venuta Budapest (mio teleposta n. 929 del 30 maggio u.s.) (2). Ho atteso due settimane prima di accettare invito di Hitler, perché volevo dar tempo a mio ministro finanze svolgere sua azione conferenza Londra. Imredy mi ha riferito

om che viaggio, lungi dal suscitare ingiustificate apprensioni, è stato colà considerato in genere come compiuto nell'interesse dell'Austria».

« 2 -Dalla mia visita in Germania ho tratto l'impressione che tanto Hitler quanto il suo partito hanno raggiunto vera completa vittoria. Esponenti dello Stahlhelm e aristocratici, generali dell'esercito e ufficiali dell'antica guardia hanno tenuto a riaffermare in mia presenza la loro assoluta devozione al Fuehrer. In quartieri operai, dove ancora sei mesi fa lanc~avansi vitupe·ri e pietre addosso ai nazisti, tutte le finestre erano imbandierate ora con il vessillo croce-uncinato; 280.000 persone entusiaste accompagnavano le sessantamila camicie brune convenute a Erfurth, ho visto degli Hohenzollern sfilare nei ranghi con gli altri. La Germania è già completamente risvegliata, tanto in senso politico quanto in senso morale».

3 -Rilevato quindi che quanto stava per comunicarmi era «destinato soltanto alla persona del Duce», ha aggiunto: «Ho detto a Hitler come, già in occasione della mia visita a Roma, io abbia potuto constatare personalmente la simpatia di S. E. Mussolini per lui, e come egli debba guardare verso Roma con piena fiducia, senza assolutamente allarmarsi se il Duce, per considerazioni superiori, ritenga anche opportuno fare con la Francia o con altri una qualche politica che possa magari apparire volta contro la Germania. Hitler mi ha risposto che considerava l'amiciz-ia italiana la base della sua politica estera; mi ha detto pure che riteneva essere una forte Ungheria il caposaldo della sua azione nel bacino danubiano».

« 4 -Vi ripeterò ora letteralmente » -mi ha detto quindi S. E. Goemboes «e sono in grado di farlo per la estrema attenzione con la quale ho seguito le parole del Fiihrer, quanto Hitler mi ha dichiarato circa la questione austriaca: «Mi sento responsabile, mi ha detto Hitler, per il destino di tutti i tedeschi. Ciò nonostante non voglio l'Anschluss. Considero l'Austria una impresa in deficit. Partecipo volentieri con l'Italia alla sistemazione di questo disavanzo, perché so di non poterlo aHrontare da solo. Non trovo tuttavia ammissibile che Dollfuss venga prima da me per duecento milioni di scellini, poi vada a chiedere danari e appoggio a Roma e infine, quando conosce la misura di tali buone disposizioni, si rechi a Parigi e dica a Daladier: datemi un po' di più e seguirò le direttive francesi.

Io Hitler non faccio una politica fratricida. Non voglio però che l'austriaco, per ragioni puramente materiali e per corte vedute, sfrutti l'amicizia tedesca, ungherese e italiana per rimettersi in forze e far poi dell'Austria un fattore incerto della politica medio-em:-opea, sul quale non si possa contare e che si metta al servizio del nemico ereditario della Germania e dell'Italia, facendo anche ogni tanto, sorrisi a Praga, strumento del nemico stesso.

Desidero perciò che in Austria abbiano presto luogo elezioni. So che i nazisti non vi otterrebbero la maggioranza. Ma so pure che vi conseguirebbero un numero di voti sufficiente per costringere Dollfuss a chiamarli a partecipare al Governo entro il quale essi tutelerebbero severamente i nostri comuni interessi».

Ho interrotto allora il presidente per chiedergli se non gli sembrava che questa fosse per Hitler, nell'attuale situazione di cose e di forze, la maniera mi

gliore per cercare di raggiungere, a tappe, l'asservimento dell'Austria e cioè l'Anschluss di fatto, in mancanza o in attesa di quello formale: «No» -mi ha risposto alquanto smontato --«Hitler sa che per considerazioni europee l'Anschluss non sarebbe possibile mai>>.

Ha continuato poi: «Hitler sa che per fare la storia occorre vedere in grande le cos·e. Mi ha detto cosi che per lui l'alto Adige è una bagatella in confronto al valore che egli attribuisce alla cooperazione italiana».

« 5 -Mi sono fatta pure la convinzione>> -ha seguitato il presidente <<che il Fiihrer può essere un ottimo amico e un nemico accanito. Sono anche certo che adoperando franchezza si può ottenere molto da lui. Parlando delle minoranze di razza tedesca abitanti entro i confini antichi ed attuali dell'Ungheria -minoranze che sono oggi tutte orientate in senso pangermanista gli ho detto perciò francamente che le considero con odio e intendo perseverare in questa direttiva e in questo sentimento».

« 6 -In considerazione di tutto ciò>>, ha ripreso S. E. Goemboes, «penso sarebbe conveniente che tanto da parte italiana quanto da parte germanica si riparlasse chiaramente a Dollfuss; sarebbe pure, a mio avviso, opportuno promettere ad Hitler, conformemente alla sua idea, che entro un certo periodo, per esempio un anno, saranno fatte le elezioni in Austria».

Alle obieziooi da me reiterate in proposito, S. E. Goemboes ha risposto: «Spero che nel frattempo Dollfuss battendo una giusta via, riesca a rafforzarsi in modo da poterle affrontare. Se lo sarà, potrà correrne il rischio, se non lo fosse, sarebbe liquidato in ogni caso. Stasera intanto vedrò Starhemberg, che viene da me per suo incarico».

7 -Avendogli io chiesto quindi quali fossero in concreto i risultati delle trattative economiche, da lui condotte a Berlino in tale occasione e che avevano costituito il pretesto ufficiale più importante, se non la principale ragione del suo viaggio, S. E. Goemboes si è tenuto sulle generali, dichiarandomi di aver convenuto con Hitler, «che da una parte e dall'altra si sarebbe fatto prova di tolleranza e larghezza, sempre però nel senso di concessioni reciproche, do ut des ».

Ho l'impressione -pur riservandomi appena possibile ulteriori controlli che probabilmente in pratica sia stato finora combinato davvero ben poco.

Precisando poi che parlavo a titolo personale, ho fatto le più ampie riserve circa l'effetto che avrebbe suscitato in Italia il comunicato, che so concertato tra il partito nazista germanico e Goemboes, telegrafato ieri l'altro a V. E. a mezzo Stefani dalla R. ambasciata a Berlino. Il Presidente mi ha risposto che era stato stilato da «un giovane politico del partito» e che risentiva della mano del redattore; che l'accenno all'espansione economica germanica nei territori sud orientali (Suedostraum) era una parola di ordine e di moda nazista, uno «Schlagwort » che non bisogri'ava prendere sul serio; che a lui, Goemboes, premeva la sostanza, e che perciò non aveva fatto, troppe difficoltà per la forma. Richiesto di precisarmi quanto nella sostanza appunto avesse in tale materia proposto, accettato o combinato, mi ha detto -confermando del resto quanto mi aveva francamente esposto altre volte e preannunziato pure alcuni giorni prima di partire (vedi da ultimo teleposta n. 1017 del 10 cor

rente) (l) che aveva manifestato a Hitler le sue idee per una stretta collaborazione economica italo-ungaro-austro-germanica, che il pensiero del Fii.hrer era simile al suo, nel senso che converrebbe tendere ad instaurare un sistema assolutamente preferenziale tra Berlino, Budapest, e Roma, nel quale volente

o no, dovrebbe essere compresa anche l'Austria, che egli Goemboes, aveva infine dichiarato expressis verbis al cancelliere germanico essere per l'Ungheria insopportabile ogni eventuale speciale facilitazione doganale ai vari Stati della Piccola Intesa e in particolare alla Romenia, che la Germania «sta corteggiando » per la necessità in cui si trova di assicurarsi un prossimo e certo rifornimento di petrolio a scopi militari.

(l) -Cfr. n. 877. (2) -Non pubbllcato.
875

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2834/91 R. Mosca, 21 giugno 1933 (per. il 26).

Mio telespresso n. 2610/1303 del 7 giugno corrente (1).

Questo ambasciatore di Germania mi ha confidenzialmente riferito alcune informazioni che egli mi ha definito molto serie pervenutegli non da fonte sovietica, giusta le quali il lavorio della Piccola Intesa per un riavvicinamento coll'U.R.S.S. si starebbe sempre più intensificando. A quanto mi ha detto il signor von Dirksen, il reciproco riconoscimento <<de jure » Piccola Intesa Soviet sarebbe ormai prossimo: sembrerebbe anzi che si fosse già pensato negli ambienti della Piccola Intesa alle modalità con cui dovrebbe avvenire in un primo tempo l'allacciamento delle reciproche relazioni diplomatiche. La missione cecoslovacca a Mosca assumerebbe il carattere di rappresentanza comune dei tre alleati: essa avrebbe a capo il nuovo inviato cecoslovacco signor Smetana il quale avrebbe coadiuvato con funzionari romeni e jugoslavL Per converso la rappresentanza dell'U.R.S.S. a Praga verrebbe anche accreditata presso i Governi di Bucarest e Belgrado.

Invero malgrado la ben nota fertilità di Benes e di Titulescu in espedienti ed in accomodamenti questi ultimi particolari sembrerebbero scarsamente verosimili. Tuttavia, il frequente succedersi di voci di una prossima ripresa dei rapporti tra la Piccola Intesa e U.R.S.S. dovuta constatare negli ultimi tempi sta da se stesso a dimostrare come un lavorio per questa ripresa effettivamente ci sia e progredisca, agevolato sia dalla situazione generale europea sia dalla maggiore consistenza che da qualche mese in qua, i rapporti con l'U.R.S.S. la Francia e la Polonia hanno dimostrato di assumere anche maggiormente in dipendenza dalle relazioni Mosca-Berlino.

Ho cercato di controllare presso il Narkomindiel le informazioni datemi da questo ambasciatore di Germania; sig. Krestinski ha escluso che «fatti nuovi» si siano negli ultimi tempi verificati capaci di determinare la ripresa di rela

913 zioni tra Russia e la Piccola Intesa. Le dichiarazioni fattemi da Krestinski non possono peraltro considerarsi come assolutamente probanti, in quanto non sempre il Narkomindiel è esattamente informato dell'attività diplomatica svolta da Litvinov quando si trova all'estero.

Ma la prospettiva quindi di una possibile ripresa di relazioni Soviet-Piccola Intesa rimane sempre ed io mi permetto al riguardo insistere sulle ripercussioni che essa avrebbe sulla situazione bulgara.

Pur rendendomi conto delle difficoltà opposte dalla Bulgaria ad una ripresa delle trattative con Mosca (vedi anche il rapporto del R. ambasciatore ad Ankara (l) trasmessomi con telespresso n. 217554 dell'8 corrente) parmi tuttavia discutibile la nostra convenienza a tentare di rimuovere la resistenza di Sofia e ciò anche in relazione al possibile sviluppo dei nostri rapporti con l'U.R.S.S. e dalla stessa situazione generale europea. E mentre da una parte confermo in proposito le considerazioni svolte con mio rapporto n. 1749/903 del 18 aprile

u.s. (2) dall'altra mi permetto ulteriormente esprimere l'avviso che per raggiungere l'intento possa convenire anche ab initio più che una azione isolata della Turchia, un'azione combinata italo-turca.

(l) -Cfr. n. 804. (2) -Non pubblicato.
876

L'ADDETTO STAMPA A VIENNA, MORREALE, AL VICE CAPO GABINETTO, JACOMONI

L. P. XLV. Vienna, 21 giugno 1933.

Il viaggio del presidente del consiglio Gombos a Berlino ha fatto negli ambienti politici favorevoli al governo austriaco una penosa impressione, tanto più in considerazione delle seguenti circostanze: che il Governo di Vienna non era stato preventivamente informato, che è difficile conciliarlo colle dimostrazioni austrofile dello stesso Gombos e di numerosi deputati ungheresi alla camera bassa di Budapest; che, infine, mal si concilia il presunto scopo economico del viaggio con il carattere della visita dedicata non al governo del Reich ma agli esponenti del partito nazional-socialista, tra i quali il deputato Habicht che, almeno a quanto hanno pubblicato i giornali di qui, ha partecipato a qualcuno dei banchetti offerti all'ospite ungherese. Ne è conseguito un senso di disorientamento e di isolamento al quale, in considerazione del riserbo generalmente manifestato dalla stampa italiana a proposito della tensione austro-tedesca, è stata di magro conforto la registrazione delle attestazioni di simpatia per Dollfuss e l'Austria della stampa francese ed inglese. Dico di magro conforto, perché qua si avverte generalmente che un appoggio politico efficiente si può avere dall'Italia e dall'Ungheria, dato che l'Inghilterra può entrare in conto solo per una eventuale, compassata, azione diplomatica e la Francia significa ritorno della pressione cecoslovacca. A titolo di allarme e come segno di soddisfazione, a seconda dell'indirizzo, alcuni giornali viennesi pubblicano

oggi alcune segnalazioni della stampa francese ed inglese di una soluzione medio-europea del problema austriaco.

Ingiustificato, o peT lo meno artificioso, è apparso qui il timore di una prossima restaurazione asburgica in Austria, che pare sia stato fra le determinanti del viaggio di Gombos.

Di esso hanno gioito invece i nazional-socialisti, appunto perché vi hanno visto un indebolimento della posizione di Dollfuss.

Le legazione di Ungheria a Vienna pare cerchi di giustificare a suo modo il gesto del presidente del consiglio e precisamente manifestando un certo allarme circa la stabilità del governo di Dollfuss in seguito ad un presunto accrescimento delle forze naziste, diffondendo «riservatamente» che Fey, Vaugoin e Schuschnigg, qualificati tutti e tre legittimisti si stiano ~ntanto preparando ad un governo dittatoriale, dal quale sarebbe escluso Dollfuss, ritenuto tiepido verso l'antica casa regnante, che preparerebbe il terreno alJa restaurazione asburgica. Al lancio di quest'ultima notizia che io, per la smentita avuta da Starhemberg circa le mene attribuite a Fey, ritengo priva di fondamento, deve avere contribuito Rintelen il quale allontanato dal governo fa ora lavoro di mina ai danni di Dollfuss.

Di questo atteggiamento della legazione di Ungheria a Vienna ho avuto diretto sentore grazie ad una visita spontanea ed improvvisa di un tale che ilavara ai margini della legazione stessa. È questi il colonnello dell'esercito ungherese Biro, mia vecchia conoscenza, persona di scarsa levatura intellettuale che qui a Vienna è accreditato come addetto alla sorveglianza dei fuorusciti ungheresi comunisti e che fra gli altri incarichi ha quello di fa,r da coJlegamento tra Gombéis ed il Principe Starhemberg. È venuto a trovarmi poche ore dopo il passaggio di GombOs per Vienna, martedì scorso.

Argomenti della conversazione quelli anzicennati: Gombos deve preoccuparsi di trovare uno sbocco al prossimo abbondante raccolto granada; e che cosa ce n'è di prossima dittatura Fey-Vaugoin-Schuschnigg?; come farà Dollfuss a reggersi se ~ nazi continuano ad aumentare nella campagna ed a scrivere sui mur,i «Viva Hitler», «abbasso Dollfuss »? e non sarebbe una restaurazione asburgica un disastro per l'Austria come per l'Ungheria visto che l'ex imperatrice Zita non può essere altro che francofila e tale deve essere il suo figliuolo Otto? Ed ancora: per l'Ungheria l'accrescersi dell'influenza francese in Austria sarebbe una catastrofe, l'Ungheria non può desiderar di meglio che un aumento dell'influenza italiana in Austria.

Ho rassicurato il mio «amico» invitandolo anche a considerare con maggiore calma le cose e a non lasciarsi spaventare dalle mirabolanti affermazioni di tutti i nazional-socialisti che egli frequenta; ma più interessante è quello che egli è andato a raccontare ieri a Starhemberg che mi ha oggi riferito: l) che l'Ungheria non ha alcuna ragione di opporsi all'annessione visto che gli austriaci sono dei tedeschi; 2) che l'Ungheria ha motivo di preoccuparsi che l'influenza dell'Italia in Austria non aumenti troppo e deve quindi bilanciarla coll'influenza germanica. Stentavo a credere alle mie orecchie, alla stessa guisa che ieri Starhemberg aveva manifestato al Biro la sua meraviglia per tale linguaggio facendogli notare che fino a ieri gli ungheresi, per quello che gli era stato dato di constatare, erano stati antiannessionisti, che gli austriaci sono tedeschi di lingua ma non di orientamento intellettuale, che i timori per una restaurazione asburgica in Austria non hanno alcun appiglio di attualità e che in ogni modo Gombos farebbe bene a non compromettersi tanto contro l legittimisti ma a tener conto anzitutto degli interessi del paese; che fino ad oggi l'Ungheria ha mostrato di essere amica dell'Italia sicché non è comprensibile la doppiezza del parlare manifestando preoccupazioni antiitaliane; che, infine, se gli ungheresi credono di modificare il loro atteggiamento non resta altro che da augurare loro di aver frontiere comuni colla Germania!

Starhemberg che era stato invitato da Gombos ad andarlo a trovare oggi, mercoledì a Budapest, ha declinato l'invito ed al Biro che gHene chiedeva il motivo ha risposto che tale visita gli sembrava inopportuna perché, dato il recente viaggio a Berlino, si sarebbe potuto credere che egli si precipitasse a Budapest per avere una qualche mediazione di Gombos presso i nazi.

Starhemberg si spiega nel seguente modo la scalmana antilegittimista di Gombos: intorno a questi stanno, in Ungheria, e l'aristocrazia non ne resta esclusa, corrotti e corruttor.i cui il timore di veder giungere qualcuno che faccia ordine fa ingrandire i pericoli. Donde la ricerca di una controassicurazione in Ge1rmania a costo di butta.re all'aria la poliMca, ormai tradizionale, del paese.

Starhemberg mi ha aggiunto che anche i timori circa la possibiJità che la Francia aumenti in Austria la propria influenza non gli sembrano per il momento fondati. Egli stesso ha chiesto a Dollfuss in quali rapporti si è trovato recentemente con Inglesi e francesi a Londra e nel viaggio di ritorno a Vienna. Cogli inglesi, gli ha risposto Dollfuss, benissimo, coi francesi meno bene e precisamente ha avuto ragion di disputa con Paul Boncour il quale a Parigi gli chiedeva di rimettere a galla i socialisti austriaci. Dollfuss si sarebbe rifiutato facendo notare che un simile gesto avrebbe finito col dare causa vinta ai nazi austriaci e quindi alla Germania, ed avrebbe chiosato, parlando con Starhemberg, la richiesta di Pau! Boncour aggiungendo che i francesi non si rendono conto delle vere condizioni dell'attuale conflitto austro-tedesco. Ha aggiunto che, malgrado il suo rifiuto spera in una rapida concessione del prestito.

Quanto al signor Colonnello Biro, lo Starhemberg è pienamente d'accordo

con me in un giudizio sfavorevole; tuttavia poiché egli tiene il linguaggio che

gli vien consigliato, vi è da chiedersi a che cosa mirino tanti intrighi ungheresi.

(1) -Cfr. n. 706. (2) -Cfr. n. 430.
877

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2769/98 R. Budapest, 22 giugno 1933, ore 2,37 (per. me 7).

Mio telegramma n. 97 (1). Trasmetto corriere domani mattina resoconto lungo colloquio avuto oggi con S. E. Gombos circa suo viaggio Berlino (2).

Riassumo intanto impressioni tratte, oltre che dal colloquio stesso e da una odierna conversazione con Kanya, dall'insieme elementi finora in mio possesso.

Viaggio, organizzato materialmente ed in segreto da Daitz fiduciario Hitler (mio telespresso n. 1017) (l) e Mectto fiduciario GombOs (mio telespresso

n. 1062) (2) ha costituito sorpresa per tutti ambienti Budapest. All'infuori di Kanya e di questa legazione nessuno risulta infatti esserne stato qui previamente informato.

Generale sembra anzitutto aver voluto compiere atto difficilmente evitabile e particolarmente gradito Governo tedesco. Sembra essersi proposto altresì ottenere effettivamente nuove più ampie e stabili concessioni a favore esportazione agraria ungherese.

Non escluso infine -dato quanto conosco del suo carattere -che, essendosi da parte nostra per note ragioni rinviata prima e soprasseduto poi sua visita Roma, egli abbia forse inteso pure attirare la nostra attenzione sulle possibilità che offrirebberonsi ed offronsi al suo Governo nel caso di diminuito interesse italiano. Questo vantaggio riflesso non toglie però -dato seguito che presidente non sembra fino ad oggi aver sostanzialmente perduto entro partito Governo -che stretta collaborazione, particolarmente economica, italo-ungaro-austriaca col Reich, -costantemente vagheggiata da GombOs e da lui trattata Berlino come riferirò particolareggiatamente domani continui a rappresentare minaccia per nostri interessi in questo settore.

A tale soluzione sostanziale germanica del problema danubiano, ho esposto qui oggi ancora una volta -con amichevole prudenza di forma ma con assoluta decisione di contenuto -direttive segnate da V. E.

(l) -T. 2744/97 R. del 20 giugno, ore 14,40, non pubblicato. (2) -Cfr. n. 874.
878

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2767/99 R. Budapest, 22 giugno 1933, .ore 2,37 (per. ore 7).

Mio telegramma n. 97 (3). Ho intrattenuto oggi amichevolmente, secondo

istruzioni di V. E., prima generale Gombos e poi ministro Kanya circa conte

nuto telegramma n. 1267 (4) relativamente vera natura e portata patto a

quattro.

Siamo rimasti d'accordo con generale si sarebbe ora esso ispirato nelle

dichiarazioni che intende fare prossimamente sull'argomento al senato, men

tre ministro Kanya avrebbe da parte sua, per tutto quanto opportuno e pos

sibile, influito al riguardo su questa stampa.

(l) -Cfr. n. 804. (2) -Non pubblicato. (3) -Cfr. n. 877, nota l. (4) -Cfr. n. 841.
879

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2772/440 R. Parigi, 22 giugno 1933, ore 13,20 (per. ore 15).

Segretario generale del Quai d'Orsay mi ha detto aver saputo che la Germania fa difficoltà alla firma del patto.

Ho risposto che infatti la Germania aveva espresso il dubbio che l'assicurazione data dalla Francia alla Piccola Intesa non armonizzasse con le disposizioni del patto. Questo punto aveva fatto oggetto dei colloqui di Londra fra

S. E. Suvich e Daladier (1). Ho aggiunto che non aveva altre notizie al riguardo, ciò che mi induceva a sperare che cosa fosse già chiarito o sul punto di esserlo.

Segretario generale mi ha confermato che il Governo francese non ha dato alla Piccola Intesa nessun'altra assicurazione all'infuori di quella contenuta nello scambio di note pubblicate Libro Azzurro.

880

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE R. 2815/109 R. Vienna, 22 giugno 1933 (per. il 25).

Lo scioglimento «di fatto» (mio telespresso n. 1352 in data odierna) (2) del partito nazionalsocialista in Austria produce una nuova situazione ed indic21. nuovi delicati problemi.

l) -Il primo è che il partito nazionalsocialista, a malgrado della contraria disposizione di Dollfuss, possa non tanto continuare a vivacchiare, quanto riprender lena.

Al riguardo; lo stesso principe Starhemberg ha sostenuto meco che il più grave torto dei nazisti è stato quello di precipitare intempestivamente la loro lotta contro il Cancelliere, impedendo così a questo di condurre a fondo l'offensiva iniziata contro la socialdemocrazia e di liberare il terreno dal comune avversario marxista. Il principe Starhemberg ha aggiunto che adesso era sfortunatamente troppo tardi per una energica azione contro i rossi. Vi si opporrebbe, a suo dire, sia l'impossibilità che il fronte patriottico si batta contemporaneamente contro due oppositori, e sia i.l fatto che la socialdemocrazia, divenuta addomesticata, si mostra ormai così sollecita e ligia ad eseguire ogni Notverordnung, che sarebbe assai difficile trovare un pretesto per procedere a drastiche misure contro dì essa.

La tesi dello Starhemberg è d altra parte già comprovata. Infatti, nella Bassa Austria, a due riprese, i socialisti si sono apertamente uniti, di fatto, ai cristiano-sociali nelle votazioni e nelle discussioni presso la Dieta locale, pur mantenendo riserve di principio circa la « legalità », e pur protestando contro la così detta violenza esercitata dal Governo nei riguardi dei partiti di opposizione.

Ora questa circostanza, col progredire del tempo, potrebbe indurre i socialisti, sotto la spinta della Francia e sovratutto della Cecoslovacchia, a far sentire la loro prevalente situazione numerica rispetto ai cristiano sociali, portandoli a forzare le cose sul terreno internazionale, in guisa da compiacere il più possibile gli alti loro due ispiratori. E tale eventualità è tanto più da tenersi presente in quanto Dollfuss potrebbe, forse suo malgrado, propiziarla, spinto come è dall'acutissima tensione austro-tedesca, ed allargare sempre più la cerchia dei suoi protettori. Egli ha, del resto, dimostrato tale sua tendenza con il suo viaggio in Inghilterra ed in Francia, ed è questo il pericolo che mi permisi di segnalare a V. E. con il mio telegramma n. 217 del 2 corrente (1).

2) -L'altro problema è che il recente scioglimento del partito nazionalsocialista in Austria dà ormai adito all'accusa che l'opposizione dell'Austria all'Anschluss sia il prodotto d'una violentazione della libera volontà individuale e e quindi del divieto che esse disposizioni individuali si organizzino in una azione politica collettiva.

In altri termini, ci troviamo di fronte al duplice pericolo che l'opinione internazionale non possa invocare, nello stesso modo come era finora possibile, un mancato consenso del popolo austriaco all'Anschluss, e che per converso si possa parlare di un coartato atteggiamento negativo nei rispetti dell'annessione.

Questa eventualità è ancora lontana, stante la profonda impressione internazionale che le violenze naziste perpetrate in questo paese hanno provocato, e stante la giustificazione dello scioglimento del partito nazista, derivante appunto dalla necessità in cui si trovava il Governo di Dollfuss di difendersi da tali violenze. Ma essa, all'istessa guisa della possibilità accennata al paragrafo precedente, può determinarsi non solo col naturale affievolimento dell'impressione sollevata all'estero e nell'interno del paese dalle violenze naziste, ma anche con quella modificazione che sopravverrà, volontariamente o forzatamente, in seguito alle drastiche adottate misure, nello stesso atteggiamento dei nazi austriaci.

3) -Infine è da tener presente, che, nonostante l'azione del cancelliere, oggi come oggi un terzo della popolazione può ritenersi propenso al nazismo. Questo partito conserva inoltre la possibilità di prendere il sopravvento, se per poco, reso edotto dagli errori commessi, sia per contrapporre -mettendo da parte la questione dell'Anschluss come tale -una concezione «tedesca» del problema interno austriaco alle concezioni cosidette francese ed italiana del problema stesso. Concezioni queste ultime che già qualche giornale ha creduto

{l) Cfr. n. 756.

ravvisare e che derivano in sostanza dalla prevalenza che potrebbe prendere, come si è detto innanzi, la socialdemocrazia o, invece, il partito del fronte patriottico.

4) -Ora, le tre suddette considerazioni convergono tutte sul punto che

la situazione, se io non vado errato, richiede nell'attuale momento meno una

azione internazionale tendente a corroborare la contraria dichiarata volontà

interna dell'Austria all'Anschluss (come mi permisi di esporre a V. E. col mio

rapporto riservatissimo n. 993) (1), che una azione rivolta ad assicurare la vi

talità dell'Austria in un più largo organismo d'intese economiche e doganali;

azione questa che possa servire da antidoto alle sempre più insistenti proposte

e suggerimenti del signor Benes.

In altre parole, la questione austriaca, da un primo stadio che potrebbe

definirsi «della libera determinazione della volontà dell'Austria nei riguardi del

problema specifico dell'Anschluss », sembra ora esser passata in una seconda

fase, che potrebbe chiamarsi «della libera determinazione delle condizioni atte

ad assicurare l'ormai dichiarata e riconosciuta, volontà di indipendenza».

Che il tempo poi sia maturo per quest'ultima azione, al fine di porre il cancelliere Dollfuss nella necessità di assumere una linea di condotta ben definita è indicato non solo dalle precedenti osservazioni, ma da altre ancora, come ad esempio l'atteggiamento ungherese ed il naturale indebolimento di influenze stranLere per l'attenuazione della minaccia nazionalsocialista, nonché da ovvie considerazioni di opportunità, come sarebbe quella di garantirsi con detta iniziativa contro eventuali speciali risultati di un affrettato appello alle urne in Austria. Si dice infatti (ma la voce non mi é confermata) che Dollfuss non sarebbe alieno dal convocare i comizi elettorali, e ciò al fine di profittare della situazione d'inferiorità in cui travasi il partito nazionalsocialista austriaco in seguito al recente divieto dl ogni sua attività politica.

(l) -Cfr. n. 833. (2) -Non pubblicato.
881

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE RR. 2814/110 R. Vienna, 22 giugno 1933 (per. il 25).

Mio telegramma odierno 246 (2).

Una personalità ungherese assai vicina al presidente del consiglio dei ministri ungherese ha confidato ad una personalità austriaca, che me lo ha riferito, che il viaggio del signor Gombos a Berlino sarebbe più che giustificato dai seguenti motivi:

l. -Che il legittimismo in Austria avrebbe fatto passi così evidenti ed audaci che il Governo ungherese -·-assolutamente contrario ad una restaurazione absburgica (il mio interlocutore ha accennato che detta contrarietà pro

verrebbe sovratutto da ragioni delicatissime che mi riservo riferire a suo tempo a voce) ha creduto suo principale dovere assicurarsi senz'altro il forte appoggio dell'anti-asburgico Reich.

2. --Che la prova del legittimismo austriaco sarebbe data da una progettata dittatura cristiano-sociale-heimwerista (cioè quella già segnalata a V. E.J (1), in procinto di arrivare al Governo in seguito all'imminente allontanamento del signor Dollfuss. 3. --Che l'Austria essendo anche minacciata di cadere sotto l'influenza della Francia (designata come favorevo1e pur essa al legittimismo) l'Ungheria non poteva non avvisarne l'amico Reich. 4. --Che infine l'influenza dell'Italia crescendo «a dismisura» in Austria, ed aumentandosi anche in Ungheria il signor Gombos aveva, più che il dovere di preordinare una mitigazione di essa influenza, stabilendo di buon'ora la sua volontà di amicizia col potente Reich. 5. --Che il signor Gombos non è venuto pertanto meno alle sue intese con Roma e Vienna, giacché tutto quanto precede mentre non escluderebbe la sua dichiarata avversione all'Anschluss, bensì armonizzerebbe con l'avvento in Austria del nazionalsocialismo locale, pronunziatosi a più riprese nel senso della non attualità d'ogni impresa annessionista.

D'altra parte segnalo che il principe Starhemberg è stato replicatamente pregato dal signor Gombos di recarsi nella mattinata d'oggi a Budapest.

Al riguardo lo Starhemberg mi ha detto testé che egli aveva trovato tale invito assai inopportuno; che perciò lo aveva f,atto cadere, rinviando il desiderato colloquio «a qualche settimana».

Da parte mia confermo che le surriferite preoccupazioni del signor Gombos circa il legittimismo in Austria non trovano riscontro in un esame obiettivo della locale situazione. Mi riservo tuttavia riferirne ulteriormente a V. E. alla prima favorevole occasione, sia perché l'argomento è di natura particolarmente delicata, e sia perché per ripetere la frase ormai tanto in uso, la questione non è attuale, e pertanto non richiede un'immediata relazione.

(l) -Cfr. n. 538. (2) -T. rr. 2785/246 R. del 22 giugno, non pubblicato.
882

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE R. 2816/R. (2). Vienna, 22 giugno 1933 (per. il 25).

Il principe Starhemberg, parlando meco della situazione in seguito allo scioglimento del partito nazional-socialista austriaco, fortemente voluto da lui e dal ministro Fey, mi ha detto che è da attendersi una ripresa della campagna terrorista nazista.

Tuttavia egli ritiene che i beneficiari dell'ottenuto scioglimento consistono sopratutto nell'impossibilità in cui verrano a trovarsi i nazi per lo sviluppo della loro propaganda.

63 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XIII

(l) -Cfr. n. 867. (2) -Manca il numero di protocollo particolare.
883

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (l)

L. P. Londra, 22 giugno 1933.

l) Lunedl è partito Suvich e stamane Yung. Desidero dirtTi che ambedue hanno qui lasciato una impressione veramente eccellente, e tutti si augurano un loro presto ritorno. Tanto i miei amici inglesi, quanto i numerosi rappresentanti esteri presenti a Londra (mie vecchie conoscenze delle passate Conferenze, e che sono venuti quasi tutti a salutarmi all'Ambasciata) mi hanno parlato col più sincero elogio tanto di Yung, quanto di Suvich, i quali, nel breve tempo del loro soggiorno a Londra si sono guadagnati la stima, il rispetto la simpatia generali. Desidero anche segnalarTi un altro membro della Delegazione Italiana che ha destato il più vivo interesse ed ha vinto le generali simpatie, Galeazzo Ciano. Ciano ha mostrato di essere un negoziatore di sicura esperienza e un diplomatico di sensibilità non comune. Insomma la nostra Delegazione si è fatta e si sta facendo onore.

2) Ho incontrato ieri sera, ad un pranzo a Corte, Lloyd George. Lo rivedevo per la prima volta dopo la firma del Patto di Roma e il Tuo grande discorso al Senato. Lloyd George mi è venuto incontro per dirmi che egli desiderava io Ti ripetessi ancora una volta le espressioni della sua sincera ammirazione. Lloyd George ha continuato « O il mondo si decide a seguire Mussolini, ovvero il mondo è perduto. Non c'è che il vostro Capo il quale abbia delle idee chiare, e che cammini sicuro sulla strada segnata dalla Sua volontà. Il Suo Discorso al Senato, che io ho letto parola per parola, è un capolavoro di dirittura morale e di forza politica. Non vi sembra strano», ha esclamato ad un certo punto, «che un vecchio liberale come me· penst e dica queste cose di Colui che è il giustiziere del Liberalismo? ».

Ho risposto a Lloyd George che non è affatto strano che egli pensi e dica così del Duce. È strano invece che egli continui a credersi un vecchio liberale. Nulla è infatti più errato, ho aggiunto, nell'attuale tempo rivoluzionario che l'intero mondo attraversa, di classificare il proprio pensiero servendosi di nomenclature politiche morte e trapassate. Bisogna avere il coraggio, se si vuol essere compresi e seguiti, non soltanto di pensare in senso moderno, ma altresì di usare il dizionario politico vivente ed aggiornato dalla nostra generazione.

Lloy George ha sorriso dicendo: «Forse avete ragione. Ma i vecchi hanno i loro innocenti e tenaci pudori. Ad ogni modo il liberalismo è morto, ma io ancora no». Alla conversazione assistevano il Principe Giorgio, figlio del Re, l'Ambasciatore di Polonia, il Ministro dell'Interno e quattro o cinque membri della Camera dei Lords.

(l) Da ACS, Carte GRANDI, ed. In SuvxcH, pp. 304-305. e nel «Borghese » del 21 aprile 1966.

884

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2793/530 R. Londra, 23 giugno 1933, ore 20,20 (per. ore 23,10).

Ieri sera è venuto a vedermi ministro delle finanze Ungheria il quale mi ha insistentemente pregato persuadere Schiiller opportunità riprendere in questo particolare momento trattative per un più stretto accordo economico fra Ungheria ed Austria.

Ministro d'Ungheria ha aggiunto che il suo Governo preferirebbe che austriaci prendano essi stessi per primi iniziativa ripresa tali trattative. Ho chiamato subito stamane Schuller il quale mi ha promesso di prender contatto con rappresentanti Ungheria. Ministro delle Finanze d'Ungheria mi ha pregato inoltre far presente a V. E. utilità che anche da Roma siano fatte raccomandazioni in questo senso direttamente a Vienna in modo che delegazione austriaca possa ricevere al più presto istruzioni da Dollfuss (l).

Ho informato Asquini quanto sopra per le eventuali direttive che V. E. crederà impartire delegazione italiana sull'argomento.

885

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2801/531 R. Londra, 23 giugno 1933, ore 20,20 (per. ore 1,20 del 24).

Vansittart mi ha chiesto ier sera se sapevo nulla circa voci fatte circolare in questa stampa intorno una proposta che sarebbe stata avanzata da Governo italiano per una più stretta unione politica fra Austr,ia e Ungheria aggiungendo che nessuna informazione era pervenuta a Graham.

Ho risposto che nulla sapevo e attirato a mia volta attenzione Vansittart su comunicato pubblicato ieri da Times (mio telegramma n. 525) (2).

Tale comunicato per la sua forma e redazione era stato interpretato come notizia di ispirazione ufficiosa da pa~te _di questo Governo, il che non aveva mancato di arrecarmi una certa sorpresa. Vansittart mi ha dichiarato non saperne assolutamente nulla e di essere rimasto egli pure sorpreso. Infatti, da informazioni confidenziali avute stamane, mi risulta trafiletto Times è stato pubblicato per ispirazione diretta del Quai d'Orsay.

È mia personale impressione che da parte della Piccola Intesa si cerchi profittare presente delicata situazione austriaca per rinnovare tentativo resurre

zione piano Tardieu fallito durante conferenza danubiana di Londra aprile 1932. Benes, Titulescu e Jeftic si sono abbastanza agitati quest'ultimi giorni cercando volgere a profitto loro vecchi piani confederazione economica danubiana sentimento generale simpatia per causa austriaca determinatosi in questi ultimi giorni nell'opinione pubblica inglese. Non nascondo che in questi giorni mi sono trovato spesso nella necessità di intervento sia al Foreign Office, sia presso le redazioni giornali pubblicati da uomini politici inglesi per rettificare erronee interpretazioni e notizie che emissari Piccola Intesa hanno fatto spargere intorno situazione attuale nell'Europa centro-orientale, allo scopo di convincere questi Paesi che sola possibilità di salvezza per Austria di fronte pericolo Anschluss è entrare nel sistema degli Stati danubiani della Piccola Intesa (l).

(l) -Ritrasmesso a Vienna con t. 1314/139 R. del 25 giugno con la seguente istruzione: Pregola interessarsi nel modo più opportuno presso Dollfuss nel senso predetto illustrando la importanza che annettiamo alla realizzazione di un più stretto accordo economico austro-ungherese come parte del programma alla cui progressiva attuazione l'Italia è anche parte». (2) -T. 2771/525 R. del 22 giugno, ore 12.03, non pubblicato: riportava una nota del Times intitolata: «Unione austro-ungarica -suggerimento italiano».
886

IL SOTTOSEGRETARIO ALLE CORPORAZIONI, ASQUINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2810/99 R. Londra, 24 giugno 1933, ore 16,52 (per. ore 18,30).

Da informazioni raccolte, e per ora principalmente da attitudine stampa inglese, è da dubitare che di fronte impossibilità raggiungere intesa su questione principale e cioè stabilizzazione più importanti valute, MacDonald si adopererà per ravvivare con ogni mezzo interesse conferenza. Non pare improbabile quindi che venga rimessa sul tappeto questione creazione nuova unità economica danubiana su base più o meno larga. Piano del genere è oggi apertamente sostenuto articolo di fondo Times il quale termina osservando che migliore applicazione Patto a quattro sarebbe quella di impegnare firmatari non ingerirsi Europa danubiana lasciando tali Stati liberi giungere intesa diretta fra loro.

Qualora presentisi occasione terrò conto direttive comunicatemi da Grandi, ma segnalo quanto precede anche per istruzioni da impartirmi direttamente al riguardo.

Prego comunicare S. E. Jung.

887

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA 4725/2001. Belgrado, 24 giugno 1933.

Superato, o per lo meno rinviato, il pericolo revisionista, la Jugoslavia si volge a parare quelli che suppone possano venirle da altri avvenimenti. Sono la situazione austriaca, la ungherese e la conclusione dei negoziati italo-fran

cesi, mentre si attendono con tenace pazienza gli sviluppi della situazione bulgara, si seguono con interessata curiosità i greci, e si tenta alimentare con ogni mezzo un catastrofico andamento della situazione albanese che ponga un definitivo arresto alla nostra azione.

Nei rispetti dell'Austria la posizione è anzitutto decisamente negativa e cioè opposizione all'Anschluss, (qui la parte di forza è attesa dall'Italia come la maggiore interessata a mantenere la Germania al di là delle Alpi bavaresi) e, subordinatamente, opposizione ad una qualsiasi forma di unione con l'Ungheria che o desse all'Italia più facile influenza sullo stato nuovamente riunito,

o peggio ancora dovesse finire col significare in tempo non lontano: Anschluss più Ungheria.

Se occhi sospettosi ed inquieti hanno seguito il formarsi degli accordi economici fra Italia ed Ungheria, preludio alla decisiva influenza italiana sui due Paesi danubiani, ancora più è tenuta una unione austroungherese, premente sulla Jugoslavia e ricostituito gruppo militare ostile alla Piccola Intesa. E si è qui convinti (richiamo anche in questa occasione la relazione citata nel mio telespresso n. 1082 del 20 corrente (l) fatta da quei circoli nazionalisti austriaci al Conte Hugenberg e comunicata nel marzo scorso da quel R. Console Generale) che l'Ungheria, rafforzata dall'Austria tenderebbe immediatamente a riprendere il dominio croato perché sicuro diretto accesso al mare attraverso Fiume. E si offre a prova che le cartine irredentiste ungheresi comprendono anche quella regione e quel porto nelle loro rivendicazioni. Celebre fra tutte la nota cartolina con il titolo: Az exreves egyseges Magyarorzag.

Si teme (e mi fu più volte ripetuto questo timore da Marinkovic, e ne riferii all'E. V.) il prodursi di un movimento convergente, dell'Austria-Ungheria verso il mare attraverso Fiume, e delle popolazioni ex austriache verso AustriaUngheria soprattutto nell'eventualità di una restaurazione asburgica. Nei circoli serbi si sa bene quanto ancora vivi i fermenti ex austro-ungarici in Croazia e Slovenia, quanto ancora forti i legami familiari specie nella aristocrazia croato-ungherese, e si stima che se nuovi assetti politici sono relativamente facili e rapidi, non così gli adattamenti degli spiriti per sette secoli stati rivolti a pensiero affatto opposto a quello cui ~i tende da soli quindici anni di quella nuova vita jugoslava della quale sono anche troppo noti gli impedimenti per una rapida e completa fusione di disparati elementi pur su un fondo etnico indubbiamente comune.

Intanto all'unisono con Praga si rinnovano lusinghe ed appelli per una accessione dell'Austria ed Ungheria alla Piccola Intesa, od almeno per la formazione di quella unità economica danubiana che è dipinta come il solo rimedio a tutti i pericoli politici minacciosi per Belgrado ed a tutti i mali economici che affliggono l'Europa Centrale balcanica. Soprattutto si agita il ritornello della indipendenza austriaca che può essere garantita solo se vi rinunci a favore della Piccola Intesa, e ci si affanna a dichiarare che la Piccola Intesa è la migliore amica dell'Ungheria (Jeftic).

Una delle chiavi maggiori della situazione attuale sono i rapporti italafrancesi. Si è ripetuto continuamente a Belgrado che in passate trattative una

{l) Non pubbllcato.

delle domande italiane fosse che la Francia considerasse gli interessi italiani ln Adriatico e nei Balcani preminenti rispetti ai suoi, sì da concedere all'Italia libertà di azione. II timore quindi di un abbandono francese è stato assillante. «Piuttosto che essere io una carta in mano della Francia, preferisco che la Francia sia una carta in mano mia!». Così si espresse ad un dato momento Re Alessandro con questo Ministro d'Inghilterra.

II timore è in questi giorni ancora più acuto. A diminuirlo si ripetono ad usura le assicurazioni del Quai d'Orsay e le dichiarazioni di uomini politici francesi da quelle di Herriot a quelle recentissime del senatore Eccard: «La Francia non abbandonerà mai la fedele Jugoslavia». Ma un dubbio rimane pungente, come resta viva la preoccupazione che o prima o poi l'impegno antirevisionista francese possa restare freddo inoperante strumento diplomatico. Si insinua quindi con l'accordo franco-italico dovrebbe essere subordinato ai già esistenti impegni francesi col suo sistema di alleanza.

Su questo fondo del reale pericolo per Jugoslavia e Piccola Intesa che verrebbe da uno sviluppo della situazione austro-ungarica che portasse alla unione dei due Stati ed alla restaurazione asburgica, si è svolta e si svolge la campagna di stampa di questi ultimi giorni, determinata dalla voce diffusa a Londra di azione italiana per restaurazione. Ma tale campagna se trova facile credito, perché ripeto, i pericoli che Belgrado si rappresenta sarebbero effettivi se a tale restaurazione si dovesse venire, ed è quindi spiegabile la opposizione serba, dal punto di vista tattico essa non rappresenta oggi che un comodo pretesto per ampliare nella opinione pubblica internazionale quella azione perturbatrice che ho segnalata col mio telegramma per corriere n. 119 del 13 giugno corrente (l) che mira a volere ad ogni costo dimostrare la poca fede italiana, lo spirito sovvertitore della nostra politica, ed a creare tanta maggiore diffidenza verso di noi quanto più ci si avvicini alla firma del Patto a Quattro ed alla conclusione dei rapporti franco-italiani. Quando si parlò due mesi fa della possibilità di un'intesa itala-francese non vi fu un articolo editoriale della Politika che svolgeva la tesi ammonitrice per la Francia: «Badate che l'Italia è una perfida vicina!! ».

E che queste siano le finalità della campagna odierna basti a persuaderne che essa continua malgrado le smentite anche di Jouvenel e di Jeftic. E la Pravda di ieri con malvagia stortura così si esprimeva: «Non è stato confermato che Mussolini abbia presentato un piano etc. etc. ma è chiaro che ormai che il Capo del Governo fascista svolge un piano diretto ... a creare una az,ione

turbolenta~.

Verso la Bulgaria gli spiriti sono freddamente calcolatori. Come si insinua in questi circoli politici e diplomatici un raffreddamento verso l'Italia che si sarebbe prodotto in queste ultime settimane in Gombos, si spera che anche la Bulgaria possa presto toccare la evidenza della non revisione, piegarsi perciò alla necessità di accordarsi con la Jugoslavia ed accostarsi alla Piccola Intesa. Per ordine del Governo le manifestazioni di riavvicinamento si moltiplicano (scambio di visite di prelati; visita alla Jugoslavia degli ingegneri) ed il Governo stesso con la riapertura della frontiera bulgara 05 giugno) vuole

dare una prova tangibile delle sue benevoli disposizioni. Ma esso resta fermo nella negativa della esistenza della minoranza bulgara, mentre trae argomento per raddoppiare nella sua azione snazionalizzatrice in Macedonia dal susseguirsi di attentati terroristici e dallo sconfinamento di bande di comitagi. Sia ricordato per tutti l'ultimo attentato di Nisc (rapporto n. 4736/2002 odierno) (l) con insolito numero di vittime.

Ho costantemente affermato da qui nell'interesse sopratutto dinastico agli avvenimenti greci [sic]. Venizelos è considerato da questa Corte lo spregevole nemico degli interessi personali del Re e dei suoi parenti, il più deciso affermatore della indipendenza greca dalla influenza jugoslava, il maggiore ostacolo alle mal celate pretese su Salonicco, il sostenitore di una corrente che vuole l'Italia nel quadro della politica greca alla pari della Francia ed Inghilterra se non ad esse superiore. La scomparsa di Venizelos ed il ristabilimento della Monarchia sarebbero salutati qui con incredibile gioia. Il ritorno di Re Giorgio verrebbe interpretato sicuro modificarsi della politica greca, facile cedere alla pressione jugoslava e più agevole costituirsi di una unione balcanica che Belgrado vorrebbe raggiungere per padroneggiarvi, mentre nella politica centro europea (che è l'altro aspetto dei problemi generali jugoslavi) la Jugoslavia non potrà pretendere mai assoluto ed unico prevalere del suo punto di vista. E si conta perciò giorno per giorno il progressivo rafforzarsi della corrente monarchica, da questa Corte ormai valutata alla pari di quella repubblicana.

In Albania si cercano tutti i più lievi insignificanti sintomi di una modificazione della nostra politica. Dal richiamo del generale Parini in poi si susseguono notizie ed affermazioni che in conclusione tendono a far credere ad un progressivo stancarsi del nostro sforzo di penetrazione con conseguente rinuncia specie del programma della sua messa in efficienza militare. Quindi diminuzione di pericolo per la Vallata del Vardar, possibilità di una ripresa di influenza jugoslava sempre in agguato.

Uno degli elementi di difesa contro l'accordo itala-francese ed uno sviluppo favorevole agli interessi italiani del Patto a Quattro è quella tendenziosa campagna già segnalata che con continua~:J rivelazioni sui preoccupanti armamenti a Fiume (Politika del 22 giugno e Novosti del 21 giugno) con la denuncia della minaccia internazionale che viene dal Fascismo quindi con l'appello alla costituzione di un fronte unico antifascista (Novosti del 22 giugno) tenta miserabilmente ingenerare sospetti sulle finalità e sulla onestà della politica italiana, mentre per la eventualità della revisione si organizza fino da ora un movimento della pubblica opinione sul quale a suo tempo fondarsi per reclamare come contro partite Venezia Giulia e Carinzia (ed è questa la nuova giustificazione di tale campagna, prima incoraggiata solo a contrapposto di quella svolgentesi in Italia per la Dalmazia). Ed ora si crea un nuovo specioso argomento revisionista a favore della Venezia Giulia nell'Obzor:

«...in caso di unione austro-ungherese il trattato di Rapallo cesserebbe di avere vaLore ». Ma... la maggiore difesa contro tutti i pericoli internazionali che ho sopra elencati la si vuole esercitare appunto con la Piccola Intesa ad

ogni progettata azione e decisione: la Piccola Intesa deve dominare e determinare tutta la politica europea.

Un risultato essa lo ha ottenuto con la lettera di garanzia francese che promette di esigere la unanimità per ogni questione toccante la revisione. E di questo successo non si cela la gioia. La stessa manovra combinata delle tre piccole potenze, la stessa posizione di ricatto e di pressione sulla Francia contano esercitare adesso ed in ogni altra occasione futura Jeftic e Benes a Parigi, per contrapporre con Titulescu le loro esigenze petulanti.

E si vuole consolidare la convinzione che, nel parallelogramma delle forze delle quali deve tener conto la politica francese per le sue finalità quelle della Piccola Intesa abbiano a prevalere sulle italiane.

Le conclusioni qui sopra esposte trovano giustificazione, oltreché nelle informazioni e nei privati colloqui da me avuti a Belgrado anche in pubbliche dichiarazioni politiche e nelle manifestazioni di stampa che qui di seguito allego (1).

888.

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL SOTTOSEGRETARIO ALLE CORPORAZIONI, ASQUINI, A LONDRA

T. 1312/30 R. Roma, 25 giugno 1933, ore 14,35.

Suo telegramma n. 99 (2). Se si dovesse fare qualche accenno come indicato in telegramma sopradetto

V. E. può rispondere che da punto di vista economico noi non riteniamo efficace soluzione unione danubiana per note ragioni già a conoscenza V. E. Potrà poi affermare che c'è lato politico che si sottrae competenza V. E. per cui ella deve chiedere istruzioni. Potrà anche accennare, molto vagamente a come idea personale, avvicinamento austro-ungherese come base per stringere poi assieme accordi con altri Stati confinanti. E. V. eviti entrare in discussioni sul patto a quattro con riferimento al fatto che V. E. pure non avendo nessuna istruzione al riguardo sa che a Roma si attende la firma del patto prima di iniziare qualsiasi azione sulla base dello stesso. Trovi V. E. tuttavia modo di far comprendere che, secondo punto di vista italiano, patto a quattro è atto contribuire notevolmente a soluzione principali problemi che sono questo momento su tappeto.

889.

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. P.R. 1313/267 R. Roma, 25 giugrw 1933, ore 17.

Come V. E. sa, codesto Governo ha chiesto il gradimento per Drummond. Prima sottoporre a Sua Maestà tale richiesta, desidererei conoscere se tanto

(-2) Cfr. n. 886.

MacDonald che Simon non stimino che, in questo periodo che prelude all'applicazione del patto a quattro e durante quello della sua prima applicazione (che potrà evidentemente protrarsi per parecchi mesi), non gioverebbe di evitare di privarsi dell'opera di Graham. È evidente che la prima applicazione del patto è destinata ad avere una notevole importanza e ripercussione anche in avvenire; e tanto più utile potrebbe quindi tornare la lunga e fruttuosa esperienza che possiede l'attuale ambasciatore delle relazioni tra i due paesi e la parte da lui avuta nell'evoluzione del patto.

Naturalmente V. E. vorrà dare a questa indagine carattere strettamente personale ed amichevole e spiegare e mettere in evidenza -se pure ve ne sia bisogno -come essa si ispiri al criterio di non privarsi di nessuno degli elementi che possono contribuire ad avviare verso una soddisfacente soluzione (appunto mediante una conveniente applicazione del patto a quattro) le difficoltà particolarmente gravi della situazione europea. Situazione che -secondo mostra anche l'esperienza attualmente in corso a Londra -le grandi conferenze si rivelano sempre più inadeguate a risolvere.

Le preoccupazioni italiane sono certamente condiv,ise da codesto Governo, come lo mostrano anche le recentissime dichiarazioni di MacDonald in sede di conferenza economica, e ritengo quindi che sia MacDonald che Simon si renderanno pienamente conto e sapranno apprezzare le finalità alle quali risponde la domanda che, data l'eccezionalità delle circostanze, rivolgo loro a titolo amichevole a mezzo della E. V.

(l) Ritrasmesso a Berlino, Parigi, Madrid, Belgrado, Bucarest, Budapest, Praga e V!enna con t. per corriere 1315 R. del 26 giugno.

(l) Cfr. n. 820.

(l) Non pubblicato.

(l) -Non pubbllcato.
890

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. RR. 2612/1400. Vienna, 26 giugno 1933 (per. il 1° luglio).

Il Cancelliere mi ha parlato con grande serenità della attuale situazione interna. Non se ne nasconde la gravità, ma è fiiducioso che la causa dell'indipendenza dell'Austria finirà col prevalere.

La sua fiducia riposa sulla presunzione che, in seguito alla dissoluzione del partito nazionalsocialista, se potranno ancora verificarsi sporadici atti terroristici o nuove minacce, non avranno più 'luogo perturbazioni interne tali da rappresentare un vero e proprio pericolo, eccetto l'eventualità, già affacciata, (mio telegramma 238 del 19 corrente) (1), d'un'incursione dei nazi dalla Germania, e d'una eventuale reazione della Cecoslovacchia e della Jugoslavia, sulle rispettive frontiere.

D'altra parte il Cancemere ritiene che l'espulsione degli agenti nazisti tedeschi dall'Austria O'Habicht, il Kothen ecc.) ha compiaciuto, in primo luogo, proprio quelli che avrebbero dovuto maggiormente risentirsene: ossia i capi

~29

austriaci del movimento, i signori Frauenf•eld e Proksch, i quali, a suo dire, avrebbero ora riacquistato «pace e libertà d'iniziativa~-Un primo segno di tale loro stato d'animo è rinvenuto dal Cancelliere nei «tentativi di approccio» che le due predette persone andrebbero effettuando da un paio di giorni, nei suoi riguardi. Egli ha lasciato cadere questi tentativi, convinto com'è che un miglioramento della situazione potrà verificarsi alle seguenti condizioni:

l) Che i predetti due capi nazisti, su cui grava la responsabilità degli avvenimenti finora occorsi, malgrado la «parte principale» rappresentata dall'espulso ispettore tedesco Habicht, lasciano la direzione del partito in mano di altre persone, più immedesimate degli interessi austriaci e quindi più naturalmente disposte ad un « apaisement ».

2) Che la parte « nazionale » finora iscritta al partito pangermanista ed allo stesso partito nazionalsocialista, o con essi simpatizzante, si risolva ad avvicinarsi al Fronte Patriottico.

L'ufficio di richiamo per tali resipiscenti potrebbe essere utilmente effettuato, a dire del Cancelliere, dal partito agrario, e specie se questo, come egli ebbe già a dirmi nel mese scorso, assumerà nelle sue mani il desiderato movimento corporativista.

Circa la socialdemocrazia, ed in risposta ai miei rinnovati e già a lui ben noti argomenti, il Cancelliere ha ammesso l'incongruenza della situazione, ma mi ha accennato alla difficoltà di battersi su due fronti, pur dichiarando la possibilità di colpi sporadici, ad ogni minimo pretesto.

Tuttavia, devo constatare che il Cancelliere, a tale riguardo, è stato con me reticente; gicché mi consta che egli, parlando con altro mio collega, si è felicitato del modo perfetto con cui i socialdemocratici della Bassa Austria si sono comportati nel votare compatti con i cristiano-sociali, contro i nazisti.

So bene che la dura necessità del momento costringe il Cancelliere ad avvalersi d'ogni carta ed a propiziarsi o;;ni simpatia (al riguardo, mi ·riferisco a quanto ho già segnalato nella speciale corrispondenza sull'argomento); ma ciò nondimeno non posso non insistere nel pericolo insito in tale stato di cose specie per l'influenza che ne deriva alla Francia e alla Cecoslovacchia. Tuttavia può prevedersi che, cacciata via la rappresentanza nazista dal Consiglio federale e dai Landtagen, egli non si sentirà, come in oggi, tenuto ad una soverchia prudenza verso la socialdemocrazia. A ciò potrà pure contribuire l'esempio e l'effetto delle drastiche e rapide misure, cui va procedendo il governo del Reich.

Il Cancelliere mi ha infine detto che il fronte patriottico vede aumentare giornalmente le nuove iscrizioni; ed un'eguale constatazione, nei riguardi delle Heimwehren, mi è stata fatta dal principe Starhemberg.

Entrambi mi hanno inoltre fatto cenno al cammino che va facendo l'idea della «Patria austriaca». Idealità che è sostenuta non solo dalla viva propaganda che, con frequentissimi pubblici discorsi, vanno tenendo le due suindicate personalità, ma anche il Ministro della Difesa Nazionale, Vaugoin, quello della Giustizia Schuschnigg, e lo stesso Vice-Cancelliere Winkler, sebbene questi parli in modo più moderato e sempre con diretto riferimento alla fratellanza di sangue germanico.

(l) Cfr. n. 870, nota 4, p. 908.

891

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 2861/250 R. Vienna, 27 giugno 1933, ore 0,35 (per. ore 5,20).

Dopo aver chiesto se io avessi ricevuto da V. E. notizie circa attività spesa da Gombos nella sua recente visita a Berlino, e mostrato des-iderio di ottenerne, cancelliere non mi ha nascosto sua perdurante vivissima preoccupazione per contegno ungherese.

Cancelliere è persuaso che detta visita abbia avuto un predominante se non esclusivo carattere politico. Giusta sua informazione, Gombos avrebbe perseguito a Berlino seguenti scopi:

2°) cattivarsi le simpatie e l'amicizia di Hitler, onde trarne al momento opportuno i maggiori vantaggi e ciò nella persuasione che il nazionalsocialismo diventi in Austria ben presto padrone della situazione; 3°) prospettare la convenienza di una stretta intesa fra Italia, Germania e Ungheria, allo scopo di esercitare poscia una concorde azione sull'Austria. A tale ultimo riguardo cancelliere ha rinforzato il timore che nella pre detta visita si sia parlato di un'eventuale spartizione dell'Austria tra Germania e Ungheria nell'intesa dell'assegnazione del Burgeland all'Ungheria. A confronto delle predette informazioni mio interlocutore, oltre a farmi rilevare intimità cui era stata improntata visita Gombos, nonché varie circo stanze che le avrebbero dato spiccato carattere anti-austriaco (mio telegram ma n. 237) (l), ha attirato altresì mia attenzione su intervista concessa dal capo dei nazisti di Vienna, Signor Frauenfeld; al giornale Nynemgedek di saba to scorso. In tale intervista detto signore afferma che Goemboes è ormai guadagnato all'hitlerismo. Cancelliere mi ha infine detto che per sondare esattamente fondamento predetta informazione sospetta, egli ha fatto intendere a questo ministro d'Un gheria l'opportunità di una visita ufficiale ministro GèimbOs a Vienna.

l 0 ) seppellire per sempre la questione legittimista;

892

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2848/454 R. Parigi, 27 giugno 1933, ore 13,20 (per. ore 15).

Posso confermare in modo non dubbio notizie comunicate come indecise col mio telegramma n. 431 (2) e cioè che la Francia firmerà patto solo a Camera dei deputati chiusa. Governo francese spera che Parlamento prenda

vacanze con un poco di anticipo sugli anni precedenti ossia fra 10 e 12 luglio.

Quai d'Orsay intende mettere a profitto tempo che intercede da oggi alla firma patto per un preliminare scambio di idee ·Con V. E. [ma] non si penserebbe affrontare questioni particolari itala-francesi.

Conversazioni che la Francia si propone intraprendere verterebbero su problemi d'interesse europeo quale disarmo e specialmente situazione attuale austriaca con riferimento Europa centrale.

Signor Leger mi ha detto che ha in preparazione istruzioni che saranno all'uopo impartite al signor Jouvenel.

Discorso tenutomi dal segretario generale del Quai d'Orsay illumina recenti avvenimenti. Si può pensare infatti che il rumore fatto negli ultimi giorni sulla questione austro-ungherese collegata a una pretesa restaurazione degli Absburgo, sia stata una manovra inscenata dalla Piccola Intesa per riportare sul tappeto i problemi attinenti all'Europa centrale.

Visite recentissime a Parigi di Jeftic e Benes e quella precedente di Titulescu trattenutosi in questa capitale nel suo viaggio di andata a Londra, hanno permesso evidentemente ai ministri centro-balcanici di concertare col Governo francese una linea di condotta comune.

Comunque segretario generale mi ha assicurato che la Francia è ben lungi voler profittare della presente situazione, fra la parafatura e la firma del patto, per esercitare una qualsiasi pressione su V. E.

Ho interrotto il mio interlocutore per prendere atto della sua dichiarazione e per confermargli, riferendomi a passate conversazioni, che il Governo francese dimostrerebbe un acuto intuito prestandosi alla firma del patto il più presto possibile senza aprire nuove discussioni che potrebbero essere di inciampo al normale rapido svolgimento delle cose quali abbiamo diritto ormai di attenderci.

Italia può pretendere ora dalla Francia un analogo senso di comprensione.

Presente telegramma continua (1).

(l) -Cfr. n. 864. (2) -Cfr. n. 856.
893

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2854/455 R. Parigi, 27 giugno 1933, ore 19,16 (per. ore 21).

Il presente telegramma fa seguito a quello avente il numero precedente (2). Il signor Leger ha insistito con calore sulla leale adesione data dalla Francia al patto a 4. Il Governo francese non intende menomamente presentare piani di concrete sistemazioni. Esso desidera soltanto constatare, mediante una conversazione generica, che l'assillante problema austriaco e dell'Europa centrale non costituisce uno

scoglio insuperabile e che non vi è assoluto contrasto fra Italia e Francia sul modo considerare la questione.

In altre parole il Governo francese desidera accertare se Italia, la quale prima del patto a 4 aveva legittimamente (riferisco testualmente parola di segretario generale) la scelta fra una politica di dissociazione o di cooperazione, sia disposta per l'avvenire a cooperare al risorgimento economico, ripeto economico, dell'Europa centrale.

Segretario generale si è espresso difatti con maggiore cautela di quella che io abbia fatto nel riferire, trascurando le sue sfumature untuose, il suo pensiero.

Allusione alla politica di dissociazione svela il proposito suggerito evidentemente da Governo jugoslavo, di ostacolare il distacco della Croazia dalla Jugoslavia, distacco che a mio avviso, si porrebbe come eventualità assai probabile il giorno in cui si ricostituisse sotto un Absburgo una monarchia austroungarica.

Leger non è entrato sulle istruzioni che saranno impartite a codesto ambasciatore di Francia, né io l'ho incoraggiato a farlo.

Mi sono limitato ad ascoltare senza commentare.

Segretario generale ha alluso, ad un certo momento, alla rinunzia da parte nostra alla creazione di Stati cattolici in opposizione a Stati esistenti non cattolici. Credo che anche a questo proposito egli abbia inteso riferirsi all'unione della Croazia all'Austria.

Il mio interlocutore mi ha fatto infine balenare davanti agli occhi, a varie riprese, vantaggi che verrebbero all'Italia per il fatto di una sua preponderante posizione economico-commerciale centro Europa con la contemporanea formazione di una zona neutra hinterland al porto di Trieste il quale diverrebbe il naturale sbocco dei paesi danubiani.

Il presente telegramma continua col numero di protocollo successivo (1).

(l) -Cfr. n. 893. (2) -Cfr. n. 892.
894

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2855/541 R. Londra, 27 giugno 1933, ore 20 (per. ore 0,30 del 28).

Tewfik Ruschdi bey è venuto a vedermi stamane per pregarmi informare

V. E. che partirà 30 per Parigi dove si tratterrà due o tre giorni ospite Governo francese. Ambasciatore ad Angora conte de Chambrun trovasi già in viaggio per Parigi per incontrarlo.

Tewfik Ruschdi bey intenderebbe da Parigi proseguire alla volta di Roma per essere ricevuto da V. E. desiderando vivamente avere con V. E. scambi di idee su situazione generale e politica italo-turca (2).

{l) Cfr. n. 895.

Tewfik Ruschdl bey confida che sua visita riesca gradita a V. E. e pregherebbe dargli risposta tramite nostro ambasciatore Parigi, con il quale egli conterebbe prendere accordi circa data in cui tornerebbe comodo a V. E. riceverlo a Roma.

Durante queste due settimane di sua permanenza a Londra Tewfik Ruschdi bey è venuto a vedermi spesso trattenendosi lungamente a parlare, come sua abitudine, intorno più svariate questioni. Egli ha talvolta accennato a qualche preoccupazione che conclusione patto a quattro avrebbe fatto nascere in Turchia. Mi sono naturalmente valso degli elementi e delle direttive di carattere generale inviatemi a suo tempo da V. E. per dimostrargli quanto assurde siano tali preoccupazioni.

Egli non mi ha anche nascosto tentativi fatti recentemente da Benes e Titulescu; il quale ultimo si prepara recarsi in visita ufficiale ad Angora, per persuaderlo che Patto a quattro significa indirettamente mutamento politica finora seguita dall'Italia nei confronti Turchia.

Tewfik Ruschdi bey ha naturalmente aggiunto di non aver prestato fede a tutto ciò.

Per quanto io possa da qui giudicare è mia impressione che in questo momento visita ministro di Turchia varrebbe non solo a tranquillizzarlo definitivamente, ma altresì incoraggiarlo nella politica di fiducia e di leale collaborazione con l'Italia (l).

(2) Annotazione a margine di Mussol!nl: «SI >t.

895

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2856/456 R. Parigi, 27 giugno 1933, (per. ore 21,20 ore 23). II presente collo precedente telegramma (2). fa s eguito a quello av ente il nu mero di proto

Segretario generale ha ripetuto che la Francia assicurata possibilità dello svolgimento di una politica di cooperazione economica dell'Italia coi singoli Stati della Piccola Intesa si tirerebbe in disparte, nella supposizione che l'Italia preferirebbe condurre direttamente a termine gli ulteriori negoziati.

Per completare resoconto della conversazione, debbo aggiungere che avendo io ad un certo punto stigmatizzata la pretesa della Piccola Intesa di opporsi alla creazione di unioni di Stati mentre essa costituisce un blocco di tre Stati, il mio interlocutore ha obiettato che si tratta di una intesa aperta agli altri Stati che desiderassero aderirvi. Quanto al «blocco) della Piccola Intesa il signor Leger mi ha dichiarato che il Governo francese ha detto, ripetuto e sostenuto che il blocco della Piccola Intesa come tale non, dico non, può

(-2) Cfr. n. 893.

essere preso in considerazione dalla Francia. Governo francese ha fatto sapere anche di recente a Benes che intende trattare separatamente coi tre Stati. Riconoscendo il blocco della Piccola Intesa la Francia sarebbe logicamente costretta di ammettere la costituzione di blocci statali opposti, ciò che non è nelle sue intenzioni.

(l) -Ritrasmesso a Parigi con t. 1336/360 R. del 28 giugno, ore 24, con l'aggiunta della seguente istruzione: «Prego V. E. mettersi In contatto con Ruschdl bey e dirgli che 11 capo del Governo lo vedrà volentieri ».
896

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. 1324/283 R. Roma, 27 giugno 1933, ore 24.

Telegrammi R. console a Monaco Baviera n. 32 e 34 (l) V. E. e codesto Governo avranno certamente notato come da parte di certa stampa francese e della Piccola Intesa si vadano raccogliendo con cura e ingrandendo tutte le ragioni vere o supposte di divergenze o per lo meno di minore intesa tra Italia e Germania. Gli scopi di una simile campagna sono chiari e credo che non sia né interesse italiano né interesse tedesco prestarvisi. L'inclusione di una sezione « Tirolo meridionale » nell'esposizione « terre di confine oppresse » promossa dall'associazione studenti politecnici di Monaco Baviera costituisce appunto dei casi tipici. Il R. console a Monaco con tempestivo intervento ha già ottenuto che le manifestazioni più antipatiche di tale mostra sparissero, ma credo che gioverebbe ai buoni rapporti fra i due paesi e soprattutto servirebbe ai buoni rapporti fra i due paesi e soprattutto servi.rebbe da remora alla campagna di stampa a cui accennavo di sopra se la sezione «Tirolo meridionale » potesse sparire.

Prego V. E. adoperarsi a questo fine nella maniera che le apparirà più opportuna.

897

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. 1326/141 R. Roma, 27 giugno 1933, ore 24.

Questo ministro Austria ha segnalato a nome suo Governo seguenti fatti e informazioni:

Primo -Noto gettito foglietti volanti a Linz da parte aeroplano rimasto sconosciuto.

Secondo -Informazioni varie indicherebbero la intenzione nazi di inviare

in Austria gruppi di terroristi per riprendere con maggiore intensità attentati.

Terzo -Lega fra i tedeschi all'estero avrebbe l'intenzione di lanciare pros

simamente in Austria centomila giovani ciclisti che vi dovrebbero affluire da

strade diverse.

Talune di queste informazioni trovano conferma in informazioni da altre

fonti giunte in nostro possesso.

In relazione anche ad altro telegramma circa l'afflusso di elementi nazi nelle nostre zone di frontiera che non intendiamo affatto di consentire, pregoLa dire a Dollfuss a mio nome che tutte le misure più energiche che il Governo austriaco adotterà per prevenire e reprimere ogni attività terroristica incontreranno nostra piena approvazione, e sono sicuro quella di tutti gli Stati e della opinione pubblica generale già seriamente preoccupati dal perdurare ed in taluni casi dell'accentuarsi di tendenze che alla lunga non potrebbero non avere serie ripercussioni.

Ella può inoltre assicurare Dollfuss che ove la minacciata azione dei nazi con carattere di incursione in Austria dovesse verificarsi, noi non potremmo !asciarla compiere senza adeguata reazione. In genere faccia sentire in modo opportuno a Dollfuss che egli troverà sempre nel R. Governo l'appoggio più efficace e più deciso alla sua azione volta al mantenimento dell'indipendenza austriaca. PregoLa leggere a Dollfuss questo telegramma.

Aggiungo che mi sono messo in rapporto con il R. Ambasciatore a Londra perché incoraggi e coltivi colà simpatie già esistenti verso l'Austria e l'azione di Dollfuss in quell'opinione pubblica e nel Governo britannico.

(l) T. 2803(32 R. del 23 giugno, ore 18,55 e t. 2806/34 R. del 24 giugno, ore 14, non pubblicati: riferivano circa l'inaugurazione a Monaco di un'esposizione dal titolo «Terre di confine oppresse» e circa 11 successivo colloquio tra Pitalls e 11 presidente dei ministri d! Baviera, in seguito al quale erano stati tolti dalla mostra alcuni grafici offensivi per l'Italia.

898

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. 1328/331 R. Roma, 27 giugno 1933, ore 24.

Telegramma di V. E. n. 360 (1).

Alla prima occasione V. E. potrà confermare verbalmente a codesto Governo che, sia tenuto conto elementi di fatto della questione, sia avuto riguardo alle dichiarazioni dell'on. Jung durante la sua permanenza a Washington. Governo italiano aveva ragione di ritenere che il pagamento fatto venisse considerato non «unsubstantial » ma r,ispondente invece alle possibilità della situazione e che confida che una ulteriore considerazione della questione da parte americana indurrà il Governo degli Stati Uniti ad apprezzare maggiormente atteggiamento italiano. D'altronde in questo senso mi pare siano già le dichiarazioni

«Ho detto al Sottosegretario di Stato che ultimo alinea della nota dove Governo degli

S.U.A. esprime disappunto per piccola entità del versamento mi aveva sgradevolmente sorpresoperché la considerazione era tanto ingiusta quanto illogic:. ed in<>tile ...

Sottosegretario di Stato si sforzò d! togliere alla frase qualsiasi carattere non amichevole e m! ripeté soliti argomenti circa difficoltà del Presidente d! fronte al Congresso ed opinione pubblica. Fini per confidarmi che egli si era opposto alla inclusione della frase da me deplorata ma che non era stato materialmente possibile mettersi In comunicazione con presidente, già partito da Washington, per modificare redazione da lui approvata « in un momento di nervosismo ». Sottosegretario di Stato mi disse che era personalmente spiacente della cosa e sperava che V. E. non vi avrebbe attribuito soverchia importanza».

fattele dal Sottosegretario di Stato, avere cioè il presidente approvato la nota «in un momento di nervosismo». Superfluo che aggiunga per sua norma che non ci attendiamo affatto nessun'altra comunicazione. Basterà che a mezzo di

V. E. e per regolarità di negoziato il nostro punto di vista resti opportunamente confermato.

Non ritengo poi che sia il caso di rilevare l'imprecisione della nota americana nei riguardi dei futuri negoziati e nemmeno di riferirsi alle percentuali che il pagamento italiano e gli altri pagamenti rappresentano sulle somme dovute. Se da parte americana si dovesse toccare questo lato della questione, sarà anzi da evitare con ogni cura di prestarvisi, dato che in base settlement 1925 ammontare rate italiane cresce con un ritmo assai forte e che quindi l'argomento si presta molto più a essere ritorto contro di noi che non a nostro favore.

Per sua infor:mazione aggiungo che il proposito del Governo italiano conforme il nostro interesse e badando anche alla esperienza fatta anteriormente alla conclusione del settlement in vigore -non è affatto quello di affrettare, bensì di ritardare quanto più possibile l'inizio dei negoziati che dovranno in ogni caso seguire, non precedere, quelli degli altri paesi. Ove interpellato e tenendo presente queste indicazioni, ella potrà dire che non ha istruzioni in proposito e cercare in ogni caso di guadagnare quanto più tempo si possa.

(l) T. 2782/360 R. del 22 giugno di cui &i pubblicano solo i brani seguenti:

899

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2911/115 R. Vienna, 27 giugno 1933 (per. il 1° luglio).

Ho chiesto al cancelliere a quale fonte attribuisse l'improvviso dilagare di notizie circa un'unione austro-ungarica, con relativa restaurazione absburgica.

Il signor Dollfuss mi ha risposto che anche lui se lo chiedeva senza riuscire a darsene un preciso motivo; tuttavia sapeva bene che la propaganda nazista insiste principalmente sul punto che il governo Dollfuss è legittimista.

Ora, circa H legittimismo, egli poteva ripetermi quanto gli aveva riferito un capo del legittimismo austriaco: e cioè che i monarchici si rendono perfettamente conto che i problemi dell'Austria sono tali da escludere assoluta· mente per il momento l'attualità della questione.

900

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL MINISTRO DI CECOSLOVACCHIA, A ROMA, CHVALKOVSKY

APPUNTO. Roma, 27 giugno 1933.

Il Signor Chvalkovsky è venuto a dirmi che Benes lo aveva informato della conversazione avuta con me a Londra.

64 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XIII

Mi ha dichiarato poi di essere a nostra completa disposizione per riferire al Governo di Praga le nostre eventuali comunicazioni. Ha soggiunto anche che molte volte nel suo Paese si assumono degli atteggiamenti che possono dispiacerci. Egli sarebbe lieto se, quando si verificasse una cosa del genere, noi volessimo avvertirlo perché egli potesse richiamare il proprio Governo.

Gli ho osservato che tali occasioni non mancherebbero anche attualmente.

Il Ministro Chvalkovsky, raccogliendo l'allusione, mi ha affermato che la campagna attuale sul progetto austro-ungherese non proviene certamente dalla Cecoslovacchia, ove si sa molto bene che S. E. Mussolini è contrario alla restaurazione monarchica nei due Paesi danubiani.

Il Ministro di Cecoslovacchia, ricordando il proprio atteggiamento sempre favorevole ad una migliore intesa italo-cecoslovacca mi ha affermato in forma confidenziale che è una opinione che il ministro Bènes sarebbe molto facilmente, «lavorabile » da noi.

Parlandomi delle condizioni della Cecoslovacchia, mi ha detto che il pericolo Nazi è molto serio per U suo Paese: il Governo cecoslovacco -a diffe;renza di quello austriaco -non può prendere dei provvedimenti contro i nazi cittadini cecoslovacchi.

Il Signor Chvalkosky non crede tuttavia che i Nazi vogliano fare una politica irredentista (neanche in Austria probabilmente farebbero l'Anschluss nel caso che arrivassero al potere). Seguirebbero in ciò la politica di Bismarck che nel '66, dopo Sadowa, non ha voluto annettersi la Boemia ritenendo che i tedeschi inclusi negli Stati esteri avrebbero potuto fare una politica molto più proficua per la Germania di quanto non sarebbe stato a vantaggio di una loro incorporazione nell'Impero.

Il Signor Chvalkosky sa che il Ministro Benes non crede al consolidamento del regime Nazi. Egli invece è perplesso su questo punto. Certamente in Germania, quando uno si mette a comandare sul serio, ha molte « chances » di riuscire.

Ora la lotta seria per Hitler sarà q;Jclla contro i cattolici, che potrà risollevare il problema degli Stati meridionali, -ora sopito -. Probabilmente l'atteggiamento di Hitler sarà quello di concedere la più assoluta libertà religiosa e fare anche un concordato favorevole ai cattolici combattendo però ogni organizzazione politica degli stessi.

901

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 27 giugno 1933.

Riferendosi all'atteggiamento preso dalla Piccola Intesa contro qualsiasi progetto di unione anche economica austro-ungherese e al proposito sempre più manifesto sia della Piccola Intesa che della Francia per persuadere l'Austria a entrare in un sistema economico tipo «Piano Tardieu », questo Ministro di Ungheria, a nome del suo Governo, è venuto a chiedere quali misure l'Italia intenderebbe prendere per impedire che la manovra francese possa riuscire.

Analoga domanda in modo meno formale il Ministro di Ungheria ha pure rivolto in via confidenziale per sapere quale sarebbe l'atteggiamento dell'Italia nel caso che avvenissero delle incursioni di nazi in Austria, aggiungendo che lo scopo principale del viaggio del Signor Goemboes a Berlino è stato quello di accertarsi di persona se e quali possibilità vi fossero di un più moderato atteggiamento tedesco nei riguardi dell'Austria.

902

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2853/251 R. Vienna, 28 giugno 1933, ore 0,35 (per. ore 5,20).

Mi riferisco al telegramma di V. E. n. 139 (l).

Vivamente preoccupato di quanto forma oggetto mio telegramma numero precedente (2), cancelliere non si è mostrato dapprima propenso esternare a Schiiller istruzioni nel senso desiderato da V. E. Tuttavia in seguito mie opportune considerazioni egli ha finito coll'assicurarmi che avrebbe impartito istruzioni predetto di prendere contatto con delegazione ungherese per esaminare su quale campo ,e con quali modalità sia possibile giungere ad uno sviluppo delle relazioni economiche austro-ungariche in vista di un accordo più stretto (3).

903

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2865/458 R. Parigi, 28 giugno 1933, ore 13,50 (per. ore 16,30).

Il noto Pertinax che vede spesso Daladier mentre non ha rapporti con Boncour ha detto a persona che me lo ha ripetuto che il presidente del consiglio intende ottenere prima della firma del patto a quattro, l'adesione dell'Italia all'accordo franco-jugoslavo.

Comunico notizia con riserva. Pertinax non si perita di mettere sovente in circolazione delle frottole.

Nella conversazione che ho avuto avantieri con lui e che ho riferito a V. E., il segretario generale del Quai d'Orsay non ha in alcun modo accennato al proposito di sollecitare l'adesione dell'Italia all'accordo franco-jugoslavo.

Il Quai d'Orsay secondo quanto mi ha detto il segretario generale non si proporrebbe di provocare ora una discussione di fondo itala-francese ma di chiarire prima della firma del patto le linee generali della politica italiana e francese in tema di disarmo e nella questione austro-centro-europea.

(l) -Cfr. n. 884, nota l. (2) -Cfr. n. 891. (3) -Questo telegramma fu ritrasmesso all'ambasciata a Londra e alla delegazione alla conferenza economlca mondiale con t. 1332/272 R. dello stesso 28 giugno.
904

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2876/548 R. Londra, 28 giugno 1933, ore 19,08 (per. ore 23).

Suo 267 (1).

Ho parlato con Simon nel senso istruzioni ricevute. Simon mi ha detto che Governo inglese è estremamente riconoscente per lusinghiero apprezzamento che

V. E. ha dato dell'opera dell'ambasciatore Graham, ma è nello stesso tempo estremamente imbarazzato per la difficoltà di accogliere desiderio espresso. Anche Simon riconosce che opera e presenza Graham a Roma ancora per un certo periodo di tempo sarebbero state di indubbia utilità per le identiche ragioni esposte da V. E. Ma purtroppo ciò non sembra a Simon possibile. Simon dice che appunto in considerazione dell'importanza che questo paese dà oggi effettivamente all'ufficio di ambasciatore d'Inghilterra a Roma, Governo inglese ha designato personalità di statura eccezionale quale sir Eric Drummond. Tale designazione è stata qui accolta con grande favore, e Governo inglese (sempre Simon che parla) si troverebbe in serio imbarazzo ove fosse costretto a dover spiegare ragione ritardo nomina di Drummond, in quanto ciò non mancherebbe di far nascere qui in Inghilterra pettegolezzi e commenti spiacevoli e darebbe impressione che persona nuovo ambasciatore non è interamente gradita, rischiando così di compromettere all'inizio risultati sua importante missione.

Simon mi ha pregato di far presente tutto ciò a V. E. aggiungendo che egli ha apprezzato sommo grado servizi resi Graham durante lunghi anni sua permanenza Roma, e che se Governo britannico si è trovato necessità procedere mutamenti alcune tra le più 'importanti ambasciate estere ciò è dovuto esclusivamente malcontento determinatosi fra elementi giovani Foreign Office che da tempo si sono visti precluse ogni possibilità avanzamento per troppo lunga permanenza ambasciatori nelle principali sedi.

Simon ha continuato dicendo che V. E. troverà in Drummond un collaboratore ed un amico pronto a facilitare nel miglior modo azione che V. E. e Governo inglese dovranno concordemente esplicare per fare del patto a quattro la base vitale di un migliore pacifico assetto dell'Europa.

È appena superfluo aggiungere che fin dal giorno del mio arrivo in Inghilterra, nella certezza di interpretare direttive di V. E., non ho tralasciato alcuna occasione per far presente a questo Governo opportunità che soggiorno Graham potesse essere prolungato ancora per qualche anno e ciò nell'interesse dei due paesi. È certo che in Graham noi perdiamo un profondo e sincero ammiratore del Duce ed un amico leale dell'Italia fascista.

(l) Cfr. n. 889.

905

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2877/253 R. Vienna, 28 giugno 1933, ore 20 (per. ore 1 del 29).

Telegramma di V. E. n. 141 (l).

Ho fatto al cancelliere prescrittami comunicazione.

Con parole commosse egli mi ha pregato ringraziare V. E. e di esprimere in

pari tempo sua ammirazione e devota amicizia.

Cancelliere austriaco farà ringraziare V. E. anche da codesto ministro d'Au

stria (2).

906

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 2870/254 R. Vienna, 29 giugno 1933, ore 20 (per. ore 23).

Cancelliere austriaco mi ha detto che comincia ad avere l'impressione che il Reich non vuole ulteriormente insistere nella sua offensiva.

Tuttavia ha preso tutte le misure necessarie per respingere eventuali incursioni di aeroplani come pure ha rinforzato con un battaglione fanteria guarnigione di Salisburgo.

907

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2875/255 R. Vienna, 28 giugno 1933, ore 20 (per. ore 23).

Mio telegramma n. 250 (3).

Cancelliere mi ha detto che iersera ministro d'Austria a Budapest ha avuto lungo colloquio con Gomboes. Mi ha quindi dato lettura telegramma del predetto diplomatico.

In succinto, presidente del Consiglio ungherese:

l) Ha spiegato motivi del mancato preannuncio a Vienna suo viaggio a Berlino;

(-3) Cfr. n. 891.

2) Ha ammesso avere intrattenuto Hitler circa legittimismo onde dimostrare che questione non è attuale;

3) Ha dichiarato voci sparse dai giornali tedeschi circa suoi sentimenti nazisti sono esagerate. Egli si sarebbe limitato a qualche simpatica osservazione giustificata dall'imponenza delle riunioni cui aveva assistito, nonché a riaffermare vincoli amicizia sempre esistita fra Ungheria e Germania;

4) Ha riferito avere esposto a Hitler necessità cooperazione economica e politica, basata su intesa fra l'Italia e la Germania e l'Ungheria ed un'Austria indipendente;

5) Ha specificato che la questione del Burgerland non è stata mai considerata dal suo paese questione di litigio con lo Stato vicino ed amico, rappresentando mera « bagattella >>;

6) Ha insistito sul punto che, come già si era espresso a Roma in favore dei rapporti itala-austriaci, egli si è similmente a Berlino espresso in favore dell'amicizia austro-tedesca.

Infine Presidente del Consiglio ungherese ha aggiunto in via confidenziale che se il viaggio a Berlino è da un lato valso a far realizzare impressionante organizzazione del partito nazista, dall'altro gli ha ispirato un sentimento di incertezza nell'avvenire.

Cancelliere, pur mostrandomi suo compiacimento per spiegazioni date finalmente da Gomboes, mi ha fatto tuttavia notare che preoccupazioni da lui manifestatemi ieri non erano del tutto infondate, trovando esse riscontro negli argomenti che Gomboes ha ammesso di aver toccato.

Il presente telegramma continua con il numero di protocollo successivo (1).

(l) -Cfr. n. 897. (2) -Il ministro d'Austria a Roma comunicò i ringraziamenti di Dollfuss il 29 giugno. come risulta da un appunto di But\ per suvich.
908

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A TIRANA, KOCH (2)

T. PER CORRIERE 1334 R. Roma, 28 giugno 1933.

Suoi telegrammi nn. 129 (3) e 778 (4).

Effettivamente il signor Kodheli in data 9 c.m. (5) ha comunicato a S. E. Suvich essere intendimento del Governo albanese di inviare una delegazione a Roma per giungere attraverso conversazioni dirette col R. Governo ad un chiarimento dei « piccoli malintesi » che esistono fra i due Paesi.

Il sottosegretario di Stato gli ha risposto che numerosi elementi fanno ritenere al R. Governo che non trattasi di chiarire «piccoli malintesi», ma piuttosto di definire e sanare la situazione creata dal Governo albanese con i provvedimenti adottati malgrado e contro i nostri tempestivi avvertimenti, per giungere ad una situazione nuova che, con fatti concreti più che con parole, la visita dei Ministri albanesi a Roma, ave non fosse convenientemente pre

(-4) Cfr. n. 802.

parata e precisata negli scopi, potrebbe risolversi in un equivoco che verrebbe ad aggravare la situazione anziché a chiarirla.

In data 13 c.m. il signor Kodheli rimetteva al barone Aloisi un promemoria (l) con cui comunicava che la delegazione albanese «ha già potuto concretare un vasto programma sugli argomenti che formerebbero oggetto delle conversazioni», e indicava come programma della visita i seguenti punti:

«Primo: anzitutto presentare al Duce i sentimenti della più sincera gratitudine e riconoscenza del Governo e popolo albanese per l'assistenza morale e materiale che generosamente ha accordato all'Albania in tutte le circostanze.

Secondo: assicurare il Duce sulla intangibilità dei sentimenti e delle intenzioni del Governo di continuare nella leale e fraterna collaborazione con maggiore comprensibilità e fiducia.

Terzo: rendere edotto il Duce sulla critica situazione finanziaria ed economica dell'Albania, ed invocare il suo personale autorevole intervento al fine di regolare secondo il Suo alto criterio la questione del prestito S.V.E.A.

Quarto: esporre al Duce l'impellente necessità di regolare con nuove vie i rapporti commerciali dei due paesi, non rispondendo l'attuale trattato di commercio agli interessi comuni.

Quinto: ed infine sottoporre il punto di vista del Governo albanese su certe questioni di secondaria importanza».

La S. V. è autorizzata a dichiarare a mio nome a codesto Governo che la visita dei due Ministri Jafer Villa e Andurahm Dibra mi riuscirà gradita. Spero tuttavia che codesto Governo si renderà conto, ai fini degli sperati proficui risultati della visita a Roma, della necessità, oltre che di una chiara precisazione degli scopi, di una favorevole preparazione di ambiente. V. S. dirà perciò che qualsiasi trattativa tra i due Governi dovrà essere preceduta da qualche concreto atto di codesto Governo conforme allo spirito delle dichiarazioni contenute nei punti primo e secondo del promemoria Kodheli.

Come ella intenderà, questa premessa è diretta allo scopo di eliminare i lati poco vantaggiosi che per noi potrebbe presentare la visita a Roma dei due ministri albanesi, qualora non fosse preceduta da convenienti atti di riparazione in quelle stesse sfere di nostri interessi ed influenza che hanno sofferto della serie di recenti inconsulti procedimenti del Governo albanese. E' evidente che il fatto stesso che viene qui accolta una delegazione albanese potrebbe essere interpretato come una gratuit~~ sanatoria degli avvenimenti di questi ultimi mesi, ed offrirebbe facile pretesto a Re Zog di accreditare l'impressione costì che le relazioni fra i due Governi si avviano ad una ,ripresa in senso a lui favorevole.

Quanto alla precisazione degli scopi della visita, desidero che V. S. conosca il mio pensiero sui punti 3, 4 e 5 del promemoria Kodheli perché Ella ne faccia oggetto di opportune comunicazioni a codesto Governo.

Come ella rileverà il promemoria in questione è involuto, vago ed evasivo. Bisognerà quindi portare il Governo albanese a concrete precisazioni che V S. avrà cura di provocare nel senso che Le indico.

Per il n. 3 concernente il prestito S.V.E.A., V. S. dirà che il mio pensiero è stato chiaramente registrato nella nota che ella a mio nome ha rimesso al Governo albanese lo scorso marzo, e fedelmente interpretato dalla S. V. quando consigliava a Re Zog di fare iscrivere in bilancio una certa somma come segno della buona volontà del Governo albanese di tener conto dei legittimi interessi della SVEA. Del resto durante le trattative testè intercorse a Tirana i rappresentanti della S.V.E.A. hanno dimostrato in concrete proposte di accordo tale benevolenza che sarebbe saggio consiglio per il Governo albanese assumerle a base delle ulteriori trattative.

Per il n. 4 concernente le relazioni commerciali, occorre che codesto Governo precisi cosa intenda per « regolare con nuove vie i rapporti commerciali dei due paesi~

È appena il caso che io richiami alla S. V. le istruzioni impartite a codesta

R. Legazione quando si ventilava la possibilità di una unione doganale italaalbanese. Sappia poi che non ho dimenticato che le conversazioni si sono arrestate perchè Re Zog con volute indiscrezioni mise a rumore gli ambienti internazionali contro pretese minacce italiane di assorbimento dell'Albania. Quindi, se col n. 4 si è inteso di fare allusione all'unione doganale, codesto Governo deve uscire dal campo delle allusioni e passare alle richieste esplicite.

Dica che il Governo fascista non potrebbe neppure accettare di entrare in tal genere di discussioni, ove queste non fossero precedute da formali proposte albanesi, e ciò al fine di allontanare il dubbio che sia l'Italia ad imporre più che l'Albania a chiedere.

Sempre in tema di relazioni commerciali, non manchi di far rilevare quanto sia stata inopportuna, nel momento in cui il Governo albanese ci propone negoziati di natura commerciale, la promulgazione della legge sulla pesca (legge che danneggia seriamente i pescatori pugliesi e nello stesso tempo la finanza albanese) che, se applicata integralmente, potrebbe consigliare al Governo fascista qualche misura di ritorsione, quale ad esempio l'adozione delle provvidenze da lungo tempo reclamate dagli olivicultori italiani, provvidenze che sono ampiamente giustificate dalla necessità di alleviare la grave crisi olearia in Italia.

Il punto 5 del pro-memoria Kodheli accenna a «questioni di secondaria importanza'> che sarebbe desiderabile fossero elencate e precisate da codesto Governo in guisa che ci sia possibile di esaminare se esse comprendano le numerose questioni, non certo di secondaria importanza, per le quali noi siamo in credito, e codesto Governo in debito, di ampie precisazioni. Intendo riferirmi alle questioni della gestione dell'apporto finanziario annuale (che è connessa con tutta la gestione finanziaria albanese), della posizione dei nostri organizzatori nei vari rami dell'amministrazione albanese, della posizione del Capo della missione militare italiana nell'esercito albanese, e numerose altre che sono ben note alla S. V.

È opportuno quindi che V. S. faccia riserva di comunicare a codesto Governo un elenco delle questioni che a giudizio del Governo fascista dovranno formare oggetto delle conversazioni colla delegazione albanese, se da parte di codesto Governo si vuole seriamente, come è mia precisa volontà, giungere ad un chiarimento integrale e definitivo di tutte la situazione dei rapporti itala-albanesi.

Di quanto precede, nella forma e nei termini che ella riterrà più opportuni,

V. S. farà oggetto di ufficiale comunicazione al Governo albanese; ne parlerà pure personalmente a Re Zog, e mi darà notizia telegrafica a comunicazioni eseguite.

A questo incaricato d'affari d'Albania si farà una comunicazione verbale dello stesso tenore dopo che V. S. avrà compiuto costì i passi ufficiali.

(l) -Cfr. n. 912. (2) -Non si pubblica un promemoria di Aloisi per Mussolini che ha la data probabilmente errata 29 giugno, preparatorio del seguente telegramma. (3) -Cfr. n. 781, nota l. (5) -Come risulta da un appunto di SuviCh, pari data, non pubblicato.

(l) Come risulta cla un appunto di Aloisi del 14 giugno, non pubblicato.

909

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO Roma, 28 giugno 1933.

Questo Ministro d'Ungheria, rlrerendosi alla conversazione di ieri (1), ha indicato quanto segue. Egli è stato informato dal suo Governo che, secondo informazioni pervenute a Budapest, si stanno esercitando da parte della Piccola Intesa vive pressd.oni su Dollfruss perché l'Austria entri a far parte del sistema economico della Piccola Intesa. Il Ministro d'Austria a Budapest, riferendosi a queste voci, ha informato confidenzialmente il Governo ungherese che Dollfuss intende resistere a tali pressioni, ma non esclude di trovarsi costretto a cedere: in tal caso -ha aggiunto il Ministro d'Austria -egli lo farebbe per un breve periodo e richiedendo le dovute garanzie.

Il Signor de Hory, nel riferire quanto sopra in via confidenziale, ha chiesto di conoscere come il Governo 1tal1ano consideri la situazione, e come a suo avviso sarebbe possibiLe di porvi rimedio.

Parlandomi poi della richiesta rivolta a Londra da Imredy all' E.V. e all'ambasciatore Grandi perché i negoziati, che dovrebbero svolgersi tra la delegazione austriaca e quella ungherese per un allargamento delle relazioni economiche fra i due Paesi, giungano a buon fine, il Ministro de Hory mi ha informato che Schilller si rifiuterebbe di prendere l'iniziativa di tali negoziati, senza però sapermi dire perché l'iniziativa debba necessaramente partire da Schtiller o piuttosto le conversazioni non possano iniziarsi senz'altro per atto delle due parti.

910

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO Roma, 28 giugno 1933.

Secondo informazioni confidenziali pervenute al Governo ungherese, il Ministro di Albrunia a Pa.rigi av·rebbe dichiarato a uno dei Ministri della Piccola Intesa che il Re di Albania si sta adoperando per liberarsi dalla influenza italiana e avvicinarsi alla Piccola Intesa.

(l) Cfr. n. 901.

911

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 2913/1426. Mosca, 28 giugno 1933.

Ho l'onore di far seguito al mio rapporto del 16 giugno (1).

Non ho ancora conoscenza dei precisi termini del progetto di patto con l'Italia elaborato dal Narkomindiel. Contrariamente alle aspettative di Potemkin sulle cui dichiaramoni io basai il mio telegramma n. 94 (2), quel progetto non poté essere approvato dal Politbureau domenica 25. Potemkin fu però fatto partire ugualmente, il Governo sovietico tenendo a non dare l'impressione di un manco di interesse o di premura neHo svolgimento dei negoziati. Questa preoccupazione, di cui si sono visti altri segni (la r,inuncia di Potemkin alla piccola operazione chirurgica progettata) merita di essere rilevata.

Del resto, per giovedì 29 l'attesa approvazione sarà certo ottenuta e di essa sarà data comunicazione telegrafica al Potemkin, che così si troverà in grado di mettersi in contatto con la E. V. appena arrivato a Roma.

In attesa del testo definitivo, di cui anche io non potrò avere conoscenza prima di giovedì, mi limito a sottomettere alla E. V. alcune considerazioni generali per le quali le informazioni che già posseggo mi sembrano sufficienti.

l) Il progetto, o meglio l'abbozzo preparatone dal Narkomindiel, sembra differenziarsi dagli altri patti del genere in quanto mentre questi, per la maggior parte almeno, dovevano prefiggersi un miglioramento di relazioni e miravano a sanare o correggere situazioni, un patto con l'Italia non può prefiggersi che il consolidamento e lo sviluppo delle buone relazioni già esistenti.

Il concetto mi sembra giusto. I rapporti italo sovietici, come ho avuto occasione di rilevare altra volta, sono caratterizzati da una continuità e stabilità che non trova l'uguale nei rapporti con le altre nazioni. Giova far stato di questo elemento, sia forse nella lettera di qualche considerando, sia soprattutto nello spirito e nel tono generale del patto.

Il Narkomindiel pensa pure -aggiungeva il Direttore della Sezione Anglo Romana, Signor Rubinin -, che il patto con l'Italia, essendo stipulato in condizioni già così favorevoli e venendo dopo una serie di altri patti, dovrebbe rappresentare un passo in avanti su questi, ed essere il migliore di quanti ne sono stati finora conclusi.

Anche su questo, nessuna osservazione mi sembra possibile, tanto più in mancanza di testi concreti e precisi.

2) Una conseguenza delle premesse di cui al paragrafo precedente sembra essere, agli occhi del Narkomindiel, il fatto che il progetto si astiene dal prevedere una procedura di conciliazione per conflitti fra le due parti.

A prescindere dalla constatazione che l'ormai decennale esperienza delle relazioni itala-sovietiche ha mostrato la poca probabilità di conflitti fra i due Paesi non superabili diplomaticamente, il Sig. Rubinin osservava che, in fondo, il Governo sovietico «non è entusiasta di simili istituti», pronto tuttavia ad accettarli quando l'altra parte espressamente lo richieda, il che, appunto per le considerazioni suesposte, potrebbe secondo il Rubinin non essere il caso dell'Italia.

Un giudizio su questo punto mi sembra dipendere dalla economia generale del patto. È lecito peraltro osservare pregiudizialmente che, se da una parte l'URSS non tiene molto all'istituto della conciliazione, altrettanto, per opposte ragioni potremmo forse dir noi.

L'istituto consacrato in tutti i patti di amicizia da noi stipulati è soprattutto quello dell'arbitrato, campo nel quale anzi l'Italia ha di gran lunga precorso, spingendosi anche molto oltre, gli altri Paesi. Ma l'arbitrato è stato sempre, inderogabilmente, dall'URSS declinato, ed a sua volta sostituito da un sistema di conciliazione paritetica, per la sua evidente ,inefficacia privo di qualsiasi valore e, direi, di qualsiasi serietà. Dal punto di vista della tecnica dei trattati, la conciliazione (vedi l'apposita convenzione francese) rappresenterebbe pertanto per l'Italia un netto regresso, e salvo ragioni di opportunità contingente che ora non vedo, non sarebbe da escludere che il rinunziarvi potesse convenire anche a noi.

3) Secondo il Narkomindiel, la parte positiva del patto dovrebbe soprattutto consacrare, in tutta la sua solennità ed ampiezza, il principio della non aggressione reciproca e quello della neutralità; il principio della non aggressione, specialmente, ricevendo tutti gli sviluppi suggeriti così dalla prassi più recente come dalla bontà delle nostre relazioni con l'URSS e ciò tanto nel campo ed agli effetti territoriali, quanto nel campo ed agli effetti economici.

Una siffatta richiesta da parte sovietica non sorprende. Essa si riannoda logkamente a tutta la serie di stipulazioni precedentemente concluse dal Governo di Mosca e segue le linee della attività persistentemente svolta in questi ultimi tempi dai Soviet nelle grandi assise internazionali.

Certo, il principio della non aggressione, pe,r se stesso, è tutt'altro che obbiezionabLle. Senonché, tanto nel campo territoll'iale quanto in quello economico, i Soviet tendono a darvi degli sviluppi (vedasi, nel primo caso, la definizione dell'aggressore proposta a Ginevra e, nel secondo, il noto progetto di non aggressione economica), nei quali non so fino a qual punto noi potremmo seguir li.

E se, per quanto riguarda l'aggressione territoriale, potrebbe essere relativamente facile, se non altro invocando il carattere delle nostre relazioni e l'assenza di confini comuni, eludere il desiderio sovietico di sempre maggiori precisazioni tecniche, non altrettanto sarebbe possibile nel campo dell'aggressione economica, in cui invece ogni eventuale precisione varrebbe a limitare, se non togliere, quella certa libertà di azioni e reazioni, cui specialmente i nostri Ministeri tecnici mi sembrano tenere moltissimo.

D'altra parte, ogni nostra azione diretta a limitare l'applicazione di questo principio, non solo finirebbe con lo sminuire nei confronti di altri patti il valore del patto nostro, ma, quel che è peggio, insinuerebbe sospetti e lascerebbe strascichi capaci di influenzare l'ulteriore andamento delle nostre relazioni con l'URSS.

4) Un solo mezzo vi potrebbe forse essere per evitare tutto ciò e sarebbe quello di eliminare addirittura la questione escludendo completamente dal patto ogni stipulazione del genere -non solo nel campo economico ma nello stesso campo politico -e ciò in quanto non necessaria e superata dallo stadio delle nostre relazioni con l'URSS. Soccorrerebbero egregiamente a questo fine tutte le argomentazioni e considerazioni sovietiche di cui al primo paragrafo del presente rapporto, per l'aggressione economica potendosi aggiungere che i rapporti economici trovano sede opportuna e adeguata tutela negli appositi accordi commerciali.

Senonché, togliendo dal progetto ogni e qualunque accenno alla non aggressione, sarebbe necessario mettere al suo posto una qualche altra cosa.

Questa potrebbe essere, come mi permisi di indicare già nel mio rapporto del 16 corrente, il principio della consultazione reciproca in tutte le questioni di interesse comune. Detto principio si raccomanderebbe, oltre che per il suo intrinseco contenuto, anche perché si presterebbe egregiamente a differenziare, dandovi fisionomia e dignità propria, il nostro patto da tutta la serie di patti del sistema franco polacco che lo hanno preceduto. Esso riuscirebbe ugualmente bene accetto ai Soviet, in quanto capace di soddisfare, non meno e anzi forse megli:o del principio della non aggressione, i desiderata di cui è parola al paragrafo l.

5) Come ho già avuto l'onore di prospettare alla E. V. nel mio rapporto del H> corr. -almeno a giudicare da qui -apparirebbe evidente la convenienza e l'interesse per noi di inquadrare il patto in discussione con l'URSS nel nostro sistema di accordi politici del Mediterraneo Orientale, che verrebbe, in tal modo, a prolungarsi nel Mar Nero.

Un nostro patto con l'URSS cosi concepito, oltre a rispondere ad opportunità politiche dimostrative, verrebbe ad assumere un chiaro carattere realistico, in quanto si inserirebbe automaticamente nella nostra politica mediterranea della quale sarebbe un logico ed utile sviluppo.

Queste finalità richiederebbero peraltro che al patto in discussione fosse conferito un carattere positivo, il che sarebbe appunto possibile con l'includervi il principio della «consultazione~ politica, temperata beninteso dalle formule limitative consuete in simili casi (vedansi anche i nostri patti colla Jugoslavia e colla Romania), formule capaci, nell'applicazione pratica, di far giuocare la clausola consultiva secondo la effettiva convenienza delle parti.

6) Potrebbe osservarsi in contrario che, se il principio della consultazione è accolto nel patto italo-greco (art. 4), non lo è in quello italo-turco.

Ciò è esatto, ma solo formalmente. Giusta infatti quanto ebbe a dirmi Tewfik Ruschdi bey l'anno scorso a Mosca, tra l'Italia e la Turchia esisterebbe un «gentlemen's agreement » che, indipendentemente dalla lettera del patto, pone il principio della consultazione nella prassi dei rapporti. fra i due Stati. Così stando le cose, si può quindi asserire che, in fondo, lo spirito animatore dei tre accordi è già pressoché analogo, mentre poi, l'esempio dato dal patto fra l'Italia e la Russia potrebbe forse anche spingere la Turchia ad ampliare e perfezionare i suoi rapporti con noi, chiedendo la aggiunzione di un'identica clausola nel suo patto con l'Italia.

Dal punto di vista realistico, uno dei vantaggi più apprezzabili che possa offrirei il patto con l'URSS è proprio quello di un solido ancoraggio dei nostri rapporti con la Turchia, la cui politica estera è per inderogabile necessità legata a quella dell'URSS. E poiché un rafforzamento dei nostri vincoli politici con Mosca non mancherebbe di avere automaticamente un immediato, benefico contraccolpo su Ankara, questa di conseguenza sarebbe spinta ad avvicinarsi ancora maggiormente a noi, il che potrebbe costituire anche una utile remora a quello stato di perplessità di alcuni circoli turchi nei riguardi della Francia, recentemente segnalato dal R. Ambasciatore in Ankara (telespresso di codesto Ministero n. 218302/C del 16 corrente) 0).

Queste le considerazioni generali che, nella conoscenza sinora incompleta delle linee del progetto sovietico, mi è possibile di fare. Ulteriori comunicazioni mi riservo appena il testo del progetto sovietico sia formalmente approvato ed io ne possa quindi avere integrale comunicazione.

912.

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 2890/256 R. Vienna, 29 giugno 1933, ore 14 (per. ore 18,15).

Il presente telegramma fa seguito a quello avente il numero precedente (2).

Nel suo colloquio con ministro d'Austria presidente del consiglio dei ministri ungherese ha espresso fiducia che il Governo di Vienna saprà ben resistere ai begli occhi che potrebbe eventualmente fargli Francia e Piccola Intesa.

Cancelliere austriaco gli ha subito risposto che tale pericolo è irreale e che l'Austria non vuole che conservare sua nazionalità tedesca e la sua piena indipendenza ed integrità territoriale, in pieno accordo con gli altri Stati.

Circa approcci Piccola Intesa ricordo apertura fatta al Cancelliere austriaco marzo scorso dall'ex ministro romeno Mihalache cui Cancelliere austriaco rispose nello stesso senso odierna comunicazione a Goemboes.

(l) -Cfr. n. 853. (2) -Con t. 2831/94 R. del 26 giugno. Att.ollco aveva comunicato quanto segue: «Potemkln partito questa sera. Appena arrivato a Roma (giovedì) si metterà in contatto con V. E. Egli è latore di alcune proposizioni di massima oggi stesso approvate da questo Governo dei Sovlety e su cui mi riserYo ulteriori precisazioni ».
913

IL DELEGATO AGGIUNTO ALLA CONFERENZA DEL DISARMO, SORAGNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2888/86 R. Ginevra, 29 giugno 1933, ore 21,20 (per. ore 22,30).

Stamane presidente Henderson ha riferito nella seduta unica della commissione generale raccomandazione del bureau e cioè sospensione commissione generale fino almeno al sedici ottobre lasciando nel frattempo al presidente

di condurre negoziati fra le principali Potenze interessate nei punti controversi del piano britannico di disarmo.

Nadolny ha letto ampia dichiarazione che trasmetto a parte pronunciandosi in senso nettamente sfavorevole alla sospensione dei lavori della conferenza in Ginevra.

Tenore e importanza dichiarazioni ha indotto delegato inglese a prendere la parola contro tesi tedesca e in favore aggiornamento, il che ha reso successivamente necessario anche agli altri delegati delle cinque principali potenze di esprimere il punto di vista del loro Governo sull'importante decisione.

Massigli, nell'appoggiare la tesi del rinvio, ha opposto ai ragionamenti contrari di Nadolny alcune osservazioni piuttosto aspre e molto commentate, dichiarando fra l'altro che la possibilità di successo della nuova fase dei negoziati dipendeva sopratutto dal miglioramento della situazione internazionale che era lecito sperare se qualche Governo avesse saputo creare, diversamente da quanto oggi non facesse, la fiducia necessaria ai negoziati.

Delegato americano si pronunciò con brevi parole per l'aggiornamento.

Da parte mia, mi limitai a dichiarare che la delegazione italiana accettava la decisione di aggiornamento del bureau, e che l'accettava nel senso, opportunamente messo in luce nell'importante discorso del delegato tedesco, che i Governi avrebbero fatto il loro possibile per permettere alla conferenza di riunirsi al più presto per concludere.

Ho insomma cercato, pur dovendo prendere posizione diversa da quella tedesca, di riprendere, in senso favorevole ed amichevole, l'unico passo del suo discorso che me ne forniva la possibilità.

Delegazione ungherese ha dichiarato di apprezzare osservazione tedesca ma di rimettersi alle decisioni della maggioranza circa la procedura. Aggiornamento è stato quindi adottato con un voto contrario ed uno astenuto.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 907.
914

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2886/551 R. Londra, 29 giugno 1933, ore 20,05 (per. ore 24).

Durante loro recente permanenza Londra tanto Benes quanto Jeftic e Titulescu hanno domandato ·venire parlarmi. Ho creduto bene evitare con un pretesto incontrarli. Però Titulescu è venuto direttamente all'ambasciata dicendo che aveva necessità comunicarmi cosa importante. Non ho potuto fare a meno riceverlo. Titulescu si è trattenuto un'ora per dirmi con la sua abituale aria melodrammatica le solite cose che ho sentito ripetermi mille volte e che V. E. conosce. Non gli ho naturalmente dato alcuna risposta. Alla fine mi ha chiesto che cosa avrei riferito a Roma del nostro incontro. Gli ho risposto: «Nulla». Mi ha pregato allora di dire almeno essere egli venuto per chiedermi far presente ancora una volta al Duce vivo desiderio suo e Governo romeno rinnovare patto amicizia italo-romeno che scadrà fra poco.

Informo quanto sopra per debito ufficio.

915.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2930/459 R. Berlino, 30 giugno 1933 (per. il 3 luglio).

Ho informato confidenzialmente il barone von Neurath delle vedute dell'E. V. circa la firma del patto a quattro, vale a dire che esso sia firmato appena possibile cioè dopo l'approvazione della ,commissione per gli affari esteri del Senato francese, da V. E. e dai ministri degli affari esteri di Francia, Germania e Gran Bretagna.

Il barone von Neurath si è dimostrato molto sensibile per tale pensiero di

V. E. che ha evidentemente gradito assai.

Ho pure detto al ministro degli affari esteri che sarebbe intenzione di V. E. dimostrare che il patto a quattro ha una funzione effettiva esaminando fra qualche tempo in una riunione dei quattro Capi del Governo il problema del disarmo che a Ginevra non giunse ad alcuna soluzione.

Barone von Neurath mi disse che ne aveva già avuto sentore nei suoi colloqui di Londra con S. E. Suvich e che si compiaceva di averne ora la conferma da me. La Germania avrebbe naturalmente trattato col più grande favore il problema del disarmo in una riunione dei quattro capi di Governo, ripromettendosi da una tale discussione un esito più soddisfacente di quello di Ginevra.

Dissi pure al barone von Neurath che una simile riunione politica avrebbe dovuto essere preceduta da scambi di vedute altrettanto confidenziali che sinceri fra l'Italia e la Germania essendo nell'interesse di quest'ultima che conoscessimo esattamente i suoi desideri in materia di riarmamento, tanto qualitativo che quantitativo.

Mi fu risposto che la mia osservazione era giusta e che si sarebbe proceduto all'esame di tale questione.

916.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2932/462 R. Berlino, 30 giugno 1933 (per. il 3 luglio).

Telegramma di V. E. n. 283 (1).

Il barone von Neurath, nel ricevermi stamane, mi domandò con evidente interesse e con qualche preoccupazione quali impressioni avessi riportato da Roma e dai colloqui accordatimi dall'E. V.

Risposi che esse erano assai favorevoli, che V. E. seguiva lo svolgimento degli avvenimenti in Germania con vivo interesse, con fiducia nel successo della :rivoluzione nazional-socialista, fiducia, che non era scossa neppure da talune non piacevoli constatazioni che aveva dovuto fare a più riprese. « Nessuno deplora più di me gli errori che sono stati fatti'> fu la risposta del ministro degli Affari Esteri, il quale mi disse che le cose erano andate tanto lontano ·Che ormai anche i capi del partito nazional-socialista cominciavano a rendersi conto che era necessario mettere un fine alla serie degli sbagli politici.

Accennando quindi alla speranza di certi circoli francesi e della Piccola Intesa che sorgessero divergenze fra l'Italia e la Germania, dissi al barone von Neurath che V. E. riteneva non ci si dovesse prestare ad un simile gioco che sarebbe stato nocivo per i nostri due Paesi e che sarebbe stato quindi opportuno sgombrare il terreno di tutto ciò che, ove fosse trascurato, potrebbe dar origine a malintesi.

Gli parlai quindi della mostra «Grenzland in Not » di Monaco, circa la quale avevo ricevuto poco prima il rapporto del R. conso:le genemle iJn Baviera

n. 57-44 R. del 24 corrente (1), mostrandogli le fotografie dei quadri dimostrativi esposti ed il catalogo. Rilevai che grazie al tempestivo intervento del ministro Pittalis ed alla comprensione che i suoi passi avevano trovato presso il Presidente del Consiglio bavarese, un incidente che avrebbe potuto •assumere proporzioni gravi era invece stato avviato ad una soluzione soddisfacente ancorché non totale, giacché esisteva tuttora la sezione « Tirolo meridionale » della mostra suddetta.

A richiesta del barone von Neurath lo informai che la mostra era stata organizzata dagli studenti della scuola superiore tecnica che avrebbe fatto bene ad astenersi da una tale iniziativa eminentemente politica e destinata quindi a creare frizioni internazionali.

Il ministro degli affari esteri prese appunti di quanto gli avevo esposto assicurandomi che avrebbe provveduto d'urgenza. Intrattenni quindi il barone von Neurath di altre questioni della stessa natura, e precisamente:

1° -del discorso tenuto a Passau dal presidente del « Verband des Deutschtums im Ausland » signor Steinhacker che aveva provocato la risposta energica «Adagio col Walhalla » nel P,opolo d'Italia del 25 corrente, di cui ad ogni buon fine gli lasciai un esemplare.

2° -dell'articolo di Kurt von Stranz nella Deutsche Zukuntt di Heidelberg intitolato «l'Italia di nuovo nostra alleata? '> (rimessomi brevi manu da V. E. il 22 corrente).

3° -del discorso pronunciato il 29 maggio scorso a Francofor.te sul Meno durante una seduta dell'asso·ciazione austro-tedesca dal signor Hans von Kothen, offensivo per l'Italia (telespresso di V. E. n. 218387/304, senza data, qui giunto il 19 ·corrente) (1).

4° -della conferenza della Deutsche Gesellschaft di Monaco di Baviera a cui si riferisce il raporto di quel R. console generale in data del 18 corrente

n. 5497/563 (1).

Per tutti questi casi attirai l'attenzione del barone von Neurath sopra la circostanza che il presidente del consiglio prussiano Goering aveva spontaneamente dato all'E. V. assicurazioni formali che non si sarebbe più parlato in Germania dell'Alto Adige e che la questione dell'Anschluss non era considerata di attualità, mentre i fatti sembravano dimostrare il contrario.

Il ministro degli affari esteri mi rispose che egli deplorava quanto era accaduto, che era grato a V. E. di avergliene fatto parlare in termini e con intenzione così amichevoli. Osservò che, come potevo constatare pur io, si trattava di iniziative private, del linguaggio di persone o poco o punto conosciute oppure che, -come il signor Kurt von Stranz -avevano dato anche in passato grattacapi al ministero degli affari esteri. Non si poteva prevedere quanto questi maniaci della parola intendevano dire nelle numerose riunioni

o nei vaifi giornali tedeschi. E si doveva limitarsi a prendere i provvedimenti, talvolta difficili, per impedire che i casi lamentati si ripetessero.

Credetti dire al barone von Neurath che ciò avrebbe dovuto essere più facile ora che in passato, giacché in uno stato totalitario, il Governo poteva imporre quella disciplina che è un mito nei regimi liberali.

Al che il mio interlocutore osservò che la mia osservazione era giusta in principio, ma che egli non era in grado di assicurarmi che la Germania fosse già organizzata e disciplinata al punto da poter chiudere la bocca agli imprudenti ed agli irresponsabili.

Ad ogni modo mi confermò che si sarebbe subito occupato di mettere fine a quanto egli deplorava non meno di V. E. per il danno che avrebbe potuto causare ai nostri buoni rapporti.

(l) Cfr. n. 896.

(l) Non pubblicato.

917

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2933/463 R. Berlino, 30 giugno 1933 (per. il 3 luglio).

Barone von Neurath nel corso della conversazione odierna durante la quale si toccò alla situazione fra la Germania e l'Austria non mi celò il suo rincrescimento e le sue preoccupazioni per la tensione esistente. Egli mi lasciò intendere che vi erano indizi di migliori disposizioni da parte del cancelliere ancorché fosse prematuro parlare della fine del dissidio.

Credetti dirgli che, come aveva potuto constatare, il Governo fascista aveva mantenuto il massimo riserbo di fronte ad una situazione che lo toccava da vicino e che esso deplorava. Il linguaggio misuratissimo dei giornali italiani era una prova di amicizia che speravo fosse stata apprezzata al suo giusto valore in Germania, anche come un indizio che l'Italia confida in una sollecita soluzione soddisfacente del conflitto ed è pronta eventualmente ad agevolarla.

Barone von Neurath mi assicurò ,che aveva rilevato tanto il nostro riserbo quanto il linguaggio dei giornali e che ne aveva valutata l'importanza.

65 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XIII

Aggiunse che in Austria ed altrove si erano gonfiati ad arte taluni incidenti di scarsa importanza occorsi al confine austro-tedesco, facendo cosi credere alla intenzione della Germania di compiere incursioni armate in Austria.

Pur dichiarando che mi rendevo conto che vi fossero state esagerazioni al riguardo, ritenevo utile -nell'interesse delle ottime relazioni italo-tedesche di non lasciare sussistere alcun dubbio da parte della Germania che il Governo fascista potesse assistere con indifferenza ad una qualsiasi incursione di militi della S.A. delle S.S. o del Stahlhelm in Austria.

Barone von Neurath osservò che se simili «avventure» avessero dovuto disgraziatamente verificarsi, i loro a,uto,ri sarebbero stati ricacciati indietro colle ossa rotte. Credetti bene dirgli che pur convenendo con lui al riguardo, sconsigliavo qualsiasi esperimento del genere, a scanso di sorprese spiacevoli che avrebbero potuto influire sui rapporti italo-germanici.

Egli sapeva che noi avevamo messo in guardia i nazional-socialisti dal pensare all'Anschluss perché avevamo bensì ragioni nostre dl deprecare una unione dell'Austria alla Germania, ma anche perché volevamo mettere in guardia il Governo tedesco dal compiere un atto che lo avrebbe esposto alle più gravi complicazioni internazionali.

Il nostro era dunque stato un vero e proprio servizio da amico.

Il ministro degli Affari Esteri mi disse essere superfluo che spendessi parole al riguardo, perché egli aveva già avuto ripetutamente occasione di esprimermi il suo pensiero. Secondo lui il pensare all'Anschluss, nel momento attuale, sarebbe stato fatale per la Germania.

Egli era del resto sicuro che l'E. V. con l'intuito politico che tutti le riconoscevano si era già reso esatto conto della situazione esistente fra Germania e Austria e delle opinioni divergenti che i tedeschi nutrono al riguardo.

918

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2970/118 R. Vienna, 30 giugno 1933 (per. il 5 luglio).

Telegramma per corriere di V. E. n. 1315 (1).

Quanto il R. ambasciatore a Londra ha comunicato all'E. V. in data del 23 corrente (teleg,ramma di V. E. surriferito) -e cioè che la presente situazione austriaca suggerisce alla Piccola Intesa di rinnovare il tentativo di riesumare il noto piano Tardieu per una confederazione danubiana, facendolo apparire come l'unica alternativa all'Anschluss -conferma le segnalazioni che sono andato prospettando a V. E. in questi ultimi mesi.

Infatti, fin dal marzo scorso (mio telegramma per corriere n. 24 del 4 marzo) (l) avevo l'onore di richiamare l'attenzione di codesto R. ministero sul fatto che la Piccola Intesa propendeva ad esercitare un'attività tutta particolare volta ad attrarre nel proprio sistema tanto l'Ungheria quanto l'Austria; e successivamente (mio telegramma per coril"iere n. 109 del 22 giugno) <2) mi permettevo di tornare sull'argomento, accennando al pericolo che, con il suo viaggio a Londra e a Parigi, il cancelliere, spinto da un lato dall'acuta tensione con la Germania e attirato dall'altro dal sentimento di simpatia suscitato in Inghilterra ed in Francia per la causa austriaca, potesse mvvivare, f()rse a suo malgrado, le speTanze ed i piani franco-cecoslovacchi.

La concordanza, nella sostanza e nel tempo, delle impTessioni del R. ambasciatore a Londra con le mie proprie, avvalora poi la mia segnalazione circa la necessità d'una nostra speciale attività diplomatica intesa sia a controbilanciare quella della Piccola Intesa e la resurrezione del piano Tardieu, che a confortare e garantire, con quelle particolari intese che a V. E. piacesse provocare, la rivendicata indipendenza austriaca.

Intanto, e nonostante che i recenti articoli del Giornale d'Italia, del Corriere della Sera e del PopoLo d'Italia abbiano riespresso il nostro punto di vista sulla questione danubiana, è tuttavia da presumere che la Piccola Intesa non abbia mancato, né manchi, d'usufruire delle insistenti voci di questa parte d'Europa, come d'orpello alle sue proposte ed ai suoi allettamenti a Vienna e Budapest, o come un mezzo per generare confusione in dette due capitali, specie dopo i commenti seguiti al viaggio del signor Gi:imbi:is a Berlino.

Comunque la stampa austriaca si è limitata finora a riprodurre in genere quanto è stato all'estero pubblicato sulla questione dell'unione austro-ungarica, sulla restaurazione absburgica e sul piano Tardieu, senza procedere a commenti di rilievo. Da parte sua il capo dell'ufficio stampa della Ballplatz, parlando ai giornalisti esteri, ha dichiarato che il Governo austriaco non sa nulla di concreto circa le voci ed i vari progetti rimessi in circolazione; che tuttavia, dalle molteplici relative smentite, esso non ha l'impressione che sia sopravvenuta una nuova fase della questione, sia dei rapporti austro-ungarici propriamente detti, sia di una unione doganale o cooperazione economica danubiana, e sia d'una restaurazione degli Absburgo, che ad ogni modo la Repubblica austriaca saluterà sempre ogni allargamento dell'area economica nella quale si muove attualmente l'Austria, ma sempre quando ciò non sia per toccare la sua indipendenza politica: così com'era già detto nella dichiarazione fatta dal cancelliere Buresch il 16 febbraio 1932, ai ministri d'Italia, Francia, Germania ed Inghilterra.

Infine il signor Dollfuss mi ha comunicato testualmente la risposta da lui data al signor Gi:imbi:is, che lo aveva preavvertito del pericolo di lusinghe da parte della Piccola Intesa; e cioè che tale pericolo è irreale, e che l'Austria non ambisce ad altro che a conservare la sua nazionalità tedesca e la sua piena indipendenza ed integrità territoriale, lavorando indefessamente per la sua consolidazione nel migliore accordo con tutti gli altri Stati (mio tel. n. 256) (3).

(l) Cfr. n. 885, nota l, p. 924.

(l) -T. per corriere 866/24 R., non pubblicato. (2) -Cfr. n. 880. (3) -Cfr. n. 912.
919

IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE PERMANENTE DEI MANDATI DELLA SOCIETÀ DELLE NAZIONI, THEODOLI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. P. Ginevra, 30 giugno 1933.

Ieri è venuto a trovarmi Massigli dicendosi incaricato da Paul-Boncour di prendere contatto con me. Egli ha esordito felicitandosi dello spirito di concordia che anima le Delegazioni italiana e francese a Londra (Conferenza Economica).

Mi ha quindi fatto una lunga esposizione delle difficoltà che il suo Governo ha incontrato e ancora incontrerà per far comprendere alla stampa, all'opinione pubblica e ai vari partiti francesi che il Patto a quattro non cela nessuna insidia ai danni della Francia e della Piccola Intesa, ma che esso crea invece l'atmosfera necessaria per poter affrontare e risolvere i diversi problemi itala-francesi, la cui progressiva soluzione dissiperà ogni causa di frizione fra i due Paesi.

A questo proposito mi ha detto che il Governo francese è d'accordo con

S. E. il Capo del Governo nel ritenere che il problema più urgente da risolvere sia quello dell'Europa danubiana dove forme di unioni e intese economiche potrebbero venire realizzate senza tuttavia che da parte nostra o francese si mostri di tenere particolarmente a voler assumere la paternità dei progetti relativi a tali intese, il che creerebbe inevitabili diffidenze e resistenze specie in quegli ambienti francesi male informati e ·più suscettibili.

Ciò che sembra essenziale in relazione alla possibilità di tali intese, è che la Francia e Italia si mettano d'accordo per arrivare ad una soluzione che sia efficace e vitale per l'Austria e per l'Ungheria e che non nuoccia agli interessi francesi e italiani. Massigli mi ha anche detto: «Causez avec Benes directement, la France non seulement n'y voit pas d'inconvénient, mais el.Je se se,rvira de son influence à Prague pour faciliter un accord qui selon le Quai d'Orsay n'est pas impossible >>; egli ha aggiunto che i tessili e i siderurgici italiani devono e possono intendersi coi tessili e coi siderurgici cecoslovacchi eventualmente sulla base di quelle intese che, egli dice, sarebbero state ventilate da finanzieri e industriali.

Mi ha poi detto che, rassicurato che non esistono aspirazioni territoriali da parte dell'Italia sull'altra sponda dell'Adriatico, il Quai d'Orsay entrando nello spi.r:ito del Patto a quattro, non vede difficoltà che l'Italia tratti direttamente con Belgrado; il Governo francese considera che a Mussolini non riuscirà difficile di intendersi con Re Alessandro contribuendo in tal modo alla pacificazione e alla stabilizzazione politica ed economica dell'Europa Centrale.

Mi ha fatto l'elogio di Dollfuss -associandomi a questo elogio gli ho detto che in Italia non fa buona impressione che la Francia abbia l'aria di disinteressarsi del problema dell'Anschluss.

Il mio interlocutore mi ha comunicato notizie allarmanti dell'Ambasciatore di Francia a Berlino sulla situazione interna nel Reich ed ha sostenuto l'opportunità di strette e leali intese tra Francia e Italia nella eventualità sia della morte di Hindenburg sia di qualunque grave evenienza che dovesse prodursi in Germania.

Quanto al problema delle successioni di Jouvenel, che egli ha definito pro, blema importante e urgente, Massigli mi ha confermato quello che, sullo stesso argomento, mi ha detto de Caix e cioè che Laroche non sarebbe il più adatto per un complesso di ragioni personali, e Chambrun non sarebbe indicato per le sue relazioni e intimità politiche con alcuni membri dell'opposizione parlamentare. In quanto a Besnard questi che è senatore, deve decidersi ad abbandonare il Parlamento.

De Caix mi ha confermato che purtroppo nella diplomazia francese non si vede persona che possegga tutti i requisiti necessari per risiedeTe in questo momento a Palazzo Farnese.

Massigli mi ha infine domandato se era in grado di fargli qualche precisazione circa le nostre rivendicazioni coloniali in base all'art. 13 del Patto di Londra; gli ho risposto che tocca al debitore di fare delle concrete proposte al creditore.

Circa la stessa questione de Caix mi ha lasciato comprendere che il suo progetto per una cessione all'Italia della parte nord ovest della Somalia francese sarebbe entrato nella coscienza del Quai d'Orsay, mentre incontra ancora qualche resistenza in alcuni ambienti coloniali; de Caix non ritiene tuttavia che tali resistenze possano creare difficoltà insormontabili, se a mezzo dell'organismo di cui lui stesso è Segretario («Conférence française des Associatioas Coloniales » che si riunisce periodicamente sotto la presidenza di Doumergue e che ha per scopo «de créer une unité de doctrine et de diriger l'opinion publique coloniale d'accord avec le Quai d'Orsay »), egli può continuare a difendere il suo progetto sempreché però questo fosse da noi favorevolmente considerato.

Non po!Jendo sbilanciarmi e d'altra parte non volendo scoraggiarlo, gli ho suggerito di fare tastare a tale riguardo il terreno costi direttamente da de Jouvenel.

Sarò a Roma lunedì mattina per ripartirne giovedì. De Jouvenel mi ha scritto che desidera vedermi. Giudicherai tu se quali indicazioni e precisioni da parte del Capo possono giovarmi per mio orientamento nella conversazione con l'Ambasciatore di Francia.

920

PROMEMORIA [fine giugno 1933] (2).

Le conversazioni che hanno avuto luogo a Berlino fra il Cancelliere Hitler e l'Ambasciatore dei Sovieti non sono riuscite a chiarire le relazioni fra i due Paesi.

Come risulta dai documenti acclusi e dalle conversazioni avute qui con

rappresentanti dei Sovieti, l'URSS mantiene intatta la sua diffidenza circa

gli sviluppi della politica tedesca. Questa diffidenza, oltre le solite ragioni di politica interna, è motivata dai piani politici di spartizione della Russia che vengono attribuiti a Rosenberg. Il memoriale del Ministro Hugenberg a Londra non ha fatto che confermare queste apprensioni: per cui è lecito affermare che fino a quando Rosenberg conterà fra le personalità influenti del Partito Nazional-socialista, nessuna ripresa di fiducia sarà possibile fra Berlino e Mosca.

Il Governo sovietico sta quindi orientandosi decisamente verso Francia, Polonia e Piccola Intesa. Litvinov a Londra risulta negoziare un Patto di non aggressione con Polonia, Paesi Baltici e Piccola Intesa, il quale avrebbe per base un riconoscimento, da parte di questi Stati, della definizione sovietica dell'aggressore. L'adozione di questa formula che, per dichiarazione espressa di Litvinov, coprirebbe anche le attuali frontiere sovietico-rumene, liquidando il conflitto con la Romania, renderebbe possibile la ripresa dei normali rapporti diplomatici fra I'URSS e la Piccola Intesa.

Analoghi negoziati vengono pure condotti da Litvinov con la Persia, l'Afghanistan e la Turchia. Assistiamo quindi ad un tentativo sovietico di costituzione di un blocco, prevalentemente slavo, diretto contro la Germania.

È difficile stabilire oggi quale effettiva importanza possa assumere tale aggruppamento: è anzi lecito manifestare qualche scetticismo data la vastezza stessa dell'aggruppamento ed i contrasti di interesse che difficilmente potranno essere sopiti. Esso costituisce, ciò nonostante, un nuovo elemento politico che, raggruppando i malcontenti del Patto a quattro, rappresenta un movimento di cui bisogna tener conto. E' in ogni modo di primaria importanza osservare come l'URSS, in conseguenza delle sue diffidenze verso la Germania sia oggi passata apertamente al campo antirevisionista.

Ciò è tanto più importante in quanto quest'attività politica dell'URSS, coincide coll'inizio delle trattative per la conclusione di un patto politico fra l'Italia e l'URSS.

Non sarebbe ora né possibile né politico rifiutarsi a tale patto che sarebbe indubbiamente interpretato dai Sovieti come un nostro aperto passaggio al campo antisovietico e intensificherebbe, senza dubbio, la sua ostilità e la sua politica contraria al Patto a quattro. Occorre d'altra parte, però, non farsi illusioni circa la possibilità di arrestare I'URSS, mediante un Patto politico, dalla via del riavvicinamento alla Francia ed alla Piccola Intesa: conviene anzi aspettarci, da parte dell'URSS, dei consigli tendenti a rivedere il nostro atteggiamento verso la Piccola Intesa.

E solo la Germania la quale mediante una politica oculata nei riguardi dell'URSS e sopratutto con l'allontanamento del Signor Rosenberg e l'abbandono della sua politica che, se pure apertamente in contrasto con le dichiarazioni del Cancelllere Hitler non manca di trovare consensi ed anche qualche tentativo di esecuzione, potrebbe indurre l'URSS a rivedere le sue posizioni.

Sebbene si nutra scarsa fiducia circa il risultato di nostri passi al riguardo,

pure per dovere di correttezza e di lealtà si potrebbero inviare al R. Ambascia

tore a Berlino le istruzioni di cui all'accluso telegramma per corriere (l).

(l) AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

(l) -Il presente promemoria non è firmato ma probabilmente venne redatto da Buti. (2) -La data non è indicata ma può desumersi dal progetto di telegramma annesso che recava l'annotazione: «Sospeso, fine giugno 33 ».

(l) Nel telegramma, non inviato, si davano Istruzioni a Cerrutl di consigliare il Governo germanico ad assumere un atteggiamento meno intemperante nel confronti dell'URSS, al fine di evitare alla Germania il pericolo di un completo isolamento.

921

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. PER CORRIERE 1352 R. Roma, 1° luglio 1933, ore 19,15.

Von Hassell è venuto a dirmi a nome di Hitler che Hitler non pensa e non vuole l'Anschluss e soprattutto non vuole turbare i rapporti itala-germanici. Poiché i suoi luogotenenti tengono diverso atteggiamento io penso: l) che Hitler li dovrebbe richiamare all'ordine; 2) che dovrebbe rilasciare al Governo italiano una nota diplomatica e formale sulla questione. V. E. sceglierà il momento opportuno per questo, dopo la firma del patto a quattro (1).

922

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. PER CORRIERE 1353 R. Roma, 1° luglio 1933.

Comunichi a Dollfuss che von Hassell di ritorno da Berlino mi ha personalmente e ufficialmente a nome di Hitler dichiarato che Hitler non vuole l'Anschluss. Aggiunge che è mia intenzione chiedere a Hitle,r una dichiiarazione scritta e ufficiale sull'argomento (l).

923

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL CANCELLIERE FEDERALE E MINISTRO DEGLI ESTERI AUSTRIACO, DOLLFUSS (2)

L. P. Roma, 1° luglio 1933.

Seguo col più vivo interesse lo sviluppo della situazione in Austria, che mi ha dato modo di apprezzare la fermezza e l'abilità con cui l'E. V. dirige la politica di codesto Paese.

Ho fatto già sapere all'E. V. che l'aiuto italiano non verrà meno in qualsiasi evenienza e ho cercato di corrispondere per quanto possibile ai desideri che da V. E. mi vengono di volta in volta manifestati.

Tanto a Dollfuss quanto a Gombos bisogna dire, a) che l'Italia è contraria ad un unione «personale » austro magiara, b) che è contraria alla restaurazione degli Asburgo, c) specificare che le più strette relazioni austro-ungheresi dovrebbero partire da l'impegno formale di seguire una politica comune ».

Dalle informazioni che ricevo numerose e, ritengo, esatte, sulla situazione austriaca ho tratto il convincimento che in codesto Paese ci sia un effettivo risveglio del sentimento patriottico polarizzato intorno ai concetti della indipendenza dello Stato e della missione storica dell'Austria tedesca. Come V. E. ricorderà, era stato sempre mio pensiero che convenisse spiegare queste bandiere e coltivare questo sentimento per dare una meta ideale al movimento capeggiato da V.E.

Ritengo ottima l'idea della creazione del fronte patriottico e penso che, tanto maggiore potrà essere il successo dello stesso quanto più in esso si fonderanno i diversi partiti che propugnano l'interesse nazionale austriaco.

Sono anche lieto di sapere che le Heimwehren, sulle quali io ho sempre pensato che V. E. dovesse principalmente contare, rispondono bene al loro compito e sono perfettamente inserite nella politica che V. E. sta svolgendo.

L'interesse col quale seguo la situazione austriaca mi consente di esporLe qualche mia idea sullo sviluppo futuro della campagna, anche in rapporto all'aiuto che il nostro Paese presta all'Austria.

Mi rendo perfettamente conto che contro gli attentati criminali avvenuti negli ultimi tempi in Austria, e attribuiti ai Nazi, V. E. debba reagire nel modo più energico e prendere le misure necessarie, arrivando se occorrerà -ed io mi auguro che si possa evitare -anche allo stato di assedio.

Ritengo però che, proprio perché V. E. è costretta a fare questa rigorosa azione di polizia, si imponga più che mai in questo momento la necessità di svolgere un programma di effettive e sostanziali riforme interne in senso decisamente fascista. Ciò mi pare opportuno sia per evitare che si dica che l'Austria fa soltanto la politica di repressione di un movimento che, bene o male, si ammanta di una bandiera nazionale, sia per attrarre la gioventù -sulla quale il fronte nazionale deve contare in modo assoluto -col miraggio di una idea che possa rappresentare la promessa di un avvenire per l'Austria.

Se quello slancio che mi pare di intravvedere in numerosi strati della popolazione verso l'indirizzo che V. E. ha dato alla politica austriaca è effettivo, è mia opinione che bisogna favorire con qualunque mezzo tale movimento prendendo posizioni più nette e precise nei riguardi delle riforme interne.

Non mi sfuggono le ragioni di opportunità che hanno indotto V. E. a non assumere fino ad oggi di fronte al partito social-democratico quell'atteggiamento risoluto che è nel suo programma di risanamento interno dell'Austria. Ritengo tuttavia che le preoccupazioni di ordine parlamentare oggi debbano passare in seconda linea. Anche nei riguardi della progettata riforma della costituzione, io penso che quel partito di fronte al pericolo maggiore del Nazismo e nell'interesse di ristabilire al più presto la normalità nella vita politica in Austria, dovrà comunque marciare nella linea tracciata da V. E. Continuando invece ad indulgere verso il partito socialdemocratico mi pare che sorga il pericolo ben più grave e concreto di dare in mano ai Nazi l'arma dell'anti-marxismo e permettere che in un determinato momento essi possano presentarsi come salvatori della situazione. Che quest'arma, la più temibile, si spunti nelle loro mani, e il Nazismo venga quindi del tutto eliminato dall'Austria, dipende da V. E. Sono persuaso che quando V. E., facendo appello a tutte le sane forze nazionali dell'Austria, colpisse il partito social-democratico nella sua roccaforte, Vienna, ed estendesse la sua azione epuratrice a tutti l centri che rappresentano tendenze disgregatrici in opposizione al principio di autorità dello Stato, anche molti di quanti oggi militano nelle file dei Nazi saranno attirati nell'orbita del fronte nazionale.

Sono convinto che V. E. approverà la franchezza delle mie osservazioni e Le confermo che sarà ben lieto se potrò essere utile all'Austria per risolvere l'intricata situazione in cui oggi si trova, con l'esperienza di oltre un decennio di reggimento fascista in Italia.

Venendo a parlare di altro argomento: quello della sistemazione dei Paesi danubiani, che oggi appassiona l'opinione pubblica mondiale, mi preme di far sapere a V. E. che mia impressione è quella che convenga agire senza indugio sulle linee già da noi discusse e sulle quali ci siamo trovati d'accordo.

La cosa più urgente mi pare quella di un maggiore avvicinamento fra Austria ed Ungheria. A tal fine ho diretto la mia azione in vari incontri ed anche recentemente in occasione della Conferenza di Londra.

Non si tratta di porre le basi per una unione personale austro-magiara e per la restaurazione degli Asburgo, come si è fantasticato in questi giorni su una certa stampa, attribuendo queste finalità alla politica italiana. L'Italia vi è contraria, perché ritiene queste eventualità dannose ai due Paesi e all'interesse generale europeo.

La politica di stretto accordo tra l'Austria e l'Ungheria sia nel campo politico che economico, che l'Italia auspica, dovrebbe partire da un impegno formale dei due Governi, di seguire una politica comune.

Questo avvicinamento è per me la premessa necessaria per altri interessanti e promettenti sviluppi. Esso sotto gli auspici e con l'aiuto fattivo dell'Italia, renderà possibile ai due Paesi entrare in trattative coi loro vicini senza dover subire una eccessiva pressione dal lato economico e senza avere l'apparenza di una resa a discrezione ad altri Stati politicamente più forti. Ciò potrà servire successivamente a creare un sistema di accordi da un lato coi Paesi della Piccola Intesa e dall'altro con la Germania, sottraendosi per la più intima unione con l'Italia a qualsiasi pericolo di manifesto e larvato assorbimento.

Su questa strada vorrei marciare con un tempo piuttosto rapido, ma non ritengo di prendere nessuna iniziativa se prima non ci sia una assoluta e perfetta intesa tra i nostri due Governi e l'Ungheria. Bisognerà pensare poi -e anche in ciò è mia intenzione di assumermi la parte principale -di creare un ambiente favorevole a questa iniziativa tra gli altri stati interessati dell'Europa anche in vista degli ulteriori sviluppi a cui ho accennato più sopra.

Mentre mi rivolgo contemporaneamente al Presidente Goemboes (1), informandolo e prospettandogli tale situazione, prego V. E. di volermi far sapere in rispetto alla stessa con tutta franchezza, il Suo punto di vista.

Evidentemente è una iniziativa di grande delicatezza che per poter riuscire richiede una buona partenza. Nelrattesa della risposta di V. E....

(l) -Minuta autografa di Mussolin!. (2) -Edito in MussoLINI, Opera Omnia, vol. XXVI, pp. 405-407, con varianti formali. Cfr. il seguente appunto di Mussol!ni del 30 giugno: «Nella lettera a Dollyuss bisogna dire ch'egli deve liberare Vienna dalla Socialdemocrazia e picchiare anche a sinistra, idoneo sistema per eliminare del tutto il nazismo.

(l) La lettera a Gombos è edita in tedesco In MussoLINI, Opera omnia, vol. XLII, p. 54, In Allianz Hitler-Horthy-Mussolini, pp. 113-114 e in italiano in DE FELICE, p. 478. Con questa lettera Mussollni rispondeva a una precedente lettera indirlzzatagH da Gombos il 24 giugno edita in Allianz, cit., pp. 112-113.

924

COLLOQUIO TRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, E IL MAGGIORE RENZETTI (l)

APPUNTO. Roma, 2 luglio 1933

Il Maggiore Renzetti informa sulla situazione tedesca.

Il regime all'interno si consolida ad onta di notevoli opposizioni. I partiti si sciolgono ma tuttavia non si sottomettono completamente. Il problema centrale rimane sempre quello della disoccupazione; cinque milioni di disoccupati sono troppi per la Germania. Se Hitler riuscisse a ridurli, coi lavori pubblici progettati, a due milioni o anche a tre milioni, si potrebbe dire che ha risolto il problema.

Il Maggiore Renzetti cita alcuni casi di movimenti sediziosi di disoccupati, movimenti circoscritti e localizzati ma che tuttavia vanno seguiti attentamente.

Il Capo del Governo chiede qual è l'atteggiamento degli uomini del regime nei riguardi dell'Italia.

Il Maggiore Renzetti riferisce che, pur dimostrando sempre la massima riconoscenza per gli aiuti avuti dall'Italia, c'è una certa freddezza per la questione austriaca.

Hitler, col quale il Renzetti ha avuto un lungo colloquio prima della sua partenza, ritiene responsabile l'Italia dell'atteggiamento di opposizione di Dollfuss. Hitler dichiara ad ogni modo che l'Austria sarebbe in questo momento un peso e che egli se ne disinteressa. È sempre disposto a trattare con l'Italia nei riguardi dell'avvenire dell'Austria quando Dollfuss se ne andasse e si instaurasse in Austria un governo di sua fiducia.

Avendogli il Maggiore Renzetti fatto presente che però i suoi luogotenenti non si disinteressano dell'Austria ma continuano la campagna dell'Anschluss, Hitler ha risposto che tutto ciò non ha importanza perché l'unica volontà che conta è la sua.

Il Capo del Governo osserva che i nazional-socialisti nei prossimi tempi devono occuparsi in primo luogo della loro politica interna e rafforzare il loro regime. In politica estera devono limitarsi a manifestare delle idee generiche di pace e rimettersi al Patto a quattro per le possibili realizzazioni. La Germania non si è ancora resa conto della importanza per lei del Patto a quattro che la mette -essa Germania nazional-socialista -a trattare dei propri interessi in condizioni di parità con le altre potenze occidentali. È la più grande conquista morale che la Germania abbia fatto dopo la guerra.

Queste le direttive a cui dovrà ispirarsi il Maggiore Renzetti nei suoi eventuali colloqui con gli uomini politici tedeschi. È inteso però che la politica la fa soltanto l'ambasciatore, di modo che il Maggiore Renzetti non può agire che agli ordini dello stesso. In tal modo la sua conoscenza dell'ambiente e le sue relazioni personali cogli uomini del regime potranno essere al massimo sfrut

tate senza che si creino delle frizioni che sarebbero dannose per la nostra politica.

C'è anche una ragione di principio che impone tale preciso coordinamento dell'attività del Maggiore Renzetti in base alle direttive che segnerà l'ambasciatore: il Fascismo non ammette doppioni di funzioni né scivolamenti di responsabilità. Il responsabile per l'ese-cuzione della politica italiana nei riguardi del Reich è soltanto l'Ambasciatore. E quindi lo stesso deve poter dirigere e controllare tutti gli elementi che agiscono in quel campo. Se si manifestassero degli inconvenienti in tale riguardo, il Capo sarebbe costretto ad allontanare il Maggiore Renzetti dall'attuale suo posto.

Il Maggiore Renzetti assicura che si atterrà a tali istruzioni. Il Maggiore Renzetti riferisce poi delle difficoltà sorte nel campo turistico e degli sforzi fatti per migliorare la situazione.

Il Capo del Governo comunica che oltre alle 250 mila tonnellate di carbone acquistate recentemente dalla Germania senza mettere condizioni di contropartite, abbiamo la possibilità di acquistare entro l'anno ancora 500 mila tonnellate. Le acquisteremo dalla Germania soltanto in quanto i tedeschi manterranno l'accordo per il movimento turistico, altrimenti non abbiamo che la difficoltà della scelta tra l'Inghilterra, la Polonia, e oggi anche la Russia. tutti paesi che vogliono venderei del carbone e che sono pronti a darci delle contropartite. Converrà far sapere ciò, al momento opportuno, al Governo tedesco (1).

(l) Al colloquio era presente Suvich autore di questo appunto.

925

IL MINISTRO A LA PAZ, GEMELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2941/29 R. La Paz, 3 luglio 1933, ore 17,50 (per. ore 2 del 4).

Faccio seguito al mio telegramma n. 28, che confermo (2).

Questo Governo ha accolto con soddisfazione la proposta italiana. Personalmente il ministro degli affari esteri mi ha fatto presente anche a nome del Presidente della repubblica che delegato italiano sarà bene accetto da parte della Bolivia poiché esso oltre a rappresentare garanzia di equità assume particolare importanza per l'odierna posizione politica dell'Italia quale centro direttivo della politica europea. Ministro congedandomi mi ha pregato di esprimere a R. Governo a nome Governo Bolivia vivo ringraziamento per la proposta avanzata la quale rivela in forma indubbia sincero sentimento di amicizia verso questo paese.

(l) -Copia del documento fu inviata ad Aloisi e Cerruti con D. 4422 del 10 luglio. (2) -Con t. 2938/28 R. del 3 luglio, ore 11,48, Gemelli aveva comunicato quanto segue: «Questo ministro Esteri accettando riconoscente offerta italiana, comunicami testo ufficiale telegramma inviato suo rappresentante in Ginevra, testo che trascrivo qui appresso: «Vedremo con piacere che delegato italiano integri commissione d'inchiesta». Il Governo italiano. infatti, come si rileva dal t. 1348/16 R. del 30 giugno inviato a La Paz, aveva manifestato il desiderio che un membro Italiano partecipasse alla commissione d'icnchiesta sul conflitto Bolivia-Paraguay.
926

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 3 luglio 1933.

Patto a quattro. II Consigliere dell'Ambasciata tedesca, riferendosi alla conversazione tra

S. E. il Capo del Governo e l'Ambasciatore tedesco relativa alla Nota a firma von Hassell del 28 giugno (1), ha chiesto a nome dell'Ambasciatore se la Nota è stata trasmessa ai due Governi francese e inglese (giusta l'intesa intervenuta col Capo del Governo) e se e quale risposta se ne fosse avuta.

Ha indicato che questa richiesta non ha carattere formale, ma solo informativo. Appena possibile l'Ambasciata vorrebbe anche conoscere la data e le altre formalità relative alla firma.

P. S. -II Consigliere dell'Ambasciata tedesca è tornato a vedermi nel pomeriggio, e -riferendosi alla conversazione di stamani, riportata di sopra -mi ha dato lettura della comunicazione inviata da Berlino all'Ambasciata, sulla base della quale si è svolta la conversazione su accennata di von Hassell con S. E. il Capo del Governo. Premesso che la Germania tiene molto acché il Patto giunga felicemente in porto e che il Governo tedesco non si propone di pubblicare il testo della Nota indirizzata al Governo italiano a meno che gli ulteriori sviluppi ve lo dovessero costringere, le istruzioni impartite a von Hassell sono nel senso che, ove S. E. il Capo del Governo accetti di comunicare ai Governi inglese e francese la Nota nella torma che crederà opportuna, il Governo tedesco si asterrà da qualsiasi intervento in proposito sia a Londra che a Parigi: che pertanto il Governo tedesco si attende di non ricevere da nessuna parte una Nota di risposta: che quindi non farà nessuna altra comunicazione, pur riservandosi, se necessario, piena libertà d'azione.

927

L'ADDETTO STAMPA A VIENNA, MORREALE, AL VICE CAPO GABINETTO, JACOMONI

L. P. LIII. Vienna, 3 luglio 1933.

L'attività terroristica appare in questi ultimi giorni notevolmente rallentata; tuttavia da persona molto vicina al governo (il redattore capo della Reichspost dott. Pfunder) ho sentito che questo fa ancora i conti con una

eventuale continuazione di essa: si avrebbero elementi per credere che gli agitatori nazisti si propongono anche l'estenuazione della polizia e della gendarmeria, sottoposte ad un duro lavoro. Ciò dovrebbe permettere appresso di avere la mano più libera per eventuali tentativi rivoluzionari. Fra l'altro, secondo documenti venuti in mano di Fey, sarebbe giunto in Austria il consiglio di disfarsi degli elementi più accaniti nella lotta contro il nazismo: lo stesso Fey ed il ministro dell'esercito Vaugoin.

Il recente provvedimento che fa di tutte le organizzazioni a tipo militare favorevoli al governo (Heimwehren, Frontkaempfer, Sturmscharen, Bauernwehre) una milizia ausiliaria da utilizzare in caso di necessità avrebbe anche lo scopo di dare l'impressione che le riserve del potere esecutivo sono da considerarsi praticamente inesauribili.

Il maggiore Fey ha avuto sabato scorso con Starhemberg il primo abboccamento per l'organizzazione di tale milizia, ma ancora ignoro l'esito del colloquio.

Nazional-socialisti. Questi segnano i colpi ricevuti: il tentativo fatto da qualcuno dei loro giornali di gettare addosso ad Otto Strasser la colpa del terrorismo e di trovare in tal modo appigli per una pacificazione coi Governo (nel suo discorso di Innsbruck del 29 corr. Dollfuss aveva accennato alla possibilità di dare uno sfogo alle correnti nazionaliste a patto che esse riconoscano la patria austriaca) non ha trovato alcuna eco ed i capi del nazional-socialismo continuano ad essere strettamente sorvegliati. Alla superficie il movimento appare in completa rotta: continua il lavorio sotterraneo il quale viene ostacolato partLcolarmente colla sorveglianza dei locali di riunione. (Un recentissimo decreto che minaccia di togliere la licenza agli esercenti dei pubblici locali che consentono ai partiti proibi:ti -nazional-socialista e comunista di svolgere la propria attività, mira a circoscrivere la possibilità di pubbliche discussioni od il campo di azione dei nazi).

Ebrei. Colla rotta dei nazional-socialisti, l'elemento ebraico di Vienna comincia a respirare più liberamente ed è caratteristico che molti di essi, che davano prima il loro voto ai social-democratici, si rivolgono ora al fronte patriottico. È probabile -ma finora è questa una mia supposizione -che gli organi centrali del culto (Kultusgemeinde) abbian dato disposizioni in tal senso. Tale movimento è però da considerare con una certa diffidenza perché allontana dal fronte patriottico e dalle stesse Heimwehren, che cominciano a contare fin troppi ebrei nelle loro file, elementi seri che pur non appartenendo al nazional-socialismo od al pangermanismo, sentono fortemente l'antisemitismo. In ogni modo Dollfuss non ha per ora alcuna intenzione di determinare alcun distacco in questo campo: mi riservo di parlarne con Starhemberg affinché eg1i esamini se non sia il caso di fare qualche dis.tinzione ·tra ebrei da lungo naturalizzati ed ex combattenti, ed ebrei di nuovo arrivo.

Heimwehren. Sono state notevolmente avvantaggiate dal regolare svolgimento dei corsi di istruzione per la formazione del «corpo di assistenza » (il primo turno si è chiuso solennemente la settimana scorsa ed il secondo si inizia ora) ed avvantaggiate saranno altresì dal riconoscimento statale ottenuto coll'annunzio che esse potranno fo.rmare una milizia ausiliaria. Poiché sono più numerose delle altre organizzazioni a tipo militare sommate assieme, vi è da attendersi che gli incerti si rivolgeranno in preferenza ad esse.

Il dott. Hueber, capo delle Heimwehren di Salisburgo si è deciso a dimettersi affermando che egli non intende in nessun modo appoggiare l'orientamento politico di Dollfuss. Starhemberg è soddisfatto di tale decisione: 1° perché lo libera da un elemento infido; 2° perché lo stretto grado di parentela tra Hueber e Goering (sono cognati) spiega le dimissioni ed annulla il valore politico dei motivi addotti dal primo; 3° perché -e ciò si è avverato ieri l'altro -al posto di Hueber si sarebbe potuto fare eleggere lo stesso Starhemberg, aumentando così le possibilità di centralizzazione del movimento. Aggiungo che l'elezione dello Starhemberg è avvenuta spontaneamente da parte dei sottocapi della provincia senza bisogno di pressioni e questo conferma che il passo dello Hueber non avrà conseguenze degne di considerazione.

Starhemberg mi ha altresì informato di aver concesso interviste a giornalisti che partecipavano ad una comitiva organizzata dal governo austriaco per la propaganda turistica a favore dell'Austria. Un giornalista jugoslavo -credo del Vreme di Belgrado -gli ha chiesto se fosse vero che egli è appoggiato materialmente dall'Italia ed egli ha risposto che le Heimwehren ricevono dall'ItalLa soltanto spiegabilissimi appoggi morali in quanto esse seguono un orientamento assolutamente fascista: esistono in conseguenza relazioni di simpatia tra lui ed elementi autorevoli del partito fascista. Interrogato dallo stesso giornalista sui rapporti che le Heimwehren potrebbero intrattenere colla Jugoslavia, lo Starhemberg ha detto di non potere dare alcuna risposta a simile domanda, poiché la politica estera non riguarda lui o il suo movimento, bensì il Cancelliere Dollfuss.

Recando a Starhemberg la notiz,ia che il suo desiderio di fare a S. E. il Capo del Governo una visita ufficiale è stato accolto (l) gli ho fatto notare che forse egli si era eccessivamente spinto allorché, parlando domenica 25 in provincia, ha apertamente accusato Hitler di essere il responsabile della politica terrorista dei «nazi >> in Austria, e ciò anche in considerazione dell'anzidetta visita. Mi ha risposto che se ne rendeva conto: d'altro canto però i lutti recentemente patiti dal movimento per colpa dei «nazi » e l'ottima accoglienza che i nazi fuggiaschi dall'Austria ricevono da autorità ufficiali del Reich (in favore di tali fuggiaschi il ministro Frank ha anche organizzato a Monaco anche una colletta THìiciale) lo hanno spinto a dire qualche parola forte, la quale per altro het trovato piena approvazione presso il governo austriaco.

Ho rinnovato a Starhemberg, e come a lui a qualche personalità della destra del partito cristiano sociale, la raccomandazione di vigilare affinché dell'attuale situazione non approfittino i social-democratici o gli agrari, visto che i primi tentano di conseguire la coalizione di governo coi cristiano-sociali ed i secondi cercano di accelerare le elezioni, timorosi come sono di vedere, col tempo indebolire la propria posizione.

La social-democrazia si trova infatti molto imbarazzata ad uscire dall'attuale situazione. Penso che essa stessa abbia, da ultimo, contribuito notevolmente a prepararsi la fossa votando la destituzione dei deputati nazional-socialisti; peccato questo contro i concetti fondamentali della democrazia che forse gli austro-marxisti dovranno scontare duramente. In ogni modo mi si segnalano diserzioni dal campo social-democratico; il capo dei social-democratici della Carinzia avrebbe chiesto anche lui il passaggio al partito cristiano sociale. I capi viennesi del partito, consci del progressivo e notevole indebolimento delle loro masse, cercano di salvarsi personalmente. Un Seitz, un Renner, un Bauer sarebbero rieletti anche se il numero complessivo dei mandati del partito dovesse ridursi da settanta ad una cinquantina: tendono quindi, come ho detto alla coalizione e fanno lavorare Winkler in loro favore affinché persuada il cancelliere ad indire le nuove elezioni nell'ottobre prossimo dopo una parziale riforma costituzionale che dovrebbe restringere il nu~ero dei partiti autorizzati a parteciparvi al fronte patriottico, ai social-democratici, agli agrari ed eventualmente ai pangermanisti. Da parte agraria ho sentito motivare questa richiesta col seguente ragionamento: occorre dare un termine fisso alla propaganda del fronte patriottico, la quale non potrebbe essere estesa a tutto l'inverno venturo ed occorre altresì uscire da una situazione extraparlamentare che nuoce al paese. Ho fatto osservare (e gli stessi argomenti ho suggerito a Starhemberg) che elezioni sollecite e preparate colle restrizioni suddette potrebbero anche spingere alle urne soltanto un sessanta per cento di elettori, ,restando il 40 per cento degli astensionisti costituito in parte dai nazional-socialisti e dai nazionalisti ed in buona parte dall'elemento socialista malcontento della politica della direzione del partito. Un parlamento che ripetesse nelle sue linee fondamentali la fisionomia dell'antico e basasse la sua forza su una maggioranza relativamente debole della popolazione, sarebbe sempre esposto agli attacchi degli avversari che metterebbero in dubbio la sua validità e non si troverebbe in condizioni migliori del governo che disponeva di un sol voto di maggioranza e che per questo si determinò a creare la situazione extraparlamentare.

In fatto di politica di rinnovamento, i segni sono ancora molto scarsi. Forse è opportuno che il governo continui ad ignorare la social-democrazia fino a quando questa non l'abbia finito di aiutare nell'opera di rastrellamento dei deputati e delle cariche elettive nazional-socialiste in seno agli organi della pubblica amministrazione, centrale e dei Laender, ma il cambiamento di fronte di lotta dai «nazi » ai rossi è atteso e non dovrebbe troppo tardare. Io cerco, per quanto posso, di fare opera di preparazione nel senso seguente: non v'ha dubbio che la nuova riforma costituzionale dovrà avere caratteristiche corporative: un aperto riconoscimento dell'orientamento fascista nella riforma dell'organizzazione dello Stato non potrebbe che essere di vantaggio. Esso avvicinerebbe ancor più l'Italia all'Austria, non potrebbe essere apertamente criticato da parte straniera perché si riferirebbe soltanto alla politica interna; avvantaggerebbe la situazione del fronte patriottico il quale potrebbe conciliarsi la simpatia di quanti sentono la necessità di uscire dall'attuale marasma parlamentare e non hanno ancora fiducia nell'attuale gabinetto; allarmerebbe i capi della social-democrazia i quali potrebbero sentirsi spinti ad uscire dall'attuale riserbo e dare quindi argomento a Dollfuss di agire contro di essi; non allarmerebbe quella parte delle masse social-democratiche che oggi sono incerte sulla situazione al punto che non mancano neanche i transfughi nel campo del nazional-socialismo.

Quanto ai progetti stranieri di restaurazione danubiana i giornali austriaci se ne occupano relativamente poco. La situazione interna è ancora troppo com

plessa per consentire una discussione del genere e, se mi è lecito esprimere un parere in merito, credo che attualmente la cosa migliore sarebbe lavorare in silenzio all'avvicinamento economico itala-austro-ungherese e limitare la politica aperta al sabotaggio dei piani Tardieu e simili.

Situazione del governo: è sempre buona, mi è stato però fatto notare che Dollfuss, Vaugoin e Schuschnigg danno qualche segno di spiegabile stanchezza fisica: non sarebbe quindi inopportuno accordare a Dollfuss un periodo di relativo riposo.

(l) Il verbale della conversazione Mussollni-Hassell, avvenuta Il 30 giugno, e la nota tedesca del 28 giugno non sono stati trovati. Cfr. in proposito Akten, I, 2, nn. 343 e 337. Il contenuto della nota è Inoltre riassunto nel n. 947.

928

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3052/6311/1141 R. Budapest, 4 luglio 1933 (per. l'B).

Mio telegramma n. 110 in data odierna (1).

l. Come ho telegrafato ho visto stamane S. E. Gombos. Mi ha ricevuto con la consueta sollecitudine e cordialità. Ha voluto leggessimo insieme la lettera a lui diretta da V. E. (2), trasmessami con dispaccio n. 4258. Si è dichiarato ed è rimasto estremamente soddisfatto di quanto l'E. V. ha voluto comunicargli circa i pretesi propositi italiani di restaurazione asburgica e unione personale austro-magiara.

«Questi legittimisti >>, ha osservato poi, «sono per lo meno assolutamente fuori strada. Ho letto ieri un rapporto confidenziale dal quale risulta che anche l'ex-Regina Zita va dicendo con i suoi fidi che l'Italia è favorevole ad un immediato ritorno degli Asburgo ».

A lettera ultimata mi ha detto: « Riferite al Duce quanto io gli sia grato per quello che mi ha scritto. AssicurateLo inoltre che gli farò pervenire al più presto la risposta precisa che mi chiede. Desidero soltanto meditarla il tempo strettamente necessario, perché mi rendo esattamente conto tanto della urgenza quanto dell'importanza che la questione riveste per l'avvenire del mio paese. Voi sapete che lo scopo che mi sono prefisso, una volta per sempre, è la ricostituzione dell'Ungheria. Il quesito postomi dal Duce investe in pieno tale problema. Occorre che la mia risposta sia non soltanto ispirata alla schiettezza assoluta che io uso con Lui ed Egli si compiace usare con me -esempio che credo senza precedenti nella storia delle relazioni internazionali -ma anche fondata sull'esame ponderato e preciso degli interessi magiari.

Le direttive cui mi attendo sono immutate ed immutabili. L'amicizia italiana costituisce la base della politica generale ungherese. Quanto alle questioni particolari, per quella cecoslovacca debbo tenere conto della Germania e dell'Austria; è la geografia che lo esige. Per quella jugoslava, è l'Italia che non

soltanto in genere, ma anche in ispecie ne costituisce l'elemento decisivo. Per la questione romena, infine, sto ancora cercando un terreno di manovra.

S. E. Mussolini mi accenna nella sua lettera alla possibilità di estendere in un secondo tempo i rapporti del progettato gruppo austriaco ed ungherese appoggiato dall'Italia, coi paesi della Piccola Intesa. Debbo dirvi con la consueta franchezza che vorrei i contatti dell'Ungheria con questi ultimi non oltrepassassero mai lo strettamente indispensabile.

Subito dopo il mio ritorno da Berlino, Benes mi ha !atto sapere che desiderava assai parlarmi d'urgenza; comunicazione simile è venuto a farmi, il giorno dopo, questo Ministro di Jugoslavia; il che dimostra, tra parentesi, che a qualcosa il mio viaggio è servito. Naturalmente però non ne ho fatto nulla. Come ho detto al giornalista francese Pernot (mio teleposta n. 6309/1140 del 3 corrente) (1), che è venuto poco tempo fa a patrocinare presso di me la solita causa della confederazione a cinque tipo Tardieu, non intendo entrare in prigione,,

2. Passati a parlare delle cose d'Austria, S. E. Gombos mi ha detto tra l'altro quanto segue: « So delle recenti aperture di Schtiller alla nostra delegazione a Londra. Prima ancora che avessero luogo, avevo parlato chiaramente a questo ministro d'Austria circa l'atteggiamento ed i propositi del suo Governo. Ho espresso in particolare al barone Hennet la mia meraviglia per il fatto che Dollfuss -cui sono stato io a suggerire il programma della sua azione, a cui ho prestato costantemente il mio appoggio -abbia pensato, sia pure per un solo momento, che io potessi non essere per lui un amico sincero. Ho detto pure a Hennet che ero del parere costituire Italia, Germania, Ungheria, ed Austria un f,ronte di interessi comuni, e non dover noi piccoli a-rrischiarci a condurre trattative a destra e a manca senza previa intesa con i grandi del nostro gruppo. Non è correndo a chiedere soldi a Parigi dopo aver appurato l'entità numerica delle buone disposizioni di Berlino e di Roma » -ha ripetuto il presidente, facendo sue le parole dettegli da Hitler (mio telecorriere 1067 del 21 giugno u.s.) (2) -«che si possono servire gli interessi storici del proprio paese. Dollfuss deve staccarsi, una buona volta e per sempre, da Parigi e da Praga, con la quale ultima mantiene contatti attraverso l'interposta persona di Winckler ». « Ma gli austriaci», ha soggiunto il generale, « di compiti storici non ne vogliono sapere. Aspettano siano assolti dagli altri, e cercano intanto di tirare quanto più profitto materiale e attuale possono dalle situazioni ,,

Avendo io quindi accennato alle recenti dichiarazioni di Dollfuss circa il Burgenland, che sono state riportate senza commenti da questi giornali (mio Stefani n. 6275 di ieri), S. E. Gombos ha osservato: «Le dichiarazioni sono state forti: troppo, inutilmente forti. A proposito del Burgenland, appunto, avevo pure detto giorni fa a questo ministro d'Austria che quel territorio rappresenta per noi ungheresi cosa trascurabile e trascurata in confronto alle rivendicazioni da vantare nei riguardi dei cechi, dei serbi e dei romeni».

3. Passando infine alla minuta cronaca austro-ungherese, degli ultimi giorni, il presidente mi ha raccontato che la sera precedente la sua partenza

66 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XIII

per Berlino egli aveva diretto un telegramma alla legazione d'Ungheria a Vienna, incaricando quella rappresentanza di informare il cancelliere austriaco del suo imminente passaggio e del suo desiderio di intrattenersi previamente con lui circa quanto avrebbe formato oggetto delle sue conversazioni con il cancelliere germanico; che i segretari della legazione «avevano passato tutta la notte in locali notturni con alcuni capi delle Heimwehren » ed il telegramma era stato perciò decifrato troppo tardi all'indomani; e che la cosa, a Vienna, era stata «naturalmente>> trovata «naturale»...

4. Concludendo il presidente mi ha dichiarato: <<I rapporti austro-germanici sono diventati troppo tesi. Hitler riceve solennemente i nazisti d'Austria che vanno a fargli rapporto a Berchtesgaden, Starhemberg parla al popolo della «peste bruna». Una tensione così acuta reca danno non solo agli interessi diretti di quei due paesi, ma anche a quelli generali della collaborazione danubiana ed europea da noi desiderata».

(l) -Con t. 2947/110 R. delle ore 13,25, non pubblicato, Colonna aveva comunicato d! aver rimesso a Gombos la lettera di Mussolini. (2) -Cfr. n. 923, nota l, p. 961. (l) -Non rinvenuto (2) -Cfr. n. 874.
929

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3053/106 R. Mosca, 4 luglio 1933 (per. l'B).

La sanzione del Governo sovietico al progetto di patto con l'Italia è stata

finalmente acquisita e telegrafata a Potemkin.

Potemkin avendo richiesto che fosse riservato a lui ed a lui solo l'onore

della presentazione del patto alla E. V., il signor Krestinski, che ho visto oggi

alle 6 p.m. mi ha dato lettura del progetto preparato, lettura rapida ma suffi

ciente a permettermi alcune osservazioni, cui la ristrettezza del tempo mi obbliga

a dare concisione assolutamente telegrafica.

Preambolo -Riterrei opportuno vi fosse fatta menzione della continuità

e stabilità delle relazioni esistite fra i due Paesi. E' questa, come osservavo nei

miei rapporti precedenti, la caratteristica che differenzia le nostre dalle altrui

relazioni con l'URSS e gioverebbe fosse in qualche modo sottolineata.

Art. 1° -Consacra nei confronti dei due Paesi il principio del non ricorso alla forza. Ritengo questo preferibile alla formula della non aggressione.

Art. 2" -Stipula obbligo della neutralità in caso di aggressione da parte di terzi. Nessuna osservazione.

Art. 3° -Stipula la «non aggressione economica». In proposito non ho che a confermare quanto ho già detto nei miei rapporti precedenti del 16 e del 28 corrente (1). Un obbligo di non aggressione economica, con un Paese come l'URSS ove vige il monopoHo del commercio estero, ci lega troppo e troppo unilateralmente.

Ove una qualche stipulazione in materia non potesse essere evitata, mi permetterei suggerire la sostituzione di questo articolo con un altro, che assicurasse -in principio -alle parti le maggiori facilitazioni possibili in materia economica, !asciandone la precisazione ad accordi commerciali separati.

Art. 4o -E' quello che, secondo Litvinov (il quale ha diretto la preparazione del documento da Londra), dovrebbe rappresentare i:l «passo in avanti» del patto itala-sovietico su tutti gli altri patti.

In forma molto abile, questo articolo mi sembra proporsi due scopi: l) la continuazione di quell'appoggio in più occasioni prestato dall'Italia all'URSS in base a naturali o contingenti coincidenze di linee politiche; 2) una specie di contrassicurazione nei riguardi del patto a quattro. In ogni caso, peraltro, esso ha l'aria di stabilire fra le parti contraenti una «solidarietà » eccedente gli stessi limiti di un patto di amicizia.

Ove una stipulazione siffatta fosse trovata inaccettabile, non vi vedrei altro possibile e migliore sostitutivo che l'obbligo alla reciproca consultazione, già da me suggerito precedentemente e che mi sembrerebbe reso ancora più consigliabile ora, dopo la firma dei nuovi protocolli Litvinov avvenuta forse oggi stesso a Londra.

Non mancherò di tornare -ove necessario -sull'argomento col prossimo corriere.

(l) Cfr. nn. 853 e 911.

930

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 4 luglio 1933.

In relazione alla comunicazione fatta dall'Ambasciatore tedesco a s. E. il Capo del Governo il 30 giugno a proposito della Nota tedesca del 28 dello stesso mese relativa al Patto a quattro, nonché al contenuto della Nota medesima, si allega, secondo le istruzioni di V. E., un progetto di Nota da indirizzare ai Governi francese e inglese (l).

Di tale Nota si potrebbe anche dare lettura all'Ambasciatore tedesco, così come nel consegnare il testo della Nota allegata ai due Ambasciatori di Francia e di Inghilterra, si potrebbe leggere loro la Nota tedesca.

P. S. -Per la presentazione della Nota ai due Governi inglese e francese potrebbe essere conveniente attendere (specie se sia imminente) l'aggiornamento del Senato e della CamNa dei Deputati francese, al fine di evitare .che le inevitabili indiscrezioni nella stampa e nell'opinione pubblica francese conseguenti alla consegna della Nota al Quai d'Orsay, abbiano a creare nuove difficoltà. Si allega un progetto di telegramma all'Ambasciatore a Parigi (2) per chiedere quand'è che egli prevede l'aggiornamento del Senato e della Camera.

(l) -Non si pubblica, in quanto identico al testo definitivo per il quale cfr. n. 947. (2) -Non pubblicato.
931

APPUNTO (l)

Roma, 4 luglio 1933.

Ho chiamato l'Ambasciatore Pignatti per avere notizie sull'andamento della discussione al Senato sul Patto a Quattro. L'Ambasciatore m'informa che il Senato assume un atteggiamento favorevole e che quindi è sperabile che la cosa possa marciare rapidamente.

Per quanto riguarda la questione di un esame fra le due Potenze di alcuni e principali problemi, come il disarmo e l'Europa centrale, che in Francia si vorrebbe sollecitare, egli ha l'impressione che si tratti per ora soltanto di una presa di contatto molto vaga, per rendersi conto della possibilità di accordi futuri.

Richiamo l'attenzione dell'Ambasciatore sulla attualità che il Patto a quatto viene ad acquistare per il fallimento della conferenza di Londra. Oggi, dopo il rinvio deUa conferenza del disarmo e quello che si prospetta della conferenza di Londra l'unica speranza per una efficace azione collettiva nella politica mondiale è costituita dal funzionamento del Patto a quattro. Bisogna perciò, nell'interesse generale, perfezionarlo al più presto. Occorre far presenti queste circostanze al Governo francese.

932

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2986/261 R. Vienna, 5 luglio 1933, ore 18,55 (per. ore 23).

Mi riferisco al telegramma di V. E. per corriere n. 1353 (2).

Cancelliere austriaco ringrazia V. E. per la comunicaZJione relativa questione Anschluss e per quanto V. E. si propone fare ulteriormente al riguardo, sperando che alle buone intenzioni di Hitler rispondano fatti.

Allo stesso tempo cancelliere ha attirato attenzione su articolo apparso ieri sera sulla Politische Korrespondenz di Berlino. Mi ha detto se è verità che articolo mostra tono più conciliante verso Austria, esperienza passata esige grande cautela apprezzamento tale manifestazione occorrendo innan2li tutto indagare se rispecchia effettivamente reali vedute Governo di Berlino.

(l) -L'appunto è anonimo. (2) -Cfr. n. 922.
933

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2995/263 R. Vienna, 5 luglio 1933, ore 19,10 (per. ore 21).

Dispaccio di V. E. senza numero del 1° corrente (1).

Cancelliere ha accolto con vivissima favorevole impressione lettera privata di V. E. della quale mi ha subito mostrato con particolare soddisfazione chiusura autografa. Mi ha detto che la esaminerà con grande attenzione rispondendo direttamente.

Intanto in conversazione generale sulla situazione interna cancelliere mi ha manifestato di nuovo sua intenzione «stringere tempi» prospettandomi anche probabilità eliminare Landbund dal costituendo fronte patriottico.

Circa repporti con Germania mi ha detto quanto ho riferito col mio telegramma n. 261 (2). Relativamente relazioni austro-ungheresi egli mi è apparso convinto procedere su nota via.

934

IL MINISTRO DELLE FINANZE, JUNG, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2984/167 R. Londra, 5 luglio 1933, ore 19,11 (per. ore 21).

Titulescu ha rinnovato stamane per la terza volta richiesta di vedermi. Non avendo precedentemente con V'arie scuse dato seguito sue richieste non ho potuto esimermi dal rtceverlo. Egli mi ha testè intrattenuto in modo generale della conferenza e della situazione monetaria europea. E' quindi passato a parlarmi della situazione « impossibile » dei rapporti italo-romeni e delLa sua intenzione di venire a i)assare come al solito quaLche tempo nel nostro paese.

Egli ha accennato alla eventualità di un suo viaggio a Roma per farsi dare una lavata di testa dal Duce». (sic)

Per parte mia non ho espresso al riguardo nessun avviso limitandoml a dirgli che il mio compito non si estende al di là delle questioni economiche monetarie relative alla conferenza e che con disciplina fascista non mi occupo dei problemi di politica estera al di fuori della mia competenza.

Titulescu ha replicato che mi parlava come a un italiano e rnon da ministro a ministro e che mi chiedeva non di rispondere ma di ascoltare. Egli ha così continuato ad esprimermi suo amore ed ammirazione per l'Italia dilun

gandosi altri luoghi comuni su questioni politiche interessanti il suo paese e circa le quali anche l'Italia è interessata. Per parte mia non ho risposto una parola a tutta la sua esposizione pur mantenendo una attitudine estremamente cortese.

(l) -SI tratta del dispaccio che trasmetteva la lettera di Mussollnl a Dollfuss del l o luglio. (2) -Cfr. n. 932.
935

IL CAPO DEL SERVIZIO ISTITUTI INTERNAZIONALI, BIANCHERI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3018/97 R. Ginevra, 5 luglio 1933 (per. il 7).

Delegato austriaco, conformemente ad accenno fatto al marchese Soragna, ·lunedì al mio arrivo venne a farmi parte delle sue preoccupazioni sull'acutizzarsi della situazione austro-ungarica, possibiliità e opportunità che questione fosse posta avanti alla Lega o presso i firmatari del patto a quattro. Aggiunse che essendogli pervenuta notizia confidenziale che Cecoslovacchia aveva l'intenzione di sollevare essa la questione presso la Lega, valendosi degli articoli 10 e 11, aveva creduto utile di fare senza altro approccio presso Massigli (il quale gli avrebbe risposto che la Francia avrebbe visto la cosa con favore se l'Italia era egualmente favorevole) e voleva farne uno analogo presso gli inglesi ma che naturalmente desiderava, innanzi tutto, sapere le nostre idee.

Avendo, a mia richiesta, convenuto che trattavasi di una iniziativa prettamente sua personale io mi sono limitato a rispondergli che dal punto di vista tecnico non sapevo se e quale fondamento giuridico avesse una richiesta basata sugli articoli da lui citati e che per lil resto non avevo istruzioni né conoscevo il pensiero del R. Governo.

Iersera delegato austriaco mi ha detto che la situazione era da tre giCJrni leggermente migliorata e che il cancelliere austriaco gli aveva fatto sapere di astenersi dal comunque sollevare internazionalmente la questione. Forse in relazione a queste sue affermazioni il Journal de Genève pubblica stamane da Vienna che la notizia sensazionale del giorno è la pubblicazione di un articolo sul miglioramento della situazione austro-tedesca fatto dalla corrispondenza ufficiosa della politica estera di Berlino e riprodotto dalla Corrispondenza Politica di Vienna.

936

IL MAGGIORE RENZETTI, AL CAPO DELLA SEGRETERIA PARTICOLARE DEL CAPO DEL GOVERNO, CHIAVOLINI

L. P. Roma, 5 luglio 1933.

Prima di partire per l'Italia, ho avuto un lungo colloquio con Hitler. Egli mi ha detto di non essere disposto a modificare l'atteggiamento preso nei riguardi dell'Austria i cui dirigenti sono elementi su cui non sarebbe possibile fare alcun assegnamento. Tali elementi, secondo Hitler, sarebbero pronti a vendersi al maggior offerente, non rappresentano che le correnti internazionalistiche, cosmopolite viennesi e sono disposte a porre l'Austria ai servigi della Francia. Io, ha aggiunto Hitler, non intendo imporre un sacrificio alla Germania senza avere delle garanzie certe; dare attualmente dei capitali all'Austria significa doverne dare continuamente in seguito per favorire i Creditori dell'Austria stessa. Riforniscano pure di denaro le casse austriache le Potenze che ne hanno interesse: tali casse ne avranno maggiormente bisogno ora dato che loro manca quell'apporto di milioni di maJrchi dati dai tanti turisti tedeschi. La Germania dava annualmente all'Austria oltre cento milioni di scellini sotto forma di proventi turistici.

A mia domanda Hitler mi ha risposto che gli austriaci si rendono conto della necessità e della bontà delle misure prese dal Reich: gli stessi nazi austriaci le hanno chieste.

«Io non intendo modificare la mia politica verso l'Italia e più che mai sono -persuaso della necessità di andare d'accordo con essa: nella questione austriaca anche 'Potrebbesi trovare una formula di intesa ed io sarei lieto se potesse essere raggiunta. Naturalmente debbono essere al timone dello Stato austriaco altri elementi: uomini fidati che facc1ano una politica diversa da quella finora seguita nei riguardi della Francia. Gli Asburgo rappresentano un pericolo per l'Europa: a prescindere ciò, chi darà le somme che loro servono?».

Io ho fatto notare ad Hitler che le misure del Reich circa i turii'ti non servono certo a migliorare le relazioni itala-tedesche: che quel certo malessere che io notavo in Germania nei riguardi dell'Italia non favoriva l'opera intesa ad accostare le due Nazioni. La GermAnia ho detto, dimentica o non sa quanto l'Italia ha compito per essa ed invece ritiene responsabile l'Italia per i fatti austriaci. Sarebbe opportuno fare un'opera di chiarimento e neiio stesso tempo correggere le misure prese nel campo turistico.

Per quanto è politica interna ho detto a Hitler che a me sembrava che in Germania si arrestasse troppa gente e che ciò era pericoloso (lo stesso argomento lo avevo trattato qualche giorno prima con n mio amico Diehl capo della polizia segreta tedesca). «Voi, ho aggiunto, non potete arrestare i dieci o quindici milioni di oppositori; li dovete domare; persuadere, portare nello Stato nazi ».

Ho anche detto a Hitler che è necessario essere molto cauti nella politica verso il centro cattolico per evitare che si riproduca ,la Kulturkampf per opera degli scalmanati propugnatori di una chiesa protestante di Stato. Hitler mi ha risposto che non bisogna prendere troppo sul serio i protestanti la cui organizzazione è assolutamente in condizioni miserevoli. « Io d'altra parte mi sento superiore alle varie religioni e non permetterò che tra esse si svolga una lotta. Il Vaticano poi cederà e presto il concordato con il Reich sarà un fatto compiuto cosicché il dissidio Chiesa-nazi sarà presto finito».

Hitler mi ha poi detto di essere persuaso della fascistizzazione europea. Noi tutti dovremo così essere gr a ti al pioniere Musso lini che ha aperto la strada a nuove idee; nuovi sistemi, a nuove concezioni politico-sociali.

Ho rarppresentato a Goering i danni che vengono all'Italia dalle misure prese verso i turisti tedeschi. Goering prima mi ha negato che la polizia neghi ai turisti i visti o che faccia molte difficoltà per concederli ma poi ha frinito con l'ammettere che era necessario fare qualcosa. Insieme abbiamo progettato un comunicato od una circolare da dirigere ai funzionar'i tedeschi. In detta si direbbe che i tedeschi sono liberi di recarsi in quei Paesi, che come l'Italia, sono realmente amici del nazionalsocialismo.

Goering mi ha mostrato una notizia a secondo la quale i nazi austriaci, dietro denunzia di Dollfuss, sarebbero stati arrestati in Alto Adige. Ho notato che tale informazione lo aveva profondamente irritato. Gli ho oggi telegrafato per smentire la notizia stessa.

Io ho fatto rilevare a Goering, a Goebbels e ad altri, che attualmente si nota una ripresa di acquisti italiani in Germania: che quindri sarebbe opportuno evitare che il malumore prodottosi in seguito alle note misure, si allarghi.

Ho parlato con Ley ed altri del nuovo ordinamento tedesco. Le idee in materia sono però ,cosi confuse e così vaghe che non Ilitengo per ora necessario di riferirne. Io non so neppure se il Ley possieda le capacità costruttive necessarie per la bisogna.

937

IL MAGGIORE RENZETTI AL CAPO DELLA SEGRETERIA PARTICOLARE DEL CAPO DEL GOVERNO, CHIAVOLINI

L. P. Roma, 5 luglio 1933.

Nel dare assicurazione di eseguire scrupolosamente gli ordini ricevuti da

S. E. il Capo del Governo martedì quattro corrente (1), lo scrivente si onora comunicare quanto segue:

a) egli ha costantemente posto al corrente e di quanto compiva, e delle notizie che riusciva a procurarsi, e del come giudicava la situazione tedesca gli Ambasciatori a Berlino: ciò allo scopo di evitare ogni dualismo e nello stesso tempo per tenere informati i nostri rappresentanti;

b) non ha perseguito alcun fine personale nella sua opera ed ha sfruttato le amicizie, conoscenze, influenze, guadagnate quale semplice privato, a favore dell'Italia e del Fascismo; per far conoscere cioè il nostro Paese e le realizzazioni del Regime, per far venire in Italia il maggior numero di tedeschi, per favorire le nostre esportazioni, i nostri interessi e le manifestazioni italiane (è riuscito ad es. pochi giorni fa a far concludere un affare per circa dieci milioni di lire alla Fiat).

Lo scrivente non fa affari, non prende percentuali o regali, non possiede interessi commerciali, industriali o finanziari di sorta: non accetta rimborsi di spese per i viaggi che continuamente fa in Germania, rinuncia a compensi

per Sca."itti, conferenze da parte tedesca, ecc. Ha dato quanto possedeva per

poter espletare la sua opera con dignità e per non dovere essere obbligato in

alcun modo verso i suoi amici.

c) Non ha mai agito quale inviato o fiduciario di qualcuno, ma solo da

privato. Per svolgere la propria opera ha assunto la veste di profondo amico

della Germania e di caldo sostenitore delle strette relazioni itala-tedesche. Ha

costantemente difeso e rispettato le nostre autorità e si è tenuto lontano da in

trighi, pettegolezzi, esibizionismi.

(l) Cfr. n. 924.

938

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3002/... (1) R. Parigi, 6 luglio 1933, ore 12,20 (per. ore 14,45).

Ho veduto iersera tarda oéra Boncour.

Egli mi ha confermato la notizia datami nella mattinata dagli uffici del Quai d'Orsay, e telefonata subito dall'ambasciata al Gabinetto di V. E., cioè che la commissione esteri del Senato è stata concorde nell'approvare l'azione del Governo che ha condotto alla parafatura del patto.

Boncour mi ha detto di aver messo al corrente la commissione del Senato, come aveva già fatto alcuni giorni prima per quella della Camera, delle conversazioni di Roma che hail!no fatto seguito alla parafatura del patto a quattro, trovando nei due consessi generali consensi.

n Governo, ha soggiunto il minist·ro, ha ormai le mani libere per procedere alla firma. 'Rimane da chia,rire un ultimo punto per il quale il ministro ha preso impegno davanti alle due suaccennate commissioni.

Boncour, ha impartito istruzioni in merito al signor de Jouvenel.

Si tratta di quella tale conversazione alla quale con me ha alluso, e varie volte, il segretario generale del Qual d'Orsay. Il mio interlocutore ha precisato che non è nei propositi del Governo francese di affrontare ora l'insieme delle questioni controverse ·itala-francesi e neppure di procedere a un esame sostanziale di questa o quella questione.

Il problema centro-europeo richiama in questo momento l'attenzione del Governo francese a causa della intricata e complessa situazione della repubblica austriaca che potrebbe da un momento all'altro assumere un carattere preoccupante.

Il ministro considera insolubile il problema centro-europeo all'infuori di una intesa franco-italiana. Il Governo francese non ha menomamente di mira, nelle conversazioni che il signor de Jouvenel ha incarico di provocare, di porre sul tappeto la

questione stessa per giungere a concrete definizioni. Esso desidera soltanto chiarire lo spirito col quale V. E. è disposto considerare lo spinoso problema in questione per evitare che il patto a quattro incontri poi subito alla prima prova un ostacolo serio se non addirittura insuperabile.

Delucidato questo punto il Governo francese sarà pronto a firmare. Il ministro ha espresso desiderio che questo avvenga al più presto possibile. Rispondendo a mia richiesta, Boncour mi ha detto che salvo incidenti imprevedibili, la Camera prenderà le vacanze venerdì o sabato settimana ìn corso. Vedrò in giornata presidente del consiglio (1).

(l) Manca Il numero di protocollo particolare.

939

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3010/480 R. Parigi, 6 luglio 1933, ore 21,30 (per. ore 1,30 del 7).

Ho avuto stamane un colloquio con presidente del consiglio. Il signor Daladier mi ha parlato in primo luogo a lungo della ostilità di Herriot per il patto. Gli amici dell'ex presidente hanno tentato -come mi ha detto testualmente Daladier -di « jugularlo alla turca col nastro di seta fra due porte». Accortosi della manovra il presidente ha rifiutato di presentarsi alla commissione degli esteri del Senato offrendo agli oppositori di spiegarsi se interpellato al Senato. Smontato l'attacco il signor Daladier ha incaricato Boncour di dare lui esaurienti spiegazioni alla commissione del Senato. La discussione ha avuto luogo martedì scorso e si è conclusa, come è noto, a tutto vantaggio del Governo. Ho felicitato il signor Daladier del suo successo e gli ho detto che V. E. attende una sollecita firma del patto. Il presidente mi ha risposto che egli è d'avviso che si debba firmare presto appena possibile e che non convenga trascinare le cose. La procedura delle lungaggini contrasta del resto col suo temperamento. Ha soggiunto che appena liberato dai lavori parlamentari divenuti assillanti in questo scorcio di sessione, egli si propone di intrattenersi con Boncour col quale da alcuni giorni non ha avuto occasione di parlare del patto a quattro.

Ho accennato, a questo punto, senza troppo precisare, ai chiarimenti che il Quai d'Orsay sembra esigere prima della firma del patto e mi sono accorto che il presidente è all'oscuro di questo particolare.

Egli mi ha ripetuto dapprima che desidera la firma sollecita appena possibile; poi, riferendosi all'iniziativa del Quai d'Orsay alla quale io avevo accennato, mi ha domandato testualmente: «Ma che cosa vi chiedono?».

Gli ho risposto che il Quai d'Orsay desiderava provocare da parte nostra dichiarazioni generiche sul problema centro Europa.

Ho soggiunto che non ero al corrente dei particolari e dell'esito del passo che ambasciatore di Francia era stato incaricato di fare a Roma, ma che avevo impressione che si mettesse il carro davanti ai buoi (l).

Presidente, senza esprimere il suo pare,re circa la questione in sé, ha ripetuto che a suo avviso bisogna firmare il più presto possibile.

Ho dichiarato al signor Daladier che noi facciamo appunto massimo assegnamento sul suo autorevole intervento perché la firma del patto avvenga prestissimo, apena iniziate le vacanze parlamentari.

Ho parlato poi al presidente del consiglio della riduzione dei contingenti d'importazione.

Gli ho detto che mi riservavo di irrtrattenerlo con maggiore agio a Camera dei deputati chiusa, sulla questione che consideravo vitalissima e suscettibile di aver vaste ripercussioni sulle relazioni italo-francesi.

Mi ha risposto che condivideva le mie preoccupazioni, evitando tuttavia di chiarire il suo pensiero.

Rispondendo ad una mia domanda mi ha assicurato che la scelta del successore del signor de Jouvenel non è decisa. Ho avuto impressione che gli sia stato fatto dal Quai d'Orsay un nome che non lo convince. Mi ha detto che è nei suoi propositi di scegliere persona che sia grata a V. E. e che abbia le qualità necessarie per proseguire opera avviata di riavvicinamento fra i due paesi.

Se è esatto, come non ho ragione di dubitare, che il presidente del consiglio è favorevole alla firma a Parlamento chiuso, ossia in breve tempo, senza farla dipendere da preliminari conversazioni di dubbia opportunità politica, c'è speranza di riuscire ad abbracciare la portata pratica del passo che de Jouvenel è stato incaricato di fare presso V. E. per l'Europa centrale.

Converrà forse esercitare al momento opportuno, ossia appena Parlamento abbia preso le vacanze, una forte pressione sul presidente del consiglio e sul Quai d'Orsay, procurando all'occorrenza di fare intervenire allo stesso scopo il Foreign Office perché, tolta di mezzo qualsiasi tergiversazione, si firmi il patto.

(l) Cfr. n. 939.

940

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3012/264 R. Vienna, 6 luglio 1933, ore 23 (per. ore 7,30 del 7).

Mio telegramma n. 261 (2).

Noto deputato Habicht tenne iersera alla radio diffusione Monaco di Baviera un discorso annessionista ed incitante austriaci proseguire propaganda nazista anche in disobbedienza al Governo di Vienna. Tale circostanza, messa in relazione con articolo di Berlino conciliante, di cui al mio telegramma sopra citato, è qui considerata come prova della poca sincerità Governo tedesco

-o una manovra destinata separare responsabilità del Governo da quella del partito. Discorso Habicht ha qui ravvivato tensione ed ha determinato cancelliere ad una protesta diplomatica a Berlino.

941.

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3044/122 R. Vienna, 6 luglio 1933 (per. l'B).

Mio tele.posta n. 1432 (1). Ho avuto un lungo colloquio col principe Starhemberg, circa il Fronte Patriottico.

Egli mi ha fatto innanzi tutto rilevare che la notizia data dal signor Kriickenhauser relativamente all'adesione delle Heimwehren al Fronte Pa.triottico era inesatta.

II principe Starhemberg ha aggiunto che tale adesione è tuttavia da considerarsi come sicura; ma che ad ogni buon fine egli si è riservato di procedervi soltanto quando avrà raggiunto la certezza: l) che gli sforzi, che alcuni troppo compromessi capi del partito cristiano-sociale vanno compiendo per organizzare il Fronte Patriottico a seconda delle loro note ed oltrepassate concezioni partigiane, siano effettivamente e definitivamente falliti; e 2) che il Fronte Patriottico non sarà per essere l'esponente d'alcun vecchio partito

o di alcuna vecchia idea, ma un effettivo movimento integrale di rinnovamento morale, ·politico e sociale della Nazione, sulla base fascista e composto prevalentemente, per non dire esclusivamente, da giovani forze.

Il principe Starhemberg mi ha ribadito che il Signor Dollfuss è anche lui entrato in quest'ordine di idee, pur facendomi rilevare le difficoltà che il cancelliere incontra tuttora per disfarsi, senza provocarne l'opposizione, di suoi vecchi amici cristiano-sociali.

Ad ogni modo il signor Dollfuss è pienamente d'accordo col principe Starhemberg sui principi che dovranno servire di base allo Statuto fondamentale del Fronte Patriottico; statuto che sarà probabilmente pubblicato fra un paio di settimane, e cioè dopo il ritorno da Roma dello Starhemberg.

942.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3048/... (2) R. Berlino, 6 luglio 1933 (per. l'B).

Mio telegramma-filo del 5 luglio corr. n. 469 (3).

Vidi ieri il cancelliere del Reich intrattenendomi con lui per circa tre quarti d'ora. Gli dissi, come preambolo, che durante il mio recente soggiorno a Roma avevo avuto nuovamente agio di constatare con quanta cura V. E. seguiva gli

avvenimenti in Germania che conosceva a fondo; si rendeva pertanto conto delle difficoltà che dovevano essere superate ma aveva piena fede nel successo del nazional-socialismo.

Hitler si mostrò molto lusingato dell'interesse che V. E. portava alle cose tedesche, si dilungò a parlarmi dell'inizio del movimento nazional-socialista dicendomi che fino al 1921 egli, per essere sincero, non conosceva l'esistenza del Fascismo. Anche fino all'ottobre 1922 non aveva appreso gran che sul fascismo, mancandogli i contatti con il movimento italiano. La marcia su Roma richiamando l'attenzione del mondo intiero su V. E. e sul fascismo aveva destato vivo interesse in Germania e si era cominciato a fare strada qui, fra i suoi aderenti, l'idea che uno dei capi-saldi del nazional-socialismo dovesse essere l'amicizia e la cooperazione con l'Italia. Egli nutriva già da tempo quest'idea, che però non era compresa in Germania. Qui si pensava all'Italia come ad uno Stato fedifrago, perché era entrato in guerra contro l'Austria-Ungheria. Egli invece riconosceva che l'Italia non poteva fare diversamente e constatava che l'errore commesso dalla Germania era stato quello di non rendersi conto che l'Austria-Ungheria era un organismo vecchio e fradicio destinato comunque a smembrarsi. Donde il suo convincimento profondo che la politica della Germania dovesse per forza di cose essere fatta in avvenire d'accordo con l'Italia.

Era interessante constatare come i due movimenti italiano e tedesco fossero sorti con idee analoghe contemporaneamente ancorché non ci fossero state da principio intese e relazioni fra di loro. Egli scorgeva in ciò una prova della bontà dell'idea scaturita nei due paesi in seguito ad un bisogno profondamente sentito di parare al pericolo dell'internazionalismo.

Vi era però un fatto sicuro e indiscutibile: il movimento che trionfò nei due paesi, ancorché a 10 anni di distanza, sarebbe finito miseramente se alla testa del fascismo non ci fosse stato Mussolini, «al quale -disse testualmente Hitler -spetta pertanto tutto il merito e che deve essere da tutti noi in Germania riconosciuto come il fondatore del nuovo mondo che intendiamo contribuire potentemente a costruire. Mussolini rimarrà nella storia come uno dei maggiori riformatori. Non mi si dica che altri prima di lui aveva pensato come lui. Hegel, Fichte, Gobinéau hanno bensì pensato e scritto cose che oggi sono sentite da molti e riconosciute giuste, ma essi sono rimasti nel campo astratto della filosofia. Mussolini, e Mussolini solo, ha avuto la forza di perfezionare e realizzare l'idea che sta rigenerando il mondo. Suo è pertanto tutto il merito perché su questa terra contano soltanto i realizza tori».

Posi quindi al corrente il canceme.re del Reich dei .propositi di V. E. circa la firma del patto a quattro da farsi appena la commissione degli affari esteri del Senato francese vi abbia dato la sua approvazione, dicendogli che a Suo giudizio, il patto dovrebbe essere sottoscritto dai ministri degli affari esteri.

V. E. considerava poi opportuno che i capi dei quattro Governi si incontrassero fra qualche giorno per discutere fra loro. Il problema del disarmo, rimasto insoluto a Ginevra, avrebbe potuto fornire un opportuno soggetto di amichevole conversazione.

Hitler diede la sua adesione incondizionata alle idee di V. E. dicendo che era d'accordo per la firma del patto da parte dei ministri degli affari esteri che trovava opportunissima l'idea di V. E. di convocare gli altri tre capi dei Governi ad una conversazione sul problema del disarmo.

A giudizio di Hitler occorre non tralasciare nulla di quanto possa, in qualsiasi modo, assicurare il mantenimento della pace. Egli mi disse che questo era il caposaldo della sua politica checché vogliano credere e dichiarare in contrario gli avversari del nazional-socialismo. Prova ne era stata recentemente la visita a Varsavia del Senato di Danzica. La Polonia poteva essere simpatica od antipatica, ma esisteva ed era uno Stato forte col quale si doveva contare e possibilmente trattare. Egli mi aveva già detto altra volta che se la Germania avesse dovuto trovarsi di fronte alla sola Polonia, avrebbe potuto rischiare con probabilità di successo, ma aggiungeva che non ci pensava affatto. Secondo notizie pervenutegli anche in Polonia gli spiriti erano divenuti più sereni e si cominciava oggi a realizzare che converrebbe meglio cercare di intendersi con la Germania nazional-socialista.

Hitler mi disse pure di avere disposto che d'ora innanzi non si seguisse più la politica di presentare proteste ai vari Governi per ogni incidente più o meno grave occorso o per ogni intemperanza di linguaggio della stampa contro la Germania.

Mi valsi dell'occasione per lasciare intendere al cancelliere come V. E. ritenesse pure che l'opera più urgente fosse quella della solida struttura interna della Germania, dato che un regime è tanto più rispettato e temuto all'estero quanto più si mostra forte e basato su fondamenti stabili.

Relativamente alla conferenza economica di Londra, Hitler disse di constatare con rincrescimento sincero come le sue prospettive non potessero essere più rosee di quelle della conferenza per il disarmo. La cosa era tanto più deplorevole 1nquantoché tutto il mondo sperava sopra un miglioramento della situazione economica.

Egli credeva che alle buone relazioni politiche fra gli Stati dovessero corrispondere quelle economiche, ragione per cui stava studiando il modo di intensificare gli scambi commerciali con i paesi amici. Cosi ad esempio aveva lasciato comprendere agli ungheresi che ove essi potessero produrre nel loro ruolo i fagioli di soia, che vengono importati presentemente in Germania dalla Manciuria, egli sarebbe stato lietissimo di comperarli in Ungheria, visto che le relazioni commerciali tedesco-mancesi sono scarse e che la bilancia è sfavorevole per la Germania.

Colsi la palla al balzo per informare il cancelliere che non diversamente la pensava l'E. V. e che appunto per ciò ella aveva recentemente ordinato che fosse passata in Germania un'ulteriore ordinazione di 250 o 300 mila tonnellate di carbone. Senonché aveva prodotto sull'E. V. una spiacevole impressione la notizia pervenutale degli ostacoli frapposti dal Governo nazional-socialista ai viaggi degli impiegati statali all'estero, nonché quella della propaganda fatta in molti centri della Germania contro i prodotti ortofrutticoli di provenienza estera, le cui conseguenze erano quelle di un vero e proprio boicottaggio dei nostri prodotti.

Hitler si fece spiegare esattamente le due cose e mi assicurò che non era stata intenzione del suo Governo di porre ostacoli ai viaggi degH impiegati tedeschi in Italia. Gli feci rilevare che, praticamente, impiegati i quali devono

fare domanda ai propri superiori per recarsi all'estero indicando le ragioni del viaggio, vengono posti in posizione di rinunciare al viaggio stesso. Hitler mi promise di escogitare il mezzo per far conoscere ai funzionari tedeschi che egli non solo non scorge inconvenienti, ma vede anzi con piacere i loro viaggi in Italia, dove del resto lo stesso Governo organizza gite ai suoi dipendenti.

Quanto all'altra questione egli mi disse di trattarla coll'Auswiirtiges Amt, ma che egli la terrà presente.

Il cancelliere mi disse poi di avere appreso con grande soddisfazione che verranno presto in Germania alcune centinaia di avanguardisti e mi ha espresso il desiderio che glieli presentassi.

Hitler mi parlò quindi della situazione interna. Egli disse che non avrebbe creduto qualche mese fa che si potesse giungere prima di un paio di anni allo scioglimento del Centro. Le cose erano precipitate e la liquidazione di questo partito era questione di ore. Il Centro avrebbe preteso di essere accolto in blocco nel partito nazional-socialista, provvedimento al quale egli si era opposto categoricamente, consentendo soltanto a che singoli membri di esso, previo esame del loro passato, siano ammessi al partito. Il Centro aveva per decenni esplicato un'attività politica più o meno utile, oggi non ha più ragione di esistere e deve scomparire, così come gli altri partiti politici.

Quanto ad Hugenberg, egli si era trovato ad essere un capitano senza soldati, giacché la maggior parte dei tedesco-nazionali si avvicinò al nazionalsocialismo. Accadde anche per lui quello che era nell'ordine naturale delle cose, che dovesse cioè ad un dato momento abbandonare il potere.

Il provvedimento era stato affrettato dal suo gesto di voler presentare alla conferenza di Londra un memoriale che non aveva avuto l'approvazione del Governo tedesco e non aveva alcuno scopo.

Hitler si dichiarò nel complesso soddisfatto dei progressi realizzati all'interno. Disse che i provvedimenti concernenti la trasformazione della Germania in stato corporativo richiederanno però uno studio accurato e che egli riteneva sarebbero occorsi almeno due anni. I nazional-socialisti avevano il vantaggio di potersi valere dell'esperienza fatta dal fascismo e, ancorché non si volesse né potesse in Germania seguire attentamente il cammino dell'Italia, era indubitato che il nostro esempio eiovava assai.

Quanto alla situazione politica della Germania all'estero, il cancelliere del Reich non esitò a dirmi che essa era tuttora molto cattiva. Egli sperava però che sarebbe andata lentamente migliorando e come mi aveva già detto, credeva che il modo più appropriato per conseguire lo scopo fosse quello di mostrarsi calmi e di lavorare per la consolidazione interna del paese.

Accennai ai recenti accordi internazionali conclusi dall'U.R.S.S. con molti Stati finitimi, con la Turchia e la Jugoslavia ed al crescente malumore sovietico contro la Germania.

Hitler mi rispose che, a suo avviso, gli accordi conclusi dai Sovieti pur costituendo un successo politico indiscutibile per quello Stato, dimostravano però allo stesso tempo la preoccupazione dell'U.R.S.S. di garantirsi da ogni possibile aggressione in Europa. Ciò probabilmente era una conseguenza dell'avvento al potere del nazionalsocialismo in Germania che aveva portato un colpo mortale alla propaganda comunista in tutta l'Europa occidentale, della conclusione del

patto a quattro, inviso all'URSS, ed alla maggior parte degli altri firmatari, e

del timore di complicazioni in Estremo Oriente. L'URSS si trovava in una

situazione economica così disperata che doveva evitare ad ogni costo compli

cazioni con Stati esteri. Anche questo era senza dubbio uno dei moventi degli

accordi.

Egli li salutava però con soddisfazione perché considerava con favore tutto

ciò che serviva ad eliminare qualunque complicazione internazionale e ad al

lontanare il pericolo di guerre.

Non si nascondeva infatti che una scintilla che fosse scoccata in un punto

qualsiasi di Europa avrebbe potuto produrre chissà quale incendio e questo

doveva essere evitato ad ogni costo.

Come V. E. avrà potuto constatare il cancelliere del Reich evitò di parlare

meco dell'Austria, e, dal mio lato, io non credetti di menzionare quella incre

sciosa questione tanto più che in questi ultimi giorni non si è verificato, pro

babilmente in seguito ad ordini personali di Hitler stesso, più nessuna delle

manifestazioni, da parte dei suoi gregari, contrarie alle formali assicurazioni

fatteLe da Goering.

L'impressione riportata dal colloquio avuto ieri col cancelliere fu ottima, perché riscontrai una volta di più che Hitler è calmo e ragionevole e mi è parso comprendere che egli si rende ora conto che bisogna correre ai ripari, almeno cessando di adoperare un linguaggio aggressivo, se non si vuoi esporre la Germania a pericoli molto grandi in politica estera.

Ho creduto dire ad Hitler, nell'accomiatarmi, che ogni qual volta avevo occasione d'intrattenermi con lui auspicavo che egli potesse avere con l'E. V. alcune conversazioni in cui fossero esaminati e discussi esaurientemente tutti i grandi problemi mondiali, giacché ero convinto che rla conoscenza personale reciproca ed il conseguente scambio di vedute avrebbe avuto effetti benefici.

In realtà ritengo che Hitler avrebbe bisogno urgente di sentire la parola autorevolissima e diretta di V. E. che egli -per le stesse dichiarazioni ieri fattemi -riconosce essere il creatore del movimento fascista, e per cul nutre la più profonda ammirazione. Potrebbe così avere più presto quella conoscenza dei grandi problemi che sta bensì acquistando ma pian piano ed avere la facoltà di esaminare le situazioni politiche da un punto di vista ancora più elevato e con una visione generale dei vari problemi.

(l) -Annotazione a margine di Buti: «S. E. il Sottosegretario vedi oggi de Jouvenel 7/7 >>. Non si è trovata documentazione su tale Incontro. (2) -Cfr. n. 932. (l) -Non pubbllcato. (2) -Manca il numero d! protocollo particolare. (3) -T. 2985/469 R. pari data, ore 21,22, non pubbl!cato.
943

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO UNGHERESE, GOMBOS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. P. Budapest, 6 luglio 1933.

Ella ha avuto l'amabilità di rispondere esaurientemente e subito alla mia lettera del 24 giugno (1), ed io La ringrazio vivisslmamente.

V. -E. ha accentuato anche 1a necessità di un rafforzamento di tempo nella questione dell'organizzazione danubiana medio-europea. In quanto a me, sono, in via di principio, d'accordo con questa concezione.

L'assicurazione di V. E. che i piani fantastici di una restaurazione o di un'unione personale tra l'Austria e l'Ungheria contrastano con i piani del Governo italiano, io l'accolgo con soddisfazione, poiché questa dichiarazione è una prova del fatto che i piani che noi nel novembre dell'anno scorso tracciammo insieme a Roma (l) hanno un saldo fondamento e che nel concetto di

V. E. non si sono mutati come non si sono mutati nel concetto mio.

V. E. ha perfettamente ragione di supporre che il mio viaggio a Berlino non abbia prodotto alcun mutamento nelle mie idee. La mia idea è che, accanto all'amicizia per l'Austria, l'Ungheria debba coltivare anche quella con la Germania per importanti ragioni economiche e politiche, e specialmente per riguardo alla sua posizione di fronte alla Cecoslovacchia. Dai colloqui avuti con V. E. io ho acquistato la ferma convinzione che questa mia presa di posizione non sia in opposizione agli interessi dell'Italia.

Così noi stiamo sulla base ideaLe fissata nell'anno 1932 di un'unione doganale itala-austro-ungherese come scopo finale da raggiungersi gradatamente. Per fare un passo avanti in questa direzione, io, seguendo il suggerimento di V. E. ho fatto sapere al Governo austriaco che sono pronto ad entrare in trattative in questo senso. Il Caposezione Schuller e il Ministro Nickl, che presentemente si trovano a Londra, sono incaricati di parlare delle possibilità di una intensificazione economica dei rapporti austro-ungarici; le commissioni austro-ungariche miste sono destinate a dare forma pratica a questi suggerimenti.

Sul corso delle trattative io mi permetterò di tenere al corrente V. E., affinché nel dato momento si possa iniziare il passo italiano in conformità del risultato delle trattative austro-ungariche.

Appena le trattative economiche avranno condotto ad un risultato, si potrebbe del pari far progredire il coordinamento politico dei tre Paesi. Come V. E. sa, esiste fin dall'anno 1931, in base a uno scambio di note confidenziali Bethlen-Schober, una cooperazione politica tra l'Austria e l'Ungheria riguardo ai comuni vic~ni. Questo legame, che nella sua formulazione somiglia al legame itala-ungherese, potrebbe, restando naturalmente fermo lo scopo di quest'ultimo, essere integrato e intensificato ed eventualmente coordinato con l'italaungherese.

Una più stretta collaborazione politica austro-ungarica ha per condizione preliminare che l'Austria aiuti economicamente e politicamente senza riserve l'Ungheria nella lotta contro la Piccola Intesa.

Se, come spero, questa tappa suggerita da V. E. sarà raggiunta, io da parte mia lavorerò con zelo per la integrazione sino a che sia raggiunto lo scopo desiderato, cioè l'unione doganale itala-austro-ungherese.

Questo saldo triplice blocco, nella comunanza del fine da raggiungere, sarà certo ,in grado di riordinare le sue relazioni economico-politiche con la Germania e forse con altri Stati vicini di far valere i suoi comuni interessi. Qui mi permetto di osservare che si potrebbe parlare di una più stretta relazione

67 --Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XIII

economica, di una relazione eccedente la misura normale con la Cecoslovacchia, solo a condizione dell'adempimento dei nostri noti desideri politici.

Tutte queste questioni rendono necessario un esame esauriente, non solo nei riguardi del principio informatore ma anche nei riguardi dei particolari. Perciò io ho l'intenzione, appena saranno chiusi i lavori del Parlamento, di cogliere l'occasione del mio incontro col Ministro von Kanya, il quale pensa di fare come me una cura a Fiuggi, per concertare il modo di corrispondere al gentile invito di V. E. e con un colloquio personale venire ad una proficua conclusione di una così importante questione (1).

(l) -Cfr. n. 923, nota l, p. 961.

(l) Cfr. serle VII, vol. XII, n. 414.

944

IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE DEI MANDATI DELLA SOCIETÀ DELLE NAZIONI, THEODOLI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. P. Roma, 6 luglio 1933.

Secondo quanto tu mi dicesti ieri mattina, misi completamente al corrente de Jouvenel di quanto io avevo detto e fatto con Massigli a Ginevra, ed egli mi fece leggere la corrispondenza ch'egli ha avuto in questi ultimi tempi col Quai d'Orsay.

Iersera egli è venuto a trovarmi a casa mia; ora mi accingo a riferirgli succintamente, ma il più esattamente possibile, le due conversazioni. Secondo l'intesa corsa tra me e te, ieri matttna non ho creduto fare altro che ascoltare ed ora riferirti.

Jouvenel, soddisfattissimo di come si sia svolta la discussione a Parigi alla Commissione degli Affari Esteri del Senato; non ha più che una idea: partire per la sua campagna in Francia, ma deciso e pieno di entusiasmo per coadiuvare lì il suo nuovo Ambasciatore Besnard «dans la mise au point du Plan général » che vorrebbe fissare con il Capo del Governo, giusta anche le direttive che in questo senso egli mi ha comunicate.

«Dans les dix jours que je vais encore passer à Rome il faut absolument que nous élaborions d'abord un plan général. Le plan de détail est moins urgent ».

Jouvenel tiene a precisare che è indispensabile «mettre les points généraux au clair avec Mussolini, avec lequel j'ai eu il y a douze jours une conv,ersation des plus intéressantes (2) et des plus franches ». Egli dice che, secondo Mussolini, l'ordine delle questioni urgenti sarebbe il seguente .

Primo fra tutti, il problema dell'Europa centrale e dell'Adriatico, ossia di tutta l'Europa orientale. « Commençons par l'Autriche. C'est la plus malade. Dollfuss peut tenir, mais jusqu'à quand »? Jouvenel mi mostra il resoconto di una conversazione tra Goering e Poncet, che non so qualificare se più sfacciata o più ingenua, dalla quale risulterebbe che l'Anschluss, secondo il Tedesco, è virtualmente in marcia e sarà un fatto compiuto a brevissima scadenza.

Jouvenel è d'accordo con Mussolini per ritenere Dollfuss straordinario a tutti i punti di vista. «Il donne du patriotisme et recherche un idéal pour ses compatriotes, mais ceux-ci ont besoin de vivre et pour vivre il faut manger. On ne peut pas attendre une semaine de plus! ».

La soluzione dell'unione dell'Austria con l'Ungheria non è, secondo la Francia, una soluzione soddisfacente. Jouvenel mi ha mostrato dei dati statistici di esportazione e di importazione dell'Austria verso l'Ungheria e viceversa nonché il movimento della Germania verso il sud e dell'Ungheria e Austria verso la Germania, che dimostrano essere l'unione austro-ungarica non una medicina, tutt'al più un palliativo temporaneo. Secondo Jouvenel, è indispensabile una soluzione più vasta. « Plus elle est large, plus elle sera à l'avantage de l'ltalie. L'ItaHe doit vis-à-vis de l'Allemagne avoir l'apparence du désintéressement. Il faut qu'elle s'entende avec Benes. Oelui-ci doit coopérer avec la France et l'Italie à faire disparaitre l'antagonisme et méme l'existence des deux blocs de l'Europe centrale». (Austria-Ungheria contro la Piccola Intesa).

Secondo l'Ambasciatore, senza perdere un momento, nei dieci giorni che egli ancora rimarrà a Roma, Mussolini dovrebbe fare stabilire le basi, dettare le grandi linee, ed egli propone di aggiungere la Bulgaria a questa costellazione il cui astro maggiore sarà l'Italia.

Jouvenel conviene con quel che gli avrebbe detto il Capo del Governo, e cioè che il problema adriatico non è un problema economico. E' un pericolo politico che aumenta ogni giorno a causa dell'Albania. «Dunque, dice Jouvenel, quello che voi Theodoli, mi diceste, che il problema adriatico si risolveva da sé quando fosse sistemata l'Europa centrale, oggi non è più esatto. La questione adriatica è urgente, mi risulta da ogni parte che non bisogna perdere tempo. Dite a Palazzo Chigi qu'"il faut en causer"».

Egli, accalorandosi, aggiunse « dès la signature du Pacte que Mussolini fasse venir Benes à Rome, et nous mettrons cette affaire au point, si, comme je l'espère, Paris marchera la main dans la main avec Rome et l'Italie guidera l'Autriche-Hongrie comme la France poussera et forcera la Petite-Entente n. s'entendre dans la voie ci-dessus tracée ».

La Cecoslovacchia, invece di dirigere le sue merci verso Amburgo, può facilmente farne scendere parecchie verso Trieste, come la Jugoslavia, che attualmente, contrariamente al suo interesse economico, ma per ragioni politiche, si serve di Salonicco più che di Fiume. Ciascuno di questi paesi dell'Europa centrale deve fare degli accordi con gli altri, dove l'Italia troverà il suo vantaggio. Non dimentichiamoci che l'Italia è il primo cliente della Jugoslavia e il secondo della Romania.

Troppo lungo sarebbe per me ripetere tutte le ragioni che, secondo Jouvenel, mHitano per la soluzione del problema sopra accennato, ma mi Limiterò a ripetere quello che mi ha detto circa il pericolo tedesco incombente sulla frontiera nord dell'Austria.

«L'Italie doit savoir que dans la question de l'Anschluss la France est avec elle. Elle ne la laisse ni la laissera pas seule, aucun doute à cet egard! Fixons les grandes lignes de notre politique générale en Europe. Ensuite les pointsbase des questions africaines (si le Palais Chigi est prét). Tachez, mon cher Theodoli, que je quitte Rome en sachant à quoi m'en tenir sur le terrain colonia!, car je n'ai pas encore reussi en six mois d'ambassade à savoir exactement ce que vous désirez et ce que nous voulons. Mais l'urgence est toujours pour l'Europe centrale. Ensuite il faut trouver une solution méme relativement satisfaisante pour le désarmement, car sans celà la réussite du Pacte à quatre sera compromise; profitons de la venue de Henderson à Rome».

A proposito della mia partenza oggi per l'estate, egli insiste perché io, traversando la Francia dopo aver preso contato con Bessard veda Béranger e Herriot. Egli conta sulla nostra cooperazione continua e costante per attivare l'apatia del nuovo Ambasciatore e vincere la resistenza passiva di alcuni ambienti responsabili francesi. Naturalmente io ho risposto all'Ambasciatore che tutto questo non dipende da me. Ho l'impressione, caro Suvich, che il Capo del Governo con la sua ben nota abilità e tatto potrà ottenere da Jouvenel di continuare a cooperare per la soluzione di tutti i problemi che egli conosce e ai quali si è appassionato.

(l) -A questa lettera era allegato il seguente appunto del Gabinetto in data 9 luglio: «Traduzione della risposta del presidente Gombos alla lettera di S. E. il capo del Governo. La risposta è stata consegnata stamane dal ministro di Ungheria a s. E. Aloisi >>. (2) -Di questa conversazione Mussol!ni-Jouvenel non si è trovata traccia. In DDF, vol. III, pp. 766-767 è edito un rapporto del 23 giugno di Jouvenel su un colloquio con Suvich avvenuto il giorno 22.
945

L'ADDETTO STAMPA A VIENNA, MORREALE, AL VICE CAPO GABINETTO, JACOMONI

L. P. LVI. Vienna, 6 luglio 1933.

A proposito della prossima visita del Principe Starhemberg mi permetto fare rilevare l'opportunità di incoraggiarlo con una certa fermezza a prendere una parte ancor più diretta nella politica interna austriaca affinché si convinca che il suo movimento non deve essere soltanto di preparazione militare, ma deve anche servire a preparare la gioventù ad interessarsi direttamente alla riorganizzazione dello Stato. Il Principe Starhemberg sa già questo, ma mi sembra che egli si attenga troppo all'idea di agire colla pressione numerica della massa e trascuri quella di creare anche intorno a sé elementi scelti e preparati alla pubblica discussione delle questioni di maggiore attualità. Ciò appa,re tanto più necessario in quanto --se guardiamo all'avvenire meno immediato -un ritorno dell'organizzazione dell'esercito al reclutamento obbligatorio, potrebbe rendere superflue o, comunque, ingiustif.icate le formazioni private a tipo militare e, con queste anche le Heimwehren ove non si siano preoccupate, di fatto se non di nome a darsi un'adeguata struttura di partito.

Secondo me, lo Starhemberg è un austriaco al cento per cento ed è questo un notevole vantaggio che gli consente di valutare meglio i propri compatriotti e di evitare errori di azione -quelli, ad esempio, dei naz,ional-socialisti austriaci dal giorno in cui si sono posti sotto la direzione dei prussiani. E però, H suo carattere lo porta di tanto in tanto a fasi di indolenza o di sfiducia nelle proprie forze personali. Per chiarire con un altro esempio questo mio apprezzamento, dirò che in uno dei tanti miei colloqui, egli interrompeva la serie delle mie esortazioni colla uscita, sincera ed apprezzabile: «Ma lei crede che io sia un Musso lini? » D'accordo, ma occorre che egli abbia una maggdore coscienza di se stesso e faccia valere quotidianamente sul campo politico la pressione del suo movimento. L'appoggio a Dollfuss non deve significare dedizione; da Dollfuss egH deve ottenere anzi il consenso ad una critica incitatrice che possa legittimare le azioni del cancelliere nei confronti dei partiti e che valorizzi, in definitiva, la propria collaborazione sì da potere un giorno ottenere colla segreta approvazione dello stesso Dollfuss, che l'attuale evoluzione politica abbia quel marchio rivoluzionario che è necessario alle trasformazioni radicali.

Così, lo Starhemberg, per quanto mi sia adoperato, non mi pare abbia ancora compreso l'importanza che ha la stampa in momenti particolarmente agitati. L'ho incoraggiato, ma invano, a far comparire spesso propri scritti sui giornali di cui dispone, ad imporsi cioè ad una più vasta cerchia di pubblico ed ad allargare la cerchia delle simpatie che vanno al suo nome, alla sua intelligenza ed alla sua riconosciuta onestà. Schivo come è dall'intr,igo politico, mi pare non sorvegU abbastanza gli intrighi altrui, in un ambiente in cui ancora l'arrivismo è norma.

Tali osservazioni mi sono permesso di fare non perché dubiti della preparazione di Starhemberg, ma perché so quanta importanza egH annette ai consigli di S. E. il Capo del Governo.

Gradisca i miei migliori saluti e la preghiera di farmi sapere telegraficamente e per il solito tramite, se la mia presenza a Roma durante la permanenza dello Starhemberg è desiderata o meno.

946.

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3030/266 R. Vienna, 7 luglio 1933, ore 18 (per. ore 21).

Mio telegramma n. 264 (1).

Incaricato d'affari Berlino ha avuto istruzioni di far osservare a Governo tedesco che la propaganda radio anti-austriaca (cui attendono Monaco di Baviera e altre due stazioni radiofoniche) contrasta uso internazionale.

Rappresentante diplomatico dovrà far osservare che detta propaganda ostile è tanto pdù deleteria in quanto Austria ha avuto sempre verso Reich, durante

ultimo incidente, contegno calmo e conciliante, come prova atteggiamento stampa quotidiana nei commenti al noto articolo della Politische Korrespondenz (mio te'legramma n. 261) (1).

Ministri d'Austria a Roma e a Londra sono stati incaricati informare nuovo incidente Governo italiano e Governo britannico e dire ritenere che il cancelliere austriaco, in caso di risposta non soddisfacente, intenderebbe rivolgersi Grandi Potenze, per mezzo Potenze firmatarie protocollo firmato a Ginevra 1922; per sollecitare loro intervento a Berlino.

Non escludo che di tale eventualità possa far parola codesto ministro d'Austria.

(l) Cfr. n. 940.

947

IL MINISTERO DEGLI ESTERI, ALLE AMBASCIATE DI FRANCIA E GRAN BRETAGNA A ROMA

NOTA VERBALE. Roma, 7 l·uglio 1933.

II Governo italiano ha l'onore di riferirsi alla corrispondenza scambiata tra il Governo francese e i Governi romeno, cecoslovacco e jugoslavo, nonché alla Nota diretta dallo stesso Governo francese al Governo polacco: documenti

n. 12, 13, 14, 15, 16, 17 e 18 del Libro Blu francese relativo al Patto di Intesa e di Collaborazione tra le quattro Potenze occidentali.

Il Governo tedesco ha creduto di vedere nelle indicazioni contenute in tali documenti a proposito dell'interpretazione dell'art. 19 del Covenant e del Patto un procedimento non idoneo al conseguimento dei fini che il Patto si propone; e ha indirizzato al Governo italiano una Nota con la quale, manifestando tali preoccupazioni, fa presente che i fini del Patto potranno essere raggiunti solo se le Quattro Potenze occidentali intendano fermamente di trattare in uno spirito di franca e di fiduciosa collaborazione tutte le questioni che al Patto si riferiscono. Esso esprime la convinzione che le questioni riguardanti l'interpretazione e l'applicazione del Patto possono essere regolate soltanto d'accordo, e non unilateralmente da uno dei quattro Governi firmatari.

Il Governo italiano ha risposto al Governo tedesco riferendosi alla comunicazione fatta a suo tempo dal Governo francese che l'unico impegno da esso preso verso i Governi romeno, cecoslovacco, jugoslavo e polacco era nel senso che sarebbe rimasto fedele al principio dell'unanimità nell'applicazione dell'articolo 19 del Covenant per le quistioni territoriali; e che pertanto il Governo italiano non riteneva fondate le preoccupazioni del Governo tedesco. D'altra parte il Governo italiano ritiene (ed ha del pari informato di conseguenza il Governo tedesco) che se vi saranno discordanze nell'interpretazione del Patto a quattro, è conforme al suo spirito che se ne ricerchi la soluzione nelle riunioni dei rappresentanti delle quattro Potenze.

(l) Cfr. n. 932.

948

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL MINISTRO D'AUSTRIA A ROMA, EGGER

APPUNTO. Roma, 7 luglio 1933.

Il signor Egger è venuto ad espormi la situazione che risulta dall'unito appunto. Mi ha detto anche che il Cancelliere nel suo dispaccio parla di una situazione preoccupante nelle provincie di confine.

Ho esposto al Ministro la mia opinione personale che non convenga cioè all'Austria in questo momento fare ricorso alla Società delle Nazioni, il che vorrebbe dire insabbiare la questione.

L'esempio della Cina è istruttivo. D'altronde fra qualche settimana sarà in funzione anche il Patto a Quattro. Ora, senza in questo momento poter dire se sarà opportuno di sollevare la questione in quella sede, vi sarà in ogni modo questa nuova possibilità offerta all'Austria per far riconoscere i propri diritti.

L'opinione pubblica è attualmente nettamente favorevole all'Austria ed i sistemi adoperati da alcuni ambienti germanici contro l'Austria non possono che aumentare la generale simpatia per quest'ultima. Mi pare quindi che questo sia il tasto su cui bisogna battere.

ALI,EGATO

BUTI A SUVICH

APPUNTO RISERVATO. Roma, 7 luglio 1933.

Questo Ministro d'Austria mi ha messo al corrente di una comunicazione ricevuta dal suo Governo nel senso dell'appunto che segue:

«Le "Bayrischer Rundfunk" a commencé avec une série de conférences sur la situation en Autriche. Une conférence du fameux agitateur Habicht contenait non seulement une critique inadmissible mais aussi des invectives démesurées à l'adresse du Gouvernement Fédéral auquel on reproche directement de la haute-trahison. Cette conférence a culminé dans l'incitation des partisans autrichiens à des actes illégaux, de désobéissance et de révolution contre le Gouvernement et ses organes.

Le Gouvernement Fédéral a protesté énergiquement contre ce nouvel acte hostile qui, certainement, n'a pas eu lieu sans l'approbation ou l'assentiment taciturne des cercles responsables allemands et qui, en outre, doit étre continué. En méme temps le Gouvemement Fédéral a demandé que des émissions pareilles cessent.

Si, contre toute attente, le Gouvernement allemand ne donnait aucune suite à la demande autrichienne et continuait l'agitation haineuse par la voie du "Rundfunk", le Gouvernement Fédéral devrait finalement se poser la question si -vu la menace continuelle et toujours croissante qui cause des graves soucis surtout dans les districts de frontière -le moment ne serait pas venu de faire appel aux Gouvernements de ces Grandes Puissances qui ont assumé contractuellement la garantie de l'indépendance politique et de la souveraineté de l'Autriche ou bien si l'Autriche en sa qualtié de membre de la Société des Nations, ne devrait pas elle méme faire appel au Conseil de la Société des Nations.

La passivité ultérieure du Gouvernement Fédéral ne paraitrait compréhensible ni à l'opinion publique autrichienne ni à l'étranger et serait interprétée comme une faiblesse de ce Gouvernement ».

949

COLLOQUIO FRA IL CAPO GABINETTO, ALOISI, E IL MINISTRO D'UNGHERIA A ROMA, HORY

APPUNTO. Roma, 7 luglio 1933.

Mi ha comunicato che GèimbOs, dietro invito di Dollfuss, si recherà domenica prossima a Vienna. In questo incontro col Cancelliere austriaco egli si propone di impostare le relazioni politiche austro-ungheresi sulLe basi indicate dal Capo del Governo.

950

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 7 luglio 1933.

L'azione di propaganda, iniziata nel mondo islamico, giusta gli ordini impartiti dall'E. V., ha già avuto qualche risultato degno di particolare rilievo. L'articolo, pubblicato dall'influente nazionalista siriano Scekib Arslan sul più importante organo arabo di Gerusalemme, il Giamia-el-Islam (articolo che pur ripete qualche vieta accusa contro l'Italia, forse per la preoccupazione dell'autore di non fare un troppo brusco voltafaccia), ed il commento redazionale della direzione del giornale hanno prodotto notevole effetto nei circoli nazionalisti arabi, e sono giudicati come la manifestazione di un radicale cambiamento di direttive da parte dei dirigenti arabi nei nostri riguardi.

Secondo l'autorizzazione fornita da V. E., l'« amico indiano», continuando nella sua azione di propaganda in nostro favore, si è recato:

a) a Ginevra, dove ha preso contatto con Ihsen bey Giabry -condirettore de,Ua rivista nazionalista araba La nation arabe -attenendone promesse di cooperazione;

b) a Territet, dove ha visto S. E. Tabatabai, segretario generale del Congresso mondiale pan-islamico. Questi -che è già guadagnato alla nostra causa -gli ha detto che desidererebbe venire in Italia, ma solo se invitatovi e se gli sarà consentito di essere ricevuto da una personalità ufficiale.

Dato che S. E. Tabatabai, già Presidente del Consiglio dei Ministri in Persia, è considerato dall'attuale Scià come un ribelle fuoruscito, non sembra consigliabile una presa di contatto con personalità ufficiali italiane.

c) a Belgrado, dove ha preso accordi con taluni esponenti del partito di opposizione mussulmano (che lavora in cooperazione col partito croato), e particolarmente col Dott. Mohamed Spaho, capo del partito mussulmano, e col Gran Mufti Jemal-ud-din Sciausciovic, capo religioso dei mussulmani jugoslavi, e tuttora seguito dalla grande maggioranza di essi; malgrado che il Governo di Belgrado lo abbia ufficialmente sostituito nella carica di Gran Mufti con altro mussulmano a lui ligio.

Con i suddetti capi mussulmani sono state concordate intese per l'azione da svolgere nel Congresso dei mussulmani di Europa, che si prE'vede avrà luogo a Ginevra nell'agosto p.v.

Come proseguimento deU'azione intrapresa si propone:

a) dar corso alla traduzione in arabo, alla stampa e diffusione dei due libri seguenti favorevoli all'Islam: 1°) Prof. Veccia-Vaglieri -Apologia dell'Islam; 2°) Dott. Enderle -Vita sessuale ed eugenica secondo Maometto -Spesa prevista L. 5.000, che è già stata autorizzata da V. E., in base a precedente promemoria;

b) aiutare Scekib Arslam che ha bisogno di denaro. Questi ha dichiarato di non poter accettare direttamente sussidi. D'altra parte non sembra sia il caso di seguire il metodo indiretto da lui suggerito quello cioè di contrarre qualche centinaio di abbonamenti alla sua rivista, La Nation Arabe poiché ciò offre l'inconveniente che, scaduto l'abbonamento, un mancato rinnovo gli darebbe l'impressione di un mutamento di intendimenti da parte nostra.

Gli si potrebbe piuttosto fornire una contribuzione, nella sua qualità di Presidente del futuro Congresso dei Mussulmani di Europa, per le spese di organizzazione e funzionamento del Congresso stesso. Tale contribuzione potrebbe essere di lire 10.000.

Si resta in attesa di conoscere se V. E. autorizzi tale ultima spesa.

951

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 7 luglio 1933.

Il 18 luglio corrente scade il «Patto di Amicizia e di collaborazione cordiale» tra l'Italia e la Romania firmato a Roma da S. E. il Capo del Governo e dal Generale Averescu il 16 settembre 1926 e prorogato alla sua scadenza di sei in sei mesi fino all'anzidetta data del 18 luglio 1933.

Il R. Ministro a Bucarest ha informato che il Signor Titulescu gli ha comunicato che il Governo romeno è desideroso di prorogare il «Patto » e che gradirebbe di conoscere se l'Italia è disposta a procedere a tale proroga. Il signor Titulescu ha aggiunto di sua iniziativa che la quistione del prolungamento del « Patto » non è di competenza degli altri due membri della Piccola Intesa e che il loro avviso circa la proroga non è quindi necessario e non sarà da lui domandato (telegramma n. 133 da Bucarest del 9 giugno) (1).

Quando la questione della proroga del «Patto» si è presentata sei mesi or sono, S. E. il Capo del Governo si è espresso favorevolmente alla proroga stessa, con la seguente motivazione e cioè che «in pendenza di problemi molto gravi (debiti, disarmo, ecc.) da cui può dipendere un cambiamento di indirizzo di politica generale, non era conveniente di mutare gli accordi attuali che rientrano nel quadro di siffatta politica». Tale considerazione pare conservi anche oggi tutto il suo valore. È vero che in questi sei mesi l'atteggiamento del Go

verna romeno nei nostri riguardi non è stato più amichevole di quello che esso fosse in precedenza. Anzi si può osservare che il Signor Titulescu si è molto agitato a proposito dell'affare delle armi di Hirtenberg, della proposta e dei negoziati per il Patto a Quattro; e che ha avuto una parte molto attiva nel rafforzamento dei vincoli che legano tra di loro gli Stati della Piccola Intesa. Però è altrettanto vero che, specie dopo la felice conclusione dei negoziati per il Patto d'Intesa e di collaborazione tra le Quattro Potenze Occidentali, l'esame dei problemi di politica generale e le possibilità di ripercussioni sull'atteggiamento dei vari Stati nei riguardi di questi problemi e nei rapporti di questi Stati fra di loro, è oggi più che mai di attualità, più di quanto lo fosse nel dicembre scorso. Non solo, ma è anzi più viva che mai la necessità di creare,

o quanto meno di contribuire a creare nei nostri riguardi un'atmosfera di fiducia e di tranquillità affine di facilitare il primo esperimento di applicazione del Patto a Quattro nei riguardi del disarmo, etc. La conclusione a cui pare quindi si possa venire è che convenga di rispondere in senso favorevole alla richiesta avanzata dal Governo romeno per la proroga del Patto fra l'Italia e la Romania, non tanto per gli aspetti positivi di questo Patto, che dacché esiste e soprattutto negli ultimi anni non ha, si può dire, mai funzionato, quanto per gli aspetti dirò così negativi, per l'interpretazione cioè che si potrebbe dare ad un rifiuto italiano, nel senso che l'Italia invece che procedere per la via di una politica di intesa e di collaborazione come è nella lettera e nello spirito del Patto a Quattro, mostra piuttosto di vole.r eliminare dei legami, sia pure più apparenti che reali, di amicizia e di cordialità verso uno degli Stati della Piccola Intesa.

Si omettono altre considerazioni -in senso favorevole ad una nuova proroga -che possono suggerire gli accordi tra l'URSS e gli Stati limitrofi, e l'URSS e la Piccola Intesa, la Turchia, ecc. circa la formula per la definizione dell'aggressore. Pare basti accennare in proposito all'opportunità di non mancare con un mancato rinnovo l'appartenenza della Romania a un determinato gruppo di Potenze.

L'opportunità di dare una risposta favorevole alla richiesta del Signor Titulescu appare, anzi si rafforza, anche se si abbia riguardo agli speciali rapporti che esistono fra l'Italia e l'Ungheria, alla quale non conviene né può convenire un atto che possa interpretarsi come una manifestazione di propositi verso la Romania diversi da quelli che hanno finora esistito, specie dopo la conclusione del Patto a Quattro che per il suo funzionamento (e per le possibilità che apre anche nei riguardi della politica ungherese) presuppone un ambiente di quanta maggior fiducia possibile. È anche da tener presente che il rinnovo del Patto con la Romania può sempre prestarsi ad essere addotto come riprova del non riconoscimento da parte nostra della pretesa unità diplomatica della Piccola Intesa.

Il Governo ungherese ha mostrato in occasione di precedenti proroghe di rendersi conto delle ragioni per le quali esse venivano fatte. Volendosi, si potrebbe in ogni modo presentire opportunamente quel Governo; e all'uopo si allega uno schema di telegramma (1).

(l) Cfr. n. 787.

(l) Cfr. n. 959.

952

IL MINISTRO A PRAGA, ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (l)

TELESPR. 1263/868. Praga, 7 luglio 1933.

Ho avuto oggi una lunga conversazione con Benes col quale non avevo più parlato dal 30 maggio, riunione a Praga della Piccola Intesa.

Egli mi ha detto che era stato soddisfatto della conversazione avuta a Londra con S. E. Suvich, in cui, continuando sulla linea delle conversazioni già avute a Ginevra con S. E. Aloisi, esso Benes aveva avuto occasione di illustrare al Sottosegretario di Stato italiano l'atteggiamento seguito dalla Cecoslovacchia e dalla Piccola Intesa in confronto del Patto a quattro.

Mi ha ripetuto che aveva voluto astenersi dal sabotare il patto con l'opposizione ad esso della Piccola Intesa, convinto di servire così gli interessi generali e della pace.

E quindi è venuto a parlarmi delle recenti voci di unione tra l'Austria e l'Ungheria e di restaurazione asburgica, posteriori al suo colloquio con S. E. Suvich.

Sembrandomi interessante sentire quale versione ne desse il Benes, ho creduto opportuno di domandargli se egli avesse indicazioni precise sull'origine delle voci che erano oramai state generalmente giudicate come tendenziose.

Benes mi ha detto che l'idea di una unione austro-ungarica era da tempo considerata come ben vista a Roma, e precisamente da quando al riguardo apparvero, due anni sono, due articoli ben chiari nella Tribuna. Ma l'episodio recente, per quanto a lui risultava, traeva origine da una conversazione che avrebbe avuto luogo a Roma tra il Capo del Governo italiano e l'Ambasciatore francese de Jouvenel, in occasione della parafatura del Patto a quattro. In tale conversazione sarebbe stato constatato che Italia e Francia si trovavano concordemente contrarie all'Anschluss dell'Austria alla Germania. Passati quindi ad esaminare quali fossero le possibilità ed i mezzi per impedire tale Anschluss, il Capo del Governo avrebbe fatto cenno all'eventualità di una unione dell'Austria e dell'Ungheria. Ma egli avrebbe suhito soggiunto doversi escludere una restaurazione asburgica come mezzo per rl'alizzarla attraverso una unione personale, poiché questa via avrebbe sollevato opposizioni violente, avvenimenti gravi in Europa danubiana ed in definitiva avrebbe fatto fallire ogni eventuale piano di unione.

Di questo presunto scambio di idee, riferito a Parigi dal Jouvenel, sarebbero venuti a conoscenza -sempre secondo la versione di Benes -i circoli di opposizione francesi i quali ne hanno subito fatto una speculazione contro il Governo e specialmente contro Paul Boncour e de Jouvenel, attribuendo loro un presunto atteggiamento favorevole a progetti del genere. La stampa internazionale -che Benes ha qualificato nefasta -si è naturalmente impadronita dell'argomento, troppo interessante per non essere sfruttato in vario senso.

Per conto suo Benes ha tenuto a farmi rilevare che la stampa cecoslovacca, dietro direttive da lui date, aveva sollecitamente accolto e riprodotto le smentite circa una presunta paternità italiana del progetto di unione austro-ungarica e specialmente di restaurazione asburgica, diffondendole contemporaneamente ai commenti contrarii ad ogni progetto del genere.

Sicché, ha concluso Benes, le origini della campagna contro i detti progetti -sedicenti italiani -si rintraccerebbero unicamente in una manovra di politica interna francese. Benes ha affermato di avere chiaramente dichiarato a Parigi che egli non intendeva prestarsi a fare della politica del suo Paese strumento del giuoco dei partiti francesi, e che per tale motivo aveva fatto, dopo il suo colloquio con Paul Boncour, le note dichiarazioni alla stampa, destinate a tagliar corto alle chiacchiere sui progetti relativi all'Austria e all'Ungheria.

Tale essendo stato lo sviluppo dell'episodio, restava tuttavia il fondo della questione, sulla quale Benes mi ha detto di avere creduto di fare alcune dichiarazioni pubbliche intonandole alla prudenza del caso, ma atte a manifestare in modo esplicito il suo punto di vista politico al riguardo. Il quale non può essere che nettamente contrario, come egli ha avuto occasione di spiegare a Paul Boncour che avrebbe interpellato i rappresentanti della Piccola Intesa sul loro modo di vedere circa una idea di unione austro-ungarica.

Per spiegarmi le ragioni di tale opposizione, Benes ha creduto opportuno di risalire di nuovo alla questione dell'Anschluss, e mi ha detto quanto segue.

La politica hitleriana ha ridato attualità al problema austriaco offrendo all'Europa una nuova e forse ultima occasione di affrontarlo e risolverlo. Quale che debba o possa esserne la soluzione, questa è però urgente e non dilazionabile. Innanzi tutto l'Austria non può continuare a vivere di prestiti. È certo che questo prestito sarà l'ultimo che si può farle ottenere. D'altra parte la stessa Germania ha il diritto di sapere che cosa vuoi fare l'Europa di fronte alla sua volontà, reale o presunta, di fare l'Anschluss. E cioè: o l'Europa deve dire chiaramente alla Germania che essa non permetter.\ l'Anschluss, oppure, se non ne ha il coraggio, allora val meglio !asciarlo fare, e che non se ne parli più. Per i paesi più interessati al problema, e fra questi la Cecoslovacchia viene in primissima linea, è soprattutto urgente uscire dall'incertezza che perpetua il marasma economico dell'Europa centrale, punto d'orig,ine del marasma europeo.

Benes ha qui notato, incidentalmente, che l'interesse della Cecoslovacchia differisce notevolmente, di fronte al problema dell'Anschluss, da quello dei suoi alleati della Piccola Intesa e particolarmente della Jugoslavia, della quale sono ben note le simpatie germanofile, tanto che la Cecoslovacchia avrebbe dovuto lavorare non poco ad ottenere dalla Romania e dalla Jugoslavia la loro adesione al punto di vista contrario all'Anschluss. Questa adesione è stata però realizzata, sicché la Piccola Intesa deve considerarsi ora nettamente e unanimamente contraria all'Anschluss dell'Austria alla Germania.

Vi sono però due situazioni ancora peggiori di un tale Anschluss, e cioè: a) il prolungarsi, come già si è detto, dell'incertezza attuale sulla sorte dell'Austria;

b) il pericolo di un Anschluss «moltiplicato per due», cioè di un Anschluss alla Germania non solo dell'Austria ma anche dell'Ungheria.

Ora, secondo Benes, è appunto il pericolo che uno Stato austro-ungarico possa essere, a breve scadenza, assorbito dalla Germania senza incontrare maggiori difficoltà che non avrebbe presentato l'Anschluss della sola Austria, l'argomento fondamentale che induce la Piccola Intesa, e specialmente la Cecoslovacchia, alla sua opposizione contro ogni forma di unione austro-ungardca. A dimostrare l'esistenza e la serietà di tale pericolo Benes invoca la formidabile potenza del movimento hitleriano e dello spirito che anima il terzo Reich. Egli ne ravvisa una testimonianza nei giganteschi progressi che il nazional-socialismo continuerebbe a compiere in Austria, nonostante il nuovo energico corso della politica di Dollfuss. L'unione dell'Ungheria all'Austria non basterebbe, secondo lui, ad arginare i progressi dell'hitlerismo lungo la tradizionale via dell'espansione pangermanista, che, avendo, rinunziato oggi all'Anschluss dell'Austria, troverebbe ben presto la sua facile rivincita nell'Anschluss dell'Austria-Ungheria. Invece un'Ungheria indipendente costituirebbe un efficace e definitivo limite all'unificazione espansionistica del Reich tedesco.

Ecco quindi perché Benes e la Piccola Intesa dichiarano di preferire, come un male minore, l'Anschluss dell'Austria all'unione austro-ungarica.

In sostanza, politicamente ed etnicamente, l'Anschluss dell'Austria, quando i nazional-socialisti fossero giunti al potere in Austria, come non è improbabile, non cambierebbe gran che alla realtà delle cose. La Cecoslovacchia non sarebbe più accerchiata di quel che non lo sia già dall'anello nazional-socialista e dalle masse di nazionalità tedesca.

Quindi Benes, in linea politica, conclude che l'Anschluss dell'Austria consacrerebbe una situazione già in fieri contro la quale la Piccola Intesa opporrebbe la sua riconfermata solidarietà di interessi e la solidarietà, ugualmente accresciuta, di tutte le forze che dall'Anschluss sono minacciate: Francia e Polonia, fin da ora, e forse anche l'Italia, più tardi, quando la pressione germanica incominciasse a farsi sentire, come egli ritiene fatale, su Trieste.

In linea economica, Benes ritiene l'unione austro-ungarica priva di risultati pratici. Essa porterebbe inevitabilmente ad un inasprimento delle relazioni della Piccola Intesa col nuovo blocco, affrettando l'unione doganale fra i tre Stati della Piccola Intesa che Benes mi ha senz'altro detto essere la meta economica verso la quale detti Stati ogg,i tendono. Conseguenze: l'Ungheria perderebbe lo sbocco importantissimo dei suoi prodotti in Cecoslovacchia senza accrescerli in Austria: l'Austria perderebbe lo sbocco dei suoi prodotti industriali in Jugoslavia e Romania senza accrescere quelli esistenti con l'Ungheria. Quest'ultima perdita per l'Austria non sarebbe compensata dall'eliminazione della concorrenza industriale cecoslovacca, dal mercato ungherese. Comunque, gli scambi nell'Europa danubiana dell'Austria e dell'Ungheria subirebbero più restrizioni che incrementi, e quindi la soluzione intrinseca del problema sorto dal frazionamento della Monarchia danubiana non sarebbe né risolto, né migliorato.

Questo, mi ha detto Benes, è l'aspetto, anzi la somma degli aspetti negativi della situazione; aspetti negativi che hanno una forza enorme e che sarebbe

grave errore ignorare, perché tale forza non è solo la risultante di tutte le tendenze negative dei singoli interessati, ma conferisce a ciascun interessato la possibilità di impedire che gli altri realizzino i piani che esso non vuole. Benes ha insistito su questo concetto dicendo che oggi nessuno in Europa è abbastanza forte per imporre la sua volontà agli altri: tutti sono abbastanza forti per impedire che la volontà altrui si realizzi.

Per conseguenza, passando alle possibilità positive di affrontare il problema danubiano, Benes crede che si debba incominciare con lo scartare i programmi che non possono in nessun caso essere accettati dai singoli fattori della politica europea: per limitarsi al problema centro-europeo, Benes enumera: Italia, Francia, Piccola Intesa, Germania, ritenendo che l'Inghilterra accetterà e favorirà qualunque soluzione che sembri consolidare la pace e la tranquillità sul continente.

Così, nell'enumerazione dei non possumus dei quali Benes dice doversi tener conto, egli incomincia con l'impossibilità per l'Italia di tollerare la ricostituzione di un Impero asburgico ingrandito, quale sarebbe la federazione dei cinque Stati danubiani attuali. È per questo che il progetto Tardieu, che -dice Benes -«presentava dei vantaggi», ebbe a fallire.

Ho creduto opportuno a questo punto interrompere Benes per dirgli che è stato detto in qualche giornale che il progetto Tardieu era fallito anche per l'opposizione fatta da esso Benes, e che comunque desideravo sapere da lui esplicitamente se egli è oggi pel ritorno al progetto Tardieu o contro di esso.

Benes mi ha dato -com'era da attendersi -una risposta evasiva: cioè ha detto che l'errore di Tardieu fu soprattutto di procedura, per non aver egli tenuto conto dell'Italia e della Germania, che sono fattori indispensabili di ogni combinazione nell'Europa centrale, anche perché la Germania è la principale cliente della Cecoslovacchia e l'Italia della Jugoslavia. Sicché, in sostanza, Benes non si è manifestato formalmente contrario al piano Tardieu, pur ammettendo che esso era per lo meno incompleto, anche in confronto della Piccola Intesa.

Come secondo non possumus Benes ha indicato la soluzione dell'Anschluss contro il quale si elevano in modo assoluto Italia e Francia. Terza soluzione, inaccettabile per la Piccola Intesa, in base a quanto sopra è detto, l'unione austro-ungarica. Quali allora le soluzioni positive capaci di realizzarsi senza urtarsi a questi impedimenti?

Benes preferisce incominciare dalla procedura che secondo lui è essenziale, tenuto conto del peso decisivo che oggi i Governi devono dare alle questioni di prestigio e di suscettibilità nazionale per non essere travolti dalle rispettive opinioni pubbliche. Egli quindi ritiene che il primo passo da realizzare sia la ricerca di una base d'accordo fra l'Italia e la Francia, senza la quale il problema dell'Europa centrale non può fare nessun passo innanzi. A realizzare tale accordo può servire egregiamente H patto a quattro per far accettare un eventuale progetto itala-francese all'Inghilterra e alla Germania.

Seconda tappa dovrebbe essere la consultazione degli Stati della Piccola Intesa.

-E gli altri Stati danubiani? -ho quindi chiesto io. Benes mi ha risposto che «naturalmente» anche gli altri Stati danubiani dovrebbero essere interpellati, e su piede di perfetta eguaglianza.

Tracciata così la procedura, Benes dice che la sostanza di un progetto costruttivo dovrebbe consistere innanzi tutto in un patto politico fra le quattro Grandi Potenze occidentali, più gli Stati della Piccola Intesa, l'Austria e l'Ungheria, col quale venga garantita l'indipendenza dell'Austria e dell'Ungheria.

Una tale effettiva e seria garanzia renderebbe vitale l'Austria, che <<prima

o poi» -ha detto Benes -«dovrà diventare una specie di Svizzera». Assicurato così il lato politico del problema si dovrebbe mirare ad una fiduciosa collaborazione economica fra tutti i firmatari del patto. La quale si potrebbe realizzare attraverso un accurato studio di tutte le necessità e possibilità di scambi fra i singoli Stati centro-europei nonché fra questi e le Grandi Potenze interessate, in modo da condurre ad una rete di accordi bilaterali coordinati fra loro, sia dal patto politico suaccennato, sia da clausole comuni a tutti o a gruppi in quanto possibili ed utili. Naturalmente gli Stati della Piccola Intesa saranno solidali fra loro nelle trattative, ma d'altra parte il nuovo patto di organizzazione della medesima è stato appunto concepito con sufficiente elasticità per permettere a ciascuno dei tre Stati che la compongono accordi separati con terzi (1).

Avendomi così Benes esposto il suo punto di vista, ho creduto di rivolgergli due domande:

1°) Se l'intervista da lui accordata al Manchester Guardian e discussa in Ungheria dovesse considerarsi come l'esposizione di un suo vero e proprio progetto.

Benes mi ha risposto :

a) che detta intervista, sulla quale si è polemizzato, dev'essere letta e interpretata alla luce dei chiarimenti che egli mi ha dati;

b) che in ogni caso è falsa l'interpretazione data da alcuni, secondo cui esso Benes avrebbe accennato ad una collaborazione della sola Piccola Intesa ad esclusione dell'Austria e dell'Ungheria o contro di esse. Invece la Piccola Intesa deve sviluppare i suoi rapporti economici con un'Austria e un'Ungheria indipendenti;

c) in quanto ai suoi progetti, Benes ha tenuto a dirmi che egli non ha pregiudiziali né di prestigio né di procedura, né per le forme protocollari nelle quali gli accordi raggiungibili possano essere consacrati: trattati, accordi, patti, egli è disposto a sottoscrivere qualunque istrumento che possa essere accettato dal suo Paese e dagli altri.

Evidentemente Benes accarezza sempre il suo antico sogno di neutralizzare non solo l'Austria, ma quasi, se fosse possibile, anche l'Ungheria, mediante la suddetta garanzia, che assimilerebbe entrambi i paesi alla Svizzera ed al B~lgio ».

2°) Ho chiesto a Benes se questi progetti da lui tracciati nella procedura e nel merito per la risoluzione dei problemi dell'Europa centrale, oltre ad esser da lui ritenuti «i soli possibili» gli sembrassero anche «sufficienti».

Dopo avere visibilmente riflettuto, Benes mi ha risposto testualmente: «Li credo sufficienti se l'Italia vorrà». Ed ha aggiunto: «L'Italia in questi problemi rappresenta una forza enorme, decisiva. Ancora una volta però la sua forza è più negativa che positiva. Nulla può esser fatto senza il consenso dell'Italia».

Premesso quindi di parlarmi a titolo confidenziale, ed in tutta franchezza, Benes ha ancora aggiunto: «Una grande forza, nel giuoco dell'Italia è l'incertezza circa la politica che essa intende seguire. È una grande forza, ma può essere anche una debolezza, specialmente nell'ordine di una politica costruttiva. Se l'Italia vorrà dare il suo consenso alle idee dianzi accennate, che possono certamente essere accettate dalla Francia e dalla Piccola Intesa (40+45 milioni di abitanti) si avrebbe la volontà concorde di 127 milioni di Europei per una soluzione nella quale l'Italia avrebbe i più grandi vantaggi ed una situazione di primissimo ordine».

A queste rinnovate aperture per la solidarietà più volte auspicata da Benes per una collaborazione politica dell'Italia col raggruppamento costituito dalla Francia e dalla Piccola Intesa, non ho creduto di mostrare il minimo interesse, neppure nella forma negativa di una discussione polemica. Ho quindi lasciato cadere il discorso, che mi sembrava del tutto esauriente sull'argomento in oggetto, passando ad altro argomento.

Non credo che l'esposizione del Benes, di sopra testualmente riferita, abbia bisogno di commenti. Rilevo la ripetizione di temi a lui cari, come la collaborazione tra Italia, Francia e Piccola Intesa, la tendenza alla neutralizzazione dell'Austria, nonché la rinnovata ostentazione di una pretesa relativa sua indifferenza verso l'eventualità dell'Anschluss. Da rilevare anche la crescente deferenza con la quale Benes si esprime verso la politica di V. E. e la crescente importanza che egli attribuisce all'Italia come fattore della politica europea in generale, e di quella centro-europea in ispecie. Questo fatto deve evidentemente attribuirsi unicamente all'interesse che Benes crede ravvisare pel suo Paese nel manifestare al rappresentante del Governo Fascista disposizioni, propositi e aperture del genere.

Ho creduto mio dovere lasciare parlare il Signor Benes per poter riferire a V. E. le sue idee. Ma non ho creduto conveniente ribattere alcuna delle sue argomentazioni, né rilevare talune sue contraddizioni con repliche che non sarebbero state difficili, pur facendo, naturalmente, le più ampie riserve sul modo in cui il mio Governo potrà giudicare il punto di vista di questo Ministro degli Affari Esteri su ciascuna delle questioni da lui esaminate.

Ritengo in tal modo di essermi ulteriormente conformato alle istruzioni contenute nel telecorriere di V. E. n. 984 R. del 13 maggio u.s. (l) che considero tuttora normative del mio atteggiamento.

(Continua col numero successivo) (2).

(l) Annotazione a margine di Mussolini: «importante>>.

(l) Con t. per corriere 3257 R. del 25 luglio Rocco commentò: «Ora, il primo rilievo che si può certamente rare é la sproporzione evidente fra la netta esclusione fatta dal Benes dei tre piani positivi suddetti ed il carattere vago ed inconsistente del suo preteso progetto costruttivo. Il solo elemento sufficientemente chiaro da lui avanzato è costituito dalla progettata garanzia che dovrebbero fornire le quattro Grandi Potenze occidentali e gli Stati della Piccola Intesa. della separata Indipendenza dell'Austria e deJI"Ungheria.

(l) -Non pubblicato. (2) -Non rinvenuto.
953

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3042/483 R. Parigi, 8 luglio 1933, ore 19,05 (per. ore 23,15).

Il presente telegramma Ia seguito al n. 482 (1).

Fra qualche g1orno, partito Litvinov, sarà possibile avere qualche particolare sulle conversazioni franco-russe di Parigi e risulterà forse che non è stata casuale presenza di Tewfik Ruschdi bey.

Assai probabile che Litvinov abbia bussato a denari. Pare che i bolscevichi siano a corto di quattrini e abbiano scarse probabilità di averli dalla Germania. In questi giorni ha circolato anche voce che la Russia si propone di lanciare sul mercato internazionale un prestito di 25 milioni rubli oro. Ma all'infuori del francese non vedo altro mercato per tentare una operazione del genere. Aggiungo subito che mi sembra problematico che il risparmiatore francese consenta di affidare il suo denaro ai bolscevichi.

Comunque ho l'impressione che nel riavvicinamento politico franco-sovietico non debba ricercarsi soltanto il fattore finanziario. Nei due patti orientali testè conclusi ciascun contraente ha trovato invero la salvaguardia dei suoi particolari interessi. Ma il vincolo comune che unisce i maggiori contraenti europei sembra possa essere l'antirevisionismo. Questo spiega le manifestazioni di simpatia con le quali è stato accolto in Francia l'accordo degli Stati dell'Europa orientale.

Riferisco in proposito una informazione raccolta ieri che comunico con

riserva ma che non deve essere a mio modo di vedere trascurata. Col mio

telegramma n. 480 (2) ho informato delle dichiarazioni fattemi dal presidente

del consiglio sul patto a quattro. Un giornalista francese che ha visto il presi

dente dopo di me, ha detto al servizio stampa dell'ambasciata di aver notato

un raffreddamento del presidente nei riguardi dell'Italia. Il signor Daladier

avrebbe osservato che con le recenti evoluzioni della politica sovietica con

appendice turca la Francia, avendo acquistato una maggiore libertà di ma

novra, non sente più il bisogno di prodigarsi per l'Italia vincolata ormai a una

politica europea con la Francia. Il giornalista che afferma di conoscere il

presidente del consiglio gli nega, malgrado le sue molte doti, un qualunque

concetto originale di politica estera e ne deduce che il disegno politico da lui

esposto deve essere opera dei suoi consiglieri del Quai d'Orsay.

Questo armeggio della Francia che si allarga agli Stati dell'Europa orien

tale potrà essere forse tenuto presente nelle conversazioni provocate costà

dalla iniziativa francese. Se la Francia chiede assicurazioni circa le nostre

future direttive politiche centro-europee può s·embrare d'altra parte oppor

tuna una nostra prudente domanda alla Francia di chiarire la politica che

intende seguire nei riguardi delle intese costituitesi nell'Europa orientale.

68 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XIII

(l) -T. 3033/482 R. dell'8 Jugllo, ore 13,10, non pubblicato. (2) -Cfr. n. 939.
954

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3054/271 R. Vienna, 8 luglio 1933, ore 22 (per. ore 6,30 del 9).

Mi riferisco al mio telegramma n. 266 (1).

All'incaricato d'affari austriaco ministro degli affari esteri tedesco ha risposto di non poter accettare protesta del Governo federale perché concessione stazioni radiotelegrafiche tedesche per determinati usi fra determinate persone è d'esclusiva pertinenza del Governo del Reich.

Alla Ballplatz mi è stato detto poi confidenzialmente che il predetto incaricato d'affari si è mostrato impari alla bisogna e che non è improbabile che il cancelliere incarichi Ministro d'Austria a Berlino, attualmente qui di passaggio, rinnovare passi settimana prossima non appena di ritorno a Berlino (2).

955

COLLOQUIO TRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DELL'U.R.S.S. A ROMA, POTEMKIN

APPUNTO. Roma, 8 luglio 1933.

L'Ambasciatore Potemkin mi ha riferito sulle conversazioni avute a Mosca

nei riguardi del progettato accordo itala-sovietico. L'idea ha trovato l'ambiente

più favorevole. Egli ha portato con sé un progetto che farà vedere al Capo

del Governo e che spera di suo gradimento.

Dice che tale iniziativa in questo momento è tanto più opportuna in quanto,

venendo a coincidere con un nuovo indirizzo nella politica sovietica, questa

ha dimostrato che i rapporti di cordialità con l'Italia rimangono immutati.

Il nuovo indirizzo di cui parla è determinato dall'atteggiamento della Ger

mania, il quale da evidenti e incontrovertibili segni, è diretto contro i sovieti.

Non che l'unione di sovieti abbia deciso in modo definitivo una sua politica anti

germanica, ma di fronte alla minaccia di questa ostilità tedesca, deve prendere

tutte le proprie precauzioni. Queste precauzioni la spingono a cercare degli

appoggi nel gruppo contrario a quello tedesco e quindi sopratutto nella

Francia.

Sempre a proposito dell'atteggiamento anti-sovietico della Germania, l'Am

basciatore mi afferma che, secondo alcune notizie, sarebbe in corso a Berlino

aerea».

una negoziazione fra Rosenberg e alcuni delegati giapponesi per un accordo offensivo contro l'Unione Sovietica.

Rispondo all'Ambasciatore dei sovieti che le buone disposizioni di Mosca trovano la più favorevole eco da parte del nostro governo, per cui è da sperare che le trattative potranno essere condotte rapidamente e felicemente in porto.

Per quanto riguarda le preoccupazioni per l'atteggiamento tedesco, io credo che non convenga esagerare: probabilmente le conversazioni di Rosenberg sono parto di pura fantasia. Rosenberg stesso è un teorico del «razzismo », ma non credo che abbia molta presa in questioni di politica estera.

Hugenberg, autore del noto memorandum (che del resto è stato molto gonfiato) ha dato le dimissioni dal Governo.

Richiamo poi l'attenzione del Signor Potemkin sui nuovi accordi conchiusi recentemente dalla Russia. È evidente che, nel negoziare l'accordo italo-sovietico, conviene essere perfettamente in chiaro sul carattere e sulla portata dei suddetti accordi. È anche evidente che le affermazioni di qualche giornale della Piccola Intesa, che cioè gli accordi sulla definizione dell'aggressore siano una specie di risposta al Patto a quattro, sono prive di qualsiasi fondamento. D'altra parte non è neanche a pensare che questi accordi siano stati conchiusi soltanto per facilitare l'opera della Conferenza del disarmo facendo accettare da un gruppo di Stati la definizione dell'aggressore.

L'Ambasciatore mi dice di non avere ancora informazioni da Mosca sul carattere di tali accordi. Non c'è dubbio però -secondo lui -che gli stessi hanno il fine di protezione delle frontiere. Il secondo accordo -quello nel quale intervengono anche la Cecoslovacchia e la Jugoslavia (che non hanno frontiere comuni con la Russia) -è probabilmente niente altro che una conseguenza del primo e quindi non bisogna dargli nessun particolare signifitato.

Sui motivi che hanno determinato -in questo momento -la conclusione di tali accordi, ci sono due versioni diverse. L'Isvestia -giornale governativo più moderato -dice gli accordi non essere altro che la logica evoluzione del Patto Kellogg e del protocollo di Mosca. La Pravda invece -organo del partito che parla con minore prudenza -dice che l'accordo è una reazione contro il contegno della Germania nei riguardi dei sovieti. L'Ambasciatore mi farà avere il testo dell'accordo anche col preambolo che non è stato pubblicato.

L'Ambasciatore Potemkin mi parla po1 delle condizioni interne della Russia, dicendomi che la raccolta di quest'anno è molto migliore e che si può riscontrare un buon sintomo per l'avvenire nella mutata mentalità dei contadini, i quali si rassegnano alla collettivizzazione, e seguono le direttive del regime da cui sperano di trarre profitto.

L'Ambasciatore ha attraversato la Germania ed ha avuto l'impressione di un paese in istato di cronica esaltazione. Alla frontiera polacca, la stazione è stata invasa da un numerosissimo gruppo di giovani e di ragazze arrivati con quattro treni speciali, i quali fra continue provocazioni alla Polonia, hanno preteso che anche i viaggiatori si unissero ai loro « Heil » hitleriani.

(l) -Cfr. n. 946. (2) -Un appunto di Buti per Suvlch del 20 luglio comunicò quanto segue: «Questo Ministro d'Austria Informa che la protesta fatta a Berlino dal suo Governo contro la diffusione per radio di notizie offensive pel Governo austriaco non ha avuto seguito presso Il Governo del Reich; e che il Governo austriaco ha di conseguenza proibito la diffusione di notizie politiche per via
956

L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. P. Roma, 8 luglio 1933.

Ricevo in questo momento la Nota Verbale n. 220734/55 dell'8 corrente (1), conferma di ricezione della mia nota n. l 1063 del 28 giugno (1), indirizzata a S. E. il Capo del Governo.

Mi permetta di fare al riguardo ancora una breve osservazione. Quando consegnai la Nota personalmente al Signor Capo del Governo, ebbi l'onore di far rilevare che il Governo germanico, nell'intento di evitare per quanto possibile ogni inutile pericolo per il Patto a Quattro, per il suo protesto [sic] contro la interpretazione francese aveva scelto la forma di una Nota al signor Capo del Governo italiano ed aveva dato a questa Nota una redazione che, secondo la sua convinzione, non poteva essere oggetto di obiezioni da nessuna parte, e che il Governo germanico, così sistemando la cosa, si attendeva di non ricevere da nessuna parte una replica alla sua nota, riservandosi la sua libertà d'azione per il caso contrario.

In pari tempo, d'incarico del mio Governo, pregai di voler informare della nota stessa, nella forma che il Capo del Governo italiano credeva opportuna, i Governi francese ed 'inglese. Se il Capo del Governo italiano si assumeva questo compito, il Governo germanico da parte sua non voleva più intraprendere nulla a questo riguardo né a Parigi né a Londra.

Tutto ciò che precede è pure stato esposto al Signor Ministro Buti dal signor Smend.

Vorrei dunque, prima di riferire al mio Governo, pregarla ancora di voler gentilmente darmi conferma che il R. Governo italiano ha comunicato, come convenuto, il contenuto della mia nota ai Governi di Londra e di Parigi.

957

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO (2). Roma, 9 luglio 1933.

Mi ha consegnato di urgenza l'acclusa risposta di Gombi:is (3) alla lettera che gli ha indirizzato recentemente (4).

Mi ha poi riconfermato quanto il Ministro di Ungheria ad Ankara ha comunicato a S. E. Lojacono (cfr. telegramma accluso) (5), e cioè che il Governo ungherese ha fatto conoscere al Governo turco di considerare come

(-3) Cfr. n. 943. (-4) Il 24 giugno, cfr. n. 923, nota l, p. P61.

atto contrario allo spirito di amicizia che ha sempre informato le relazioni turco-magiare tanto la firma, avvenuta senza previe consultazioni, del Patto per la definizione dell'aggressore, al quale a Ginevra si erano opposte Italia Inghilterra e Ungheria, quanto il riconoscimento da parte della Turchia della sottoscvizione apposta al Patto stesso dalla Piccola Intesa in qualità di entità politica per sè stante.

A questo proposito ho creduto opportuno convocare per domattina l'Ambasciatore di Turchia. Se V. E. non ha nulla in contrario, gli ricorderò come, in seguito al malumore espressomi da Tewfik Ruschdi bey a Ginevra per non essere stato tenuto al corrente delle trattative del Patto a quattro, io gli abbia fornito le più esaurienti spiegazioni sullo spirito informatore del Patto e come poi abbia fatto dare ad Ankara gli affidamenti del caso. E gli ricorderò come, in conseguenza, io abbia poi quasi quotidianamente tenuto al corrente l'Ambasciatore turco delle ultime fasi delle trattative che hanno preceduto la siglatura del Patto.

Esprimerò quindi all'Ambasciatore la mia personale sorpresa per non essere stati a nostra volta tenuti al corrente delle trattative relative a un accordo come quello per la definizione dell'aggressore, non solo di evidente importanza per noi e per loro, ma contro il quale per giunta il governo turco aveva avuto occasione di conoscere a Ginevra tutte le ragioni della nostra opposizione.

Aggiungerò pure che non ho ben capito le ragioni che hanno indotto la Turchia a firmare anche il secondo accordo con la Piccola Intesa (1).

(l) -Non rinvenuta. (2) -L'appunto si riferisce ad un colloquio fra Aloisi e il Ministro d'Ungheria a Roma. (5) -È il t. 3041/82 r. dell'8 luglio, ore 22, non pubblicato.
958

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. R. 3051/1492. Mosca, 9 luglio 1933.

I giornali di avantieri 7 luglio portavano l'annuncio che Litvinov si era recato a Parigi, ospite gradito e desiderato del Governo francese.

Un comunicato ufficiale, apparso sui giornali di ieri dava conto di questa visita e affermava che Paul Boncour e Litvinov avevano constatato con soddisfazione la posizione comune presa sopra un certo numero di questioni internazionali dalla Francia e dall'URSS in seguito alla ratifica del patto franco sovietico.

Questo è già un po', per quanto con qualche limitazione e riserva il linguaggio di prammatica per tutti gli incontri fra rappresentanti di Paesi che perseguono un programma di collaborazione politica.

Seguono oggi le dichiarazioni Litvinov alla stampa parigina, nelle quali, premessa l'avversione dell'URSS alla politica degli aggruppamenti contrapposti e il suo desiderio di mantenere buone relazioni con tutti, il Commissario del

Popolo per gli Affari Esteri constata che «né gli interessi politici né quell1 economici dell'URSS contrastano con quelli della Francia in nessun punto del globo e che quindi non vi è alcun ostacolo, così politicamente come economicamente, a più strette relazioni fra i due Paesi».

A queste dichiarazioni la stampa francese ha fatta eco altrettanto larga quanto simpatica.

Anche l'incontro Boncour-Litvinov porta l'impronta della iniziativa francese, impronta che si riscontra in tutta la serie degli atti che hanno portato al riavvicinamento franco sovietico, dal più remoto -l'offerta Berthelot di un patto politico -al più recente: offerta di spiegazioni ed assicurazioni a proposito del Patto a quattro da parte di Boncour a Dowgalewski. A questa iniziativa francese ha però corrisposto, bisogna pur riconoscerlo, una grande «buona grazia» sovietica. E la cosa non deve del resto meravigliare.

In primo luogo, il riavvicinamento franco-sovietico risponde a ragioni di ordine naturale e generale. Il permanere fra quei due Paes-i di una tensione quale quella che io trovai al mio arrivo a Mosca tre anni or sono, era impossibile. E. i due Paesi hanno perciò quasi istintivamente cercato un riavvicinamento.

Ma questo essi hanno fatto tanto più in quanto entrambi dominati, ciascuno dal suo punto di vista ma più di qualunque altro, da una stessa preoccupazione, quella della propria «sicurezza».

Il riavvicinamento franco sovietico è indubbiamente un portato della situazione tedesca. Se questa situazione minaccia o dà la sensazione di minacciare la Francia dal di fuori, essa minaccia l'URSS non solo, anzi non tanto, dal di fuori, ma anche e assai più, dal di dentro.

Io ho molto riflettuto in questi ultimi tempi su questo punto e le ragioni dell'allontanamento russo germanico mi appaiono sempre più profonde e permanenti.

Non bastano a spiegare l'attuale raffreddamento nelle relazioni russo tedesche le intemperanze di Rosenberg o quelle di Hugenberg. Esse costituiscono più la causa occasionale che quella reale. Ciò che mina la politica di Rapallo è più un fattore esterno che uno interno, e cioè l'irriducibile contrasto fra il regime comunista dell'URSS e quello fascista del Reich.

Finché, mentre la Germania e l'URSS procedevano concordi nel campo della politica estera, esisteva nel Reich un fiorente partito comunista tedesco, per Mosca garanzia dell'oggi e speranza dell'avvenire, la «politica di Rapallo'> non poteva subire, e difatti non subì, interruzioni. Ma con l'avvento di Hitler in Germania questi presupposti della politica rapalliana venivano tagliati.

Né, a prescindere dalla specialità dei rapporti russo turchi, l'esempio delle buone relazioni intercedenti fra l'Italia fascista e la Russia comunista si rivela in pratica completamente conclusivo. Occorre infatti considerare che, mentre da una parte l'Italia e URSS non sono state finora divise, in politica estera, da nessun sostanziale contrasto, dall'altra la Russia non «sente la vicinanza», e quindi il pericolo, del fascismo italiano. Le speranze della Terza internazionale per una comunistizzazione dell'Italia, mai forse eccessive, possono considerarsi dileguate da un pezzo, prima ancora della ripresa dei rapporti fra i due Paesi.

Diverso è invece il caso per le relazioni tedesco sovietiche. Malgrado i mutamenti apportati dai Trattati di pace, è qui ancora sopravvissuta una tal quale tradizione di contiguità territoriale fra i due Stati che, confinanti per più di un secolo, sono geograficamente sempre assai vicini. Dai tempi di Pietro il Grande in poi, la Russia ha sempre profondamente subito l'influenza morale, politica, culturale ed economica tedesca. Pertanto, una Germania fascista costituisce per la Russia comunista un pericolo attuale e prossimo e, quindi, debitamente apprezzato e temuto.

Questo Ambasciatore di Germania ha, negli ultimi tempi, ricevuto non poche lettere anonime di russi che si felicitano per il successo di Hitler! Si tratta di una piccola cosa ma pur assai significativa e che dimostra il contraccolpo qui avuto dalla fascistizzazione del Reich. Ormai qui per «fascismo» si intende solo quello hitleriano, e contro di esso si dirigono e si concentrano gli odi del Partito e della Terza Internazionale. Alcune recenti rivelazioni di un nostro comunista (vedasi mio telespresso n. 1476) (l) mi confermano in questa mia opinione.

È questa dunque la situazione tedesca che allontanando l'URSS dalla Germania, riavvicina la Francia alla Russia e reciprocamente.

Ed è certo la situazione tedesca la principale di quelle questioni rispetto alle quali, secondo il comunicato riportato più sopra, Boncour e Litvi:nov hanno constatato con soddisfazione di avere in conseguenza del patto franco sovietico «assunto una posizione comune». Posizione comune che ormai abbraccia, oltre la definizione dell'aggressore ed il principio della sicurezza, persino l'opposizione ad ogni revisionismo. Non vi è paese che in questo momento, anche in conseguenza della sua debolezza interna, sia, in fatto di politica estera, più conservatore dell'URSS.

In queste condizioni di cose, si concepisce come possa bastare un discorso di Rosenberg od un memoriale di Hugenberg a turbare le relazioni russo tedesche, tanto più data la riluttanza se non l'impossibilità di una Germania Hitleriana ad imporsi una scrupolosa quanto meditata remora nel rispetto di tutte, e sono molte, le suscettibilità sovietiche.

Naturalmente, anche questo movimento di intesa franco russa trova dei limiti. Li trova nella forza dei vincoli economici germano russi, nel bisogno dell'URSS di non crearsi dei nemici, nella stessa tendenza della Francia ad una intesa con la Germania. Ma entro questi limiti, esso costituisce un fatto, anzi, una realtà politica, dalla quale ormai è vano prescindere nell'apprezzamento e nella condotta della politica europea.

(l) Mussolini telegrafò a Colonna il 10 luglio (t. 1408/123 r.) quanto segue: «Dica a Gombos che apprezzo quanto è stato detto ad Ankara in seguito al cosiddetto patto orientale. Prossima visita ministro esteri turco mi permetterà di dirgli qualcosa di simile ».

959

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. 1407/122 R. Roma, 10 luglio 1933, ore 1,30.

II 18 dicembre u.s. fu rinnovato il patto di amicizia e collaborazione cordiale tra l'Italia e la Romania. Tale proroga scade il 18 luglio corrente. Go

verno romeno ha fatto conoscere che è desideroso rinnovare proroga avvertendo che essa non è di competenza degli altri due membri della Piccola Intesa e che il loro avviso non è quindi necessario e non sarà domandato. In occasione precedenti proroghe codesto Governo ha mostrato rendersi conto utilità anche per Ungheria di non lasciar cadere il «Patto esistente» e di procedere invece alla sua proroga. Non ritengo che oggi il giudizio da apportare sulla proroga del Patto sia diverso da quello delle volte precedenti nonostante l'atteggiamento del signor Titulescu a proposito di Hirtenberg e del patto a quattro e nonostante il rafforzamento (più teorico che reale) dei vincoli che legano fra loro gli Stati della Piccola Intesa. Nel frattempo si è infatti giunti alla conclusione del Patto a quattro, e il rifiuto italiano di prorogare il patto italo-romeno potrebbe prestarsi ad una interpretazione nel senso che l'Italia invece di procedere per la via di una politica di intesa e di collaborazione, com'è nella lettera e nello spirito del patto, mostra piuttosto di volere eliminare i legami sia pure solo apparenti verso uno degli Stati della Piccola Intesa. Non solo ma per le possibilità che il patto a quattro apre nei riguardi dell'Italia e dell'Ungheria un'atmosfera di fiducia e di tranquillità a cui evidentemente la mancata proroga non contribuirebbe, anzi agirebbe in senso

contrario.

È inoltre da tener presente che il rinnovo potrà sempre addursi come riprova del non ricevimento da parte nostra della pretesa unità diplomatica della Piccola Intesa.

Comunque, innanzi di rispondere alla richiesta del Governo romeno di rinnovare il patto esistente, mi tornerebbe gradito sapere che anche codesto Governo concorda nel mio giudizio.

Il patto sarebbe prorogato per altri sei mesi.

Prego telegrafarmi colla maggiore sollecitudine (1).

(l) Non rinvenuto.

960

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. PER CORRIERE 1410 R. Roma, 10 luglio 1933, ore 11.

Ho letto col più vivo interesse suo colloquio con Hitler (2). Gli dica che considero due avvenimenti di questi ultimi giorni particolarmente felici per il terzo Reich e cioè la siglatura del Concordato con la Santa Sede e il discorso da lui pronunciato ai luogotenenti del Reich, discorso che ha già avuto un'ottima stampa nel mondo anglosassone. Gli ripeta che egli deve per qualche tempo fare soltanto politica interna e fare quella estera attraverso il patto a quattro (3).

(-2) Cfr. n. 942.
(l) -Cfr. n. 971. (3) -Minuta autografa d! Mussolini.
961

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. s. 3071/276 R. Vienna, 10 luglio 1933, ore 22 (per. ore 5,30 dell'11).

Colloquio Dollfuss-Gombos.

Potrò vedere cancelliere soltanto domani.

Intanto sono in grado segnalare a V. E. che favorevoli risultati colloquio sono in certa guisa «adombrati» dalle gravi circostanze seguenti:

l) Cancelliere austriaco e Ballplatz avevano stabilito cogliere occasione colloquio con Gombos per convenire con lui una precisa ed esauriente risposta comune alla parte delle recenti lettere di V. E. che contempla politica comune fra Vienna e Budapest (l).

2) Cancelliere austriaco e Ballplatz avevano redatto caloroso telegramma in italiano da essere inviato a V. E. dai due Capi di Governo alla fine del convegno come chiara prova della loro solidarietà sotto auspici di V. E. In questo momento ho appreso che non è stata convenuta predetta risposta comune giacché Governo ungherese si è affrettato rispondere a V. E. fin dal venerdi sera e che per quanto riguarda telegramma di saluto, segretario di Gombos ha fatto cadere proposta prima che cancelliere potesse ufficialmente presentarla.

Due personalità mie amiche della Ballplatz mi hanno confidato personale impressione che entrambe predette circostanze potrebbero far dedurre non solo che ministro degli affari esteri ungherese trovavasi tuttora sotto fascino nazismo, ma che riesce tuttora attenuare buona intenzione GombOs. Impressione è rafforzata da altre notizie che comunicherò per corriere.

Intanto de Kanya si renderà Fiuggi per una cura di tre settimane e GombOs si propone andare allora visitarlo in Italia.

962

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, E L'AMBASCIATORE DELL'URSS A ROMA, POTEMKIN

APPUNTO. Roma, 10 luglio 1933.

D'importante mi dice:

l) Ho riferito esattamente e coscienziosamente al mio governo quanto mi avete detto e torno con delle buone notizie, cioè con uno schema di accordo politico, per il quale Kalinin mi ha già fornito di pieni poteri.

2) I patti che i Soviet hanno firmato in questi giorni, furono oggetto di discussione cinque mesi fa e sono la realizzazione del piano Kellog. Posso dirvi che essi non sono aucunement la risposta al patto a quattro.

3) È Tewfik Ruschdy bey che ha messo in contatto Benes con Litvinov per quanto concerne la Piccola Intesa.

4) Siamo preoccupati della Germania. Rosenberg ha preso contatto con emissari del Giappone.

5) La Francia ha dato una sua interpretazione al patto multilaterale di questi giorni. È assurda. D'altra parte la Russia non intende passare per Parigi, né dimentica che Poncet ha proposto a Berlino un accordo di carattere militare. Perciò il patto di cui vi parlo gioverebbe a mettere le cose a posto.

Gli domando se è esatta la interpretazione rumena che i Soviet hanno rinunciato alla Bessarabia e Potemkin mi risponde: «Aucunement ». Durante tutto il negoziato giammai fu pronunciato il nome di Bessarabia.

Il Potemkin mi consegna quindi Io schema del patto. Dopo Iettalo gli dichiaro che, salvo ulteriore esame, lo trovo nel complesso accettabile. Gli aggiungo che è mia convinzione che la Germania non insisterà nella sua tendenza anti-russa, la quale è piuttosto di alcuni circoli del Partito e non delI'« Auswartiges Amt ». II Potemkin mi dice che una conclusione immediata o quasi del negoziato italo-russo avrebbe effetti chiarificatori e benefici. Io rispondo che la cosa è possibile. Poiché il Potemkin insiste sull'immediatezza, io gli propongo di diramare un comunicato presso a poco così:

«II Capo del Governo ha ricevuto Potemkin, tornato da Mosca ed ha conferito con lui su problemi di ordine politico».

Il Potemkin mi sembra contento, anzi commosso di questa opportunità. Prima di congedarsi mi fa l'elogio della flotta italiana e mi dice che una commissione sovietica russa è in Italia per fare delle commandes.

(l) Cfr. n. 923 e nota l, p. 961.

963

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, GRAHAM

APPUNTO. Roma, 10 luglio 1933.

Sir Ronald Graham è venuto a trovarmi per chiedermi del Patto a quattro. L'ho messo al corrente dell'odierna situazione; Sir Ronald è anche d'avviso che conviene che la firma sia fatta dagli Ambasciatori; non è abbastanza preparato un incontro dei Ministri degli Esteri. Egli chiederà i pieni poteri che spera di ottenere per venerdì. Se non ci sono altre difficoltà si potrebbe firmare sabato. Ho detto a Sir Ronald che forse converrà che l'Inghilterra faccia un passo a Parigi per sollecitare la firma; mi ha detto che il passo è stato fatto proprio in questi giorni a mezzo dell'Incaricato d'Affari Campbell il quale ha avuto l'impressione che Daladier non faccia nessuna difficoltà, che siano invece Boncour e il Quai d'Orsay che chiedono una conversazione preventiva. Comunque l'impressione è che non ci siano serie difficoltà per la firma anche immediata. L'Ambasciatore Graham mi assicura che l'Inghilterra sarà pronta a ripetere il passo a Parigi in qualunque momento noi lo desiderassimo.

Mette in evidenza anche l'atteggiamento particolarmente favorevole dell'Inghilterra in questo ultimo periodo come risulta dalle dichiarazioni di Simon e di Drummond; d'altronde è evidente che in seguito agli insuccessi delle riunioni internazionali, il Patto a quattro acquista sempre maggiore importanza.

Mi dice poi di avere l'incarico dal Foreign Office di sentire la nostra idea in merito a un atteggiamento da assumere nel caso di una incursione di Nazi in Austria. Ha avuto luogo in proposito anche una conversazione fra Parigi e Londra. Sarebbe idea dei due detti Governi nel caso che avvenisse tale incursione che Italia, Inghilterra e Francia, portassero la questione alla Società delle Nazioni o nella riunione del Patto a quattro. La questione potrebbe essere sollevata sia in base al Covenant, sia in base all'articolo 80 del Trattato di Versailles. Vorrebbe ora sentire quale sia l'opinione dell'Italia al riguardo. Gli rispondo che la cosa va esaminata con attenzione, per cui mi riservo di dargli una risposta; gli faccio presente ad ogni modo, come mia impressione personale, che l'Italia ha una posizione speciale essendo delle tre Potenze sopra indicate l'unica che confina con l'Austria: non è escluso che domani nel caso di una incursione Nazi ci possano essere dei movimenti sulle altre frontiere.

È evidente l'interesse che l'Italia abbia le mani completamente libere nell'interesse del mantenimento dell'indipendenza austriaca; la procedura davanti alla Società delle Nazioni è lunga e pesante mentre si possono richiedere dei provvedimenti rapidi. L'intervento della Società delle Nazioni a favore della Cina non è un buon precedente.

L'Ambasciatore Graham si rende conto di queste ragioni, trova tuttavia che un passo collettivo nel senso sopra indicato non limiterebbe per nulla la libertà d'azione dell'Italia.

Mi chiede poi se sono esatte le voci riportate dalla stampa tedesca delle trattative per un accordo itala-sovietico.

Gli rispondo che la voce è prematura; l'idea di un accordo itala-sovietico è stata sempre una possibilità tenuta presente dai due Paesi -del resto già il trattato di commercio ha delle clausole di carattere politico. -Dopo la rinnovazione dell'accordo commerciale la cosa si è presentata con nuovo carattere di attualità. Fino ad ora però non c'è nulla di concreto.

A proposito della Conferenza Economica, Sir Ronald mi dice che l'impressione sulla Delegazione americana è disastrosa. I membri della Delegazione non fanno che litigare fra loro e poi arriva come una bomba qualche messaggio di Roosevelt che sconfessa tutto in una volta. Evidentemente il Presidente della Confederazione ha modificato completamente le idee che aveva espresso a MacDonald nei colloqui di Washington.

964

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (l)

APPUNTO. Roma, 10 luglio 1933.

Venuti a parlare dei due recenti patti firmati dalla Turchia, gli ho detto che la mia personale opinione era che Tewfik non avrebbe dovuto ridursi agli ultimissimi giorni delle trattative per darci notizia della imminente firma di un patto di tale importanza, la cui idea informativa doveva evidentemente rimontare alle discussioni della Conferenza del Disarmo sulla proposta Politis per la definizione dell'aggressore, allorché la Turchia aveva potuto prender atto dell'atteggiamento di netta opposizione assunta dall'Italia di fronte a tale proposta. Tanto più che in quella occasione Tewfik aveva potuto, nel corso di numerosi colloqui avuti con me, avere le più ampie spiegazioni sulle ragioni di questa nostra opposizione e successivamente aveva ottenuto da V. E. anche tutti quegli affidamenti di tempestiva consultazione nei riguardi di ogni atto politico di comune interesse, che egli aveva sollecitato ritenendoli necessari al consolidamento delle relazioni fra i nostri due paesi. Le ultime fasi delle trattative del Patto avevano dimostrato quanto scrupolosamente noi avevamo tenuto fede a questa nostra promessa.

Passando a discutere del contenuto, ho continuato dicendo che, se pure riuscivo a comprendere le ragioni che potevano aver spinto la Turchia, stato limitrofo della Russia, ad associarsi alla proposta Litvinov, incomprensibile mi riusciva il segreto mantenuto da Tewfik verso di noi fino quasi al giorno della firma, specialmente in un momento politico come questo nel quale Tewfik, dati gli stretti rapporti intercorrenti fra Ankara e Mosca, non poteva ignoil'are che erano in corso approcci fra Roma e Mosca per studiare la possibilità di qualche accordo che servisse a stringere maggiormente le relazioni fra l'Italia e i Sovieti.

Vassif bey ha convenuto sulle ragioni che possono aver spinto la Turchia alla firma e ha convenuto pure sull'inopportunità del segreto mantenuto dal Gabinetto di Ankara con noi.

Relativamente al secondo accordo con la Piccola Intesa, ho detto poi a Vassif che, al contrario dell'altro, per questo mi sfuggivano anche le ragioni che potevano avere indotto Tewfik a concluderlo. Un tale accordo appariva così poco consono allo spirito della intesa italo-turca che la Grecia si era astenuta dal parteciparvi. La firma di questo secondo accordo, avvenuta immediatamente dopo la firma del primo, poteva giustificare la supposizione di un cambiamento nelle direttive della politica turca che, a mio avviso, sarebbe stato opportuno evitare.

Vassif bey, a titolo strettamente confidenziale, mi ha detto di condividere il mio avviso e di non scorgere altri motivi se non di carattere personale nella decisione di Tewfik di procedere alla firma di questo secondo accordo

che si allontanava dalle grandi linee della politica turca tradizionale. Ha detto che domattina, vedendo Tewfik, gli esporrà questa sua opinione e si lamenterà che in questa occasione egli non abbia creduto opportuno consultare in precedenza i vari Ambasciatori per essere messo al corrente delle probabili ripercussioni di un tale passo.

Dal complesso della conversazione ho tratto l'impressione che Vassif, pur cercando qua e là di abbozzare una formale difesa dell'operato del suo Capo, giudichi sostanzialmente intempestivo il primo accordo di non aggressione e inopportuno il secondo accordo con la Piccola Intesa (l).

(l) L'appunto si riferisce ad un colloquio con il ministro di Turchia.

965

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 2418/827. Londra, 10 luglio 1933.

Con i miei telegrammi nn. 655, 569 e 576 (2) ho avuto già occasione di informare l'E. V. della firma delle «Convenzioni per La definizione dell'aggressione», che Litvinov mi aveva a suo tempo preannunziate, e che sono state testé concluse a Londra, tra la U.R.S.S. da una parte e vari altri Stati dall'altra.

Trasmetto qui acclusi i testi di tali convenzioni (3). Esse sono tre: della prima sono parti l'Afganistan, l'Estonia, la Lettonia, la Persia, la Polonia, la Romania, la Turchia e l'U.R.S.S.; delLa seconda sono parti la Romania, la Cecoslovacchia, la Turchia, l'U.R.S.S. e la Jugoslavia, e della terza sono parti solamente la Lituania e l'U.R.S.S.

I tre atti sono identici nella sostanza e nella forma: tutti e tre fissano le regole per la definizione dell'aggressione, sulla base del rapporto Politis del 24 maggio 1933, e pongono il principio che nessuna considerazione d'ordine politico o militare o economico può serviil'e di scusa o di giustificazione per l'aggressore. La differenza che esiste fra la prima convenzione e la seconda è solo che la prima è una convenzione chiusa e limitata agli Stati firmatari, mentre la seconda è aperta all'adesione di tutti. Quanto alla terza, essa è in tutto identica alla prima.

Come V. E. vedrà le convenzioni sono seguite da un annesso nel quale si forniscono alcune indicazioni concrete che servono, in base all'art. 2 della Convenzione, alla determinazione dell'aggressore. Quest'annesso stabilisce che un atto di aggressione non può essere giustificato né dalla situazione interna

1013 che venga a determinarsi in uno stato (rivoluzioni, contro-rivoluzioni, guerra civile, ecc.) né dalla sua condotta internazionale (violazione dei diritti di uno stato, boicottaggio, incidenti di frontiera, ecc.). È evidente che chi lo ha redatto ha tenuto presente il conflitto cino-giapponese e gli argomenti che i giapponesi ebbero a portare alla Società delle Nazioni per giustificare la loro azione in Manciuria.

Secondo le informazioni raccolte, e secondo quanto del resto io avevo inteso nel mio colloquio con Litvinov (v. mio telegramma n. 542) (l) Litvinov aveva in origine l'intenzione di concludere una convenzione unica, della quale gli Stati confinanti dell'U.R.S.S. e la Piccola Intesa sarebbero stati i primi firmatari, ma che sarebbe stata aperta alla adesione di tutti i paesi. Senonché a tale modo di procedere si oppose la Polonia. Secondo il governo polacco una convenzione universale, sul tipo del Patto Kellog, sarebbe stata priva di qualunque significato politico, o per lo meno, priva di quel particolare significato politico che avrebbe avuto un patto regionale, dal quale fosse risultata l'intenzione dei firmatari di costituire un elemento di stabilizzazione politica nell'Oriente Europeo.

Il Governo polacco teneva sopratutto a che il Patto comprendesse l'U.R.S.S. e la Romania e questo si intende facilmente quando si considerano gli sforzi fatti, in questi ultimi tempi, dal Governo polacco per favorire un riavvicinamento russo-romeno. Poiché d'altra parte il Governo Romeno non voleva concludere un trattato indipendentemente dalla Piccola Intesa, e il Governo sovietico voleva mantenere il principio della universalità, fu dovuto escogitare il sistema delle due convenzioni identiche, delle quali, come ho detto più sopra, una aperta a tutti i paesi, e l'altra limitata ai soli stati confinanti dell'U.R.S.S. (Allegato 2). A questa seconda convenzione avrebbe dovuto partecipare la Finlandia, ma il Governo finlandese, poiché sono in corso le elezioni politiche, non ha creduto di poter contrarre, al momento, degli impegni internazionali. È rimasto tuttavia inteso che la Finlandia sarà invitata ad aderire.

Quanto alla Lituazia, essa ha giudicato che la sua partecipazione ad una convenzione della quale aveva fatto parte la Polonia avrebbe potuto pregiudicare i suoi diritti su Vilno. Essa ha perciò concluso con l'U.R.S.S. una convenzione bilaterale chiusa. (All. 3).

Non si può dire che questo complicato sistema di tre convenzioni identiche costituisca un quadro logico delle obbligazioni che gli Stati firmatari hanno reciprocamente assunte. Litvinov voleva, come ho già detto, una convenzione universale, e che tale dovrebbe esser lo scopo ultimo delle convenzioni concluse è esplicitamente riconosciuto nel loro preambolo. Il sistema adottato non corrisponde neppure interamente alle condizioni geografiche degli stati contraenti: la Polonia, per esempio, ha contratto degli impegni di nessun valore pratico con gli stati asiatici lontani, come l'Afganistan e la Persia, e non ne ha contratto alcuno com uno stato confinante come la Cecoslovacchia. Anche dal punto di vista politico vi sono delle incongruenze: la Romania ha dovuto partecipare alla convenzione aperta per non potersi staccare dagli altri Stati della Piccola Intesa, mentre la Polonia, per mantenere alla convenzione chiusa il carattere

1014 di un accordo regionale, ha dovuto rinunciare a un patto comune con la Piccola Intesa. Nelle dichiarazioni qui fatte alla stampa Litvinov ha molto insistito sul valore giuridico delle convenzioni per quello che riguarda la soluzione del problema della sicurezza, Titulescu e Raczinski invece hanno cercato di mettere in rilievo il loro valore politico, presentando le convenzioni stesse come essenzialmente dirette alla stabilizzazione territoriale e politica dell'Europa orientale. Devo aggiungere che nel complesso 1 Polacchi considerano la conclusione delle convenzioni come un loro successo diplomatico. Essi ritengono di aver raggiunto con queste convenzioni i seguenti risultati:

l) impegnare l'U.R.S.S. in una politica di stabilizzazione territoriale, in quanto le convenzioni implicano il rispetto per lo statuto territoriale dei contraenti;

2) riavvicinare l'U.R.S.S. e la Romania superando per ora la questione della Bessarabia, con una formula generale di rispetto dello statuto territoriale dei paesi contraenti;

3) stabilire um. contatto tra l'U.R.S.S. e la Piccola Intesa, contatto reso possibile dal riavvicinamento russo-romeno e che del resto Litvinov ha egli stesso in quest'ultimo tempo cercato (v. mio telegramma n. 542).

Negli ambienti inglesi la conclusione delle tre convenzioni -per quello che riguarda il loro contenuto tecnico -:non ha suscitato che un mediocre interesse. L'atteggiamento dell'U.S.S.S. e degli altri Stati firmatari di fronte al problema della definizione dell'aggressore era già noto. Solo la stampa liberale -che è stata sempre in favore della soluzione progettata nel rapporto Politis -ha messo in rilievo il progresso che le convenzioni rappresenterebbero nel campo della sicurezza. Per il resto l'opinione pubblica inglese è sembrata più che per altro indifferente. Il punto di vista del Governo britannico sul problema della def~nizione dell'aggressore è noto: l'Inghilterra non intende assumere ulteriori responsabilità internazionali, e non è quindi disposta a rafforzare per suo conto il sistema giuridico della sicurezza, ma non ha nessuna difficoltà a che altri stati assumano per loro conto quegli impegni che essa crede di non poter contrarre. Sir John Simon, nel suo discorso alla Camera dei Comuni il 26 maggio u.s. (v. mio telegramma n. 448) (l) ha ancora una volta messo bene in chiaro questo punto di vista. Esprimendosi in senso contrario alla definizione dell'aggressore egli ha ancora chiarito che egli intendeva distinguere il problema della sicurezza continentale dal problema della partecipazione inglese a,i sistemi che questa sicurezza devono garantire. Per quanto dunque le convenzioni rappresentino un ordine di idee che l'Inghilterra per suo conto non divide, l'Inghilterra considera che le convenzioni sono, quanto al loro contenuto giuridico, fuori del campo dei suoi interessi.

Dal punto di vista politico, certo l'Inghilterra non poteva considerarle che con favore. Quale che sia la loro portata pratica, esse sono apparse agli Inglesi soprattutto come un nuovo indice dell'allentamento dei rapporti russotedeschi, una nuova prova che la solidarietà politica russo-tedesca costituita

nel 1922 col Trattato di Rapallo e che non ha mai mancato di preoccupare l'Inghilterra si è andata in questi ultimi tempi indebolendo. Le convenzioni, si osserva, sono evd.dentemente costruite sopra un principio generale di stabiHzzazione dello statu qua territoriale. Questo principio -secondo il Governo inglese implica la rinuncia da parte dell'U.R.S.S. ad appoggiar le rivendicaZii.oni espansioniste della Germania. Ma vi è di più. Il par. 5 dell'art. 2 della Convenzioni classifica fra gli atti di aggressione anche le incursioni oltre i confini da parte di bande armate. Esso costituisce una misura di prevenzione contro ogni turbamento nelle frontiere, e si presta ad essere interpretato come specificatamente diretto a prevenire la possibilità di colpi di mano da pa,rte di formazioni tedesche sui confini della Germania. Questa è infatti la inte~rpretazione che vi ha dato il Times: «I metodi dei Nazi tedeschi -esso ha scritto hanno suggerito la possibilità che un Governo il quale non voglia agire apertamente contro un altro Stato possa, senza assumere la responsabilità, d.ncoraggiare e sostenere delle bande armate, che operino sulle frontie~re. Questo pericolo è coperto dai termini del nuovo patto. Non vi è dubbio che i due paesi contro i quali queste precauzioni sono state adottate sono in primo luogo il Giappone e la Germania».

Come ho già avuto occasione di informare l'E. V. l'opinione pubblica inglese è stata in questi ultimi tempi, in seguito all'atteggiamento assunto dai Nazi rispetto all'Austria e alla recente tensione austro-tedesca, sensibile alla ipotesi di un colpo di mano da parte dei Nazi. Non è dunque da stupirsi se queste stipulazionri siano state considerate in Inghilterra con non dissimulato favore.

(l) -Con t. 3058/484 R. dcll'8 luglio, Pignatti aveva riferito circa un colloquio fra Tewfik Ruschdi bey e il consigliere dell'ambasciata d'Italia a Parigi, Fransoni, nel corso del quale il ministro degli Esteri turco aveva affermato che era ormai certa l'adesione di Persia e Afghanistan alla dichiarazione relativa alla definizione dell'aggressore e aveva esposto un proprio progetto secondo il quale Turchia e Grecia avrebbero dovuto prendere l'iniziativa di una dichiarazione simile a quella firmata a Londra per riunire gli Stati del Mediterraneo orientale: Turchia, Grecia, Jugoslavia, Italia e Francia. (2) -T. 2956/566 R. del 4 luglio, t. 2974/569 R. del 5 luglio e t. 2998/576 R. del 6 luglio, non pubblicati. (3) -Non si pubblicano.

(l) T. 2852/542 R. del 27 giugno, non pubblicato.

(l) T. 2341/448 R. del 27 maggio, ore 11,43, non pubblicato.

966

IL MINISTRO A VIENNA PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. R. 2839/1493. Vienna, 10 luglio 1933 (per. il 25).

Nelle ultime due settimane sono venuti affiorando molteplici movimenti, quasi in volontà di concorrenza con quello del «Fronte Patriottico». Essi obbediscono alla mal celata tendenza di ciascun partito a contrapporre al «Fronte Patriottico», considerato come un diretto esponente dei cristiano-sociali, altri propri autonomi movimenti, sulla vantata base del riconoscimento definitivo

o solo temporaneo dell'indipendenza dello Stato.

Questi movimenti, sebbene appena delineati in forma imprecisa e vaga, possono essere, a mio avviso, così rappresentati a V. E.

l) Movimento del partito pangermanista: Fa esso capo al deputato Foppa, il quale, qualche giorno fa, ha lanciato ai suoi aderenti un proclama in cui si dichiara fautore di un'Austria tedesca capace di decidere liberamente della propria sorte; annuncia la sua volontà di lottare, tanto per il ripristino dei diritti costituzionali, quanto per il raggiungimento di normali relazioni tra i due Stati tedeschi; ed afferma che la mèta ideale da raggiungersi in un non lontano avvenire resta pur sempre l'unione di tutti tedeschi sotto il motto: «Un popolo, un Reich ».

2) Movimento «nazionale». La sua paternità non è ancora certa: ma essa deve comunque ricercarsi fra il Signor Neubacher, presidente del « Volksbund » e finora rigido assertore dell'« Anschluss » a qualunque costo; il Signor Tilgener, vice-presidente della Camera di Commercio di Vienna; ed il generale Bardoff, ex aiutante di campo dell'arciduca Francesco Ferdinando. Esso si è palesato in qualche breve e vago articolo di giornale, spwadicamente, ed il suo concetto informatore è che se il «Fronte Patriottico » del Signor Dollfuss è valso a radunare circa un milione di aderenti, non è men vero che il nazional-socialismo hitleriano è valso a ridestare in Austria il pensiero «nazionale», ossia il pensiero dell'unità della razza germanica. E poiché si assume che questo pensiero può ben coesistere con quello dello Stato austriaco, il movimento proponesi di riunire in uno speciale organismo politico tutti quegli «elementi nazionali» che, pur avendo come ideale la riunione di tutti i tedeschi, non appena la situazione internazionale e l'eventuale revisione dei trattati di pace saranno per consentirlo, si dichiarano intanto pronti a riconoscere allo Stato austriaco e ad aderire all'attuale governo. Il movimento intende altresì farsi mezzo di una eventuale riconciliazione fra la Germania e l'Austria e tramite della pacificazione politica interna, a condizione però che l'attuale governo austriaco offra sicure garanzie di non alienare in alcuna guisa, verso Potenze estere, la libertà e l'indipendenza del Paese, lasciando così l1ibera d'ogni impedimento la desiderata futura unione dell'Austria al Reich.

3) Movimento del «Landbund » e dello «Stadtbund »: da qualche tempo il « Landbund » si è unito allo « Stadtbund », una grama organizzazione, che si propone di agire sulle masse delle città nello stesso spirito e con gli stessi principi che il movimento parallelo nelle campagne. L'unione fu voluta dal Winkler, nella speranza di accrescere il suo personale prestigio; ed attualmente egli vorrebbe mettere le due organizzazioni ancora a servizio delle sue fortune politiche, dando loro un contenuto ed un'azione di propaganda corporativista. Il movimento si chiama già « Nationalstandisches-Front »; un nome ridondante «Fronte nazionale corporativista», che potrebbe 'essere destinato a fare un cammino superiore a quello che le attuali forze del partito agrario, e l'impopolarità del suo discusso capo, farebbero lolgicamente prevedere.

Ciò premesso, e nelle more dello statuto che il signor Dollfuss, coadiuvato dallo Starhemberg, stanno per dare al «Fronte Patriottico», al quale, giusta le mie ultime informazioni, non avrebbero ancora aderito né le Heimwehren (mio telegramma per corriere n. 122) Cl), né il «Landbund » -ho creduto opportuno intrattenermi col Cancelliere su tutte le su accennate questioni, indugiando in pari tempo ancora una volta sulle voci non ancora cessate di possibile non lontana convocazione dei comizi elettorali.

69 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XIII

In succinto, il signor Dollfuss, mi ha detto:

l) che egli attende, con lenta meditazione, alla questione della riforma costituzionale, e mi ha ripetuto in proposito quanto ebbe a dirmi fin dal 7 giugno scorso (mio telegramma per corriere n. 94) (1), e cioè che di essa potrà cominciarsi a parlare solo in autunno.

D'altra fonte, al riguardo stesso, sono informato che si vorrebbe intanto formare una speciale commissione per gli studi inerenti a tale riforma. La Commissione, che dovrebbe esser composta da funzionari e da studiosi apolitic,i, sarebbe presieduta dall'ex-Cancelliere Ender, un cristiano-sociale invasato da idee ultra democratiche, ma passato ultimamente a concezioni fasciste.

2) Che il surriferito movimento dei pangermanisti e quello cosidetto «nazionale», quali che siano le loro reali possibilità e la loro importanza, son sempre movimenti destinati intanto a «dividere» e a «diminuire» il nazionalsocialismo. E poiché il principale compito demattuale governo è proprio quello di attenuare, quanto più possibile, il perioolo nazista, egli -Dollfuss -non può che compiacersi di tendenze che si appalesino in siffatta direzione, il fine suindicato essendo, nell'ora attuale, il solo essenziale.

3) Che egli ritiene che il «Landbund » potrà svolgere opera utile nella diffusione, fra le masse, dei principi corporativistici: opera di propaganda, che egli cons,idera necessaria per l'instaurazione del sistema, cui va intanto attendendo, anche con discrete misure legislative, come quelle che si propongono di regolare l'esportazione mercé la previa costituzione di appositi sindacati per ciascuna industriJa.

A tale riguardo, ho avuto modo di constatare come H Cancelliere abbia modificato i primi suoi azzardati propositi (mio telegramma per corriere n. 87 del 25 Maggio u.s.) (2). In allora, egli infatti propendeva ad affidare al «Landbund » la stessa riforma corporativa: in oggt, mi ha formalmente dichiarato che tale riforma egli esige resti esclusivamente nelle sue mani.

4) Circa il «Fronte Patriottico», e sopmtutto circa la mia rinnovata esortazione che in detto fronte debbano trasfondersi tutti i partiti della sua magg,ioranza, il Cancelliere mi ha chiarito lungamente il suon concetto. In succinto, egli vuol dare, in un primo tempo, al predetto Fronte una funzione morale; quella di raccogliere in una larga assise apolitica tutti quegli elementi che antepongono il pensiero della Patria ad ogni altra considerazione di parte. Per così d1re «un fronte di salute pubblica», in cui ogni membro, per il solo fatto di appartenervi, accetti di perdere ogni speciale sua individualità politica e partigiana. Al riguardo, il Cancelliere mi ha fatto rilevare (e mi ha confermato così quanto ebbe a dirmi il Principe Starhemberg -mio telegramma per corriere 122) le grandi difficoltà da cui sarebbe sopraffatto se volesse in oggi disperdere i singoli partiti ed infrangere d'un colpo tutto l'intricato meccanismo di persone e di interessi, su cui ciascuno di essi partiti riposa. Comunque il Cancelliere ha aggiunto, dando alle sue parole un senso di assoluta

riservatezza, che alla trasfusione del partito nel «Fronte Patriottico», e cioè alla fine degli attuali partiti, si giungerà. naturalmente, all'insaputa forse degli stessi movimenti interessati, con il naturale sviluppo del «Fronte Patriottico», affiancato dalla riforma costituzionale e da quella corporativa. « Pel momento -ha concluso -à.o attendo con grande attenzione all'organizzazione del 'Fronte': e vi assicuro che non è lieve fatica».

5) Circa la socialdemocrazia, il Cancelliere mi ha ripetuto che egli non la perde di vista, e che ha anche ben presenti tutte le mie amichevoli segnalazioni (fra l'altro, mio telegramma per corriere n. 117) (1), ma ch'io dovevo esser sicuro che egli possiede tale e tanta documentazione su ciascuno dei «leaders » rossi, che gli sarà sempre facile, in men che si pensi, di disperderla a suo grado.

(l) Cfr. n. 941.

(l) -T. per corriere 2581/94 R. del 7 giugno, non pubblicato. (2) -Cfr. n. 691.
967

IL DELEGATO AGGIUNTO ALLA CONFERENZA DEL DISARMO, SORAGNA, AL CAPO GABINETTO, ALOISI (2)

PROMEMORIA. Ginevra, 10 luglio 1933.

È ormai chiani.to dalle firme recenti dei Trattati Orientali che la rimessa in funzione del Comitato di Sicurezza della Conferenza del Disarmo, nella scorsa primavera, è da considerarsi come preparazione dei Trattati stessi. La ripresa del Comitato segue, quasi immediatamente, l'annunzio della proposta Mussolini per il Patto a Quattro ed i principali attori, sono le Nazioni che più direttamente si sono credute colpite dal nuovo orientamento della politica Europea: la Russia, la Polonia, e la Turchia. La Francia, in seno al Comitato di sicurezza, ha mirato sopratutto al suo progetto di mutua assistenza europea. Ma la Russia, che prima presentò le formule riguardanti l'aggressore, converse i suoi sforzi su questo punto speciale con l'aiuto indefesso del delegato turco e con quello, non meno zelante, del polacco.

Dati i rapporti intimi dntercedenti fra Turchia e Soviets fin da anni, rapporti che si erano già confermati in pieno durante la Conferenza del Disarmo, la collaborazione intima del delegato turco al lavorio sovietico per la definizione dell'aggressore, non era di natura da stupire. Ma, per il polacco, essa ha sottolineato veramente l'inizio di una poHtica nuova, di una intimità di rapporti non prima esistita. Contemporaneamente, tale intimità si manifestava in una cordiaLità più marcata in seno alla Commissione Generale, e nei corridoi della Conferenza: mentre si delineava il distacco della Russia dalla Germania, e anche da noi. La Francia, a mia impressione, ha semplicemente facilitato e favorito.

Riandando ora agli avvenimenti, non posso non esprimere la mia persuasione che l'ridea del Patto orientale sia stata gettata da Litvinov e da Douga

levski, con la Polonia e con la Turchia e con Titulescu, fin da allora. Il contegno di Tewfik Ruschdi in Conferenza, quando era presente, mi conferma tale impressione. Non ho dati precisi: ma l'impressione è netta.

Riassumendo: al meno fin dal primo annuncio della proposta del Patto a quattro, Litvinov e Ruschdi bey prepararono il Patto di non aggressione con la definizione dell'aggressore, e lo elaborarono in sede del Comitato di sicurezza. Né è da escludere che tali :intese risalgano anche a data anteriore, cioè all'inverno, quando Litvinov presentò la prima volta in Commissione Generale un progetto di definizione dell'aggressore. Ripeto però che la collaborazione turca, in senso veramente fattivo, comincia più tardi, subito dopo il viaggio di MacDonald a Roma. In quel momento il Signor Litvinov, con colpo da maestro, deve aver fatto suo pro della contrarietà turca, nonché della posizione assunta dalla Polonia, per trarre decisamente Turchia e Polonia ai suoi fini.

Strumento ed esecutore del piano è stato il Signor Politis n quale mercé la sua abilità, riuscì a mantenere in vita il Comitato, ad onta della ostilità 1nglese, americana, italiana e tedesca, e mercé la propria duttile abilità, riuscì a far varare formule accettabili dai vari Stati interessati.

Si riconferma così (lo dico fra parentesi) la realtà di quanto ho già fatto presente in due rapporti: l'influenza nefasta per i nostri interessi, che Politis incarna a Ginevra.

(l) -T. per corriere 2969/117 R. del 30 giugno, non pubblicato. (2) -Il documento reca la seguente annotazione: «Appunto richiesto da Barone Alolsi al Ministro Soragna In occasione di un suo colloquio con Ambasciatore di Turchia 10-7-1933 ».
968

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. s. 3072/117 R. Budapest, 11 luglio 1933, ore 17,30 (per. ore 18,30).

Mio telegramma n. 115 (1). Risultati incontro Vienna quali riferltimi testè da presidente Goemboes possono così riassumersi:

1° Ognuno dei due Governi si è impegnato presentire d'ora innanzi l'altro e il Governo italiano (ripeto e il Governo italiano) prima di prendere qualsiasi decisione o iniziativa ,in tutte le questioni politiche interessanti due paesi.

2° Rapporti economici Austria Ungheria saranno approfonditi allargando in misura molto notevole sviluppando per ora trattati vigenti. 3° Austria assicura Ungheria appoggio incondizionato contro Piccola Intesa. Accordi non hanno formato oggetto di tllil atto formale e firmato; punti 1°-2° sono però stati messi a verbale. Il presente telegramma continua col numero di protocollo successivo (2).

(-2) Cfr. n. 970.

969.

IL MINISTRO A SOFIA, CORA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 3093/50 R. Sofia, 11 luglio 1933, ore 18,20 (per. ore 22,45).

Presidente della camera Malinoff nel corso di una lunga conversazione, su cui ho già riferito per quanto riguarda certi argomenti particolari, mi ha comunicato confidenzialmente impressioni riportate dal suo recente viaggio Londra Parigi, impressioni che lo avrebbero indotto modificare radicalmente sue note ddee circa politica estera Bulgaria.

Egli si sarebbe infatti reso conto assoluto isolamento e pericolo continuo ma,ntenere tale linea di condotta, in relazione anche conclusione noti recenti accordi sull'aggressore e mi ha detto che a suo avviso (espresso in rapporto confidenziale al Sovrano ed al presidente del consiglio) è indispensabile esaminare seriamente situazione e con calma prendere una decisione.

Il signor Malinoff ha aggiunto che una grave impressione aveva prodotta 1n questi circoli politici silenzio nei riguardi Bulgaria nel grande discorso pronunciato da V. E. in occasione siglatura Patto a quattro e che di tali impressioni intenderebbe rendersi interprete S. M. il Re Boris in occasione sua prossima venuta m Italia.

Svilupperò in un prossimo rapporto questi concetti ma intanto non volevo tardare comunicare a V. E. nuovo stato d'animo vecchio statista che, pur non essendo al Governo è il capo morale della coalizione governativa ed è il personaggio più ascoltato e rispettato. Tanto più che la stampa bulgaramacedone conduce vivacissima campagna contro il Governo cui rimprovera assenteismo isolamento Bulgaria nel campo internazionale.

Inoltre prossimamente dovrebbe avere luogo una riunione commissione speciale affari esteri composta ex-presidente consiglio dei ministri ed ex-ministro affari esteri per esaminare situazione ed muminare il Governo per le future decisioni.

In previsione eventuali sviluppi situazione in tal senso, sarò grato se V. E. vorrà farmi conoscere se ha istruzioni da impartirmi circa attitudine R. Governo nei riguardi politica estera Bulgaria, in relazione situazione generale.

970.

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3075/118 R. Budapest, 11 luglio 1933, ore 21,25 (per. ore 24).

Mio telegramma odierno 117 (l).

1°) Circa rapporti economici austro-ungheresi presidente Goemboes mi ha specificato che suo Governo è tuttora favorevole a giungere unione doganale,

ma che a questa sarebbe contrario Dollfuss il quale desidererebbe invece sistema larghe preferenze. «II Duce deciderà» mi ha detto, «quando avrà avuto dirette notizie anche dal punto di vista austriaco, come e quanto converrà fare in proposito>>.

2°) Circa legittimismo S. E. Gombos ha tenuto a rilevare avergli Dollfuss dichiarato essere anche esso contrario ogni idea unione personale e restaurazione.

3°) Circa rapporti austro-tedeschi generale mi ha dichiarato avere consigliato Dollfuss adoperarsi per contenerli ed attenuare acuto dissidio esistente.

4°) Circa accenno conferenza europea o medio europea, da lui fatto il 24 giugno (telespresso n. 220659) (l) e ripetuto il 9 corrente nelle dichiara:?;ioni alla stampa estera a Vienna, generale mi ha assicurato infine trattarsi di « mera manovra tattica», destinata calmare apprensioni Piccola Intesa ma a non avere alcun seguito sulla soluzione.

Segue rapporto (2).

(l) -T. 3035/115 R. dell'B luglio, ore 18,30, non pubblicato: riferiva avergli detto il vice ministro degli Esteri ungheresi che Gombos si sarebbe intrattenuto con Dollfuss nel senso delle direttive indicate da Mussolinl.

(l) Cfr. n. 968.

971

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3074/119 R. Budapest, 11 luglio 1933, ore 19,30 (per. ore 20,45).

Mio telegramma 116 (3). Ho intrattenuto stamane presidente Gombos nel senso telegramma di V. E.

n. 122 (4) circa proroga patto italo-romeno. Presidente mi ha risposto condividere giuddzio di V. E.

Ministro affari esteri Kanya cui, di 1intesa con generale Gombos, ho suc-cessivamente fatto analoga comunicazione, mi ha dichiarato che il Governo ungherese si rende conto utilità prospettatagli a mio mezzo dall'E. V. e concorda pertanto opportunità rinnovo.

Dopo avermi manifestato qualche dubbio circa sincerità asserzioni Governo rumeno, secondo cui questo non dovrebbe né vorrebbe domandare in proposito avviso altri componenti Piccola Intesa, ministro degli esteri Kanya ha concluso esprimendo speranza che signor Titulescu, di cui gli sono ben noti i sistemi, non tenti fare apparire proroga quale successo romeno riversandola contro Ungheria.

(-4) Cfr. n. 959.
(l) -Non rinvenuto. (2) -Cfr. n. 974. (3) -T. 3061/116 R. del 10 lugUo. non pubblicato.
972

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3081/278 R. Vienna, 11 luglio 1933, ore 22 (per. ore 5).

Mio telegramma n. 276 (1). Cancelliere non ha esitato a confidarmi intima impressione !asciatagli dalla visita di Gi:imbi:is. Egli l'ha riassunta nella frase: «Io amo e desidero appoggiarmi su di una soJa sedia (Italia); Gi:imbi:is su due (Italia e Germania) ~.

Quindi cancelliere mi ha lasciato comprendere che le sue diffidenze (ed egli non le ha taciute a Gombi:is) si portano sulla persona del signor de Kanya di cui teme un soverchio ascendente sul presidente del consiglio ungherese.

Inoltre cancelliere è alquanto preoccupato dal pensiero che agevolazioni economiche che GombOs ha assicurato d'aver ottenuto a Berlino, più che una eventuale ragione di gratitudine politica dell'Ungheria verso Germania, possano rappresentare il corrispetivo di speciali impegni politici.

Ciò nonostante cancelliere è soddisfatto del suo colloquio e dell'avvenuto chiarimento. E' fiducioso anche neglii effetti di una sincera e lata applicazione del trattato amicizia austro-ungherese; applicazione che egli ha formalmente dichiarato a Gombi:is volere al 100 per 100. E tale concetto, se non vado errato, cancelliere esporrà pure nella risposta che egli va preparando alla parte politica della recente lettera personale invia tagli da V. E. (2).

973

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 3077/279 R. Vienna, 11 luglio 1933, ore 22 (per. ore 5 del 12).

Evidentemente preoccupato del fatto che Gombi:is ha risposto già alla lettera personale di V. E. (mio telegramma n. 276) (1), Dollfuss ha voluto telefonare ieri direttamente a V. E.

Stamane, a mia richiesta di precisare proposte, ha dichiarato sua risposta scritta, sulla quale ha portato «tutta la sua meddtazione ~ sarà pronta alla fine della settimana.

974

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE S. 3119/6609/1179 R. Budapest, 11 luglio 1933 (per. il16).

Onoromi far seguito ai miei odierni telegrammi nn. 117 e 118 (3), di cui allego copia.

Durante conversazione odierna S. E. Gombtis mi ha detto Inoltre quanto segue:

l) Austria. « Dollfuss credeva io intendessi concertare previamente con lui nostre risposte all'ultima lettera S. E. Mussolini. E' rimasto stupito apprendere che avevo preferito quella mia giungesse invece al Duce prima del mio viaggio a Vienna ». Alle mie domande sulla odierna situazione colà ha risposto: «Ho l'impressione che il Governo austriaco sia attualmente deciso e fiducioso. Sua compagine multicolore, però, e, soprattutto, persistente deficienza di contenuto costruttivo -oltreché reaz,ionario -nel suo programma, non sembrano garantirgli ancora appieno -a mio avviso -quel successo definitivo e completo che sarebbe desiderabile. Quanto al nazismo austriaco mi risulta essersene recentemente accentuata la divisione in due correnti: quella degli « anschlussofili », e quella degli « antianschlussofili ».

Questi ultimi mi hanno fatto chiedere da un fiduciario se volevo suggerire a Dollfuss di chiamarli al Governo; per lo stesso tramite ho risposto loro di no».

2) Piccola Intesa. Dopo avermi riferito come l'accordo orale, intercorso con Dollfuss sull'appoggio che l'Austria dovrà prestare all'Ungheria contro la Piccola Intesa, non fosse stato messo a verbale in seguito al timore manifestato dal segretario generale dipartimento esteri austriaco e condiviso dal cancelliere, che notizia potesse in qualche modo e con grave danno trapelarne, S.E. Goemboes mi ha informato che alla vigilia della sua partenza per Vienna, della quale questi rappresentanti di Francia e della Piccola Intesa non erano al corrente, il Ministro di Cecoslovacchia a Budapest era andato a chiedergli «quali fossero in realtà le condizioni che l'Ungheria intendeva porre per una sua cooperazione con la Piccola Intesa». Il signor Kobr aveva tenuto a precisare, in tale occasione, che agiva di sua personale iniziativa: «Cosa», mi ha dichiarato il Presidente, « che non credo affatto ». Gli ho risposto in ogni caso che tali condizioni erano: 1° -parità armamenti, qualitativa e quantitativa, con lo Stato meno armato della Piccola Intesa; 2° -trattamento delle minoranze ungheresi conforme ai trattati; 3° -revisione territoriale, non nel senso dell'integrità, ma dell'indispensabile: Budapest è troppo vicina alla frontiera. Richiesto di precisioni, mi sono limitato a dichiaragli che bastava consultare in proposito la carta etnografica ed orografica della zona. Il signor Kobr ha osservato che, sempre a suo personale parere, poteva forse trovarsi una soluzione ai punti l e 2, purché ciò valesse a liquidare definitivamente la situazione attuale.

Il presidente mi ha detto inoltre che persona di fiducia di questa Legazione di Francia -il consulente legale Dr. Auer, -ungherese -aveva pure chiesto di vederlo. Ricevuto, aveva cercato di lusingare la sua vanità dichiarandogli risultargli che per Parigi egli, Goemboes, aveva costituito una «sorpresa assai gradita», per la «singolarità, l'obbiettività e la saggezza» dimostrate al Governo. Aveva poi ripetuto, all'incirca, la stessa domanda fattagli dal ministro di Cecoslovacchia, ricevendo identica risposta. Successivamente il Dr. Auer aveva fatto pervenire a S. E. Goemboes il seguente messaggio verbale, affidato a lui, Auer, da questo Ministro di Francia: il punto 1° (parità armamenti) era «facile ad ottenere>>: S. E. Goemboes ha commentato: «Fino ad oggi non lo sapevo»; il punto 2° (trattamento minoranze) era pure facile e «naturale>>; del punto 3° (revisione territoriale) il signor De Vienne «si rendeva perfettamente conto», ma lo considerava di difficile relizzazione. Tuttavia, una volta che l'Ungheria fosse entrata in una combinazione danubiana « patrocinata» dalla Francia e dall'Italia, e quando fosse trascorso «il tempo necessario per preparare l'opinione pubblica della Piccola Intesa», «Francia e Italia avrebbero potuto garantire l'esaudimento di tale desiderio».

3°) -Non sono in grado, né è mia competenza, valutare gli attuali propositi del Governo di Par.igi circa tutto l'assetto danubiano, propositi la cui importanza appare qui, del resto, in funzione pressoché esclusiva del peso che l'E. V. intende loro attribuire nel quadro generale delle Sue decisioni.

Ritengo tuttavia poter e dover segnalare a V. E. che, da qualche settimana a questa parte, sembra delinearsi qui, forse più nettamente che altrove, la tendenza francese a costituire o, meglio, a far credere di costituire con l'Italia una largo fronte di direttive simile, se non comuni, in merito all'assetto stesso.

Data la situazione che l'Italia fascista si è fa·tta in Ungheria ormai da anni e che oggi è più ferma che mai, tale tendenza francese appare manifestarsi qui e adesso -nella forma particolare del tentato sfruttamento, senza controprestazioni sul posto, della nostra posizione di privilegio, fondata in primo luogo, sulla fiducia illimitata che il popolo magiaro -nella sua quasi totalità -ripone oggi nella persona di V. E. per la realizzazione delle sue rivendicazioni nazionali.

(l) -Cfr. n. 961. (2) -Cfr. n. 923, nota l, p. 961. (3) -Cfr. nn. 968 e 970.
975

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, E IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TURCO, TEWFIK RUSCHDI BEY (l)

APPUNTO. Roma, 11 luglio 1933.

Il Ministro Tewfik Ruschdi bey dice di voler dare relazione al Capo del Governo degli ultimi avvenimenti svoltisi durarnte la conferenza di Londra.

La delegazione turca è partita per la conferenza con molto scetticismo perché comprendeva che l'America non avrebbe potuto mutare la propria politica monetaria in così breve tempo, e ciò quindi impediva ogni possibilità di seri accordi economici. L'unico valore pratico della conferenza era quello di superare la scadenza del 15 luglio; in ciò la Turchia era disinteressata e quindi si è assunta la parte di comparsa.

Tewfik bey dice però che si sarebbe aspettato un po' più di considerazione per il suo paese che non è stato messo neanche nel Bureau dove ci sono altri paesi di non maggiore importanza della Turchia.

La Turchia deve lagnarsi anche della Germania, che ha dichiarato che la tesi sostenuta dai turchi è «disastrosa »; con tale suo atteggiamento la Germania si aliena anche i popoli che conservano per lei della simpatia.

Durante la conferenza di Ginevra si sono riprese le trattative per regolare le pendenze fra la Russia e la Romania. La Russia è stata spinta a ciò dalle sue preoccupazioni nei riguardi della Germania. La Turchia ha un grande interesse a che le nazioni che sboccano sul Mar Nero vivano in pace: sarebbe difficile per la Turchia mantenersi neutrale in caso di un conflHto fra la Russia e la Romania: ci sarebbe probabilmente qualche tentativo di presa di possesso degli stretti che trascinerebbe la Turchia suo malgrado nel conflitto. Per ciò Tewfik Ruschdi bey si è reso parte diligente per arrivare a un accordo. Egli riteneva che la cosa più semplice fosse un patto di non aggressione diretto fra i Sovieti e la Romania, ma Titulescu ha avuto invece l'idea di fare un accordo di carattere più generale sulla base della definizione dell'aggressore, discussa a Ginevra su proposta dei sovieti.

Litvinov, interpellato da Tewfik bey non aveva naturalmente nessuna contrarietà, né obiezioni sono state sollevate da Mosca, dato che la definizione dell'aggressore era di origine sovietica. Secondo la formula ideata da Titulescu il patto doveva essere esteso ad altri paesi e naturalmente tra i primi si è pensato alla partecipazione della Turchia per i suoi accordi con la Russia.

Tewfik Ruschdy bey non ha avuto da parte sua ·contrarietà, dato che aveva concorso anche lui a compilare la definizione dell'aggressore, posta a base del Patto.

Il Ministro turco, dopo aver fatto l'opera di avvicinamento fra le due parti si è eclissato, !asciandole trattare da sole. Nella sua premura di favorire il Patto, non è stata aliena la considerazione che, dando una certa tranquillità alla Romania nei riguardi della Russia, si indeboliva la Piccola Intesa; difatti secondo lui, Titulescu è il più attivo membro della Piccola Intesa ed è quello che maggiormente ha cercato di fonderla e di rinforzarla per avere la solidarietà anche degli altri due paesi contro la Russia. Deve dire che Titulescu in tale occasione gli ha ripetutamente dichiarato che egli intendeva fare una politica italofila e che il presente Patto rientrava secondo lui nelle linee di tale politica.

Al primo Patto si è voluto dare il carattere di un Patto regionale fra i paesi confinanti con la Russia. Sono stati lasciati fuori gli Stati dell'Estremo Oriente, la Finlandia e la Lituania, quest'ultima per espresso desiderio della Polonia che non voleva figurare nello stesso Patto.

Il secondo Patto è stato determinato da varie considerazioni: l) la possibilità di fare aderire in un secondo tempo anche gli Stati dell'Estremo Oriente; 2) la possibilità di fare aderire la Lituania (che però non ha voluto perché offesa per la sua omissione dal primo Patto); 3) il desiderio della Romania di far partecipare al Patto anche gli altri due Stati della Piccola Intesa i quali non hanno frontiere comuni con la Russia; 4) il desiderio della Russia stessa di avere un Patto anche con gli altri paesi della Piccola Intesa per avere da questi il riconoscimento ufficiale.

La Turchia ha aderito al secondo Patto per non lasciare sola la Russia con la Piccola Intesa: ciò anche su domanda della Russia, con la quale, come è noto, è legata da intimi rapporti di amicizia.

Tewfik Ruschdi bey si sta occupando per far aderire al secondo Patto anche la Persia e l'Afganistan.

Su richiesta del Capo del Governo, il Ministro turco afferma che le rivendicazioni russe sulla Bessarabia non sono per nulla pregiudicate dal Patto. Durante tutte le trattative non si è fatta parola della Bessarabia. Evidentemente pe1rò dalla conclusione del Patto risulta che la questione non può essere risolta con le armi.

L'on. Suvich fa presente che l'avere posto a base del Patto la definizione dell'aggressore che non è accettata da altri paesi fra cui l'Inghilterra e l'Italia, non può che rendere più difficili le trattative della Conferenza del disarmo su questo punto. Evidentemente sarà difficile trovare una formula su cui ottenere il consenso generale se i Paesi firmatari del Patto non possono allontanarsi da questa definizione ormai ufficialmente consacrata.

Tewfik Ruschdi bey dice che non gli risulta che l'Italia sia stata contraria a questa definizione; che ad ogni modo egli è a nostra disposizione per cercare di risolvere la questione nei riguardi di quello che sarà l'atteggiamento da prendere nella Conferenza del disarmo.

Venendo ad altro argomento, il Ministro turco dice constargli che Litvinov dà la massima importanza al Trattato che ora si negozia con l'Italia; vuole che questo accordo vada al di là di quello francese; sa che Potemkin ha un progetto in cui è contenuta la clausola della neutra1ità e quella della non aggressione.

Il Capo del Governo conferma che ci sono delle buone probabilità per l'accordo, che egli. in massima ha già approvato, e che sarà esaminato senza indugio nei suoi termini precisi.

Venendo a parlare della questione dell'Austria, Tewfik Ruschdi bey dice di avere inteso a Londra di un progetto di neutralizzazione dell'Austria che potrebbe soddisfare le varie tendenze.

II Capo del Governo dichiara che tale progetto è ormai superato. L'Austria sperabilmente potrà fare degli accordi molto stretti con l'Ungheria -con l'aiuto dell'Italia -e questa sarà la base per un principio di sistemazione dell'Europa danubiana. Si potrà poi trattare con la Piccola Intesa e con la Germania. Se l'Austria oggi è in piedi, il merito è tutto italiano; bisogna che gli altri si persuadano che in tale questione bisogna !asciarci mano libera nell'interesse generale. La Germania non si può sopprimere e quindi in un secondo tempo bisognerà considerare ,anche la sua posizione nei riguardi danubiani.

Tewfik Ruschdi bey ritiene tale soluzione buona. Egli ha già dichiarato tanto alla Piccola Intesa che ai francesi di essere contrario a qualunque resurrezione del piano Tardieu. Oltre al resto, il detto piano comprende il pericolo che vi sia inclusa anche la Bulgaria e che quindi si arrivi con tale blocco ai confini della Turchia, !asciandola fuori.

La Bulgaria non può che seguire le sorti della Turchia. Egli ha dichiarato anche a Jeftic che se la Jugoslavia tentasse un accordo con la Bulgaria, la Turchia dovrebbe a sua volta reagire con una alleanza turco-greco-ungherese appoggiata all'Italia.

Nel riguardi dei rapporti itala-jugoslavi il Ministro degli esteri turco dice di rendersi conto della impossibilità che l'Italia entri a partecipare alla alleanza franco-jugoslava; se mai un accordo dovrebbe, secondo lui, prendere un'altra forma e cioè da una parte la Francia e i suoi alleati (Jugoslavia) e dall'altra l'Italia e i suoi alleati.

Il Capo del Governo dichiara che ,i rapporti itala-jugoslavi sono indipendenti da quelli fra l'Italia e la Francia. Dopo la firma del Patto a quattro, e nella cornice dello stesso, si potranno discutere i rapporti itala-francesi per risolvere i punti controversi esistenti fra i due Paesi. Se l'Italia riterrà le condizioni favorevoli per un accordo con la Jugoslavia, lo farà con trattative dirette. Non c'è bisogno di intermediari; è sopratutto la Jugoslavia che ha bisogno di questo accordo. Nincic ha dichiarato una volta al Capo del Governo che l'epoca più felice della storia jugoslava è stata quella dei dnque anni in cui vigeva il trattato di amicizia con l'Italia.

Tewfik Ruschdi bey osserva che però quella non è stata l'epoca più felice per la Turchia, perché in quel periodo la Jugoslavia si sentiva sicura e intrigava un po' dappertutto nei Balcani.

Tewfik bey conclude affermando che la base della politica· turca è quella instaurata a Milano nei colloqui allora avuti col Capo del Governo.

(l) Al colloquio era presente suvich.

976

COLLOQUIO TRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL

APPUNTO. Roma, 11 luglio 1933.

L'Ambasciatore von Hassell mi chiede che cosa si sda deciso per la firma del Patto a quattro. Gli rispondo che si vorrebbe procedere immediatamente alla firma; firmerebbero gli Ambasciatori. Mi dice essere questa anche l'idea del suo Governo; chiederà subito i pieni poteri.

Mi parla delle trattative per un accordo itala-sovietico. L'Ambasciatore tedesco a Mosca informa che l'U.R.S.S. ci annette la più grande importanza. Ha saputo che Potemkin è latore di un progetto sovietico relativo al Patto: non aggressione; definizione dell'aggressore; consultazione.

Gli rispondo che non conosco ancora il progetto e che lo terrò informato. Von Hassel ritiene che questo Patto itala-sovietico sia molto opportuno in questo momento. A sua richiesta gli affermo che non c'è nulla di vero riguardo al viaggio Daladier e riguardo al patto adriatico di cui si parla.

977

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 11 luglio 1933.

Si indicano e si illustrano brevemente di seguito, in occasione dell'arrivo di Tewfik Ruschdl bey, le principali quistioni interessanti le relazioni italaturche.

l. -QUISTIONI GENERALI.

a) Progetto di intesa sud-balcanica.

Dopo la conclusione, or sono diversi mesi, del Patto tra gli Stati della Piccola Intesa volto a rafforzare i rapporti tra Romania, Cecoslovacchia e Jugoslavia, Ruschdi bey avanzò l'idea di un Piano d'Intesa sud-balcanica tra la Turchia, la Grecia e la Bulgaria, con lo scopo di sottrarre la Bulgarda e la Grecia alle pressioni della Piccola Intesa. L'accordo doveva realizzarsi con una forma di mutua garanzia delle rispettive frontiere e poteva giovare ai nostri interessi. Esso si rticollega del resto, e anzi ripete nei suoi fini l'idea, da tempo avanzata da S. E. il Capo del Governo, di un sistema di accordi appunto tra i tre Stati anzidetti. Da parte nostra furono date istruzioni conformi ai RR. rappresentanti ad Atene e Sofia. La proposta turca non ha avuto però seguito, specie a Sofia. Vi ostano effettivamente sia lo stato dei rapporti greco-bulgari, sia le note tendenze neutre della politica bulgara. Poiché però è prevista per settembre una visita dei Ministri greci ad Angora, non è improbabile, per quanto riguarda la Turchia e la Grecia, che la quistione venga ripresa. Tra la Grecia e la Bulgaria restano invece pendenti oltre la quistione di Dedeagadch (per ora non di attualità), gravi quistioni finanziarie (accordo Mollov-Caphandaris in connessione con il problema delle riparazioni bulgare). Si può sperare tuttavia in un miglioramento di relazioni economiche, specie a favore della Bulgaria, dai prossimi negoziati greco-bulgari per un accordo commerciale.

È interessante di notare a proposito di questa iniziativa di Ruschdi bey, che, mentre fra la Turchia e la Bulgaria esiste già un Patto di neutralità e di non aggressione, la proposta garanzia delle frontiere turco-bulgare (Tracia), è stata motivata dalla preoccupazione che il rafforzamento della Piccola Intesa potesse portare la Jugoslavia ad accordarsi con la Bulgaria spingendo quest'ultima in Tracia verso Costantinopoli. Altro elemento interessante è che il movimento di idee messo in moto a Sofia dalla proposta turca ha reso evidente come a Sofia si pensi ad Adrianopoli e alla Tracia come a ferite aperte.

b) Rapporti turco-francesi.

Già assai prima di questa iniziativa di Tewfik Ruschdi bey è stata evidente da parte turca e francese la tendenza ad un riavvicinamento fra i due Stati. Questa tendenza, che aveva trovato espressione nel Patto di conciliazione del 1929, ha avuto più recentemente, dopo un periodo di incertezza, se non di arresto, altre applicazioni con l'accordo pel debito pubblico ottomano, con quello per i beni dei Siriani, con la ratifica da parte francese del Patto di conciliazione del '29. Una nuova espressione di questa tendenza, si può pure vedere nell'adesione della Turchia (4 luglio corr.) al secondo Protocollo per la definizione dell'aggressore. Per quanto non vi partecipi la Francia né la Grecia, né ,la Polonia e il Protocollo sia aperto a tutti, finora l'adesione più notevole al secondo Protocollo è infatti quella degli Stati della Piccola Intesa.

c) Rapporti con l'U.R.S.S.

Caposaldo della politica turca resta però l'amicizia con l'U.R.S.S.; ed essa si è venuta da ultimo rafforzando. Un aspetto interessante degli imminenti

1029 negoziati per il nuovo Patto tra l'Italia e l'U.R.S.S. può essere dato a questo proposito dai riflessi del nuovo Patto sui nostri rapporti con la Turchia.

d) Protocolli per la definizione dell'aggressore.

Diretta e ultima manifestazione di questa amicizia turco-russa sono i due Protocolli per la definizione dell'aggressore che (a quanto se ne sa finora) pare differiscono tra loro in quanto il secondo (quello accennato di sopra) è aperto a .tutti gli Stati, mentre il primo è tra l'U.R.S.S. e gli Stati confinanti.

La Turchia ha aderito ad ambedue.

Se dal lato russo la firma e anzi l'iniziativa dei due Protocolli sono perfettamente comprensibili (situazione interna e preoccupazione degli atteggiamenti più recenti della politica tedesca, ecc.), dal lato turco la spiegazione riesce meno facile, specie per quanto riguarda il secondo dei due Protocolli: quello aperto a tutti gli Stati. Probabilmente il temperamento di Ruschdi bey vi entra per buona parte; come pure vi ha parte la reazione, per quanto ingiustificata del Governo turco, per non essere stato chiamato a partecipare al Patto a Quattro, e nonostante che dopo le notizie ed .i chiarimenti forniti al riguardo, Ruschdi bey -nei suoi multiformi atteggiamenti -sia anche apparso in un certo momento a Ginevra uno dei sostenitori del Patto medesimo.

Per quanto concerne i Protocolli per la definizione dell'aggressore, il Governo turco -nonostante il Gentlemen's Agreement di consultazione tra l'Italia e la Turchia -si è limitato a far dare a mezzo di Ruschi bey all'Ambasciatore a Parigi una generica notizia nella imminenza della firma del primo dei due Protocolli. Non ha invece detto niente nei riguardi del secondo.

Sembrerebbe opportuno di far rilevare la cosa al Ministro degli Esteri turco e di incaricare di fare altrettanto l'Ambasciatore ad Ankara (in proposito è stato preparato apposito telegramma), così come l'omissione è stata fatta rilevare a questo Ambasciatore turco (1), e come sono state approvate ed appoggiate da parte nostra le osservazioni che in tal senso ha già fatto per quanto lo riguarda ad Ankara il Governo ungherese. Con tutto ciò, e almeno con gli elementi di giudizio che si posseggono, non è da esagerare la portata né di tale omissione né della firma del secondo Protocollo, del quale non si è in ogni caso autorizzati a ritenere che significhi (come è stato osservato) l'inserzione della Piccola Intesa nel sistema russo-turco.

Qualunque possa essere il giudizio sulla persona di Ruschdi bey, come in passato anche ora (e anzi più che mai, dopo le ripercussioni che nei rapporti internazionali hanno avuto gli atteggiamenti di politica estera assunti finora dal Governo tedesco) la Turchia rappresenta un elemento di notevole interessè ed importanza per l'Italia; e sussiste e si rafforza per noi l'interesse a coltivare con Ankara rapporti di cordialità e di amicizia anche se tali rapporti non sembra che possano in ogni caso per ora trovare espressione in nuovi accordi

-o Patti. In prosieguo di tempo si potrebbe invece pensare ad un'adesione turca al futuro Patto itala-russo, destinato intanto e tra l'altro a contrecarrer il riavvicinamento avvenuto tra Mosca e Parigi e, di riflesso, tra Mosca e la Piccola Intesa.

e) Quistione degli Strettt.

È noto che, secondo la Convenzione ad hoc allegata al Trattato di Losanna, gli Stretti sono sottoposti ad uno speciale regime e demilitarizzati. Il Governo turco ha sempre avuto la tendenza, coltivata da Mosca, a liberarsi di tali clausole limitative; e ultimamente ha sollevato la quistione in sede di Conferenza del Disarmo e come un aspetto della c parità di diritti~.

A Ginevra si è tuttavia eccepita l'incompetenza di sede; ed è stata affacciata l'ipotesi di esaminare la quistione sotto la specie di revisione dei trattati e quindi come applicazione dell'articolo 19 del Covenant.

Ruschdi bey a suo tempo ne ha anche parlato al R. Ambasciatore in Ankara (1), facendo intravedere la possibilità di un accordo particolare con l'Italia, ove questa rinuncia alla convenzione di Losanna. Ma le sue aperture sono state in termini assai generici.

Per quanto riguarda il merito della questione -proceduto al suo esame d'accordo col Ministero della Marina -è apparso conveniente che per ora il nostro atteggiamento, senza essere nettamente contrario, debba essere piuttosto negativo. Analogamente per quanto riguarda la sede dell'eventuale trattazione della quistione, non pare conveniente di fare con la quistione degli Stretti un primo esperimento revisionistico sulla base dell'art. 19. Difficilmente infatti l'Inghilterra e le altre Potenze si indurranno a rinunziare alla garanzia collettiva degli Stretti per renderne arbitra la Turchia.

Dinanzi alle probabili avances di Ruschdi bey si potrebbe !asciargli intravedere un nostro generico interessamento alla quistione seguendone poi attentamente i possibili sviluppi.

Il. -QUISTIONI PARTICOLARI ITALO-TURCHE.

a) Prestito alla Turchia.

Nel maggio scorso fu raggiunto fra S. E. il Ministro delle Finanze e l'Ambasciatotre di Turchia a Roma un accordo di massima sul prestito da accordarsi alla Turchia e successivamente furono, o almeno si ritenne che fossero regolati i singoli punti in discussione. Da recenti informazioni fornite dallo stesso Ambasciatore turco apparirebbe invece che alcune formule concordate a Roma non siano accettabili ad Ankara. Fino a questo momento non si è avuto alcuna comunicazione uff·iciale: sembrerebbe essere subentrato da parte turca -apparente o reale --un minore interessamento al prestito in precedenza vivamente caldeggiato. L'atteggiamento è singolare e non ne appaiono chiare le ragioni né le finalità.

b) Legge sull'esercizio delle professioni e mestieri.

Questa legge che è nettamente restrittiva verso tutti gli stranieri, colpisce gravemente e prevalentemente, in ragione del loro considerevole numero, gli italiani stabiliti in Turchia. La sua applicazione è stata distribuita in due anni; ma ha avuto già come conseguenza il rimpatrio di numerosi connazionali che

-o disoccupati o con la prospettiva di restare senza lavoro al termine dei due anni, vengono in Italia in cerca di sistemazione. Da parte del R. Governo sono state date istruzioni ai Prefetti per l'aiuto e l'assistenza da accordare a questi profughi. Si potrebbe pensare a menzionare la quistione a Ruschdi bey, ma è da tener presente che ogni precedente insistenza è rimasta senza efficace risultato.

c) Beni dei Dodecannesini in Anatolia.

Le trattative per questa ormai interminabile vertenza sono state o dovrebbero essere riprese dal R. Ambasciatore ad Ankara in conformità delle istruzioni impartitegli. La quistione è importante dal lato economico in quanto si tratta di vertenze che si aggirano su una cifra variabile dai 30 ai 50 milioni di lire. È importante dal lato politico in quanto che nel Dodecanneso non può non apparire manifesto il fatto che mentre i greci hanno avuto un'indennità, l'indennità non è stata invece accordata finora ai cittadini italiani.

d) Usi civici dei Dodecannesini.

Le Autorità turche continuano a negare agli abitanti di Castelrosso ogni diritto di legnatico e di pascolo sulla costa nonostante gli affidamenti dati da Ruschdi bey a Roma nel maggio 1932. Il R. Ambasciatore ad Ankara si sta occupando della quistione.

(l) -Cfr. n. 964. (l) -Cfr. n. 281.
978

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE S. 3118/112 R. Mosca, 12 luglio 1933 (per. il 16).

Con comunicazioni separate ho avuto l'onore di riferire all'E. V. intorno ai patti Litvinov, firmati a Londra il 3, 4 e 5 corrente.

In dette comunicazioni ho rilevato che se questi patti non sono stati concepiti contro di noi, essi stabiliscono tuttavia contatti nuovi (Mosca-Piccola Intesa-Angora) capaci presto o tardi di sprigionare nuove correnti politiche che noi abbiamo interesse a dominare.

Mi permetto in proposito di sottomettere alla E. V. le seguenti considerazioni.

La conclusione dei patti Litvinov mi sembra costituire un nuovo, fortissimo elemento a favore del patto politico Italia-1JRSS di cui già V. E., nella Sua alta saggezza aveva antiveduto la opportunità.

Quella conclusione mi sembra peraltro additare pure la convenienza che il nostro patto abbia un contenuto politicamente proprio e vitale, anche indipendentemente dall'obbligo eventuale della non aggressione.

Poiché il rafforzamento delle nostre posizioni politiche dovrebbe non limitarsi a Mosca, ma estendersi anche ad Angora, e poiché qualunque sia per essere il contenuto definitivo del nostro patto con l'U.R.S.S., esso conterrà certo

un qualcosa di più di quanto non contenga l'antico patto italo-turco del maggio 1928, sarei del subordinato avviso che questo qualche cosa di più fosse possibilmente esteso anche alla Turchia.

Vedrà poi l'E. V. se, a sottolineare l'importanza del nuovo patto italo-sovietico, non sia dl caso di far sì che esso venga firmato daUo stesso Litvinov, all'uopo, invitandolo a recarsi in Italia.

979

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 12 luglio 1933.

L'Ambasciatore von Hassel ha già richiesto telefonicamente da stamattina pieni poteri. Ci vorrà però qualche giorno perché Hindenburg e Neurath sono assenti da Berlino. Farà ancora pressioni per avere i pieni poteri. per sabato.

980

GUIDO MALAGOLA CAPPI AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. P. San Marino, 12 luglio 1933.

In osservanza al desiderio che l'E. V. si è compiaciuta di farmi pervenire, mi affretto ad lnv,iare la relazione del mio colloquio col Re Alessandro di Jugoslavia.

Nel prossimo mese di Agosto sarò a Roma, e mi permetterò di far nota al Comm. Chi:avolini la mia presenza alla Capitale, per il caso che V. E. volesse darmi indicazioni, e chiedermi altre informazioni, prima del mio ritorno a Belgrado, o del mio probabile incontro col Re a Venezia.

Ad ogni modo sono sempre a completa disposizione di V. E.

ALLEGATO

RELAZIONE

Belgrado, 9 giugno 1933.

Sono stato ricevuto da S. M. il Re Alessandro al mattino e con lui ho fatto una lunga passeggiata nel parco del suo Castello di Dedinje, e la conversazione è caduta sul « Patto a quattro».

Il Re, dopo avermi detto della impressione prodotta nei paesi della Piccola Intesa dal progetto del «Patto » tale e quale era stato nel primo tempo ideato, perché pareva che esso tendesse sopra tutto alla revisione vera e propria dei trattati nel senso territoriale, si è cosi espresso:

70 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XIII

Qui peut croire que je puisse me soumettre, de ma propre volonté, à une diminution du territoire de mon pays? Il me semble que de ma part ça serait une trahison envers mon peuple et mon devoir. Le "Pacte" a plutòt une signification et une force morale car il donne à la masse des peuples l'impression de la tranquillité et de la sureté. C'est déjà beaucoup; cette tranquillité est nécéssaire pour reprendre confiance. Le "Pacte" en lui méme est un nouveau papier signé; et nous savons par expérience la valeur matérielle de ces papiers, il est maintenant un vase creux au lieu d'un mas de granit, comme M. Mussolini l'avait pensé, mais tout de méme il faut admettre que c'est le fait le plus positif que l'on a conclu depuis longtemps. De cette tranquillité et de cette confiance, nous avons besoin autant que les autres peuples de l'Europe ».

Il Re mi ha poi parlato delle condizioni della Jugoslavia, ripetendomi che nel suo paese manca ancora moltissimo, che in varie provincie non vi sono quasi strade, che le industrie sono indietro, e che per il suo paese la tranquillità è veramente necessaria per poter dedicare tutte le risorse e tutte le forze al riassetto interno. Le risorse naturali non mancano, e moltissime non sono ancora state cercate e scoperte, ma mancano cervelli e capitali per sfruttarle.

Sua Maestà attendeva la visita del nuovo Ministro di Tchekoslovaqui che veniva a presentare le credenziali, mi ha quindi congedato dicendomi di tornare più tardi per colazione.

Eravamo a tavola soli, ed il Re si è messo a parlare dell'Italia e del suo corto viaggio in automobile nelle dolomiti, fatte l'anno scorso, esprimendo il desiderio di tornare quest'anno per arrivare fino a Venezia e fermarvisi un paio di giorni, né escludendo la possibilità di arrivare fino a Bologna per vedere la alcune cose che lo inte

ressano.

Ho creduto di cogliere il momento per esprimere il mio rammarico che le trattative che sembravano così bene avviate e giunte così vicine ad una favorevole conclusione, si fossero ad un tratto arrenate.

« ... vraiment c'est dommage, mais il faut dire que ce n'est pas de ma faute, ni par manque de bonne volonté de ma part; on a tout à fait l'air de se moquer de nous, et vraiment ce n'est pas agréable, quand le bon moment semble enfin arrivé, voilà que l'on ne donne plus signe de vie, nous avons longtemps attendu des propositions qui ne sont jamais arrivées, et que je crois n'arriverons pas, si l'on continue de ce pas l'accord arrivera quand il aura perdu tout son intérét et quand il sera probablement inutile. L'Italie a tellement besoin d'expansion, elle cherche des colonies loin quand elle aurait pu avoir à ses portes un grand pays riche de ressources naturelles qui n'aurait pas demandé mi:eux que d'ouvrir ses portes à des amis puissants envers les quels on avait des raisons de reconnaissance, et qui auraient pu apporter le bienétre dans mon pays en y trouvant pour eux une source de richesse ... ».

Il Re mi ha ancora parlato delle possibilità di intese commerciali di grande vantaggio reciproco ripetendo ciò che già io ho più volte riferito, senza nascondere il suo rincrescimento per non essere ancora arrivato all'accordo ed il suo timore di esserne ancora lontano. Ha di nuovo parlato dell'opera negativa e deleteria del predecessore del Ministro Galli dicendo che da questa operosità è cominciata l'inimicizia fra i due paesi, inimicizia che ha portato il più grave danno e le più gravi conseguenze del dopo guerra; ha chiesto se erano vere le voci di un prossimo trasferimento del Ministro Galli, mostrandosene dispiacente, se fondate, e ripetendo quanta stima e considerazione egli abbia sempre avuto per il nostro Ministro e quanta riconoscenza per la sua opera piena di tatto di comprensione e di equità, riconoscendo quanto era difficile e delicata la posizione del Ministro d'Italia a Belgrado.

«La cause principale de cette impossibilité d'arriver à l'accord avec l'ltalie, il faut la chercher dans le fait que dans votre pays on est très mal informé sur les conditions politiques intérieures de notre pays. Il y a en Italie un groupe assez nombreux de personnes qui vivent de l'inimitié entre l'Italie et la Jougoslavie. Ces personnes donnent continuellement des nouvelles catastrophiques sur les conditions de notre pays, nouvelles qui ne correspondent pas du tout à la vérité, mais qui arrivent à destination avec toute l'apparence de la vérité méme. Ces personnes ne font que demander toujours, et encore de l'argent pour payer les organisations antinationales, pour faire faire des démonstrations contre le reg1me, pour envoyer des bombes, pour soulever les paysans, comme on a fait pour la Lika, en promettant que la révolution va éclater d'un moment à l'autre, et que la Jougoslavie a ses journées comptées, et que avec un petit dernier coup, elle va s'éfondre, et ils assurent que la Jougoslavie sera bien vite effacee de la carte de l'Europe et reduite en morceaux (1). Un autre groupe, qui se trouve plus près de votre Chef, lui rapporte ces nouvelles avec une grande joie en pensant de lui faire un grand plaisir, de lui rendre un grand service, et d'acquerir sa faveur. La voix des personnes sérieuses, équilibrées, désintéressées qui sont et vivent dans votre pays, qui suivent les événements, qui connaissent nos conditions, notre mentalité, nos défauts et nos qualités, et qui sont dignes de la plus haute confiance, s'arréte, malheureusement dans les profonds tiroirs des ministères et n'arrive pas au Chef; voilà la vraie raison pour la quelle M. Mussolini pouvait tout clairement dire vers le commencement de l'année passée que notre pauvre pays aurait tout au plus pu résister jusqu'au mois de Mars, ou tout au plus, Avril!

Nous sommes au mois de Juin, et je peux vous garantir que la situation intérieure est beaucoup plus solide et le pays plus tranquille que à la fin de l'année passée et je pourrais méme dire que les moments plus difficiles sont passés.

Les journaux italiens écrivent bien souvent contre les manèges des industries pesantes en France, croyez vous que en Italie il n'y a pas quelque chose de semblable, une force cachée mais puissante, qui a l'intérét de fournir des armes, des munitions, des aeroplanes au pays?

La question croate existe, il ne faut pas le nier, ni le cacher, mais elle n'est pas une maladie mortelle pour notre pays, nous pouvons la dominer et nous en avons tous les moyens; et en disant tous les moyens je ne fais que vous répéter ce que je vous ai déjà dit, que je suis disposé et bien décidé à les employer tous pour le bien et la grandeur de mon pays. Dites à M. Mussolini que le Roi Alexandre ne s'en ira pas si facilement camme on aime de lui faire croire, et que le Roi Alexandre serait pour l'Italie et pour lui méme un ami loyale et méme utile».

981

IL MINISTRO A TIRANA, KOCH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3103/149 R. Tirana, 13 luglio 1933, ore 22,50 (per. ore 4 del 14).

Ho avuto lungo colloquio con Re Zog al quale ho comunicato e illustrato il contenuto del promemor,ia già da me presentato a questo ministero affari esteri tn conformità delle istruzioni impartite da V. E. col telegramma n. 1334 del 28 giugno scorso (2).

Ho ampiamente spiegato convenienza che venga preliminarmente chiarita situazione con precise offerte promesse manifeste circa le questioni appena ac

«Una rivoluzione nella Croazia non è possibile suscitarla per determinate ragioni che vanno dal pacifismo del contadino croato, al sistema terroristico praticato dalle autorità poliziesche e governative. La rivolta della Llka -novembre scorso -la si deve circoscrivere nelle sue anguste proporzioni. Perciò sarebba errore credere ad un moto rivoluzionario del popolo croato.

Invece se l'alimento rivoluzionario verrà dato al macedoni-kossovesi e ai montenegrinl l soli capaci di creare un movimento di vaste proporzioni, allora anche l croati spinti più dagli eventi che dalla propria volontà potranno intraprendere il cammino indicato dagli altri Insofferenti.

Qualora l'E. V. trovasse opportuno o arrivato il momento di intraprendere relazioni più strette coi macedoni, kossovesi e montenegrini, separatamente gli uni dagli altri, posso assicurare (per avere avuta assicurazione dalle parti interessate) che un tentativo di rivolta potrebbe essere eventualmente organizzato per la fine dell'anno in corso».

cennate all'ultimo punto del promemoria Kodeli, questioni alla cui soluzione si attribuisce da parte nostra particolare importanza, nel desiderio di giungere ad una piena e indubbia delucidazione della situazione verificatasi nei rapporti fra i due Paesi che sia anche garanzia ulteriore.

Re Zog mi ha detto che con invio deUa delega<?ione egli proponevasi far giungere direttamente al capo del Governo d'Italia i sentimenti di cui è cenno nel promemoria presentato da codesta legazione d'Albania ma che rendevasi conto che qui si sarebbe potuto più facilmente sgombrare terreno da difficoltà esistenti; egli avrebbe pertanto dato istruzioni senz'altro agli stessi membri del Governo che avrebbero dovuto recarsi a Roma, il ministro degli affari Esteri ed il ministro delle finanze, di venire a vedermi per iniziare qui conversazioni preliminari nella v,iva speranza di giungere alla desiderata chiarificazione.

Comunico per disteso con telegramma per corriere (l).

(l) Con rapporto del 6 giugno Mazzottl aveva comunicato:

(2) Cfr. n. 908.

982

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, E IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELLE FINANZE CINESE, SOONG (2)

APPUNTO. Roma, 13 luglio 1933.

Il Signor Soong è venuto a Roma per rende,re omaggio al Capo del Governo. È lieto in questa occasione di poter esprimere la propria ammirazione per il Fascismo.

Il Capo del Governo ringrazia dell'omagg,io e dichiara di vedere con simpatia lo sviluppo della Cina. C'è una prima condizione, che è quella di ottenere l'unità nel comando del Paese. A questa bisogna subordinare ogni altro sforzo. Una seconda condizione, pure essenziale, è quella di crearsi un esercito bene organizzato e disciplinato.

Il Signor Soong è perfettamente d'accordo con l'idea del Capo del Governo. Osserva però che il suc,cesso del Fascismo è stato determinato, non solo dall'idea, ma anche dagli uomini. Ora quello che manca in Cina sono soprattutto gli uomini.

Il Capo del Governo osserva che alcuni uomini ci sono già e che altri sorgeranno man mano che la Cina troverà un migliore ordinamento. Chiede poi quali sono i rapporti con i giapponesi.

Il signor Soong risponde che le relazioni con 1 giapponesi sono regolate dal Trattato di armistizio col quale si accetta temporaneamente una situazione di fatto senza fare alcuna rinuncia. Ciò è stato reso necessario non solo dalle condizioni della Cina, ma dalle condizioni generali per cui è mancata la reaziona contro l'azione giapponese. I giapponesi però hanno un programma ancora vasto da svolgere. Intendono un po' alla volta estendere il loro controllo, con esclusione di ogni altro, su tutto l'Estremo Oriente. Ciò non potrà man

care di suscitare delle opposizioni, non solo da parte della Cina ma anche da

parte dei Paesi occidentali, per cui oggi la questione è aperta nella sua in

tegrità.

Il Signor Soong vede la possibilità di una più intensa collaborazione fra

l'Italia e la Cina ed espone le linee di un programma che è riassunto nel

l'unito Promemoria (1).

Il Capo del Governo esaminerà con interesse le proposte e farà conoscere

le sue idee al riguardo (2).

(l) -T. 3129/2490/961 R. del 15 luglio, non pubblicato. (2) -Al colloquio era presente suvich, che redasse l'appunto.
983

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, CERRUTI, A LONDRA, GRANDI, E A PARIGI, PIGNATTI

T. 1429 R. Roma, 14 luglio 1933, ore 18,15.

Informo V. E. che domani a mezzogiorno avrà luogo a palazzo Venezia la firma del patto di intesa e collaborazione fra le quattro Potenze occidentali.

984

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, E IL PRESIDENTE DELLA CONFERENZA DEL DISARMO, HENDERSON (3)

APPUNTO. Roma, 14 luglio 1933.

Il signor Henderson espone l'ultima fase della questione del disarmo dopo U rinvio de,1la Conferenza al 14 ottobre.

Il signor Henderson è stato nei giorni scorsi a Parigi, dove ha parlato con Daladier e con Paul Boncour. I francesi gli hanno esposto ~e loro idee, partendo dana premessa che di fronte alla situazione sempre inquieta dell'Europa, non sono disposti in questo momento a radicali misure di dàsarmo. I francesi hanno l'idea di fare una convenzione di otto anni divisa in due periodi di 4 anni ciascuno. Il primo sarebbe un periodo di transizione (i francesi lo chiamano di prova), durante il quale si potrebbe fare qualche riduzione negli aeroplani e negli effettivi. Questo periodo di 4 anni servirebbe ai tedeschi per trasformare la loro Reichswehr nella milizia a breve ferma come è previsto dal Piano MacDonald.

«Che i giapponesi siano gente sospettosa e taciturna lo abbiamo, per cosi dire, appreso a scuola, e ogni collega estero qui lo conferma. Tuttavia ho l'impressione che possa esservi un po' più di diffidenza nei nostri riguardi. Il Consigliere Weill Schott, il quale è qui da lungo ed è stato a lungo Incaricato d'Affari, mi dice che un tempo i giapponesi erano con lui più espansivi (se questo aggettivo possa accoppiarsi con quel sostantivo), e ch'egli aveva notato negli ultimi mesi della sua reggenza un chiaro e notevole mutamento. Forse non sono stati soddisfatti di noi a Ginevra, e forse non sono soddisfatti a causa della nostra presente politica verso la Cina. A ogni modo la muraglia cinese è ora in Giappone. Si direbbe la lumaca che, toccata nelle corna. le ritira nel guscio e ve le tiene con diffidente e perseverante prudenza».

Il Signor Henderson rileva che i francesi, parlando di una riduzione di aeroplani, non sono disposti in questo primo periodo ad arrivare ai limiti previsti dal Piano MacDonald. Aggiunge anche che egli ritiene che il periodo di prova non dovrebbe prolungarsi oltre i due anni. Ne ha fatto parola ai francesi, i quali però si dimostrano per ora intransigenti.

Durante il primo periodo i francesi sarebbero disposti anche a mettere sotto il controllo della Società delle Nazioni parte del materiale pesante -di quello che secondo il piano inglese andrebbe distrutto -colla condizione però che lo stesso rimanga nel proprio territorio. Dovrebbe funzionare -durante questo primo periodo -la Commissione di controllo e di «supervision » per verificare l'esecuzione degli impegni presi con la convenzione. I francesi dicono chiaramente che questo sistema di controllo potrebbe costituire per loro la tanto ricercata sicurezza, ma che prima di poter far conto su tale sicurezza, devono essere persuasi che il controllo funzioni, e perciò il periodo di prova di 4 anni.

Nel secondo periodo, si passerebbe alla applicazione integrale delle misure di disarmo sulla base del piano inglese o su quella qualsiasi altra base che potrà essere stabilita d'accordo fra le Potenze.

È tuttavia impressione del Signor Henderson che i francesi non pensino dopo gli otto anni di arrivare ad una equiparazione completa con la Germania, ma di mantenere invece sempre un certo margine.

Dovrebbe funzionare subito, prima ancora della ratificazione della Convenzione, la Commissione permanente del disarmo, dalla quale dipenderà un organo tecnico di controllo, composta di 24 persone e divisa in 6 sezioni ad ognuna delle quali sarebbe affidato un determinato territorio. Ad ogni sezione, composta da quattro membri del Comitato di Controllo, si aggregherebbe poi un quinto cittadino del paese in cui il controllo deve essere esercitato. La commissione permanente del disarmo dovrebbe poi stabilire al momento opportuno se ci sia la possibilità di passare dal primo al secondo dei periodi fissati dalla Convenzione del disarmo.

Il Capo del Governo chiede al Signor Henderson se gli siano note le condizioni della Germania. II Signor Henderson risponde di no. Sa soltanto che l tedeschi sono disposti a stabilire un periodo di cinque anni per la trasformazione della Reichswehr.

Il Signor Henderson ha voluto, prima di andare a Berlino, venire a Roma e spera che il Capo del Governo potrà esercitare qualche influenza sul tedeschi per far loro comprendere la difficoltà della situazione e la necessità di accontentarsi di una realizzazione graduale delle loro richieste.

II Capo del Governo dichiara di essere disposto a collaborare, come ha fatto in passato in ogni occasione per arrivare ad un risultato nella Commissione del disarmo. Ritiene però che alla Germania converrà dare nel primo periodo qualche soddisfazione maggiore, soprattutto nel campo dell'aviazione dove la Germania ha la netta sensazione della propria inferiorità.

Non è chiara la funzione di questo controllo, converrà che il Signor Henderson si intenda con l'ufficio speciale per il disarmo esistente al Ministero degli Affari Esteri, dopo di che si potrà esaminare ancora una volta la situazione.

(l) -L'allegato non si pubblica. (2) -Cfr. quanto scriveva Auriti con R. r. 666/395 del 18 luglio:

(3) Al colloquio era presente Suvich, che redasse l'appunto.

985 E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

PROMEMORIA. Roma, 14 luglio 1933.

Conversazione col Signor Henderson.

Il Signor Henderson ci riferì di aver esposto a V. E. il piano di disarmo di cui è stato messo a parte a Parigi.

Ad onta dei naturali tentativi del Signor Henderson, e del Segretario Aghnides di presentare le cose in una maniera accettabile, lo schema della convenzione sarebbe:

1° Periodo -di quattro anni -Riduzione degli effettivi sulle linee del piano britannico. Nel campo del materiale: riduzione dell'aviazione, ma ciascuna Nazione conserva gli apparecchi eliminati, sotto etichetta internazionale. Nessun riarmo tedesco, nemmeno sotto forma di campionario. Controllo automatico, severissimo, minuto, che ha il diritto di tutto investigare: fortezze, navi, fabbriche, commercio delle armi, caserme, depositi ecc.

2° Periodo -di quattro anni -Sotto condizione che nel primo periodo il controllo abbia dato risultati completam1ente soddisfacenti, seguirebbe una certa mis·ura di disarmo del materiale. Ma il materiale eliminato sarebbe posto a disposizione della Società delle Nazioni, da usare contro gli aggressori. Continuazione del controHo automatico e severo nella stessa misura. Sempre nessun riarmamento, pa;re neppure campionario della Germania.

Il Signor Henderson mostra di ritenere che, con adeguate pressioni sul Governo francese, si potrebbe forse ottenere:

l) un accorciamento del primo peroiodo;

2) un pciù radicale disarmo nel secondo. Ma non ha potuto dare nessuna fiducia che il disarmo significherebbe distruzione del materiale; non sembra infatti possibile nemmeno a lui di spingere i Francesi oltre il concetto della internazionalizzazione.

Ritengo superfluo stendermi ad analizzare queste proposte. È chiaro che esse costituiscono semplicemente una manovra politica francese per evdtare qualsiasi vera diminuzione del proprio materiale, per impedire alla Germania anche l'utilizzazione di quel materiale umano di cui è ricca, e tnchiodarla se possibile nei limiti fissati dal Trattato di Versailles. In sostanza, in un primo periodo delle trattative del disarmo si è parlato di disarmo senza controllo, poi si è ammesso il controllo, anche rigido, connesso col disarmo. Oggi, siamo al controllo senza il disarmo.

Ciò stante, secondo il mio subordinato parere V. E. potrebbe far intendere al Signor Henderson come il progetto esca completamente dalle linee pratiche delle direttive italiane, in quanto che l'Italia accettava il controllo come una

concessione fatta al Disarmo; ma ci riesce molto difficile di poter concepire un controllo senza alcun disarmo da controllare.

Henderson risponderà che anche nel primo periodo esiste un disarmo del materiale, quello aereo; ma gli si può obiettare la pura verità, cioè che il cambiare l'etichetta a parte delle forze aeree non costituisce alcuna pratica misura di disarmo.

A parte ciò, mi sembrano da evitare espressioni che diano ad Henderson il modo, sia di valersene per premere sulla Germania e l'Inghilterra facendosi forte di qualche consenso, anche puramente dubitativo e formale, di V. E.; sia di valersene al contrario per allegare una presa di posizione nettamente negativa da parte nostra, e rigettare su di noi la responsabilità di uno scacco, la cui responsabilità deve invece essere condivisa anche dagli Inglesi e dai Tedeschi -anzi, essere possibilmente addossata al Signor Henderson e alla sua iniziativa.

È del resto logico che di fronte a proposte cosi nuove e cosi lontane dal piano britannico -da tutti, la Francia compresa, accettato come base della Convenzione -ci sia permesso di non esprimere in 24 ore alcun parere definitivo che possa essere usato, in un senso o nell'altJ:o nella controversia, e che si debba pensarci e consultarsi con i tecnici militari.

(1) ... AL CAPO DEL GOVERNO

(l) Il promemoria è privo di firma.

986

L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI SUVICH

L. P. Roma, 14 luglio 1933.

Facendo seguito al nostro odierno breve colloquio mi permetto, come d'accordo, trasmetterLe traduzione di un Pro Memoria di carattere etonfidenziale, del quale però sono autorizzato a dare cognizione al R. Governo italiano, perchè esso, nei colloqui con il Signor Henderson, sia edotto del punto di vista della Germania. Aggiungo inoltre, per la Sua informazione strettamente personale, un appunto su qualche punto di vista tattico particolarmente importante, che vorrei pregarLa di tJ:attare assolutamente confidenziale.

Causa di un disguido nella spedizione delle carte da Berlino a Roma, spiacentemente non mi è stato possibile di prendere contatto con Lei, sulla loro base, prima dell'arrivo del Signor Henderson, come invece già era stato progettato tra i Signori Marchese di Soragna e Nadolny a Ginevra.

Tanto più Le sarei riconoscente, se prima ancora degli ulteriori colloqui con il Signor Henderson, Ella volesse prendere nota delle esposizioni germaniche e darne conoscenza anche a S. E. il Capo del Governo.

Come da incarico ricevuto dal mio Governo aggiungo la preghiera di voler gentilmente, per quanto ciò sarà possibile al R. Governo, tenermi informato sul colloquio del Signor Henderson ed i suoi risultati, perchè io possa informarne in tempo il mio Governo ancora prima dell'arrivo del Signor Henderson a Berlino.

ALLEGATO I

PROMEMORIA

Roma, 14 luglio 1933

In questi ultimi tempi, quelle potenze, alle quali torna sgradevole la realizzazione del disarmo specialmente nel campo materiale beilico secondo il piano inglese, cercano di sottrarvisi evidentemente nel modo che esse dichiarano essere necessario di provare, per vari anni, l'apparecchio di controllo, prima di qualsiasi disarmo da parte loro. Ciò significherebbe che esse vorrebbero sapere applicato il controllo per ora soltanto allo stato d'armamento germanico. Di fronte a ciò noi teniamo fermo che noi non possiamo accettare tale periodo di prova -ché, questo sarebbe il senso della richiesta di queste potenze -in particolare noi non potremmo, in nessun modo, dichiararci d'accordo con un controllo per la realizzazione della clausola di disarmo del Trattato di Versaglia a mezzo dell'apparecchio di controllo di una convenzione di disarmo generale.

La più grande difficoltà per la realizzazione della parità si trova nel campo del materiale bellico e particolarmente nell'aviazione militare. Qualora non si addivenga, per convenzione, alla generale abolizione dell'aviazione militare entro un periodo determinato, noi pretendiamo di avere il diritto di tenere una aviazione militare, se anche numericamente non paragonabile alle forze aeree di combattimento delle altre grandi potenze. Da questa pretesa non possiamo derogare.

Nel campo del materiale da guerra terrestre esiste una difficoltà specialmente in merito alle armi da tiro del calibro tra 115 e 155 mm. Queste, secondo il progetto inglese, dovrebbero però essere sostituite da armi da tiro fino a 115 mm di calibro e dovrebbero essere generalmente permesse, senza che però vi fosse previsto perciò un termine. Noi domandiamo che la sostituzione e la distruzione di queste armi vengano effettuate al più tardi entro cinque anni. Se ciò non avv;ene, allora dev'essere permesso anche a noi di possedere i medesimi tipi di armi da tiro come sono permessi a tutti gli altri Stati.

Nel campo degli effettivi del personale, per noi è anzitutto di valore la questione delle organizzazioni cosiddette militari e della percentuale degli effettivi a ferma lunga della nostra futura armata. Per la soluzione della prima questione si trovano già certi segni delle trattative nel Comitato degli Effettivi.

Nel campo della Marina interesserebbe anzitutto, se le rilevanti difficoltà esistenti tra le potenze navali e specialmente tra la Francia e l'Italia vengano, con i colloqui di Henderson, avvicinate ad una soluzione.

ALLEGATO Il

MEMORANDUM

In base ai trattati (articolo 8 dello Statuto della Società delle Nazioni ed introduzione alla parte V del Trattato di Versaglia) nonché come membro della Società delle Nazioni, la Germania, dopo che essa stessa ha già disarmato, ha il diritto di pretendere che anche gli altri Stati da parte loro disarmino e che le limitazioni degli armamenti vigenti per la Germania vengano adattate al sistema generale del disarmo. Lo stesso Trattato di Versaglia designa l'armamento concesso alla Germania come modificabile (articolo 164 comma 2). Inoltre la Germania, in base all'articolo 8 dello Statuto della Società delle Nazioni, ha il diritto di pretendere che, fissando gli armamenti per i singoli Stati, la sua sicurezza nazionale venga tenuta in considerazione nella stessa maniera come quella degli altri Stati.

In base alla convenzione· dell'li dicembre 1932 è stato riconosciuto il diritto di parità della Germania come uno dei principi fondamentali della Conferenza; inoltre vi si convenne:

1.) che le limitazioni degli armamenti di tutti gli Stati vengano fissate nella futura convenzione;

2.) che il princ1p10 della parità della Germania e degli altri Stati disarmati deve essere realizzato nella convenzione;

3.) che la parità dev'essere raggiunta mediante un sistema che garantisce la sicurezza a tutti gli Stati;

4.) che i metodi per la messa in vigore della parità dovranno essere discussi durante la conferenza.

In base a questa convenzione la parità della Germania dev'essere raggiunta nella convenzione e gli Stati firmatari della convenzione sono obbligati a collaborare a tale scopo. La Germania è del parere, che il sistema di sicurezza menzionato nella convenzione dev'essere effettuato in prima linea mediante una regolazione giusta e ragionevole delle proporzioni degli armamenti tra i diversi Stati. La Germania si è però pure dichiarata sempre disposta a collaborare all'ulteriore sviluppo della sicurezza mediante trattati. Epperò, in considerazione di ciò che finora è stato fatto in questo campo, non le può essere negata oltre la realizzazione della parità.

Benché nella convenzione dell'H dicembre 1932 non sia fatta menzione della realizzazione della parità in tappe, la Germania è disposta, per quanto concerne la quantità degli armamenti, di restare, per la durata della prima convenzione, al di sotto del livello al quale avrebbe diritto di fronte agli altri Stati, qualora i principi dell'articolo 8 venissero applicati in ugual maniera. Per contro dev'essere realizzata, nella prima convenzione, la parità qualitativa, poiché la Germania non può tollerare e meno ancora riconoscere per trattato alcuna altra discriminazione. La Germania è tuttavia disposta ad accettare il principio di un periodo di transizione. Il minimo riguardo alla sua sicurezza nazionale esige però, che essa dev'essere armata degli stessi tipi di armi come tutti gli altri Stati li richiedono per la difesa del loro paese. Qualora si introduca un tipo unico per gli effettivi di personale di tutti gli Stati continentali d'Europa, deve essere creato un tipo unico anche per lo armamento, altrimenti non si raggiungerebbe la paragonabilità delle armate dei vari Stati che si vorrebbe ottenere per la unificazione della organizzazione degli effettivi del personale.

Nello spirito della conciliazione e della collaborazione, la Germania è disposta a dichiararsi d'accordo sui seguenti punti:

1.) con la introduzione di nuove disposizioni di sicurezza nella convenzione (parte I del piano inglese), premesso che sul contenuto di queste disposizioni sia raggiunta l'unanimità;

2.) con l'unificazione delle armate continentali, cioè la trasformazione della Reichswehr sulla base del piano inglese entro cinque anni e secondo un metodo che tiene conto della particolare situazione della Germania;

3.) con un sistema di controllo, premesso che questo si effettui in pari modo in tutti gli Stati e che si limiti a ciò che è necessario ed opportuno;

4.) con la rinuncia a tutte le armi offensive che debbono venire abolite e distrutte da tutti gli Stati al più tardi entro cinque anni;

5.) in quanto alle armi difensive, che finora erano state vietate alla Germania, ma che dovrebbero essere per gli altri Stati permesse e numericamente fissate, la Germania si contenterà per la durata di cinque anni con una quantità minore che non sarebbe in diritto di chiedere se si adoperasse la stessa misura per tutti gli Stati;

6.) la Germania è disposta a non far valere il suo diritto di sostituire le vecchie navi di linea eccezione fatta unicamente per la messa in cantiere di una nave di sostituzione;

7.) la Germania accetta la pubblicazione delle spese di difesa. Essa è però dell'opinione che la limitazione contrattuale dei bilanci di difesa nell'attuale momento è impossibile per motivi tecnici;

8.) la Germania accetta nella questione della fabbricazione delle armi e del commercio delle armi: a> la pubblicità internazionale; b) la sorveglianza statale; c) il controllo sulla base delle disposizioni generali del piano inglese.

La Germania per altro, nell'interesse della sicurezza per tutti gli Stati e della propria capacità di difesa non può rinunciare ai seguenti punti:

1.) abolizione e divieto delle armi offensive per tutti gli Stati entro un termine precisamente fissato;

2.) una forza degli effettivi del personale e metodi tali per la trasformazione della Reichswehr che tengano conto di 14 annate di riserve istruite in altri paesi anche di truppe di oltre mare stazionate nella madre patria o nella sua vicinanza;

3.) per lo meno una certa quantità da fissarsi contrattualmente di tutte quelle armi di difesa che per la durata della convenzione sono permesse e numericamente fissate per gli altri Stati e che questi Stati ritengono necessarie per la loro dift>~;a nazionale.

Questo memorandum si fonda sulla base che il progetto inglese della convenzione non venga modificato a svantaggio della Germania.

987

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3173/495 R. Berlino, 15 luglio 1933 (per. il 20).

Vice Cancelliere von Papen mi ha detto che i negoziati per il concordato, felicemente conclusi, sono stati laboriosissimi e corsero parecchie volte il rischio di essere rotti o per lo meno sospesi a causa delle notizie di violenze commesse, sopratutto in Baviera, contro il Clero Cattolico e membri influenti del Centro. Più di una volta il Cardinale Pacelli lo accolse con l'animo accorato e gli mostrò telegrammi annuncianti l'arresto di sacerdoti Cattolici (ne menzionò il numero di 45) nonchè altri fatti assai spiacevoli. Egli aveva sempre sostenuto che appunto perciò occorreva concludere con la massima urgenza le trattative, giacché era sicuro che la conseguenza immediata di un concordato col Reich sarebbe stato il rilascio degli arrestati e la fine delle altre m~sure cont;ro i Cattolici in Germania.

Doveva riconoscere che il Cardinale Pacelli aveva facilitato grandemente il suo compito, la perfetta sua conoscenza della Germania, sia pure di una Germania diversa da quella attuale, era stata di grande aiuto per superare ogni difficoltà.

Da parte sua il Sommo Pontefice, ricevendolo in udienza, gli aveva detto che, pur non approvando molti dei provvedimenti presi dal Governo di Hitler, taluni dei quali erano contrari ai principi della carità cristiana, egli si era indotto a dare la sua approvazione al Concordato in considerazione del vantaggio che sperava ne potessero trarre i Vescovi, il Clero e i Cattolici tedeschi e dell'indiscutibile servizio reso all'umanità e alla religione dall'attuale Governo del

Reich combattendo in modo così energico il comunismo ed opponendosi al suo dilagare in Europa. Il signor von Papen mi disse quindi i punti principali del concordato che, nelle sue grandi linee, è calcato su quello concluso con l'Italia. Permangono in vigore gli attuali concordati con la Prussia, la Baviera ed il Baden.

I vescovi delle altre sedi del Reich vengono nominati dalla Santa Sede, previo accertamento che non vi sono obbiezioni di natura politica da parte del Governo del Reich.

Viene nominato nuovamente un vescovo castrense e questo è scelto d'accordo fra la Santa Sede e il Governo del Reich. L'insegnamento religioso viene impartito nelle scuole secondo le norme impartite dai vescovi.

Il principio che il matrimonio civile deve sempre precedere quello religioso subisce due eccezioni: nei casi di morte imminente ed ove lo richiedano gravi ragioni morali.

Le associazioni cattoliche aventi carattere prettamente religioso continuano ad esistere e dipendono esclusivamente dai vescovi. Quelle aventi finalità mista potranno esistere, ma saranno sorvegliate dallo Stato. Entro 30 giorni dalla firma del concordato verrà redatto un elenco esatto delle prime e delle seconde.

Al Clero Cattolico è vietato di appartenere ad alcun partito politico.

Il signor von Papen mi disse infine che ripartirà mercoledì 19 corrente in aeroplano per Roma onde firmare il Concordato, avendo esso ottenuto ieri mattina l'approvazione del consiglio dei ministri del Reich.

988

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3171/496 R. Berlino, 15 luglio 1933 (per. il 20).

Il vice cancelliere von Papen mi disse che, ritornando a Roma nella settimana entrante per la firma del concordato fra la Santa Sede ed il Reich, chiederà di essere nuovamente 11icevuto dall'E. V.

Egli aggiunse che gli riusciva difficile esprimere la profonda impressione riportata dal colloquio avuto recentemente con V. E. per l'elevatissima vi:sione con cui ella gli aveva parlato dei vari problemi politici:

Nel prossimo colloquio egli contava di essere in grado di esporre esattamente all'E. V. i desiderata della Germania in materia di riarmamento, dato che era sua intenzione di farne oggetto di discussioni nel primo incontro dei rappresentanti delle quattro Potenze occidentali d'Europa che avrebbero dovuto occuparsi delle questioni connesse con i progetti di disarmo.

Credetti dirgli che il barone von Neurath mi aveva recentemente pregato di far conoscere all'E. V. che il Governo del Reich riteneva preferibile non toc

care per il momento a questo argomento e gli domandai se quanto egli mi aveva detto dovesse essere da me interpretato come un cambiamento di idee da parte del Governo tedesco.

Il signor von Papen mi rispose di ignorare che il barone von Neurath si fosse espresso meco nei termini suddetti. In tal caso, aggiunse, S. E. Mussolini penserà probabilmente a qualche altro argomento politico da porre sul tavolo delle discussioni a quattro, dato che non vi era se non l'imbarazzo della scelta. Osservai dal mio lato che occorreva anche però che la scelta fosse opportuna ed in ciò sarebbe consistita indubbiamente l'abilità di V. E.

Ho chiesto al signor von Papen se V. E. gli avesse parlato della riunione dei quattro Capi di Governo come di una cosa alla quale ella pensasse per un'epoca prossima, ricevendo la risposta che non era stata indicata alcuna data e ch'egli aveva avuto solo l'impressione che V. E. intendeva mettere in moto sollecitamente il meccanismo del patto a quattro dal quale tutti si ripromettevano felici risultati.

989

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, E IL PRESIDENTE DELLA CONFERENZA DEL DISARMO, HENDERSON (l)

APPUNTO. Roma, 15 luglio 1933.

Il Capo del Governo dice di aver fatto esaminare le ultime proposte francesi per il disarmo, di cui si è fatto interprete il Signor Henderson (2). Trova che tale progetto è cattivo: c'è il controllo ma non c'è il disarmo.

Il Signor Henderson è pure di opinione che il progetto sia cattivo, ma nelle circostanze attuali non vede che ci sia da fare molto di meglio.

Il Capo del Governo insiste sul fatto che nel primo periodo manca il disarmo, mentre per la Germania non si concede nessun miglioramento per la sua situazione attuale.

Il Signor Henderson constata che effettivamente il primo periodo mantiene presso a poco lo statu quo.

Chiede poi il Signor Henderson al Capo del Governo se potrebbe in massima dare il suo consenso per la forma di controllo contemplata dal progetto francese e per l'entrata in funzione della commissione permanente, prima ancora della ratifica della convenzione sul disarmo.

Sono due punti ai quali egli dà molta importanza e che, se approvati da tutti, costituirebbero già un progresso nelle trattative.

Il Capo del Governo ritiene che convenga che prima il Signor Henderson senta i tedeschi, dove troverà certamente una notevole reazione. Il compito dell'Italia verrà in un secondo tempo quando, in possesso di tutti gli elementi, si potrà fare opera fattiva di conciliazione.

Il Signor Henderson osserva che egli conta anche sul Patto a quattro, come su uno degli elementi più importanti per giungere ad una soluzione. Il Capo del Governo risponde che questo è effettivamente il primo compito che dovrà affrontare il Patto a quattro.

Chiede al signor Henderson qual'è ora il suo programma.

Il Signor Henderson si reca ora a Berlino e poi a Praga e al suo ritorno a Londra ci farà sapere, a mezzo dell'Ambasciatore, l'esito dei suoi colloqui. Il Capo del Governo ritiene che il Signor Henderson a Berlino potrebbe mettersi in rapporto col nostro Ambasciatore Cerruti.

Il Signor Henderson seguirà questo consiglio.

Il Capo del Governo augura al Signor Henderson il successo per il compito che si è assunto, e lo assicura del suo appoggio per giungere ad una felice soluzione.

(l) -Al colloquio era presente Suvich, che redasse l'appunto. (2) -Cfr. n. 985.
990

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI GERMANIA, HASSELL

APPUNTO. Roma, 15 luglio 1933.

Ho mostrato all'Ambasciatore di Germania il riassunto delle conversazioni con Henderson. Egli stesso ha parlato con Henderson e gli ha esposto il punto di vista tedesco. Non ritiene accettabile il progetto francese.

Mi chiede poi se, in occasione della venuta di Tewfik Rouschdi bey si sia parlato degli Stretti. Gli rispondo di no.

Mi mostra una corrispondenza tedesca tratta da informazioni francesi e Piccola Intesa, in cui si parla di accordi fra l'Italia, la Francia e la Piccola Intesa, rinunzia nostra a revisioni territoriali a nostro favore ecc.

Gli chiarisco che di tutto ciò non esiste nulla. Forse lo punto è da ricercarsi nell'affermazione più volte ripetuta che noi non chiediamo la revisione a nostro favore.

<
APPENDICI

APPENDICE I

AMBASCIATE E LEGAZIONI DEL REGNO D'ITALIA ALL'ESTERO

(Situazione al 1° febbraio 1933)

AFGANISTAN

Kabul -GALANTI Vincenzo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PENNACCHIO Luigi, interprete.

ALBANIA

Tirana -KocH Ottaviano Armando, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BARBARICH conte Alberto, console con funzioni di segretario; ANTINORI marchese Orazio, vice console con funzioni di segretario; PARIANI Alberto, generale di divisione, addetto militare; DANISCA Pietro, interprete.

ARABO SAUDIANO (Regno)

Gedda -DE PEPPO Ottavio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ToNCI ilio Dino, interprete.

ARGENTINA

Buenos Aires -ARLOTTA Mario, ambasciatore; BERTELÈ Tommaso, primo segretario; MACCHI, dei conti di Cellere, Pio, console con funzioni di segretario; MANCINI Tommaso, addetto commerciale.

AUSTRIA

Vienna -PREZIOSI Gabriele, inviato straordinario e ministro plenipotenziarto; Rossi LONGHI Alberto, primo segretario; STRANEO Carlo Alberto, console con funzioni di segretario; CHASTEL Roberto, vice console con funzioni di segretario; FABBRI Umberto, tenente colonnello, addetto militare e aeronautico; DI NoLA Carlo, addetto commerciale.

BELGIO

Bruxelles -VANNUTELLI REY conte Luigi, ambasciatore; BONARELLI DI CASTEL BoMPIANO conte Vittorio Emanuele, consigliere; PERRONE, dei conti di San

71 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XIII

Martino, Ettore, primo segretario; BERAuoo, dei conti di Pralormo, Emanuele, tenente colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a Parigi); FUMAGALLI Filippo, capitano di vascello, addetto navale (residente a Parigi); Pwcm Pier Ruggero, generale di divisione aerea, addetto aeronautico (residente a Parigi); RoMANO Giorglo, capitano dell'aeronautica, addetto aeronautico aggiunto (residente a Parigi).

BOLIVIA

La Paz -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziarlo.

BRASILE

Rio de Janeiro -CANTALUPO Roberto, deputato al Parlamento, ambasciatore; LEQUIO Francesco, consigliere; GuGLIELMINETTI Giuseppe, primo segretario; STRIGARI Vittorio, vice console con funzioni di segretario.

BULGARIA

Sofia -CoRA Giuliano, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; IANNELLI Pasquale, primo segretario; DE BOTTINI di SANT'AGNESE Achille, tenente colonnello addetto militare ed aeronautico; SoLDATI Roberto, capitano di vascello, addetto navale (residente ad Ankara); BARIGIANI Andrea, reggente la delegazione commerciale.

CECOSLOVACCHIA

Praga -Rocco Guido, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BERIO Alberto, primo segretario; GmooTTI Gastone, console con funzioni di segretario; CADORNA conte Raffaele, tenente colonnello di cavalleria, addetto militare; BRENTA Giacomo, maggiore, addetto aeronautico (residente a Belgrado); CoRVI Antonio Menotti, addetto commerciale.

CILE

Santiago -PEDRAZZI Orazio, ambasciatore; TONI Piero, primo segretario con funzioni di consigliere.

CINA

Pechino -CIANO, dei conti di Cortellazzo, Galeazzo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ANFuso Filippo, console con funzioni di segretario; VENTURINI Antonio, vice console con funzioni di segretario; FRATTINI Eurio, tenente colonnello, addetto militare (residente a Tokio); BRENGOLA Silvano, tenente di vascello, con funzioni di addetto navale; LoDI Ettore, colonnello dell'aeronautica, addetto aeronautico; Ros Giuseppe, interprete; DI RENZO Marco, interprete.

COLOMBIA

Bogotà -GAZZERA Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

COSTARICA

NEGRI conte Vittorio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Panama).

CUBA

Avana -BoscARELLI Raffaele, inviato straordinario e ministro plenipotenzlario.

DANIMARCA

Copenaghen -CAcAsso TORRE DI CAPRARA conte Giovanni, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PANSA Mario, console con funzioni di segretario; MANCINELLI Giuseppe, tenente colonnello, addetto militare (residente a Berlino); TREBILIANI Pier Francesco, capitano di fregata, addetto navale (residente a Berlino); SENZADENARI Raffaele, tenente colonnello dell'aeronautica, addetto aeronautico (residente a Berlino); DE ANGELIS Carlo, capitano di corvetta, addetto navale aggiunto (residente a Berlino); Luzi Renato, addetto commerciale.

DOMINICANA (Repubblica)

BoscARELLI Raffaele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente all'Avana).

EGITTO

Cairo -PAGLIANO conte Emilio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; NoNIS Alberto, primo segretario; MIGONE Bartolomeo, console con funzioni di segretario; OMAR Umberto interprete; BuFFONI Decio, reggente la delegazione commerciale.

EL SALVADOR (Repubblica di)

San Salvador -GRAZZI Emanuele, incaricato d'affari (residente a Guatemala).

EQUATORE

Quito -CAFIERO Ugo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

ESTONIA

Tallinn -TosTI, dei duchi di Valminuta, conte Mauro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PACIFICI Dante, tenente colonnello del genio, addetto militare (residente a Varsavia).

ETIOPIA

Addis Abeba -VrNcr GIGLIUCCI conte Luigi Orazio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MoMBELLI Giulio, console con funzioni di segretario; MACCHI, dei conti di Cellere, conte Francesco, vice console con funzioni di segretario; RuGGERO Vittorio, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; MaRENO Martino Mario, direttore coloniale.

FINLANDIA

Helsinki -TAMARO Attilio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PACIFICI Dante, tenente colonnello del genio, addetto militare (residente a Varsavia); SENZADENARI Raffaele, tenente colonnello dell'aeronautica, addetto aeronautico (residente a Berlino).

FRANCIA

Parigi -PIGNATTI MORANO Dr CUSTOZA conte Bonifacio, ambasciatore; FRANSONI Francesco, consigliere; CAPRANICA DEL GRILLO marchese Giuliano, primo segretario; DE PAOLIS Pietro, primo segretario; LANDINI Amedeo, console; REVEDIN Dr SAN MARTINO conte Giovanni, vice console con funzioni di segretario; BERAuno, dei conti di Pralormo, Emanuele, tenente colonnello di cavalleria, addetto militare; FuMAGALLI Filippo, capitano di vascello, addetto navale; PICcro Pier Ruggero, generale di divisione aerea, addetto aeronautico; ROMANO Giorgio, capitano dell'aeronautica, addetto aeronautico aggiunto; CoLETTI Silvio, consigliere di emigrazione; TOMMASINI Mario, vice consigliere di emigrazione; CARAVALE Erasmo, consigliere commerciale.

GERMANIA

Berlino -CERRUTI Vittorio, ambasciatore; CICCONARDI Vincenzo, consigliere; OTTAVIANI Luigi, primo segretario; SERRA DEr DucHI Dr Cassano Giovan Battista, console con funzioni di segretario; BADOGLIO, dei marchesi del Sabotino, Mario, vice console con funzioni di segretario; MANCINELLI Giuseppe, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; TREBILIANI Pier Francesco, capitano di fregata, addetto navale; SENZADENARI Raffaele, tenente colonello dell'aeronautica, addetto aeronautico; DE ANGELIS Carlo, capitano di corvetta, addetto navale aggiunto; RICCIARDI Adelchi, consigliere commerciale.

GIAPPONE

Tokio -AURITI Giacinto, ambasciatore; GARBAcciO Livio, console con funzioni di segretario; FRATTINI Enrico, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare, navale ed aeronautico; PARDO Diego, capitano di vascello, addetto navale; MELKAY Almo, interprete.

GRAN BRETAGNA

Londra -GRANDI Dino, ambasciatore; VITETTI Leonardo consiglie,re; PRUNAS Renato, primo segretario; BosiO Giovanni Jack, console con funzioni di segretario; DEL BALZO, dei duchi di Presenzano, Giulio, vice console con funzioni di segretar1o; BRUGNOLI Alberto, vice console con funzioni di segretario; DE FACCI NEGRATI Gaetano, con funzioni di addetto; MONDADORI Umberto, tenente colonnello, addetto militare; IACHINO Angelo, capitano di vascello, addetto navale; TRIGONA DELLA FoRESTA Ercole, capitano dell'aeronautica, addetto aeronautico; CECCATO Giovan Battista, consigliere commerciale; VILLARI Luigi, consigliere di emigrazione.

GRECIA

Atene -DE Rossi DEL LION NERO Pier Filippo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CASSINIS Angiolo, primo segretario; CoRONATI Emilio, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare ed aeronautico; TRIONFI marchese Giuseppe, capitano di vascello, addetto navale; DE SANTO Demetrio, interprete.

GUATEMALA

Guatemala -GRAZZI Emanuele, incaricato d'affari.

HAITI

BoscARELLI Raffaele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente all'Avana).

HONDURAS

Tegucigalpa -GRAZZI Emanuele, incaricato d'affari (residente a Guatemala).

IRAQ

Bagdad -PORTA Mario, incaricato d'affari; BELLINI Leone Faliano, interprete.

JUGOSLAVIA

Belgrado -GALLI Carlo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CoRTINI Claudio, primo segretario; ALESSANDRINI Adolfo, console con funzioni di segretario; FRANCESCHINI ANTONIO, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; CRESPI Alfredo, capitano di vascello, addetto navale; BRENTA Giacomo, maggiore dell'aeronautica, addetto aeronautico; RosA Nicolò, capitano, addetto militare aggiunto; DE SARNO SAN GIORGIO Pietro, interprete.

LETI'ONIA

Riga -MAMELI Francesco Giorgio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MENZINGER DI PREUSSENTHAL Enrico, primo segretario; PACIFICI Dante, tenente colonnello del genio, addetto militare (.residente a Varsavia).

LITUANIA

Kaunas -AMADORI Giovanni, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MANCINELLI Giuseppe, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare ed aeronautico (residente a Berlino).

LUSSEMBURGO

Lussemburgo -CHIAROMONTE BoRDONARO Gabriele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

MESSICO

Messico -RoGERI, dei conti di Villanova, Delfino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

NICARAGUA

Managua -GRAZZI Emanuele, incaricato d'affari.

NORVEGIA

Oslo -DE MARSANICH Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziarlo; TREBILIANI Pier Francesco, capitano di fregata, addetto navale (residente a Berlino); SENZADENARI Raffaele, tenente colonnello dell'aeronautica, addetto aeronautico (residente a Berlino); DE ANGELIS Carlo, capitano di corvetta, addetto navale aggiunto (residente a Berlino).

PAESI BASSI

L'Aja -TALIANI Francesco Maria, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SILENZI Renato, primo segretario; MANCINELLI Giuseppe, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Berlino); TREBILIANI Pier Francesco, capitano di fregata, addetto navale (residente a Berlino); SENZADENARI Raffaele, tenente colonnello dell'aeronautica, addetto aeronautico (residente a Berlino); DE ANGELIS Carlo, capitano di corvetta, addetto navale aggiunto (residente a Berlino); NoTARANGELI Tommaso, reggente la delegazione commerciale.

PANAMA

Panama -NEGRI conte Vittorio, inviato straordinario e ministro plenipotenzlario.

PARAGUAY

Assunzione -BARTOLuccr GoDOLINI Giovanni Battista, marchese di Castelletta, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

PERSIA

Teheran -VIOLA Guido, conte di Campalto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RossET DESANDRÉ Antonio, console con funzioni di segretario; DI MONTEFORTE Giuliano, interprete.

PERU'

Lima -BIANCHI Vittorio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

POLONIA

Varsavia -BASTIANINI Giuseppe, ambasciatore; BELLARDI Rrccr Alberto, consigliere; CITTADINI conte Pier Adolfo, primo segretario; PACIFICI Dante, tenente colonnello del genio, addetto militare, navale ed aeronautico; PIETRABISSA Francesco, addetto commerciale; ANGLE Romano, interprete.

PORTOGALLO

Lisbona -Tuozzr Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MARIANI Luigi, primo segretario; RODA Alberto, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Madrid); LoMBARDI Giuseppe, capitano di fregata, addetto navale (residente a Madrid); GELMETTI Umberto, maggiore dell'aeronautica, addetto aeronautico (residente a Madrid); MARIANI Erminio, consigliere commerciale (residente a Madrid).

ROMANIA

Bucarest -SoLA Ugo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CosTA SAN SEVERINO Francesco, primo segretario; MARINI Vittorio; console con funzioni di segretario; ZANOTTI Mario, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare ed aeronautico; CRESPI Alfredo, capitano di vascello, addetto navale (residente a Belgrado); DE MARTINO Giuseppe, addetto commerciale; RoccHI Cesare, archivista interprete.

SANTA SEDE

Roma -DE VECCHI DI VAL CISMON conte Cesare Maria, ministro di Stato, senatore del Regno, governatore onorario di colonia, ambasciatore; TALAMO ATENOLFI Giuseppe, marchese di Castelnuovo, primo segretario; SALLIER DE LA TouR CoRIO duca Paolo, console con funzioni di segretario; BAZZANI Attilio, commissario regionale di seconda classe; PELIZZOLA monsignor Antonio, consulente ecclesiastico.

SIAM

Bangkok -CAVICCHIONI Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Bovo Goffredo, console interprete di seconda categoria.

SPAGNA

Madrid -GUARIGLIA Raffaele, ambasciatore; GEISSER CELESIA DI VEGLIASCO Andrea, consigliere; DELLA PORTA Francesco, primo segretario; MALASPINA, dei marchesi di Carbonara e di Volpedo, Folchetto, console con funzioni di segretario; RoDA Alberto, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; LOMBARDI Giuseppe, capitano di fregata, addetto navale; GELMETTI Umberto, maggiore dell'aeronautica, addetto aeronautico; MARIANI Erminio, consigliere commerciale.

STATI UNITI D'AMERICA

Washington -Rosso Augusto, ambasciatore; DIANA Pasquale, consigliere; RoN

CALLI, dei conti di Montorio, Guido, primo segretario; ToMMASI Giuseppe, console con funzioni di segretario; FERRERO Andrea, vice console con funzioni di segretario; PENNAROLI Marco, tenente colonnello di artiglieria, addetto militare; CASARDI Ferdinando, capitano di vascello, addetto navale; SBERNARDORI Paolo, maggiore dell'aeronautica, addetto aeronautico; BoNARDELLI Eugenio, consigliere dell'emigrazione; ANGELONE Romolo, addetto commerciale.

SUD AFRICA

Capetown -LABIA conte Natale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RuLLI Guglielmo, primo segretario.

SVEZIA

Stoccolma -PATERNÒ DI MANCHI DI BILICI marchese Gaetano, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CAFFARELLI Filippo, primo segretario; MANCINELLI Giuseppe, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (.residente a Berlino); TREBILIANI Pier Francesco, capitano di fregata, addetto navale (residente a Berlino); SENZADENARI Raffaele, tenente colonnello dell'aeronautica, addetto aeronautico (residente a Berlino); DE ANGELIS Carlo, capitano di corvetta, addetto navale aggiunto (residente a Berlino).

SVIZZERA

Berna -MARCHI Giovanni, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CARISSIMO Agostino, primo segretario; TALIANI Pio, console con funzioni di segretario; AssETTATI Augusto, vice console con funzioni di segretario; FERRONE Adolfo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; PICcio Pier Ruggero, generale di divisione aerea, addetto aeronautico (residente a Parigi); RoMANO Giorgio, capitano dell'aeronautica, addetto aeronautico aggiunto (residente a Parigi).

TURCHIA

Ankara -LOJACONO Vincenzo, ambasciatore; PASETTI Vittorio, primo segretario con funzioni di consigliere; MANNERINI Alberto, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; SoLDATI Roberto, capitano di vascello, addetto navale ed aeronautico; PisA Ezra, interprete; ARRIVABENE Antonio, reggente la delegazione commerciale; PoDESTÀ Giuseppe, interprete.

UNGHERIA

Budapest -CoLONNA dei principi, Ascanio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BALDONI Corrado, primo segretario; GuERRINI MARALDI Agostino, console con funzioni di segretario; PEscATORI Federico, vice console con funzioni di segretario; OxiLIA Giovanni Battista, tenente colonnello di artiglieria, addetto militare ed aeronautico; DI NoLA Carlo, addetto commerciale (residente a Vienna).

UNIONE DELLE REPUBBLICHE SOCIALISTE SOVIETICHE

Mosca -ATTOLICO Bernardo, ambasciatore; CANTONI MARCA Antonio, consigliere; DI STEFANO Mario, primo segretario; LANZA Michele, vice console con funzioni di segretario; DE FERRARI Aldo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare, navale ed aeronautico; BALLERINI Efisio, consigliere commerciale.

URUGUAY

Montevideo -MAzzoLINI Serafino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

VENEZUELA

Caracas -VIVALDI Guglielmo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

APPENDICE II

UFFICI DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

(Sitruazione al 30 giugno 1933)

MINISTRO

MussoLINI Benito, Capo del Governo, Primo Ministro Segretario di Stato. Segretario particolare: CHIAVOLINI Alessandro.

SOTTOSEGRETARIO DI STATO

SuvicH Fulvio, deputato al Parlamento.

GABINETTO

Affari confidenziali -Ricerche e studi in relazione al lavoro del Ministro -Rapporti con la stampa e le agenzie telegrafiche -Relazioni del Ministm col Parlamento e col Corpo Diplomatico -Udienze -Tribuna diplomatica

Capo di Gabinetto: ALOISI barone Pompeo, ambasciatore. Segretari: JACOMONI Francesco, consigUe,re di legazione con funzioni di vice capo di Gabinetto; CosMELLI Giuseppe, primo segretario di legazione di l a classe; VIDAU Luigi, console di la classe; CORTESE Luigi, primo segretario di legazione di 2a classe; BORGA Guido, DEL DRAGO BISCIA GENTILI, dei principi d'Antuni, Marcello, consoli di 2a classe; TORELLA, dei baroni, Raimondo, console di 3a classe; NICHETTI Carlo, vice console di P classe; LEPRI, dei marchesi, Stanislao, LANZA d'AJETA dei principi di Trabia, marchese Blasco, vice consoli di 2a classe. Addetto al Gabinetto: BIFULco Vittorio, primo segretario nella Amministrazione centrale delle Finanze.

UFFICIO STAMPA

SpogliJ.o della stampa estera e della stampa italiana nei riguardi della politica estera -Segnalazioni di notizie ed informazioni di stampa -Informazioni a giornali ed agenzie italiane ed estere -Servizi stampa delle Regie Rappresentanze all'estero -Pubblicazione della «Rassegna della stampa estera » -Traduzioni.

Capo Ufficio: Il Capo dell'Ufficio Stampa di il Capo del Governo, PoLVERELLI Gaetano, deputato al Parlamento.

Vice Capo Ufficio: SAPUPPO Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe.

Segretari: MASCIA Luciano, primo segretario di legazione di 2a classe; DE VERA D'ARAGONA, Carlo Alberto, duca d'Alvito; BERGAMASCHI Bernardo, CAPECE GALEOTA, dei conti, Giuseppe, consoli di 2a classe; GAETANI DELL'AQUILA D'ARAGONA, dei duchi di Laurenzana, conte Massimo, addetto consolare.

Addetti all'Ufficio: RANDI Oscar, direttore provinciale di 2a classe nell'Amministrazione delle Poste e Telegrafi; ANTINUCCI Umberto, capitano d'artiglieria.

UFFICIO DEL CERIMONIALE

Regole del cerimoniale -Lettere reali -Credenziali -Lettere di richiamo -Pieni poteri -Privilegi ed immunità degli agenti diplomatici e consolari -Franchigie in materia d.oganale ai regi agenti all'estero e agli agenti stranieri in Italia -Massimario -Visite e passaggi di Capi di Stato, Principi e autorità estere -Decorazioni nazionali ed estere -Libretti e richieste ferroviarie per il personale -Passaporti di servizio ed ordinari.

Capo Ufficio: SENNI, dei conti, Carlo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di la classe.

Segretari: AssERETO Tommaso, primo segretario di legazione di la classe; VANNI, dei duchi d'Archirafi, Francesco Paolo, console di 2a classe; Muz1 FALCONI, dei baroni Filippo, CHIAVARI marchese Gian Girolamo, console di 3a classe.

SERVIZIO ISTITUTI INTERNAZIONALI

Capo del servizio: BIANCHERI CHIAPPORI Augusto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di la classe.

Aggregati al servizio: MELI LUPI DI SORAGNA marchese Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe; BovA ScoPPA Renato, primo segretario di legazione di la classe; PERASSI Tommaso, professore ordinario di diritto internazionale nel Regio Istituto superiore di scienze economiche e commerciali di Roma; RusPOLI, dei principi, Fabrizio, capitano di vascello in ausiliaria; Bosco Giacinto, professore di diritto internazionale nella Regia Università di Urbino.

Capo ufficio: PIETROMARCHI, dei conti, Luca, primo segretario di legazione di la classe.

Segretari: ROSSI LONGHI, dei marchesi, Gastone; FRACASSI RATTI MENTONE, dei marchesi di Torre Rossano, Cristoforo, console di 2a classe; PLETTI Mario, vice console di la classe; RuFFO DI CALABRIA, dei principi di Scilla, Francesco, addetto consolare.

DIREZIONE GENERALE PER GLI AFFARI POLITICI

Direttore generale: BuTI Gino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe.

Addetto alla direzione generale: GALLI Guido, console di la classe.

UFFICIO I

Belgio -Francia -Germania -Gran Bretagna -Lussemburgo -Paesi Bassi -Polonia -Portogallo -Spagna -Stati Baltici -Stati Scandinavi -Svizzera -Unione delle Repubbliche Sovietiche

Capo ufficio: QuARONI Pietro, consigliere di legazione.

Segretari: MoscA Bernardo, primo segretario di legazione di 2a classe; COTTAFAVI Antonio, console di 2a classe; ALOISI DE LARDEREL, dei baroni Folco, addetto consolare.

UFFICIO II

Austria -Bulgaria -Cecoslovacchia -Grecia -Jugoslavia -Romania

Turchia -Ungheria -Affari concernenti le Isole Italiane nell'Egeo

Capo ufficio: N. N. Segretari: DE AsTIS Giovanni, primo segretario di legazione di 2a classe; CoPPINI Maurilio, console di 2a classe; DE BosDARI, dei conti, Girolamo, vice console di 2a classe; FARACE, dei marchesi, Ruggero, addetto consolare.

UFFICIO III

Africa -Iraq -Palestina -Penisola Arabica -Siria -Affari concernenti la Libia, l'Eritrea e la Somalia italiana.

Capo ufficio: GUARNASCHELLI Giovanni Battista, console di P classe.

Segretari: ZoPPI, dei conti, Vittorio, primo segretario di legazione di 2a classe; DE GRENET Filippo, vice console di 2a classe; THEODOLO, dei marchesi, Livio, addetto consolare.

UFFICIO IV

Asia (eccetto i paesi di competenza di altri uffici) -Oceania.

Capo ufficio: SCADUTO Gioacchino, primo segretario di legazione di la classe. segretario: VENTURINI Roberto, addetto consolare.

UFFICIO V

America del Nord -America Latina.

Capo ufficio: ToRTORA BRAYDA Camillo conte di Policastro, consigliere di legazione.

Segretario: MoNAco Adriano, primo segretario di legazione di 2a classe.

UFFICIO ALBANIA

Capo ufficio: FARALLI Iginio Ugo, console generale di la classe. Segretario: CASTELLANI Vittorio, console di 3a classe.

DIREZIONE GENERALE PER GLI AFFARI ECONOMICI

Direttore generale: CIANCARELLI Bonifacio Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di la classe.

Comandato: DEI MEDICI, conte Ugo, vice intendente di finanza.

UFFICIO I

Affari commerciali concernenti l'Europa.

Capo ufficio: SEGRE Guido, console generale di 2a classe.

Segretari: TELESIO, dei duchi di Toritto, Giuseppe, console di 2a classe; CoNFALONIERI, dei baroni, Giuseppe Vitaliano, console di 3a classe.

UFFICIO II

Affari commerciali concernenti i paesi extra-europei.

Capo ufficio: SANTOVINCENZO Magno, console di 2a classe, reggente. Segretario: EMo CAPODILISTA conte Gabriele, addetto consolare.

UFFICIO III

Politica doganale -Trattati di commercio -Affari finanziari -Prestiti.

Capo ufficio: GRAZZI Umberto, primo segretario di legazione di 2a classe, reggente. Segreta,ri: ScAGLIONE Roberto, console di 3a classe; Lo SAVIO Pio, vice console di la classe.

UFFICIO IV

Fiere -Mostre -Congressi economici e finanziari -Politica del Turismo.

Capo ufficio: PERSICO Giovanni, primo segretario di legazione di la classe. Segretario: CuTURI Antonio, console di 2a classe.

DIREZIONE GENERALE DEL PERSONALE

Direttore generale: ARONE Pietro, barone di Valentino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di la classe.

Addetti alla Direzione generale: ALBERTAZZI conte Enrico, consigliere di Cassazione, con titolo e rango di console generale onorario; MONTESI Giuseppe, direttore capo divisione; EMILIANI Luigi, primo commissario consolare.

UFFICIO I

Personale di gruppo A delle carriere dipendenti del Ministero degli Affari Esteri -Personale consolare di seconda categoria -Uffici diplomatici e consolari all'estero -Ispezione degli uffici all'estero -Questioni che si riferiscono all'ordinamento del Ministero e delle carriere diplomatica conSJolare e degli interpreti -Concorsi nomine ed ammissioni, commissioni d'avanzamento e consigli del Ministero relativi al personale predetto -Addetti militari, navali, aeronautici, commerciali e loro uffici -Personale e uffici diplomatici e consolari esteri in Italia Bollettini di dett.o perso.nale -Passaporti diplomatici.

Capo Ufficio: MARCHETTI DI MURIAGLIO conte Alberto, consigliere.

Segretari: FoRNARI Giovanni, console di 2a classe; SoARDI Carlo Andrea, console di 3a classe; GUASTONE BELCREDI Enrico, addetto consolare.

UFFICIO II

Personale di ogni altro grupp,o o categoria dipendente dall'Amministrazione degli Affari Esteri, eccetto il personale delle scuole italiane all'estero -Co.ncorsi, nomine ed ammissioni, Commissioni d'avanzamento e Consigli del Ministero; ed in generale tutte le questioni relative alle carriere e amordinamento del personale suddetto -Bollettini che si riferiscono al personale stesso.

Capo ufficio: GLORIA, dei conti, Ottavio, console generale di 28 classe.

Segretari: FECIA DI CossATO, dei conti, Carlo, console di 28 classe; ORTONA Egidio, addetto consolare.

UFFICIO III

Servizi Amministrativi.

Capo ufficio: RINVERSI Romolo, capo divisione dei commissari consolari. Segretari: BoNAVINO Arturo, AGOSTEO Cesare, capi sezione dei commissari consolari; LEONINI Augusto, commissario consolare capo; BONTEMPO Aldo, TORRES Creste, primi commissari consolari; MANZO Ciro, commissario consolare; BIONDO Gaspare, FoRINO Lamberto, volontari commissari consolari. Addetti all'Ufficio: MANcA Elio, segretario capo dell'emigrazione; PAZZAGLIA Gino, segretario capo di ragioneria; RENGANESCHI Vittorio, primo segretario di ragioneria; PIRODDI Mario, RoTA Armando, segretari di ragioneria. Addetti all'ufficio: GAFFI Alfonso, consigliere del Ministero delle Finanze; MANCINI Edoardo, primo capitano di fanteria; TuRETTA Apulia, capitano di artiglieria; MAssiMo Luigi, capitano di fanteria.

UFFICIO IV EDIFICI DEMANIALI

Gestione di tutti gli stabili e locali adibiti ad us.o dell'Amministrazione Centrale e dei RR. Uffici all'estero -Acquisto, vendita, affitto, perm·u.ta, manutenzione ordinaria e straordinaria, miglioramento e arredamento -Assicurazioni, inventari e contratti -Locazione di immobili e locali per uso dei RR. Uffici -T,utte le questioni ooncernenti una nuova sede per il Ministero degli Affari Esteri.

Capo ufficio: SILLITTI Luigi, console generale di la classe. Addetto all'Ufficio: MONACO Potito, commissario consolare.

Sezione tecnica.

FAUSTO Florestano, esperto tecnico.

DIREZIONE GENERALE TRATTATI, ATTI, AFFARI SANTA SEDE E AFFARI PRIVATI

Direttore generale: SANDICCHI Pasquale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di l a classe, consigliere di Stato.

UFFICIO I

Trattati e Atti.

Capo Ufficio: LANINO Edoardo, console generale di 2a classe. Segretari: LANZARA Giuseppe; FORMENTINI Omero, consoli di 2a classe; DE FRANCHIS Carlo; GIGLI America, addetto consolare.

UFFICIO II

Affari con la Santa Sede.

Capo ufficio: BALSAMO, dei conti, Giovanni, consigliere di legazione.

Segretario: MizzAN Ezio, addetto consolare.

UFFICIO III (l)

Affari privati Europa.

Capo ufficio: DELLA CRocE DI DoJOLA conte Galeazzo, console generale di la classe.

Segretario: SIMONE Nicola, vice console di l a classe.

UFFICIO IV

Affari privati dei Paesi extra europei.

Capo ufficio: MAccoTTA Luigi, console generale di 2a classe.

Segretario: N. N.

DIREZIONE GENERALE DEGLI ITALIANI ALL'ESTERO

Direttore generale: PARINI Piero, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe.

UFFICIO I

Opere per gli Italiani all'ester,o -Ispettorato Fasci all'estero -Organizzazioni Giovanili.

Capo ufficio: CALISSE Alberto, console di l a classe.

Segretari: MALASPINA, dei marchesi di Carbonara e di Volpedo, Falchetto, console di 3a classe; DE SIMONE Paolo, CASERTANO Raffaele, vice consoli di la classe; MAsi Corrado, consigliere dell'emigrazioni di 2a classe; RABBY Ezio, LAMPERTico Gaetano, vice consiglieri dell'emigrazione; FLAMINI Pietro, segretario dell'emigrazione.

Addetti all'Ufficio: CoLONNA Piero, dei principi di Paliano, BRANDOLINI D'ADDA conte Annibale, CATALANO GoNZAGA Fabrizio, dei duchi di Girella, DINI Ottavio, capitano dei CC.RR.; LANDI Francesco revisore.

(l) Gll uffici III e IV erano temporaneamente riuniti in un unico servizio autonomo al quale era preposto il Ministro plenipotenziario di 1• classe Beverini Giovanni Battista.

72 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XIII

UFFICIO II

Espatri e lav,oro italiano all'estero.

Capo ufficio: GERBASI Francesco, consigliere dell'emigrazione di 2a classe. Segretari: OLIVERI Umberto, FAGO CATALDO Amedeo, vice consiglieri dell'emigrazione; IMMIRZI Alfonso, Dr MATTE! Alfredo, VACCHELLI Alessandro, primi se

gretari dell'emigrazione. Addetto all'ufficio: Russo Giovanni, commissario onorario della emigrazione. Comandati: Mosso Fortunato Erminio, colonnello medico della R. Marina;

CoTTAFAVI Francesco, console generale della M.V.S.N., ispettore centrale dell'emigrazione; PAGANI Aldo, commissario di P. S.; CosTANTINI Icilio, capitano dei CC.RR.

UFFICIO III

Scuole all'estero.

Capo ufficio: PuLLINO Umberto, console generale di la classe. Segretario: MoNTANARI Franco, vice console di 2a classe. Comandati: VENIALI Francesco Giorgio, ispettore superiore del Ministero del

l'Educazione Nazionale; FERRuzzr Raffaele, capo sezione del Ministero dell'Educazione Nazionale; DE FINA Andrea, segretario capo nei R. Provveditorati agli studi; MALGERI Eugenio, professore nei R. Istituti tecnici; MoscHETTI Edoardo, professore nelle R. scuole secondarie di avviamento professionale; BISCOTTINI Umberto, preside nei R. Ginnasi; LENZI Armando,

R. ispettore scolastico; SARRA Pacenza Angelina, R. ispettrice scolastica; FASSARI Cesare, direttore didattico.

SERVIZIO STORICO-DIPLOMATICO

capo del servizio: ToscANI Angelo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di l a classe. Addetti al servizio per la sezione geografica: ADEMOLLO Umberto, generale di divisione; CALVANI Michele, colonnello di fanteria. Addetto al servizio: RAFFAELLI Pietro.

UFFICIO I

Ricerche e studi su materie storiche e questioni internazionali -Schedari -Rubriche -Pubblicazioni di carattere storico-diplomatico ed amministrativo -Sezione geografica -Tipografia riservata.

Capo ufficio: MAZZOLINI Quinto, console di la classe. Segretari: VrTA-FrNzr Paolo, console di 2a classe; CIPPrco, dei conti, Tristam Alvise; STAFFETTI conte Pier Carlo, vice consoli di P classe; MAzro Aldo Maria, vice console di 2a classe; BARATTIERI DI SAN PIETRO conte Ludovico, DE CLEMENTI Alberto, addetti consolari.

TIPOGRAFIA RISERVATA

Direttore: BERNI Fedele.

UFFICIO II

Archivio Storico -Archivio di deposito -Conservazione ed incremento delle collezioni dei manoscritti del Ministero e dei RR. Uffici all'estero C,onservazione degli originali dei trattati internazionali -Conservazione delle carte riservate degli Archivi del Ministero e dei RR. Uffici all'estero -Inventari -Biblioteca.

Capo ufficio: N. N. Segretario: CANNICCI Achille Angelo, console di 2a classe.

BIBLIOTECA

Bibliotecario: PIRONE Raffaele. Vice bibliotecario: RoNZANI Francesco. Addetto all'ufficio: GRANATA Romolo.

SERVIZIO CORRISPONDENZA

Capo del servizio: RoMANELLI Guido, console generale di la classe. Addetto al servizio: MARZIANI Luigi, consigliere dell'emigrazione di 2• classe.

UFFICIO I

Cifra

Capo ufficio: BOLLATI Attilio, console di la classe. Segretari: CASCIARO Marco; DE MALFATTI DI MONTE TRETTO barone Carlo, consoli di 38 classe; SEGANTI Vittorio, vice console di la classe.

UFFICIO II

Archivi -Apertu.ra e Registrazione c-orrispondenza -Organizzaziane e sorveglianza degli archivi -Corrispondenza in arrivo e in partenza: accettazione, registrazione, spedizione ecc. -Controllo del carteggio degli Uffici in relazione alla corrispondenza in arrivo -Archivi correnti -Servizio dei corrieri.

Capo ufficio: ARDUINI Luigi, console generale di 2a classe. Segretario: GRANDINETTI Eugenio, vice consigliere della emigrazione.

UFFICIO III

Affari Generali

Capo ufficio: BABUSCIO Rizzo Francesco, console di 2a classe, reggente.

Segretari: MoNTECCHI Romeo, console di 3a classe; LoGoLuso Antonio, vice console di la classe; BEVILACQUA Michele, segretario capo dell'emigrazione; CoRsi Fernando, SALLIER DE LA TouR conte Carlo, primi segretari dell'emigrazione.

RAGIONERIA CENTRALE

Direttore capo della ragioneria: GIANDOLINI Romolo.

DIVISIONE I

(retta, alla immediata dipendenza del direttore capo di ragioneria, dal capo sezione BARTOLINI Luigi).

Personale -Affari Generali -Esame dei provvedimenti da sottoporre al Ministero delle Finanze ed in genere di tutti quelli aventi comunque effetti finanziari -Riassunto degli elementi per la preparazione degli stati di previsione dell'entrata e della spesa e relative variazioni -Conto consuntivo, parte finanziaria e parte patrimoniole -Servizio dei cambi -Esame degli inventari -Competenze e pensioni relative a tutto il personale dipendente dal Minister,o degli Affari Esteri escluso quello delle Scuole Italiane all'Estero e quello del soppresso Commissariato Generale dell'Emigrazione -Riscontro del Giornale di cassa per le gestioni di bilancio ed extra bilancio -Cont.o corrente infruttifero col Tesoro dello Stato -Partitario dei depositi ricevuti dai privati -Contabilità speciali -Registrazione dei valori provenienti dall'estero, sia direttamente, sia a mezzo Banche corrispondenti -Riscontro dei valori non monetari e degli effetti in deposito presso il Cassiere del Ministero -Operazioni relative al finanziamento dei RR. Uffici all'estero, accettazione delle tratte emesse dai titolari di essi e registrazione delle aperture di credito -Conto corrente con il Contabile del Portafoglio e conti dei relativi capitoli di entrata e di spesa della categoria Movimento di capitali -Tenuta dei conti impegni relativi ai servizi suddetti -Emissione e registrazione dei mandati -Archivio.

Capo sezione; BARTOLINI Luigi.

Segretari; CASONI Enrico, MONTUORI Pietro, consiglieri; BARDI Donatello, TOSI Emilio, MAIO Luciano, primi segretari; AMATO Saverio, segretario; URBANI FALLANI Velia, ragioniere.

DIVISIONE II

Accertamento, riscossione e versamento delle entrate disposte dalla legge e dal regolamento dell'Emigrazione -Scritture generali e speciali -Servizio delle marche da bollo da applicarsi sugli atti di arruolamento -Liquidaz~one delle competenze ai RR. Commissari imbarcati in servizio di emigrazione e rimborso delle stesse da parte dei vettori -Liquidazione ed approvazione delle contabilità per le spese relative all'emigrazione -Fondo pensioni per gli impiegati del soppresso Commissariato Generale dell'Emigrazione -Stralcio delle contabilità di guerra -Inventar~o -Riscontro degli atti amministrativi e servizio cambiario per le scuole italiane all'estero -Locali scolastici e demaniali all'estero -Gestioni speciali e scritture relative -Revisione, approvazione e liquidazione delle spese indicate nelle contabilità scolastiche mensile e varie Tenuta degli impegni e scritture partitarie riassuntive per il servizio dell'emigrazione e delle scuole italiane all'estero -Monte pensione dei maestri elementari -Emissione dei mandati di pagamento relativi ai suddetti servizi.

Direttore capo della divisione: CIOTTI Remigio, direttore capo di ragioneria.

Capo sezione: RISOLDI Giuseppe Arturo, ispettore di ragioneria.

Segretari: Tuzi Alberto, consigliere; ZAFARANA Gino, BLANDI Silvio, MAzZA Ferrante, TEDEsco Pietro Paolo, primi segretari; VoLPE Mario, RICcA Alfredo, segretari.

DIVISIONE III

Revisione, approvazione e liquidazione delle contabilità dei RR. Uffici diplomatici e consolari all'estero, nonché di quelli di pubblica sicurezza di confine -Contabilità degli agenti della riscossione -Conti giudiziali -Servizio marche con&olari -Tenuta degli impegni relativi alle spese del funzionamento dei RR. Uffici all'estero, emissione dei mandati di pagamento -Conti correnti del personale diplomatico e consolare in dipendenza delle gestioni all'estero -Esame dei rendiconti di spesa sulle aperture di credito e sugli ordini di accreditament.o -Liquidazione dei conti delle Società di navigazione per il rimpatrio dei nazionali indigenti.

Diretto['e capo della divisione: PONCINI Francesco, direttore capo di divisione.

Capo sezione: DE SANTIS Paolo.

Segretari: DE ANNA Giuseppe, RoMANo Giuseppe, consiglieri; AsBOLLI Attilio, MARTINA Filippo, primi segretari.

Comandato: SoRMANO Aldo, 1° capitano di fanteria.

CONSULENTI GIURIDICI CONSULENTE GENERALE

SciALOJA Vittorio, senatore del Regno, ministro di Stato, professore di diritto nella R. Università di Roma.

CONSULENTI

GIANNINI Amedeo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario onorario con rango di la classe, consigliere di Stato, incaricato di storia dei trattati e di diritto aeronautico nella R. Università di Roma; MoNTAGNA Raffaele, consigliere di Stato, con titolo onorario di consigliere di leg~_zione; ALBERTAZZI conte Enrico, consigliere di Cassazione, con titolo e rango di console generale onorario; CuciNOTTA Ernesto, giudice di tribunale, incaricato di diritto e legislazione coloniale nella R. Università di Roma.

APPENDICE III

AMBASCIATE E LEGAZIONI PRESSO IL RE D'ITALIA

(Situazione al 10 aprile 1933)

Afganistan -NAIM Mohammed, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; YusouF Mohammed, primo segretario.

Albania -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario, SHTYLLA Tahir, primo segretario, incaricato d'affari (ad interim).

Argentina -N. N., ambasciatore; LEGUIZAMON PoNDAL Honorio, consigliere; CHIAPPE Felipe, consigliere di legazione, primo segretario; ONETO AsTENGo Oscar, primo segretario; MEJIA Claudio, A., primo tenente aviatore, addetto aeronautico; BREBBIA Carlos, consigliere commerciale; SusiNI Telemaco, addetto.

Arabo-Saudiano (Regno) -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Austrta -voN EGGER MoELLWALD Lothar, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VoLLGRUBER Alois, consigliere; ROTTER Adrian, segretario; FRIEBERGER Kurt, addetto per la stampa.

Belgio -DE LIGNE principe Albert, ambasciatore; D'AsPREMONT LYNDEN conte Gobert, primo segretario; LAMY Léon, addetto.

Bolivia -SAENz Jorge, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ARANA URIOSTE Julio, priimo segretario.

Brasile -PEçANHA Alcibiades, ambasciatore; DE MACEDO SoARES José Roberto, primo segretario; DE SEGADAS MACHADO GUI MARAES Argen, secondo segretario; LATOUR Jorge, secondo segretario; SPARANO Luiz, addetto commerciale.

Bulgaria -VoLKOFF Ivan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; STAMENOFF Ivan, primo segretario; STANCIOFF Ivan D., segretario; DASKALOFF Teodossi, colonnello di Stato Maggiore, addetto Inilitare ed aeronautico.

Cecoslovacchia -CHVALKOVSKY Frantisek, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SEJNOHA Jaroslav, consigliere; ZAHN-STRANfK Viktor, segretario; CHARous Jaromir, segretario; RosfK Vitezslav, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare ed aeronautico; PLECHATY Ladislav, segretario, addetto per la stampa; PEcHACEK Josef, addetto per la stampa.

Cile -HuNEEUS Antonio, ambasciatore assente; FmuEROA Francisco, consigliere, incaricato d'affari (ad interim); DEL CAMPO Carlos, addetto; ERRAZURIZ OvALLO Carlos, addetto commerciale.

Cina -OuANG Raymond Y. C., primo segretario, incaricato d'affari (ad interim); TcHou Yin, primo segretario; TcHANG Kien, addetto; YoH Lun, addetto.

Colombia -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SANTOS Gustavo, primo segretario, incaricato d'affari (ad interim).

Cuba -IzQUIERDO Y 0RIHUELA José Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; FoRCADE Y JoRRIN Alfonso, consigliere; EsPINOSA Miguel Angel, terzo segretario.

Danimarca -KRUSE Johan Christian Westergaard, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CoLLIN Hialmar, segretario.

Dominicana (Repubblica) -HENRIQUEZ Y CARVAJAL Francisco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PARADAS Salvador Emilio, addetto; PELLERANO ALFAU Arturo J., addetto commerciale; TRUJILLO MOLINA Anibal, tenente colonnello, addetto militare.

Egitto -SADEK Wahba pascià, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; WAGUIH Rostum, segretario; TAHER AL-OMARI Mohammed, addetto agricolo.

El Salvador (Repubblica di) -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Equatore -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Estonia -ScHMIDT August, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; JANSON David, primo segretario.

Etiopia -GHEVRE JESUS Negadres Afevork, incaricato d'affari; WEULDE GABRIEL Ylma, primo segretario.

Finlandia -ARTTI Kaarlo Pontus, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Francia -DE JouvENEL Henri, ambasciatore; DE DAMPIERRE conte Robert, consigliere; RocHAT Charles, primo segretario; VERGÉ Jean, secondo segretario; ELIE Hubert, terzo segretario; DE MENTHON conte Bernard, terzo segretario; LELONG Albert, colonnello, addetto militare; DE LA GIRAUDIÈRE Jacques, maggiore, addetto aeronautico; SANSON Pierre, capitano di corvetta, addetto navale; BARY Hubert, tenente di vascello, addetto navale aggiunto; SANGUINETTI Joseph, addetto commerciale; ROUMILHAC Georges, addetto finanziario.

Germania -voN HASSELL Ulrich, ambasciat ore; SMEND Hans, consigliere; voN BULOW Dankward-Christian, consigliere di legazione con funzioni di primo segretario; HoLM Fritz Viktor, segretario; ScHMID-KRUTINA Hermann, segretario; MARSCHALL VON BIERBERSTEIN Viktor Heinrich, segretario; FISCHER, colonnello, addetto militare; LoYCKE, capitano di corvetta, addetto navale; HOFFMANN VON WALDAU Otto, capitano, addetto militare aggiunto; BUSSE Walter, addetto per l'agricoltura.

Giappone -MATSUSHIMA Hajime, ambasciatore; lwATE Yoshio, consigliere; 0GAWA Noboru, secondo segretario; AKIYAMA Masatoshi, terzo segretario; lNOUYE Kenso, segretario interprete di seconda classe; KATSUDA Naokichi, addetto; SAKAI Yasushi, tenente colonnello di artiglieria, addetto militare; OHTANI Yusuke, capitano di fregata addetto navale.

Gran Bretagna -GRAHAM sir Ronald, ambasciatore; MuRRAY John, consigliere; STEVENS H.R.G., colonnello, addetto militare; RAMSAY Robert, capitano di vascello, addetto navale; HETHERINGTON T.G., colonnello, addetto aeronautico; STOPFORD F.V., capitano di fregata del genio navale, addetto navale aggiunto (residente a Berlino); TuRNER R.M., consigliere d'ambasciata per gli affari commerciali; NrcHOLs P.B.B., primo segretario; Mc CLURE W.K., addetto per la stampa, con rango di primo segretario; JEBB H.M.G., secondo segretario; LAMBERT J.H.V., terzo segretario; CREEK H.D., addetto onorario; ANDREWS J.S., consigliere commerciale aggiunto.

Grecia -METAXAS Petros, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DALIETOS Alexandros, primo segretario; MELAS Michael, secondo segretario.

Guatemala -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MANRIQUE Rms Adam, incaricato d'affari (ad interim).

Haiti -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Iraq -NuRI Said pascià, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Jugoslavia -RAKié Milan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; KASSIDOLATZ Dragomir, consigliere; Rrsné Jovan, segretario; KNEZEVIé Nikola, addetto; KoTNIK Cyrille, addetto; VuKOTié Jovan, addetto; ZAJcré Bozidar, addetto per la stampa; PoPovré Zarko, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e navale; SoNDERMAYER Vladislaw, tenente colonnello, addetto aeronautico.

Lettonia -SEYA Pietro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; KAMPUS Roberto, primo segretario.

Lituania -CARNECKIS Valdemaras, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VILErsrs Petras, segretario.

Messico -DE NEGRI Manuel, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; URIBE Horacio, primo segretario; PERALTA CoRONEL Vincente, tenente colonnello di cavalleria, addetto militare ed aeronautico; Rurz GARGOLLO Manuel, tenente colonnello del genio, addetto militare aggiunto; PADILLA AVILA Jesùs, capitano di artiglieria, addetto militare aggiunto; VILLAREAL MAYA Armando, capitano di cavalleria, addetto militare aggiunto.

Monaco -CouGET Fernand, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Nicaragua -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Norvegia -IRGENS Johannes, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Vangesten OVE C.L., primo segretario; BAKKE Arno l d, consigliere commerciale (residente a Berna).

Paesi Bassi -PATIJN Jacob A.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario VAN PANHUYS W.E., primo segretario; VAN RIJN J.J., addetto commerciale.

Panama -PoRRAS Belisario, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Paraguay -GuBETICH Andrès, incaricato d'affari.

Persia: N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MOTAMÉDY Alì, primo segretario, incaricato d'affari (ad interim); KHADJE NouRI Nezam, segretario.

Perù: N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ORTIZ DE ZEVALLOS Emilio, primo segretario, incaricato d'affari (ad interim).

Polonia: N.N., ambasciatore; DE RoMER Taddeo, consigliere, incaricato d'affari (ad interim); KOMIEROWSKI Ludomir, segretario; MrcHALOWSKI conte Jozef, addetto onorario; MIKULSKI Boleslaw, addetto onorario; MAZURKIEWICZ Roman, addetto commerciale.

Portogallo: DE CASTRO Augusto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE BIVAR BRANDEIRO José, secondo segretario.

Romania: GHIKA principe Demetriu, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ZANEscu Costantin, consigliere; SKELETTI Emilio, tenente colonnello, addetto militare; GHEORGHIU Ermi!, maggiore di aeronautica, addetto aeronautico (residente a Parigi); NICULEscu George, comandante, addetto navale (residente a Londra); PoRN Eugenio, consigliere commerciale; PAPAZI Virgilio, vice console.

Santa Sede: BoRGONGINI DucA monsignore Francesco, arcivescovo di Eraclea, nunzio apostolico; TESTA monsignor Gustavo, consigliere; SERENA monsignor Carlo, uditore.

Siam: AMORADAT KRIDAKARA principe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VISUTRA VIRAJJADES Luang, secondo segretario; PRASERI MAITRI Luang, terzo segretario; JrTAWI Luang, addetto.

Spagna: ALOMAR Gabriel, ambasciatore; DE OJEDA Gonzalo, ministro plenipotenziario di terza classe, consigliere; DE RANERO Juan Felipe, primo segregretario; JORRO Jaime, segretario; DE LA GANDARA José, addetto onorario; CARRAsco Manuel, addetto onorario; FrGUEROA Eduardo, addetto onorario; SosTRE MALUQUER Ramon, addetto onorario; SICARDO J osé, colonnello di fanteria, addetto militare ed aeronautico per l'esercito; NAVARRO Enrique, capitano di corvetta, addetto navale ed aeronautico per la marina; BADIA Carlos, consigliere commerciale (residente a Parigi).

Stati Uniti d'America: GARRET John Work, ambasciatore; KIRK Alexander C., consigliere; MrLNE Mac Gillivray, capitano di vascello, addetto navale; MAc CABE E. R. Warner, colonnello, addetto militare ed aeronautico; MrTCHELL Mowatt M., addetto commerciale; TITTMANN Harold H., primo segretario; BAY Charles A., secondo segretario; PENNOYER Frederick W. Jr., luogotenente comandante, addetto navale ed aeronautico aggiunto; BRADY Francis N., capitano, addetto militare ed aeronautico aggiunto; SEYMOUR HowARD Herbert, capitano di vascello del genio navale, addetto navale aggiunto (residente a Londra); HANSON Ralph Trowbridge, capitano di fregata del genio navale, addetto navale aggiunto (residente a Londra); HrNMAN BRYANT Eliot, tenente di vascello, addetto navale aggiunto (residente a Berlino); BonE Howard B., addetto navale aggiunto (residente a Berlino).

Sud Africa (Unione del): PrENAAR Barend Jacobus, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; HEYMANS Albert, primo segretario; HoTz Abe Alexander, secondo segretario.

Svezia: SJOBORG Erik, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE BoRGENSTIERNA Carl Herbert, segretario.

Svizzera: WAGNIÈRE Georges, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BROYE Eugène, consigliere; REZZONICO Clemente, primo segretario; MALLET Bernad, secondo segretario.

Turchia: VAssrF bey, ambasciatore; KADRI Riza, consigliere; RECHIT Mehmet, primo segretario; FEHMI Mustafà, terzo segretario; TAHSIN Hassan, tenente colonnello di fanteria, addetto militare ed aeronautico; KAzrM Omer, capitano di corvetta, addetto navale.

Ungheria: DE HoRY Andras, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE LuKics-KIRALDI Gyorgy, primo segretario, TRAUB Istvan, addetto; SZABÒ Ladislas, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare; HuszKA Istvan, addetto per la stampa.

Unione delle Repubbliche Sovietiche Socialiste: POTEMKIN Vladimir, ambasciatore; WEINBERG Haim, primo segretario; DREPROV P a ve l, secondo segretario; TAu Garald, addetto militare ed aeronautico; 0RAS Pavel, addetto navale; LEVENSON Michail, rappresentante commerciale; AIRAPETIAN Ervand, rappresentante commerciale aggiunto; ScHAPIRO Boris, rappresentante commerciale aggiunto.

Uruguay: RAMON GuERRA Ubaldo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GRUNWALDT CUESTAS Federico, primo segretario; RAMON GUERRA José Carlos, addetto.

Venezuela: PARRA-PÉREZ Caracciolo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CAsAs BRICENO J. M., consigliere; RoJAs Hugo, addetto.